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Appelli: 18 gennaio m202 h9.30; 1° febbraio m202 h 9.

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FILOLOGIA ROMANZA – CORSO AVANZATO

MODULO A
2/10/2018

Marie de France

Introduzione

Marie de France, è una grande autrice medievale francese. Viene definita autrice di “favole a quesito”,
poiché le favole nella sua raccolta si aprono ad una pluralità di interpretazione. Scrive in anglonormanno,
ovvero il francese parlato in Gran Bretagna.

Nell’introduzione ai Lais troviamo uno dei topoi dell’esordio dove si parla della metafora lirica dei talenti
chi ha un talento lo deve mostrare e non nascondere per poter arricchire i contemporanei. Marie è
pienamente consapevole della propria autorevolezza letteraria a scapito del fatto che le letterature
medievali sono molto giovani ma già da metà del XII secolo esprimono autori pienamente maturi e
consapevoli.
Nella letteratura provenzale (d’oc)abbiamo i grandi autori provenzali (Bernard de Vendadorn, Arnaut
Daniel), mentre nella letteratura d’oil abbiamo Marie di France che scrive i Lais nella seconda metà del XII
secolo.
Nel francese antico di grafia fonetica, si potrebbe pronunciare anche Lais o Leis, molto diverso dalla
pronuncia francese moderna. La pronuncia quindi è simile a come è scritta la parola, l’accento è come in
latino, molto utile è la metrica in quanto si tratta di composizioni in versi.
Nelle lingue galloromanze abbiamo una declinazione in casi. Quindi per esempio nel caso di parisillabi
dobbiamo fare riferimento alla forma dell’accusativo amor,amorisamoremamore,amors

Le tematiche
Parlando di Marie di France, ci si trova davanti a questioni legate a temi della letteratura cortese
medievale. È contemporanea di Chretien de Troyes, i cui romanzi, tra cui quello di Lancillotto e del Graal,
sono ambientati della regione dello Champagne. Fa eccezione il suo primo romanzo, ambientato alla corte
del Plantageneto, Enrico II, dove si trovava anche Marie. Siamo intorno al 1160/70.
Tra le varie tematiche legate a Marie abbiamo per esempio il tema del meraviglioso legato alla mitologia
celtica, la cosiddetta materia celtica o “matère de bretagne”.
Marie de France scrive novelle in versi, oltre ai Lais abbiamo altri due componimenti.
-le Fables, di materia esotica, dichiara il suo nome e la sua provenienza. Vediamo ancora un parallelismo
con Chretien de Troyes, ovvero l’autodenominazione. Chretien si autonomina dell’introduzione al romanzo
“Erec et Enide”. L’autodenominazione avviene qualora l’autore sia lontano dalla patria, infatti Chretien si
trova in Inghilterra quando scrive il romanzo precedentemente nominato.
-L’Espurgatoire

Tematica dell’“aventure” legate alla materia celtica presente in Marie. “Adventuram” participio futuro, le
cose che devono avvenire. E questa tematica fantastica dell’avventura è legata alla predestinazione.
L’avventuroso, legato al folklore indoeuropeo è legato più specificamente al folklore dell’Europa del nord,
come per esempio le figure bianche che guidano il personaggio. Abbiamo quindi figure di fate, di cerve
bianche (lai di lanval), cavalieri uccelli che vengono materializzati dal desiderio della donna mal maritata.
Oppure ancora la dama resuscitatafantastico o la tematica della solitudine, approfondendo la psicologia
della donna.

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Queste tematiche si accostano a romanzi precedenti che avevano a che fare con la materia antica (lingua
latina), abbiamo quindi il Roman D’Eneas o Roman de Troyes di Benuait de Saint Moute, Roman De Thebes,
Roman d’Alexandre.

Marie a differenza dei romanzieri a lei contemporanei, della materia antica, o di storie che si rifanno al
meraviglioso celtico o a Chretien de Troyes, predilige la narrazione breve. L’autrice scrive un minimo di 118
versi (lai del caprifoglio) ad un massimo di 1184 versi (lai dell’uomo tra due donne). L’ideale narrativo è
quello della brevitas, della concisione. Per questo si serve del simbolismo e di tecniche di scorcio o ellissi,
entra molto spesso in medias res. La narrazione si carica di molta forza evocativa.
Il metro utilizzato è il distico di novenari a rima baciata, octosyllabes perché in francese si contano le sillabe
fino all’ultima accentata anche a causa dell’ossitonia.

Tema del fantastico derivante dalla materia celticaanimali psicopompi, lupi mannari, fate amanti, esseri
che arrivano dal cielo.

La stessa parola Lais è una parola celtica, deriva da una parola che significa canzone.

Cos’è un lai
Nel prologo dei Lais e nel lais del caprifoglio si insiste sull’ambiguità di fondo su cosa sia un lai. Ha a che fare
con una canzone sentita dall’autrice, ma non sappiamo se la canzone originaria fosse in rima e in musica e
poi composta da Marie per “rimembrer”. Se fosse quindi solamente un canovaccio o se fosse musicale.
Marie è consapevole della sua autorità e contemporaneamente ha coscienza letteraria in quanto lei stessa
afferma che i posteri continueranno a glossare, a interpretare l’opera.

Fatto problematico: questi testi gallesi e irlandesi possono essere conservati in testi del XIII secolo che
quindi sono successivi ai testi a cui facciamo riferimento.
Marie ci segnala di essere originaria della Gran Bretagna e ci dice quale operazione ha fatto nel prologo dei
lais. L’autrice voleva inizialmente tradurre le fonti antiche “metre an roman”, ovvero fare un
volgarizzamento, in un secondo momento decide invece di dedicare la propria attenzione alle fonti di
carattere orale cioè i lais che aveva ascoltato. Adatta quindi a questa materia orale di origine celtica i propri
versi. Queste fonti sono così significative che sono rintracciabili non solo nel prologo ma anche nel titolo dei
lais poiché trascrive il titolo nella lingua originaria, il bretone.

Le opere
Sulle opere di Marie rimangono zone d’ombra, anche se rispetto ad altre opere medievale, l’autrice pone la
firma sulle due tre opere. L’opera più famosa sono appunto i Lais, che ci è stata tramandata nella sua
interezza da un codice presente in un manoscritto di Harley 978 alla British Library. Gli altri manoscritti
sono le Fables o Ysopet (che si rifanno alla tradizione esopica di personaggi animali) che si ritengono
composte tra il 1177 e 1189, dove Marie fa riferimento alla sua origine e inoltre dice di aver tratto le sue
favole da una raccolta inglese, nell’epilogo inoltre si parla nei versi 9-10 di un conte” Guglielmo”,
probabilmente Guglielmo di Essex, che come Enrico morì nel 1187.
La terza opera attribuita a Marie è il “purgatorio di san patrizio” o “Espurgatorie de Saint Patrice”,
composto dopo il 1189.

Perché “Marie de France”


Così come accaduto con Chretien de Troyes, il nome di Marie de France sembra un nome parlante. Quindi
la matrice cristiana del nome Maria e il rimando alla materia della lingua volgare, France. Nel 1500 viene
battezzata così da Fauchet.

4/10/18

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Il caprifoglio pag. 312

È il più breve dei Lais (118 versi), siamo nell’ambito del racconto, della novella in versi. Soltanto dal 1200 in
poi si passerà alla prosa.

Questo breve episodio ha una sua enigmaticità e ha a che fare con una serie di testi che riguardano la
vicenda di Tristano e Isotta caratterizzata dal fols amors che porterà i due amanti a morire uno nelle braccia
dell’altro. Isotta è sposa di Re Marco, la quale si innamora follemente del nipote del re Tristano dopo aver
bevuto una pozione d’amore mentre Tristano la stava conducendo in sposa.

Di questa storia abbiamo due romanzi incompleti, il Tristan di Tomas e quello di Berul. Siamo intorno agli
anni 70/80 del XII secolo. Abbiamo poi episodi che ricordano la follia di Tristano allontanato da Isotta che si
chiamano Folies. Alcuni studiosi ipotizzano che all’origine di tutte le vicende tristaniane ci sia un “pur
tristan” ovvero una storia originale. In realtà non sappiamo se sia o meno originale la materia di Marie.

La trama
Il Lai narra la storia di Tristano allontanato dalla corte di re Marco dopo che alcuni cavalieri avevano
confessato l’amore adulterino di Tristano per Isotta, moglie di Marco. Tristano dopo un anno torna a corte
a causa di un bando del re, secondo il quale tutti i cavalieri si sarebbero dovuti riunire a Tintagel.
Al centro del racconto vi è un simbolo: ramo di nocciolo intrecciato con foglie di caprifoglio inciso con il
suo nome. Tristano lo lascia per essere riconosciuto da Isotta. I due riescono a consumare brevemente. Per
la gioia di questo momento Tristano deciderà di comporre questo Lai.
Il testo che ci presenta Marie è quindi nella finzione quello che avrebbe composto Tristano. Notiamo così la
stratificazione dei testi che ci ricorda anche Marie nel prologo. In questo Lai abbiamo quindi l’esempio della
capacità di Marie di creare dei simboli. Quindi il bastone di nocciolo che inizialmente è solo un segno
diventa simbolo dell’amore. Questo perché Tristano commenterà che l’amore tra lui ed Isotta è come il
nocciolo e il caprifoglio intrecciati: separati muoiono velocemente. Questo episodio è presente solo
nell’opera di Marie.
Secondo Spitzer l’intento di Marie de France è quello di mettere a fuoco delle problematiche di tipo
psicologico.

chisc
oiue
vocali seguite da n nasali
si leggono sia vocali sia consonanti
aie
humh non si pronuncia più ma nei germanismi va fatta sentire l’aspirazione. Hum deriva da nominativo e
non da accusativo

Anche se c’è episodio del tutto occasionale, c’è messa in prospettiva che ricorda tutta la vicenda dei due
amanti. Ci parla addirittura dell’epilogo. C’è aspetto della letteratura medievale della preconoscenza.
Nel fatto che Marie dica che l’abbia trovato scritto alcuni pensano sia fonte reale ma in realtà convalida la
propria autorevolezza.

Tristramgrafia interessante. All’interno c’è il trist-ram, ovvero il triste ramo del nocciolo

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Fineimportante perché rimanda al fin amore, l’amore perfetto che purifica nella letteratura
provenzale/cortese
Corucierz>corosier>coruptare>coruptus
Repeirer>lat repatriare da patria. Termine anche nel volgare. “al cor gentile rempaira sempre amore”
Guinizzelli. Consustanzialità del cuore nobile con l’amore
Mist en abandun de> perifrasi per “mettersi in qualche pericolo”
Vusriferimento al pubblico
kqu, c grafia che troviamo fino al 300
esmerveilliezill è grafia per l palataleL
pensis> meditazione interiore, ripiegamento del personaggio su se stesso. Uno dei segni dell’elezione del
personaggio, il personaggio si pone in questo atteggiamento prima dell’avventura che può essere
un’avventura fantastica
esmut>esmouver fr> exmovere lat
maneit>manoir fr> maneo, ere lat
herbergiertermine germanico. La h aspirata. Herbergiemant significa riparo. Herberga>heri berga>
armata protezione
cunteneit>countenit>contenere
bani>banir fr antico etimo germanico che a come base il francone ban>annunciare con un bando, con il
suono delle trombe, riunire.
i>ibi>lì
Pentecoste così come la Pasqua è un’occasione religiosa che compare molto nella letteratura francese, per
sottolinerare l’importanza dell’avvenimento
Haita>germanismo haitier> germ hait, gioia
La regina, cioè Isotta non viene mai nominata per nome

A questo breve episodio Marie aggiunge una connotazione temporale, cioè che questo tipo di incontro era
già avvenuto e tristano aveva già utilizzato questo tipo di segnale

Summapronuncia suma
Otausiliare con estè deriva da habuit
Lungesavv di tempo
Ambiguità di fondo su cosa ci fosse scritto sul bastone, Marie de France dice solo che scrive il nome ma poi
c’è riferimento ad una summa dello scritto.
Vv 65 uno dei centri del lai. Glossa del simbolo. Similitudine vegetale che riassume la loro storia
Au>o
Hastivament> germanico haisvivacità hastiv=impetuoso. Indica la tempestività

Tristano vuole indicare ad Isotta che la loro sorte è uguale a quella del nocciolo e del caprifoglio.
Isotta cerca una riappacificazione tra Re marco e Tristano in modo che i due possano stare insieme.
Gioco di specchi, lo scritto sul bastone, il lai di Tristano e il lai di Marie di Francia.

8/10/2018

Interpretazione critica di Teodoro Patera


Interpretazione critica di Teodoro Patera che si dedica alle vicende Tristaniane, nell’opera Parler dulcement
d’amur. Identità, desiderio, racconto nei testi antico-francesi della leggenda di Tristano (XII sec)” nella sua
tesi di dottorato per l’università di Macerata.
Questo studioso, nelle conclusioni del suo volume ci fornisce indicazioni su come ha voluto procedere nella
sua metodologia interpretativa: prende le distanze da un’interpretazione filologica classica e utilizza metodi
diversi ma ciò non esula da un attento ascolto delle opere; cita Leo Spitzer e la sua opera Critica stilistica e
semantica storica che definiva la critica letteraria come “abituale processo di pensiero”, cioè applicare il
proprio sguardo critica all’opera. Patella prosegue dicendo di aver utilizzato diversi strumenti da diverse

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discipline: antropologia, psicologia, psicanalisi, semiotica, linguistica. Si pone davanti al testo seguendo
l’insegnamento di Auerbach. Patella interroga le vicende tristaniane come “discorsi antropologici sul
pensiero umano, sulle vicissitudini del desiderio (come viene rappresentato l’elemento del desiderio?
Elementi centrali nella letteratura cortese, fin amors.), che cosa potessero dirci su quella esigenza
impellente tutta umana di riconoscersi in una narrazione.” Utilizza tutti gli strumenti per indicare che “il
personaggio è un concetto anche nella letteratura medievale” cercando di leggere nei testi ciò che li
avrebbe potuti avvicinare al lettore moderno, per avvicinarsi a ciò che Varvaro definisce una “critica
eterodossa”. Alcuni personaggi non significano solo se stessi ma anche qualcosa di più ampio, un concetto,
per esempio l’incoronazione di Yonec rappresenta l’acquisizione del sapere. L’acquisizione della conoscenza
è tra le altre cose un elemento nuovo che emerge con il XII sec. Il medioevo valorizza questo concetto
dell’essere litterato a partire da un certo momento in poi.

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Che cos'è il vero Caprifoglio dunque?
Potrebbe essere una performance che riassume tutte queste possibilità, cercando di rendere un po' più
chiara l'ambiguità persistente. È centrale quindi il gioco del testo: l'operazione scrittoria e poetica è il tema
che vuole affrontare Marie de France. Infatti, per ricordare le parole dell'evento non si riesce a identificare
il tessuto verbale con un testo preciso: non a caso ricordare è inteso nel senso di rielaborare e ripercorrere,
non un freddo fermare nella memoria, ma un rendere vivo e presente un racconto attraverso la narrazione.
Questo lai non è altro che una storia in cui si riflette l'agire dell'uomo per superare l'evento difficile della
vita, è la ricerca di una via di uscita che è uno specchio, un ritrovare sé stessi nella narrazione, che a livello
simbolico è rappresentato da questa concatenazione testuale. La poesia può riassumere dunque una
funzione specchio dell'umano, crea simboli che sintetizzano i valori più profondi dell'essere, è una spinta
dialogica, una dilatazione del sé e del testo.

Comporre dei testi e la loro funzione diegetica non è altro che creare delle estensioni dell'umano grazie
anche alla realtà che la finzione letteraria rende estremamente libera: ogni autore compone a suo modo il
mondo. In questo sistema di riflessi c'è la tendenza dell'uomo a superare se stesso e del mondo reale,
attraverso la fiction: l'uomo si interroga su se stesso narrativizzandosi, superando il limite del reale
attraverso il gioco della fabulazione e del linguaggio; l'uomo ha la capacità di essere contemporaneamente
soggetto e oggetto. Solo attraverso il linguaggio si può avere empatia, solo autoraccontandosi può avvenire
la comunicazione. Marie de France dà voce ad un vero pensiero narrativo che simboleggia anche un
soggetto umano, ovvero l'amore, attraverso le meditazioni dei personaggi che riconfigurano il messaggio.
Nella storia di Tristano e Isotta, molto simbolicamente, l'impellenza e la spinta furiosa del desiderio, invita il
personaggio a rincorrere una storia e a cercarsi altrove. Tristano e Isotta attraverso il racconto diventano
interpreti di sé stessi: la loro identità è problematica e intricati sono i rapporti tra realtà e idealità.

La concezione dell'amore medievale viene vista oggi in quanto discorso: è rappresentato all'interno dei testi
poetici, è letteratura, ed ecco che ricompare l'elemento riflessiva; forse non è esistito mai un amore
cortese, ma bensì un amore per la letteratura. L'amore dunque secondo Patera ha un'essenza dialogica.
Infine, il testo e il lettore si rapportano, un po' come Dante nel V canto infernale quando chiede a Francesca
di ricordare la sua passione e si identifica nel personaggio. Possiamo parlare si osmosi tra vita e racconto, in
quanto la storia di Tristano non è altro che la sua vita fatta racconto: il lettore così può ricavare un modello
catartico, una presa di coscienza del proprio essere attraverso uno scatto progettuale che ci spinge a
superare le alterità.

Saggio di Leo Spitzer (scritto negli anni Trenta e pubblicato in Italia nel 1985)
Questo studioso si occupa del panorama generale degli scritti di Marie de France, che definisce "autrice di
favole problematiche". Spitzer riassume i dodici lais estrapolando quale sia la problematica razionale della
storia che di volta in volta è al centro delle vicende: nella maggior parte dei casi si tratta di osservazioni a

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scopo didattico, che si concentrano soprattutto sulle conseguenze del troppo amore. Ci sono comunque
diversi nuclei tematici: ad esempio quello dell'amore-morte, dell'adulterio ecc.
Spitzer da questa schedatura deduce che Marie de France non è solo una scrittrice di favole, ma una
creatrice di problemi: inventa infatti delle favole-problemi, perché vengono inseriti nel mondo della favola
dei problemi concettivi che attraverso la realtà della favola si spogliano della loro componente razionale.
Capiamo così il meccanismo narrativo di questa autrice: il mondo fiabesco riveste il problema con l'incanto
del mistero e dell'indeterminatezza.
In Marie de France ci sono anche elementi di realtà, come gesti e atteggiamenti ben individuati: per
esempio nel lai di Lanval viene descritto come il protagonista si tolga il mantello e lo pieghi sotto la testa
per sdraiarsi a pensare, lo stato di isolamento e di emarginazione è descritto in maniera realistica; inoltre
vengono ricordati nomi topografici reali, seppur accostati a paesaggi fantastici.
Secondo Spitzer è molto importante il tema del fiabesco: il tempo e l'atmosfera si rifanno alla leggenda,
secondo lui lo scenario ideale del lai è quello delle spiagge bretoni dove lo sguardo si perde in lontananza;
infatti le vicende raccontate non sono altro che il ricordo continuo del lai bretone, della materia orale che si
aggancia. Questo tipo di ambientazione ricollega gli eventi ad un’epoca remota, e tale fatto ricompare come
una specificazione importante e continua anche nel testo. Certo i fatti sono antichissimi, ma anche storici,
legati alla realtà e alla verità, sono stati tramandati come veri dalla tradizione bretone. Tuttavia, queste storie
contengono una scottante attualità, Spitzer parla di "problema eterno che va aldilà del tempo"; lo stesso
Goethe scriveva che l'elemento di forza del lai di Marie de France era "il sentore del profumo degli anni".
Quello che interessa a Spitzer è farci capire come i dodici lais con il loro prologo si presentano come un
insieme unitario, quindi ci troviamo davanti ad un'opera omogenea con al centro il potere dell'amore, i cui
aspetti sono illustrati dalle novelle, anche gli aspetti nefasti. Per uscire da questo fitto labirinto non c'è altra
via d'uscita se non la meditazione, una meditazione quasi sospesa, caratterizzata dell'elemento di indugio.

11/10/18
Spitzer sottolinea l’unitarietà della raccolta, il soggetto principale è la tematica amorosa che ordina una
serie di favole a problema dove si analizzano le antinomie connesse all’amore, inoltre è importante
l’elemento della remembrance con cui avviene il superamento di queste problematiche irrisolte.
Spitzer ritorna sulla funzione del simbolo che ha funzione anche al di fuori del racconto, hanno un
significato sensibile e spirituale e ne ricorda una serie: nocciolo e caprifoglio, usignolo (dal titolo viene
individuato come protagonista del racconto, sembra un nome proprio e diventa simbolo dell’amore ucciso
dal marito geloso) nel lai di Frassino il velo simboleggia il sacrificio e il segno d’amore, in quello dei due
amanti la bevanda magica ha il significato dell’amore eccessivo. Spitzer procede ad un’ulteriore
spiegazione:

-Il Laustic, l’usignolo racchiuso in una cassa, simbolo quindi del perpetrasi dell’amore
-il velo di una fanciulla abbandonata dai genitori a cui viene lasciato in pegno questo tessuto, simbolo della
sua nascita nobile. Si innamora ma non sapendo di essere di nascita nobile le verrà preferita la gemella. In
segno di dedizione adornerà il letto nuziale con questo velo. A questo punto ci sarà l’agnizione con la vera
madre. Questo velo assume il significato del sacrificio e del dono di sé.
-Nel lai dei “due innamorati” c’è il simbolo della bevanda magica che in realtà non viene bevuta per il
troppo amore e quindi assume questo significato di ubris. L’amore eccessivo porta alla morte
-sempre nel lai dell’usignolo abbiamo oltre che all’uccisione dell’usignolo abbiamo una macchia di sangue
che macchia l’abito della donna. Marie mostra come attraverso un’economia di mezzi ovvero raccontando
un fatto apparentemente significante e con la brevitas si possa in realtà mostrare una vicenda molto
significativa. La macchia di sangue simboleggia l’esiguità dell’avvenimento e dall’altro l’assassinio del marito
dell’usignolo che rappresenta quindi l’infamia contro l’amore.

Questo meccanismo della costruzione del simbolo, dice Spitzer, è assolutamente centrale nei lais. Spesso
Marie sa sorprenderci perché trasforma in simbolo un elemento di per sé marginale che diventa sotto i

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nostri occhi il simbolo della novella. Spitzer quindi ci dice che la scoperta di Marie è quella di “creare grande
poesia dalle piccole cose. Si crea un’atmosfera poetica che nasce dalle piccole cose ma le trascende”
Il fatto che nell’usignolo esso venga conservato sta a significare il conservarsi dell’amore che è conservato
dalla stessa scrittura. Tema della scrittura che rappresenta lo stesso avvitamento che sta facendo Marie, lo
scrivere.
Nel prologo Marie mostra così tanta consapevolezza che non guarda solo ai contemporanei ma anche ai
posteri. Dall’avanture Marie trae il tema bretone. L’arte di Marie di Francia crea simboli ma la stessa
scrittura è simbolizzazione. Fare poesia per Marie significa ricordare e il simbolo ha la funzione di poter
rappresentare più efficacemente la contraddittorietà dei problemi amorosi. Per esempio, nel caprifoglio
Marie crea un simbolo e vi affida il proseguimento dell’azione.

La funzione della cornice secondo Spitzer


La necessità della cornice in Marie risiede nel fatto che si mostra intenta a dare origine alla raccolta.
Autorappresenta se stessa e la propria azione letteraria. Quindi i racconti devono essere visti dal pubblico
come la riattualizzazione di storie già narrate, secondo il gusto medievale, come avventure, avvenimenti
remoti di un passato già successo, di un olim (già avvenuto) che venga riportato al hic et nunc.
Questi 12 racconti costituiscono perciò un insieme per organizzato inseriti nella memoria, con il rimando ai
lais bretoni.
La cornice inoltre ci ricorda continuamente la tradizione bretone. Molto spesso infatti troviamo dei
sintagmi che rimandano a elementi non ben definiti pur contenendo aspetti realistici. Un verso del prologo
è richiamato in molti lais così come il tema dell’avventura.
All’inizio del lai 8 ci ricorda la sua attenzione alla riattualizzazione delle tematiche. “chi vuole raccontare
diversi racconti deve parlare adeguatamente da piacere alla gente”. Vediamo quindi la riattualizzazione
delle cornici ma allo stesso modo notiamo come già la stessa Marie ritenesse questi Lais un tutto unico.
La cornice quindi ci rimanda all’atto della narrazione, al genere letterario e al narratore che dà inizio alla
narrazione.
Nel prologo in particolare abbiamo informazioni sulla costituzione del libro. Abbiamo la tematica del
poetare; ci fa entrare nel suo atelier, nel suo studio. È consapevole della propria importanza e del tema
letterario come trasfigurazione del reale. La poesia è per Marie “custodire ricordi in una scatola molto
preziosa e di grande valore”. Quindi Marie disegna astucci molto preziosi dei suoi sogni plasmando
contemporaneamente la sua immagine di narratrice in modo che il pubblico si renda conto di dipendere da
lei.

Sono di grande importanza poi le notazioni realistiche che si integrano agli elementi fantastiche. Queste
notazioni possono indicare precisi toponimi ma anche informarci della società cortese del XII XII secolo:
idee militari, della psicologia, dell’abbigliamento del suo tempo. Questo alternarsi di elemento fiabesco e
realistico contribuisce a creare un’immagine fiabesca. Nel medioevo tutte le cose reali sono considerate
spesso per il loro significato simbolico. Marie quindi riesce a trasformare degli umili oggetti quotidiani in
simbolo. Come il velo il quale lai è considerato anticipatore della novella di Griselda del Decameron.
Senz’altro secondo Spitzer l’arte simbolica di Marie può essere rivissuta da chi legge e grazie alla capacità
dell’autrice di creare dei simboli, riesce a creare un’opera viva dalle infinte risonanze.
Spitzer accosta Flaubert a quanto avviene nell’opera di Marie de France. Flaubert infatti non costruisce tipi
ma simboli. Questa osservazione viene trasposta all’opera di Marie. Ma l’opera di Marie non è opera a
tema come quello di F. ma opera aperta è vitale. Marie quindi non ci fornisce aneddoti ma rapporti
interpretabili in chiave simbolica.

Il prologo pag. 51

V 1-4 topos. Metafora del talento, Marie è consapevole del proprio ruolo di auctor
Grandz>grand
Es>prep articolata>en les

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Marie ci rimanda agli antichi, all’oscurità, all’interpretazione e all’auctoritas di Prisciano. Quindi Marie inizia
il prologo in una tonalità elevata: si presenta come un auctor e con un tono sapienziale. Ciò colpisce perché
si rifà a componimenti di carattere orale, mitici e volgari.
Si può dire che in qualche modo il testo di Marie si presta alle interpretazioni. Anche i versi 17 ecc
“li philesophe” secondo Ernest Robert Curtius in “letteratura europea e medioevo latino” non sono i
filosofi ma i poeti

V 20 ambiguità del soggetto: scritti o i posteri? Non tutta la critica condivide la stessa posizione
V22 ambiguità: dall’errore. Oppure “sarebbero diventati più profondi nel loro acume”
Oppure “oppure i posteri si sarebbero potuti meglio salvaguardare dall’errore grammaticale essendo più
acuti nel loro ingegno” oppure “si sarebbero potuti salvaguardare dall’errore morale” oppure Spitzer dice
che in realtà viene indicata la capacità di cogliere il giusto significato degli scritti. Quindi non le
interpretazioni precedenti ma di un’operazione della glossa, del commento, dell’interpretazione dei posteri
“si sarebbero potuti meglio salvaguardare dal testo interpretandolo nel modo corretto” quindi non
avrebbero “oltrepassato il vero significato”

V30 allusione ai romanzi antichi del 60 di poco precedenti ai lais del 70


V33 tema del genere e l’autrice che si a riconoscere
V40 rimando alla tecne
Guglielmo I d’Aquitania è uno dei pochi che ci mostra la sua tecnica e ciò si trasforma nel gab, nel vanto
della sua esperienza. Nemmeno Chretien è immune a questo meccanismo ma dirà che la sua opera durerà
fino a che durerà la cristianità.
Fin dal prologo le assunzioni di Spitzer non sono tanto lontane da quanto ci dice la stessa Marie. Il tema
della cornice si fa evidente nel prologo.
V43 re è Enrico II Plantageneto
Joie> jouè> gioia che si sottomette ai valori cortesi.
Dedica che vuole essere un’apologia del sovrano.
Marie de France nell’esaltazione del re ha appena ricordato il cuore del re in cui è la sede di ogni virtù ma
successivamente rimanda al proprio cuore ribadendo la propria autonomia.
Surquidiee>cogito>cogitare>quidier fr antico> pensare oltre>pretendere

15/10/2018
Spitzer continua a parlare delle favole a problema “problem mercien”, aggiungendo che è possibile
interpretare le opere nel loro complesso come una riflessione sull’amore.
Nel prologo Marie si presenta come un auctor e i suoi lais si presentano come un testo bisognoso e che
autorizza una glossa da parte di un pubblico e addirittura dei posteri. Vediamo quindi come un’autrice di
testi profani e di narrativa breve, è talmente cosapevole dell’altezza del proprio impegno da rammentare
una sorta di parallelismo tra i suoi testi e i testi che per eccellenza hanno bisogno di una glossa ovvero i
testi saci. Spitzer ci ricorda come i testi di Marie proprio perché necessari di una glossa, servano a
giustificare il parallelismo con la materia bretone. Dobbiamo perciò comprendere quando Marie nei versi 9-
22 fa riferimento agli “ancients” e di una glossa che interpreta la lettera, attribuita a “coloro che devono
venire e avrebbero aggiunto il sovrappiù del loro ingegno”. Il modello interpretativo di Marie va perciò
rimandato all’esegesi tecnica della Bibbia, che spiegherà tutto il significato latente e nascosto dei testi,
anche pagani i quali saranno interpretati alla luce del cristianesimo; abbiamo per esempio il “Ovidio
moralisee”, Virgilio interpretato come colui che nell’egloga VI vede l’avvento del puer. Testi che quindi
erano ispirati anch’essi da Cristo. Vediamo quindi che anche autori laici non possano far a meno di vedere i
propri testi laici alla luce dell’esegesi, dice Spitzer sono “clerici malgrado loro”.

Quando Marie fa riferimento all’autorità di Prisciano, egli è chiamato a rappresentare la scienza letteraria
nel suo insieme. Per gli autori medievali Prisciano e Donato (che si era occupato anche di poetica), possono
rappresentare un punto di riferimento. Come se Marie facesse riferimento ad una auctoritas in campo
letterario e quindi Prisciano rappresenti l’uomo letterato per eccellenza. Egli d’altra parte aveva fatto

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riferimento al fatto che, a differenza di Marie, gli autori dell’arte grammaticale, tanto sarebbero stati più
recenti quanto più acuti. Questo concetto viene ripetuto nel v20 ma non facendo riferimento agli autori o
agli scritti ma bensì ai lettori “a coloro che devono glossare e interpretare il testo”. Spitzer ricorda poi che il
v 21-22 non va interpretato come un errore di tipo scientifico/interpretativo ma piuttosto di tipo cristiano.
Quindi l’autore deve prepararsi a commenti più acuti prodotti dai posteri.
Al v17 “philesophe” non indica i filosofi e gli studiosi, come farebbe pensare il rimando all’auctoritas di
Prisciano, ma in realtà, dice Curtius ci dice che “li philesophe” faccia riferimento ai poeti e in particolare ai
poeti pagani dell’antichità classica. Lo studioso infatti nei suoi studi mostra la grandissima diffusione del
topos di identità tra poesia-filosofia-teologia come avviene ancora con Dante. Troviamo questi topoi nella
letteratura latina medievale dal VII al XII secolo. Anche Aristotele aveva chiamato i primi poeti come
“tzeologoi”. Anche i padri della chiesa giustificano i poeti pagani con l’appellativo di teologi. Anche nel
Varvaro viene ricordato un accordo tra mitologia pagana e dogmi cristianigigantomachia=torre di babele.
L’interpretazione allegorica scopre un parallelismo tra mitologia e dogma. Gli stessi testi della bibbia sono
considerati poesia e non sono meno che la letteratura pagana.

Nella concezione medievale tutte le artes venivano da dio, idea che notiamo anche in Marie: al v3 si parla
delle modalità espressive dei poeti antichi che vanno superati dall’interpretazione cristiana. E quindi Marie
vede il suo testo un testo che sarà glossato secondo il modello dell’esegesi biblica. Quando parla di “velo”
parla delle allegorie degli autori pagani che avevano velato le eterne verità, che i posteri sveleranno.
Marie poi si trova a giustificare la forma poetica dei suoi lais che ha in sé delle profonde qualità morali.
Quindi i Philesophe sono gli autori dell’antichità che Marie citando vi si accosta. Marie quindi riveste questi
autori di intenti medievali, ovvero di mostrare delle verità cristiane. Secondo l’autrice il tempo ha portato le
verità cristiane. E quindi condivide con gli autori del suo tempo l’idea che le verità cristiane appartengano
ad ogni tempo e siano rivelate man mano dalle generazioni future.
Nel prologo vediamo quindi tutta l’istintiva ideologia medievale. Marie sa che benchè tratti di una materia
orale e folklorica in realtà che i suoi racconti hanno un significato profondo che si cela oltre la lettera, un
significato cristiano svelato dall’acume degli interpretatori dei posteri. L’ingegno e la sagacia, la subtilitas
non sarà un’arma per attaccare gli avi ma discernere l’architettura originaria.
Marie quindi nonstante faccia parte della letteratura pagana è ella stessa un clericus e lei stessa si sente
tale.
Sempre nel prologo viene sottolineata la metafora della fioritura “fluriz”.

Lanval pag. 170


Lai di Lanval, così come il romanzo, condividono il tema dell’identificazione dell’eroe con il realizzarsi
dell’avventura. C’è una verità che il personaggio che il personaggio riesce a trovare solo attraverso la
ricerca (queste). La verità che scopre attraverso l’avvenuta è predisposta solo per il protagonista.
Ci troviamo quindi di nuovo in contatto con la profondità di significato. Sappiamo che il personaggio
attraverso l’avanture rivelatrice arriva da una incompletezza iniziale una completezza finale. Attraverso
l’aventure riesce a trovare il regno a cui esso appartiene e questa avvenutura ha la capacità di immetterlo
in un mondo altro dove la sua vera essenza sarà spiegata. Picone dice che non è un caso che Avalon, il
mondo altro dove la fata lo porterà è un anagramma di Laval. Solo Avalon sarà il luogo di tale realizzazione.
L’um estrange, Lanval, da ripiegato su se stesso e infelice nella corte arturiana compierà un itinerario
indirizzato dalla fata, riuscirà a penetrare nel mondo magico dei celti, dove avrà realizzazione.
Questa pienezza simbolica del nome non riguarda solamente il Lai di Laval ma proprio il meccanismo del
racconto breve vede naturalmente il suo finire una volta glossato il nucleo simbolico che viene mostrato al
lettore a partire dal nome stesso.
C’è uno spessore semantico e un’allusività simbolica fin dal titolo. Questo lai parla di un’avventura
psicologica che porta il personaggio a scoprire rivelare se stesso e la propria identità. La vicenda e il
personaggio sono misteriosi. In particolare, Lanval è estrange non solo all’ambito sociale ma anche a se
stesso.
Dal significato letterale dobbiamo passare ad un sensus. Costruisce quindi un racconto pieno di profondità
psicologica.

9
È l’unico dei lais a fare rimando al ciclo arturiano (il caprifoglio è ciclo tristaniano).

Emerge a volte già in Chretien de Troyes per esempio nel Cavaliere del Leone, una critica al mondo della
cavalleria arturiana. Anche in Marie il mondo arturiano non è un mondo ideale ma vediamo come Lanval sia
un cavaliere del tutto ignorato anche se di stirpe nobile. Quindi l’ideale arturiano è rappresentato come un
mondo degenerato, che sottende anche delle critiche alla monarchia francese.

Viene specificato il luogo e il tempo.

V29 caso obliquo della declinzione bicasuale deriva dall’accusativo e viene utilizzato non solo per il
complemento oggetto ma anche per il complemento di specificazione senza “de”
V33-34 sottolinea l’infelicità attraverso l’anafora. “ore” sottolinea il momento dell’avanture.
Pensis>panser
Entrepris>entraprendre> essere in difficoltà
Secondo i canoni dell’oralità si riferisce al pubblico
Estrange>estraneum
u>ubi>dove

ambito della narratio brevis che si fonda su pregnanza di significati e di simboli, vediamo come Marie
adotta diverse modalità dell’oralità nel riferimento al pubblico e proporsi come un pronome in prima
persona come una sorta di parentesi rivolta al pubblico

esbaneier>band germ> fr ban> stendardo. Verbo denominale che in origine significa sventolare ma
successivamente divertirsi, svagarsi.
Tema dell’errare di Lanval in cerca di una via d’uscita.
Evento straordinario annunciato da una parte dalla frontiera acquatica che segna il confine con il mondo
dell’avventura.
Vuiltrer>volutuare>girare
Mesaise> contrario di aise “agio”
Tema del corteggiamento della regina

versi 52-79

Tref>troef germ>tenda
Od> apud lat
Pavelliuns>papillionem>farfalla
Esligasent>lige germ>acquistare/liberare
Pert>paroir fr>lat parere
Senglement>sengle>singulim
Questi aggettivi per descrivere sono tipici per descrivere la bellezza medievale
V108 iniziativa femminile tipica della cultura celtica. Anche il potere passa attraverso la donna. C’è anche in
Chretienfigura della terra d’irlanda. Donna che dona il potere al prescelto. Anche qui abbiamo questa
forma volitiva della donna che manifesta la propria volontà.
Puint>pungere lat

Svolgersi delle prime fasi d’amore tra Lanval e la fata. Secondo lo schema melusino, la fata non concede
solo l’amore ma l’abbondanza per il cavaliere. Abbiamo però secondo la tradizione celtica, il tema del
divieto, che il cavaliere non deve trasgredire pena la perdita di tutto.

V131 meschine>mes chin arabo> giovane


Otreie> otroier fr>auctoridiare al posto di auctorare> autorizzare

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Presenza di esclamazioni che sottolineano la presenza di Marie, tramite cui l’autrice stimola l’adesione
emotiva del pubblico
Doinst cong> doner
Asez>ad satis>abbastanza
Chasti>chiastier>castigare>istruire, avvisare
L’elemento del segreto è una delle caratteristiche dell’amore cortese> cappellano
Seisine>sancire>seisir fr moderno impadronirsi di qualcosa
Ele>en + el
Lanval da diseredato vede accresciuta la sua ricchezza e il suo prestigio
Elemento della largetze dell’elargire favori.
Lanval però a causa di una serie di eventi non riesce a mantenere l’impegno preso con la fata. La regina
Ginevra, innamorata di Lanval, lo costringerà a rivelare il segreto
Anche la regina prende per prima l’iniziativa
Accusa da parte della regina di omossessualità
Hum dit> uomo dice>si dice
Motivo “della moglie di Putifarre” tentativo della seduzione del servo che rifiuta e la moglie di P lo accusa
perciò di violenza.
Davanti alle reazioni emotive il medioevo ha delle abitudini diverse, quindi davanti allo sfogo delle emozioni
il cavaliere sviene più volte.

Saggio di Michelangelo Picone


Per Picone un lai è la prima realizzazione della narrativa breve antico-francese, come anche il fabliau che
però è di tematica comico-amorosa che si rifà al basso corporeo e ad elementi che non sono di certo
cortesi. Oltre al fabliau abbiamo il dit o il conte.
Il lai è una delle realizzazioni più importanti e si compone di distici di octosyllabe e va da 100 a 100 versi
contro la media dei 700 versi del romanzo cortese
La diffusione e la ricezione del lai fu forse ristretta, a giudicare dai manoscritti ma ebbe fortuna il nome di
Marie de France. Abbiamo una settantina di lai anonimi. Anche la sua estensione nel tempo è ristretta
dall’ultimo quarto dell’XII secolo fino al declino nel secolo successivo e coincide con il pieno sviluppo degli
ideali elitario-cortesi.

In “Marie” abbiamo l’essenza della femminilità cristiana e in “de France” non abbiamo solo una
connotazione spaziale ma vi possiamo trovare un riferimento culturale cioè la volontà ferma di dare un
volto autoctono alla poesia e quindi prolungare il topos della translatio studii ovvero il passaggio del sapere
nella sua lingua. La francia quindi diventa un luogo dello spirito e di un determinato tipo di valori morali. Il
tentativo di portare gli ideali della Grecia in patria.
Quindi lo stesso nome di Marie de France oltre ad un carattere anagrafico vuole indicarci un elemento
culturale: elementi cristiani, cultura occitanica. È l’autrice che dà un senso cristiano alle favole arturiane.
Un documento fondamentale per capire il valore dei lai è il prologo. Picone ci dice che inizia, nel prologo
con una citazione strutturalemetafora dei talenti e si rifà agli auctores in modo che la sua poesia diventi
essa stessa fonte di autorità. Marie ripropone i classici come riferimento, gli antichi e i poeti: Prisciano
“istitutio de arte gramatica”, grammaticus per antonomasia che testimonia che negli auctores antichi e
insito un patrimonio che i posteriores avrebbero compreso attraverso l’allegoria. La glossa avrebbe
scoperto il simbolo nascosto nelle favole antichi. Gli scrittori antichi si fanno garanti del valore dell’opera
che aumenta con il tempo.
I lai si basano sulla materia e sulla littera dei suoi predecessori bretoni, materia alla quale Marie appone
una raisun e una veritee oltre al sigillo della sua arte e della sua fatica attraverso l’utilizzo della tecnica e
della retorica.

Picone si interroga su cosa renda i lai una raccolta organica dando quattro motivazioni:

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1-l’argomento bretone è il tratto più appariscente a livello di contenuto. Mentre il romanzo predilige i
cavalieri più famosi, il lai predilige i personaggi secondari, emarginati. Cercando di far luce sugli aspetti sulla
vita di corte più singolari. Questi aspetti sono essenziali per restituire al pubblico un quadro più completo
della realtà cavalleresca.

18/10

2- l’amore: al centro dei dodici lais l'amore è la forza propulsiva del racconto: di lais in lais l'amore trova una
soluzione vincolante ad ogni singolo problema. Anche il romanzo cortese ha come centro tematico l'amore,
ma la caratteristica nel lais è che in qualche modo il codice amoroso non è statico, definito, ma dinamico;
ad esempio a volte un lais è compagno dell'altro (costruzioni a dittico), e questo modo di procedere fa si
che vengano inglobate n racconto nuove verità sull'eros, nuove verità che emergono dalle diverse
avventure e dai punti di vista. Infatti, le soluzioni proposte dagli eroi di Marie de France sono singolari: i
dodici casi amorosi portano ad un approfondimento della tematica dell'eros cortese, proponendo una
visione intima che nessun autore aveva trattato prima. I traguardi più importanti in questa direzione
riguardano l'esperienza amorosa dal punto di vista femminile, che viene analizzato in maniera molto
attenta; abbiamo visto che l'amore della donna dei lais ha spesso carattere propositivo, la donna si rende
protagonista di una vicenda esistenziale simile a quella dei cavalieri nei romanzi. Una delle più grosse novità
della scrittura di Marie de France e questa novità: hanno un’ispirazione cortese, in quanto la scrittrice è un
clericus e scrive per un pubblico colto, ma si recuperano le tematiche dell'amore naturale, che appartiene
dunque ad una realtà più umana e più vicina a tutti.

3- declinazione dell'avventura: i vari personaggi incontrano il loro destino nell'avventura e l'amore serve da
messa in moto: i protagonisti sono coinvolti nell'avventura in modo che i significati di cui hanno bisogno per
essere felici possano essere compresi e raggiunti. L'avventura nel lais non ha caratteri cosmici, nessuna
implicazione è universale; non troviamo i grandi conflitti storici tipici dei romanzi cortesi, ma drammi
psicologici, è assente l'exploit guerresco, che non è una condizione imprescindibile per partecipare al
gruppo degli eletti, e dunque all'avventura. La giustificazione dell'avventura per i lais di Marie è tutta
psicologica: l'eroe deve manifestarsi pronto a predisporsi dei valori trascendenti, mostrandosi attaccato da
quelli imminenti; psicologicamente l'eroe deve essere pronto a cogliere e seguire un segno o un oggetto
misterioso, o interpretare un segnale magico, una qualsiasi reliquia dell'amore. e seguendo questi segni
l'eroe si predispone a distaccarsi da delle limitazioni storico-esistenziali. L'eroe infatti non deve superare
prove eccezionali, accade che solamente la vita quotidiana viene circondata da un alone fiabesco.
4-brevitas: caratteristica formale. Marie racconta una sola avventura per lais, tutto deve essere esaurito in
una certa misura narrativa. Il racconto si può considerare concluso quando l'elemento meraviglioso viene
glossato, quando la realtà emblematica viene spiegata. Il titolo rappresenta a sua volta tutta la storia intera,
racchiusa in una parola, come una prospettiva di tutto il lais. Glossare il titolo significa per i protagonisti, e
poi per i lettori, chiudere un processo di simbiosi letteraria, riuscire a dominare la narrazione.

(continuazione lettura del Lanval, Vv. 380 -579)

V. 409 Lanval appare nuovamente ripiegato su se stesso, pare non interessarsi di quello che succede a
livello giurisdizionale.
V. 420 Lanval che si era mostrato integrato grazie ai doni della fata ora suscita la pietà di molti cavalieri.
Marie infatti interviene in prima persona per enfatizzare questo motivo, forse c'è un'identificazione che
testimonia l'estraneità di Maria stessa alla corte inglese.
V. 424 assistiamo ad un giudizio, per il quale viene utilizzato il linguaggio giuridico del tempo, un lessico
tecnico che Marie dimostra di conoscere alla perfezione.
V. 470 amplificazione del tema del corteo della regina
V. 560 topos della descriptio: vengono indicati i canoni della bellezza medievale.
V. 575 richiamo alla tradizione orale

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Fata come tipica fata irlandese. Antagonista classico del racconto come analizzerebbe Propp ovvero
Ginevra che spinge Lanval a infrangere il geis. Lanval quindi rivela il patto con la fata dopo essere stato
accusato di omosessualità dalla regina. A questo punto la fata scompare e la regina lo accusa di averci
provato con lei. C’è un processo. Lanval trova dei garanti, dei cavalieri che si accorgono che Lanval non ha
umiliato volontariamente la regina poiché già le ancelle della fata erano bellissime

(Lettura versi Vv580-646)

V588 cum+pains (gallaiva germ?)compagno ovvero colui con cui si divide il pane
Marie coglie anche le sottigliezze dei movimenti. Dal capo piegato che rappresenta la tristezza, Lanval
finalmente alza il capo quando si accorge che la fata è li
Sospiriuno dei segnali più topici dell’amorede amore di cappellano
Hastifhaistf germimpetuoso
Lanval preferirebbe morire piuttosto che non essere perdonato dalla fata
Elen+le
Attraverso il solo mostrarsi la fata scagiona Lanval
Dresciezlat volgare directiare
Achesisunezda occasionem ma c’è passaggio da o ad a per influsso del verbo latino accuso, are
Otrieauctoridiare la posto di auctorareautorizzare

Negli ultimi versi del lais abbiamo il colpo di scena finale in cui si realizza il destino di realizzazione di Lanval
Us al posto di ustiumuscio
Lanval non se ne va, dopo il suo incontro con la fata on appartiene più definitivamente alla corte. Molti
studiosi come Picone ritengono che lo stesso nome di Avalon sia un anagramma di Lanval.
Il lais si conclude con un commento, una glossa di Marie di Francia.

Bisclavret/il lupo mannaro pag. 150

È un lais che parla ugualmente di una tematica meravigliosa. Abbiamo a che fare con un personaggio che
segna un confine tra il mondo ferino e quello degli uomini.

È un tema che si presta a molte interpretazioni.


Se si vuole ricordare la linea interpretativa di Spitzer e Picone della centralità della vicenda amorosa,
notiamo come in questo lais sia centrale il tema dell’adulterio della moglie di Bisclavret. In questo caso è
proprio Marie a condannare esplicitamente l’operato della donna. Appare qui anche la tematica del
segreto poiché la donna interrogando a fondo il marito vuole conoscere il motivo delle sue assenze
ripetute. A questo punto Bisclavret rivelerà il suo segreto e rivelerà come, tipico del folklore, solo gli abiti
umani gli permettano di trasformarsi in abiti umani. Rivela alla donna dove nasconda gli indumenti che gli
permettono di trasformarsi di nuovo in uomo. A questo punto la moglie sconvolta commette adulterio e
convince l’uomo a rubare gli abiti del lupo mannaro che è costretto a vagare nei boschi.

Un'altra tematica è quella della sovranità: Bisclavret, costretto a vagare come lupo incontra il suo re e
mantiene un atteggiamento così remissivo che verrà adottato alla corte.
Il re è il tramite con il quale avverrà la vendetta del lupo mannaro. Incontrata la donna che lo ha tradito,
unitasi in matrimonio con l’amante, le mangerà il naso. Nonostante il suo atteggiamento aggressivo, il re
ripone fiducia nel lupo intuendo che ci sia qualcosa sotto. Fa confessare la donna e restituisce all’uomo i
vestiti.

Agamben, Homo Sacer

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Un noto filosofo Agamben nella sua opera “Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita” ha notato il
parallelismo tra il re e la sovranità con questo elemento mitico del lupo mannaro.
Il re recuperati i vestiti decide di far riposare la bestia nelle sue stanze per vedere se il lupo avrebbe
recuperato aspetto umano. La donna adultera è costretta all’esilio e le donne che successivamente la
donna avrà sarebbero state destinate a nascere prive del naso, segno del marchio del lupo.
Agamben è un filosofo incontrato spesso dagli studiosi di letteratura trobadorica. Riflette anche a fondo
sulla contemporaneità. Ma l’opera citata precedentemente è una riflessione sulla politica e sulla logica
della sovranità. In particolare, Agamben si concentra in alcune pagine sull’uomo-lupo e il suo apporto da
una parte con lo stato di natura, la ferinità e dall’altra il suo rapporto con l’essere anche umano. È
importante quindi il passaggio tra uno stato e l’altro: l’essere bestia e quindi fuori dalla legge, l’essere uomo
e quindi in una società con delle regole. In qualche modo quello stato di natura proprio di tutti, viene
mantenuto da uno solo: il sovrano. A questo proposito viene accostata la figura del sovrano con quella del
lupo mannaro.
Sottolinea che noi abbiamo necessità di avere a che fare con questo uomo-lupo, non solo un elemento
ferino, da allontanare dalla comunità ma in questo personaggio (nei tanti modi in cui è chiamato dalla
tradizione: Werwolf, Lup Garu<garulphus) coesiste una soglia ambigua tra uomo e animale, il coesistere di
physis e nomos, natura e legge, tra esclusione e inclusione. Il lupo mannaro quindi abita in entrambi i
mondi senza appartenere a nessuno di questi come dirà lo stesso lupo mannaro nel lais di Marie che dice di
vivere di rapina quando è lupo. Per Agamben questo ha a che fare con il passaggio dallo stato di natura allo
stato del patto sociale.

Nell’interpretazione della nascita dell’accordo sociale secondo Hobbes passando dall’homo homini lupus
“l’uomo è lupo all’uomo” ovvero quello stato di sfrenatezza in cui ogni uomo di comporta come un lupo nei
confronti dell’altro uomo; Agamen non è d’accordo con Hobbes che vedeva nel sovrano un elemento come
intermediario a cui si ceda il potere, piuttosto è nel sovrano che rimane unicamente questo coesistere di
bestialità e legge, la bestialità viene mantenuta dal sovrano come suo elemento che spetta per natura. Nel
sovrano sopravvive l’elemento del lupo mannaro.
Ci dice che nel Bisclavret la figura del lupo mannaro come coesistere di natura politica e bestiale, sono posti
in rilievo con estrema chiarezza. Bisclavret era un vassallo intimo del re e fedele a lui. Ogni tre giorni si
trasforma e vive di “preda e di rapina”.
Essenziale è il particolare già attestato nella Naturalis Historia nel libro VIII della leggenda di Anto, lupo
mannaro, del carattere temporaneo della metamorfosi, legato anche nella NH alla possibilità di recuperare
le vesti. La trasformazione è eccezione cioè ex-legis, fuori dal mondo umano, per tutta la durata del quale la
città è sciolta e gli uomini vivono in una situazione di indistinzione con le belve. L’uomo passa da uno stato
all’altro tramite segnali perché si possa distinguere chiaramente quale sia la norma e lo stato selvaggio. Nel
folklore il lupo mannaro quando sta per diventare uomo deve bussare tre volte all’uscio della porta e la
moglie non può aprire alla prima volta poiché alla prima la rapirebbe e la divorerebbe, la seconda avrebbe
forma di uomo e testa di lupo, all’ultimo colpo finalmente la donna può aprire perché il marito è tornato
uomo (Levi).
L’uomo lupo lo troviamo anche nella Repubblica di Platone.

Lettura Vv 1-28 Bisclavret

23/10/18
Saggio di Laurence Harf-Lancner, studiosa francese, sul folklore e sulla figura della fata in Lanval.

Già Varvaro viene sottolineato come un elemento da valutare nella letteratura medievale è la “cultura degli
incolti” in cui entravano molti elementi tra cui l’elemento folklorico, le leggende dinastiche (storia di
Melusina e Jean d’Arras), credenze e riti perpetrate nei secoli che avevano a che fare con la cavalleria.
Le letterature romanze medievali molto più che la letteratura latina medievale abbiamo l’elemento del
meraviglioso e del fiabesco poiché queste letterature devono attirare anche per i meno colti.

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Quindi parlando della letteratura medievale non solo è importante ricordare l’elemento di continuità con la
tradizione ma anche l’elemento nuovo del fantastico. In realtà anche la letteratura medievale è prodotta da
un’élite di colti per un’élite detentrice del potere.

Harf-Lancner ricorda che la letteratura medievale reca le impronte di un’altra cultura le cui tracce sono
rintracciabili anche nei testi dotti. È quella che abitualmente definiamo letteratura “popolare o folklorica”
che si oppone alla cultura ufficiale e clericale. Jaques Le Goff chiama questa cultura orale o folklorica come
“lo strato profondo di cultura o civiltà tradizionale che è soggiacente a ogni civiltà storica”. Ma Harf-Lancner
ricorda che “nessuna civiltà occidentale medievale ricorda meglio il rapporto tra cultura ufficiale e folklore”,
se la letteratura è il luogo dove questi due elementi si incontrano, il 1100 e il 1200 sono l’età aurea di
questo incontro tra cultura ufficiale e folklorica.

Ricorda in particolare tre punti fondamentali della storia culturale del XII secolo che permettono questa
unione di culture:

1-lo sviluppo della letteratura cortese in una serie di generi letterari, dal romanzo alla narrativa breve, alla
lirica. Come ha messo in evidenza Erich Kohler nella letteratura cortese di rispecchia l’immagine che la
società cavalleresca vuole dare di se stessa. Anche Boccaccio sarà erede di questa letteratura cortese così
forte da superare i secoli, facendo proprio questo sistema di valori della cortesia, che ritroveremo anche nel
400-500 nei poemi cavallereschi.

2-l’irruzione nella cultura dotta del folklore il quale trasmette a questa letteratura una materia
indipendente dalla cultura clericale che può essere modellata secondo le direttive di un ideale profano.
Questo perché una delle grandi caratteristiche innovative della letteratura medievale è l’esplorare di tutta
una serie di contenuti che hanno a che fare con ideali profani e laici come la nuova concezione dell’amore o
le finalità della vita cavalleresca, pur essendo prodotta da clerici.

3-l’evoluzione all’interno della chiesa dell’atteggiamento nei confronti delle credenze pagane che
facevano parte dell’elemento folklorico. Ad una grande repressione di questi elementi nell’Alto Medioevo
segue una tolleranza in questo secolo. Quindi abbiamo nella letteratura un’irruzione dell’elemento
fantastico legato al folklore. Harf-Lancner ricorda che il fantasioso regna onnipresente nella cultura
popolare del medioevo.
Inoltre, l’uomo medievale aveva un atteggiamento del tutto diverso rispetto al meraviglioso rispetto alla
nostra contemporaneità. Oggi consideriamo meraviglioso tutto ciò che sfugge ad una causalità di tipo
razionale; nel medioevo invece l’interrogativo che sottostà ad ogni riflessione sul meraviglioso e il
soprannaturale non vertono affatto sulla realtà di questo elemento ma sul suo significato. L’uomo
medievale quindi anche rispetto ai lais non si sarebbe interrogato sulla verità dell’elemento della fata o il
fiore magico che resuscita o l’uomo-uccello nel lais di Yonec ma il suo atteggiamento sarebbe quello di
valutare la veridicità di questi elementi dal punto di vista della loro interpretazione, del loro significato
simbolico.

Harf-Lancner dedica i suoi studi in particolare alla figura della fata che rappresenta il simbolo dell’incontro
tra cultura tradizionale e folklorica. Fate che abitano le foreste dei romanzi bretoni e ereditano i loro tratti
dal folklore universale, sono figure ibride come Melusina che è donna-drago. Nella tradizione irlandese e in
Chaucher abbiamo fate il cui bacio è fatale. Abbiamo diversi tipi di realizzazione di questo meraviglioso e
sono personaggi sopravvissuti ad un pantheon fantastico.
Nella letteratura greca le fate erano legate al destino ed erano figure loci, legate ad un luogo ben preciso.
Le fate nella letteratura medievale sono inserite in altri luoghi fantastici e sono legate all’immaginario
erotico del medioevo.

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Nel suo volume “Morgana e Melusina. La nascita delle fate nel medioevo” si sofferma anche sul lais di
Lanval e ci ricorda come questo tema sia collegato alle leggende celtiche melusiniane in cui troviamo le
sequenze narrative dello schema melusiniano:
1-incontro con la fata
2-patto concluso con la fata
3-trasgressione del divieto (geis) e le relative conseguenze.
Nel Lais di Lanval abbiamo un quarto elemento che spezza l’armonia dell’elemento folklorico melusiniano
ovvero
4-il ritorno della fata e la scomparsa dell’eroe.

Questo elemento sembra un eco dei racconti morganiani. L’allontanamento dell’eroe provoca la comparsa
della fata legata all’elemento acquatico. Abbiamo degli indizi che ci segnalano l’avvicinarsi dell’elemento
fantastico come il fremito del cavallo che precede l’arrivo della fata poi arrivo delle cortigiane della fata
ovvero il tema del cortege de la reine. C’è una sorta di clima ascendente. Tutte queste fanciulle hanno
caratteristiche che anticipano quelle della fata. C’è rimando a scena di bagno e purificazione con la
presenza dei due bacilli d’oro e la tovaglia, oppure questi elementi rimandano ai preliminari di un pasto.
Quindi o simbolo di purificazione o di ricchezza e abbondanza. Le fate sono create dai sogni degli uomini e
sono di per sé inscindibili dalla tematica della bellezza e del piacere. Nel lais di Lanval abbiamo tutti questi
elementi topici anche se nel momento in cui il patto tra gli amanti è concluso vediamo questa
contaminazione tra schemi folklorici. In seguito all’effrazione del fatto (tema della moglie di Putifarre), il
castigo non si farà attendere poiché la donna scomparirà dalla vita di Lanvalimprovvisa perdita della
fortuna dell’eroe. Abbiamo l’elemento in cui Lanval è esposto al bando dalla corte. Nell’ultima parte
abbiamo in realtà un vero e proprio racconto morganiano completo che si aggiunge all’altro schema
folklorico. Questo finale è molti simile alle leggende irlandesi. Per dare massimo risalto all’arrivo della fata
Marie esalta ancor più l’elemento del corteggio della regina che annunciano la venuta della loro signora.
Giungerà poi la fata sul suo palafreno a scagionare Lanval. Come nelle leggende irlandesi di Bran e Lanvè la
fata salvava l’eroe e l’eroe la seguiva nell’altro mondo. Vediamo quindi il discostarsi dal tema melusiniano
che vedeva la sia fine esclusivamente con la perdita di ogni cosa da parte dell’eroe.

Lettura Vv 28-116 Bisclavret

Precedentemente presentazione folklorica del lupo mannaro e presentazione apparentemente idilliaca


della coppia. Donna presentata come elemento negativo e manipolatorio. Anche qui è notabile lo stile di
Marie che trasferisce tutti gli elementi negativi che ci si aspetterebbe essere propri del lupo mannaro, sulla
moglie. Quindi elemento di assoluta sorpresa.
Le aspettative del lettore andrebbero verso un’attribuzione dell’inquietante al marito lupo-mannaro che si
macchia sicuramente di sfrenata bestialità e invece Marie disattende le aspettative attribuendo le
caratteristiche negative alla moglie fedifraga. Marie condanna l’adulterio non in generale evidentemente
perché presenti del quadro erotico della letteratura medievale quando piuttosto condanna l’adulterio che
si manifesta attraverso l’infedeltà e la frode. Questo elemento del rispecchiare sulla donna gli elementi
negativi vengono ancora più sottolineati nella trasformazione e deformazione bestiale che simbolicamente
sigilla il lais perché non solo la donna viene punita dalla vendetta di Bisclavret che le divora il naso ma
anche la progenie femminile della donna nascerà senza naso.
Il personaggio del lup garus vede accentuati i suoi tratti bestiali.
Viene sottolineata la doppiezza della moglie poiché tutto cioè che induce la confessione di Bisclavret è
l’atteggiamento di amore della donna che dice che l’uomo non debba temere nulla, suscitando in qualche
modo il senso di colpa del marito facendogli capire che se non confessa egli lo ritiene colpevole di qualcosa.
Successivamente alla confessione il cambiamento della donna è istantaneo che si esprime attraverso
l’immagine di non potersi più coricare accanto al marito.
Avviene quindi l’interruzione dell’idillio. Appare alla fantasia della donna un oppositore rispetto al marito.
Un vecchio corteggiatore che immediatamente è ammesso ad essere amante della donna. La donna

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dichiarerà secondo reazione topica della cortesia che concederà all’amante il proprio corpo e di fare di sé la
propria drue, amante.
Tipico di Marie è la sottolineatura del mutamento tramite dati fisiologici “e diventò tutta vermiglia dalla
paura” v99 tema dell’aventure, fondamentale nella materia di Francia. In due versi Marie esplicita due temi
fondamentali: il fantastico e l’aventure ovvero “le cose destinate ad avvenire” da adventum.

25/10/18

La figura del lupo mannaro nella tradizione e nella psicoanalisi


La figura del Bisclavret è presente sia nella tradizione classica che nella visione della moderna psicologia.
Questa figura è di straordinaria diffusione. Abbiamo diverse varianti del licantropo. Anche la stessa Marie
dà allo stesso Bisclavret (che diventa quasi un nome proprio) innova molto questa figura.
La connotazione antica del licantropo è presente anche nella letteratura greca, come la figura di Licaone o
una serie di licantropi che appartengono alla sfera del mitico e del sacro. Molto spesso questa figura è
legata ai fondatori di una stirpe, come nel caso dello stesso Licaone. Nelle saghe norrene e negli stessi
longobardi abbiamo delle figure di guerrieri che assumono un aspetto e un comportamento bestiale, cosa
che consente a questi guerrieri di essere pressoché imbattibili in quanto invasati da questa furia.
Nell’ambito delle tradizioni sciamaniche abbiamo la figura del licantropo che arriva all’estasi, quindi della
trasformazione estatica legata a dei riti.
Abbiamo poi dei licantropi letterari come ad esempio il Bisclavret che ha nella tradizione letteraria
medievale dei gemelli, come ad esempio nella favola di Melion.
Anche le fiabe presentano tra il 1330-1500 delle figure dei licantropi legati al demonismo e alla magia: una
trasformazione dovuta ad incantesimo o maledizione.
Anche nella psichiatria moderna abbiamo i “licantropi patologici” ovvero un legame con uno stato mentale
che muta ed indica una personalità nevrotica, un’oscura attrattiva che sottolinea la forza, la depressione e
la malinconia.
La figura del licantropo in sé ha a che fare con la tematica dello sdoppiamento della personalità. Questo
conflitto tra uomo e natura ci può rimandare alla coscienza dell’uomo divisa tra spetto sociale e culturale. È
dotata di una sua oscurità e ambiguità mortifera. Questo aspetto della ferinità è legato alle tematiche della
morte e del sangue, una dialettica tra vita e morte.
Troviamo la figura del licantropo anche nell’iconografia cristiana, nel tentativo di rendere innocua questa
figura, troviamo spesso santi che cercano di ammansire lupi, simbolo di sensualità e ferinità senza freni.

Nel lais di Marie il licantropo non ha le caratteristiche di assassino feroce e bestiale tipico della sua
iconografia, così avviene anche nella favola di Melion composta tra il 1290 e il 1304. Questa storia è
talmente simile che si pensa che i due autori abbiano attinto ad una fonte comune. In Melion il Bisclavret è
un cavaliere alla corte di re Artù che aveva sposato la figlia del re d’Irlanda, dichiarando un legame con le
fonti celtiche. È stato notato che la caccia al cervo del re in Marie è da tenere in considerazione perché
secondo la tradizione una cerva bianca si univa al lupo celeste. In questa unione si voleva rappresentare
l’unione con la terra del cavaliere quindi l’origine di una discendenza. Può essere che quindi da questa
unione tra cerva bianca e lupo celeste arrivi questa connotazione positiva di Marie al licantropo.
L’interpretazione del licantropo rimanda agli albori di quando l’uomo per vivere doveva cacciare. Questo
rapporto tra uomo e lupo faceva si che l’uomo guardasse al lupo quasi come ad una divinità. Il cristianesimo
demonizzerà questa figura. Nell’età più antica però il lupo è simbolo di fertilità e legato al mondo dei morti,
quindi una compresenza di significati: da una parte animale potente e propiziatorio e dall’altro mostro
antropofago, bestia infernale. Anche rispetto al mondo dei morti abbiamo questa oscillazione: una
connotazione positiva, uno psicopompo ovvero colui che accompagna le anime o negativa quindi guardiano
del regno dei morti. L’immaginario medievale dà molto rilievo a questa figura tanto che la troviamo in
molte tradizioni.
La caratteristica più importante è la compresenza tra umano e bestiale mentre clinicamente è visto come
figura di sdoppiamento di personalità.

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È una figura biunivoca, complessa e ambivalente.
Si ha anche delle urne etrusche con testa di lupo o attestazioni del culto del lupo animale-totem o ancora
nella toponomastica. La figura del lupo nei bestiari medievali è identificata con il diavolo. E in città o in
campagna nel medioevo l’incontro con il lupo era visto come l’incontro con le forze del male.
Questa figura, come molte figure archetipe, è sottoposta a diverse risemantizzazioni nel corso del tempo.

Dal punto di vista dell’etimologia, le derivazioni di inglese e tedesco “werewolf” “werwulf” devono l’origine
del loro significato da una radice comune indoeuropea “wer” che nella terminologia sassone è rimasta con
il significato di uomo. La stessa radice da cui deriva “vir”. Quindi “wer”+”wolf” uomo e lupo. Mentre il
termine “licantropo” ha la stessa formazione ma a partire dal greco da lucos e antrophos quindi lupo e
uomo.

La tradizione classica
Nelle Metamorfosi di Ovidio viene narrata la storia della trasformazione di Licaone in licantropo. Giove era
sceso sulla terra con sembianze umane perché li erano state riportate nefandezza compiute in Arcadia da
Licaone, che vuole attentare alla vita di Giove in sonno, quando ancor prima ha offerto ha Giove un
banchetto di carne umana (elemento di antropofagia). Giove adirato lo trasforma in licantropo costretto a
nutrirsi di carne umana.
Questa versione de mito è stata messa dagli studiosi in relazione ai sacrifici umani che si facevano in onore
di Giove liceo. Radice lic del lupo. Ed è proprio questa l’origine del nome liceo.
Quindi la figura e il mito di Licaone è legata al rito del cannibalismo.
Anche Pausania nella sua opera Guida della Grecia pone la metamorfosi in licantropo nel contesto
religioso. Licaone faceva sacrifici umani e per questo trasformato in lupo.
La sua trasformazione è quindi punizione per un crimine terribile e rivela la vera natura del tiranno.
Anche Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia ricorda due episodi legati alla figura del licantropo. In un
caso ricorda Demenneto di Parrasia che nutritosi di carne di fanciullo si trasformò in lupo. Dopo 9 anni,
tornò uomo. Storia narrata nel capitolo 34 del libro 8, paragrafo 82.

In Europa in generale in lupo e l’orso sono gli animali totemici preponderanti. Abbiamo dei riti che
richiamano alla metamorfosi, una sorta di licantropia rituale. I vari eroi e guerrieri aspiravano ad assumere i
poteri del lupo trasformando la loro natura umana in una natura bestiale avendo coraggio e furore
animalesco. In questo modo ritualmente imitando la figura del lupo diventavano dei guerrieri imbattibili.

Plinio ricorda una storia di questo genere cioè descrive un rito iniziatico ambientato in Arcadia che riprende
questa struttura. Episodio nella NH libro 8 capitolo 34 al paragrafo 81. Plinio racconta che secondo Evanto,
un membro della famiglia di Anto, compieva un rituale in uno stagno dopo il quale si trasformava in lupo e
dopo 9 anni senza aver mangiato carne umana tornava uomo. Acqua con valore iniziatico.
Nella cultura nordica e anglosassone l’outlaw, fuorilegge e fuggitivo, è chiamato proprio werwolf come ad
esempio nelle leggi di Cnut il grande del 1014.
Nella mitologia romana allo stesso modo abbiamo diverse cerimonie, come i lupercali, accostate a questa
figura. Nella mitologia romana i licantropi erano chiamati versipellis cioè che mutavano pelle. Si riteneva
che il pelo lupesco si generasse sotto la pelle la quale durante le trasformazioni si girava.
Nell’ottava egloga delle Bucoliche, Virgilio narra di una trasformazione causata da alcune erbe del Ponto.
Il brano più famoso nella letteratura romana sulla trasformazione di uomo in lupo è nel Satyricon di
Petronio dove il liberto Licerote racconta un episodio nella cena di Trimalchione nel quale aveva assistito ad
una trasformazione di un soldato in lupo mannaro in un cimitero (legame con il mondo dei morti).

L’atteggiamento da parte della cultura latina è oscillante. Alcuni colti affermano che la licantropia non
esista. Lo stesso Plinio nel secondo episodio afferma che in realtà la licantropia è da considerare una bugia
e una favola dei secoli passati. Secondo il medico Galeno che operava a Bergamo nel 213 nella sua Ars
Medica la licantropia è un disturbo psichico, caratterizzato da una serie di sintomi e segni fisici curabili
attraverso diversi rimedi. Il morbo è una specie di melanconia.

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Nel mondo italico in generale il lupo è radicato in riti più antichi per esempio nei Sabini e i Celti si
proclamavano figli dei lupi. I lucani derivano il proprio nome da lucos.

Una delle figure del licantropo è legata alla concezione degli antichi guerrieri germanici e scandinavi.
C’erano diverse modalità di combattimento, il combattimento schierato e il combattimento individualista. Il
guerriero celtico e l’eroe acheo aspirano ad essere semi-divini mentre il combattimento individuale del
guerriero germanico combatte con furor, con atteggiamento ferino. Entra in gioco il totemismo animale.
Il cristianesimo successivamente accosterà questa concezione del combattente “bersekr” al mito della
caccia selvaggia, propriamente una sfilata demoniaca. Questo perché questo personaggio è trainato verso il
basso dal furor e verso gli aspetti più bestiali della natura umana. Queste figure quindi assumeranno
l’aspetto dei licantropi nella tradizione europea.

Non sempre nel folklore abbiamo un’accezione negativa, come emerge in Marie de France. Vi sono molti
racconti folklorici che hanno a che fare con questa figura come per esempio appunto il Bisclavret, o i lai di
Melion e di Biclarel, anonimi. Questi personaggi hanno i connotati del licantropo ma sono stimati dai
sovrani che ne favoriscono la guarigione anche se temporanea. Abbiamo quindi diversi tratti ricorrenti
anche se abbiamo un distaccamento da tematiche più tradizionali.
In Marie la figura del lupo mannaro viene filtrato dai valori cortesi della cultura cavalleresca. Quindi
sicuramente attinge dalla tradizione folklorica ma è presente anche la sua coscienza d’arte e si muove tra
credenze tradizionali e invenzione. Infatti, i suoi temi prediligono l’amoroso mischiato con il meraviglioso
quindi le leggende celtiche vengono unite a topoi di natura evangelica o classica. Marie opera una
metamorfosi della figura del licantropo, applicando anche a beneficio dei posteri degli effetti di una
progressiva moralizzazione cristiana. In questo lai è fondamentale l’esaltazione della figura del monarca.
Viene dato inoltre da Maire un ruolo del tutto inedito all’interpretazione psicologica.
Il lai di Bisclavret deriva sì da una leggenda celtica ma pone le sue radici nelle credenze più antiche come la
Grecia arcaica.
Sono 218 versi di cui 14 di introduzione con una chiosa finale di 4 versi.
Bisclavret non rappresenta una categoria, non ha una attitudine criminale. Del resto nel corteo di caccia
viene scambiato per un comune lupo anche se la su trasformazione iniziale ci pare essere necessaria per
sfogare la sua natura selvaggia. Il suo ritorno alle sembianze umane come la sua trasformazione pare
volontario.
La foresta è il luogo abbastanza lontano dalla società dove dare sfogo alle sue passioni. C’è un questo
personaggio umanità.

Secondo Salvatore Battaglia forse nel lai di Marie c’è nella figura del lupo anche l’elemento del cane, infatti
è caratterizzato da fedeltà. Un altro elemento notevole è quello della cappella, elemento significativo. Per
la credenza popolare infatti questa figura è legata a elementi demoniaci mentre qui Marie fa depositare al
Bisclavret i suoi abiti vicino ad una cappella, simbolo del credo. Non vede quindi in questa figura problemi
di tipo religioso. Marie non giudica questa figura ma sottolinea invece il visibile con l’invisibile, tratto
caratteristico della cultura medievale. Bisclavret è contemporaneamente vittima ma anche toccato da un
demone che lo induce a manifestare questa sua seconda natura. Anche secondo Battaglia questa tematica
della fedeltà serve a contrastare la figura demoniaca del lupo salvandolo in qualche modo. Da una parte
licantropo dall’altra cane fedele.

Marie quindi arricchisce i miti antichi denotando la figura mitica di una singolare completezza, dotando il
dato mitico e archetipico di un significato totalmente umano e sentimentale. Ma questa interpretazione
simbolica è propria della mentalità medievale. Ogni cosa creata è simbolo. Marie compie quindi una
umanizzazione della figura del licantropo ed è ovvio che nei confronti del mito stesso ella prediliga
l’elemento umano.
La salvezza del lupo viene dal re che coglie l’uomo sotto le spoglie del lupo.
Abbiamo un capovolgimento simbolico, il lupo si dimostra fedele e docile nei confronti della moglie ma si
vendica nei confronti dell’amante della moglie e della moglie in una sorta di punizione divina. Il male che

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serve il bene. Il lato del lupo non è una degradazione dell’essere. L’aspetto di bestialità del mito è
abbozzato solo in pochi tratti per poi passare all’aspetto personale, sottolineando la propria presenza di
auctor di Maire, sottolineandone il valore morale. L’auctor non è solo custode del sapere e della tradizione
ma ha il dovere anche di trasmettere una morale e un messaggio.
Sia Melion che Bisclavret si comportano alla corte del re con gentilezza e cortesia, sono apprezzati e visiti in
maniera positiva.
La crisi che dà vita alla vicenda è quella della moglie nel conoscere la duplice natura di Bisclavret che si
trova tra due regni: bosco e corte, bestialità e umanità. In Marie le categorie di buono e cattivo perdono di
consistenza e viene dato un grande valore al principio feudale di fedeltà contro l’infedeltà della moglie.
Nel racconto di Marie è quindi la donna ad essere malvagia. Anche l’elemento antifemminile in questo lais
in questa accentuazione della caratteristica negativa della donna è di derivazione ecclesiastica e clericale.

Vv 116-189 Bisclavret

29/10/18

MODULO B

Nozioni di ecdotica
Fornire un’edizione critica di un testo significa cercare di avvicinarsi il più possibile a quella che si ritiene
essere la volontà originale dell’autore.
Non si parla di manoscritto ma in base agli errori significatici comuni: errori sostanziali (non banali ma
significativi) si discriminano i rapporti di affiliazione. Ovvero errori che non sono commessi da due
manoscritti a meno che siano legati. Abbiamo poi errori d’archetipo ovvero errori che facciamo risalire
all’autore (che può errare per diversi motivi) oppure al capostipite comune.
Allo stesso modo esistono errori di tipo separativo. Se in due manoscritti A e B uno dei due ha un errore
significativo vuol dire che non discendono da un archetipo comune.
Dopo la collazione quindi non si fa riferimento ad un unico manoscritto ma alle varie lezioni attestate dai
vari codici. Solitamente nella tradizione medievali non si hanno autografi ma apografi o copie trascritte da
vari copisti e soprattutto per la tradizione romanza non si ha una tradizione quiescente che rispetta il
manoscritto ma il più delle volte i copisti si ritengono autorizzati ad intervenire sul testo per quanto
riguarda errori e chiarezza e sulla lingua.
Ci sono casi in cui manoscritti siano rimandabili a quelli olografi o autografiBoccaccio e Malpaghini con
Petrarca. Ma queste sono eccezioni.
Anche negli autografi vi sono degli errorierrori banali, errori di penna, errori dovuti all’enciclopedia
dell’autore.
In altri casi possiamo essere in presenza di codici che siano più autorevoli, come nel caso di Marie de
France. La tradizione è molto ristretta, c’è solo un codice che ci tramanda tutti e dodici i lai. E in totale la
tradizione di Marie è tramandata da 5 codici.

L’edizione della Carrocci è una curatela di Giovanna Angeli che riprende un testo di uno studioso francese
del 1966 di Jean Rychner. Questo autore si basa come d’uso sul manoscritto Harley ma Rychner in acluni
casi si serve di altri manoscritti

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1-Harley 978 della British Library -conosciuto come manoscritto H-è in anglonormanno. Questo manoscritto
è un codice del terzo quarto del XIII secolo ovvero l’ultima parte del 1200. Probabilmente questo
manoscritto è stato copiato tra il 1221 e il 1265, dando un lasso di tempo più esteso.
L’edizione Rychner si basa su H, manoscritto anglonormanno e ne mantiene la lezione e la lingua,
riconosciuta come la lingua di Marie. Nell’edizione critica di testi di parla di “lezione buona” che viene
confrontata con l’edizione di altri codici. Infatti, anche H presenta degli errori più o meno gravi.
Un altro editore di Marie, molto più antico di Rychner, Hoepffner, traduce in alcuni casi traduce in
franciano. Rychner invece, corregge gli errori considerati più gravi e fa un ottimo lavoro filologico con un
ottimo glossario.

R ricorre in due casi, nei lai dei “due amanti” e di “Yonec”, deve ricorrere ad un altro codice della tradizione,
siglato S dagli studiosi ovvero:
2-Paris, Bibliotheque National di France, nouvelles acquistition, 1104.
Il primo codice, è un codice pergamenaceo. Mentre il codice S è anch’esso della fine del XII secolo, in antico
francese, franciano lingua d’oil. Comprende solo 9 lai, tranne quello di Chaichivel, Laustic, Ribruck, e questi
lai sono disposti in maniera totalmente diversa rispetto ad H.

Il terzo codice è P
3- Bibliotheque Nat. Fran. 2168, questo codice è in lingua piccarda. La testimonianza quanto a numero di lai
è esigua perché contiene solo la fine di Yonec, Lanval e Guiguemar.
Un quarto codice è Q
4-Bibl. Nat. Fr. 2432 ed è ancora più tardo, del XVI secolo.
Un quinto codice è C
5- Cott. Vesp. B 14 ed è della fine del 1200. Contiene solo Lanval.

Grazie a questi codici attestiamo la maggiore fortuna di alcuni lais legati alla tematica degli amanti ferici
ovvero Yonec e Lanval.
L’edizione Rychner si basa sul manoscritto S in due casi in cui deve correggere il testo di H perché si era
accorto che vi erano delle lacune. Quindi per esempio nel lai dei due amanti introduce tre passi presi da S
che riguardano i Vv 23-30 (interessanti perché contengono un’allusione dell’atteggiamento incestuoso del
padre della fanciulla, fatto che mette in moto l’avanture), Vv 69-70, 125-126. Per quello che riguarda il lai di
Yonec, troviamo anche in esso la stessa modalità di un passo assente in H introdotto da S, con la
testimonianza di Q (presente anche in P, anche se in questo caso non può venire in aiuto perché mancano i
versi da 1 a 394) integra quindi i versi 357-358.

Il manoscritto H
Il manoscritto H è un testo fondamentale perché è l’unico che contiene tutti i lai. È scritto in Inghilterra ed è
scritto in anglonormanno. È un codice miscellaneo, ovvero contiene diversi testi. Vengono date in molti casi
informazioni supplementari, non in questo caso. Di ogni opera quindi ci viene detto dove si trovi e il verso
(parte del foglio dx o sx), l’incipit e l’explicit ovvero le espressioni che identificano l’inizio e la fine del testo.
Il manoscritto comprende testi accompagnati dalla musica, testi di medicina, testi letterari. Compaiono
diverse lingue: latino, inglese medievale, francese e anglonormanno.

Ci sono molti altri testi di varia natura: una lirica in medio-inglese che è il primo esempio di musica
polifonica in inglese, un testo latino dello pseudo-Aristotele intitolato "epistulam ad alexandrum magnum"
(tratto dal secretum secretorum), o ancora un trattato medico che si riferisce ad Avicenna, dei versi sui
segni della morte, un glossario di erbe in antico francese, in alto normanno e in latino; o ancora un testo
dello pseudo Ippocrate, una lettera a cui seguono delle ricette in latino, dei versi su una pianta chiamata
scabiosa.

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L’origine di questo codice è del centro dell’Inghilterra, forse Oxford. Tra i testi più importanti abbiamo le
fablesfogli 40-67 verso(raccolta di favole collegate alla tradizione esotica, noti anche come Ysopet) e i lais
di Marie de Francefogli 118-160. Abbiamo poi poemi in latino di Walter Map ai fogli 68 verso-74 verso.
Poi vi sono satire goliardiche e canzoni di taverna, ai fogli 75-107, seguite da un’antica canzone in medio
inglese “Song of Lewes”fogli 107-114, celebrazione della vittoria del condottiero di Simon de Monfort
che aveva condotto la crociata contro gli Albigesi contro Enrico III nel 1264. Seguono i lais di Marie de
France. È un manoscritto pergamenaceo di 163 fogli, per avere il numero di pagine, moltiplicare per due.

Il testo è posto su due colonne, le iniziali miniate in inchiostro rosso e blu. Decorazioni a penna. I caratteri
normali e i numeri possono essere oltre che in nero o anche le iniziali in rosso, verde o blu. Le rubriche (da
Ruber-rosso) le troviamo in rosso. La grafia è quella gotica.

Per quanto riguarda la sua provenienza: forse fu commissionato presso i librai di Oxford, da colui che lascia
una nota al foglio 160; si tratta di una nota che non è chiara, dice "ord 2 w. de Wint". Alcuni ritengono che
si tratti di un certo William, compositore musicale e monaco benedettino; secondo altri è William di
Winchester, monaco dell'abbazia di Reading.

30/10/18

Giovanni Orlandi, Latino e volgari nell’Occidente Medievale


Saggio che tratta il rapporto tra latino e i vari volgari. Questo aspetto ha inevitabili ricadute non solo sul
modello ma anche sulla tradizione. La lingua grammaticale per eccellenza sarà considerata per molto tempo
il latino. I volgari trattati vanno anche al di là dei volgari romanzi.

Orlandi articola questo saggio all’interno de Lo spazio letterario del medioevo. Il medioevo volgare.
Il punto di partenza di Orlandi è sulla differenza tra diglossia e bilinguismo.
La diglossia indica che in uno stesso ambiente umano, ad uso di diverse persone, la compresenza di due
schemi linguistici ordinati gerarchicamente, uno adibito ai sistemi più alti di comunicazione, l’altro per la sfera
personale e intima. Questo concetto è molto importante per capire il sistema comunicativo del medioevo
occidentale per capire il mondo medievale o romanzo. Orlando afferma che si potrebbe obbiettare che un
sistema di diglossia possa persistere fino al IX secolo d.C. con l’epoca carolingia, ovvero quando l’idioma
volgare ottiene dei riconoscimenti formali. Con il Concilio di Tours, viene autorizzato l’uso del volgare
romanzo sia nell’educazione del basso clero al posto del latino sia per la predicazione i fedeli poi addirittura
nell’842 con i “giuramenti di Strasburgo” abbiamo una vera e propria consacrazione scritta poiché il 14
febbraio di questo anno, all’interno di una cronaca in latino si ha un giuramento in volgare, francese e
germanico, poiché il cronista Nitardo mette per iscritto il giuramento che Ludovico il Germanico e Carlo il
Calvo, nipoti di Carlo Magno, si giurano fedeltà contro il fratello Lotario. I due capi dei due eserciti
pronunciano il giuramento uno nella lingua dell’esercito dell’altro: Ludo il Germanico, lingua romanza. Carlo
il Calvo in lingua teutisca.

Orlandi quindi si interroga se questa situazione di diglossia duri propriamente fino all’età carolingia. E
quindi si chiede se da uno stato di diglossia si passerebbe ad uno stato di bilinguismo in cui i codici
linguistici assumerebbero uno stato di parità. Non è così perché è in realtà una mera potenzialità.
Uno stato permanente di lingua scritta letteraria sarà acquisito da i volgari romanzi solo molte generazioni
dopo e per fasi distinte né mai si tratterà di una parità effettiva perché solo in piena età moderna i volgari
assumeranno dignità di lingue grammaticali. Per tutto il medioevo status di lingua grammaticale sarà solo il
latino, infatti il termine gramatica sarà sinonimo di latino come literatus darà chi conosce il latino.

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Il regime di diglossia è caratteristico delle abitudini linguistiche occidentali per l’intero periodo trattato e
anche oltre.

Il latino ha una posizione molto particolare nel medioevo e all’inizio dell’età moderna perché la lingua che si
imparava a scuola non era il proprio idioma materno che in alcuni casi era simile ad esso in altri molto
diverso. Orlandi dice che sarebbe semplicistico dire che si scriveva in latino e si parlava in volgare perché in
realtà il latino era lingua viva, da parlare, soprattutto negli ambienti clericali e per i ceti colti che riuscivano
a comunicare in tutta Europa grazie al latino.

Bisogna considerare che in alcune zone si è sviluppato un uso scritto del volgare. Se in zona europea
continentale non vediamo uno sviluppo del volgare scritto fino al XI secolo, in realtà in alcune aree insulari
dell’Europa abbiamo la nascita di una letteratura volgare nazionale ben prima. È il caso dell’irlandese,
lingua non romanza di cui abbiamo testimonianza di essere lingua scritta fin dal VII secolo.
Progressivamente i volgari assumono statuto di lingua scritta e assumono caratteristiche diverse, l’area più
precoce è quella occitanica. Questi testi vengono chiamati romanzi.

Pian piano che si sviluppano le lingue romanze, la distanza di questi dalla lingua antica era destinata a
crescere fino al punto che alcune lingue diventeranno irriconoscibili dalla matrice comune, il latino.
Questo processo si esplicò pienamente sul piano formale dei modelli del discorso, sui generi letterari e sugli
ornamenti del discorso.

Un momento molto importante dell’affermazione dei volgari romanzi si indentifica nel corso del XII secolo e
nell’ambito gallico, cioè nell’area francese. Trainanti nel medioevo sono le letterature francesi. Secolo in cui
sul piano letterario hanno una grande espansione volgare e latino. Il latino avrà una produzione di
ineguagliata espansione di ogni genere sulla base di uno studio dell’antico che andava ben oltre
l’imitazione. Anche nelle letterature volgari, soprattutto in francese e provenzale, tocchiamo dei vertici che
varranno come modello diretto e indiretto per generazioni di autori in tutta Europa. Orlandi sottolinea
l’importanza del secolo XII da punto di vista della quantità della produzione.

I campi in cui le letterature romanze toccano questi vertici nella poesia lirica e nella poesia narrativa. I
pubblici di queste due letterature sono potenzialmente diversi: da una parte dotti clerici, dall’altro laici
illitterati ma questa differenza non giustifica una differenza di impegno o di tono. Infatti, se di fronte alla
storiografia o all’epica latina medievale, i romanzi francesi in lingua d’oil possono sembrarci destinati ad un
pubblico infantile, in realtà poi se confrontiamo la complessità stilistica vediamo che semmai l’etichetta di
una maggior semplicità dovremmo darla alla letteratura latina.
Pian piano i vari generi volgari acquisiscono sicurezza e tratti di eleganza formale che non mostrano tratti di
inferiorità nei confronti della letteratura latina: emerge anche nel prologo nei lais di Marie de France.
Ovvero una donna che crea un genere legato alla cultura orale e alla narrativa breve si senta perfettamente
vicina e modello della cultura medievale, nonostante avrebbe tutte le caratteristiche per sentirsene
esclusa.
Non si può parlare di bilinguismo perché non vi è osmosi tra le due lingue. I litterati che usavano il latino
fuggivano dai volgarismi per quanto possibile.

Lettura Bisclavret vv 191- fine

5/11/2018

Ci sono dei luoghi dove le due lingue interagiscono e vi è influsso del latino sul volgare, le tradizioni
risultano essere un ambito importante nella formazione dei volgari romanzi.

Teorie linguistiche medievali

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Le possiamo vedere anche nel De Vulgari di Dante, ci fa vedere come questa situazione di diglossia viene
proiettata all’indietro. Nelle teorie linguistiche medievali non troviamo una concezione storica: postulano
per il volgare un’origine proiettata nel tempo e almeno tanto lontana come il latino stesso.
Il latino viene detto come una lingua secondaria e artificiosa, inventata dagli uomini. Uno strumento di
comunicazione più stabile e comune attribuito ai grammatici, ai sapienti.

Varvaro. Il testo letterario.


Ci spiega in cosa consiste un testo letterario, ci dice che guarda testi letterari in lingua volgare.
Il testo letterario in lingua volgare nel medioevo pone i lettori davanti a dei fenomeni che non siamo
abituati ad osservare nella nostra concezione della letteratura contemporanea e che quindi devono trovare
quali fossero le caratteristiche che caratterizzavano allora il testo letterario.
Per esempio, per noi un testo letterario, dice Varvaro, è caratterizzato da un alto grado di coesione e
coerenza. Noi vediamo il testo come dotato di una stabilità. Identifichiamo il testo come un’opera, stesso
discorso che faceva Jauss.

Nel medioevo il testo letterario non è necessariamente caratterizzato di stabilità, coerenza o coesione.
Intanto è più l’eccezione che la regola che noi ci troviamo in possesso di manoscritti che ci tramandano un
solo testo letterario, una sola opera. Ovviamente, ci possono essere eccezioni.
Possiamo avere manoscritti che tramandano solo un testo perché questo è molto lungo.
Nella prima fase delle letterature romanze medievale, manoscritti che contengano un solo testo sono
rarissimi.
Caso della Chanson De Roland. Contenuta nel manoscritto DIGBY 23 della biblioteca di Oxford.
Poi ci sono altre Chanson De Geste:
. Chanson De Guillaume, manoscritto Additional 38 663 della Brit. L.
. Fivort de Roussillon Manoscritto Harley 4334 della Br
. Roul de Combrae Manoscritto FR 2453 Biblioteca nazionale di Francia.
. Beuve d’Hontone FR XII Marc di Venezia.
Questi sono i manoscritti con un solo testo: davvero pochi.
Le cose cambiano con i manoscritti di dedica che hanno sempre un solo testo.

Non c’è dubbio poi per il resto che la maggioranza dei testi letterari medievali in lingua volgare siano
tramandati da testi miscellanei, come quello di Marie de France.
Questi testi che noi vediamo nei manoscritti che a volte sono antologie, sono sempre differenti. È rarissimo
che ci siano due antologie che abbiano lo stesso contenuto, gli stessi testi.

Noi ci troviamo una esecuzione di testi su misura. C’è una spiccata individualità di ciascun manoscritto.
Gli stessi clienti procuravano i vari testi che poi i copisti dovevano copiare.
Il cliente non subisce passivamente il prodotto librario ma determina secondo i propri gusti il prodotto
manoscritto. Il codice, quindi, rispecchia il suo punto di vista.
Quindi non identifichiamo il libro con l’opera. Un testo su misura, spiccata individuale.

Un altro aspetto importante e di cui l’esempio più noto è il Roman de la Rose:


è l’appropriazione di testi altrui fatti propri da autori secondi.
È un vasto poema allegorico che tratta dell’amore cortese, primo autore Guillaume de Lorris, e poi un
grande poema di tipo enciclopedico che continuò il secondo autore ovvero Jean de Meun.
Jean de Meun ci avvisa lui stesso che decide di continuare l’opera di Guillaume de Lorris e di farla propria
continuandola dal verso in cui si è interrotta.
Questa appropriazione avviene nonostante non siano dello stesso tempo visto che scrivono a decenni di
distanza (1° - 1235/45 / 2° - 1275). Hanno stili e ideologie diverse. Ideologie prima di tipo cortese e poi una
aperta ad interessi universitari ed enciclopedici.
Gli autori non si fanno nessuno scrupolo in questa appropriazione di testi precedenti e senza particolari
preoccupazioni di coerenza.

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Anche in ambito storiografico, Jean Froissant continua quello che ha iniziato Jean le Bel. Qui vediamo che lo
storico, Jean Froissant non si impedisce di intervenire, modificare, aggiungere o togliere, rispetto all’opera
di Jean le Bel come se lavorasse con la propria opera.
Vediamo quindi che questa operazione sui testi va a toccare lo statuto del testo, ma anche quella che è la
concezione, statuto, dell’autore.
Ci sono autori che si considerano tali anche se a volte (non il caso di Jean de Meun) non va al di là di una
combinazione, un adattamento assai superficiale di materiali già esistenti.
Ci sono un’infinità di casi.

Il Varvaro ritiene:
1. che sia significativa la dimensione dei blocchi di riuso.
2. che bisogna guardare anche la profondità dell’operazione di riscrittura fatta dall’autore e che si può
intendere come distanza dal testo dal testo di partenza. Come un autore si appropria di un materiale altrui
e come lo riattualizza, come lo piega in direzione di un nuovo contenuto ideologico.

Quindi Varvaro nell’ambito del concetto di autore adopera un’etichetta che ci può sembrare paradossale
dai nostri occhi di contemporanei abituati dai Copyright.
Parla di Gradiente di autorialità, quindi tasso di autorialità. Questo tasso aumenta con il ridursi dei
materiali di riuso, ma aumenta con la crescita del tasso di riscrittura del testo.

Varvaro dice che i romanzi antichi in lingua volgare della letteratura d’oil in realtà, benché si rifacciano a
fonti note (antiche o rielaborazioni medievali della materia antica), hanno una tale autonomia di riscrittura,
hanno una attualizzazione delle fonti antiche che naturalmente il loro livello di autorialità è pari, analogo, a
quello di un altro romanzo della letteratura cortese medievale come il primo romanzo di Chretien de
Troyes, Erèc et Enide.

Per esempio, il Roman de Troie di Benoit de Saint Maure, se dal punto di vista sostanziale del contenuto,
l’autore si rifà alla materia troiana con delle innovazioni minime o pressoché nulle, tuttavia dal punto di
vista ideologico la materia viene completamente riscritta. Quindi tasso di autorialità sarà molto elevato.
Roman di Saint Maure, non ha solo blocchi inseriti nel suo testo, ma ordina le sue fonti e le utilizza con una
propria linea narrativa e naturalmente li interpreta secondo la propria ideologia cortese.

Il Varvaro usa rispetto a queste procedure di rielaborazione di riscrittura dei testi, frequenti nell’opera
letteraria medievale, anche un’altra etichetta: quella di testi a campitura fine e testi a campitura grossa.
A campitura fine sono quei testi dove vengono rielaborate diverse fonti, ma nel normale lavoro
intertestuale caratteristico di ogni autore. La differenza a campitura fine e testi e testi unitari d’autore è
quasi inavvertibile. Il medioevo non ha una particolare attenzione per il valore dell’originalità. È normale
per gli autori rifarsi a una quantità di fonti precedenti, a topoi, a precedenti che consentano loro di inserirsi
in una tradizione.
Molto diverso è il discorso per i testi a campitura grossa, come quello dell’esempio rappresentato dalla
prima continuazione del Perceval di Chretien De Troyes lasciato incompiuto, il testo che continua
rappresenta un caso eclatante di campitura grossa.

Come spiega Varvaro, sulla scorta di studi fatti nell’ambito della letteratura romanzesca, l’autore della
prima continuazione del Perceval, riprende l’opera non finita opera e la non finita scena finale di Chretien,
ma non si sente per nulla in obbligo, cosa che per noi è paradossale, a mantenere né il Perceval né il Graal
al centro della vicenda. Anzi non si sforza nemmeno di comprendere i dati di quello che dice il suo
predecessore nella sua opera, e addirittura introduce un intero romanzo, cioè la storia di un altro
personaggio della letteratura cortese medievale che si chiama Caradoc.

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In questa continuazione, secondo William Roach, sono presenti sei blocchi, sei sezioni quasi autonome che
non hanno nessuna relazione con la storia del Graal:

1. Guiromelant
2. Brun de bralandt
3. Caradoc
4. Chastel orguelleus
5. Visita di Galvano Al Graal
6. Guerrehes.
Il sesto e il secondo, riprendono la stessa vicenda fiabesca.

Attraverso qualche semplice esempio, possiamo avere sia un testo più o meno unitario, anche attraverso la
rielaborazione dei romanzi precedenti, oppure possiamo avere un caso, come questo ultimo della prima
continuazione del Perceval, di disordinata collezione di testi eterogenei.
Tra questi due estremi, tra campitura fine a quello di campitura grossa (che si presenta a volta come un
raffazzonato di vari materiali), in mezzo c’è una gamma di possibili sfumature testuali.

Influisce anche un altro elemento dice Varvaro, cioè quella che era la diffusione dei testi letterari allora
nettamente prevalente basata sull’oralità. Una diffusione fatta in presenza e non in solitudine.
Inoltre, sappiamo che nel medioevo vi è una limitata disponibilità di libri anche per l’alto costo di questi
manufatti.
I manoscritti sono preziosi, costosi e richiedono un lungo lavoro di preparazione di manodopera che deve
essere svolto da persone specializzate. Inoltre, abbiamo un limitatissimo numero di persone che sono in
grado di leggere questi codici e c’è l’abitudine a leggerli ad alta voce, questo accade fino agli ultimi secoli
del medioevo. Tutte queste circostanze fanno sì che sia importante conoscere un testo, secondo l’ascolto di
episodi.

Per capire quale fosse la concezione di un testo, dobbiamo vedere anche come veniva recepito attraverso
la lettura o dal pubblico.
Nelle dimensioni di diffusione, vediamo ad esempio come la campitura a grandi blocchi di testo
naturalmente si poteva percepire molto meno di quello che possiamo fare noi oggi ponendoci di fronte a
un elaborato nella sua individualità, totalità.
Quindi un testo a campitura grossa, quel tipo di fruizione vocalizzata e per sedute limitata di lettura, non si
avvertiva per niente o comunque molto meno. Come del resto sfuggivano i rimandi a distanza nel testo così
come poteva sfuggire l’esistenza di qualche contraddizione.
Un altro dato sicuramente già ricordato e per noi sorprendente è quella dell’assenza quasi totale,
all’interno delle tradizioni manoscritte delle opere letterarie in volgare del medioevo, di copie fedeli.
Cioè è rarissimo trovare copie fedeli o senza interventi di copia.

Lai dei due Amanti. Pag. 208 v 1- 30


Abbiamo a che fare con una sorta di triangolo. Due amanti e il padre della fanciulla.
Abbiamo detto anche che questo era uno dei pochi codici aveva un’integrazione che rispetto agli altri
codici. La lacuna più ampia, inizio lai, riguarda gli atteggiamenti incestuosi del padre rispetto alla figlia.
Il padre non voleva dare la figlia che era corteggiata da diversi pretendenti, perché desidera tenerla il più
possibile vicina a sé. Atteggiamenti incestuosi e ossessivi li possiamo anche trovare come richiamo alla
storia decameroniana di Guiscardo Tancredi e Ghismonda.
Questa parte iniziale potrebbe essere stata eliminata per motivi di censura moralistica.

Vediamo che come suo solito, Marie de France inizia, in questo caso sotto l’egida di questo avverbio che
vuol dire: Un tempo Collegamento con la materia leggendaria, con il passato. Con un’avventura che viene
resa autorevole con quel collegamento con gli antichi.

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In Marie de France le parole non sono a caso, sono tutte parole scelte.
Vediamo che MF non usa solo il verbo amare, ma usa questo verbo che in qualche modo rafforza,
intensifica, porta all’iperbole il concetto semplice dell’amato.
Si amarono a vicenda, come a creare subito l’intreccio. (CFR. Nocciolo e Caprifoglio, una vicenda di amore e
morte.) Due vicende di amore e morte.
Un riallacciarsi almeno in modo chiaro, programmatico, nelle intenzioni. Quello che ci vuole far intendere di
aver fatto alla natura orale della tradizione che la precede. Abbiamo visto che MF si rifà ad una materia
precedente, ma a racconti folklorici, ai vari miti che sono tramandati nella tradizione orale/folklore.
MF non solo ci dice il nome del Lai, ma per renderla maggiormente veritiera, la collega con i luoghi nei quali
la vicenda si era realizzata.

Qui è il passo che è mancante nell’Harley 978 che parte dal verso 23 e arriva al verso 30.
Descrive l’attaccamento particolare del re rispetto alla figlia. Molto interessante questo collegamento di
MF con il presente.
Mf vuole istituire dei collegamenti. Es. in Lanval c’è un riferimento con le vicende arturiane e lei si
rispecchia in questo personaggio straniero presso la corte.
Sicuramente Mf mette a frutto la conoscenza delle pratiche giuridiche nella sua contemporaneità. Alcuni
lais rimangono più nell’ambito meraviglioso, ma qui è molto esplicito il modo di collegarsi di Mf al presente.

Traduzione
“Per sempre (tutti i giorni) è poi durato il nome (MF ci dice che la città si chiama esattamente così, ancora
come l’aveva nominata il re). Ancora vi sono case e ancora vi è la città (altro collegamento con il presente).
Noi (dice MF) sappiamo bene rispetto alla contrada che è nominata la valle di Bistr (qui non è chiaro se MF
usi il plurale oppure se sia un tentativo di coinvolgere il proprio pubblico) Il re ebbe una figlia bella che era
una damigella assai cortese. Al di fuori di lei, non aveva figlio né figlia. Fortemente l’amava e la teneva cara.
Fu richiesta da uomini ricchi che assai volentieri l’avrebbero sposata, ma il re non la voleva dare in sposa.
(Non la voleva concedere) poiché non se ne poteva separare. Il re non aveva altra risorsa vicino a lei stava
notte e giorno (Vediamo un attaccamento un po’ eccessivo).”

6/11/2018

Per i copisti medievali il testo non è da rispettare, aggiornano i testi e li modificano.


Varvaro afferma che ci sfugge che cosa voglia dire intervenire su queste copie. In ecdotica una volta
ricostruito lo stemma dei codici, il filologo una volta definito il codice come “descriptus” ovvero copia di un
altro, non lo studia. I codici descripti sono da eliminare. Il codice descriptus ha tutti gli errori del suo
antigrafo e ne aggiunge degli altri. Talvolta abbiamo delle eccezioni riguardo questo proliferare di codici: è il
caso dei codici provenzali D e K che hanno differenze di notazioni. La grande maggioranza invece dei
manoscritti provenzali hanno un numero alto di varianti.
Per questo risulta utile la distinzione tra tradizioni quiescenti e tradizioni attive, queste ultime sono quelle
che vengono studiate.

Nel medioevo anche per la tradizione romanza, vi sono accorgimenti da parte di autori consapevoli per
preservare la qualità testuale dei propri elaborati: è il caso dei versi costruiti sulla serie dell’alfabeto o dei
versi acrostici che formano parole e frasi di significato compiuto.
Nella tradizione letteraria trobadorica esiste un altro procedimento per tutelare le canzoni: le coblas
capfinidas (verso finale che viene ripreso nel primo verso della cobla successiva) e le coblas capcaudata
(ripresa la stessa rima); un ulteriore sistema è l’invenzione di schemi metrici particolarmente complessi e
fissi come la sestina di Arnaut Daniel. Anche nel caso della terzina dantesca, la stessa struttura tende ad
essere correlata con l’integrità del testo. Dante e gli autori colti della poesia trobadorica, però, non sono
scrittori qualsiasi.
Nelle dichiarazioni degli autori medievali emerge un proprio orgoglio nei confronti dei testi e una volontà di
preservarli, sono di certo eccezioni legati ad un particolare ceto sociale. Pian piano si afferma una nuova

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concezione del testo che non prevede interventi estranei sul testo, per esempio Petrarca, ma appartiene ad
un testo sociale elevato e colto.

Nel 1300 contemporaneamente a Petrarca si registrano atteggiamenti differenti come l’autore Juan Ruiz
che nel suo testo Buen Amor sembra incitare i lettori a intervenire sul testo. Egli nel prologo della sua opera
ricorda autori greci e romani e ricorda come la sua opera sia aperta ad una pluralità di significato. Il topos è
quello della modestia e chiede l’intervento di chi vuole migliorarla e “emendarla”, sembra quasi che l’opera
sia collettiva che “vada di mano in mano”. Perfino un grande autore e in età tarda possa considerare il
proprio lavoro come “comune”.

Varvaro quindi aggiunge come sia difficile nel medioevo trovare copie originali e come il lettore sia
considerato quasi un collaboratore. Non c‘è quindi separazione tra interpretazione ermeneutica e
modificazione testuale. Si tratta di un procedimento di attualizzazione del testo.
Molto spesso l’autore sembra sparito dal processo di creazione del testo, anche se non è sempre così
perché nelle miniature dei libri sono presenti spesso gli autori in ginocchio che fanno dono delle proprie
opere al committente. In questo periodo il testo in sé non è ritenuto immodificabile; il testo medievale non
è affatto prets a lire, pronti per essere letti, ma fatti quasi su misura. I copisti hanno maggiore riverenza nei
confronti di testi ad alto contenuto semantico come la Bibbia o testi teologici. Anche nelle traduzioni di
testi sacri, come in anglonormanno, si registra un maggior letteralismo, l’attenzione a tradurre parola per
parola. Se il testo invece presenta una bassa densità semantica, l’elasticità dell’interpretazione sfocia nella
modifica testuale. La stessa produzione attraverso l’oralità indeboliva i vincoli di coerenza macro-testuale e
l’autore si poteva permettere più facilmente contraddizioni e imperfezioni.

Questo tipo di letture non rendono evidente la microvarianza, purché in queste variazioni non si toccassero
elementi come la metrica. Rientra quindi in questo contesto la differenza di statuto tra latino, dove era più
vivo il senso dell’auctor e letterature medievali romanze. Il testo volgare viene considerato un’altra cosa, se
non proprio res umilius, comunque un manufatto per il quale non era necessario riferirsi ad un originale,
che nessuno avrebbe potuto avere tra le mani. È la debolezza della figura dell’auctor che autorizza una
gestione del testo che oggi appare del tutto irrispettosa.

Capitoli di Filologia testuale. D’Agostino


Nel D’Agostino si parla di questo proliferare di varianti che fanno si che sia necessario un sistema per
avvicinarsi all’originale. Questo si propone di fare l’ecdotica. La ricostruzione dell’originale nella filologia
testuale deve essere accompagnata dal mostrare da parte dell’editore o del filologo, il processo attraverso
il quale si può arrivare all’originalecritica genetica (Ariosto, Leopardi, Manzoni). Per esempio, con
Petrarca e il “codice degli abbozzi” o Boccaccio di cui abbiamo testimonianze di più stesure d’autore.
Altro intento del filologo è mostrare i propri criteri interni cioè ogni operazione che egli mette in atto.
Un altro intento dell’edizione critica è quello di mostrate anche la tradizione del testo come “fortuna del
testo” ovvero anche la tradizione posteriore all’originale, cioè aspetti della ricezione testuale. Si parla di
“filologia della tradizione”.

I codici sono dispositivi di memoria che ci tramandano i testi e rendono possibile nel corso del tempo la
capacità comunicativa delle opere degli autori. Nel tempo la tradizione di un’opera riceve dei disturbi che
alterano il messaggio: errori e lezioni allotrie introdotte dai copisti. Le modifiche possono essere volontarie,
involontarie, riguardare la forma, riguardare l’interpretazione del testo ritendendo che vi sia un errore da
emendare. Preservare il messaggio significa restituire il testo alla sua forma originale. I filologi quindi si
prefiggono di individuare le modifiche.
Un concetto molto importante è la vicinanza tra critica testuale e critica letteraria che hanno un legame
molto stretto. È un legame circolare, un circolo virtuoso. Non è possibile interpretare un testo se non lo si
basa su un testo criticamente attendibile dal punto di vista testuale e non è possibile pervenire

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all’interpretazione critica senza conoscere tutti le sue modifiche. È necessario conoscere il testo nelle sue
problematiche linguistiche e letterarie.
Esempio del sonetto di Dante nella Vita Nova “tanto gentile tanto onesta pare”; Contini ricorda come non vi
è nessun termine di questo sonetto che corrisponda al significato attuale; con comprender il testo è
necessario comprendere la lingua di Dante.

La filologia testuale e la critica sono attività complementari, e non possono esistere l’una senza l’altra.
Ci si muove in una direzione sapendo che l’avvicinamento all’opera non potrà mai essere pienamente
realizzato: per quanti sforzi si facciano è impossibile leggere Dante o Marie de France come se fossimo
contemporanei dell’autore, tuttavia è importante per il filologo testuale comprendere dove si annidano i
problemi. Come afferma Francisco Rico, editore critico, la filologia ha un’importante funzione sociale, di
difendere, depurare e trasmettere la parte più preziosa della lingua di tutti.
La fissazione della Vulgata, ha un’importanza storica fondamentale: quando viene fissata una versione
dell’opera di un autore, verrà tramandata a volte anche per secoli.

Un’edizione critica è figlia del suo tempo e dipende dal contesto in cui si situa, dalla cultura del filologo e
dai paradigmi scientifici di una determinata epoca, come ci ricorda Contini. L’edizione critica si propone
come un lavoro onesto che esplicita le tecniche e i procedimenti che hanno permesso una tale
ricostruzione. C’è una distinzione fondamentale tra i concetti di “pubblicare un testo” e “editare” o
procurare l’edizione critica di un testo, cioè pubblicare n testo con un grado di consapevolezza filologica.
In inglese si distingue tra chi edita il testo e lo stampatore, infatti abbiamo l’editor e il publisher,
l’impresario commerciale.
Ci sono stadi intermedi nella critica, possiamo avere:

-delle riproduzioni di tipo meccanico, le riproduzioni fac-simile o microfilm o cd-rom, l’intervento sul testo è
nullo.
-riproduzioni di tipo paleografico dove gli studiosi non forniscono tratti interpretativi, no punti, no segni
moderni
-riproduzioni di tipo interpretativo: sciolte le abbreviazioni, messi punti, divise parole ecc.

Questi sono solamente strumenti di avvicinamento al testo, l’edizione interpretativa infatti riguarda solo un
testo e non il codice originale o editato, neppure se si tratta dell’autografo perché anche lo stesso autore
può inserire degli errori.
L’edizione critica presenta l’emendatio. Possiamo avere poi edizioni commentate o edizioni ammodernate,
dove l’intervento dell’editore è preponderante e vi è ammodernamento linguistico e/o morfologico. Per
esempio, l’edizione Contini dei Rerum Vulgarium Fragmenta rende la congiunzione “e” che era resa come
una nota tironiana (7), con un “et” alla latina.

La lingua di Marie de France


L’anglonormanno, come ci dice Ian Short (massimo esperto di anglonormanno), è francese. Non è una
versione scorretta della lingua d’oil ma semmai è uno dei membri dell’estesa famiglia dei dialetti medievali
francesi. In particolare, “anglonormanno” è dato a quella particolare varietà del francese medievale usato
in Inghilterra tra il tempo della conquista normanna nel 1066 e la fine del XV secolo. Venne usato anche più
a lungo nel campo legale. In seguito alla conquista normanna dell’Inghilterra, l’anglonormanno venne a
soddisfare due funzioni: lingua parlata da una élite e funzione di linguaggio scritto della letteratura, della
cultura e dei documenti. Diviene l’idioletto di una cultura dominante. A coloro che lo usavano conferiva un
certo status sociale.

È linguaggio della classe del potere, all’interno di una società trilingue, dove all’inizio si ha una
polarizzazione tra conquistatori che parlando francese(anglonormanno) e conquistati che parlano inglese.
Tra i due linguaggi c’è anche il latino che fino alla fine del medioevo è considerato la lingua dei letterati dei
colti e della cultura. L’inglese rimaneva la lingua della maggioranza della gente che aveva uno scarso

29
accesso alla cultura. Dal punto di vista dell’inglese scritto c’è una temporanea eclissi di questa lingua. Sarà
solo con l’opera di Chaucer che l’inglese scritto recupererà del tutto il suo status di lingua letteraria. Nel
frattempo, la lingua letteraria sarà l’anglonormanno. Come afferma Gervaso di Canterbury, Guglielmo il
Conquistatore portò in Inghilterra delle nuove abitudini di vita e una nuova lingua. Il francese rimase la
lingua materna almeno fino alla metà del XII secolo per poi avere diglossia e infine bilinguismo per cui il
francese sarà acquisito dopo l’inglese. L’acquisizione dell’anglonormanno entra in quel fenomeno chiamato
“rinascimento del XII secolo”. L’anglonormanno come mezzo di comunicazione prevarrà tra XII e XV secolo
come lingua di una classe dominante che sottolineerà la propria indipendenza culturale.

8/11/18
Elementi di linguistica
L'anglonormanno, cioè il francese della Gran Bretagna, è riconoscibile da elementi grafici e fonetici perché
usa convenzioni ortografiche che lo distinguono da altri dialetti medioevali. Tra questi i più evidenti, usati
da scribi copisti e autori, sono:
- presenza del suono vocalico "u" (vedi anche Marie de France e i suoi lais; rispetto al francese d'oil,
l'espressione "soulunc" corrisponde a "selon" avverbio, quindi u od o "u" in tutte le posizioni viene
sostituito da "u" nell'angolo normanno; così come viene preferito "lur" a "lor" o "tut" a "tot")
- tendenza precoce alla riduzione di dittonghi e trittonghi, cosa che lo oppone al francese;
per esempio, eliminazione di "eu" che diventa "o" chiusa, come "fleur" che diventa "flur" in anglonormanno
o "seigneur" che diventa "seignur").
Altri dittonghi sono "ai" che diventa "e" (faire in angl è fere in francese) oppure "ie" che diventa "e" ("ciel"
che è "cel" in francese, o "bien" che è "ben"), "ei" che è "e" (aveir o "avoir" in angl "aver" in franc, pere
poire cioè pera), "ue" che è "o" oppure "e" (pople pueple, bef buef), "ui" che è "u" (frut in franc fruit in
angl) "eau" che diventa "au" (heaume haume e poi hume?). Alcuni cambiamenti è stato ipotizzato fossero
provocati dal forte influsso dell'accento germanico
- l'anglonormanno durante lo sviluppo di un dittongo si può fermare prima di quanto faccia il francese:
per esempio l'anglonormanno si ferma ad "ei" senza arrivare ad "oi": esempio fede in angl è "fei" e non
"foi"
- l'anglonormanno usa i grafemi "k" ed "w": "kaunt" è "quando" in angl, a differenza del francese "quant"
o "unkes" al posto di "onques" o "gwardur" per "garder" che è "guardare"
- predilezione per le dentali: l'angl. "pedre" è il francese "pere" cioè "padre", "vetheir" sta per "veeir", o
"vedue" che sta per "veue" ecc
- riduzione precoce delle vocali in iato: il francese standard "seur" è "sur" in anglonormanno.
- eliminazione di prefissi (cater - acheter) o la loro aggiunta (espeluchier-plucher)
- oscillazione tra le forme c e ch: francese escaper - anglon eschaper
- oscillazioni tra le forme ki e ke, le e li, la e le
- tipica dell'anglonormanno è la grande varietà fonetica e grafica di varie forme, che a volte vengono
eliminate dall'editore o uniformate (e a volte lo dichiara nella fascia delle varianti): esempio "avaunt"
uniformato in "avant" ma non sempre.

Questi elementi linguistici on tutti sono utilizzati in modo uniforme dall'angolo normanno; questo è una
varietà dialettale con moltissime varietà (registrazione) e questi non sono esclusivi dell'anglonormanno.

lai dei due amanti pag209.


vicenda accaduta in Normandia: prima volta in cui una delle storie non è ambientata in Bretagna ma in
Francia.

"de deus enfanz" (v.3) è una congettura di Rychner cioè l'editore, perché nel manoscritto originale non
erano enfanz ma amans, quindi la loro giovane età è stata ipotizzata, probabilmente grazie ad un secondo
manoscritto. L'inserimento di questo tratto (verso 10 viene ripetuto il termine enfanz) evidenzia la loro
inesperienza e ingenuità che porterà entrambi alla morte. Questo tratto è indicazione di un'intera
tradizione: enfanz rimanda alla tradizione del racconto idillico, in particolare alle vicende di lotte dei giovani

30
per far accettare il proprio amore ad un ambiente a loro ostile. Per alcuni tuttavia è solo una scelta del
copista.
La giovinezza o l'infanzia nel medioevo è sia un'età che una condizione psicologica associata ad uno stato
d'animo tipico di inesperienza, di entusiasmo eccessivo, di avventatezza che può far precipitare una
persona nella follia (v 161-162-119 l'età della ragazza è associata alla mancanza di esperienza sufficiente
per le cose).
Esiste una valle dei due amanti vicino alla città sulla foce della Senna, sulla spiaggia dei due amanti, legata
ad una coppia di asceti eremiti di nome Ieurosius e Scolastica: questo racconto è stato ripreso ad
ispirazione da Marie per il suo lai, connotandola secondo tratti profani. La fondatezza della città e la scelta
del suo nome ad opera del re ispirarono Marie per la creazione del personaggio del padre della giovane.

12/11
Spesso l’editore introduce delle congetture, quando il manoscritto Harley riporta una lezione non corretta,
e decide a parità di due varianti di abbandonare una lezione del manoscritto H per una lezione presente in
un altro manoscritto che gli sembra migliore.

Il filologo testuale si prefigge un restauro il più vicino possibile all’originale dell’autore. Per arrivare ad un
lavoro, che non è mai definito ma che è di restauro progressivo, è molto importante che il filologo si
impadronisca di alcune discipline accessorie, deve possedere nozioni basilari della codicologia, dello studio
dei materiali scrittorie su cui è consegnato il testo medievale, e di paleografia.

L’editore deve riferire la tradizione del testo: ha a che fare con i testimoni dell’opera, deve essere esaustiva
-> riguardare tutte le cose dell’opera in questione. La traduzione del testo è il complesso delle opere che
riguardano quel testo.
La tradizione ha delle divisioni al suo interno. Può essere
 tradizione idiotestuale: l’insieme delle testimonianze che trasmettono quel testo. Si distingue in
-tradizione diretta.
-tradizione indiretta: antologie, centoni, zibaldoni, glosse, citazioni
 tradizione allotestuale: non ci trasmette il testo in questione, ma dei documenti che hanno a che
fare intrinsecamente con esso. Non rappresenta una testimonianza dell’opera in questione. Può
essere
-omoautoriale: dello stesso autore del testo
-pre-testuale: riguarda gli abbozzi
-eteroautoriale: le fonti, tradizione che viene prima del testo
-post-testuale: può essere sia omoautoriale che eteroautoriale, sono stesure successive, ulteriori
stesure rispetto all’opera, rifacimenti, parodie, compendi, riscritte, traduzioni

I manoscritti possono essere completi, incompleti o mutili. È molto importante un confronto con la
traduzione allotestuale omoautoriale per chiare quale fosse il testo iniziale dell’autore.
I vari volgari romanzi fanno parte della tradizione allotestuale, post-testuale o eteroautoriale.
Un manoscritto è autografo se è di mano dell’autore, idrografo se è scritto da un’altra persona sotto il
controllo dell’autore.
Il critico punta a riportare l’ultima volontà dell’autore. Se un’opera è pervenuta in due redazioni in filologo
può pubblicare quella che stabilisce essere l’ultima delle relazioni e porre l’altra in appendice, in calce o a
fianco del testo scelto, oppure può dare il privilegio alla prima delle due stesure e fare l’opposto con la
seconda.
Per il medioevo possiamo identificare più stesure d’autore, come il Decameron o il Canzoniere. È raro il
caso i cui ci imbattiamo a copie autografe o vicine al suo scrittoio ma non è un caso impossibile.
Le copie di copie sono aggravate di errori, spesso si avvicinano al processo di una vera e propria riscrittura.
La copia ha un’importanza, perché ha la sua specifica identità, la sua fisionomia, sono spesso degni di uno
studio in sé, dal punto di vista linguistico e culturale.

31
La filologia ha anche scopi storico-documentari. Alcuni manoscritti hanno un peso nella tradizione culturale
per secoli, perché ci trasmettono in modo autorevole la tradizione di più autori. Le copie di Boccaccio
influenzarono in modo pesante la tradizione. I grandi canzonieri della lirica italiana delle origini hanno un
peso importante nella trasmissione successiva per gli autori di un canone o di un certo testo. Quando
affrontiamo lo studio di un testimone per quanto autorevole stiamo avendo a che fare con quel testimone,
non con l’opera dell’autore.
Il copista medievale non rispetta spesso il testo ha davanti, lo modifica aggiungendo o sottraendo. La
concezione del copista medievale è diversa rispetto al nostro atteggiamento rispetto al testo. L’originale
non è facilmente attendibile o ricostruibile.

-Tradizione quiescente: tramanda passivamente il testo, viene rispettato l’antigrafo


-Tradizione attiva: il copista interviene consapevolmente sul testo, adattandolo a nuove esigenze

L’editore deve fare ordine nella tradizione, capire quali sono i rapporti tra i manoscritti.
Noi dobbiamo tenere conto di errori significativi o lezioni guida. Se una copia ha in comune errori significati
con un’altra, esse saranno legate. Se un manoscritto non ha in comuna errori significativi significa che esso
apparterrà ad un’altra redazione.
La traduzione può essere anche costituita da un unico codice.
Es: Cantar demiosid, pervenuto in un solo manoscritto; Rason de amor; Chanson de Roland. Nonostante la
fama indiscussa di M., in realtà la trazione dei suoi Lais è molto ristretta. Se la tradizione è a testimone
unico si possono avere casi diversi: si può avere a che fare con un autografo o con apografi, copie.

Soprattutto per gli autori antichi non è facile rendersi conto se si è in presenza o meno di un autografo.
Non è detto che una copia autografa sia priva di errori: l’autore può commettere dei lapsus.
L’autore compie alcuni errori di scrittura che andranno corretti.
Ci sono poi errori che non sono legati alla scrittura ma alle conoscenze dell’autore. Questo tipo di errore
non può essere corretto, possiamo limitarci a prendere atto che l’autore aveva una conoscenza distorta di
qualcosa. L’autore può spesso commettere incongruenze a livello più ampio, può manifestare
contraddizioni, ma non si possono correggere.
Importante è la possibilità di approfondire il modo di lavorare dell’autore. Arrivare a comprendere dove
vertono gli interessi che gli stanno più a cuore.

Varianti d’autore: possono essere


 Instaurative: quando aggiungono qualcosa rispetto a quello che c’era prima
 Sostitutive: quando muto qualche cosa, sostituisce una lezione precedente
 Destitutive: l’autore può eliminare qualcosa per sembrare meno erudito
 Traspositive: traspongono la collocazione di parti del testo
 Alternative: presenti in un determinato codice ma non è chiaro se l’autore preferisca l’una o l’altra,
presenti nell’interlinea o a margine

Lai dei due amanti pag. 290


Riferimento alla città di Salerno. Per superare la prova del re la fanciulla verrà inviata da una zia presso
Salerno affinché le dia un filtro. La città allora era universalmente identificata con la scienza medica, con
l’università di medicina, la più antica d’Europa. Non si può escludere che M. voglia fare della zia una
docente o una discente dell’università.
Desmesure del personaggio maschile che porterà alla sua sconfitta: il filtro dovrebbe aiutarlo ma non lo
userà perché inebriato dall’amore. L’inesperienza caratteriale nel medioevo era collegata all’età della
giovinezza e dell’infanzia. Secondo alcuni questo elemento non rimanda solo all’inesperienza o alla foga
giovanile, ma potrebbe essere interpretato con un’aderire alla logica del padre: all’inizio anche il padre
della ragazza fa mostra di questa dismisura -> adesione alla logica del padre, rivalità. Come si manifesta nei
desideri quasi incestuosi del padre e nei comportamenti del giovane c’è una logica quasi impossibile

32
dell’unione assoluta, della fusione impossibile; il ragazzo non vuole distogliere le proprie energie all’amore
nemmeno nel momento necessario per utilizzare il filtro che gli permetterebbe di proseguire il suo
cammino. Anche questa joie, gioia, citata nell’ultima perte del lai, è procurata al giovane dallo stringere tra
le braccia l’amata, che avrà la ricaduta tragica di procurare una rottura psicologica del giovane amante che
causa la dismisura dovuta ad una sorta di ebbrezza amorosa.
Una nota meno tragica è dovuta dalla decisione della fanciulla di spargere questa ampolla contente il filtro
sul monte che originerà delle buone erbe. Il fanciullo non ha saputo riprendere vigore dal filtro, ma in
qualche modo M. pur nel tragico e fallimentare idillio amoroso questo espediente da parte della donna
areca qualcosa di benefico che rimanda alla fertilità, e ci rimanda alla metafora iniziale che nel prologo M.
ha usato per i suoi lais, legati ad un bene che deve fiorire e diffondere i suoi fiori. Anche i lais hanno
funzione di effetto benefico sulla moltitudine.

13/11/18
Lai dei due amanti pag 209 da v47-fine

Traduzione:
“Quando la novella è saputa e si fu sparsa per la contrada, moltissimi, vi si provarono (riflessivo del
pronome personale) che tuttavia non vi ottennero nessuna cosa (assolutamente nulla). Vi furono tanti (con
il verbo avere, un modo di costruire l’espressione impersonale. Particella “i”) che tanto si sforzarono (di
nuovo pronome riflessivo) che la portarono in mezzo al monte. (Quindi - Riuscirono fino a metà
dell’impresa.) Non potevano andare avanti (procedere) e lì gli toccava (di nuovo con un soggetto
impersonale) che lasciassero stare (una forma dell’infinito). Per lungo tempo fu impedito che quella fosse
donata. (Quindi non fu possibile che la fanciulla fosse data in sposa, poiché nessuno la voleva richiedere)”

Una prova destinata al fallimento.


La prova è una prova impossibile.
Adesso avviene la presentazione del giovane.

“Nel paese vi era un giovane figlio di un conte nobile e bello, si è applicato (verbo qui è alla fine) di fare
bene (agire bene) per avere pregio (onore) sopra tutti gli altri. (Abbiamo un tratto dell’adozione del caso
obliquo anche per il complemento di specificazione – alla corte del re.) Frequentava la corte del re e molto
spesso vi soggiornava. (Si recava spesso presso il suo re) Amava la figlia del re* e molte volte discusse con
lei affinché ella gli concedesse il suo amore e lo amasse secondo appunto quello che è il rapporto amoroso”
*Qui volendo possiamo annotare che foneticamente c’è ama con due A. una forma graficamente e
foneticamente un po’ particolare. Questo è un emendamento del manoscritto Harley che in questo caso
aveva un verso che mancava di una sillaba. Il verso non era esatto e quindi gli editori si sono dedicati al dare
al verso di nuovo la sua misura. Il verbo amare è posto così come congettura approvata da Rishner e che un
altro editore aveva proposto ovvero Warkne. Altri filologi avevano emendato questo verso, mettendo
davanti semplicemente una congiunzione e. Quindi senza due a.
Perché Rishner preferisce questa versione? Perché il verso successivo inizia di nuovo con una congiunzione.
Questa ripetizione di verso in verso sembrava un po’ pesante.
Vediamo quindi lo scambio, come i due giovani sono oppressi dalla situazione perché nonostante l’amore
non possono unirsi in quanto il giovane dovrebbe superare la prova, una prova impossibile.

“Per il fatto che era prode e cortese e che molto lo apprezzava il re, gli concesse il suo amore (il soggetto è
la dama) e quello la ringrazia di quello. (Questi due versi 69 e 70 sono relativi all’amore concesso da una
parte e l’atteggiamento di ringraziamento**) si amarono a vicenda lealmente. (la fiducia reciproca è un
altro elemento importante / tra l’altro è utilizzato di nuovo da MF questo verbo s’antramerent  un verbo
composto che utilizzò anche all’inizio / c’è anche un’iperbole / importante topos è il celare, gli amanti che
devono in primo luogo tenere segreto il loro amore. Cappellano diceva che l’amore rivelato non dura
molto. L’amore suscita opposizione e quindi deve restare nascosto, suscita invidia, gelosia. Di solito nella
corte ci sono non solo il marito geloso, qui il padre, ma anche i maldicenti, quelli che vogliono mettere in

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cattiva luce gli amanti) e celarono secondo il loro potere (per quello che potevano) in modo che nessuno se
ne potesse accorgere. La sofferenza pesò loro molto, ma il fanciullo si mise a pensare che piuttosto voleva
soffrire questi mali piuttosto che affrettarsi (agire di fretta) e fallire. (Il giovane ritiene che devono
escogitare un piano per favorire la loro unione). Molto fu affitto (addolorato) per amarla. Poi avvenne così
che una volta il fanciullo (il giovane) venne dalla sua amica (andò presso la sua amica) Il fanciullo che è
tanto bello, saggio e prudente e gli mostrò il suo dolore (il lamento). E angosciosamente le richiese che ella
se ne andasse insieme con lui. (Il fanciullo chiede il distacco da questa schiavitù, dall’amore.) Non poteva
più soffrire quel dolore (così come la noia dell’italiano antico avrà poi il significato della noia in quanto tale,
ma soprattutto il dolore, ciò che provoca una pena).”

**Atteggiamento sottomesso e umile del cavaliere è un ricalco del topos cortese – l’amante deve in primo
luogo deve essere sottomesso nei confronti della donna e anche di tutti i componenti del mondo, società,
cortese. Uno dei dettami principali dell’amante perfetto cortese.
Vediamo cosa decidono di fare i due giovani.
Con il discorso indiretto viene riferito lo stato d’animo del giovane.
La posizione del giovane è resa col discorso indiretto, mentre la posizione della donna vedremo che è
presentata con il discorso diretto.
Vediamo che con la logica della tradizione dei personaggi femminili, c’è questo aspetto della donna volitivo
nel prendere la parola. Nonostante il consiglio di fuggire dell’amante, sarà lei a trovare la soluzione.
Per adesso siamo nel discorso indiretto, resa posizione del giovane (le sue considerazioni).

“Se a suo padre la domandasse (al padre) egli sapeva bene che tanto l’amava (il soggetto cambia, era il
padre) che affatto non gli e la vorrebbe donare. (non la concederebbe) se egli non la potesse portare tra le
sue braccia in cima ad un monte. (figura metaforica della prova impossibile e portare tra le braccia che
allude all’unione anche sessuale). La dama gli risponde: amico fa ella, io so bene che non mi portereste per
nulla (la donna è in grado di capire che il giovane per quanto bello, prode e saggio, non ce la può fare) non
siete affatto così forte. Se io me ne vado insieme con voi, mio padre avrebbe e dolore e ira. (questo ire è
quasi una dittologia sinonimica, noi sappiamo che non indica solo l’ira, ma ha proprio un abbattimento
profondo) Non vivrebbe affatto senza martirio (senza tormento / la fanciulla è consapevole del sentimento
che potrebbe provare il padre). Certo tanto lo amo e così l’ho caro che non lo vorrei affatto colpire (con il
dolore). Vi tocca prendere, adottare un altro consiglio, un’altra decisione poiché questa decisione (questo
consiglio) io non lo voglio considerare (non lo voglio intendere)”
Propone il proprio piano.
“In Salerno (sede dell’università di medicina più prestigiosa al tempo) io ho una parente ricca che ha una
grande rendita, vi è stata (ad lo abbiamo visto con questo mantenimento della dentale, è una riduzione del
latino, tipico dell’anglonormanno che in questo senso è conservativo.) più di trent’anni. L’arte della
medicina ha tanto esercitato che è assai esperta (saggia) di medicine. Tanto conosce erbe e radici che se voi
volete andare da lei e con voi portare le mie lettere (lettere indica proprio epistole di accompagnamento
che spieghino alla parente la situazione) e mostrarle il vostro caso (la vostra avventura) ella ne prenderà
consiglio e cura (dittologia sinonimica dei due sostantivi – potremmo renderlo: assumerà una decisione
appropriata).
Vi darà tali filtri e vi darà delle bevande che vi ridaranno vigore e vi infonderanno una forza poderosa (una
forza sufficiente a superare l’avventura difficile).”

Vediamo che di nuovo troviamo quella allusione nelle parole scelte da MF all’atteggiamento
particolare del padre. La prova difficile è stigmatizzata dall’immagine di portare tra le braccia, la donna
indica come il giovane amato davanti al padre sarà probabilmente considerato, nel momento il giovane
chiede di tentare l‘avventura, come un uomo, non dotato di forza e virilità, ma come un fanciullo. Come se
si volesse alludere che nella psicologia di questo padre incestuoso, non c’è uomo virile in grado di
garantirgli il possesso della donna amata.

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“Quando tornerete in questo paese, mi richiederete a mio padre. Egli nelle proprie aspettative vi riterrà
come un fanciullo e vi dirà quanto è necessario (quanto è stabilito) in modo che non mi concederà a nessun
uomo per quanta pena vi metterà se non mi potesse portare sul monte tra le sue braccia senza riposare.”
Una prova estremamente difficile da superare.
Vediamo che i versi 125 e 126, finisce il discorso diretto che riguarda la posizione presentata dalla fanciulla.
Questi versi mancano, sono lacunosi secondo Rychner, nel manoscritto Harley. Sono aggiunti attraverso il
manoscritto franciano S.
La donna aveva presentato quello che il giovane doveva fare di fronte a quello che gli avrebbe chiesto il
padre.

“così concedette volentieri al padre (la condizione della prova difficile) poiché non può essere altrimenti”
Torniamo alla condizione del discorso indiretto.
Posizione di scarso potere, di debolezza, di inadeguatezza, impotenza, è anche presentata in queste
sfumature – il giovane presentato con il discorso in terza persona del suo agire.

“Il fanciullo udì quello che aveva da dire la donna e la decisione, il suggerimento, della fanciulla. Molto che
fu lieto e così la ringrazia di ciò e domanda congedo alla sua amica.”
Vuole realizzare quello che gli è stato consigliato dalla fanciulla, recarsi dalla zia della donna.
Amie, amica è un modo per identificare il rapporto tra i due amanti.

“Se ne è andato per la sua contrada, velocemente si è preparato con ricchi drappi e con denaro, con
palafreni e con cavalli da somma (cavalli da parata, sia cavalli adeguati al trasporto). Dei suoi uomini più
vicini (più intimi) ha il fanciullo con sé portato (vediamo che abbiamo delle inversioni all’ordine sintattico
formale).” Il fanciullo ha portato con sé, dei suoi uomini, quelli più intimi.

“Va a stare, a passare il tempo a Salerno a parlare con la zia della sua amica (o della sua amata / Di nuovo
quella sua costruzione del complemento di specificazione con il caso obliquo) da parte sua le ha portato
una lettera quando l’ebbe letta da capo a capo (per intero) l’ha trattenuto insieme con lei finché a
conosciuto tutto il suo essere, la condizione. (La donna dopo avere letto la lettera da parte della dama, lo
trattiene con lei in modo da conoscere bene la situazione) lo ha rinforzato per mezzo di medicine e gli ha
dato una tale bevanda che non sarà mai tanto affaticato né così afflitto, né così abbattuto che non gli
rinfreschi (non gli rinnovi) tutto il suo corpo. E anche le vene e anche le ossa, che abbia tutto la potenza
subito come egli l’avrà bevuto. Ha messo la bevanda in una ampolla e poi lo rimanda nel suo paese.”
Esperta che a noi sembra vicina al personaggio quasi della maga.
“Il fanciullo, gioioso e lieto (dittologia sinonimica) quando fu ritornato indietro, non rimase affatto, non si
trattenne nella sua terra. (Il giovane non rimane nella sua contrata ma si reca alla corte del re dove si trova
la sua amata) dal re andò a chiedergli che la sua viglia gli donasse. Egli la prenderebbe e la porterebbe in
cima al monte, il re non gli e lo rifiutò, ma assai lo ritenne, lo considerò, come una grande follia, per il fatto
che egli era di giovane età (di nuovo insistenza, dell’appartenere il fanciullo all’infanzia e non alla maturità
virile. Questo aggettivo notiamo scritto con grafia particolare dell’anglonormanno al posto della forma più
normale francese scritto jeune. Così abbiamo visto più volte la forma del dimostrativo ceo per ce. Oppure
abbiamo visto il pronome personale soggetto di prima persone jeo al posto del normale francese, moderno
e antico, je).”

Vediamo il punto di vista del padre.


“Ritenne una grande follia (la richiesta del giovane) perché era di giovane età. Tanti uomini valorosi hanno
provato quella impresa che non poterono portare a capo”
Cambio soggetto “Gli ha comunicato e posto un termine (una data perché il fanciullo possa sperimentarsi in
questa prova). Di nuovo questa prova verrà sperimentata, convoca i suoi uomini e i suoi amici e quelli che
poteva avere (convocare) non vi lasciò nessuno (invita tutti). Per sua figlia, per il giovane che si mette
nell’avventura di portarla in cima al monte vi sono giunti cavalieri da tutte le parti.”
Vediamo cosa fa la fanciulla da parte sua.

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“La fanciulla si preparò, assai si sottopose a privazioni e molto digiunò e dimagrì per alleggerirsi poiché
voleva aiutare il suo amico. Nel giorno il giovane vi fu per primo, non dimenticò affatto in quell’occasione la
sua bevanda verso la senna (?), nella prateria, tra la gente tutta riunita, il re ha condotto sua figlia”.
Vediamo questa scena interessante perché assomiglia un po’ a una festa, ad una celebrazione di nozze.
Sottolineata la presenza di questa folla e si dice dell’accompagnamento, della possibile consegna ad un
uomo da parte del re.
Non avverrà un vero passaggio di consegna della responsabilità della fanciulla ad un altro.

Interventi di Rychner.
Gli interventi di Rychner possono riguardare diverse categorie di intervento del testo: possono essere
emendamenti sulla grafia e fonetica che riguardano l’anglonormanno. Sostanzialmente in una direzione
normalizzatrice, in che direzione vengono introdotte queste modifiche? O in un ristabilimento di una forma
più vicina al francese antico standard oppure anche tesa a pur all’interno del mantenimento di una forma
anglonormanna, si cerca di mettere un po’ un freno alla presenza di forme alternativa. Anche qui si tende
ad uniformare le soluzioni grafiche e fonetiche. Quando nella lingua della scrittrice sono possibili delle
realizzazioni, Rychner ne sposa solo una.
Ancora, gli interventi, non riguardano solo tratti fonetici o di grafia, ma riguardano anche aspetti della
grammatica, della morfologia, per esempio della morfologia nominale dove per esempio tra caso del
soggetto e del complemento oggetto, R introduce quel marcatore del caso del soggetto che sappiamo
essere molto spesso la S finale, sia per maschile che per femminile.
Ancora, l’abbiamo già accennato, vi sono emendamenti alla lingua del codice che derivano da
considerazioni di tipo metrico.
Vi sono piccole modifiche, aggiunte o soppressione di una sillaba, secondo i bisogni del metro.
Quindi se il verso manca di sillabe, vengono suggerite delle congetture che integrino. Viceversa, quando ne
hanno in più.
Caso più interessante –>correzioni interventi emendamenti che riguardino aspetti di tipo lessicale o
semantico.
Anche qui diversi casi: un intervento dell’editore è necessario quando H è manifestamente erroneo,
quando abbiamo un lapsus, quando per esempio abbiamo una rima (come nel lai dei due amanti vv 47-48)
ripetuta che è erronea.
Si sceglie in base all’appoggio di un altro codice.
Ma ci sono anche altri casi in cui l’editore interviene dove non ci siano delle mancanze evidente, dei danni
evidenti del manoscritto H. Due edizioni egualmente accettabili, l’editore accetterà la variante di un altro
codice. Fino naturalmente all’integrazione di zone testuali, di interventi un po’ più ampi come quelli che
abbiamo visto nel Lai dei due amanti.
Ne ricordiamo uno per avere un’idea dell’interesse di questi emendamenti. Un emendamento questo
piuttosto interessante che riguarda il lai letto per primo, il famoso lai del caprifoglio.
Le due lezioni alternative sono:
Cf. 78.
H --- No vus sonz mu ne jeo sonz vos (?)
Ne vus sanz mei ne vus sanz mei
Interessante perché non viene rispettata nemmeno nel nucleo a livello simbolico del lai del caprifoglio, al
verso 78.

Il manoscritto H ci dava una versione diversa da quella messa a testo nell’edizione.


Noi abbiamo letto nel testo: ne voi senza di me né io senza di voi.
Gli amanti una volta separati, muoiono.
Questa soluzione è più adeguata dal punto di vista grammaticale. Caso del soggetto, però vediamo che
quella che era la soluzione del manoscritto H, rinuncia ad una figura chiasmica. Una figura che ha una forte
portata simbolica.

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15/11/18

Fenomenologia e Trasmissione dei testi medievali.

L’occhio non ha la percezione globale di quello che noi leggiamo. Di solito si legge l’inizio e la fine della
parola, si saltano delle sillabe. Nella lettura veloce lo sguardo si fissa al centro della pagina.
Questi modi di procedere portano a degli errori che possono essere suddivisi nelle varie fasi della
fenomenologia della copia; come vengono introdotti gli errori nella trasmissione è importante per
procedere alla ricostruzione dell’originale.

Noi vedremo il Metodo di Lachmanm. Un metodo, forse il più oggettivo e scientifico, integrato poi con altri
studi non stemmatici.
È un metodo statistico, parte dalla ricostruzione di uno stemma in cui si individuano vari rami della
tradizione genealogicamente indipendenti tra di loro. È importante capire quando devo scegliere un errore
piuttosto che altri; tutte le volte bisogna quindi fare una sorta di discriminazione in base al proprio giudizio.
Quando scelgo tra una variante o meno, devo capire cosa è successo nel testo.

Una buona selectio tra una o più varianti presuppone la genesi dell’errore.
Tutto ha evidentemente una spiegazione strutturale. Anche l’errore del singolo copista si inserisce
all’interno di un atteggiamento, di una fenomenologia (modalità di copiatura da antigrafo alla copia) e
accumuna tutti coloro che copiano da un testo dato.

È molto importante famigliare con i processi di copiatura perché non vi può essere neanche una buona
congettura se noi non entriamo a fondo per prima cosa in quello che è successo, come si svolge la
copiatura, poi l’azione del copiare in generale ed è chiaro che poi esiste una fenomenologia singola di quel
copista, di quella copia.
Un buon filologo davanti ad una serie di copie, dovrebbe identificare la fenomenologia e la psicologia del
singolo copista (copista fedele, filologo, ignorante, che contamina, ecc.)
Tutto ha una spiegazione strutturale nei testi.

Una copia non è solo il frutto del lavoro del copista A che copia O. Una copia è copia di una copia.
Questo vuol dire avere attenzione al fatto che una determinata copia ha a monte a sua volta degli altri
sistemi che appartengono alle specifiche copie che sono precedenti a questo apografo.
Il manoscritto medievale è piuttosto complesso, spesso miscellaneo, solo raramente ci trasmette un’unica
opera, e quindi non solo una determinata copia che ci giunge è già un sistema complesso in cui abbiamo le
diverse copie sommate, ma all’interno della singola copia, possiamo anche avere depositata l’operazione di
copiatura di più copisti.
Si distinguono all’interno di una copia più mani, quindi opera di diversi copisti. È compito del filologo
descrivere quante mani diverse abbiamo maneggiato il testo.
Per diverse ragioni, inoltre nella copiatura di un singolo copista può dare l’impressione di trovarci di fronte
a più mani (cambiare d’umore, essere stanco, cambiare tipo di scrittura)
Es. Scrittura più ufficiale e più autorevole: gotica libraria. -- Grafia anche del Decamerone.
Oppure possiamo avere grafie più disimpegnate, meno ufficiali, come quella corsiva. Es. in una lettera
privata.

Non solo degli autori o degli scribi professionisti, possono avere la competenza di usare grafie differenti, ma
addirittura poter avere la competenza di copiare anche la grafia dei loro modelli.
A seconda dell’antigrafo che aveva davanti, un copista poteva cambiare la grafia a riproduzione, quasi a
fotocopia, del modello che gli si ponevano davanti.
Interessante vedere nella tradizione che le copie successive, quelle fatte dagli amanuensi, recepiscono
elementi di grafia dell’autore, ma anche della messa in pagina.

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Riportate alcune decorazioni che accompagnano le iniziali.
Quindi i copisti recepiscono il testo, ma persino l’aspetto grafico. Questo tende a confondere le acque
anche se è comunque interessantissimo.
Alcuni aspetti voluti dall’autore persistono nelle copie.
Anche gli apografi avevano a che fare evidentemente con degli antigrafi che poi rimandano ad un originale.

Nella tradizione medievale possiamo avere degli scribi per tradizione, potevano anche essere dei librai (libri
su commissione) in ambiente universitari, autori che copiano per sé stessi, monache/monaci. Si riscontra
poi una particolare categoria: i copisti per passione, professionisti che copiano più copie per possederla e
leggerla.
Solitamente nelle copie medievali abbiamo un particolare, che si chiama il colofone, ovvero una prova di
penna consegnata alla fine del codice. Un trapezio con vertice più stretto verso il basso, dove viene lasciata
la testimonianza di chi ha copiato: a volte il nome, data, provenienza e a volte viene chiesta anche una
ricompensa. Copiare un manoscritto, specie nel periodo medievale era un’operazione molto faticosa.
In questa testimonianza finale, i copisti se sono monaci, chiedono i cieli eterni, la salvezza, oppure se sono
dei copisti meno legati diciamo a questa sfera dello spirituale, chiederanno invece come ricompensa una
bella fanciulla o un po’ di vino.

Il copista è artefice di testi che arrivano fino a noi.


Distinzione tra il verbo scrivere e il verbo fare – lo scriptor è colui chi trascrive. Chi inventa l’opera è
l’auctor.
Nelle varie realizzazioni romanze di questo verbo, con scrivere un libro si intende l’azione della copiatura,
per indicar ciò che fa l’autore, si ricorre al termine fare, fare l’opera, intraprendere l’opera.
Le parole che ci sono consegnate nelle copie medievali quindi passano attraverso il filtro che è la testa del
copista e poi attraverso la sua realizzazione pratica, quella trascrizione della penna che traccia la
testimonianza sul codice. Naturalmente sappiamo che il copista medievale è interventista.
Quindi non si rassegna mai a trascrivere qualcosa che hai suoi occhi sembra non dare senso. Non si
tratterrà dall’introdurre varianti.
Oltretutto, se una copia è un sistema complesso frutto dell’iterazione di diversi copisti, vuol dire che un
copista non copia direttamente dall’originale, ma a sua volta il suo antigrafo è a sua volta un apografo, è già
una copia.
È ovvio che nel momento in cui il copista sta copiando, sa che altri uomini esposti all’errore come lui, hanno
copiato a loro volta il testo che lui sta scrivendo. Sapendo che il testo non è perfetto, ma copiato da un altro
che poteva cadere in errore, il copista è pronto ad intervenire, restaurare, a restituire un testo che a lui può
sembrare migliore rispetto al testo che ha davanti. Quindi il copista si fa più volte co-autore.

L’interventismo molto spinto dei copisti mette in difficoltà il filologo moderno perché a volte può scambiare
una congettura o un intervento di un copista, per la lezione dell’originale.
Naturalmente questo atteggiamento molto interventista dei copisti non è che sia stato individuato solo
recentemente ma questo atteggiamento viene sottolineato anche un filologo del 1800, Gaston Paris.

L’adozione del metodo Lachman avviene nell’ambito della filologia sacra e nella filologia latina;
successivamente traslata nell’ambito romanzo.
Il filologo date le abitudini dei copisti, ha l’obbligo di conoscere il contesto filosofico, linguistico, culturale
del copista e dell’autore oltre all’usus scribendi dello stesso. Solo così possiamo individuare le lezioni non
autentiche.
Grazie al successo delle varie opere, ci dice ancora Gaston Paris, noi le possediamo nella forma ben
differente da quella primitiva. Tanto più è vivo il successo letterario, tanto più un’opera è stata copiata,
esposta a questi disturbi nella tradizione testuale.

Nelle opere volgari romanze, noi abbiamo dei testi modernizzati, modificati e sensibilmente inferiori.

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Alcuni di questi casi sono naturalmente assolutamente macroscopici. Già nella tradizione siciliana, abbiamo
quasi la totalità degli autori siciliani in versioni toscane. Questo è un fatto macroscopico.
Abbiamo una molto esigua testimonianza, di alcuni testi in cui ci è giunta testimonianza di cosa fosse il
siciliano illustre dell’epoca.
Quindi è chiaro che detto questo è importante scendere nell’individualità della situazione. Ogni caso fa a
sé.

Quello che auspica il filologo testuale è di trovarsi di fronte a una copia non vergata da un copista troppo
ignorante o troppo interventista. In entrambi i casi sono delle sventure.
Trovarsi davanti a copisti filologi, è più raro.
Persino quando abbiamo un autore che compie una prima stesura, può esserci una variazione su quello che
c’è nella sua testa, e quello che c’è nel foglio.
Es. cambiare un verbo da attivo a passivo, da positivo a negativa. Magari cambio la similitudine, ma
dimentico di togliere la negazione che avevo deciso di eliminare.

Nel sistema delle copie, abbiamo oltre a questo scontato interventismo da parte di tutti i copisti medievali,
la funzione del correttore. Un correttore può essere lo stesso copista, oppure un personaggio che deve
esaminare una copia.
Naturalmente queste operazioni le vediamo nel testo: segni, puntini su una lettera o parola, ecc. Le
variazioni sono a margine o interlinea.
Il filologo deve possedere uno sguardo paleografico: guardare la grafia per vedere se è l’autore, un
correttore o da altri copisti.
Queste correzioni si possono ricavare dallo stesso antigrafo su cui stiamo lavorando, oppure ricorre anche
ad un altro livello per sanare un luogo, può così introdurre errori di un altro ramo della tradizione.
Correzioni:
-ex libroricorso altro testimone, con lo stesso libro,
- ex ingegno  introducono emendamenti, congetture.
Per noi non è un fatto ideale di avere un copista che si faccia correttore e quindi filologo, perché così
vengono eliminate per noi delle importanti testimonianze. Quando un copista corregge può commettere
quello che è detto errore a cascata, quindi introduce un nuovo errore da quello già esistente prima, oppure
può introdurre una lezione buona: restituire una lezione vicina a quella dell’originale.

La copiatura
Avviene attraverso la copiatura successiva di porzioni di testo: pericopi.
Pericopi: porzione di testo che noi siam in grado di memorizzare e poi trascrivere.
Il copista legge una porzione di testo, la inizia a ricopiare ma è facile dimenticarsi di alcune porzioni di testo,
segmenti.
La lettura non procede in modo analitico lettera per lettera, ma con dei salti dell’occhio.
Sono stati fatti studi sulla registrazione del nostro sguardo che segue il foglio, viene registrata una sintetica:
salti dell’occhio e quindi di una fissazione su alcune parti della pericope.
Noi leggiamo la parte iniziale e finale di una parola e quello che sta in mezzo viene quasi indovinato e quindi
questo può dare origine a fraintendimenti.
Quindi il copista legge una pericope del suo antigrafo, copia da cui parte e se ne forma una immagine visiva.
E quindi è chiaro che ci sono degli errori iniziali, fraintendimenti nella lettura.
Chi copia quindi detta a sé stesso quello che ha appena letto, a voce, bisbigliando. In una sorta di dettatura
a sé e facendo vibrare le corde vocali, quindi si forma, dopo l’immagine visiva, una conseguente immagine
auditiva. Anche questo momento naturalmente fa sì che il copista pur dettando a sé stesso ricorrerà alla
propria enciclopedia di suoni, abitudini fonetiche.

Un copista veneto che detta a sé stesso un testo fiorentino, anche senza desiderarlo, avrà una sorta di non
corrispondenza nel messaggio. Una interferenza.
Una volta realizzata questa immagine auditiva, il copista il più delle volte, avrà meno origini di errore.

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Un copista che non comprende il latino e il greco è meno indotto a fare errori rispetto ad uno che lo sa.
Nel momento in cui mi detto il testo, io realizzo una immagine concettuale, realizzo il significato se sono in
grado di comprendere. Quindi dopo immagine concettuale, manda a mente il testo che si è appena dettato
e solo a questo punto che una volta che la pericope entrata nell’immagine mnemonica del copista, si ha la
scrittura della pericope.
Una volta memorizzato il testo passa a trascrivere la pericope. Anche in questo passaggio da porzione ad
un'altra, ci possono essere delle lacune, oppure ripetizioni dello stesso. Quindi errori.
Es. copio una pericope che finisce in mente.
Tre versi dopo abbiamo di nuovo mente, il copista crede di essere arrivato lì e allora salta questi tre versi.
 Lacuna per omoteleuto.

È proprio grazie, a volte, ad errori di lettura, che si sono create parole nuove.
Es. parola araba Zenit che trae origine nella cattiva interpretazione dei segni che si proponevano all’occhio.
Da arabo: Samt.
Per una cattiva lettura delle tre gambe della M.
La parola viene interpretata con ni.

Passiamo quindi al castigliano: cenit.


Da qui abbiamo Zenit.
Es. Verbo collimare in italiano.
Questo termine non ha nessuna spiegazione a livello etimologico.

Il verbo corretto era Colliniare, che era una formazione da Cum + linea
“Essere in linea con una determinata cosa.”
Cattiva lettura dal punto visivo con Ni, lettura come M.

Abitudine acustiche tende a tradurre.


Un autore bolognese può rendere più vicino alla propria cultura un testo es. fiorentino.
Parte concettuale  Il copista può aggiungere, invertire parti del testo, migliorare il testo.
Può essere volontario o meno.
Mandare a testo, anche qui una serie di errori: può sostituire un termine con un altro omofono.
In francese confondere madre e mare.
Immagine mnemonica ricordare male, sostituire con termini vicini, ecc.
Molto importante è il momento in cui, finito di mandare a mente una porzione di testo, la devo dettare e
quando ritorno con l’occhio sulla porzione di testo su cui devo ricominciare a copiare, anche qui abbiamo
degli errori come abbiamo visto è l’omoteleuto.
Es. un altro errore che induce in errore sono le parole che iniziano nello stesso modo.
Un altro aspetto interessante è l’errore di perseveranza, quando io per esempio ho appena copiato un
determinato elemento lessicale, che può essere un verbo, avverbio, aggettivo, lo tengo nella mente e lo
ripeto anche se non si trova più successivamente.
Ugualmente posso compiere un errore di anticipazione. Copista corre con l’occhio e anticipa un elemento
lessicale che sarebbe più sotto.

Ci sono errori che sono frequenti in quasi tutte le tradizioni, come l’eliminazione e aggiunta di negazioni,
oppure la rinuncia al verbo essere, ecc.

19/11/18
Interventi di Rychner.
Solitamente dal punto di vista fonetico Rychner ha un atteggiamento conservativo ma non privo di
attenzioni di tipo normativo perché interviene più volte per dare una normalità, per esempio per quanto
riguarda la rima.

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Abbiamo visto come non essendo un manoscritto autografo ma opera di un copista lontano un centinaio di
anni dall’opera originale, il manoscritto H abbia degli errori che riguardano per esempio la metrica. Qualche
volta Rychner interviene anche quando la lezione del manoscritto H non è del tutto erronea, quando
entrambe potrebbero essere valide, i gusti di Rychner gli fanno preferire alle volte altri manoscritti.

Nel lai del caprifoglio nella chiosa che dovrebbe simboleggiare il bastone di nocciolo, in H la chiosa aveva
un incrocio dal punto di vista stilistico che rimandava al chiasmo quindi non privo di effetti. Il manoscritto H
è in anglonormanno, mentre S è in franciano. Rychner Non rappresenta più il chiasmo e lo adatta dal punto
di vista linguistico perché adotta la lezione del manoscritto S e la traduce in anglonormanno per allinearla
alla lingua originale dell’opera.

Cf. 78 Ne vus sanz mei, ne mei sanz vus (H)


Ne vos sans moi, ne ge sanz vos (S)
Ne vus sanz mei, jeo sanz vus. (Ed. Richner)

In H i pronomi formano la figura completa di chiasmo, cosa che non avviene in S perché viene scelto il
pronome soggetto ge.
Nell’edizione Richner è preferito jeo a ge. La versione dell’edizione critica è in realtà una lezione modificata
anche rispetto alla forma linguistica del codice che dà la lezione preferibile secondo Rychner e ne deriva
una sorta di commistione, di adattamento.

Correzione minuta apportata nel lai dei due amanti. Nella fascia di apparato che riguarda le istruzioni
sull’edizione critica del lai ci sono tutte le lezioni, una presentazione dei dati essenziali dei codici, una
introduzione sulla lingua e una analisi sulla lingua. Senza l’apparato ignoreremmo quali lezioni sono state
corrette o integrate.

Dal verso 150.


Si tost cum en avra beu. (H)
Si tost cum il l’avra beu. (R)

Passo che parla degli effetti del filtro sul giovane. R preferisce una versione più banale e meno vaga, non
appena l’avrà bevuto. È una particella del pronome oggetto. Era così necessaria la lezione di R rispetto ad
H- rimanda al giudizio critico e al gusto dell’editore.

Parte finale, lai di Lanval.


Dal verso 580.
Ele veneit meins que le pas. (H)
Ele veneit meins le petit pas. (S)
Ele veneit plus que le pas (R – P+C-)
Rychner rifiuta la lezione del manoscritto H, ella giungeva meno che al passo quindi presumiamo che la fata
giunge assai lentamente, come nel caso del manoscritto S. Rychner privilegia il manoscritto R appoggiato
da P e C che vuol dire che procede assai rapidamente, più che al passo. Questa è l’immagine che predilige
Rychner. Può essere che sia stato influenzata da un altro passo del lai dove si dice che procedevano a passo
spedito.

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