Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Ricapitolazione: l’antigene per attivare la risposta non è detto che sia solo una molecola
estranea, ma deve essere complesso e deve avere un peso molecolare elevato.
Normalmente si parla di antigene di natura proteica poiché viene processato dalle APC le
quali contengono enzimi proteolitici, quindi si arriva alla digestione di questo antigene e
presentazione del peptide ed è quest’ultimo che viene riconosciuto dal recettore TCR del
linfocita T oppure dal BCR del linfocita B; l’antigene inoltre deve essere introdotto per via
parenterale; deve essere presente ad una determinata concentrazione, se troppo bassa o
alta si va incontro ad una paralisi immunologica. Per quanto riguarda la struttura
dell’anticorpo-> due catene pesanti e due leggere mantenute da ponti disolfuro; c’è una
porzione variabile ed una costante e per questo se ne distinguono 5 classi, le IgA, IgG,
IgD, IgM e IgE; in particolare, tra queste le IgM sono le prime ad essere prodotte però
facilmente e velocemente scompaiono lasciando il posto alle IgG, le quali sono le uniche
ad attraversare la barriera placentale. Nel tempo la concentrazione di anticorpi varia:
all’inizio si ha una fase di latenza-> periodo (7-20 giorni) di proliferazione delle cellule
dell’immunità adattativa; dopo si ha la sintesi degli anticorpi (velocità di sintesi > velocità di
degradazione), quindi aumentano le plasmacellule; si arriva ad in punto in cui c’è un
perfetto equilibrio tra le due velocità; dopodiché, essendo proteine, la loro concentrazione
va a diminuire, e tutto questo succede nella risposta primaria; mentre in quella secondaria
i linfociti B si differenziano in plasmacellule e cellule della memoria, le quali sono capaci di
riconoscere quell’antigene (velocità con cui si producono è molto più elevata).
tempo
Ag
una curva che man mano cresce con una certa velocità, si raggiunge una fase di plateau e
poi diminuiscono. Se mi trovo una determinata concentrazione di anticorpi (valore A)
misurata in un tempo t, l’organismo ha prodotti anticorpi specifici ma non ho idea in che
punto della curva mi trovo, l’unica cosa che mi torna utile è ripetere nuovamente la
determinazione della concentrazione di anticorpi; quindi se ho un’altra concentrazione
(valore B) al tempo t2, che è più alta di A, allora mi trovo a sinistra della curva, nel senso
che le plasmacellule stanno liberando nel liquido glia anticorpi; passa il tempo, ripeto la
titolazione e se la concentrazione diminuisce allora mi trovo nella parte destra della curva:
È necessario ripetere la titolazione della curva di disponibilità degli anticorpi per capire se
mi trovo a destra o a sinistra di essa: se mi trovo a destra la concentrazione di anticorpi
diminuisce -> fase guarigione; se mi trovo a sinistra la concentrazione di anticorpi
aumenta nel tempo.
TITOLO ANTICORPALE: in tal caso si effettuano delle diluizioni del siero per meglio capire
la quantità di anticorpi che lega l’antigene, dopodiché aggiungo, alle varie provette, la
stessa quantità di antigene. Dunque il titolo è il reciproco della diluizione più alta che
consente ancora di evidenziare la reazione, ossia la formazione dell’immunocomplesso.
Ad un certo punto delle mie diluizioni, avrò tanto diluito il siero che non ci saranno più
anticorpi per cui quando si aggiunge l’antigene l’immunocomplesso non si forma e quindi
non riesco ad evidenziare; se sono batteri lo si vede subito ad occhio nudo altrimenti vi
sono altre tecniche.
REAZIONE AGGLUTINAZIONE: caso in cui l’antigene è un batterio (antigene
corpuscolato quindi visibile ad occhio nudo), che insieme agli anticorpi formano un
immunocomplesso piuttosto pesante per cui si ha la precipitazione. Supponiamo di avere
un siero di un individuo, di cui voglio determinarne il titolo: faccio le diluizioni
(generalmente sono di 1:10 e possono essere fatte in serie poiché tutte uguali); lo scopo è
di evidenziare e quantizzare l’anticorpo per cui nelle provette va aggiunta una stessa
quantità di antigene (es.1 mL); osservo che si forma l’immunocomplesso quindi avviene
una reazione di agglutinazione; laddove la concentrazione di anticorpi è la massima, si
forma l’immunocomplesso ed è molto facile da evidenziare; man mano che si diluisce il
siero, si osserva una quantità di immunocomplesso più bassa e ad un certo punto arriverò
ad una diluizione dove non osservo più l’immunocomplesso, per cui la diluizione
precedente è il reciproco della più alta diluizione in corrispondenza della quale è ancora
evidente, in questo caso, agglutinazione. Es. il titolo è 1:1000, significa che posso diluire
1000 volte il siero, ma in quella diluizione saranno presenti anticorpi che possono ancora
evidenziare la formazione dell’immunocomplesso.
GRUPPI SANGUIGNI: sistema AB0, scoperto da Carl Landsteiner. Sfruttando
l’agglutinazione si è riuscito a capire i vari gruppi, A, B, AB e 0; la differenza sostanziale
sta nei globuli rossi, o meglio perché sono diversi gli antigeni di membrana, le quali sono
delle oligoproteine (componente saccaridica e una proteica). Su ogni globulo rosso esiste
una particolare proteina (in realtà è un frammento oligosaccaridico), chiamata proteina H,
uguale per tutti gli individui, ma ciò che differenzia è la presenza di un enzima, capace di
legare alla proteina H un frammento proteico. Questi antigeni di membrana sono anche
chiamati agglutinogeni ed in base ad essi si creano sottotipi diversi per cui si distinguono
la popolazione di gruppo A (40% europei), di gruppo B (10-15% degli europei), AB (< 5%
europei) e 0 (40% europei).
Gruppo A -> individui aventi un enzima capace di legare alla proteina H, in corrispondenza
di un’unità di galattosio con un legame α-1,3 glicosidico, un’unità di alfa-N-aceti-
galattosammina.
Gruppo B -> individui aventi un enzima in grado di legare alla proteina H, in
corrispondenza di un’unità di galattosio con un legame α-1,3 glicosidico, un’unità di alfa-
D-galattosio.
Gruppo AB -> presenti entrambi gli enzimi quindi vi sono tutte e due le unità di galattosio.
Gruppo 0 -> non possiede nessuno dei due.
FATTORE Rh: è in effetti un antigene; fu scoperto da Weiner che studiando una scimmia
della specie “Rhesus” (da qui il nome Rh), capì che sull’eritrocita era presente anche
un’altra molecola, un antigene di membrana a cui è stato dato il nome di Rh. L’85 % della
popolazione possiede questa molecola per cui si dice sono Rh+, il restante 15 % non ce
l’ha e quindi è Rh -. Il problema sta proprio in chi non ha tale molecola, soprattutto in caso
di gravidanza; il fattore Rh- è recessivo per cui se la donna Rh- concepisce un figlio con
un uomo Rh+, il figlio sicuramente sarà Rh+, però durante il parto il sangue del bambino,
che presenta il suo eritrocita con questa molecola (che la mamma non ha, quindi il sistema
immunitario riconosce come non-self), può entrare a contatto col sangue della madre =>
entra nell’organismo tale molecola, ma il sistema immunitario reagisce e produce anticorpi
e fin qui va tutto bene; il problema subentra al secondo parto perché il mio organismo già
conosce quella particolare molecola e quindi l’attacca, la distrugge => avviene un
fenomeno che va sotto il nome di eritroblastosi fetale (il problema è sul feto). La soluzione
è somministrare anticorpi specifici entro le 72 ore dal primo parto (perché è proprio l’inizio
della risposta immunitaria) e questo fa sì che gli eritrociti del primo bambino vengano
subito eliminati, quindi il sistema immunitario non ha il tempo di produrre cellule della
memoria. Nel secondo parto gli anticorpi che la mamma produce sono delle IgG e queste
attraversano la placenta, sono proprio questi anticorpi che vanni ad attaccare la molecola
legata agli eritrociti del secondo bambino.