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Crisi bancarie tra Ottocento e Novecento
di Pietro Cafaro
Sommario: 1. Definizioni. – 2. Ipotesi: crisi bancaria e baluardo siste‐
mico. – 2.1. L’interconnessione tra istituti omogenei: un abbozzo di
sistema “verticale”. – 2.2. Un esempio di parziale organizzazione
territoriale: il sistema spontaneo della Lombardia. – 3. Fatti. – 4. Con‐
clusioni.
1. Definizioni
Dare una definizione esaustiva del concetto di “crisi banca‐
ria” non è cosa semplice, a meno che non si voglia cadere in una
serie di semplificazioni di nessuna utilità: la crisi bancaria po‐
trebbe essere considerata una sottospecie della più ampia crisi
finanziaria già descritta da più di un autore. C. Kindleberger, per
citare il riferimento più autorevole, nel noto volume Manias, Pa‐
nics and Crashes (di cui l’ultima edizione è stata ampliata fino a
raggiungere i giorni nostri) ci fornisce una cronistoria molto pre‐
cisa delle principali crisi da lui considerate in un certo senso
connaturate alla stessa economia capitalistica 1.
Descrivere, però, significa fare cosa diversa rispetto a quella di
dare una spiegazione esaustiva del fenomeno. Lo studioso ame‐
1 “A Hardy Perennial”. La definizione sintetica di crisi finanziaria fornita in
apertura dell’ultima edizione del suo lavoro in merito, esprime in modo ottimale
il concetto che sta alla base della lunga elencazione dei maggiori episodi di crisi
della storia: la crisi è “una pianta sempreverde” perché si ripropone continua‐
mente nell’evoluzione del sistema economico capitalistico (cfr. C.P. Kindleber‐
ger‐R.Z. Aliber, Manias, Panics and Crashes. A History of Financial Crisis, London,
Palgrave MacMillan, 20116, p. 1; disponibile anche la traduzione italiana della 4a
ed.: C.P. Kindleberger, Storia delle crisi finanziarie, Roma‐Bari, Laterza, 1991).
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ricano rifugge, ad avviso di chi scrive giustamente, da una mo‐
dellizzazione precisa e si limita a quelle generalizzazioni che
sono necessarie per fornire ad un concetto un certo grado di a‐
strazione 2, e la stessa cosa hanno fatto e fanno altri economisti 3.
Ciò non toglie che sia estremamente arduo, per chi voglia acco‐
starsi a questo tema, raggiungere una definizione soddisfacente.
La crisi finanziaria, almeno dal momento della presenza nel‐
le economie più sviluppate del mercato dei valori, quasi sempre
si manifesta con la caduta dei titoli di Borsa, sintomo, questo, nei
casi più persistenti, di una profonda sofferenza dell’economia
reale a cui quegli effetti si riferiscono. Generalmente, quando la
caduta dei corsi dei titoli è legata a meccanismi di speculazione
pura e semplice (la ricerca del lucro ottenibile dalle transazioni
stesse), la crisi si risolve rapidamente; quando, viceversa è se‐
gno di un rallentamento o addirittura di un tracollo dell’econo‐
mia ne è, in senso etimologico, la sua epifania 4.
2 Naturalmente anche il Kindleberger si pone il problema nell’analizzare il
modello di Hyman Minsky (cfr. al riguardo H. Minsky, Can “It” Happen again.
Essay on Instability and Finance, New York, M.E. Sharpe, Armonk, 1982, trad. it.,
Potrebbe ripetersi? Instabilità e finanza dopo la crisi del ’29, Torino, Einaudi, 1984):
«Per gli storici ciascun evento è unico. La teoria economica, tuttavia, ritiene
che le forze sociali e naturali abbiano un comportamento ripetitivo. La storia ha
un carattere particolare, la teoria economica ne ha uno generale» (C.P. Kind‐
leberger, op. cit., p. 17). Conclude però: «Singole caratteristiche di una qualsia‐
si crisi differiranno da quelle di un’altra: la natura del mutamento, l’oggetto e
gli oggetti della speculazione, la forma dell’espansione creditizia, l’abilità dei
truffatori, la natura dell’incidente che provoca il rivolgimento. Ma, se si può
prendere a prestito un proverbio francese, più qualcosa cambia, più rimane la
stessa. I dettagli proliferano, le strutture permangono» (Ibidem, p. 25).
3 Si veda in particolare la serie di interventi in C.P. Kindleberger‐P. Laffar‐
gue (ed.), Financial Crisis. Theory, History and Policy, Cambridge‐Paris, Cambrid‐
ge University Press‐Les Presses Modernes, 1982. In particolare si veda la posi‐
zione di H. Minsky, reinterpretazione “finanziaria” della teoria keynesiana, for‐
mulata in epoca non sospetta ed oggi tornata di grande attualità (Cfr. R. Bel‐
lofiore, L’ipotesi dell’istabilita finanziaria e il nuovo capitalismo, paper presentato al
workshop, The Complexity of Financial Crisis in a Long‐period Perspective: Facts,
Theory and Models, Siena, Università di Siena 23‐24 marzo 2009, e, soprattutto,
Id., La crisi capitalistica. La barbarie che avanza, Trieste, Asterioes, 2012, cap. 5.1).
4 Interessante, al riguardo, il concetto di “Pseudo‐Financial Crises” che Anna
J. Schwartz oppone alla “Real‐Financial Crises”: secondo questa autrice molte
volte una crisi può sembrare tale, ma di fatto è una pseudo‐crisi, perché si li‐
mita a fenomeni speculativi sui titoli o sulle valute. In quella contingenza ge‐
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In alcuni particolari luoghi e in alcuni momenti peculiari del‐
la storia crisi finanziaria e crisi bancaria tesero a coincidere 5.
Questo avvenne nei paesi nei quali il mercato dei capitali, e‐
stremamente frammentato e intrinsecamente debole 6, si rivol‐
geva principalmente all’intermediazione finanziaria per alloca‐
re e riallocare le risorse disponibili. In questi ambiti poteva ac‐
cadere che crisi finanziaria e crisi bancaria non solamente si av‐
vicinassero fino a sovrapporsi, ma addirittura che la crisi della
finanza intesa in senso lato coincidesse con la stessa crisi di tut‐
ta l’economia o di sue importanti porzioni 7.
Si può forse dire, allora, che la crisi finanziaria manifestata
dal crollo dei titoli borsistici in gran parte dei casi sia stata ac‐
neralmente si risolve rapidamente. In altri casi la crisi finanziaria (che può
manifestarsi anche in modo analogo) è sintomo di una crisi dell’economia pro‐
duttiva. In quel caso si tratta di vera crisi e si risolve in tempi molto più lunghi
e non senza l’intervento delle autorità monetarie e della politica in senso lato
(cfr. A.J. Schwartz, Money in Historical Perspective, Chicago, University of Chi‐
cago Press, 1987, pp. 271‐288).
5 La diffusione del panico in ambito borsistico ed in ambito bancario, dove
si manifesta con la corsa al ritiro dei depositi, è considerate da tutti gli autori
come il momento “cluo” della crisi, perché ne è uno degli effetti più appari‐
scenti e, al tempo stesso, produce lui stesso effetti di allargamento della crisi
nello spazio e nel tempo. A questo riguardo sia C. Kindleberger che A. Schwartz
citano Walter Bagehot (cfr. Lombard Street, London, Henry S. King and Co.
Pub., 1873, cap. XII) e «Much has been written on panics and manias – much
more than with the most outstretched intellect we are able to follow or concei‐
ve; but one thing is certain, that at particular times a great many stupid people
have a great deal of stupid money. ... At intervals, from causes which are not
to the present purpose, the money of these people—the blind capital (as we
call it) of the country – is particularly large and craving; it seeks for some one to
devour it, and there is “plethora” – it finds some one, and there is “speculation” –
it is devoured, and there is “panic”» (Essay on Edward Gibbon in The Works and
Life of Walter Bagehot, London, Longmans, Green, and Co., vol. 2, 1915).
6 Sull’approccio di Raymond W. Goldsmith applicato all’Italia si rimanda a
G. Della Torre, Strutture finanziarie e crescita economica in Italia (1861‐1981), in
G. Conti‐S. La Francesca, Banche e reti di banche nell’Italia postunitaria, 1, Persi‐
stenze e cambiamenti nel sistema finanziario e creditizio, Bologna, Il Mulino, 2000,
pp. 141‐182.
7 Si veda C.W. Calomiris‐G. Gorton, The Origins of Banking Panics: Models,
Facts and Bank Regulation in R. Glenn Hubbard (ed.), Financial Markets and Fi‐
nancial Crises, Chicago, University of Chicago Press, 1991, pp. 107‐173 e, più
recentemente C.W. Calomiris, Banking Crises Yesterday and Today, PEW, Finan‐
cial Reform Project, Briefing Paper #8, 2009.
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compagnata (con legami biunivoci) da una crisi bancaria essen‐
do quest’ultima l’anello più debole (perché non indispensabile)
nel flusso delle risorse finanziarie tra risparmiatori e investitori.
A questo punto, però, sorge spontaneo un altro quesito: qua‐
le situazione, per una banca o per un sistema bancario nel suo
insieme, può essere, nella storia, considerata “di crisi”?
Certamente lo fu il default di un istituto di credito e ancor più
lo sciame dei defaults di più istituti (come si dirà in merito ai ca‐
si concreti esposti), ma lo era anche l’aumento fino a livelli di
pericolo delle dinamiche di ritiro dei depositi o, sul versante del‐
l’attivo, la crescita fino a livelli ingovernabili dei crediti in soffe‐
renza 8.
Va notato come la crisi di una banca non fosse quasi mai un
fattore isolato ed isolabile dal contesto bancario ed economico:
essendo per sua stessa natura legata a dinamiche di flusso, essa
interiorizzava i disequilibri esterni e, al tempo stesso, li proietta‐
va intorno a sé. L’intermediario bancario poi, non era mai un og‐
getto economico monadico: le banche, naturalmente generate da
bisogni economici particolari, si sono da sempre rapportate tra
loro in modo sistemico. La loro efficienza è sempre stata fun‐
zione (diretta o inversa) dell’efficacia (in un particolare momento
del tempo e dello spazio) di un sistema generalmente spontaneo.
Le interazioni ordinarie producevano gerarchie e specializzazio‐
ni tra istituti che, come tanti tasselli in costante movimento, tro‐
vavano una propria posizione ideale nel mosaico complessivo.
La crisi di un “tassello”, quindi, rimetteva in discussione tutto
il disegno, obbligando anche gli altri ad un mutamento d’assetto 9.
A questa serie di problemi se ne aggiunge un altro di ancor
più complessa risoluzione. La nozione di “Banca” riporta, se si
rimane in ambito storico, ad una serie di istituzioni molto diffe‐
8 Si rimanda all’Introduzione del saggio di A. Armento‐F. Belli‐R. Bertelli‐
A. Brozzetti, Un ventennio di crisi bancarie in Italia (1963‐1985), in F. Belli‐G. Mi‐
nervini‐F. Patroni Griffi‐M. Porzio, Banche in crisi. 1960‐1985, Roma‐Bari, La‐
terza, 1987, pp. 59‐74. Si veda inoltre L. Carpinelli, Effetti delle crisi bancarie: una
rassegna della letteratura, in Questioni di economia e di finanza. Banca d’Italia. Oc‐
casional Papers, n. 55, settembre 2009.
9 Cfr. C.M. Reinhart‐K.S. Rogoff, This Time Is Different: Eight Centuries of Fi‐
nancial Folly, Princeton, Princeton University Press, 2009, cap. 10 (ora anche in
trad. it., Questa volta è differente, Milano, Il Saggiatore, 2010).
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renti tra loro: l’intermediario finanziario che oggi noi conosciamo
(e che peraltro dalla fine del secolo scorso è in continua rapida
evoluzione), è solo il punto di arrivo di un lungo percorso affi‐
natosi proprio nel corso dei secoli XIX e XX 10. In altre parole la
cosiddetta “banca di deposito”, quell’istituzione, cioè, abile a por‐
si in posizione mediana tra i risparmiatori e i prenditori di fon‐
di, in realtà è l’ultimo anello di una lunga evoluzione. Evoluzio‐
ne, peraltro, che vide gradualmente scomparire la distinzione
tra casse di risparmio atte a operare con l’occhio rivolto preva‐
lentemente alle poste passive (avendo come scopo primario la
difesa del potere d’acquisto del denaro ricevuto in deposito) e
banche propriamente dette (operative soprattutto sul versante
degli impieghi in prestiti), anche se la propensione ad accentua‐
re la propria mission originaria continuò a caratterizzare i tratti
operativi degli istituti.
Sul finire dell’Ottocento, poi, l’apparire anche nel nostro Pae‐
se delle banche d’affari, prima nell’accezione delle banche di cre‐
dito mobiliare e in seguito in quella delle cosiddette banche “mi‐
ste”, rende ancora più complesso il quadro d’insieme 11.
Da questo punto di vista si può notare come l’intermediazio‐
ne finanziaria in Italia, come d’altra parte anche nel resto d’Eu‐
ropa 12, si andò adattando nel tempo all’evoluzione della finan‐
10 Una brevissima traccia sintetica sul caso italiano è in P. Cafaro, L’evolu‐
zione storica della banca in Italia, in AA.VV., Economia e gestione della banca, Mi‐
lano, McGraw‐Hill, 2010, pp. 3‐17; ben più approfondito ed ampio lo stesso
tema in S. La Francesca, Storia del sistema bancario italiano, Bologna, Il Mulino,
2004 di G. Mastromatteo‐A. Tedeschi, Evoluzione dell’attività creditizia in Italia
dall’unità nazionale alla realizzazione dell’unione monetaria europea, Milano, Vita e
Pensiero, 2012.
11 Così Marco Fanno nel 1925 descriveva la complessità e la specificità del‐
dustrialization: a Study in Comparative Economic History, New York‐London, Ox‐
ford University Press, 1967 (trad. it., Le banche e lo sviluppo del sistema industria‐
le, Bologna, Il Mulino, 1975).
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za e all’evoluzione dell’economia nel suo insieme di cui era una
delle più importanti infrastrutture. Era un processo quasi dar‐
winiano di adattamento alle grandi trasformazioni che il nostro
Paese autonomamente compiva, ed in parte subiva, nel contesto
dell’economia mondiale. Da questo punto di vista il sistema ban‐
cario doveva fare i conti con una realtà economica in molti casi
arretrata, l’interazione con la quale poteva essere compiuta solo
mettendo in atto tattiche e strategie peculiari.
La banca tuttofare, ad esempio, nella prima fase della sua ap‐
parizione nel nostro paese ha tratti molto diversi dalle analoghe
esperienze francesi e tedesche 13. Se in Francia dietro il credito
mobiliare esisteva una logica molto stretta legata ai principi teo‐
rici del Sansimonismo 14, ed in Germania le banche miste erano
supportate da una visione dello sviluppo economico strettamen‐
te legata alle scelte politiche 15, in Italia era la carenza di impie‐
ghi sicuri a spingere banche anche di piccole dimensioni a com‐
portarsi in quel modo. Più che uno stadio dell’evoluzione della
banca, quello italiano era un caso legato alla prima apparizione
di un sistema bancario strettamente legato a territori economi‐
camente poco evoluti 16.
Ciò non toglie che le vicissitudini del sistema economico mon‐
diale e di quello europeo in particolare incidessero non poco
sulle dinamiche bancarie al di qua delle Alpi, questo anche per‐
13 Cfr. P. Hertner, Il Capitale tedesco in Italia dall’Unità alla prima guerra mon‐
diale: banche miste e sviluppo economico italiano, Bologna, Il Mulino, 1984. Sulle
grandi banche miste è poi d’obbligo rimandare alla monumentale opera di A.
Confalonieri, Banca e industria in Italia, 1894‐1906, 3 voll., Bologna, Il Mulino,1980;
Banca e industria in Italia dalla crisi del 1907 all’agosto 1914, 2 voll., Milano, Banca
Commerciale Italiana, 1982; e Banche miste e grande industria in Italia, 2 voll., Mi‐
lano, Banca Commerciale Italiana, 1994‐1997. Un quadro d’insieme è S. Batti‐
lossi, Banche miste, gruppi di imprese e società finanziarie (1914‐1933), in G. Conti‐
S. La Francesca (ed.), op. cit., pp. 307‐352.
14 Cfr. B. Gille, La banque en France au XIX siècle, Paris, Droz, 1970, p. 110 ss.
15 Il complesso rapporto tra finanza e industria nella Germania della sua pri‐
ma industrializzazione ed il ruolo di banche miste e potere è ben delineato in C.
Fohlin, Finance Capitalism and Germany’s Rise to Industrial Power, Cambridge, Cam‐
bridge University Press, 2007, più in generale sul sistema bancario tedesco cfr.,
Deutsche Bankengeschichte, 3 voll., Frankfurt a.M., F. Knapp, 1982‐1983.
16 Giustificazioni analitiche di queste affermazioni sono in P. Cafaro, Fi‐
nanziamento e ruolo della banca, in S. Zaninelli‐P. Cafaro, Storia dell’industria lom‐
barda, Milano, Il Polifilo, 1991, 2/2.
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ché il nostro Paese era legato dal punto di vista valutario al re‐
sto del mondo attraverso una moneta sovranazionale (quella
dell’Unione monetaria latina), e attraverso un rapporto diretto
della moneta con oro e argento fino alla prima guerra mondiale
del tutto scontato 17.
Che la banca fosse magna pars del sistema economico italiano
lo si è scritto in abbondanza: il nostro era (ed è anche oggi) un
sistema nel quale la frammentazione dei mercati finanziari co‐
stringeva gli operatori economici a rivolgersi all’intermediario,
a stabilire con esso patti standardizzati di debito/ credito, a prefe‐
rirlo rispetto all’accesso diretto all’investimento attraverso il
mercato dei valori mobiliari.
Quanto più il sistema economico è caratterizzato da asimme‐
trie informative, infatti, tanto più è costretto ad assumersi un co‐
sto aggiuntivo: quello dell’intermediario 18. La banca quindi, o
meglio, le banche interagenti tra loro quindi, risultavano essere
in Italia (ma anche in altre parti d’Europa) il ponte attraverso il
quale trovavano un equilibrio le imperfezioni del mercato finan‐
ziario. La banca era l’altra faccia delle imperfezioni, lo strumen‐
to nato per attutire i dislivelli dei mercati e divenuto, ben presto,
il punto focale delle strategie e delle tattiche evolutive di tutto il
sistema economico.
La banca in un certo senso, finì per essere non solo strettamen‐
te legata alle imperfezioni del mercato, ma ad avere la sua più
profonda ragion d’essere e la sua maggiore chance di sviluppo
proprio nei momenti di crisi.
È in quei momenti che il mercato si rivolge prevalentemente
agli intermediari, è in quella contingenza che il risparmiatore si
affida più facilmente al banchiere ed è sempre in quella occasio‐
ne che il banchiere si trova ad avere un potere discrezionale mol‐
17 Cfr. P. Pecorari, La lira debole. L’Italia, l’unione monetaria latina e il ‘bimetal‐
lismo zoppo’, Padova, Cedam, 1999 e F. Marconcini, Vicende dell’oro e dell’argen‐
to: dalle premesse storiche alla liquidazione della unione monetaria latina (1803‐1925),
Milano, Vita e Pensiero, 1929.
18 Un rapido approfondimento del tema è in P. Cafaro, Banche popolari e casse
rurali: radici e ragioni di un successo, in P. Pecorari (ed.), Le banche popolari nella
storia d’Italia, Venezia, Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, Venezia, 1999,
pp. 46‐50, più in particolare si rimanda a M. Hellwig, Attività bancaria, interme‐
diazione finanziaria e finanza d’impresa, in G. Marotta‐G.B. Pittaluga (ed.), La teo‐
ria degli intermediari finanziari, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 123‐151.
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to grande nello scegliere i meritevoli di credito. Sia l’abbondan‐
za di liquidità con la conseguente difficoltà a trovare rapidamen‐
te investimenti produttivi che, viceversa, la carenza di liquidità
e la conseguente rarefazione delle disponibilità finanziarie, han‐
no fatto della banca e del banchiere una sorta di deus ex machina
dei sistemi economici. Paradossalmente quindi la banca espli‐
cava il proprio ruolo nel modo più efficace nei momenti di crisi,
sia in quelli provocati da deflazione che in quelli prodotti da un
eccesso di inflazione monetaria.
Gli stessi motivi fin qui esposti stanno alla base della consta‐
tazione, proprio in questi momenti di passaggio, dell’autonoma
organizzazione del mondo del credito e del risparmio in dire‐
zioni sempre più decisamente sistemiche. Così in alcune aree del‐
l’Italia del secondo Ottocento, in piena autonomia e senza che
fossero presenti quelle regole dirigistiche che pur qualcuno au‐
spicava, si assistette ad una genesi spontanea dei sistemi banca‐
ri. In Lombardia ad esempio, si raggiunsero livelli molto raffi‐
nati e complessi di interrelazione 19: alcuni istituti (il caso più
eclatante è quello della Cassa di risparmio di Lombardia 20 si
posero ai vertici del sistema regionale come erogatori di grandi
quantitativi di liquidità, altri, le banche popolari cooperative e
le altre banche territoriali ad esempio, svolsero la funzione di
investitori nelle proprie aree d’elezione. Il processo di creazione
di tali network orizzontali e verticali fu operazione sofferta, ca‐
ratterizzata da un caleidoscopico mutare di soggetti. Banche e
banchieri apparivano e sparivano dalla scena in modo vorticoso
soprattutto nei momenti di crisi, ma alla fine il sistema prende‐
va corpo e si sedimentava: il ruolo svolto da ogni soggetto tro‐
vava spazio nel contesto generale e supportava una economia
in rapida evoluzione 21.
Cfr. P. Cafaro, Finanziamento e ruolo della banca, 2/2, cit., in particolare, a
19
partire da p. 122, il capitolo dal titolo “Una prima struttura regionale”, si veda
anche Id., Alle origini del sistema bancario lombardo: Casse di risparmio e banchieri
privati, in G. Conti‐S. La Francesca (a cura di), Banche e reti di banche nell’Italia
postunitaria, II, Formazione e sviluppo di mercati locali del credito, Bologna, Il Mu‐
lino, 2000, pp. 437‐503.
20 Sulla Cassa di Risparmio si rimanda a A.M. Galli, L’Ottocento, vol. I de
A. Cova‐A.M. Galli, La Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde dalla fonda‐
zione al 1940, voll. 3, Roma‐Bari, Laterza, 1991.
21 Un’esemplificazione di strutture sistemiche autogeneratesi è nel primo
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2. Ipotesi: crisi bancaria e baluardo sistemico
Una periodizzazione delle dinamiche evolutive del mondo del
risparmio e del credito nell’Italia postunitaria viene fatto coin‐
cidere da tutti gli autori che si sono esercitati sul tema con le tap‐
pe del quadro giuridico di sfondo, dettato dai tempi della legi‐
slazione nazionale.
Un recente scritto lo descrive sinteticamente in un modo mol‐
to puntuale: «The Italian banking system underwent four major
reforms, which took place respectively around 1893, 1926, 1936
and 1993. The first reform, in 1893, reorganized issuing banks
(they were reduced in number and strictly regulated) and set the
stage for both modern central banking and “mixed”, German
type banking.
The second, in 1926, was a reaction to post‐WWI banking in‐
stability. On the issuing bank side, it decreed the monopoly of the
Bank of Italy. On the non‐issuing bank side, it introduced essen‐
tial criteria of supervision, setting minimum capital requirements
for the establishment of a bank and a simple rule aimed at avoid‐
ing excessive concentration of risk. In 1919‐24, some specialized
banks had been established by law (e.g., Icipu, which lent to pu‐
blic utilities); others will follow in later years.
The third reform, in 1933‐38, was a reaction to the Great Cri‐
sis of 1931‐33, and strictly regulated non‐issuing banks. The main
purpose of this legislation, declared in many instances by the pro‐
tagonists and embedded in the literature of the time, was that of
avoiding too close a relationship between banks and industrial
firms and vice versa (which, inter alia, had supposedly distor‐
ted credit allocation) and to embrace a system of commercial, En‐
glish type banking. The vast majority of banks became in fact in‐
dependent from industrial firms as a result of the general stance
paragrafo di P. Cafaro, Banche e territori. I network del credito cooperativo e del
medio credito regionale nel caso lombardo, in AA.VV., Banche locali e territori in Ita‐
lia dall’Unità ad oggi, Milano, Franco Angeli, 2014, mentre un parallelo tra due
modelli di sistema spontaneo è descritto in, Id., Local Banking Systems on Both
Sides of the Border: High Lombardy and Ticino Between the Nineteenth and Twen‐
tieth Century, in G. De Luca‐C. Lorenzini‐R. Romano (a cura di), Banche e Ban‐
chieri in Italia e in Svizzera. Struttura finanziaria, mercati e investimenti (XVI‐XX
secolo), Bologna, Il Mulino, 2014.
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of the regulators, and relationship banking all but disappeared,
but, paradoxically, the norms actually approved (the Banking
Law of 1936), albeit being pervasive on many grounds, did not
contain a clear statement concerning such relationships ...
The fourth reform, partially (or mainly, some say) spurred
by European directives, started in the early Eighties and culmi‐
nated in 1993, with a new comprehensive banking law» 22.
In questi passaggi certamente molto importanti ai fini di
quanto si va qui trattando sono stati soprattutto la graduale
creazione e legittimazione di un prestatore di ultima istanza e la
strutturazione sistemica del settore 23. Si tratta di due elementi,
questi, che ricevettero certamente una spinta propulsiva molto
rilevante dalle norme regolative via via introdotte, ma in una
situazione nella quale era già parzialmente in atto presso alcuni
comparti specifici del variegato mondo del credito e del rispar‐
mio ed in alcune aree territoriali.
Una descrizione più puntuale di questo stato di cose va sicu‐
ramente compiuta allo scopo sia di evitare i rischi di una gene‐
ralizzazione eccessiva, sia da quelli che verrebbero dalla pura e‐
lencazione dei fatti.
Per il nostro tema, in relazione a quanto in parte si è detto e
in parte si dirà in seguito, il periodo cronologico che maggior‐
mente interessa è quello precedente alla legge bancaria degli
anni ’30 e quello successivo al 1993. Escludendo di volerci ad‐
dentrare nell’interpretazione degli ultimi vent’anni, essendo di
difficile discernimento con la strumentazione della nostra disci‐
plina, l’attenzione viene posta sulla prima fase.
22 S. Battilossi‐A. Gigliobianco‐G. Martinelli, The Allocative Efficiency of the Ita‐
lian Banking System, 1936‐2011, Roma, Banca d’Italia, 12‐15 ottobre 2011, pp. 8‐9.
Una trattazione analitica ed esaustiva del tema è E. Galanti, La banca, in Storia
della legislazione bancaria, finanziaria e assicurativa. Dall’Unità al 2011, Collana sto‐
rica della Banca d’Italia, Contributi, vol. 11, Venezia, Marsilio, 2012 e F. Belli, Gli
sviluppi della legislazione bancaria italiana: una sintesi, in A. Cova‐S. La Francesca‐
A. Moioli‐C. Bermond (eds.), La Banca, Torino, Einaudi, 2008, pp. 893‐913.
23 Una descrizione puntuale della nascita del sistema bancario dal punto di
vista della Banca d’Italia è nell’Introduzione a cura di G. Sangiorgio‐G. Vittim‐
berga de La normativa sulla Banca d’Italia. Dalle origini ad oggi, a cura della con‐
sulenza legale della Banca d’Italia, vol. 1, Roma‐Bari, Laterza, 1992; una de‐
scrizione sintetica in S. La Francesca, op. cit.
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2.1. L’interconnessione tra istituti omogenei: un abbozzo di sistema
“verticale”
Potremmo distinguere le aziende di credito operanti nel se‐
condo Ottocento in alcune “famiglie” di istituti aventi alcune
specificità marcate 24 e in una serie di sistemi e di sottosistemi
spontanei maturati a livello territoriale. Le interazioni tra impre‐
se appartenenti alla stessa “famiglia” e quelle in essere tra im‐
prese di un’area territoriale specifica erano soprattutto funzio‐
nali al mantenimento di un certo grado di equilibrio, quasi sem‐
pre precario perché minato da ricorrenti fenomeni di crisi.
La prima “famiglia” era quella dei banchieri privati a capo di
aziende individuali, alcuni di ascendenza mercantile (molte vol‐
te operativi solo “part‐time” perché impegnati abitualmente in
attività manifatturiere o commerciali), degli istituti di credito a
forma societaria molte volte luogo di stretta collaborazione tra
banchieri ed operatori economici d’altro settore, delle poche ban‐
che “miste” o d’affari 25.
Una seconda famiglia bancaria di grande rilevanza era quel‐
la che utilizzava uno dei tanti modelli di credito cooperativo
nelle varie forme nelle quali fecero apparizione in Italia: le ban‐
che popolari di Luigi Luzzatti (modellate con qualche dissomi‐
glianza sulla falsariga delle banche tedesche di Shulze Delitzche),
la miriade di altre forme di credito cooperativo, dalla Banca del
popolo Fiorentina di Giacomo Alvisi, alle cooperative di Vin‐
cenzo Boldrini, ai piccoli crediti e alle casse rurali propugnate
soprattutto dal movimento sociale dei cattolici 26.
Sullo sfondo rimanevano le banche di emissione, che svolge‐
vano sia attività di rifinanziamento che di finanziamento diretto,
24 Sulle tipologie tendenzialmente omogenee del sistema bancario ottocente‐
sco si rimanda a P. Pecorari, Il sistema bancario in Italia dopo l’Unità (1861‐1900), in
A. Cova‐S. La Francesca‐A. Moioli‐C. Bermond (eds.), op. cit., pp. 299‐340.
25 In alcuni casi si trattava di aziende di credito obbligate a svolgere attivi‐
tà diverse per poter rimanere dentro il mercato in un contesto economico mol‐
to povero (cfr. P. Cafaro, Finanziamento e ruolo della banca, 2/2, cit., p. 110, in
particolare si veda la citazione da Aureus, Gli istituti di credito in Italia nel 1904,
in Nuova antologia, 16 agosto 1905).
26 Per una bibliografia in merito si rimanda a P. Cafaro, Banche popolari e
casse rurali, cit.
– 107 –
antiche istituzioni bancarie di natura pubblica che affondavano
le radici nella notte dei tempi, i monti di pietà e i monti frumen‐
tari e le casse di risparmio che, dalla precipua funzione previ‐
denziale che ne era alle origini, avevano nei casi maggiori (em‐
blematico quello lombardo) assunto il ruolo di grandi serbatoio
di liquidità 27.
Questa varia tipologia bancaria, sulla descrizione delle qua‐
li non ci soffermiamo rimandando ad una letteratura ormai
molto abbondante in merito, era la conseguenza di un sistema
economico molto complesso, frutto di contaminazioni tra set‐
tori imprenditoriali e unità produttive di medie e piccole di‐
mensioni.
In queste condizioni la crisi bancaria era sempre in agguato
effetto di ripercussioni continue di un sistema economico di ri‐
ferimento alquanto precario 28. La banca svolgeva proprio una
funzione di raccordo e di equilibrio, smussando i picchi troppo
elevati delle congiunture economiche, ma esponendosi a sua
volta a dissesti possibili.
Detto in altre parole: erano proprio il banchiere e la banca ad
intercettare i fenomeni di squilibrio dell’economia di riferimen‐
to ammortizzandone gli effetti. La banca quindi non solo convi‐
veva con la crisi, ma fino ad un certo livello se ne nutriva, spo‐
stando, per il tramite di strumenti finanziari via via sempre più
sofisticati, risorse da un settore all’altro, da un’area all’altra alla
ricerca delle opportunità migliori per meriti di credito in co‐
stante evoluzione.
All’onestà (e alla concreta abilità) del banchiere era legata
non solo la prosperità (e a volte la sopravvivenza) della banca,
ma anche quella del territorio di riferimento, in misura tanto più
grande quanto maggiore era il dinamismo, la propensione al ri‐
schio calcolato e la capacità progettuale degli imprenditori.
27 Cfr. C. Bermond‐D. Ciravegna, Le casse di risparmio ieri e oggi, Torino, Fon‐
dazione Cassa di Risparmio di Torino, 1996, in particolare i saggi di T. Fanfani,
L’Ottocento italiano, pp. 25‐48 e di A. Cova, Il Novecento in Italia, pp. 49‐68).
28 La maggior fragilità delle piccole e medie imprese nei momenti di crisi
bancaria è ben teorizzato da Ben S. Bernanke in relazione al caso della grande
depressione del ’29 (cfr. B.S. Bernanke, Nonmonetary Effects of the Financial Cri‐
sis in the Propagation of the Great Depression, in American Economic Review, n. 73,
June 1983, pp. 257‐276).
– 108 –
Naturalmente anche per la banca l’estendibilità del rischio non
era infinita: l’elasticità era un pregio, ma non poteva certamente
superare alcuni livelli di guardia.
I margini, in realtà, sarebbero stati molto meno ampi, se le sin‐
gole aziende di credito non avessero sviluppato in modo auto‐
nomo e per motivi in parte anche solo di natura tecnica, una spic‐
cata propensione verso un’organizzazione sistemica.
Sistemi e sottosistemi, infatti, erano proprio gli strumenti che
permettevano a banche e banchieri di ampliare la propria capa‐
cità operativa di fronte agli squilibri che, in altro modo, avreb‐
bero potuto creare più rapidamente rischi di dissesto alla banca
stessa e all’economia di riferimento.
La banca in tal modo poteva fornire non solo la garanzia di
un primo livello di liquidità, ma anche quella di livelli sempre
più elevati. Ogni azienda gradualmente ritrovava un proprio spa‐
zio d’azione, collocandosi in un ambito operativo sempre più spe‐
cifico. L’originaria “vocazione”, gradualmente si adattava all’am‐
biente, calibrando ad esempio autonomamente gli impieghi a
breve o a più lungo termine, ma anche intraprendendo interre‐
lazioni dinamiche con gli altri istituti.
La strutturazione in diversi livelli di operatività, poi, assicu‐
rava in modo sempre maggiore una copertura di fronte ai rischi
di panico e conferiva autorevolezza a tutto il sistema.
Va tenuto presente un fatto: rispetto ad ambienti economi‐
camente più evoluti, qui era molto più rilevante al fine del man‐
tenimento della stabilità economica un modello, pur complesso
e frammentato, “a rete”, rispetto alla struttura stabile che pote‐
va conferire una grande azienda di credito. Tra gli episodi che
si possono portare a giustificazione di tale affermazione, sta la
drammatica fine di istituti di grande rilevanza quali la Banca
Generale 29, il Credito Mobiliare 30 e le grandi difficoltà in cui
mossero i primi passi le banche cosiddette “miste” 31.
29 A.M. Galli, Sviluppo e crisi della Banca generale, in E. Decleva (ed.), Antonio
Allievi dalle scienze civili alla pratica del credito, Milano, Il Saggiatore, 1999, 7, pp.
561‐651.
30 Cfr. G. Di Nardi, Pantaleoni e la teoria dei salvataggi bancari, introduzione a
M. Pantaleoni, La caduta della Società Generale di Credito Mobiliare, Milano, Giuf‐
frè, 1977 (reprint), pp. 1‐26.
31 Cfr. A. Confalonieri, Banca e industria, cit., vol. I, capitolo III.
– 109 –
Le economie di scala che i grandi istituti potevano mettere in
atto, infatti, non compensavano adeguatamente gli squilibri sem‐
pre in agguato (e in rapida trasformazione) all’interno del siste‐
ma economico.
L’impresa bancaria, anche la più grande, non poteva svilup‐
pare entro di sé quella struttura di garanzia che un sistema a re‐
te distribuito su più livelli poteva invece dare. Anche il Credito
italiano, l’istituto che, insieme alle controllate, più si avvicinava
ad un moderno gruppo bancario, si trovò in più occasioni in forte
difficoltà 32.
– 110 –
La sopravvivenza e anche la prosperità delle aziende che ar‐
rivarono alla fine del secolo fu dovuta ad una pluralità di fattori
ai quali abbiamo in parte già fatto cenno: adattamento all’am‐
biente in modo tempestivo (e a volte fortuito), ma soprattutto
capacità di occupare uno spazio specifico nella naturale divisio‐
ne del lavoro. Nessun eccesso di concorrenza era tollerato, quin‐
di, anche a prezzo di un’assunzione aggiuntiva di costi. Tutto
ciò favoriva una complementarietà tra istituti e una specializza‐
zione territoriale e funzionale, che di fatto si andava imponendo
sempre più e che relegava rapidamente ai margini del mercato
chi seguiva strade solitarie.
Qualche esempio può essere utile a spiegare meglio tutto ciò:
negli anni immediatamente precedenti l’Unità nazionale la Cas‐
sa di Risparmio assunse un ruolo del tutto complementare a
quello dei banchieri privati. La scelta fu quella di essere un gran‐
de collettore della liquidità disponibile in innumerevoli rivoli
nell’ambito regionale, per il tramite di una rete capillare di filia‐
li e di agenzie, e al tempo stesso di fungere da banca delle banche.
Questa scelta era naturalmente congeniale alla stessa natura del‐
l’istituto, creato allo scopo di tutelare i risparmi, ed in particola‐
re quelli di minore entità, destinati in alternativa ad essere tesau‐
rizzati o investiti in attività di corto respiro. Le singole agenzie
locali non avevano nessuna autonomia dal punto di vista dell’u‐
tilizzo di questi capitali che venivano destinati ad impieghi de‐
cisi a livello centrale. Com’è noto, gli investimenti diretti di mag‐
giore entità erano dalla Cassa di Risparmio riservati alla ricca e‐
conomia agricola dell’irriguo padano. Ciò non significa però
che non vi fossero, per via mediata, altri investimenti destinati
ad altre parti della regione e finalizzati ai settori manifatturieri
e commerciali emergenti. Il tramite di queste operazioni erano
in origine i banchieri privati che non svolgevano attività di rac‐
colta, ma che impiegarono capitali disponibili nell’interbanca‐
rio. Loro referente principale divenne ben presto la cassa di ri‐
sparmio che in questo modo poteva differenziare il rischio con
il destinare parte della liquidità ad attività diverse rispetto quel‐
la agricola, frapponendo fra se stessa e l’utilizzatore finale la
garanzia prestata da un banchiere.
Tutto ciò non produceva alcuna frammentazione degli indi‐
rizzi operativi, dato che la funzione del risconto (l’attività ban‐
– 111 –
caria era principalmente legata allo sconto di effetti commercia‐
li) era saldamente controllata dal centro: le operazioni venivano
attuate attraverso le succursali, ma ogni decisione era presa dalla
direzione generale. Il binomio cassa‐banchieri permetteva quindi
la sicurezza e le economie di scala dell’accentramento e l’agilità
del decentramento. Se le filiali continuavano ad essere essenzial‐
mente agenzie di raccolta, l’impiego destinato all manifattura
ed al commercio era compiuto, sotto l’occhio vigile della direzio‐
ne centrale, dai banchieri privati.
Questo sistema si arricchì nel corso degli anni post‐unitari
grazie all’avvento degli istituti di credito, sia nella forma della
società di capitali che in quella della società di persone; in que‐
sti ultimi casi, nella forma ibrida della luzzattiana anonima coo‐
perativa.
In alcuni casi le banche territoriali forma di Spa e le banche
popolari cooperative sostituirono o si sovrapposero ai banchieri
privati. In molti casi poi erano proprio banchieri, commercianti
e industriali a dar vita a società bancarie facendo così evolvere
un sistema economico nel quale la frammentarietà e l’intercon‐
nessione tra i vari settori era cosa da sempre praticata.
In seguito l’evoluzione portò anche alla creazione di istitu‐
zioni specifiche di secondo grado, cosa che spostò il ruolo della
Cassa di Risparmio sempre di più verso il terzo grado. Gli esem‐
pi che possono essere portati a sostegno di queste affermazioni
sono moltissimi: nel caso delle banche societarie di natura capi‐
talistica il secondo grado era occupato da istituti come la Banca
lombarda di depositi e conti correnti che rappresentavano un
equilibratore della liquidità per ditte bancarie e banche territo‐
riali e che aveva anche lo scopo di permettere operazioni sull’e‐
stero agli istituti di piccole dimensioni 35. Nel caso delle banche
cooperative il secondo grado fu occupato in maniera sempre più
chiara dalla Banca Popolare di Milano, che volontariamente ri‐
nunciò alla propria espansione territoriale e funzionale per svol‐
gere soprattutto questa funzione 36.
Cfr. P. Cafaro, Alle origini del sistema bancario lombardo, cit., pp. 470‐502.
35
Si veda S. Lolli, La Banca popolare di Milano dalla fondazione alla Seconda guer‐
36
ra mondiale, in M. Romani (ed.), La banca dei milanesi. Storia della Banca popolare di
Milano, Roma‐Bari, Laterza, 2005, pp. 14‐187 oltre a A. Confalonieri, Banca e in‐
– 112 –
Va precisato che questa specializzazione funzionale non era
così esclusiva e così marcata come sarebbe avvenuto dopo la
regolazione bancaria degli anni ’20 e ’30 del Novecento, ma con‐
viveva in modo promiscuo con le attività di raccolta e di impie‐
go diretto.
In ogni caso tra la fine dell’Ottocento e gli anni che precedet‐
tero la grande guerra La Lombardia poteva vantare un sistema
informale di credito che aveva ai vertici la Cassa di Risparmio
(una sorta di “Banca centrale dello Stato di Milano 37”) che con‐
tendeva anche alle banche di emissione questo ruolo, alcune ban‐
che che operavano prevalentemente nel secondo grado e, alla
base banche territoriali, cooperative o no, che con le proprie fi‐
liali generalmente legate ad aree di limitata operatività, svolge‐
vano prevalentemente attività di sostegno alle multiformi realtà
dell’economia.
In questo ambito, sempre su scala regionale, vi era anche la
presenza di un sistema particolare di credito e il risparmio legato
all’esperienza delle banche confessionali, le piccole casse rurali
attive anche nelle aree più remote e gli istituti a forma di coope‐
rativa attive a livello diocesano che con queste corrispondevano:
le banche di “piccolo credito” 38.
3. Fatti
Volendo individuare più precisamente gli episodi che accom‐
pagnarono e segnarono le “grandi crisi bancarie” 39 del nostro
dustria, cit., e A. Polsi, Alle origini del capitalismo italiano, Torino, Einaudi, 1992,
p. 195 ss.
37 La definizione è di A. Confalonieri (Confalonieri, Banca e industria in Ita‐
lia dalla crisi del 1907 all’agosto 1914, 1, cit., p. 166).
38 P. Cafaro, La solidarietà efficiente. Storia e prospettive del credito cooperativo
in Italia (1883‐2000), Roma‐Bari, Laterza, 2001; Id., Chiesa, cattolici e mondo della
finanza. Casse rurali e banche popolari confessionali dalle origini alla crisi degli anni
Trenta, in A Acerbi (ed.), La Chiesa e l’Italia, Milano, Vita e Pensiero, 2003, pp.
275‐306.
39 Franco Belli le definisce in questo modo: «Quelle [crisi] capaci di minare
la funzionalità e la stabilità del sistema creditizio» (A. Armento‐F. Belli‐R. Ber‐
telli‐A. Brozzetti, op. cit., p. 61).
– 113 –
Paese negli anni post‐unitari, non possiamo che individuare due
fasi distinte della regolazione bancaria a partire dagli anni ’30
del Novecento 40.
Nella prima fase possiamo individuare numerose crisi banca‐
rie in gran parte legate momenti di congiuntura economica sfa‐
vorevole a causa di crisi economiche internazionali o nazionali,
nella seconda una apparente assenza di crisi d’un certo rilievo.
Naturalmente non si vuole qui considerare il caso di default
di un singolo istituto in seguito ad incapacità o malversazioni
nella gestione dei suoi conti. Casi di questo genere sono riscon‐
trabili in ogni momento e in uno studio come questo possono
essere solo segnalati, ma non presi in considerazione al fine di
una interpretazione d’insieme 41.
La prima crisi bancaria in senso proprio, nel biennio 1865‐
1866, fu concomitante ad una vasta crisi finanziaria e dei conti
dello Stato che portò al corso forzoso della moneta. Il contesto era
quello dei cambiamenti a livello internazionale seguiti alla con‐
clusione della guerra di secessione americana e alle prime avvi‐
saglie di guerra tra Prussia e Austria. In Italia il fenomeno più
appariscente fu quello del crollo del corso della rendita, in spe‐
cial modo sul mercato borsistico parigino. Di fronte al rischio di
un default generale dello Stato e delle sue banche, il governo ri‐
40 Il periodo successive, almeno fino alla metà degli anni ’70 del Novecento
è stato definite di pax bancaria (cfr. G. Manghetti, Le mani sulle banche, Milano,
Feltrinelli, 1983, p. 23), «dovuto – scrive sempre Belli – in specie, astraendo dal‐
l’andamento del ciclo finanziario nazionale e internazionale (parametro che
pero, si badi bene, è decisivo), sia agli strumenti di controllo ex ante predispo‐
sti dal legislatore del ’36 (nel quadro di una normativa di larghe maglie, basa‐
ta sull’eclettismo degli interessi protetti, di quelli emergenti e di quelli “emer‐
gibili”), sia al rafforzamento e all’affinamento del ruolo proprio della banca
centrale, dalle sue tecniche di intervento e di moral suasion» (A. Armento‐F. Bel‐
li‐R. Bertelli‐A. Brozzetti, op. cit., p. 61).
41 Nel momento successivo alla grande riforma del 1936 vi sono casi di cri‐
si di singoli istituti bancari, ma generalmente risolti da interventi interni al
sistema bancario stesso: si tratta duna «diaspora di crisi ... di banche di piccole
e medie dimensioni [che] non vale, forse nemmeno se unitariamente conside‐
rata una delle ... grandi crisi [del periodo precedente] ...; si ha l’impressione
che si tratti di fenomeni tra loro sostanzialmente diversi, vuoi sotto il profilo
delle cause determinanti, vuoi ... sotto quello del tipo di soluzioni che si im‐
pongono, valutate anche alla luce dell’urgenza, nonché della vastità e della
rilevanza degli interessi coinvolti» (Ibidem, pp. 62‐63).
– 114 –
spose con la richiesta di un prestito di 250 milioni alla Banca
Nazionale nel regno e alla proclamazione del corso forzoso del‐
la moneta cartacea che, tra innumerevoli polemiche, si sarebbe
protratto fino ai primi anni ’80. Il problema della moneta e,
quello conseguente dell’affidabilità dello Stato, era gravato dal
fatto che il nostro governo aveva già firmato l’adesione formale
all’Unione monetaria latina. Per la verità il fenomeno non fu
connesso unicamente alla rendita italiana, ma tracolli finanziari
si ebbero anche sui titoli di diversa natura trattati nelle maggio‐
ri borse europee. Il panico che si diffuse a macchia d’olio conta‐
giò anche le banche, in Italia soprattutto il Credito mobiliare, il
Banco di sconto e sete, la Cassa generale, la Cassa di sconto di
Torino e di Genova. Si pensi che tra marzo e giugno del 1866 il
calo dei depositi presso il credito mobiliare, la maggior banca
del paese fu di 11 milioni di lire, presso la cassa generale di 9
milioni. Da quanto appare nella relazione della commissione par‐
lamentare d’inchiesta sul corso forzoso, costituita qualche anno
più tardi, il fallimento dell’intero sistema bancario sembrò im‐
minente e inevitabile. La conseguenza di quella grave crisi, che
fu in effetti frenata dal corso forzoso, venne controbilanciata da
una crescita delle esportazioni per via del dumping valutario pro‐
dotto 42.
Le crisi trasformò moltissimo l’economia del paese ed in par‐
ticolare il suo sistema bancario: la Banca Nazionale, che si av‐
vantaggiò di questo aumento artificiale della circolazione mo‐
netaria, poté soccorrere le altre banche e iniziare ad avere un
ruolo preminente rispetto al sistema creditizio del Paese 43.
Il secondo episodio di crisi generalizzata fu quello del bien‐
nio 1872‐1873. Si trattò di una crisi bancaria generata sostan‐
zialmente da una crisi finanziaria. La rapida conclusione della
42 Cfr. I. Sachs, L’Italie, ses finances et son développement économique 1859‐1884,
vol. 1, Paris, Guillaumin, 1885, p. 599 ss. Una analisi precisa della crisi bancaria e
degli effetti del corso forzoso della moneta è nelle conclusioni della Relazione
della Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso dei biglietti di banca,
vol. 1, Firenze, 1869, pp. 403‐460.
43 P. Cafaro, Finanziamento e ruolo della banca, cit., 2/1, p. 186 ss.; secondo
Mario Nigro il decreto che nel 1866 introdusse il corso forzoso può essere in‐
teso come «la prima legge bancaria italiana» (M. Nigro, Profili pubblicistici del
credito, Milano, Giuffrè, 1969, p. 3).
– 115 –
guerra franco‐prussiana che al momento dell’avvio sembrava
destinato a durare molti anni, la fine del secondo impero fran‐
cese e la costituzione del secondo Reich tedesco, innestarono nel
sistema economico italiano un processo euforico di grande por‐
tata. I primi anni ’70 videro la rapida crescita dei corsi dei titoli
scambiati nella borsa di Genova, la maggiore del nostro paese,
mentre un po’ ovunque era tutto un proliferare di nuove impre‐
se a forma societaria 44. Tra queste molte erano legate al settore
creditizio 45.
Nel giro di poco tempo però, di fronte all’impossibilità di ot‐
tenere impieghi adeguati e remunerativi per tutti i depositi rac‐
colti, la bolla speculativa si dissolse 46. Uno dei fenomeni che
44 «Commercianti di Livorno e di Firenze hanno mandato istanze al gover‐
no, colle quali chiedono un aumento della circolazione a corso forzato. Spera‐
no quegli egregi commercianti che un aumento della circolazione possa porre
termine ai lunghi dolori delle Borse italiane, possa porre un argine ai fallimen‐
ti, che numerosi e gravi si succedono ... Noi ora siamo innanzi ad un male gra‐
vissimo, un male economico, un male di borsa e di denaro, un male che, de‐
primendo i corsi degli effetti pubblici, distrugge giorno per giorno milioni e
milioni, rovina patrimoni, getta la disperazione tra gli uomini di borsa ...
L’Italia ha avuti essa pure i suoi giorni di follia speculativa. Ricordiamo i giorni
in cui le imprese si succedevano alle imprese, in cui le associazioni industriali,
appena progettate, si costituivano, emettevano azioni che tosto salivano a pre‐
mi, che né la natura né i profitti sperabili da quelle nuove imprese legittima‐
vano ... Dicevo io allora che era necessario fermarsi nella creazione di nuove
Società e nella emissione di azioni; dicevo allora che le forze economiche del
paese erano già state assorbite dalle imprese create, che le imprese, per quanto
buone in se stesse, diventano dannose se eccedono la quantità di capitale che
il paese possiede e che infine vi ha un limite varcato il quale si incontrano gli
scompigli, le paure e i disastri delle crisi commerciali. Il limite fu varcato e il fal‐
lo commesso ora porta le sue conseguenze. Se il paese non possiede che un capi‐
tale di cento e le imprese create hanno disposto di un capitale di centocinquanta,
i titoli che quelle hanno emessi, devono ridursi a cento e a questo si giunge con
un lavoro di compressione che mano mano abbassa il valore dei titoli ... È la‐
vorando e risparmiando che si crea il capitale e nessun capitale fu mai creato
per decreto di ministro o colla stampa di biglietti» (P. Rota, L’aumento della cir‐
colazione in Il Sole, 23 ottobre 1873), cfr. inoltre A. Errera, Il krach del 1873‐74, in
Nuova antologia, febbraio 1874.
45 P. Rota, Storia delle banche, Milano, Tipografia del giornale Il Sole, 1874,
p. 361 ss.; si veda anche P. Cafaro, Le società di capitali nel credito, cit., p. 329.
46 Secondo Pietro Rota, corollario positivo della particolare congiuntura fu
quello «di far finire l’infanzia economica del nostro Paese e di farne iniziare
l’adolescenza» (P. Rota, L’aumento della circolazione, cit.).
– 116 –
meglio sottolinearono la frenesia, ma anche l’aleatorietà, di que‐
sti momenti fu l’apparizione dei “mandati” o “buoni di cassa”
che molti istituti (in particolare le banche popolari) spiccarono in
quegli anni 47. Si trattava di biglietti a taglio fisso, al portatore,
per nulla diversi dalle banconote emesse dalle banche dimis‐
sioni. Fu un abuso al quale cedettero molti istituti di credito, al‐
cuni dei quali finirono per approvigionarsi principalmente in
quel modo. Quando, la legge 30 aprile 1874 vietò quella pratica
in concomitanza con una crisi finanziaria di grande portata ab‐
battutasi l’anno precedente sulle borse di Vienna e Berlino, mol‐
ti istituti italiani fallirono. Nel triennio 1873‐1875 sparirono i tre
quarti delle società costituite all’inizio del decennio ’70. In Italia
la piazza maggiormente colpita fu quella di Genova che iniziò
in quel momento un declino peggiorato poi con le crisi bancarie
di fine Ottocento e dei primi del Novecento 48.
Il terzo episodio riguarda gli scandali bancari del quinquen‐
nio 1889‐1893. Le vicende sono abbastanza note per cui non è il
caso di soffermarvisi più di tanto. Si passò rapidamente dalla
crisi agraria alla crisi dell’industria pesante e di quella manifat‐
turiera, alla crisi edilizia fino ad arrivare alla grande crisi banca‐
ria. La definizione già citata di «anni più neri dell’economia ita‐
liana dell’Ottocento» è sicuramente molto calzante dato che in
pochi periodi storici avvenne una crisi generalizzata di quella
portata 49.
La crisi bancaria fu innestata dalla bolla speculativa in ambi‐
to edilizio, di cui fecero le spese soprattutto banche genovesi e
torinesi operanti nella capitale, ed ebbe tra le sue più illustri vit‐
47 P. Rota, Le banche popolari e l’emissione di biglietti, in Il Sole, 22 giugno 1871
e Id., La guerra ai piccoli biglietti, in Il Sole, 22 marzo 1872. Sull’incidenza della
circolazione abusiva nel bilancio delle popolari cfr. le tabelle XL e XLI in P.
Cafaro, Finanziamento e ruolo della banca, cit., 2/1, pp. 207‐208.
48 Si veda G. Felloni, Il mercato finanziario genovese dal 1856 al 1896, in M. Da
Pozzo‐G. Felloni, La borsa valori di Genova nel secolo XIX, Torino, Ilte, 1964.
49 La definizione di R. Bachi (L’Italia economica nel 1913, Città di Castello,
Lapi, 1914) fu divulgata da L. Luzzatto, Gli anni più critici dell’economia italiana
(1888‐1893), in AA.VV., L’economia italiana dal 1861 al 1961. Studi nel I centenario
dell’Unità d’Italia, Milano, Giuffrè, 1961, p. 420. Una ricostruzione del periodo è
in P. Cafaro, La transizione tra difficoltà ed adeguamento (1878‐1896), in AA.VV.,
L’Ottocento economico italiano, Bologna, Monduzzi, 1993, p. 435 ss.
– 117 –
time la Società generale di credito mobiliare e la Banca generale.
Ad attenuazione del fenomeno si deve naturalmente ricordare
la successione, se non formale almeno di fatto, nelle poste attive
e passive di questi due istituti da parte rispettivamente del Cre‐
dito italiano e della Banca Commerciale Italiana, le due grandi
banche miste costituite grazie ad una iniezione consistente di ca‐
pitali tedeschi 50.
Nel contempo va registrato anche il fatto eticamente più scor‐
retto della nostra storia bancaria, quello dello scandalo della Ban‐
ca Romana che portò alla semplificazione della struttura dell’e‐
missione con la nascita della Banca d’Italia e con il ridimensio‐
namento effettivo del Banco di Sicilia e del Banco di Napoli 51.
Proprio questa vicenda come abbiamo già illustrato, dimostrò
come le aree nelle quali le banche si erano organizzate a siste‐
ma, l’impatto della crisi fu sicuramente meno devastante.
Da questo momento in poi alle capitali finanziarie del passa‐
to, Genova e Torino, si sostituì in modo sempre più marcato la
piazza di Milano 52.
Un fenomeno, questo, consolidato anche da un quarto caso,
quello della crisi del 1907 53. Si trattò di un episodio sicuramente
più legato alla finanza che all’economia reale, ma ebbe un im‐
50 Si rimanda ibidem, alle p. 439 ss., per una descrizione sintetica degli av‐
venimenti e per la bibliografia in merito; sul ruolo del capitale tedesco nella
ricostruzione del sistema bancario italiano cfr. P. Hertner, Banche tedesche e svi‐
luppo economico italiano (1883‐1914), in AA.VV., Ricerche per la storia della Banca
d’Italia, vol. 1, Roma‐Bari, Laterza, 1990.
51 Cfr., tra le numerose pubblicazioni in merito, F. Bonelli, La Banca d’Italia
dal 1894 al 1913: momenti della formazione di una banca centrale, Roma‐Bari, La‐
terza, 1991 e AA.VV., Ricerche per la storia della banca d’Italia, cit., 1, in partico‐
lare gli scritti di S. Cardarelli (La questione bancaria in Italia dal 1860 al 1892, pp.
105‐180) e di V. Sannucci (Molteplicità delle banche di emissione: ragioni economi‐
che ed effetti sull’efficacia del controllo monetario (1860‐1890), pp. 181‐218); F. Co‐
tula‐M. De Cecco‐G. Toniolo, La Banca d’Italia. Sintesi della ricerca storica 1893‐
1960, Roma‐Bari, Laterza, 2003.
52 Cfr. P. Cafaro, La Borsa di Milano: origini, vicende e sviluppi, in AA.VV., La
Borsa di Milano dalle origini a Palazzo Mezzanotte, Milano, Motta, 1993, pp. 107‐
134, sull’ascesa di Milano si rimanda a E. Dalmasso‐D. Gibelli, Milano capitale
economica d’Italia, Milano, Franco Angeli, 1972.
53 Cfr. F. Bonelli, La crisi del 1907. Una tappa dello sviluppo industriale in Italia,
Torino, Einaudi, 1971.
– 118 –
patto non indifferente anche nell’ambito bancario. Il caso più
eclatante di crisi fu quello di una banca milanese, la terza banca
mista operante nel capoluogo lombardo, la Società bancaria ita‐
liana. La presenza ormai consolidata però di un istituto di emis‐
sione aventi funzioni di vertice effettivo del sistema, risorse in
modo rapido inusitato le difficoltà 54.
Fu la dimostrazione, questa, perlomeno a detta dei contem‐
poranei, della necessità da parte dello Stato di un intervento di‐
retto in materia di regolazione bancaria, allo scopo di tutelare i
depositanti e di affermare il carattere “pubblico” dell’attività ban‐
caria. Secondo questa idea, anche una banca privata, infatti, svol‐
ge un’attività di interesse sociale e proprio per questo non può
essere lasciata alla mercé delle logiche di puro mercato.
Questa affermazione, che potrebbe riassumere quanto era pro‐
posto in prima battuta soprattutto da quella scuola di pensiero
economico che si rifaceva al “socialismo della cattedra” che ave‐
va tra i maggiori esponenti uomini come Francesco Saverio Nit‐
ti o Francesco Cocco Ortu, si tradusse negli anni che precedette‐
ro la prima guerra mondiale nel tentativo di raggiungere l’o‐
biettivo di una legge regolativa, che avrebbe avuto come effetto
secondario l’induzione delle banche operanti in Italia ad orga‐
nizzarsi in sistema gerarchizzato e funzionale 55.
Naturalmente questa proposta si opponeva al mondo liberi‐
sta che la considerava una ingerenza indebita nel mondo dell’e‐
conomia 56.
54 Sul salvataggio della SBI si rimanda ad A. Confalonieri, Banca e industria
in Italia dalla crisi del 1907 all’agosto 1914, cit., 1, p. 33 ss. Una descrizione sinte‐
tica dei fatti in C. Besana, La prima industrializzazione della penisola tra arretratezze
e squilibri (1896‐1914), in AA.VV., L’Ottocento economico italiano, cit., p. 540 ss.
55 Si veda P. Cafaro, Agli albori della vigilanza sugli istituti di credito, in Coo‐
perazione di credito, n. 171, 2001, pp. 75‐85, una descrizione più ampia è in Id.,
La solidarietà efficiente, cit., pp. 143‐163.
56 Significativa, ad esempio, la presa di posizione di Maffeo Pantaleoni: «Il
Governo lasci le banche svolgersi liberamente e se crede che il piccolo rispar‐
mio sia fatto da imbecilli che hanno bisogno della tutela di un capo di divisio‐
ne, continui a offrire a questo piccolo risparmio le sue casse postali, la cui fine
sarà allegra la prima volta che ci toccherà di sostenere una vera Guerra!» (cit.
ibidem, pp. 150‐151) ed il senatore Ercole Vidari, professore di diritto commer‐
ciale all’Università di Pavia: «Da noi si fa troppo socialismo di stato: non v’è
servizio pubblico, ormai, nell’esercizio del quale lo Stato non intervenga diret‐
– 119 –
In aggiunta a ciò merita menzionare anche il modello banca‐
rio fatto proprio dai cattolici, in particolare da Giuseppe Tonio‐
lo in occasione del congresso cattolico di Fiesole del 1896, e che
mirava a dar vita ad un sistema ugualmente gerarchizzato, inter‐
connesso, e vincolato a ben precisi ambiti operativi sempre di na‐
tura geografica e funzionale 57.
Solamente dopo la guerra riprese la discussione in merito,
nel contesto dei dissesti bancari dei primi anni ’20 58 videro la fi‐
ne della Banca italiana di sconto, il grande istituto di credito na‐
to nel 1914 dalla inclusione nella struttura della Società bancaria
italiana della più potente tra le banche regionali, la Banca italia‐
na di credito provinciale con sede in Busto Arsizio 59. Quell’epi‐
sodio mostrò come fosse assai pericoloso per il nostro paese la‐
sciare alle banche la possibilità di operare nel modo “misto”
proprio dell’area germanica. Il conflitto di interessi tra banca e
industria avrebbe potuto provocare un cortocircuito a cui diffi‐
cilmente si sarebbe potuta sottrarre l’economia del paese 60.
Questa quinta crisi generalizzata avrebbe portato di lì a qual‐
che anno alla prima legge bancaria regolativa, nel 1926 61, sulla
scia di riforme di natura monetaria rese necessarie dal dissol‐
tamente. E si noti che questa intromissione violenta spegne da una parte, a
poco a poco, lo spirito d’iniziativa individuale e collettiva, dall’altra inocula nel‐
le amministrazioni quel virus dell’indolenza, quell’attutimento della respon‐
sabilità personale che conduce lentamente o al sonno dell’inerzia o alla prepo‐
tenza dei pochi contro i molti» (Ibidem).
57 Cfr. Atti del XIV Congresso cattolico tenutosi a Fiesole, Venezia, 1897, pp. 186‐
187.
58 Cfr. A. De Stefani, Baraonda bancaria, Milano, Edizioni del Borghese, 1960;
il contesto economico e finanziario del momento è sinteticamente descritto da
A. Leonardi, Dalla Guerra alla “grande crisi”, in A. Leonardi‐A. Cova‐P. Galea,
Il Novecento economico italiano, Bologna, Monduzzi, 1997, p. 94 ss.
59 Cfr. P. Cafaro, Finanza ed industria in un centro cotoniero d’Italia: le banche
di Busto Arsizio, in Archivio storico lombardo, 1988, pp. 239‐258. Sulla BIS si ri‐
manda a A.M. Falchero, La banca italiana di sconto 1914‐1921, Milano, Franco
Angeli, 1990.
60 Sulle vicende delle banche in quegli anni si rimanda a P. Saraceno, Salva‐
taggi bancari e riforme negli anni 1922‐1936, in Id., Banca e industria fra le due
guerre, Bologna, Il Mulino, 1981, pp. 287‐310; A. Confalonieri, Banche miste e
grande industria in Italia 1914‐1933, cit., pp. 289‐310.
61 E. Galanti, op. cit., pp. 65‐74.
– 120 –
vimento anche formale nell’Unione monetaria latina 62.
Sarebbero state però le conseguenze della crisi del 1929, di na‐
tura finanziaria ma ben presto approdate anche all’economia rea‐
le, rivelando la fragilità del sistema capitalistico nel suo insieme, a
spingere alla definizione di una serie precisa di norme e regola‐
menti che avrebbero di fatto “ingessato” le banche italiane in un
sistema durato ben oltre la fine della seconda guerra mondiale 63.
Il problema più evocato dalla grande crisi bancaria di quegli
anni, la sesta del nostro elenco, era quello della necessità di una
distinzione precisa tra credito commerciale (per sua stessa natu‐
ra funzionante a breve termine) rispetto al credito industriale a
medio e lungo termine. Naturalmente, la premessa di questa
complessiva risistemazione del sistema, avrebbe dovuto sancire
una precisa contiguità tra poste passive poste attive degli istitu‐
ti di credito, era la messa al bando della possibilità per le ban‐
che di investire in capitale di rischio i depositi di terzi.
Il problema era reso molto grave dagli incagli e dalle sofferen‐
ze che il sistema bancario aveva accumulato in quegli anni di
grande crisi economica: molte delle garanzie date agli istituti di
credito per ottenere prestiti si erano trasformate in un peso inusi‐
tato per il portafoglio delle banche. Occorreva anzitutto smobiliz‐
zare gli impieghi più ingombranti ed evitare poi che una simile
situazione si fosse ripresentata.
Non è il caso di raccontare qui gli avvenimenti che portarono
alla costituzione dell’Imi, dell’Iri e alla legge bancaria del 1936 64.
62 Cfr. G. Zuccoli, Riforma monetaria, estratto da Politica, fasc. 67‐68 [1925] e
Id., La fine dell’Unione monetaria latina, estratto da Politica, fasc. 72 [1927], F.
Marconcini, op. cit.
63 E. Galanti, op. cit., p. 81 ss., si veda inoltre il sempre attuale intervento di
G. Toniolo, Crisi economica e smobilizzo pubblico delle banche miste (1930‐1934), in
Id. (ed.), Industria e banca nella grande crisi 1929‐1934, Milano, Etas, 1978, pp.
284‐354. F. Belli, Le leggi bancarie del 1926 e del 1936‐38, in AA.VV., Banca e indu‐
stria tra le due guerre, II vol., Bologna, Il Mulino, 1981, cfr. anche F. Capriglione,
Crisi a confronto (1929 e 2009): il caso italiano, Padova, Cedam, 2009, pp. 12‐23 e P.
Vitale, L’ordinamento del credito tra due crisi (1929‐1973), Bologna, Il Mulino, 1977.
64 Si vedano, al riguardo i tre volume della già citata opera Banca e industria
tra le due guerre, per tutti si veda la sintesi di C. Bermond, La banca tra Grande
Guerra e grande crisi (1915‐30), in A. Cova‐S. La Francesca‐A. Moioli‐C. Ber‐
mond (eds.), op. cit., pp. 455‐502 e P. Galea, Iri, Imi e legge bancaria del 1936, ibi‐
dem, pp. 534‐602.
– 121 –
Si trattò di una regolazione dura che costrinse le banche ita‐
liane a seguire uno schema prefissato molto rigido, che venne
gradualmente affinato negli anni della ricostruzione e del dopo‐
guerra e che, nel bene e nel male, garantì al sistema creditizio
italiano una navigazione tranquilla fino all’ultimo decennio del
Novecento.
Quelle norme, infatti, evitarono l’eccesso di concorrenza, sta‐
bilirono una corrispondenza la più precisa possibile tra dinami‐
che/tipologia dei depositi e caratteristiche degli impieghi, die‐
dero ad ogni istituto un preciso spazio all’interno del sistema 65.
La garanzia veniva data dal sistema nel suo insieme essendo
garantito ogni istituto dall’intelaiatura nella quale era inserito.
Ecco quindi la seconda fase della storia delle crisi bancarie ita‐
liane, quella successiva alla regolazione iniziata con le norme del
1936.
Episodi di crisi vera e propria come quelle descritte fin qui
non se ne possono registrare: tra il 1936 e il 1974 non vi sono
crisi bancarie nemmeno lomtanamente paragonabili a quelle del
periodo precedente nel quale, come scrive significativamente
Franco Belli, «la patologia bancaria più che la fisiologia ha finito
per scandire con regolarità impressionante le tappe essenziali ...
di quel crogiuolo di azioni e di reazioni da cui trae origine, at‐
traverso varie fasi normative e di riorganizzazione istituzionale
65 Sugli istituti di credito speciale che si aggiunsero all’IMI (per il quale si
veda F. Cesarini, Alle origini del credito industriale. L’IMI negli anni ’30, Bologna,
Il Mulino, 1982 e G. Lombardo‐V. Zamagni, Storia dell’IMI, vol. 1, Bologna, Il
Mulino, 1998, e G. Lombardo, Storia dell’IMI, vol. 2, Bologna, Il Mulino, 2000,)
si rimanda a P. Galea, L’evoluzione del credito industriale nel secondo dopoguerra,
in A. Carera‐M. Taccolini‐R. Canetta (eds.), Temi e questioni di storia economica e
sociale in età moderna e contemporanea. Studi in onore di Segio Zaninelli, Milano,
Vita e Pensiero, pp. 475‐501, V. Pontolillo, Il sistema del credito speciale in Italia,
Bologna, Il Mulino, 1980 per gli istituti di Medio credito regionale cfr. Una rete
per lo sviluppo: i mediocrediti regionali (1950‐1965) apparso in Storia d’Italia, Annali,
23, A. Cova‐A. Moioli‐S. La Francesca‐C. Bermond (eds.), op. cit., pp. 824‐864;
F. Peluffo, Storia del Mediocredito centrale, Roma‐Bari, Laterza, 1997; e, più nello
specifico P. Cafaro, Uno sviluppo possibile. Il Medio credito lombardo di Giordano
Dell’Amore (1954‐1980), in S. Zaninelli‐P. Cafaro‐A. Locatelli (eds.), La banca
delle imprese. Storia del Medio credito lombardo, Roma‐Bari, Laterza,pp. 1‐176; A.
Locatelli, Il credito per l’imprenditorialità diffusa. L’esperienza del mediocredito regio‐
nale lombardo (1953‐1991), Milano, EDUCatt Università Cattolica, 2006.
– 122 –
la legislazione vigente e l’assetto attuale del sistema creditizio
italiano» 66.
In questo periodo sembrò avere raggiunto l’apice più funzio‐
nale un sistema organico nel quale non alla singola banca, ma
all’insieme del sistema vigilato dall’alto veniva richiesto il compi‐
to di raccogliere il risparmio e di trasformarlo in investimenti a
breve, a medio e a lungo termine 67. Se alcuni vincoli vi erano an‐
che sul versante della raccolta, poiché l’apertura di nuovi spor‐
telli era sottoposta a un lungo iter di autorizzazioni, era soprat‐
tutto sul versante degli impieghi che avveniva il controllo. In
questo modo la trasformazione naturale di risparmi anche minu‐
ti in impieghi a medio e lungo (ovvero l’elemento che nasconde
le maggiori insidie per un sistema bancario e finanziario in gene‐
re 68, poteva essere garantito in quello che sembrava il più tutela‐
to dei modi. «Tale erogazione del credito a medio e lungo termi‐
ne – così F. Belli – era in gran parte attuata col supporto delle a‐
gevolazioni, dagli istituti di credito speciale che, incapaci di ri‐
fornirsi autonomamente tramite collocamento delle emissioni ob‐
bligazionarie presso il pubblico, venivano messi in grado di esse‐
re riforniti dalle aziende di credito medesime alle quali risulta‐
vano così finanziariamente collegati per via diretta o indiretta» 69.
In una realtà come questa, il sistema vigilato rappresentava
una sorta di assicurazione, che nel tempo poteva palesare (soprat‐
66 A. Armento‐F. Belli‐R. Bertelli‐A. Brozzetti, op. cit., p. 60.
67 Cfr. A. Leonardi, Il sistema bancario nella ricostruzione del paese: tra vecchi e
nuovi equilibri, in A. Cova‐S. La Francesca‐A. Moioli‐C. Bermond (eds.), op. cit.,
pp. 605‐660.
68 «Le banche contraggono di regola prestiti a breve termine. In altre paro‐
le, si indebitano sotto forma di depositi che possono essere ritirati con preav‐
visi relativamente brevi. I prestiti che erogano hanno però, per la maggior
parte, una scadenza molto più lunga e possono essere difficilmente convertiti
in denaro contante con breve preavviso ... Una banca con una sana base di
depositi e un considerevole portafoglio di mezzi illiquidi può certamente ave‐
re brillanti prospettive nel lungo termine. Tuttavia se per qualche ragione tutti
i depositanti tentano di ritirare i loro fondi immediatamente – per esempio, a
causa del panico suscitato da false voci che la banca ha subito perdite scom‐
mettendo su mutui ipotecari esotici – la banca si troverà in difficoltà» (C.M.
Reinhart‐K.S. Rogoff, op. cit., p. 24. Una serie di argomebtazioni analoghe sono
in D. Douglas‐D. Philp, Bank Runs, Deposit Insurance and Liquidity, in Journal of
Political Economy, vol. 91, n. 3, 1983, pp. 401‐419.
69 A. Armento‐F. Belli‐R. Bertelli‐A. Brozzetti, op. cit., pp. 68‐69.
– 123 –
tutto sul versante dei costi) tutti gli appesantimenti che la rigidità
in un’economia in rapida evoluzione non può nel tempo evitare 70.
Il sistema, regolato o spontaneo che sia, rappresenta sempre
un costo aggiuntivo. Mentre un sistema spontaneo adattandosi
agilmente all’economia nella quale è inserito riduce al minimo le
rigidità e quindi i costi che da essi derivano (ma a prezzo di una
dispersione molto ampia), il sistema rigido regolato dalla legge
viene pagato dall’economia sotto forma di una forbice alta tra i
tassi attivi e passivi e, di conseguenza, con tutta una serie di effetti
secondari che possono appesantire ancora di più il sistema eco‐
nomico. Oltre a quello che si potrebbe definire “effetto Minsky”
dal nome dell’autore, già citato, che ha previsto di fronte a profitti
tendenzialmente sempre più facili da parte del sistema bancario
un allentamento progressivo della valutazione del merito di cre‐
dito e una maggior propensione alla speculazione pura 71.
l’analisi econometrica compiuta da Battilossi, Gigliobianco e Martinelli in me‐
rito all’efficienza allocativa delle risorse finanziarie in un sistema economico
come quello italiano orientato principalmente all’intermediazione bancaria,
negli ultimi 70 anni: «Cointegration tests show that the volume of bank credit
to the industrial sectors of the Italian economy tends, in the long run, to adjust
to changes in growth opportunities. The intensity of the relationship between
variables changes, though, and so does the velocity of adjustment. Data, and
econometric tests, are not completed for all sub‐periods yet. What emerges so
far is that after the financial liberalizations of the early Nineties the efficiency
of allocation across sectors of the banking system improved» (Battilossi‐A. Gi‐
gliobianco‐G. Martinelli, op. cit., p. 18). La parte finale delle conclusioni, però
si spinge in un campo nel quale è difficile dare un giudizio storico perché atti‐
nente ad un processo ancora in atto («The present structural difficulties of the
Italian economy do not seem to depend, therefore, on the ability of the banks to
select the industrial sectors to which lend money»). Si può però immaginare che
una sempre più efficiente allocazione delle risorse derivante da libertà di mo‐
vimento e di scelta conviva con un margine di rischio sempre più elevato.
71 «In breve, ciò che sostiene Minsky è questo. Un capitalismo finanziaria‐
– 124 –
Nel caso italiano si pensi ad esempio all’accrescimento fino
al livelli molto ampi della spesa pubblica finanziata attraverso il
sistema bancario direttamente o con il sistema della doppia in‐
termediazione 72, oppure alle forme patologiche di spreco che i
margini molto elevati di un sistema bancario quasi totalmente
pubblico consentivano 73.
Così se l’equilibrio che poteva essere insidiato da fenomeni
di sofferenza o di aperta crisi di un istituto o di una categoria
d’istituti (in massima parte quelli di dimensione medio‐piccola)
sfociava in rischio di dissesto, veniva generalmente superato
con provvedimenti di incorporazione o di fusione tra banche.
Numero delle aziende incorporate negli anni 1963‐1982
Totale
(1) (2) (3) (4)
incorporaz.
1963‐1967 11 06 09 026
1968‐1972 45 24 10 079
1973‐1977 21 17 10 048
1978‐1982 13 10 13 036
Totale 90 57 42 189
Fonte: A. Armeto‐F. Belli‐R. Bertelli‐A. Brozzetti, Un ventennio di crisi bancarie, cit.,
p. 82.
1. Casse rurali e artigiane.
2. Banche di credito ordinario.
3. Banche popolari cooperative.
4. Casse di risparmio, Monti di credito su pegno di prima categoria.
diventano ‘speculative’. è proprio questa attitudine speculativa che in Minsky
(come in Marx, peraltro) accelera l’investimento di lungo termine. La posizio‐
ne speculativa è caratterizzata da entrate nette monetarie di cassa sufficienti a
pagare gli interessi, ma non a restituire la quota annuale del capitale preso a
prestito. In alcuni periodi le unità economiche devono rifinanziarsi. In questo
caso, però, al rischio economico si aggiunge il rischio finanziario», R. Bellofio‐
re, La crisi capitalistica, la barbarie che avanza, Trieste, Asterios, 2012, p. 12.
72 Si veda al riguardo la descrizione proposta da F. Cesarini, Le aziende di
credito italiane, Bologna, Il Mulino, 1981, pp. 15‐42.
73 Sui “guasti” di natura politica e sulla propensione del denaro accumula‐
to e non fatto rapidamente circolare si vedano le affermazioni di M. Amato‐L.
Fantacci, Fine della finanza. Da dove viene la crisi e come si può pensare di uscirne,
Roma, Donzelli, 2009, p. 7.
– 125 –
Pochissimi i casi di liquidazione coatta amministrativa.
Numero delle procedure di liquidazione coatta amministrativa
avviate negli anni 1963‐1982
Fonte: A. Armeto‐F. Belli‐R. Bertelli‐A. Brozzetti, Un ventennio di crisi bancarie, cit.,
p. 82.
1. Casse rurali e artigiane.
2. Banche di credito ordinario.
3. Banche popolari cooperative.
4. Casse di risparmio, Monti di credito su pegno di prima categoria.
L’inizio degli anni ’70 mostrarono un primo segnale di cam‐
biamento di tendenza: dissesti bancari come quelli della Banca
privata italiana di Michele Sindona (fallita nel 1974) o del Banco
Ambrosiano di Roberto Calvi 74 rischiarono di sovvertire in mo‐
do sostanziale il sistema. Anche se l’intervento delle autorità di
vigilanza e di governo fu tempestivo ed evitò maggiori danni al
sistema, gli strascichi furono di lunga portata 75.
Un ritorno al passato? Qualcuno notò tra le analogie con i più
gravi dissesti bancari della storia italiana (ad esempio quelli di
fine Ottocento) «un intreccio malavitoso tra politica e finanza» 76,
ma a giudizio di chi scrive la vera analogia stava nei primi affan‐
ni di una vigilanza sempre più disarmata rispetto all’incipiente
fenomeno della globalizzazione finanziaria.
Il caso dell’Ambrosiano, ad esempio, denunciava molto bene
l’estensione di affari su molte piazze lontane, del tutto esterne al‐
74 Cfr. C. Bellavite Pellegrini, Storia del Banco Ambrosiano. Fondazione, ascesa
e dissesto. 1896‐1982, Roma‐Bari, Laterza, 2001.
75 F. Giordano, Storia del sistema bancario italiano, Roma, Donzelli, 2007, p. 97 ss.
76 A. Armento‐F. Belli‐R. Bertelli‐A. Brozzetti, op. cit., p. 62.
– 126 –
la portata delle autorità di vigilanza, in un contesto di forze e di
poteri che non avrebbero esitato a sferrare un attacco violento ai
vertici della Banca d’Italia 77.
Probabilmente fu quello il primo segnale dell’inevitabilità di
un cambio di rotta, cambio che concretamente si esplicò tra la fine
degli anni ’80 e l’inizio dell’ultimo decennio del secolo con le di‐
rettive CEE, la legge Amato‐Ciampi e tutto quello che ne seguì 78.
Era maturo il tempo per ricominciare a scommettere sull’effi‐
cienza ingenerata dal sistema spontaneo in un contesto di libe‐
ralizzazione e di concorrenza che allo storico sembra ripropor‐
re, ovviamente su un piano differente, l’antico.
La scommessa era nella capacità, in un mondo globale anco‐
ra privo di regole condivise e applicabili, dell’autogenerazione,
sotto lo stimolo di una concorrenza mai sperimentata, di un si‐
stema interconnesso su scala sempre più ampia.
Era il tentativo (giudicato inevitabile) di ricominciare a navi‐
gare autonomamente, ma questa volta nei grandi spazi di un
oceano finanziario globale.
4. Conclusioni
Le crisi bancarie “sovversive” sorgono dunque perlopiù nel‐
le fasi di lento autoregolarsi del sistema: una constatazione da cui
possiamo partire per trarre qualche considerazione sulla crisi
odierna, finanziaria e bancaria.
L’antidoto, come si è cercato di mostrare, è sempre stato in
una sorta di “assicurazione sistemica” dai costi non sempre sop‐
portati dall’economia. Un tale ombrello assicurativo, per giunta,
non sempre può essere disponibile.
Se si osserva quanto è avvenuto negli ultimi vent’anni sotto
questa luce, però, si ha l’impressione che, dopo l’iniziale periodo
di liberalizzazione e despecializzazione, ci si muova su un bina‐
rio analogo a quanto già sperimentato: i grandi gruppi bancari,
77 Cfr. M. Onado, L’attacco alla Banca d’Italia e la politica di vigilanza, in Politica
ed Economia, n. 3, 1979.
78 Cfr. F. Cesarini, Il sistema bancario nell’ultimo decennio: i nuovi assetti, in A.
Cova‐S. La Francesca‐A. Moioli‐C. Bermond (eds.), op. cit., pp. 865‐913.
– 127 –
sempre più polimorfici, sono forse già agglomerati di entità spe‐
cializzate e preposte a ruoli distinti. Si tratta di galassie tutt’al‐
tro che monocordi, interagenti le une con le altre ed in bilico co‐
stante tra concorrenza e dialogo dialettico. Quale il target verso
il quale si tende?
Probabilmente un grande spontaneo sistema su scala mon‐
diale.
È un percorso difficile che dall’esterno può sembrare di stop
and go, proprio come quello che si è descritto in relazione ai si‐
stemi spontanei regionali di fine Ottocento. Sistemi che, però, per
poter esplicare il proprio ruolo di efficiente sicurezza per rispar‐
miatore e l’investitore su scala nazionale hanno dovuto passare
attraverso vincoli normativi assai rigidi.
Potrebbe avvenire ora qualcosa di analogo: ciò fa pensare alla
crisi finanziaria e bancaria attuale come ad uno strumento di pa‐
lingenesi capace di affrettare un sistema globale, però attraverso
una fase preventiva di adeguata regolazione su scala europea.
Se così è, molto attuale e stimolante appare l’osservazione di
Maffeo Pantaleoni in occasione della drammatica caduta del
Credito Mobiliare. Il grande economista liberale concludeva co‐
sì il suo famoso articolo apparso sul “Giornale degli economisti”
nel 1895: «Disgrazie, errori e colpe, antiche e recenti, non di uno,
ma di molti, difetti di uomini e di istituzioni hanno unitamente
condotto a questo risultato. Sarebbe desso forse un aspetto sol‐
tanto di uno sfacelo maggiore? Se ciò dovesse essere, venga pre‐
sto il dies irae. Sappiamo rifabbricare!» 79.
79 M. Pantaleoni, op. cit., p. 199.
– 128 –