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11 agosto 2018

Elementi fondamentali
della dottrina sociale della Chiesa
Antonio G. Masi

Brevi annotazioni introduttive


Soprattutto a partire dall'enciclica Rerum Novarum (1891), il Magistero evidenzia
una viva e costante sollecitudine verso le problematiche sociali, attestata dai numerosi
documenti specificamente emanati in materia.
Il presente elaborato si propone di offrire una panoramica degli aspetti più pregnanti
dell'insegnamento sociale della Chiesa – natura, obiettivi, fonti, soggetti, fasi, principi e
valori – tenendo conto sia dei documenti ecclesiali sia degli studi specialistici condotti al
riguardo, gli uni e gli altri all'occorrenza citati in forma diretta o indiretta.
Per motivi di praticità e di snellezza testuale, i documenti da cui sono tratte le
citazioni inserite nella trattazione sono indicati mediante le sigle di seguito elencate:
CA Lettera enciclica Centesimus annus
CV Lettera enciclica Caritas in veritate
CCC Catechismo della Chiesa Cattolica
CDS Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa
CIC Codex Iuris Canonici (Codice di Diritto Canonico)
DC Documento della Conferenza Episcopale Austriaca DoCat
GS Costituzione conciliare Gaudium et spes
LE Lettera enciclica Laborem exercens
PP Lettera enciclica Populorum progressio
SRS Lettera enciclica Sollicitudo rei socialis.

1. Natura e obiettivi
Il numero 41 dell'enciclica Solicitudo rei socialis (1987) di Giovanni Paolo II
definisce la dottrina sociale della Chiesa come

l'accurata formulazione dei risultati di un'attenta riflessione sulle complesse realtà


dell'esistenza dell'uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e
della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone
la conformità o difformità con le linee dell'insegnamento del Vangelo sull'uomo e sulla sua
vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il comportamento cristiano.

Dunque, la dottrina sociale della Chiesa ha una natura teologico-morale. Si colloca,


cioè, nel punto d'intersezione tra la coscienza morale cristiana e le più diverse situazioni
dell'esistenza umana, al fine di guidare la condotta – in ambito sociale, culturale, politico
ed economico – tanto di singoli individui quanto di famiglie e di altre forme aggregative.

-1-
In sostanza, offre i principi di riflessione, i criteri di giudizio e le direttive di azione da
cui partire per la promozione di un umanesimo integrale e solidale1.
«La dottrina sociale ha di per sé il valore di uno strumento di evangelizzazione»
(CA 54) in un sempre rinnovato incontro tra il messaggio evangelico e le vicende storiche
dell'umanità.

Per la Chiesa insegnare e diffondere la dottrina sociale appartiene alla sua missione
evangelizzatrice e fa parte essenziale del messaggio cristiano, perché tale dottrina ne
propone le dirette conseguenze nella vita della società ed inquadra il lavoro quotidiano e le
lotte per la giustizia nella testimonianza a Cristo Salvatore (CA 5).

Si tratta di un'attività tutt'altro che marginale, che anzi si colloca al cuore stesso
della ministerialità della Chiesa la quale, mediante essa, «annuncia Dio e il mistero di
salvezza in Cristo ad ogni uomo e, per la medesima ragione, rivela l'uomo a se stesso»
(CA 54). Nell'annunziare il Vangelo, la Chiesa «attesta all'uomo, in nome di Cristo, la sua
dignità e la sua vocazione alla comunione delle persone; gli insegna le esigenze della
giustizia e della pace, conformi alla sapienza divina» (CCC 2419).
Proprio in quest'ottica, tratta tematiche quali: i diritti umani, la famiglia,
l'educazione, i doveri dello Stato, l'ordinamento della società nazionale e internazionale,
la vita economica, la cultura, la pace, il rispetto verso la vita dal momento del
concepimento fino alla morte2. Con il proprio insegnamento sociale, «la Chiesa intende
diffondere ed attualizzare il Vangelo nella complessa rete delle relazioni sociali», fino a
poter con esso «fecondare e fermentare la società stessa» (CDS 62).
É un suo diritto evangelizzare il sociale, ossia «far risuonare nel cuore degli uomini
la carica di senso e di liberazione del Vangelo» (CDS 63), illuminandoli e
accompagnandoli «nel complesso mondo della produzione, del lavoro, dell'imprenditoria,
della finanza, del commercio, della politica, della giurisprudenza, della cultura, delle
comunicazioni sociali» (CDS 70), affinché possano costruire una società più umana, in
quanto più conforme al regno di Dio.
Dunque, nel formulare e proporre un insegnamento sociale, la Chiesa non si
discosta affatto dalla propria missione, bensì le rimane strettamente fedele.

La redenzione compiuta da Cristo e affidata alla missione salvifica della Chiesa è


certamente di ordine soprannaturale. Questa dimensione non è espressione limitativa, bensì
integrale della salvezza. Il soprannaturale non è da concepire come un'entità o uno spazio
che comincia dove finisce il naturale, ma come l'elevazione di questo, così che niente
dell'ordine della creazione e dell'umano è estraneo ed escluso dall'ordine soprannaturale e
teologale della fede e della grazia, ma piuttosto vi è riconosciuto, assunto ed elevato (CDS
64).

La Chiesa è legittimata ad intervenire in materia sociale per il fatto che «la salvezza
cristiana è un messaggio, anzi un evento, intrinsecamente "storico"»3. Incarnandosi, il
Verbo assume e ricapitola in sé la storia dell'umanità, nella sua interezza e complessità4.
Non si possono concepire e separare due differenti "storie" – l'una sacra, l'altra profana –

1
Cfr. CDS 7.
2
Cfr. CA 54.
3
Bartolomeo SORGE, Brevi lezioni di dottrina sociale, Queriniana, Brescia 2017, p. 10.
4
Cfr. GS 38.

-2-
giacché l'uomo è inserito in una storia unica e unitaria5, in cui Dio interviene
personalmente e direttamente6.
La Chiesa smentirebbe se stessa e la sua fedeltà a Cristo se rinunciasse ad essere
per l'uomo maestra della verità della fede, non solo sul piano dogmatico ma anche
morale7: «la coerenza nei comportamenti manifesta l'adesione del credente e non è
circoscritta all'ambito strettamente ecclesiale e spirituale, ma coinvolge l'uomo in tutto il
suo vissuto e secondo tutte le sue responsabilità» (CDS 70). L'evangelizzazione «non
sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello che si fanno continuamente
il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale dell'uomo» (CDS 66). La Chiesa non può
rimanere indifferente rispetto a tutto ciò che nella società si sceglie e si attua, ovvero alla
qualità morale della vita sociale.

La società e con essa la politica, l'economia, il lavoro, il diritto, la cultura non costituiscono
un ambito meramente secolare e mondano e perciò marginale ed estraneo al messaggio e
all'economia della salvezza. La società, infatti, con tutto ciò che in essa si compie, riguarda
l'uomo (CDS 62).

La Chiesa è solidale verso tutti gli uomini, di qualsiasi luogo e tempo,


condividendone gioie, speranze, angosce e tristezze, e annunziando il regno di Dio, che
con Gesù Cristo è venuto in mezzo a loro8. Con la sua dottrina sociale, la Chiesa «si
propone di assistere l'uomo nel cammino della salvezza» (CA 54). Questo è il suo fine
unico e precipuo. Certamente non è sua intenzione invadere gli ambiti di competenza
altrui, trascurando i propri9. Non può né deve sostituirsi allo Stato e alla politica. Infatti,
«non offre soluzioni tecniche riguardo a singoli problemi sociali. Non fa direttamente
politica, ma ispira la politica a partire dal Vangelo» (DC 31).
L'intento della dottrina sociale è di ordine religioso e morale: religioso, perché la
missione evangelizzatrice e salvifica della Chiesa abbraccia l'uomo nella piena verità del
suo essere e della sua esistenza a livello sia personale sia comunitario; morale, perché la
Chiesa mira ad un «umanesimo plenario» che assicuri lo «sviluppo di tutto l'uomo e di
tutti gli uomini» (PP 42).

Scoprendosi amato da Dio, l'uomo comprende la propria trascendente dignità, impara a non
accontentarsi di sé e ad incontrare l'altro in una rete di relazioni sempre più autenticamente
umane. Uomini resi nuovi dall'amore di Dio sono in grado di cambiare le regole e la qualità
delle relazioni e anche le strutture sociali: sono persone capaci di portare pace dove ci sono
conflitti, di costruire e coltivare rapporti fraterni dove c'è odio, di cercare la giustizia dove
domina lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Solo l'amore è capace di trasformare in modo

5
Igino GIORDANI, Il messaggio sociale del cristianesimo, Città Nuova, Roma 2001, p. 19, osserva: «Sta
tuttora qui il nocciolo della critica e della polemica: liberali, protestanti tradizionalisti, socialisti e
nazionalisti più radicali in sostanza intendono la religione come affare privato, la cui genesi,
svolgimento e catarsi compongono un ciclo che si conchiude tutto nel fondo della coscienza individuale,
o tutt'al più si estrinseca nell'esercizio del culto, e giustificano tale pretesa con l'attribuire a Cristo un
totale disinteresse delle cose di quaggiù, scordando che Egli con l'Incarnazione entrò a far parte della
natura umana e per tre anni non solo predicò, ma curò malati, pacificò avversari e consolò tribolati».
6
Cfr. SORGE, op. cit., p. 10.
7
«È compito della Chiesa annunciare sempre e dovunque i principi morali anche circa l'ordine sociale, e
così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in quanto lo esigono i diritti fondamentali
della persona umana o la salvezza delle anime» (CIC, c. 747 § 2).
8
Cfr. GS 1.
9
Cfr. CDS 69.

-3-
radicale i rapporti che gli esseri umani intrattengono tra loro (CDS 4).

In definitiva, la Chiesa intende proporre e favorire un umanesimo integrale e


solidale – corrispondente al disegno d'amore di Dio sulla storia10 – che sia «capace di
animare un nuovo ordine sociale, economico e politico, fondato sulla dignità e sulla
libertà di ogni persona umana, da attuare nella pace, nella giustizia e nella solidarietà»
(CDS 19). È da tenere ben presente che

la compiuta realizzazione della persona umana, attuata in Cristo grazie al dono dello
Spirito, matura nella storia ed è mediata dalle relazioni della persona con le altre persone,
relazioni che, a loro volta, raggiungono la loro perfezione grazie all'impegno teso a
migliorare il mondo (CDS 58).

Con la sua dottrina sociale la Chiesa, «esperta di umanità» (PP 13), si rivolge
all'uomo «in quanto inserito nella complessa rete di relazioni delle società moderne» (CA
54): «essa è in grado di comprenderlo nella sua vocazione e nelle sue aspirazioni, nei suoi
limiti e nei suoi disagi, nei suoi diritti e nei suoi compiti, e di avere per lui una parola di
vita da far risuonare nelle vicende storiche e sociali dell'esistenza umana» (CDS 61).
La dottrina sociale assolve un duplice compito di annuncio e denuncia. Il primo
riguarda ciò che la Chiesa possiede di proprio, ossia «una visione globale dell'uomo e
dell'umanità» (PP 13), ad un livello non solo teorico, ma anche pratico. Il secondo attiene,
invece, al «peccato d'ingiustizia e di violenza che in vario modo attraversa la società e in
essa prende corpo» (CDS 81). La denuncia di strutture socio-politico-economiche che
contraddicono il messaggio evangelico11 diviene strumento di difesa dei diritti contro le
più diverse forme di disconoscimento e violazione perpetrate soprattutto ai danni dei più
poveri, piccoli e deboli.
L'amore cristiano sprona inevitabilmente gli uomini ad assumersi un concreto
impegno di denuncia, proposta, progettazione e operosità. Del resto, «l'umanità
comprende sempre più chiaramente di essere legata da un unico destino che richiede una
comune assunzione di responsabilità, ispirata da un umanesimo integrale e solidale»
(CDS 6). L'amore vicendevole è l'autentico fine – al contempo storico e trascendente –
dell'umanità12. «Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno
dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, tale progresso, nella misura in cui può
contribuire a meglio ordinare l'umana società, è di grande importanza per il regno di Dio»
(GS 39).
La trasformazione dei rapporti sociali in conformità alle esigenze del regno di Dio
non è mai perseguita e concretamente attuata una volta per tutte.

È lo stesso Spirito del Signore, che conduce il popolo di Dio e insieme riempie l'universo,
a ispirare, di tempo in tempo, soluzioni nuove e attuali alla responsabile creatività degli
uomini, alla comunità dei cristiani inserita nel mondo e nella storia e perciò aperta al
dialogo con tutte le persone di buona volontà, nella comune ricerca dei germi di verità e di
libertà disseminati nel vasto campo dell'umanità. La dinamica di tale rinnovamento va

10
Cfr. Mauro RICCARDI, Dottrina sociale della Chiesa. Sintetico studio sui documenti magisteriali situati
nel loro contesto storico, Roma 2011, p. 12.
11
Cfr. DC 23.
12
«É lo stesso mistero di Dio, l'Amore trinitario, che fonda il significato e il valore della persona, della
socialità e dell'agire umano nel mondo, in quanto è stato rivelato e partecipato all'umanità per mezzo di
Gesù Cristo, nel Suo Spirito» (CDS 54).

-4-
ancorata ai principi immutabili della legge naturale, impressa da Dio Creatore in ogni Sua
creatura e illuminata escatologicamente tramite Gesù Cristo (CDS 53).

L'intera comunità cristiana è dunque chiamata ad un continuo cammino di


riflessione e operosità sui sentieri tracciati dal Vangelo, lasciandosi guidare e sostenere
dallo Spirito Santo.

2. Fonti, soggetti e fasi


Nella sua continua attenzione all'uomo in quanto immerso nella società, la Chiesa
ha progressivamente accumulato un ricco patrimonio dottrinale, che affonda le sue radici
nella Sacra Scrittura13 (in particolare nel Vangelo e negli scritti apostolici) nonché nelle
riflessioni dei Padri della Chiesa e dei grandi Dottori del Medioevo14. Dall'inesauribile
sorgente della Rivelazione biblica e della Tradizione, la Chiesa ha attinto «l'ispirazione e
la luce per comprendere, giudicare e orientare l'esperienza umana e la storia. Prima e al
di sopra di tutto sta il progetto di Dio sul creato e, in particolare, sulla vita e sul destino
dell'uomo chiamato alla comunione trinitaria» (CDS 74).
La fede e la ragione – l'una con lo sguardo rivolto alla Rivelazione, l'altra attenta
alla natura umana – costituiscono due vie conoscitive indissolubili ai fini
dell'elaborazione della dottrina sociale15. La parola divina è accolta e messa in pratica
dalla fede, mediante un'efficace interazione con la ragione16.
«La dottrina sociale della Chiesa si giova di tutti i contributi conoscitivi, da
qualunque sapere provengano, e possiede un'importante dimensione interdisciplinare»
(CDS 76). In particolare, è molto importante il contributo della filosofia ai fini di una
corretta comprensione di concetti basilari, quali: la persona, la coscienza, la libertà, la
società, l'etica, il diritto, la giustizia, il bene comune, la solidarietà, la sussidiarietà, lo
Stato17. Inoltre, affinché la sua dottrina sociale possa avere i necessari requisiti di
competenza, concretezza e attualità, la Chiesa non può prescindere da un'attenta e
costante apertura alle scienze.

Grazie ad esse, la Chiesa può comprendere in modo più preciso l'uomo nella società, parlare
agli uomini del proprio tempo in modo più convincente e adempiere più efficacemente il
suo compito di incarnare, nella coscienza e nella sensibilità sociale del nostro tempo, la
Parola di Dio e la fede (CDS 78).

La dottrina sociale della Chiesa, essendo illuminata dalla perenne luce del Vangelo
e animata da una costante attenzione all'evoluzione della società, è caratterizzata da
continuità e rinnovamento. La sua continuità si manifesta da un lato, nel costante e
indefettibile richiamo ai valori universali derivanti dalla Rivelazione e dalla natura
umana, dall'altro, nell'indipendenza dalle diverse culture, ideologie e opinioni.
Si tratta, dunque, di un insegnamento che «si mantiene identico nella sua ispirazione
di fondo, nei suoi "principi di riflessione", nei suoi "criteri di giudizio", nelle sue basilari

13
Cfr. RICCARDI, op. cit., p. 9.
14
Cfr. CDS 87.
15
Cfr. CDS 75.
16
Cfr. CDS 74.
17
Cfr. CDS 77.

-5-
"direttrici di azione" e, soprattutto, nel suo vitale collegamento col Vangelo del Signore»
(SRS 3). Tuttavia, è inevitabilmente soggetto a progressivi adattamenti18, resi opportuni
o necessari dal variare delle situazioni storiche e dall'incessante fluire degli avvenimenti
in cui si svolge la vita degli uomini e delle società19.

Madre e Maestra, la Chiesa non si chiude e non si ritrae in se stessa, ma è sempre esposta,
protesa e rivolta verso l'uomo, il cui destino di salvezza è la propria ragion d'essere. Essa è
tra gli uomini l'icona vivente del Buon Pastore, che va a cercare e a trovare l'uomo là
dov'egli è, nella condizione esistenziale e storica del suo vissuto. Qui la Chiesa gli si fa
incontro con il Vangelo, messaggio di liberazione e di riconciliazione, di giustizia e di pace
(CDS 86).

Si parla di dottrina sociale "della Chiesa" perché proprio essa è il soggetto che la
elabora e la diffonde, promuovendone l'applicazione pratica. Ciò non è prerogativa solo
di una o più componenti specifiche del corpo ecclesiale, ma dell'intera comunità. Infatti,
essendo «espressione del modo in cui la Chiesa comprende la società e si pone nei
confronti delle sue strutture e dei suoi mutamenti», l'insegnamento sociale «non è solo il
frutto del pensiero e dell'opera di persone qualificate, ma è il pensiero della Chiesa» (CDS
79) nella sua unitarietà.
I molteplici e multiformi contributi offerti dal popolo di Dio «sono assunti,
interpretati e unificati dal Magistero, che promulga l'insegnamento sociale come dottrina
della Chiesa» (CDS 79). Tale attività è realizzata dal Papa e dai Vescovi in comunione
con lui20, in forza dell'autorità conferita da Gesù Cristo agli Apostoli e ai loro successori21.
Di primaria importanza è il Magistero universale esercitato dal Papa e dal Concilio, il
quale determina l'indirizzo della dottrina sociale e ne delinea lo sviluppo. Tale
insegnamento è poi specificato, esplicitato e attualizzato, da parte dei Vescovi, alla luce
delle molteplici e variegate situazioni che concretamente si riscontrano a livello locale22.
Essendo parte dell'insegnamento morale della Chiesa, la dottrina sociale ha la
dignità e l'autorevolezza proprie di tale insegnamento. Si tratta di Magistero autentico
che, in quanto tale, esige accettazione e adesione da parte dei fedeli 23. Tuttavia, il peso
dottrinale dei vari insegnamenti sociali e l'impegno di adesione da essi richiesto «vanno
valutati in funzione della loro natura, del loro grado di indipendenza da elementi
contingenti e variabili e della frequenza con cui sono richiamati» (CDS 80).
La prima destinataria della dottrina sociale è l'intera comunità ecclesiale, atteso che
tutti i suoi membri sono chiamati ad assumersi ineludibili responsabilità sociali: la loro
coscienza è infatti direttamente sollecitata a riconoscere e adempiere i doveri di giustizia
e carità nella vita sociale. Ogni cristiano è poi specificamente interpellato «secondo le
competenze, i carismi, gli uffici e la missione di annuncio propri di ciascuno» (CDS 83).
La dottrina sociale implica esplicite responsabilità circa la costruzione,

18
SORGE, op. cit., p. 12, afferma: «Si rinnovano continuamente tanto il metodo di lettura delle situazioni
storiche che concretamente si susseguono, quanto la modalità di risposta etico-religiosa alle
problematiche via via emergenti».
19
Cfr. SRS 3.
20
Cfr. CCC 2034.
21
Cfr. CDS 79.
22
«Accanto alle prese di posizione relative alla Chiesa universale, ossia i testi dottrinali di Papi, concili,
Curia romana, fanno parte della dottrina sociale della Chiesa anche le prese di posizioni regionali, per
esempio le dichiarazioni sulle questioni sociali da parte di una Conferenza episcopale» (DC 25).
23
Cfr. CCC 2037.

-6-
l'organizzazione e il funzionamento della società. Ne derivano obblighi in ambito politico,
economico e amministrativo che, essendo di natura squisitamente secolare, gravano
specificamente sui fedeli laici, anziché sui sacerdoti e sui religiosi24.
Sebbene indirizzata primariamente e specificamente ai figli della Chiesa, la dottrina
sociale ha una destinazione universale. Infatti, non contenendo nulla di incomprensibile
attraverso la pura e semplice ragione, essa si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà25.
Tutti dovrebbero sentirsi personalmente interpellati, anche se sono membri di altre chiese
e comunità ecclesiali, seguaci di altre tradizioni religiose, o non appartenenti ad alcun
gruppo religioso26.
L'insegnamento sociale non è stato concepito fin da principio come un sistema
organico; al contrario si è formato progressivamente nel corso del tempo, attraverso i
numerosi interventi del Magistero sulle varie tematiche sociali via via postesi alla sua
attenzione. Ciò spiega alcune oscillazioni circa la natura, il metodo e la struttura
epistemologica27.
L'espressione "dottrina sociale" è stata coniata da Pio XI28 per designare il corpus
dottrinale sviluppatosi nella Chiesa – a partire dall'enciclica Rerum novarum di Leone
XIII – con specifico riferimento a tematiche sociali, anche se la sollecitudine della Chiesa
verso le stesse non ha avuto certamente inizio con tale documento (essa, infatti, non si è
mai disinteressata dell'uomo e della società)29.
É possibile individuare cinque fasi nella formazione della dottrina sociale30. La
prima, detta dell'"ideologia cattolica" (1891-1931), è avviata da Papa Leone XIII con la
Rerum novarum (1891), prima grande enciclica sociale. A seguito della rivoluzione
industriale, esplode in occidente la cosiddetta "questione sociale", che trova la sua più
acuta manifestazione nella lotta di classe tra padroni e proletari. Il pontefice esprime una
ferma condanna tanto del liberismo quanto del socialismo, contrapponendo a entrambe
l'ideologia cattolica, da lui proposta come una "filosofia perenne", in quanto fondata sulla
Rivelazione e sul diritto naturale.
La seconda è la fase della "nuova cristianità" (1931-1958), i cui protagonisti sono i
papi Pio XI e Pio XII. Si assiste al passaggio dal confronto filosofico-ideologico sulla
lotta di classe a quello tra due contrapposti sistemi socio-economici, ovvero capitalismo
e comunismo. Nell'enciclica Quadragesimo anno (1931), Pio XI indica una terza via
concretamente percorribile, ossia quella di una "civiltà cristiana" fondata su principi etici
e religiosi, mentre Pio XII, a partire dalle tesi di J. Maritain, tenta di elaborare un modello
di "nuova cristianità".
La terza fase è all'insegna del "dialogo" (1958-1978). Corrisponde ai pontificati di
Giovanni XXIII e Paolo VI, a cavallo dei quali si svolge il Concilio Vaticano II. Ormai la
"questione sociale" ha dimensioni planetarie: non verte più sulla contrapposizione tra due
classi o tra due sistemi socio-economici, bensì sull'equilibrio tra il Nord e il Sud del
mondo (ricco, il primo, e povero, il secondo). Alla luce del nuovo scenario, il Magistero
sottolinea l'inderogabile necessità del dialogo. Quanto alla metodologia, l'enciclica Mater

24
Cfr. CDS 83.
25
«La luce del Vangelo, che la dottrina sociale riverbera sulla società, illumina tutti gli uomini, ed ogni
coscienza e intelligenza sono in grado di cogliere la profondità umana dei significati e dei valori da essa
espressi e la carica di umanità e di umanizzazione delle sue norme d'azione» (CDS 84).
26
Cfr. DC 35.
27
Cfr. CDS 72.
28
Cfr. QA 9.
29
Cfr. CDS 87.
30
Cfr. SORGE, op. cit., pp. 12-23.

-7-
et Magistra (1961) di Giovanni XXIII segna il passaggio dal metodo deduttivo al metodo
induttivo, fondato sull'iter vedere-giudicare-agire. Anziché assumere come punto di
partenza i principi della Rivelazione e del diritto naturale per addivenire ad un modello
di società cristiana attuabile in ogni tempo e luogo, si comincia con la lettura dei "segni
dei tempi", per poi procedere ad interpretarli alla luce del Vangelo e dell'insegnamento
della Chiesa, e infine individuare le scelte da compiere.
La quarta fase, orientata a un nuovo "umanesimo globale" (1978-2013), include i
pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Nel 1989, anno della caduta del muro
di Berlino, implode il modello del "socialismo reale" ispirato al marxismo; nel 2008, con
l'esplosione della "bolla finanziaria", fallisce il "liberal-capitalismo finanziario" di
matrice liberale; nel frattempo entra in crisi anche il modello di "nuova cristianità" a causa
della dilagante secolarizzazione e delle linee dottrinali e pastorali tracciate dal Concilio
Vaticano II, che considera la Chiesa non più come "società perfetta", ma come "popolo di
Dio in cammino nella storia". Si afferma una nuova "ideologia tecnocratica" rinveniente
da un'imperante cultura libertaria, per cui l'uomo, facendo leva sui progressi della scienza
e della tecnica, si concepisce come «il solo autore di se stesso, della sua vita e della
società» (CV 34). La "questione sociale" assume, dunque, una connotazione
specificamente antropologica, focalizzandosi sulla qualità della vita umana in se stessa,
con i suoi valori e diritti fondamentali.
La quinta fase, iniziata nel 2013 e tuttora in atto, è quella della "rivoluzione" avviata
da papa Francesco che, fin dall'esortazione apostolica Evangelii gaudium (2013),
sottolinea la forza "rinnovatrice" del Vangelo, la quale è tanto maggiore quanto più esso
è effettivamente vissuto e testimoniato, dato che il linguaggio concreto della vita è l'unico
universalmente compreso.
La Chiesa ha recentemente compiuto un grande sforzo teso ad offrire una visione
complessiva e sistematica, ma al contempo sintetica, del proprio insegnamento sociale.
Esso ha avuto quale esito la pubblicazione del Compendio della Dottrina Sociale della
Chiesa (2004) da parte del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. In tale
documento vengono organicamente richiamati, in relazione alle varie questioni sociali,
gli aspetti teologici, filosofici, morali, culturali e pastorali più rilevanti dell'insegnamento
sociale della Chiesa31. Ne scaturisce una chiara testimonianza della «fecondità
dell'incontro tra il Vangelo e i problemi che l'uomo affronta nel suo cammino storico»
(CDS 8).

3. Principi
La dottrina sociale della Chiesa si fonda su alcuni principi permanenti, quali: la
dignità della persona umana, il bene comune, la sussidiarietà e la solidarietà32. Essi
rappresentano dei veri e propri cardini dell'insegnamento sociale cattolico, in quanto
esprimono l'intera verità sull'uomo, conosciuta mediante la ragione e la fede. Scaturiscono
dall'incontro tra il messaggio evangelico (con le sue esigenze, riassumibili nel
comandamento supremo dell'amore di Dio e del prossimo) e i problemi derivanti dalla

31
«Questo documento è un atto di servizio della Chiesa agli uomini e alle donne del nostro tempo, ai quali
essa offre il patrimonio della sua dottrina sociale, secondo quello stile di dialogo con cui Dio stesso, nel
Suo Figlio unigenito fatto uomo, "parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e vive
fra essi (cfr. Bar 3,38)"» (CDS 13).
32
Cfr. CDS 160.

-8-
vita della società33.
I suddetti principi hanno un carattere generale e fondamentale, dal momento che
riguardano la realtà sociale nel suo complesso: dalle relazioni interpersonali più prossime
a quelle mediate dalla politica, dall'economia e dal diritto; dai rapporti interni a singole
comunità e gruppi a quelli tra nazioni e popoli diversi 34.
In virtù della loro permanenza nel tempo e universalità di significato, sono assunti
dalla Chiesa come basilari parametri di riferimento per l'interpretazione e la valutazione
dei fenomeni sociali, oltreché per il discernimento previo all'agire in ambito sociale 35. È
doveroso precisare che i singoli principi si richiamano e si illuminano vicendevolmente,
in quanto esprimono – tutti insieme – l'antropologia cristiana nella sua interezza e
complessità, la quale scaturisce dalla Rivelazione dell'amore di Dio verso gli uomini36.

a. Dignità umana
Il principio della dignità umana è senz'altro quello che ispira tutti gli altri e dà
un'impronta decisiva ad ogni contenuto della dottrina sociale. Muove dal presupposto che
«ogni essere umano è unico, perché Dio lo ha voluto come persona irripetibile, creata per
amore e redenta con un amore ancora più grande» (DC 54). «Dio non fa preferenze di
persone» (At 10,34). Qualcosa della sua gloria risplende sul volto di ciascun uomo. La
dignità di ogni persona umana davanti al Creatore sta a fondamento di quella davanti alle
altre persone e della radicale uguaglianza e fraternità fra esse, indipendentemente dalle
differenze di sesso, età, razza, lingua, cultura, nazionalità, condizione socio-economica37.
L'uomo ha due caratteristiche: da un lato, è un essere materiale, inserito in questo
mondo terreno con la sua corporeità; dall'altro, è un essere spirituale, aperto alla
trascendenza e alla scoperta di «una verità più profonda», grazie alla sua intelligenza, con
cui partecipa «della luce della mente di Dio» (GS 15). Essendo stato volutamente creato
da Dio come un'unità indissolubile di anima e corpo, non è legittimato a disprezzare la
propria vita corporale. Al contrario, «è tenuto a considerare buono e degno d'onore il
proprio corpo, appunto perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell'ultimo
giorno» (GS 14).
La Sacra Scrittura insegna che la persona umana si distingue da tutte le altre creature
per il suo "essere ad immagine di Dio", in forza del quale è collocata al vertice del creato,
con il potere di governarlo e servirsene. Esiste come un "io" che, in quanto intelligente e
cosciente, può riflettere e acquisire consapevolezza di sé e dei propri atti38.

È capace di conoscersi, di possedersi, di liberamente donarsi e di entrare in comunione con


altre persone; è chiamato, per grazia, ad un'alleanza con il suo Creatore, a dargli una
risposta di fede e di amore che nessun altro può dare in sua sostituzione (CCC 357).

L'uomo non è stato concepito da Dio come un essere solitario. Al contrario, «per
33
Cfr. CDS 160.
34
I principi della dottrina sociale della Chiesa «hanno un significato profondamente morale perché
rinviano ai fondamenti ultimi e ordinatori della vita sociale» (CDS 163).
35
Cfr. CDS 161.
36
Cfr. CDS 9.
37
Cfr. CDS 144.
38
Invero, l'essere umano non cessa di essere una persona, anche se mancano in lui gli atti di intelligenza,
coscienza e libertà (cfr. CDS 131).

-9-
sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né
esplicare le sue doti» (GS 12). Il suo "essere-in-relazione" si esplica in famiglia, tra amici,
nei vari ambiti della società civile39. La Chiesa si è però preoccupata di mettere in guardia
da prospettive drasticamente riduttive che considerino l'uomo come «un semplice
elemento ed una molecola dell'organismo sociale» (CA 13).
Il rispetto della dignità trascendente della persona umana dovrebbe rappresentare il
fine ultimo di ogni società. In considerazione di ciò, tutti i programmi sociali, scientifici
e culturali dovrebbero essere orientati dalla consapevolezza del primato di ogni essere
umano. «L'ordine sociale pertanto e il suo progresso debbono sempre lasciar prevalere il
bene delle persone, poiché l'ordine delle cose deve essere subordinato all'ordine delle
persone e non l'inverso» (GS 26). L'essere umano non deve mai essere concepito come
uno strumento utile al raggiungimento di determinati scopi (siano essi di carattere sociale,
politico o economico, imposti da qualsivoglia autorità)40, ma deve essere egli stesso scopo
in sé e per sé41.
Inseparabile dalla dignità della persona umana è il diritto all'esercizio della libertà
(particolarmente in ambito morale e religioso), il quale esige riconoscimento e tutela da
parte delle autorità civili, naturalmente entro i limiti del bene comune e dell'ordine
pubblico. «Ogni persona umana, creata ad immagine di Dio, ha il diritto naturale di essere
riconosciuta come un essere libero e responsabile. Tutti hanno verso ciascuno il dovere
di questo rispetto» (CCC 1738).
La libertà consiste nel «potere, radicato nella ragione e nella volontà, di agire o di
non agire, di fare questo o quello, di porre così da se stessi azioni deliberate. Grazie al
libero arbitrio ciascuno dispone di sé» (CCC 1731). La libertà personale non implica,
evidentemente, il diritto di dire o fare qualsiasi cosa, bensì il riferimento ad una legge
morale naturale, di carattere universale, che precede e accomuna tutti i diritti e i doveri42.
«Allontanandosi dalla legge morale, l'uomo attenta alla propria libertà, si fa schiavo di se
stesso, spezza la fraternità coi suoi simili e si ribella contro la volontà divina» (CCC
1740). La libertà comporta, dunque, «la possibilità di scegliere tra il bene e il male, e
conseguentemente quella di avanzare nel cammino di perfezione oppure di venire meno
e di peccare» (CCC 1732)43.
Il retto esercizio della libertà esige il rispetto di precise condizioni di ordine sociale,
culturale, politico, giuridico ed economico, troppo spesso misconosciute o
deliberatamente violate. Purtroppo, però, la libertà «è misteriosamente inclinata a tradire
l'apertura alla verità e al bene umano e troppo spesso preferisce il male e la chiusura
egoistica, elevandosi a divinità creatrice del bene e del male» (CDS 143). Ciò accade in
conseguenza di una ferita nell'intimo dell'uomo, procurata dal peccato44, a cominciare da
39
Cfr. DC 48.
40
«In nessun caso la persona umana può essere strumentalizzata per fini estranei al suo stesso sviluppo,
che può trovare compimento pieno e definitivo soltanto in Dio e nel Suo progetto salvifico: l'uomo,
infatti, nella sua interiorità, trascende l'universo ed è l'unica creatura ad essere stata voluta da Dio per
se stessa» (CDS 133).
41
Cfr. DC 55.
42
Cfr. CDS 140.
43
Esercitando la propria libertà, l'uomo diviene responsabile degli atti coscientemente e volontariamente
posti in essere, anche se «l'imputabilità e la responsabilità di un'azione possono essere sminuite o
annullate dall'ignoranza, dall'inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti
smodati e da altri fattori psichici oppure sociali» (CCC 1735).
44
In effetti, «la conseguenza del peccato, in quanto atto di separazione da Dio, è appunto l'alienazione,
cioè la divisione dell'uomo non solo da Dio, ma anche da se stesso, dagli altri uomini e dal mondo
circostante» (CDS 116).

- 10 -
quello originale, che ciascuno porta dentro di sé fin dalla nascita, per arrivare a quello
commesso dal singolo individuo abusando della propria libertà45.
L'uomo giustamente ambisce a conquistare la propria libertà e con passione si
prodiga per ottenerla. É legittima e doverosa, infatti, la sua aspirazione a «formare e
guidare, di sua libera iniziativa, la sua vita personale e sociale, assumendosene
personalmente la responsabilità» (CDS 135). Però non dovrebbe mai dimenticare che
«non c'è vera libertà se non al servizio del bene e della giustizia» (CCC 1733).
In definitiva, nella dignità personale si trova la radice stessa dei diritti dell'uomo, i
quali sono: universali, in quanto propri di tutti gli esseri umani (in qualsiasi luogo, tempo
e circostanza); inviolabili, in quanto direttamente attinenti alla persona e alla sua dignità
e, dunque, imposti al rispetto di tutti, ovunque e nei confronti di chiunque; inalienabili, in
quanto nessuno può esserne legittimamente privato da un suo simile, chiunque egli sia46.

b. Bene comune
Sulla dignità della persona umana poggia il secondo principio della dottrina sociale,
ovvero quello del bene comune che, in senso generale, è da intendersi come «l'insieme di
quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli
membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente» (GS 26).
Data la "natura sociale" dell'uomo, esiste una stretta relazione tra il bene di ciascun
individuo e il bene comune. Ciò però non significa che il bene comune sia dato dalla mera
somma dei beni particolari riferiti a ciascun membro del corpo sociale. «Essendo di tutti
e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile
raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro» (CDS 164).
Avendo come riferimento l'essere umano nel suo complesso, il bene comune non è
da intendersi solo in senso materiale o esteriore, ma anche spirituale47. Esso è
caratterizzato da tre elementi essenziali48. In primo luogo, presuppone il rispetto della
persona in quanto tale. «In nome del bene comune, i pubblici poteri sono tenuti a rispettare
i diritti fondamentali ed inalienabili della persona umana. La società ha il dovere di
permettere a ciascuno dei suoi membri di realizzare la propria vocazione» (CCC 1907).
In secondo luogo, esige il benessere e lo sviluppo del gruppo sociale. La pubblica autorità
è chiamata a farsi arbitra fra i diversi interessi particolari, al fine di rendere accessibile a
ciascuno ciò di cui ha bisogno per condurre una vita veramente umana (nutrizione,
abbigliamento, abitazione, salute, lavoro, educazione e cultura, informazione, diritto a
fondare una famiglia, libertà religiosa, ecc.)49. In terzo luogo, il bene comune implica
pace, stabilità e sicurezza. Ciò esige che la pubblica autorità si impegni a garantire la
sicurezza della società e dei suoi membri, tra l'altro tutelando il diritto alla legittima difesa

45
I peccati hanno una duplice dimensione: personale e sociale. Oltre a far male a chi li commette,
danneggiano gli altri e feriscono l'intera comunità. Si creano, così, delle "strutture di peccato" che «si
rafforzano, si diffondono e diventano sorgente di altri peccati, condizionando la condotta degli esseri
umani» (SRS 36). Alcuni peccati si qualificano specificamente come "sociali", in quanto si traducono
in un'aggressione diretta al prossimo: sono perpetrati contro i diritti della persona umana (alla vita,
all'integrità fisica, alla libertà, alla dignità, all'onore), contro il bene comune e le sue esigenze, oppure
contro la giustizia, la libertà e la pace tra individui, gruppi e popoli (cfr. CDS 118).
46
Cfr. CDS 153.
47
Cfr. DC 88.
48
Cfr. CCC 1906-1909.
49
Cfr. GS 26.

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sia personale sia collettiva.
Il bene comune, sebbene correlato alle più elevate inclinazioni dell'uomo, è di ardua
realizzazione. Richiede, infatti, una «ricerca costante del bene altrui come se fosse
proprio» (CDS 167), interessandosi «di tutti, anche di coloro ai quali non pensa nessuno,
perché non hanno né voce né potere» (DC 88). La promozione del bene comune esige
partecipazione – ossia impegno volontario e generoso nelle relazioni sociali – da parte di
tutti, ciascuno secondo il posto occupato e il ruolo ricoperto nella società50. Si tratta di un
dovere «inerente alla dignità della persona umana» (CCC 1913). Quindi, per quanto è
possibile, tutti i cittadini devono prendere parte alla vita pubblica, pur con modalità
variabili a seconda delle varie culture e legislazioni51.
Tra le molteplici implicazioni del principio del bene comune, vi è la necessità della
destinazione universale dei beni: «Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene
all'uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati debbono essere
partecipati equamente a tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità»
(GS 69). Ogni persona non può fare a meno dei beni materiali indispensabili al
soddisfacimento dei propri bisogni primari e alla realizzazione delle condizioni basilari
per la propria esistenza52.
Ne deriva che l'uso comune dei beni è il «primo principio di tutto l'ordinamento
etico-sociale» (LE 19), oltre ad essere un «principio tipico della dottrina sociale cristiana»
(SRS 42). La destinazione universale dei beni è un diritto "originario" in quanto inerisce
strettamente ad ogni singola persona, e di conseguenza "prioritario" rispetto a qualunque
ordinamento giuridico o sistema socio-economico.

Tutti gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e del libero
commercio, sono subordinati ad essa: non devono quindi intralciarne, bensì al contrario
facilitarne la realizzazione, ed è un dovere sociale grave e urgente restituirli alla loro finalità
originaria (PP 22).

La destinazione universale dei beni non significa che tutto debba indistintamente
appartenere o essere a disposizione di tutti e ognuno53. La sua concreta attuazione esige
una chiara definizione di modi, limiti e oggetti, conformemente ai differenti contesti
socio-culturali. Di certo, ogni singola persona non può agire prescindendo dagli effetti
che il proprio uso delle risorse produce sugli altri: oltre al proprio vantaggio personale e
familiare, dovrebbe perseguire anche il bene comune54.
Il principio della destinazione universale dei beni implica un'attenzione particolare
ai poveri e a tutti coloro che vivono situazioni di disagio e marginalità. La Chiesa ha
ribadito con forza l'opzione preferenziale per i poveri, ispirandosi al Vangelo delle
beatitudini, alla condizione di povertà vissuta dallo stesso Gesù e all'attenzione da Lui
manifestata verso i poveri.

Attesa la dimensione mondiale che la questione sociale ha assunto, questo amore


preferenziale, con le decisioni che esso ci ispira, non può non abbracciare le immense

50
La partecipazione ha inizio dall'educazione e dalla cultura. «Si può pensare legittimamente che il futuro
dell'umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani
ragioni di vita e di speranza» (GS 31).
51
Cfr. CCC 1915.
52
Cfr. CDS 171.
53
Cfr. CDS 173.
54
Cfr. CDS 178.

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moltitudini di affamati, di mendicanti, di senzatetto, senza assistenza medica e, soprattutto,
senza speranza di un futuro migliore (SRS 42).

L'amore ecclesiale per i poveri riguarda non solo la povertà meramente materiale,
ma anche quella socio-culturale e religiosa. La Chiesa, «fin dalle origini, malgrado
l'infedeltà di molti dei suoi membri, non ha cessato di impegnarsi a sollevarli, a difenderli
e a liberarli. Ciò ha fatto con innumerevoli opere di beneficenza, che rimangono sempre
e dappertutto indispensabili» (CCC 2448).

c. Sussidiarietà
Il terzo principio fondamentale della dottrina sociale della Chiesa – dopo quelli
della dignità umana e del bene comune – è la sussidiarietà, secondo cui

una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine
inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità
e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del
bene comune (CA 48).

In effetti, sarebbe ingiusto e dannoso per il retto ordine sociale, rimettere a una
società maggiore e di livello superiore ciò che può essere fatto da comunità minori e di
livello inferiore. «Secondo il principio di sussidiarietà, né lo Stato né alcuna società più
grande devono sostituirsi all'iniziativa e alla responsabilità delle persone e dei corpi
intermedi» (CCC 1894). Le istituzioni maggiori devono astenersi da azioni che di fatto
restringerebbero lo spazio vitale delle cellule sociali minori55.
«L'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in
maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle» (QA
80). Le strutture sociali di ordine superiore devono porsi in un atteggiamento di aiuto
(subsidium) nei confronti delle minori, con iniziative di sostegno, promozione e sviluppo,
sui versanti istituzionale, legislativo ed economico56. Il principio di sussidiarietà implica,
quindi, la fissazione di precisi limiti all'intervento dello Stato, al fine di armonizzare i
rapporti tra i singoli individui e le società di cui essi sono membri57.

È impossibile promuovere la dignità della persona se non prendendosi cura della famiglia,
dei gruppi, delle associazioni, delle realtà territoriali locali, in breve, di quelle espressioni
aggregative di tipo economico, sociale, culturale, sportivo, ricreativo, professionale,
politico, alle quali le persone danno spontaneamente vita e che rendono loro possibile una
effettiva crescita sociale (CDS 185).

Immediata conseguenza della sussidiarietà è la partecipazione dei cittadini alla vita


socio-culturale, politica ed economica della comunità di appartenenza, sia come singoli
sia in associazione con altri, sia direttamente sia mediante propri rappresentanti58. Del
resto, la partecipazione alla vita comunitaria, oltreché una delle maggiori aspirazioni

55
Cfr. CDS 186.
56
Cfr. Joseph HÖFFNER, La dottrina sociale cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1995, pp.
39-40.
57
Cfr. CCC 1885.
58
Cfr. GS 75.

- 13 -
umane, è uno dei pilastri su cui si reggono gli ordinamenti democratici59.

d. Solidarietà
Il quarto principio fondamentale della dottrina sociale della Chiesa – la solidarietà
– esprime in primo luogo una virtù morale. Infatti:

non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante


persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di
impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo
veramente responsabili di tutti (SRS 38).

Al contempo, è un principio sociale ordinatore delle istituzioni, in forza del quale


le "strutture di peccato" radicate nei rapporti tra le persone e tra i popoli, possono essere
superate e trasformate in "strutture di solidarietà", mediante opportuni ordinamenti, leggi
e regole di mercato60.
Tale principio mette in risalto l'intrinseca socialità della persona umana, l'uguale
dignità e la parità di diritti di tutti gli uomini61, nonché il comune cammino compiuto
tanto dai singoli individui quanto dai popoli verso un'unità sempre più convinta62. In
definitiva, la solidarietà esprime «l'esigenza di riconoscere nell'insieme dei legami che
uniscono gli uomini e i gruppi sociali tra loro, lo spazio offerto alla libertà umana per
provvedere alla crescita comune, condivisa da tutti» (CDS 194).
Tutti sono chiamati ad impegnarsi seriamente nel fornire il proprio contributo alla
causa comune e a possibili intese anche laddove tende a prevalere una logica di
spartizione e frammentazione63, con una piena «disponibilità a spendersi per il bene
dell'altro al di là di ogni individualismo e particolarismo» (CDS 194).
Il principio di solidarietà è strettamente correlato agli altri tre. Esso presuppone il
riconoscimento del valore della dignità della persona umana, al contempo inducendo a
superare ogni possibile forma di discriminazione ed emarginazione legata al sesso, all'età,
alla razza, alla lingua, alla religione, alla provenienza geografica, alle condizioni socio-
culturali ed economiche, alle convinzioni politiche.
Contro la tentazione al ripiegamento su se stessi in un'ottica individualistica ed
egoistica, la solidarietà sprona a un atteggiamento di apertura, accoglienza, ascolto, aiuto
e condivisione verso gli altri, di fatto traducendosi in un impegno concreto verso la
realizzazione del bene comune.
La solidarietà è altresì alla base della sussidiarietà, che incentiva e sostiene il ruolo
dei gruppi intermedi – associazioni, comitati, movimenti, ecc. – nella difesa di diritti e
interessi comuni oltreché nel più efficace e rapido raggiungimento di obiettivi condivisi.

59
Cfr. CDS 190.
60
La solidarietà assurge al rango di virtù sociale fondamentale, esprimendo l'«impegno per il bene del
prossimo con la disponibilità, in senso evangelico, a "perdersi" a favore dell'altro invece di sfruttarlo, e
a "servirlo" invece di opprimerlo per il proprio tornaconto» (SRS 38).
61
HÖFFNER, op. cit., p. 31, evidenzia che il principio di solidarietà «è contemporaneamente radicato nella
dignità della persona e nella natura essenzialmente sociale dell'uomo».
62
Cfr. CDS 192.
63
Bruno MARRA, L'appello di Dio. Fondamenti di una teoria etico-teologica, Edizioni Dehoniane, Roma
1994, p. 189, sottolinea che l'uomo «deve donarsi attivamente e con senso di responsabilità ai compiti
sociali e dare alla vita sociale il proprio impulso personale».

- 14 -
Al contempo supera i limiti della sussidiarietà, invocando l'intervento diretto delle
autorità governative e l'attenzione dell'intera società civile allorquando l'azione di tali
gruppi si riveli insufficiente o inadeguata.

4. Valori
La dottrina sociale della Chiesa, oltreché sui menzionati principi, poggia su alcuni
valori fondamentali: la verità, la libertà, la giustizia, la carità64. Tra gli uni e gli altri esiste
un rapporto di evidente reciprocità.

I valori sociali esprimono l'apprezzamento da attribuire a quei determinati aspetti del bene
morale che i principi intendono conseguire, offrendosi come punti di riferimento per
l'opportuna strutturazione e la conduzione ordinata della vita sociale. I valori richiedono,
pertanto, sia la pratica dei principi fondamentali della vita sociale, sia l'esercizio personale
delle virtù, e quindi degli atteggiamenti morali corrispondenti ai valori stessi (CDS 197).

Tali valori, tutti inerenti alla dignità della persona umana, sono indispensabili sia
per il perfezionamento personale sia per la umanizzazione della convivenza sociale.
Rappresentano un imprescindibile riferimento per le autorità civili nell'attuazione delle
riforme che si rendono via via necessarie in ambito politico, socio-culturale ed
economico.

a. Verità
La verità è un valore verso la cui realizzazione tutti gli uomini sono tenuti a tendere
in modo particolare.

La convivenza fra gli esseri umani all'interno di una comunità, infatti, è ordinata, feconda
e rispondente alla loro dignità di persone, quando si fonda sulla verità. Quanto più le
persone e i gruppi sociali si sforzano di risolvere i problemi sociali secondo verità, tanto
più si allontanano dall'arbitrio e si conformano alle esigenze obiettive della moralità (CDS
198).

É oggi richiesta un'intensa attività educativa e un grande impegno sociale affinché


l'onesta e scrupolosa ricerca della verità non venga sopraffatta da incalzanti e subdoli
tentativi di annullarla o relativizzarla.

b. Libertà
La libertà, come già evidenziato in precedenza, è un segno evidente e un'esigenza
insopprimibile della sublime dignità della persona umana. Essa eleva l'uomo al di sopra
del mondo animale, rendendolo in un certo senso simile a Dio65. Ciò non significa che
possa essere considerata in un'ottica puramente individualistica e ridotta a un esercizio

64
Cfr. CDS 197.
65
Cfr. DC 106.

- 15 -
del tutto arbitrario dell'autonomia personale. Non esiste vera libertà se non nell'ambito di
reciproci legami interpersonali, regolati dalla verità e dalla giustizia66.

Il valore della libertà, in quanto espressione della singolarità di ogni persona umana, viene
rispettato quando a ciascun membro della società è consentito di realizzare la propria
personale vocazione; cercare la verità e professare le proprie idee religiose, culturali e
politiche; esprimere le proprie opinioni; decidere il proprio stato di vita e, per quanto
possibile, il proprio lavoro; assumere iniziative di carattere economico, sociale e politico
(CDS 200).

Tale valore può trovare piena realizzazione solo se: riconosciuto e garantito da un
solido sistema giuridico; circoscritto da appositi limiti a tutela del bene comune e
dell'ordine pubblico; vissuto con un atteggiamento di seria e profonda responsabilità.

La libertà deve esplicarsi, d'altra parte, anche come capacità di rifiuto di ciò che è
moralmente negativo, sotto qualunque forma si presenti, come capacità di effettivo distacco
da tutto ciò che può ostacolare la crescita personale, familiare e sociale (CDS 200).

c. Giustizia
Il valore della giustizia è strettamente correlato alla corrispondente virtù cardinale.
«Consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto»
(CCC 1807). Da un punto di vista soggettivo, si traduce in un atteggiamento
intenzionalmente volto a riconoscere l'altro come persona; da un punto di vista oggettivo,
rappresenta un criterio ineludibile di moralità in ambito inter-soggettivo e sociale67.
Il Magistero richiama all'osservanza della giustizia nelle sue tre forme classiche:
"commutativa", che regola gli scambi tra persone e tra istituzioni nel rispetto dei rispettivi
diritti; "legale", che riguarda ciò che è dovuto dal cittadino alla comunità; "distributiva",
che attiene a quanto la comunità deve ai cittadini, secondo i loro bisogni e le loro
prestazioni68. A partire dall'enciclica Quadragesimo anno (1931) di Pio XI, un rilievo
sempre maggiore è stato assunto dalla giustizia "sociale"69 che, in quanto esigenza
connessa alla "questione sociale" (ormai di portata mondiale), «concerne gli aspetti
sociali, politici ed economici e, soprattutto, la dimensione strutturale dei problemi e delle
correlative soluzioni» (CDS 201).

La giustizia risulta particolarmente importante nel contesto attuale, in cui il valore della
persona, della sua dignità e dei suoi diritti, al di là delle proclamazioni d'intenti, è
seriamente minacciato dalla diffusa tendenza a ricorrere esclusivamente ai criteri dell'utilità
e dell'avere (CDS 202).

È bene tener presente che la giustizia non è riconducibile a una mera convenzione
umana: «quello che è "giusto" non è originariamente determinato dalla legge, ma
dall'identità profonda dell'essere umano» (CDS 202).

66
Cfr. CDS 199.
67
Cfr. CDS 201.
68
Cfr. CCC 2411.
69
Cfr. Bernhard HÄRING, Liberi e fedeli in Cristo. Teologia morale per preti e laici, vol. III, Edizioni
Paoline, Roma 1982, p. 345.

- 16 -
Se, in una fede piena di gratitudine, scopriamo come Dio abbia agito e continui ad agire
benignamente, salvandoci con una giustizia immeritata, allora scopriamo pure che i
diseredati, gli sfruttati, gli emarginati e i "casi disperati" possono rivendicare con forza il
nostro intervento individuale e solidale in loro aiuto70.

d. Carità
La carità, spesso ridotta alle relazioni di prossimità o agli aspetti prettamente
soggettivi dell'agire per l'altro, dovrebbe essere riconsiderata nella sua autentica valenza
di criterio supremo e universale dell'intera etica sociale71. È la sorgente da cui nascono e
si sviluppano gli altri valori della verità, della giustizia e della libertà72.

La convivenza umana è ordinata, feconda di bene e rispondente alla dignità dell'uomo,


quando si fonda sulla verità; si attua secondo giustizia, ossia nell'effettivo rispetto dei diritti
e nel leale adempimento dei rispettivi doveri; è attuata nella libertà che si addice alla dignità
degli uomini, spinti dalla loro stessa natura razionale ad assumersi la responsabilità del
proprio operare; è vivificata dall'amore, che fa sentire come propri i bisogni e le esigenze
altrui e rende sempre più intense la comunione dei valori spirituali e la sollecitudine per le
necessità materiali (CDS 205).

La carità trascende la giustizia. Mentre quest'ultima regola l'equa ripartizione di


beni oggettivi tra gli uomini; la prima va oltre, restituendo l'uomo a se stesso73.

È indubbiamente un atto di carità l'opera di misericordia con cui si risponde qui e ora ad un
bisogno reale ed impellente del prossimo, ma è un atto di carità altrettanto indispensabile
l'impegno finalizzato ad organizzare e strutturare la società in modo che il prossimo non
abbia a trovarsi nella miseria, soprattutto quando questa diventa la situazione in cui si
dibatte uno sterminato numero di persone e perfino interi popoli, situazione che assume,
oggi, le proporzioni di una vera e propria questione sociale mondiale (CDS 208).

L'appello della carità a vivere nell'unità, nella fraternità e nella pace, è più forte di
quello di qualsiasi legislazione, sistema di regole o pattuizione74. La carità assume così
un carattere socio-politico, in quanto «non si esaurisce nei rapporti tra le persone, ma si
dispiega nella rete in cui tali rapporti si inseriscono, che è appunto la comunità sociale e
politica, e su questa interviene, mirando al bene possibile per la comunità nel suo
insieme» (CDS 208).
I quattro valori esaminati hanno la loro origine in Dio, il quale non solo ha amore,
70
Ibid., p. 344.
71
Cfr. CDS 204.
72
GIORDANI, op. cit., p. 25, osserva che «la carità è virtù sociale per eccellenza: quella che ci obbliga a
uscir da noi stessi e a mettere gli altri, per quanto è in noi, sullo stesso piano dei benefici morali e
materiali, su cui siamo o vorremmo essere noi».
73
Gianni MANZONE, Dottrina sociale della Chiesa e azione sociale, in Dizionario di dottrina sociale della
Chiesa, a cura dell'UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE. CENTRO DI RICERCHE PER LO STUDIO
DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA, Vita e Pensiero, Milano 2004, p. 875, sottolinea che «la carità
nella vita civile non è mai un puro provvedere ai bisogni degli altri o di tutti, ma è un promuovere la
loro libertà, certo provvedendo ai bisogni stessi. Ciò significa che la responsabilità del cristiano si
traduce nel fare in modo che le condizioni materiali create o promosse dalla politica e dall'economia
non siano d'ostacolo al sorgere di soggetti liberi e responsabili».
74
Cfr. CDS 207.

- 17 -
ma è amore (1Gv 4,8). L'amore deve essere il punto di riferimento di ogni azione sociale:
se si ama, si vive nella verità, si rispetta la libertà altrui e ci si impegna per la giustizia75.
Tali valori «costituiscono dei pilastri dai quali riceve solidità e consistenza l'edificio del
vivere e dell'operare: sono valori che determinano la qualità di ogni azione e istituzione
sociale» (CDS 205).

Considerazioni finali
Alla fine del XIX secolo il Magistero intraprende un cammino di progressiva
definizione e divulgazione di un proprio insegnamento sociale proposto non solo ai
cristiani, ma anche agli aderenti ad altre religioni e agli atei, in quanto basato su una
"legge naturale" inscritta nella coscienza di tutti gli uomini, che impone loro di compiere
il bene ed evitare il male.
La Chiesa si sente direttamente e profondamente interpellata dalle questioni di
natura sociale che via via emergono nei vari contesti e livelli della società civile. Avverte,
cioè, un'ineludibile esigenza di prendere posizione al riguardo. Se essa si limitasse a
promuovere la fede, ignorando però le concrete condizioni di vita degli esseri umani,
tradirebbe Gesù che ha accolto tutti nella loro unicità e nei loro bisogni personali e sociali,
guarendoli nel corpo e nell'anima. Parimenti, se promuovesse solo lo sviluppo sociale
dell'umanità, tradirebbe il singolo essere umano nella sua duplice vocazione alla
comunione eterna con Dio e all'essere membro della comunità ecclesiale.
In definitiva, la Chiesa considera la caritas, ossia l'amore verso il prossimo, come
uno dei suoi legittimi e doverosi ambiti di azione, accanto all'annuncio del Vangelo e alla
liturgia. Essa stessa si propone ai cristiani e al mondo intero come il "luogo" in cui si
proclama, si realizza e si celebra la permanente solidarietà di Dio verso l'umanità e quella
degli uomini tra loro, in quanto fratelli, figli di un unico Dio.

75
Cfr. DC 110.

- 18 -
Bibliografia

a. Fonti
BENEDETTO XVI, lettera enciclica Caritas in veritate, 29 giugno 2009, in Enchiridion
Vaticanum, vol. 26, 2009-2010, pp. 462-625.

Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992.

CEI, La Bibbia di Gerusalemme, EDB, Bologna 2016.

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