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Relatore Laureanda
Alessandra Tasso Michela Mosca
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Sessione di laurea autunnale Anno Accademico 2017/2018
Indice
Bibliografia ..................................................................................................................... 44
Sitografia ......................................................................................................................... 47
"Quando non riusciamo a capire cosa stia succedendo, quando la situazione è complessa e
richiede uno sforzo teorico non indifferente, ci si sente a disagio, insicuri.
Vivere in un mondo che non si comprende è difficile.
I bambini hanno un'istintiva paura del buio perché nel buio non si sa cosa potrebbe accadere. Ci
sentiamo leggermente meno a disagio quando abbiamo chiare e semplici spiegazioni per tutto."
[Bauman, 2002]
L’epoca contemporanea è caratterizzata da una società liquida, la quale, come afferma il filosofo e
sociologo polacco Zygmunt Bauman [2007]: “[…] ammette francamente la sua incompletezza, e
che quindi smania di occuparsi delle proprie possibilità […] ma che è anche impotente, mai come
prima d’ora, di decidere il proprio cammino.”
La realtà è quindi irrimediabilmente e incontestabilmente una costruzione sociale dell’individuo,
che ora può scegliere tra tutte le possibili interpretazioni, senza mai avere, però, la certezza che la
sua visione sia giusta.
Un ulteriore elemento che suscita nell’individuo post-moderno un senso di smarrimento e di
indecisione, è la progressiva diffusione di un nuovo concetto: quello di Post-verità.
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Per Post-verità si intende un’argomentazione caratterizzata da un forte appello all'emotività che,
nonostante sia basata su credenze diffuse e non su fatti verificati, tende a essere accettata come
veritiera. Tale concetto è in grado di influenzare notevolmente l'opinione pubblica. [“Post–verità”,
2014].
Il passaggio da un’epoca storica caratterizzata dalle grandi narrazioni, dalla cieca fiducia nei
confronti della razionalità umana, a un’epoca dove ogni certezza viene smantellata e messa in
discussione, non può non avere ripercussioni drastiche sulla percezione dei fenomeni che
colpiscono l’individuo nel suo quotidiano.
Viviamo in un’era segnata dal concetto di crisi, in cui si avvertono sempre più pericoli che
l’individuo, spogliato delle sue armi ideologiche, non riesce a prevedere e a contrastare [Bauman,
2006].
Anche il mondo della comunicazione ha risentito della decaduta della verità quale punto fermo e
oggettivo; i mass media sono per costituzione strumenti che filtrano la società in maniera parziale
e soggettiva, dandone una raffigurazione che accentua sempre determinati lati a discapito di altri.
Perciò utilizzare i media, e ancora di più i nuovi media, piattaforme virtuali che hanno dato diritto
di parola ed espressione alle masse come mai prima d’ora, richiede più che mai attenzione e
preparazione; questo perché essi da un lato hanno contribuito notevolmente allo sviluppo della
creatività e dell’intelligenza collettiva dei Prosumers (utenti che sono sia fruitori che produttori di
contenuti multimediali), ma hanno anche permesso la proliferazione di contenuti bottom-up
prodotti da amatorie quindi meno precisi; se non, in alcuni casi, falsi.
Il 2017 è stato, infatti, l’anno delle Fake news: una notizia falsa e spesso di natura sensazionalista
che viene riportata, generalmente sul web, al fine di portare ad una misinterpretazione di un fatto o
fenomeno [“Fake news”, 2017].
Il web 2.0 è la culla della Post-verità, dove non conta tanto il contenuto quanto la forma; è una
piazza virtuale, dove a chiunque è concesso esprimere la propria opinione, indipendentemente
dalla sua utilità e soprattutto, dalla sua veridicità e verificabilità.
Il popolo di internet si è diviso in tribù, composte da utenti che si riuniscono intorno a narrative
condivise per promuoverle e discuterle [Quattrociocchi, 2016]; il tutto per confermare le proprie
idee di partenza e confutare tutto ciò che se ne distacca.
La verità come meta è scesa in secondo piano; ciò che conta, ora, è avere ragione, anche a costo di
confezionare la propria verità ad hoc: una verità confortante, sicura, soggettiva, che rappresenti la
scorciatoia perfetta per poter finalmente controllare la realtà che ci circonda e approdare a
soluzioni sicure.
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Questo bisogno di risposte certe e in linea con i preconcetti posseduti, unitamente alla progressiva
sfiducia e al senso di frustrazione nei confronti delle istituzioni, sta spianando la strada a una
forma mentis sempre più diffusa a livello mondiale.
Si tratta del complottismo, o meglio delle teorie del complotto, che negli ultimi anni hanno
progressivamente abbandonato gli improvvisati rifugi antiatomici e le convention di Dan Brown
per migrare verso un territorio a loro particolarmente adatto: il World Wide Web.
Quando si utilizza il termine complottista, ai più scappa un sorriso, essendo il complottista,
nell’immaginario collettivo, associato allo stereotipo dell’apocalittico eccentrico e paranoico; un
moderno quanto bizzarro Don Chisciotte, al quale si guarda con un misto di biasimo e ironia.
Eppure, se accettiamo la provocazione lanciata da Rob Brotherton nel suo saggio “Menti
sospettose” [2017] in realtà siamo tutti un po’ complottisti.
In un’epoca in cui la verità è tutto fuorché stabile e universale, e in cui il sospetto emerge persino
nelle questioni più incontestabili, ogni individuo riscopre un nuovo lato di sé.
Scettico.
Inquisitore.
Dubbioso.
Il complottismo è un tema sempre più pregnante nella realtà sociale, soprattutto perché si sta
radicando così tanto nel nostro sistema interpretativo e di credenze: negazionismo, creazionismo,
antivaccinismo; movimenti sociali e ideologici che, seppur nella loro estrema diversità, presentano
almeno un assunto di partenza: vi è un complotto dietro il quale si cela la verità.
Per i negazionisti (coloro che negano la Shoah e la soluzione finale) è il complotto sionista per il
controllo del mondo; per i creazionisti (i quali negano la teoria darwinista dell’evoluzione) è opera
di un processo di de–istituzionalizzazione della Chiesa e dei principi cristiani messa in atto da
lobby acattoliche; per gli antivaccinisti, è il variegato e sfaccettato complotto Big Pharma.
Quest’ultimo, in particolare, si è diffuso rapidamente in molte società occidentali, diventando una
delle tematiche più affrontate nel mondo della psicologia della comunicazione.
Tuttavia, è bene procedere per gradi e dare prima uno sguardo generale al vasto universo
complottista, per poi concentrarsi su questa particolare variante.
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“Se c’è una cosa che ho imparato sui teorici del complotto, è che loro credono al complotto
perché è molto più confortante credere che ci sia qualcuno che ci controlla da dietro le quinte; la
verità è che non c’è nessuna massoneria ebraica, o degli alieni verdi travestiti da politici; l’unica
verità è che, al mondo, nessuno ha il controllo. Il mondo è privo di una direzione.”
[Moore, 2003]
I
Il complotto, una dovuta precisazione
Il concetto di complotto, o cospirazione, è noto agli uomini fin dall'alba dei tempi.
Si definisce complotto l’unione segreta di più persone che si accordano per conseguire uno scopo
comune, per lo più di natura sovversiva, contro lo stato, le sue istituzioni, o in genere contro chi
detiene il potere [“Cospirazione”, n.d.].
Nel momento in cui si sono sviluppate le società, si è venuta a creare stratificazione sociale,
ovvero la divisione della stessa in classi sociali, diversificate sulla base di status e condizioni
economiche diverse.
Riprendendo la teoria del moto dialettico della storia di Karl Marx, possiamo affermare che la
società procede secondo un moto circolare, caratterizzato da momenti di stabilità, in cui regna una
determinata ideologia politica, economica e religiosa, e momenti di crisi, caratterizzati dalle guerre
tra classi sociali, le quali portano inevitabilmente al rovesciamento dell’assetto precedente [Marx,
1865].
Alcuni tra i più importanti avvenimenti storici sono permeati di violenza, di trame intessute da
gruppi sovversivi per destituire le autorità reggenti, per portare a un cambiamento ideologico e
sociale, o per far valere i propri diritti; gruppi che non hanno disdegnato il ricorso a metodi illeciti
per perseguire i propri scopi, organizzandosi segretamente e congiurando contro ciò che
ritenevano un nemico comune.
I complotti perciò esistono, sono sempre esistiti: dall’assassinio di Giulio Cesare, al complotto per
uccidere Hitler, la storia è fatta anche di tradimenti, inganni, cospirazioni.
Basti pensare alla Carboneria, la società segreta rivoluzionaria che operò nel Regno di Napoli
all’inizio dell’Ottocento, per citare un fenomeno vicino alla realtà storica italiana.
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ingannare, manipolare la realtà, servirsi delle proprie competenze comunicative per pilotare il
comportamento o l’opinione dei soggetti [Yang, Raine, 2009].
Ancora, la natura dell’individuo tende ad essere competitiva, a ricercare costantemente situazioni
che apportino migliorie nella propria esistenza, fino ad approdare a una sete di potere, o di
rivendicazione di ciò che si pensa di meritare, da mettere in atto comportamenti faziosi e
aggressivi al fine di ottenere il soddisfacimento dei propri bisogni [Hobbes, 1651].
Partendo, perciò, dall’assunto che è possibile che gruppi di persone si organizzino, più o meno
segretamente, al fine di portare a una modifica dello status quo, la domanda da porsi è: quando il
dare credito all’idea che vi sia una cospirazione dietro a fatti apparentemente inspiegabili, può
essere definito un comportamento accettabile, un ragionevole dubbio?
E quando tale atteggiamento diventa talmente radicale da indurre alla paranoia, andando a incidere
sul pensiero critico di un individuo?
Si deve quindi segnare una linea di demarcazione tra il pensiero complottista e la consapevolezza
di effettive cospirazioni esistenti, in particolare nel mondo politico.
Nel suo articolo del 1964 “The paranoid style in American politics”, lo storico Richard Hofstader
spiegò che la teoria del complotto può essere descritta come una credenza in una vasta, insidiosa,
preternaturale ed effettiva trama cospiratoria e internazionale, intessuta per perpetuare atti
diabolici e ingegnosi.
Il complottismo, di conseguenza, trascende il ragionevole dubbio citato, fino a imporsi quale
forma mentis dominante che induce l’individuo, o gruppi di individui, a interpretare la realtà fisica
e sociale come un artificiale velo di Maya.
Le Idi di Marzo, La congiura dei Pazzi, la Carboneria italiana: sono solo alcuni dei complotti più
noti passati alla storia.
Pur nella loro diversità, hanno un elemento che li accomuna: sono eventi storici effettivamente
accaduti e documentati.
Cospirazioni realmente ordite da gruppi di individui, con scopi ed esiti diversi, che hanno
progettato e messo volontariamente in atto piani ai danni di terzi, in genere coloro che detenevano
il potere in quel dato luogo e periodo.
Eppure, non tutti i complotti di cui abbiamo testimonianza sono esistiti.
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Uno tra i primi complotti fittizi, storicamente appurato e smascherato, risale al 1905 e ha una
matrice fortemente antisemita: il complotto ebraico per il controllo del mondo.
Le comunità ebraiche, in Europa, furono da sempre vittime di persecuzioni di tipo razziale, prima
ancora dell’avvento del partito Nazionalsocialista di Hitler e della soluzione finale alla questione
ebraica (Endlösungder Judenfrage).
Tra i complotti antisemiti più noti, vi sono i Protocolli dei Savi Anziani di Sion (Fig. 1), dei
documenti falsi redatti in lingua russa sottoforma di testi segreti di stampo massonico
cospirazionista, in cui si enunciava l’intento delle comunità ebraiche, ampiamente presenti
nell’area russa, di portare a progressive guerre civili.
L’obiettivo? L’indebolimento della popolazione, al fine di governare, indisturbati, l’Europa e il
mondo [Levy, 2005].
Quest’opuscolo, visto come un lasciapassare dai reparti bianchi
per perpetuare i Pogrom (massacri e saccheggi ai danni delle
minoranze ebraiche), venne accettato come unica spiegazione
plausibile ai gravi eventi che avevano colpito la Russia dal 1917
con la Rivoluzione di Ottobre [Feltri, 2012].
Nel testo si presentavano le correnti di opposizione allo zarismo
(prima tra tutte il comunismo di Lenin) come sovvenzionate e
controllate dagli ebrei, i quali se ne sarebbero serviti per
scalzare l’autorità dello zar Nicola II Romanov; un primo
tassello verso il progressivo controllo del mondo.
Fig. 1) Edizione italiana del 1938 dei
Protocolli
Difficile stabilire l’origine di questi protocolli, ma con molta probabilità essi risalgono al 1902-
1903, per opera di intellettuali reazionari russi, determinati a salvare l’autocrazia.
Nel testo compaiono elementi tipici dello stile comunicativo di stampo cospirazionista, che
verranno ripresi anche in altre opere votate al plagio delle menti e all’assoggettamento delle
masse, tra cui il Mein Kampf di Hitler [Popper, 1972]; tra cui:
- Indicare un determinato gruppo o categoria sociale come parte costituente di
un’organizzazione segreta, che finge di essere votata al bene comune per mascherare i propri
piani:
“noi, membri del popolo ebraico, abbiamo intenzione di assumere l’aspetto di liberatori
dell’operaio, fingendo di amarli e di spartire in parti uguali le ricchezze […] il nostro scopo,
invece, è l’esatto opposto…” [Piperno, 1964];
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- Imputare a tale gruppo organizzato la colpa di tenere la popolazione mondiale in uno stato di
anestesia, di disinformazione e d’incoscienza collettiva:
“Date le condizioni della scienza, che segue le linee tracciate da noi, la plebe, nella sua
ignoranza, crede ciecamente alle parole stampate e nelle illusioni erronee opportunamente
stampate da noi…”[Piperno, 1964].
Il termine Conspiracy Theory, tradotto sia come teoria del complotto che complottismo, viene
utilizzato per la prima volta solo nel 1964 in riferimento alle critiche contro la Commissione
Warren e alle conclusioni da essa pubblicate lo stesso anno circa l’assassinio del presidente John
Fitzgerald Kennedy [De Haven Smith, n.d.].
La commissione Parlamentare Warren, infatti, si era costituita il 29 novembre 1963 per indagare
sull’assassinio dell’allora presidente degli Stati Uniti, avvenuto a Dallas il 22 Novembre 1963
[Gala, 2014].
In particolare, il termine indicava il sentimento di scetticismo nei confronti del verdetto finale
della Commissione, che supportava la teoria del Lone Gunnman, per cui il presidente sarebbe stato
freddato da un unico cecchino, identificato con l’attivista ed ex militare Lee Harvey Osvald
[Feltri, 2012].
Ciononostante, tale conclusione della vicenda non ha fatto luce su numerosi altri quesiti: Lee
Harvey Osvald ha davvero agito da solo? Quali erano i suoi moventi? Sono solo casualità le
numerose coincidenze che accomunano l’assassinio di JFK con quello di Abraham Lincoln?
Tali dilemmi portarono molte persone a credere che dietro l’assassinio del presidente, cattolico e
democratico, vi fosse un complotto orchestrato ad hoc per eliminare un personaggio “scomodo” e
non appartenente all’elite WASP [Pipes, 2005].
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1.2 Dentro la sindrome del complotto: una chiave di lettura dai classici
La teoria del complotto, di conseguenza, è una macro area semantica in cui possono essere ascritte
tutte quelle congetture di carattere pseudo scientifico che pretendono di offrire una spiegazione
chiara e inconfutabile a tutti quei fenomeni sociali, politici, ed economici negativi; o ai fatti storici
dai contorni torbidi, di cui si è potuto ottenere solo una ricostruzione parziale [Ciuffoletti, 1993].
Il complottista rifiuta la visione canonica della realtà, diffida delle grandi istituzioni, dubita
dell’assetto politico e sociale vigente e ricerca la causa ultimativa di fenomeni che percepisce
come fondamentali per la propria esistenza.
Tra il XX e il XXI secolo, oltre alla nascita e allo sviluppo della società di massa, si è visto anche
il ritorno di fiamma del dogmatismo, favorito dal diffondersi di ideologie che, per citare Hanna
Arendt: “[…] spiegano i fatti con semplici esempi di determinate leggi ed eliminano le
coincidenze, inventando una onnipotenza tutto comprendente che suppongono sia la radice di ogni
caso.” [Arendt, 1967].
Perciò, la sindrome del complotto è in realtà un fenomeno sociale radicato che, tuttavia, ha trovato
massima espressione a partire dalla seconda metà del Novecento, in concomitanza con un periodo
caratterizzato dal declino delle grandi narrazioni e delle istituzioni principali.
La bibliografia sul complottismo è vasta, e uno sguardo ai classici potrà donarci una preliminare
comprensione del fenomeno.
L’ossessione per trame e intrighi è un fenomeno recente, o affonda le radici in tempi remoti?
La risposta può essere ricercata in un saggio di filosofia politica, ovvero “Congetture e
Confutazioni”, di Karl Popper [1972], in cui l’autore afferma:
“Alla base del pensiero cospirazionista vi è una teoria, simile a quella rilevabile in Omero. Questi
concepiva il potere degli déi in modo che tutto ciò che accadeva davanti a Troia costituiva solo un
riflesso delle molteplici cospirazioni tramate nell’Olimpo.
La teoria sociale del cospirazionismo è, in effetti, una versione di questo teismo […].
Oggi, in un mondo secolarizzato, il posto degli déi è stato occupato da diversi uomini e gruppi
potenti, sinistri gruppi di persone cui si può imputare di aver organizzato la grande depressione e
tutti i mali di cui soffriamo.”
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Perciò, l’idea per cui la società sia costituita da pedine, tutte abilmente manipolate da un
burattinaio in incognito, un’entità fisica o metafisica che ci controlla e che manovra ogni elemento
del nostro quotidiano, è antica quanto la società stessa.
Ma è stata l’epoca contemporanea, a partire dalla seconda metà del XX secolo, a vedere il trionfo
delle teorie complottiste, diffusesi sempre più rapidamente tra le masse, le quali sembrano
ritrovarvi spiegazioni plausibili a fenomeni complessi, in aperto contrasto con quelle proposte
dalle istituzioni vigenti.
La concezione cospirazionista del mondo e della società si fonda su un assunto dogmatico e
ineluttabile, dal quale si muovono tutte le considerazioni successive: la convinzione che dietro
ogni fenomeno sociale si celi una trama abilmente intessuta dai potenti, organizzati in società
segrete; tali gruppi di individui si riuniscono col fine ultimo di favorire i propri interessi personali,
in particolare quelli di aspetto economico, arrivando a manipolare la realtà a proprio piacimento e
occultando tutte le prove che possa incriminarli.
Un pensiero unilaterale, che non ammette repliche, confutazioni o tesi avverse; un pensiero
statico, fisso, dal quale derivano poi ulteriori congetture, le quali non mettono mai in discussione
l’istanza di partenza: l’esistenza di una cospirazione e di cospiratori.
Ancora, Popper rileva in tale modalità di pensiero una versione secolarizzata della superstizione
religiosa [Popper, 1973].
Il complottismo si erge su dogmi, su fatti assurti a verità incontestabili, le quali poggiano su una
base costituita a priori: la storia e i processi sociali sono sempre stati influenzati dall’azione e dalle
trame di figure oscure e potenti, che sono disposte a mettere in atto piani che vanno a discapito
del benessere comune, pur di mantenere inalterato il loro controllo.
Così come nell’antichità s’imputavano le calamità che colpivano l’uomo ai capricci degli déi e,
più tardi con il cristianesimo, a una volontà purgatrice ed espiatrice voluta da Dio, ora si
attribuisce la causa di ogni problematica mondiale a presunte società segrete, a lobby, a dinastie
familiari.
L’idea di base è che nulla è misterioso e torbido, ma semplicemente è stato compromesso e
occultato, affinché alle masse sia negato l’accesso alla conoscenza.
Si tratta quindi di ricercare un oggetto, reale o fittizio, contro cui riversare la frustrazione che
deriva dal non riuscire a trovare soluzione o spiegazione a fenomeni d’interesse sociale, se non
mondiale; una giustificazione a delle lacune conoscitive.
Vediamo come la teoria di Popper sia indissolubilmente legata a un’altra teoria sviluppata nel
secolo scorso: quella del Capro espiatorio.
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La ricerca del capro espiatorio non è una tendenza recente: trovare un target verso il quale
indirizzare le proprie frustrazioni, identificare un nemico comune da sconfiggere, sono pratiche
che esistono fin da quando le prime società si sono costituite.
Del resto, il lavoro cooperativo e l’identificazione con un gruppo si consolidano ulteriormente
quando viene introdotto un nemico comune: un potenziale pericolo che attenta alla sicurezza e alla
coesione del gruppo stesso.
Lo psicologo sociale Muzafer Sherif, nel suo esperimento nei campi scuola del 1953, ha evinto
come gli ingroup, una volta percepito un nemico identificato quale outgroup, erano più disposti a
cooperare per salvaguardare il bene del gruppo; non solo, tra i membri veniva a crearsi un vero e
proprio senso di appartenenza, che si consolidava sempre di più man mano che la minaccia esterna
si faceva vicina e presente.
Il nemico comune quindi diventa un collante per la coesione sociale, e riesce a sopperire al senso
d’impotenza che può generarsi di fronte a problematiche apparentemente casuali e invalidanti.
A parlare di capro espiatorio, per la prima volta, fu tuttavia Renè Girard [1982], antropologo
francese che analizzò tale fenomeno sociale e la sua presenza, sotto diverse forme, nelle varie
culture.
Egli affermò che il ricorso al capro espiatorio è una tendenza presente in ogni cultura, una risposta
istintiva alla percezione di un pericolo o, più comunemente, alla sensazione che il proprio gruppo
si stia disgregando.
La vittima prescelta porta a una riconciliazione del gruppo, che ha trovato il punto verso cui
proiettare le proprie paure e frustrazioni, e la collaborazione per annientare tale nemico comune
favorisce il rinvigorirsi dello spirito di solidarietà e collaborazione che contraddistingue le
comunità.
La situazione di partenza per lo sviluppo di un atteggiamento conflittuale, se non addirittura
violento, verso un capro espiatorio appositamente designato, è una situazione di crisi:
l’indebolimento delle istituzioni e la conseguente perdita di autorevolezza; un persistente e
generalizzato senso di smarrimento e di paura, che sia comune alle masse; una crescente
diffidenza verso gruppi sociali di minoranza, etichettati come outgroup, o verso i gruppi elitari che
detengono il potere.
A sostegno di tale tesi interviene anche Bauman, il quale afferma che, in un’epoca in cui siamo
incapaci di rallentare il ritmo sbalorditivo del cambiamento, cerchiamo di calcolare e di
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minimizzare il rischio di cadere vittime dei numerosi pericoli della società, primi fra tutti le
malattie: è proprio nel controllo di quest’ultime che vediamo dei bersagli di riserva sui quali
scaricare l’eccesso di paura esistente, la quale non trova uno sfogo naturale [Z. Bauman, 2007].
Bauman sembra riferirsi a un fenomeno estremamente attuale, in altre parole la dilagante paura nei
confronti delle malattie, in particolare quelle invalidanti e per cui non esistono ancora cure
definitive o sistemi di prevenzione: Alzheimer, Autismo, Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA),
sono solo alcune delle patologie fisiche e mentali che più terrorizzano la popolazione mondiale;
uno tra i motivi principali, al di là degli effetti devastanti che producono e all’assenza di una
terapia definitiva, è l’incontrollabilità.
Gli studi sulla percezione dei rischi e dei pericoli, di fatto, dimostrano come le persone tendano a
percepire più negativamente un fenomeno che non può essere previsto, controllato e che non
dipende dalla volontà del soggetto di esporsi a una situazione potenzialmente dannosa [Rumiati,
Lotto, 2007].
L’Aids, ad esempio, viene percepita in maniera negativa, ma non quanto una patologia come
l’autismo: nel primo caso vi sono elementi di prevenzione (l’uso del preservativo, evitare di
utilizzare siringhe usate da terzi, etc.) che possono permettere al soggetto di tutelarsi; nel secondo
caso, non esiste ancora una terapia o un sistema di prevenzione.
Ma se viene introdotto un capro espiatorio, una causa definitiva che può essere colpevolizzata e
quindi annientata, le persone tendono ad aggrapparsi a tale possibilità per riprendere in mano il
controllo della situazione.
Questa sembra essere una plausibile spiegazione al dilagante fenomeno dell’antivaccinismo, per
cui genitori, giovani adulti, e perfino alcuni medici, rifiutano di vaccinarsi e di far vaccinare i
propri figli, convinti che tali sistemi di immunizzazione in realtà siano la causa di alcune
patologie: gli studi sulla correlazione tra vaccini e autismo, così come tra altre malattie, nonostante
siano stati confutati e rigettati dalla comunità medica mondiale, continuano a plagiare le menti di
numerosissime persone.
Girard li definirebbe dei perfetti capri espiatori: oggetti verso i quali vengono veicolate paure,
frustrazioni; le cause ultimative di problemi sconvolgenti che, tuttavia, possono essere rimossi con
relativa semplicità, ovvero abolendo tali “strumenti di contagio di massa”.
L’idea tipicamente moderna che l’uomo, grazie alla scienza, fosse diventato un semi Dio, in grado
di curare ogni male e di intervenire artificialmente su sé stesso e sulla natura, è crollata insieme
alla fiducia nelle autorità.
Ma il fenomeno dell’antivaccinismo non può essere spiegato solo tramite la teoria del capro
espiatorio; è necessaria un’analisi più complessa, un’immersione completa nel mondo del
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cospirazionismo e in una delle più grandi teorie alternative della storia e della società: Il complotto
Big Pharma.
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II
Il complotto Big Pharma, minaccia globale o fobia collettiva?
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La questione pareva risolta: Wakefield fu bollato come ciarlatano, la comunità scientifica negò la
correlazione tra vaccini e varie patologie (tra cui l’autismo) ed essi vennero riconfermati efficaci
strumenti di immunizzazione di massa.
Eppure, l’atteso ritorno allo status quo non avvenne: il dado era stato lanciato, il dubbio insinuato,
e i genitori dei bambini autistici o con morbo di Crohn, che nella teoria di Wakefield avevano
trovato una risposta, non danno credito alla conclusione della vicenda giudiziaria.
Wakefield venne sostenuto, osannato; si crearono blog a sostegno della sua teoria, venne prodotto
un documentario, “Vaxxed”; si diffuse la fobia dei vaccini: solo in Inghilterra il numero dei
vaccini crollò drasticamente; se nel 2000 la copertura era del 93%, nel 2007 si era scesi al 75%,
mentre nel 2008 si contavano più di 1300 casi di morbillo con due morti accertate [Di Grazia,
2009].
La bomba è stata lanciata, e i suoi effetti sono devastanti.
La gente cerca risposte, in particolare sul perché la comunità medica continui a negare quella che,
secondo una buona fetta della popolazione, è un’evidenza.
La soluzione all’enigma, ancora una volta, arriva dall’universo complottista: le case farmaceutiche
lucrano sulla salute dei cittadini, hanno creato un business globale per cui non è permesso trovare
cure definitive a numerose malattie, altrimenti la vendita di vaccini e di altri medicinali
crollerebbe.
L’idea che esistano lobby farmaceutiche, che vengano inventate in laboratorio nuove patologie,
che si vendano placebo allo scopo di guadagnare denaro, pian piano assume le caratteristiche di
una cospirazione mondiale: è il complotto Big Pharma, l’organizzazione segreta di natura
massonica di cui le principali multinazionali farmaceutiche farebbero parte [Dunning, 2017].
Le teorie complottiste non hanno mai disdegnato le case farmaceutiche e la medicina
“tradizionale” come target da colpire, ma il caso Wakefield ha aperto la strada alle più disparate,
rivolgendosi a un pubblico ampio e variegato, che riscopre una forma mentis scettica e
inquisitoria.
Nei prossimi capitoli ci concentreremo su una forma particolare di complottismo legato alla
minaccia Big Pharma: l’antivaccinismo, per cui il vaccino è uno strumento per il controllo della
mente, un placebo privo di effetti concreti, fino all’idea di vaccino come arma virulenta e di
sterminio di massa.
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III
Viaggio al centro del complottismo: meccanismi psicologici e dinamiche sociali
Le persone hanno la necessità di comprendere l’ambiente sociale e fisico in cui sono inserite, per
poter operare un adattamento cognitivo, affettivo e comportamentale.
Ogni individuo si sviluppa in un contesto preciso, è chiamato a interagire con altri individui, e
processa costantemente la realtà, filtrando l’enorme quantità di informazioni che riceve
dall’esterno.
Un lavoro impegnativo, soprattutto perché richiede un abbondante dispendio di energie e di
tempo, oltre al fatto che presuppone l’assunzione di una grande responsabilità: quella di
rispondere, nella maniera più adatta possibile, a ciò che si è ricevuto ed elaborato.
Non a caso, l’uomo si rifà a schemi interpretativi che lo aiutano nell’orientare le proprie azioni
sociali; una serie di norme, euristiche di pensiero e valori che derivano dalla sua appartenenza a un
determinato gruppo sociale [Allport, 1954].
Di conseguenza, cos’altro non sono le teorie della cospirazione se non quadri teorici e
interpretativi, entro i quali può avvenire l’interpretazione di uno stimolo e la conseguente risposta?
L’antivaccinismo è una corrente di pensiero, strutturata e precisa, al pari di un credo religioso, e
permette agli individui di muoversi in un contesto nebuloso e problematico: la questione della
sanità pubblica e dell’affidabilità o meno delle istituzioni mediche e scientifiche tradizionali.
L’individuo del resto, ha bisogno di ricorrere a strategie di pensiero per semplificare la percezione
della realtà, di per sé complessa e ricca di infinite sfaccettature, per comprenderla e per
controllarla [Palmonari, Cavazza, Rubini, 2002].
Nel caso dell’antivaccinismo, si vuole indagare sull’origine e le cause, non ancora del tutto
accertate, di alcune malattie dell’epoca contemporanea, tanto pericolose perché ancora avvolte nel
mistero.
La lotta degli antivaccinisti è coetanea dei vaccini stessi: già nel corso del XIX secolo si hanno
testimonianze di violente proteste contro i vaccini e l’obbligo di vaccinazione; tuttavia i moventi
erano ancora lontani dalle teorie complottiste, e potevano ritrovarsi prevalentemente in
motivazioni ideologiche e religiose [Assael, 1995].
L’antivaccinismo assume un carattere compatto e radicale in un contesto sociale caratterizzato da
una forte sfiducia nei confronti delle istituzioni tradizionali: quelle che un tempo erano i perni per
la comprensione della società, adesso si sono trasformate in entità torbide e manipolatrici, in grado
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di tramare alle spalle dei cittadini per salvaguardare gli interessi privati, piuttosto che il benessere
e la salute pubblici.
Historia magistra vitae, d'altronde: scandali come gli emoderivati infetti o i numerosi casi di
malasanità hanno scosso le masse e contribuito a gettare un’ombra oscura sulle principali
istituzioni mediche e i suoi rappresentanti.
L’approccio scettico e pessimista dei cittadini di conseguenza, è influenzato da fatti di cronaca
estremamente negativi, ulteriormente amplificati dall’eco mediatica.
Euristiche di pensiero come: “I medici negano le proprie responsabilità in caso di scelte sbagliate”
o “le case farmaceutiche lucrano sul dolore dei cittadini”, hanno notevolmente incrementato
l’adesione delle menti a teorie che promettono di svelare gli ulteriori e presunti inganni che si
celano dietro l’operato dei potenti.
L’individuo postmoderno si sente spaesato, confuso, costantemente terrorizzato dall’idea di essere
succube di piani segreti orditi alle sue spalle e, memore delle esperienze passate, ricerca nella
teoria della dietrologia o dell’insabbiamento, la giustificazione più plausibile alla scarsità di
informazioni che gli permetterebbero una conoscenza più ampia dei maggiori fenomeni sociali e
naturali.
Il complottista sviluppa la propria visione dell’universo secondo tre principi fondamentali
[Barkun, 2003]:
Nulla accade per caso (rifiuto della casualità);
nulla è ciò che sembra (idea della manipolazione);
ogni cosa è connessa all’altra (principio di correlazione).
16
Per citare Umberto Eco [2016]: “la psicologia del complotto nasce dal fatto che le spiegazioni più
evidenti di molti fatti preoccupanti non ci soddisfano, e spesso non ci soddisfano perché fa male
accettarle.”
Credere alla teoria antivaccinista è consolatorio, restituisce all’individuo il potere di controllare la
realtà e i suoi lati più negativi; si fornisce una soluzione miracolosa e istantanea a un problema che
affligge la popolazione, una sorta di via di fuga: la certezza che si possano debellare alcune
malattie, se non addirittura ogni malattia, semplicemente smettendo di vaccinare gli individui.
L’alternativa, ovvero l’idea che si sia ancora così impotenti di fronte ai mali più temuti
dall’umanità, è troppo dolorosa da accettare.
17
3.2 Il confirmation bias e l’analfabetismo funzionale
18
Tuttavia, cos’è l’apprendimento se non un processo di adattamento all’ambiente in cui si è inseriti,
che opera a livello cognitivo, affettivo e comportamentale, e che presuppone un cambiamento del
soggetto coinvolto?
Da tale assunto, ne consegue che da un lato, il confirmation bias agisce sulla percezione positiva
delle proprie capacità e delle proprie risorse, dall’altro lato esso può confinare l’individuo nello
spazio ristretto delle sue convinzioni, tagliandolo fuori da qualsiasi possibilità di confronto.
Ogni esperienza formativa necessita di un confronto, un momento di dialogo e di interazione con
soggetti e situazioni che presentano istanze diverse dalle nostre, al fine di mettere in discussione le
proprie idee e rivalutarle, scegliendo poi se riconfermarle o meno.
L’apprendimento è intrinsecamente collegato al concetto di transizione, di crisi di un
establishment precedente a favore di una nuova visione di un fenomeno, più ampia e frutto di
rielaborazioni costanti [Di Rienzo, 2015].
Questo presuppone la consapevolezza che i propri filtri creativi sono sì utili, ma non infallibili, e
che nella sua esperienza di vita, l’individuo è chiamato a modificare più volte le proprie
convinzioni e ritrovare di volta in volta l’equilibrio tra conoscenze pregresse e nuove
informazioni.
Nel caso in cui, però, gli schemi mentali posseduti dal soggetto abbiano un carattere fortemente
dogmatico e unilaterale, la ricerca del confirmation bias è inversamente proporzionale alla
disponibilità di confrontarsi con l’alter.
Il complottismo non ammette repliche, confutazioni, falsificazioni o confronto, poiché ogni tesi
avversa viene assunta a priori come tentativo dei cospiratori di depistare la missione per la ricerca
della verità.
Ecco allora che il confirmation bias diventa il nucleo di ogni modalità di ricerca: non importa da
quale fonte, né se si utilizza un metodo scientifico o meno; non importa se si mescolano politica,
fantascienza, numerologia e astrologia; ogni informazione, ogni indizio o testimonianza saranno
assunti come ulteriore e innegabile prova dell’esistenza del complotto.
Una sorta di sincretismo metodologico, che raccoglie tutto ciò che può sostenere la tesi di
partenza, senza eseguire una minima scrematura che possa escludere l’attendibilità di tale
informazione, commento o testimonianza che sia.
Alcuni esempi concreti potranno chiarire il fenomeno.
L’ormai noto sito di medicina e informazione “alternative” Natural News, gestito dal tuttologo
autodidatta Mike Adams (la sentinella della salute, così autoproclamatosi), è sicuramente uno
degli esempi più lampanti di ricerca a tutti i costi di confirmation bias.
19
Omettendo il ricorso ad articoli decontestualizzati e a immagini indebitamente utilizzate (sarà
dedicato un paragrafo specifico per il ricorso a falsi), notiamo come tale sito di matrice
complottista citi un’influente personalità del secolo scorso, il Mahatma Gandhi, per conferire
spessore alla tesi antivaccinista.
Gandhi è stato un filosofo, un politico e un avvocato indiano, uno dei pionieri della resistenza non
violenta, praticata tramite la disobbedienza civile; uno tra i personaggi più rappresentativi e
autorevoli del panorama mondiale da inizio Novecento fino ai giorni nostri, indubbiamente.
Tuttavia, egli si è formato in numerosissimi campi, che vanno dal diritto alla religione fino alla
politica internazionale; ma non è stato un’autorità in campo medico, non avendo mai condotto
studi di tale tipo né avendo vissuto esperienze sul campo atte a conferirgli una serie di competenze
specifiche.
Detto ciò, citare il suo aperto dissenso contro i vaccini, che egli definì una pratica barbara e
umiliante che minava la libertà dei bambini, appare quanto mai fuori luogo e inconcludente.
Un altro esempio, probabilmente uno dei più lampanti per dimostrare come la ricerca di
confirmation bias conduca all’analfabetismo funzionale, è l’attribuzione erronea di significati alle
parole di David Rockfeller durante il discorso all’ONU del 1991.
Numerosi teorici del Big Pharma hanno gridato allarme di fronte alle parole del fondatore della
Commissione Trilaterale, e i siti complottisti e antivaccinisti sono esplosi in una polemica satura
di autocompiacimento, avendo rintracciato in tale discorso un’ammissione delle volontà ultime
dell’uomo: pianificare la riduzione della popolazione mondiale.
Nel discorso non si accenna ai vaccini, ma subito i complottisti hanno colmato la lacuna,
evincendo a priori che l’industria farmaceutica e gli strumenti di immunizzazione di massa sono
evidentemente le armi prescelte per annientare parte della popolazione.
Per quanto ci sia sforzi di leggere tra le righe, tuttavia, tali obiettivi oscuri non vengono neanche
lontanamente citati: si parla della necessità di far fronte all’aumento della popolazione mondiale,
che sta avendo un impatto notevole sull’ecosistema e lo sfruttamento delle risorse (da 1.20’ a
1.38’), della possibilità di modificare le logiche di produzione e consumo per trovare un equilibrio
tra sviluppo economico e sostenibilità (da 3.12’ a 3.33’), ma mai di dover sterminare una
consistente parte della popolazione mondiale [Santoru, n.d.].
Questi esempi dimostrano come nella ricerca del confirmation bias agisca il fenomeno
dell’analfabetismo funzionale precedentemente citato, per cui l’individuo è incapace di utilizzare
le proprie abilità di scrittura e lettura in modo efficiente, al fine di partecipare attivamente a tutte
quelle attività che richiedono un certo livello di conoscenza e competenza verbale [ONU:
Department of International Economic and Social Affairs, 1984].
20
Tale forma di analfabetismo è riscontrabile in persone che di fatto hanno ricevuto una
scolarizzazione atta a far sviluppare loro competenze di lettura e di scrittura, ma che non sono in
grado di metterle in pratica nella forma corretta; comprensione distorta del testo, difficoltà ad
esprimere un concetto, tendenza ad interpretare erroneamente le informazioni, sono questi i
sintomi di una piaga sociale sempre più dilagante nei paesi sviluppati.
Primo fra tutti, l’Italia: secondo un rapporto del Human Development Report del 2009, il tasso di
analfabeti funzionali nel nostro paese arriva al 47%.
Un dato che può, a prima vista, sorprenderci.
Ma non così tanto, se si tiene conto che nel suddetto paese le fake news di matrice complottista
sono particolarmente diffuse, e che l’antivaccinismo sta avendo effetti evidenti sulle abitudini dei
cittadini: per esempio, la copertura per il morbillo è scesa dal 90,35% nel 2013 all’85,29% nel
2015; mentre quella per il meningococco è passata dal 77,05% al 76,62% [Saporiti, 2017].
L’analfabetismo funzionale è estremamente presente nei soggetti complottisti, in particolare nella
branca di tale categoria sociale che è sotto la nostra analisi: gli antivaccinisti.
L’incapacità di esaminare il testo, di porsi dei quesiti, di entrare nel dettaglio e di attribuire il
giusto significato alle parole emerge chiaramente dai siti e dai blog che si autodefiniscono “No
vax”.
Basta dare un’occhiata ad alcuni estratti degli articoli proposti, per notare come la ricerca di
confirmation bias e l’analfabetismo funzionale portino a uno stravolgimento del senso del testo e
all’affermazione delle proprie tesi, addirittura laddove esse non trovano fondamento alcuno.
21
Viene riportata la fonte, il testo originale in lingua inglese.
Dopo un’attenta lettura, appare evidente che di terzi fini economici, di New World Order, di
sterminio di massa e di multinazionali spregevoli, non vi è nemmeno l’ombra.
Piuttosto, vengono elencati gli obiettivi imprescindibili a cui attenersi per garantire il benessere
dei cittadini [Presidential Documents, Federal register Vol. 81, 2016], tra cui:
Sviluppare una relazione annuale riguardante i traguardi raggiunti nel campo medico e
sanitario e le nuove sfide da affrontare;
Facilitare l’implementazione e il coordinamento del Centro per il controllo e la
prevenzione delle malattie degli Stati Uniti;
Stilare e pubblicare un piano di prevenzione di incidenti domestici.
Nonostante l’infondatezza delle accuse, e il fatto che tale documento sia in realtà una prova a
sostegno dell’inesistente complotto sopracitato, i complottisti schierati contro la “scienza
tradizionale” riescono a trovarvi appigli per confermare ulteriormente le loro credenze di partenza.
Del resto, Mednat (come numerosissimi altri sito analoghi) si rifà ad una varietà ampissima di
contenuti pur di sostenere il principio base, che spaziano dalla fantapolitica, al New Age fino a
citare gli ormai noti (e temuti) Illuminati1, dando vita a quel sincretismo che è caratteristico del
complottismo moderno.
Riassumendo brevemente: nelle loro ricerche i complottisti seguono una pista a una direzione,
muniti di paraocchi e del proprio bagaglio di convinzioni; tengono gli occhi sulla meta, e qualsiasi
argomentazione contraria o comunque diversa, è percepita come un ostacolo che va schivato, pena
il rischio di cadere nuovamente nella rete del depistaggio da parte dei potenti.
Appare subito evidente come il Web possa essere non solo uno dei luoghi migliori per operare una
ricerca unilaterale e personalizzata, ma addirittura per alimentare il confirmation bias, la visione
soggettiva e filtrata della realtà, fino ad estremizzare tale tendenza dogmatica e incorruttibile.
1
Società segreta di matrice massonica ed esoterica fondata a Monaco di Baviera nel 1776 da Adam Weishaupt
22
3.3 Il ruolo del web nei processi di polarizzazione e radicalizzazione
World Wide Web: un termine che dal 1991, anno in cui il suo fondatore, Tim Bernes Lee, pubblicò
il primo sito online, è stato al centro di dibattiti e discussioni.
E la cosa non dovrebbe sorprenderci: il World Wide Web ha cambiato radicalmente il modo di
comunicare, di relazionarsi, di fare giornalismo, di rapportarsi con organizzazioni e istituzioni; ha
influenzato le logiche di produzione e consumo, stravolto le gerarchie, abbattuto le barriere spazio
temporali e persino modificato le nostre strutture encefaliche.
Perciò, è innegabile che internet abbia operato una vera e propria rivoluzione di portata mondiale,
andando a toccare ogni aspetto della vita umana, tra cui la conoscenza e la formazione delle
opinioni.
In particolare, il Web semantico, padre dei prosumers (utenti che sono al contempo consumatori e
2 3
produttori di contenuti virtuali), della cultura del remix , del crowdsourcing e del
citizenjournalism4, ha permesso il proliferare di contenuti bottom up (realizzati da amatori non
professionisti) delle specie più varie, tra cui contenuti complottisti e antivaccinisti.
Anzi, di più: il complottismo ha trovato un terreno fertile proprio nell’universo online che,
nonostante offra virtualmente l’accesso a infinite risorse e illimitate opinioni, estremizza la
tendenza a riunirsi attorno a narrazioni condivise [Quattrociocchi, 2016].
Gli stessi motori di ricerca sono personalizzabili, memorizzano la nostra cronologia, propongono
di volta in volta contenuti vicini ai nostri gusti, ai nostri interessi o comunque in accordo con
quanto ricercato nell’ultimo periodo: una carrellata di pagine, blog, advertisement, video
promozionali e altro ancora che, di fatto, ci relegano entro i confini delle nostre credenze,
impedendo un reale apprendimento.
Internet è strutturalmente programmato secondo algoritmi che favoriscono le ricerche
personalizzate, facendoci navigare non in un mare aperto e sconfinato, quanto più in una
pozzanghera ristretta: questo è dovuto alle echochamber, delle vere e proprie camere di risonanza
in cui troviamo più e più volte ciò che ci aggrada, con cui concordiamo, o che già conosciamo, in
sintonia con i nostri interessi e le nostre convinzioni.
Si tratta di un fenomeno della rete, per cui l’utente è esposto a una serie di stimoli che
riconfermano ogni volta il proprio pregiudizio di partenza; sono bolle che si formano sulla base di
contenuti simili, e che raggruppano gli utenti che sono accomunati da tali contenuti.
2
Tendenza a rivisitare e manipolare contenuti preesistenti servendosi di programmi multimediali [Cattani, 2009]
3
Pratica giornalistica per cui si reperiscono informazioni e prodotti multimediali da non professionisti [Grossi, 2004]
4
Pratica giornalistica per cui ci si serve di articoli e contenuti realizzati da amatori [Grossi, 2004]
23
Di per sé, i complottisti sono estremamente propensi a fare propaganda, a divulgare le proprie tesi
o “scoperte”, a ricercare un feedback nelle masse, in particolare ricorrendo ai prodotti
dell’industria culturale: basti pensare al controverso Fahrenheit 9/11, documentario del 2004
firmato Michael Moore, in cui si analizza il rapporto tra l’allora presidente Usa George W. Bush e
il noto terrorista Osama Bin Laden, e dove si avanza l’ipotesi di complotto dietro l’attacco alle
torri gemelle.
Il web, tuttavia, si dimostra un mezzo ancora più efficace nel proliferare di fake news legate al
complottismo, poiché permette agli utenti di mettersi in contatto gli uni con gli altri in tempo reale
e di scambiare le proprie convinzioni.
Le echochamber complottiste e alternative che vengono a formarsi nelle diverse piattaforme
online, a differenza di quelle di stampo scientifico, hanno una diffusione lineare e progressiva: non
toccano mai un apice per poi stabilizzarsi, ma continuano a crescere linearmente.
Esse hanno origine da un insieme di interazioni tra utenti che si ritrovano in un luogo virtuale (sia
esso una chat room, un forum, un blog o altre piattaforme online) che le accomuna per gusti e
bisogni.
Come in ogni dinamica relazionale, gli utenti scambiano opinioni, esperienze, materiali e
contenuti; stringono legami, talvolta di tipo affettivo che, anche se mediati dal device tecnologico,
hanno comunque un impatto sul soggetto; in breve, tale spazio di dialogo assume i contorni di un
gruppo, ovvero un insieme di persone che interagiscono in maniera diretta, operando un’influenza
reciproca a tre livelli (cognitivo, affettivo, comportamentale).
In particolare, il bisogno di affiliazione, che è proprio della natura umana, trova soddisfazione nel
web, poiché tale strumento sopperisce alla mancanza di associazionismo e al dilagante
individualismo di cui soffrono le società postmoderne.
Tale bisogno è avvertito in maniera pressante nell’epoca contemporanea, dal momento che
l’appartenenza a un gruppo permette la condivisione di visioni del mondo e indirizza il soggetto
nella rappresentazione della realtà.
Per questo gli spazi virtuali costituiscono sempre più dei veri luoghi di aggregazione, dove virtuale
non significa fittizio ma potenziato [Fabris, 2004].
Sembrerebbe un fenomeno che apporta indubbi benefici, ma il rovescio della medaglia mostra i
limiti e le criticità.
In un contesto sociale non mediato tecnologicamente, l’individuo può fare esperienza del diverso,
l’alter: individui con idee, retaggi culturali, situazioni economiche e visioni del mondo variegate,
che concorrono al confronto e all’apprendimento.
24
Mentre nel Web, la personalizzazione e la soggettività, come già accennato, catapultano
l’internauta in un universo accondiscendente, dal momento che egli decide in quali luoghi virtuali
navigare; e in genere, si tratta di quelli che più corrispondono ai suoi schemi mentali.
L’interazione con utenti che appartengono alla stessa corrente di pensiero, o che presentano
attitudini simili, tenderà a produrre una maggiore estremizzazione delle posizioni primarie
[Sunstein, 2000].
Il complottista è, generalmente, un individuo che presenta un’elevata percezione del rischio, che
ha la tendenza a ricercare nemici e impostori ovunque, e che è colpito da un forte stress cognitivo
derivato dal dover costantemente analizzare e mettere in discussione ogni fatto sociale che si
presenta nel suo quotidiano.
Di conseguenza, in qualità di complottista, anche l’antivaccinista presenta livelli di stress alti, una
paura irrazionale e ingiustificata e un eccessivo peso attribuito alle potenziali perdite rispetto ai
guadagni.
25
La tendenza ad avvertire le perdite come più dolorose rispetto ai guadagni è propria della natura
umana, come si evince da uno studio sulla percezione del rischio condotta da Kahneman e
Tversky nel 1979, che ha portato all’elaborazione della teoria del prospetto e dell’effetto framing
[1979, 1981].
In breve, i soggetti sono portati a scegliere un’opzione con esito certo quando formulata in termini
di guadagno o positivi, mentre sceglie l’alternativa incerta quando formulata in termini di
potenziali perdite o negativamente.
In medicina, non vi è nulla di certo: ogni terapia o farmaco può causare, anche se in percentuali
irrisorie, degli effetti collaterali sulla salute del paziente.
Talvolta vi possono essere casi in cui dei soggetti sono riusciti a guarire grazie alla
somministrazione di placebo (soluzioni di acqua e zucchero privi di principi attivi); mentre, in altri
casi, alcuni pazienti hanno riportato danni collaterali di diversa entità a seguito di una particolare
terapia.
Si tratta di situazioni non sempre facilmente prevedibili, per cui non si può determinare la validità
o meno di un trattamento terapeutico appellandosi al concetto di “rischio zero”.
In medicina, nessuna scelta operata da un professionista è certa e sicura a trecentosessanta gradi.
Eppure, nel caso degli antivaccinisti, la percezione del rischio collegato a effetti collaterali e la
paura per l’inevitabile margine d’errore che ogni terapia presuppone, porta a un rifiuto totale della
terapia stessa, la quale si rivela un trattamento non a rischio zero.
Ma esistono trattamenti a rischio zero? Ovvero, è possibile proporre soluzioni miracolose ed
immediate, che escludono reazioni anomale, effetti collaterali o che possano essere applicate
universalmente?
Uno tra i principali bias cognitivi che radicalizzano il pensiero complottista è proprio il principio
di precauzione, per cui appare sensato evitare i vaccini dal momento che hanno provocato un certo
numero di effetti collaterali gravi accertati [Grignolio, 2016].
Ma, come affermato poc’anzi, non esistono trattamenti a rischio zero, così come nel nostro
quotidiano nessuna azione è lungi dall’essere potenzialmente pericolosa; si può definire una
situazione o comportamento pericolosi sulla base della probabilità che essi hanno di arrecarci un
danno e sulla gravità del danno stesso.
Parlare di sicurezza totale, invece, è paradossale.
L’unico approccio razionale di fronte un trattamento biomedico è pesare i costi e i benefici che
comportano tanto la sua adozione quanto una scelta alternativa, inclusa nessuna terapia.
26
Basta un confronto tra i costi e i benefici del sottoporsi alle vaccinazioni obbligatorie e il non farlo
per capire quale trattamento presenta un margine di rischio nettamente minore.
Prendiamo in esame il vaccino contro il morbillo, una malattia infettiva esantematica altamente
contagiosa: nel mondo, nel periodo tra il 2000 e il 2007, grazie al vaccino si è passati da 750 mila
decessi a 127 mila; tenendo conto che i dati includono anche paesi del terzo mondo dove le cure
mediche e assistenziali sono scarse, si tratta comunque di un risultato evidente [Di Grazia, 2009].
Per quanto riguarda gli effetti collaterali più gravi (non citiamo normali reazioni quali l’aumento
della temperatura corporea o stati febbrili passeggeri) sono talmente rari da non poter essere
rappresentati su base statistica, né essere effettivamente associati alla somministrazione del
vaccino.
Il fatto di riportare ogni possibile reazione che si è sviluppata a seguito del vaccino, tra cui deficit
cognitivi o disturbi gastrointestinali, non è dovuta a una supposta correlazione tra il trattamento e
tali patologie, ma all’obbligo di dichiarare qualsiasi evento che cronologicamente si sia verificato
in un periodo successivo alla somministrazione del vaccino, anche laddove non vi sia
effettivamente un rapporto di causa – effetto [Di Grazia, 2014].
Un rapporto tra costi e benefici in cui il piatto della bilancia propende sicuramente verso i vaccini,
così come, nel ragionamento inverso, la pericolosità delle malattie per cui esistono i vaccini
sarebbe nettamente superiore e più invalidante rispetto ai supposti effetti collaterali.
Sed contra, i vaccini continuano ad essere percepiti secondo un livello di pericolosità più elevato,
poiché si percepiscono in maniera quasi parossistica le potenziali perdite (sviluppo di varie
patologie) piuttosto che gli accertati e sicuri guadagni (l’immunità di gregge, la prevenzione, il
rafforzamento del sistema immunitario).
Estremizzando il principio di precauzione e applicandolo ai teorici del complotto Big Pharma
nella sua complessità, di fatto essi sostengono che, giacché su una determinata innovazione
scientifica e tecnologica non abbiamo certezza assoluta (rischio zero), è opportuno bloccarne lo
sviluppo e la diffusione a titolo precauzionale [Grignolio, 2016].
I vaccini, le nuove terapie sperimentali, i nuovi farmaci e le varie scoperte tecnologiche in campo
biomedico, sono perciò, sì visti sotto la luce delle loro potenzialità; ma potenzialità dannose,
piuttosto che positive.
Una schiera di Apocalittici agguerriti, li potrebbe definire Umberto Eco, caratterizzati da un totale
rifiuto del progresso e accecati dal bias del naturismo (l’erronea credenza che l’essere umano
27
possa sopravvivere e prosperare in maniera migliore se vive a stretto contatto con la natura, senza
intervenire su di essa in nessun modo).
Come spiegare questo analfabetismo funzionale che colpisce gli individui, portandoli a schierarsi
contro una fazione nonostante questa sia evidentemente sostenuta a livello statistico?
Ancora una volta, la ricerca di confirmation bias e la polarizzazione nelle echochamber giocano
un ruolo fondamentale nella percezione del fenomeno e nello sviluppo delle opinioni.
I no vax e i vari complottisti semplicemente evitano di osservare le statistiche e le documentazioni
che sostengono le tesi avversarie, in uno spirito di chiusura dal sapore quasi fideistico–religioso
per cui non si vogliono intaccare le proprie convinzioni entrando in contatto con gli imbrogli del
nemico (ricordiamo che, per qualsiasi complottista, le tesi contrarie sono ulteriori falsi prodotti per
ingannare e nascondere l’esistenza del complotto).
Gli antivaccinisti perciò, raramente vengono a confrontarsi con i numeri della controparte, e
continuano ad alimentarsi delle proprie statistiche e dei racconti di genitori e vittime del terribile
mostro Big Pharma.
Proprio l’effetto framing inoltre, gioca un ruolo importante nella scelta di non seguire la medicina
“tradizionale”, dal momento che gli antivaccinisti presentano solo i (presunti) guadagni derivanti
da un approccio alternativo e naturista alla propria salute.
Questo fenomeno verrà analizzato più specificamente nel paragrafo dedicato alla costruzione del
messaggio persuasivo.
28
IV. Antivaccinismo: perché considerarlo una teoria del complotto?
Teoria del complotto, complottismo, cospirazionismo; diversi termini che indicano una stessa
forma mentis: la tendenza a vedere in ogni fatto storico, politico, sociale ed economico un
complotto architettato dai potenti, riuniti in lobby o sette massoniche, ai danni della popolazione
mondiale.
Il cospirazionismo si è ramificato e diversificato talmente tanto, nel corso della sua evoluzione,
che è quasi impossibile pensare ad esso come a un modello unitario; si tratta più di un insieme di
tesi, sospetti, ricerche, teorie, che toccano ogni ambito della conoscenza umana.
Vi sono elementi tuttavia, che accomunano anche le più lontane teorie, e che fa sì che esse
possano essere ricondotte al pensiero di matrice cospirazionista e alternativa.
Daniel Pipes [2005] ha evidenziato delle caratteristiche ricorrenti in tali approcci, che egli elenca e
analizza nel dettaglio.
Queste linee guida per l’identificazione delle teorie complottiste sono utili per stabilire come
anche l’antivaccinismo, nelle sue diverse sfaccettature, appartenga a questa corrente ideologica.
Conoscenza della storia fondata su percezioni erronee dei fatti storici: il confirmation bias
agisce in maniera spietata sui complottisti, i quali non solo hanno una visione pessimistica
29
e materialista della storia, ma addirittura hanno fondato parte delle loro credenze su
informazioni false e scorrette, accettate indiscutibilmente perché in linea col proprio
pensiero.
Tra le principali concezioni erronee riguardo all’introduzione dei vaccini e il debellamento
di malattie potenzialmente mortali, troviamo l’assunto: “Le malattie infettive stavano già
scomparendo prima dell’introduzione dei vaccini.”
Un’idea priva di fondamento, dal momento che quando in Giappone si sospese il vaccino
per la pertosse, a causa della convinzione che esso portasse a danni collaterali, i casi
passarono da 393 e nessun decesso nel 1974 a 13.000 e 41 decessi nel 1979 [Di Grazia,
2017].
Molte malattie cominciarono a diminuire nel corso del XX secolo, questo è vero; e non
avvenne esclusivamente grazie ai vaccini: ad esempio, l’intuizione del medico ungherese
Ignác Semmelweis di imporre ai medici di lavarsi accuratamente le mani quando
passavano dalla sala delle autopsie al reparto di ostetricia, permise una drastica
diminuzione delle morti per febbre puerperale e la diffusione di altre infezioni [Nuland,
2004].
Quindi, accanto ai vaccini, sicuramente incisero anche le migliorie delle condizioni
igienico sanitarie e le nuove prescrizioni comportamentali introdotte; tuttavia, da sole non
sarebbero mai state sufficienti a portare al debellamento di molte patologie.
30
Inoltre, nonostante i due gruppi siano piuttosto polarizzati, risulta che il 9,71% degli utenti
scientifici commenti anche i post complottisti, mentre solo lo 0,92% dei complottisti
commenta i post scientifici [Quattrociocchi, 2016].
Numerose sono le pagine antivacciniste che seguono lo stesso schema, tra cui:
“Vaccini Basta”(https://it-it.facebook.com/vaccinibasta/),
“Med.nat.Org” (http://www.mednat.org/vaccini/vaccini_base.htm)
“Autismo e Vaccini.” (https://autismovaccini.org/).
32
Come si è scoperto recentemente tuttavia, tale immagine è stata rubata dal social network
Shutterstock e manipolata per indurre all’empatia e fomentare le polemiche contro i vaccini.
Lo stesso padre del bambino, che ora ha cinque anni e gode di ottima salute, ha confermato il fatto
tramite il suo account Facebook; non dimenticando di dire che il figlio è stato vaccinato [Puente,
2017].
Secondo Michael Barkun [2003], esistono tre tipologie ben definite di complottismo:
Le teorie relative a un unico, preciso evento (per esempio, l’assassinio di Kennedy);
Le teorie sistemiche del complotto, per cui si pensa al complotto come a un piano che si
sviluppa e protrae nel tempo, con fini precisi e a lungo termine;
Le super teorie del complotto, in cui vi è la commistione di più teorie diverse (la famiglia
Rockfeller sta a capo del NWO, ed è composta da alieni “Rettiliani” che vogliono
conquistare il pianeta terra).
Per Barkun, l’antivaccinismo e il complotto Big Pharma sono riconducibili al secondo modello,
poiché sono graduali e volti a un controllo progressivo e continuo della popolazione, sia che si
abbracci la teoria all’arricchimento costante delle lobby farmaceutiche, sia che si sposi la causa del
controllo mentale o dello sterminio di massa.
33
V. Nella mente del complottista: il modello tripartito di Hovland
Tra gli anni 1950 – 60, il tema del cambiamento di opinioni e atteggiamenti, unitamente
all’interesse per la comunicazione persuasiva, hanno portato a interessanti studi sull’influenza
sociale.
Tra i principali gruppi di studiosi che si sono interessati a tale tematica, i ricercatori
dell’Università di Yale, coordinati da Carl Hovland, hanno fornito un grande contributo
all’elaborazione di un modello in grado, almeno in parte, di spiegare i meccanismi che stanno alla
base dei cambiamenti di atteggiamento e di adesione delle menti a una visione precisa di un
fenomeno.
Il modello tripartito, che si fonda sull’analisi delle caratteristiche di fonte, messaggio e ricevente,
può essere applicato allo studio del crescente numero di antivaccinisti, per comprendere come
l’interazione tra i tre attori dell’atto comunicativo provochino l’accettazione di tale teoria
complottista.
Ogni teoria del complotto ha un padre fondatore, un individuo singolo o un gruppo di personaggi,
carismatici e influenti, da cui si muovono le prime istanze di tipo complottista.
Andrew Wakefield, sebbene non sia un teorico del complotto, con la sua tesi ha spianato la strada
ai complottisti del Big Pharma, fornendo loro una prova sicura che dietro le case farmaceutiche si
nasconda un vero e proprio business.
In questo caso, a pesare è stato lo status di Wakefield: un medico e gastroenterologo affermato,
figlio d’arte (il padre era un neurologo), ricercatore presso il Royal Free Hospital di Londra;
insomma, un profilo ineccepibile [Smith, 2010].
Nel suo lavoro sulla comunicazione persuasiva, Hovland indica l’autorità e lo status sociale come
elementi che fortemente incidono sul processo di persuasione, intesa come un cambiamento del
proprio sistema di credenze e di opinioni sulla base dell’esposizione a fattori esterni.
Wakefield non era un guaritore di strada, né un’opinionista da talk show, ma un medico
professionista e specializzato; questo, in termini di credibilità, ha fatto la differenza.
La credibilità è data dal rapporto tra livello di preparazione (expertise) e di sincerità
(trustworthiness) [Lotto, Rumiati, 2007], e Andrew Wakefield si dimostrò subito vincente in
questi due ambiti: un ricercatore di alto livello, dichiaratamente interessato al benessere dei
pazienti e, più in generale, a quello dell’intera popolazione.
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Non a caso, la comunità medica aveva inizialmente accolto l’ipotesi di Wakefield, dandogli
credito e operando ulteriori ricerche per confermare o smentire la sua scoperta.
Secondo gli studi di Hovland, l’autorevolezza della fonte opera un tipo di cambiamento di
atteggiamento definito internalizzazione, per cui vi è l’integrazione della nuova opinione nel
sistema di credenze e valori preesistente [Rumiati, 2007].
Nel caso specifico dei vaccini, tuttavia, non è strettamente necessario essere un’autorità in campo
medico e scientifico perché la propria opinione su tale tematica possa essere definita autorevole: il
noto attore Jim Carrey, assieme alla compagna di allora Jenny McCarthy (ex playmate e madre di
un bambino affetto da autismo), nel 2008 ha creato il movimento “Green our vaccines”, allo
scopo di indurre le case farmaceutiche a “rimuovere le tossine dannose all’interno dei vaccini che
causerebbero autismo” [Grignolio, 2016].
Il movimento si è diffuso rapidamente in tutti gli Stati Uniti, arrivando a inglobare varie
associazioni no vax capeggiate da genitori allarmati e sostenitori della medicina omeopatica.
Sembra, quindi, che basti essere un personaggio influente e noto per avere presa sul pubblico e
imporsi quale opinion leader; esserlo nel campo medico, o nel mondo dello show business, non ha
particolare rilevanza.
L’incidenza della fonte sul processo di assimilazione e integrazione del nuovo atteggiamento, ha
effetti a breve termine: dopo che Hovland ebbe esposto i soggetti del suo esperimento [1951] alla
comunicazione persuasiva, e dopo aver riscontrato l’effetto che la credibilità della fonte esercita su
di essi, decise di eseguire un follow-up; ne emerse che, a distanza di tempo, gli individui tendono a
dimenticare il ruolo della fonte e quindi vi sono maggiori probabilità di un ritorno alle opinioni
iniziali.
Tale fenomeno venne definito “sleeper effect”.
Di conseguenza, le caratteristiche della fonte agiscono solo in un primo momento sulla
motivazione ad accettare una nuova motivazione [Palmonari, Cavazza, 2003].
Eppure, l’adesione delle menti all’idea per cui i vaccini siano dannosi per la salute, persiste nel
tempo e anzi sembra consolidarsi sempre di più.
Perciò, vi devono essere ulteriori fattori che contribuiscono a tale processo di persuasione.
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5.2 Il messaggio
Un altro elemento di rilievo che vale la pena citare per comprendere come i messaggi complottisti
agiscono nella mente degli individui è l’Innuendo Effect.
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Nel 1981, Daniel Wegner e i suoi collaboratori della Trinity University condussero un esperimento
sul ruolo giocato dalle insinuazioni (in particolare nella comunicazione giornalistica) nella
percezione di un fenomeno o della reputazione di un individuo.
Lo studio permise di stabilire che l’insinuazione, intesa come l’inoculazione di un dubbio, per lo
più di natura negativa, porta all’elaborazione di un giudizio peggiore piuttosto che nel caso di
un’affermazione.
Questo giudizio negativo viene espresso sulla base di una riflessione personale, la quale fortifica
l’idea negativa che viene sottointesa, anche se non sostenuta con certezza.
La proposizione: “Bob Talbert ha rapporti con la Mafia?”, espressa sottoforma di domanda,
produce una risposta poco più negativa della proposizione: “Bob Talbert ha rapporti con la
Mafia”.
Ancora, la proposizione: “Bob Talbert non ha rapporti con la mia mafia”, porta a una risposta
neutra ma tendente al negativo, perché si insinua che vi sia stato il dubbio fino ad allora riguardo i
rapporti instaurati da tale soggetto.
L’Innuendo Effect è ampiamente usato dai complottisti, che sfruttano le interrogazioni non per
indurre una riflessione personale ma, piuttosto, per pilotare l’opinione dell’audience e convincerla
della veridicità del complotto.
Molti esponenti del complottismo abbracciano la teoria antivaccinista, tra cui una personalità che,
negli ultimi anni, ha iniziato a godere di una certa popolarità.
“Coincidenze? Io non credo”, è diventato lo slogan ufficiale dei teorici del complotto e dei loro
seguaci, grazie all’ormai noto blogger e personaggio televisivo Adam Kadmon.
Adam Kadmon è un personaggio fittizio, dietro il quale si nasconde uno scrittore amatoriale e
investigativo, che da anni indaga sui diversi complotti mondiali e la cui identità rimane tuttora
ignota.
In materia di vaccini, Adam è stato tra i primi a esprimere e divulgare le sue teorie, tramite il suo
blog amatoriale e la piattaforma Youtube.
In particolare, il blogger è un sostenitore della tesi dei vaccini come uno tra gli strumenti per il
controllo mentale, assieme alle scie chimiche e alle onde ELF (acronimo per Extremely Low
Frequency, una banda di frequenze radio comprese tra 3 e 30 Hz).
In uno dei suoi primi video amatoriali [EnergiaS, 2009], Adam ricorre spesso all’Innuendo effect
per insinuare il dubbio negli spettatori: una domanda che, lontana dall’imparzialità, sembra
contenere già la risposta che egli si aspetta.
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Al minuto 0.10: “Siete certi che [i vaccini] non siano più pericolosi del virus stesso?”, vi è
l’insinuazione di un dubbio in cui, di fatto, la risposta è implicitamente contenuta nella domanda.
Minuto 4.16: “Che l’adorazione del Dio denaro approvi la scienza etica?”; un implicito
riferimento alla correlazione tra business, farmaci e vaccini, su cui il complotto Big Pharma si
fonda.
L’appello alla paura è un’altra strategia comunicativa ampiamente impiegata dagli antivaccinisti,
quale strumento efficace per colpire le fasce della popolazione più sensibili alla questione, come le
nuove generazioni di genitori.
L’appello alla paura venne studiato nel 1953 da due colleghi di Hovland, Janis e Feshbach, i quali
scoprirono come il forte appello alla paura sia una tecnica efficace per indurre nei soggetti esposti
al messaggio un forte senso di tensione e preoccupazione.
In numerosi siti pseudoscientifici è molto probabile incappare nelle “Gallerie degli orrori”, cioè
post di fotografie raffiguranti bambini vittime di danni collaterali imputati alla somministrazione
di vaccini.
Una sequenza di immagini shockanti, che ritraggono individui in età pediatrica colpiti da
malformazioni e patologie non meglio specificate, spacciate come reazioni ai vaccini.
Nonostante non siano citate le fonti, non vi siano prove che attestino che tale reazione sia dovuta
all’esposizione ai vaccini e gli autori del blog non posseggano una formazione nel campo medico
e dell’immunologia, molti utenti tendono ad assumere come veritiere tali immagini.
La conseguenza è un radicale cambiamento dell’atteggiamento nei confronti dei vaccini, che
vengono percepiti come dannosi e, talvolta, letali.
Si ha, quindi, una sovrastima di rischi improbabili.
Un ulteriore elemento che concorre all’adesione delle menti a un messaggio di tipo complottista
antivaccinista è l’effetto framing, fenomeno per il quale la maniera in cui è formulata
un’asserzione va ad incidere sulla percezione dell’evento e, conseguentemente, sulla risposta
emessa dal ricevente.
Il termine frame significa cornice, ed indica il contesto, oltre che lo stile comunicativo, di cui
l’individuo tiene conto nell’elaborazione del fatto presentatogli.
Il messaggio antivaccinista, unilaterale e dogmatico, presenta solo le conseguenze positive, quindi
in termini di guadagno, del non vaccinare il proprio figlio.
Il guadagno consiste nell’evitare l’insorgenza di patologie gravi, di indebolire il naturalmente forte
sistema immunitario del soggetto, di arricchire un’industria arrivista e dannosa.
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Vediamo come non si tratti, tuttavia, di guadagni reali, ma siano anch’essi frutto della
manipolazione operata dalle fonti complottiste, dipendenti dalle falsificazioni.
5.3 Il ricevente
I primi studi psicologici sulle caratteristiche della personalità complottista, inteso come colui che
assume a priori l’esistenza di un complotto come causa o origine certa di determinati fenomeni,
risale al 1964 con gli studi dello storico e premio Pulitzer Richard Hofstadter.
Il lavoro di Hofstadter si concentrò prevalentemente sullo stile paranoico, ovvero un approccio
alla realtà che si fonda sulla costante di ricerca di complotti e inganni orditi alle proprie spalle, in
un sentimento di incertezza, frustrazione e rabbia.
Egli affermò che tale stile derivava da un’atipica tendenza aggressiva nei confronti della società e
nella maniera stessa di processare l’ambiente di appartenenza, che a lungo andare provocava
disturbi psicopatologici responsabili dello sviluppo di un’esagerata paranoia, di manie di
persecuzione, delusione e di narcisismo per cui i propri schemi mentali e visioni del mondo
vengono sovrastimati.
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Quest’ultimo elemento indica una personalità con un elevato grado di autostima che, incapace di
riporre fiducia nei membri della società e nelle sue istituzioni, sviluppa un egocentrismo che lo
porta a percepire la sua visione in maniera unidirezionale e indiscutibile.
In questa visione del complottista, Hofstadter delinea una personalità con un deficit
comportamentale e sociale, tendenzialmente e volutamente isolato, incapace di interagire con altri
individui e di assumere punti di vista esterni [Hofstadter, 1971].
Sebbene la teoria dello stile paranoico abbia rappresentato un eccellente punto di partenza per
delineare il profilo, almeno a livello generale, del complottista, appare quanto mai riduttivo
affermare che la sindrome del complotto sia rintracciabile quasi esclusivamente in soggetti con
una predisposizione a psicopatologie di tipo paranoide e maniaco - depressive.
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Da un lato vediamo come l’individuo si distanzi da materiali, notizie e informazioni relative ai
progressi e alle scoperte scientifiche; dall’altro, assistiamo all’interesse sempre più crescente per
diverse teorie relative alla sanità, alla salute e all’ambiente.
Le conclusioni a cui sono giunti gli psicologi della Western Australia University sono le seguenti:
il complottista è un individuo che, prima ancora di essere entrato in contatto con teorie
complottiste ben definite, nutre dubbi, sospetti, o semplicemente disinteresse nei confronti della
scienza tradizionale, e ricerca una formazione autodidatta e non convenzionale; una volta entrato
in contatto con una o più teorie, vi è uno spostamento dell’asse valoriale sempre più netto a favore
del complottismo, mentre qualsiasi fonte di stampo scientifico - tradizionale viene evitata a priori.
Nel caso dell’antivaccinista, quindi, l’iniziale disinformazione o scarsità di conoscenze mediche e
scientifiche costituirà la base per lo sviluppo della sfiducia nei confronti degli strumenti di
immunizzazione e l’avvicinamento a pratiche e teorie alternative.
Questa chiusura porterà al rifiuto dei vaccini anche nel caso in cui vengano scoperte e divulgate
prove a sostegno della sicurezza dei suddetti.
Un esperimento del 2008 condotto da Jennifer Whitson, dell’Università del Texas, e Adam
Galinsky, della Northwestern University, ha dimostrato che i partecipanti che percepiscono una
certa mancanza di controllo nella loro vita, sono più predisposti ad aderire a modelli illusori, tra
cui le cospirazioni.
Non a caso, gli antivaccinisti sono genitori di età compresa tra i 25 e i 40 anni, benestanti e con un
livello culturale medio – alto i quali, secondo il Professor Andrea Grignolio [2016]: “Hanno
un'alta percezione del rischio perché hanno gli strumenti cognitivi per andare su internet e leggere
tutte le informazioni, per lo più sbagliate, che la rete riporta e quindi sono le uniche che si
espongono paradossalmente al carico informativo eccessivo, contraddittorio e ricco di rischi che la
rete riporta sul tema dei vaccini.”
Afferma sempre Grignolio, il loro status sociale li fa avvicinare ad approcci di tipo naturista e
omeopatici, i quali sono spesso contrari ai trattamenti farmacologici.
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rapporto ambivalente con la comunicazione medica e nella tendenza a ricercare
indipendentemente le informazioni, incappando nelle fake news allarmiste della rete.
Avere il primo figlio in età avanzata, dal punto di vista evolutivo, comporta un notevole stress per
diversi motivi: la paura legata alle credenze per cui i bambini nati da madri mature sono
predisposti a sviluppare malattie congenite; l’idea di avere a disposizione ancora poche chance
riproduttive; la normale preoccupazione che ogni genitore è portato a sviluppare nel corso di tale
esperienza.
Se a questi elementi si aggiunge il progressivo e inesorabile ribaltamento dei ruoli tra medico e
paziente, uniti al dilagante senso di complottismo e alle notizie sensazionaliste e allarmiste diffuse
nel web, è chiaro che il quadro dell’antivaccinista tipo ritragga genitori adulti, spaventati, vissuti
in pieno post – modernismo e convinti di poter sostituirsi all’autorità medica competente.
Un’ulteriore indagine sembra confermare una maggiore incidenza del pensiero complottista –
antivaccinista nelle donne: la ricerca psicologica condotta nel 2011 da Naomi Smith, docente di
sociologia presso la Federation University Australia, ha rilevato che gli “novax” più attivi nel web
sono generalmente donne.
Smith ha analizzato il numero di commenti, condivisioni e like in sei pagine antivacciniste su
Facebook nell’arco di due anni, arrivando alla conclusione che ben due terzi degli antivaccinisti
attivi online sono donne, abituate a informarsi su siti alternativi e convinte dell’esistenza di uno o
più complotti concernenti la salute e il benessere mondiale.
42
VI. Conclusioni: una possibile cura all’antivaccinismo
Il fenomeno del complottismo, come abbiamo potuto appurare, è ampio e variegato: tracciare un
percorso lineare non è possibile, dal momento che le teorie “dietrologiche” toccano così tanti
ambiti e si sviluppano in contesti così sfaccettati, da rendere difficoltosa l’elaborazione di una
spiegazione unica ed esaustiva.
Per quanto concerne l’antivaccinismo – questa (non poi così recente) forma di complottismo – la
strada verso un’operazione di rivalutazione e comprensione del fenomeno è ancora lunga e
tortuosa, soprattutto a causa dei sopracitati meccanismi psicologici che stanno alla base della
resistenza al cambiamento.
Una soluzione a tale dilagante piaga sociale è tuttavia possibile; ancora una volta, la teoria del
prospetto ci viene incontro.
Secondo il più volte citato Andrea Grignolio, se si tende a percepire più dolorosamente le perdite
rispetto ai benefici, la comunicazione medica e sociale verso i vaccini dovrebbe enfatizzare la
protezione persa nei confronti di malattie potenzialmente letali se si sceglie di non seguire la
pratica della vaccinazione; per farlo, si devono veicolare messaggi e storie che spieghino gli alti
rischi, piuttosto che insistere su efficacia e sicurezza.
L’appello ai generici benefici sociali, come l’immunità di gregge, sembra non attecchire sui
genitori, i quali vengono maggiormente colpiti se il messaggio proposto ha un carattere
personalizzato e stimola l’empatia.
Rischi devono essere percepiti nei confronti dei propri figli, e non estesi a tutta la comunità; più le
storie proposte si avvicinano al loro sentire e al loro quotidiano, e più riconoscono nelle vittime di
tali malattie dei tratti di somiglianza con la loro prole, più si ottiene un’adesione alla vaccinazione
[Hendrix, 2014].
Il ricorso a storie emotivamente coinvolgenti, in cui la vittima sia identificabile e comparabile ai
propri cari (età anagrafica dei nostri bambini, appartenenza alla stessa cultura, elementi di
comunanza), si rivela molto più vincente di ogni tentativo di correggere le idee false, il quale
invece si rivela controproducente e può portare al fenomeno del Backfire [Nyhan, 2013].
La battaglia all’antivaccinismo, così come a tutte le forme di fake news e di teorie del complotto di
natura capziosa e infondata, è perciò possibile.
Un antidoto unico e infallibile non è disponibile, ma è necessario combattere costantemente la
Post - verità, la quale continua a minacciare il dibattito basato sul pensiero critico e sul
ragionamento logico.
43
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