Sommario: 1. Premessa. Il problema della visibilità degli interessi nel processo costituzionale. Utilità di una
comparazione con il sistema statunitense. - 2. L'amicus e la Corte Suprema: un'amicizia fondata sugli interessi.
- 3. La regolamentazione dell'istituto attraverso le oscillazioni di un secolo di giurisprudenza. - 4. Judicial
lobbying: i soggetti. - 5. Judicial lobbying: le strategie. - 6. Effetti della presentazione dei briefs: sulla selezione
dei casi da decidere. - 7. Segue: sulla decisione dei casi. - 8. L'amicus curiae come fattore legittimante. - 9. Un
amicus anche per la nostra Corte?
2. L'amicus curiae è figura di origini antiche (13), che ha conosciuto proprio negli Stati
Uniti un'evoluzione tale da modificarne profondamente i connotati al punto che tra gli
studiosi si è parlato di uno slittamento «from friendship to advocacy» (14).
Nato in Inghilterra come figura assimilabile a quella di un perito (15), o per altri aspetti
riconducibile ad un testimone dotato di particolare autorevolezza, nel contesto del
processo americano l'amicus curiae è diventato un soggetto il quale, individualmente od
in rappresentanza di un gruppo, agisce come portatore di un proprio interesse che egli
afferma coincidere (almeno parzialmente) con quello alla cui tutela è vòlto l'operato della
corte; la collaborazione con la giustizia non è fornita, dunque, da un terzo disinteressato,
bensì dal titolare di un interesse analogo a quello di una parte, anche se non gli è possibile
farlo valere autonomamente nel corso di quel giudizio (16).
Di tale mutamento è dato rinvenire indicazioni inequivocabili già nelle Rules of the
Supreme Court del 1954, il cui art. 54 dispone che «[the amicus] shall concisely state the
nature of his interest»; il presupposto che giustifica l'intervento in causa dell'amicus curiae
non è più la mancanza di interesse alla lite, ma la sua presenza, purché dimostrabile.
D'altro canto, l'interesse che muove l'amicus non coincide con quello di una delle parti in
causa; se così fosse, o se il soggetto che sottopone alla Corte una richiesta di intervento
come amicus facesse valere tramite essa un rapporto di dipendenza tra la sua posizione e
quella di una parte, dovrebbe qualificarsi come interventor: quest'ultimo è titolare di un
direct interest in the res of the suit(17), dunque viene equiparato ai principal litigants.
Invece la posizione dell'amicus incontra dei limiti in quanto alla libertà di disposizione
dell'oggetto della causa; egli non ha poteri di iniziativa processuale, essendogli preclusa
ad esempio l'allegazione di mezzi di prova, non è vincolato dal giudizio della Corte, ed
infine non può proporre appello: pertanto la sua partecipazione al giudizio non comporta
alcuna possibilità di indirizzarne lo svolgimento in un senso piuttosto che in un altro (18).
Semmai dobbiamo rilevare come l'istituto sia talvolta impiegato per evidenziare azioni
fittizie o collusione tra le parti (19); ma l'applicazione che forse suscita maggiore sorpresa
in osservatori di formazione giuridica «continentale» è quella della chiamata da parte della
Corte di un amicus in funzione integrativa del contraddittorio, «to argue the other side and
assure opposition» (20), qualora le parti in causa, bisognose di una decisione
giurisdizionale, siano concordi sul suo contenuto.
Un caso che illustra in modo esemplare quanto sopra affermato è Immigration and
Naturalization Service v. Chadha (21). Un indiano, entrato negli Stati Uniti con un
permesso per motivi di studio, vi era rimasto anche dopo la scadenza; l'INS aveva avviato
le procedure per l'espulsione, ma l'attorney general aveva sospeso l'applicazione del
provvedimento e, come richiesto dalla normativa in vigore, aveva presentato un rapporto
al congresso; quest'ultimo aveva approvato una risoluzione che poneva il veto sulla
sospensione disposta dall'attorney; la Court of Appeals che si trovò a decidere in prima
istanza richiese al Congresso una memoria come amicus, in considerazione del fatto che
tutte le parti, in causa (l'INS, l'attorney e, naturalmente, Chadha) concordavano
sull'incostituzionalità del veto (22).
Il caso citato può illuminare l'istituto, consentendo di comprenderne sia gli aspetti
tipicamente riconducibili alla logica del processo di common law, sia l'evoluzione in
direzioni ormai scarsamente coerenti con tale modello, almeno ove se ne assuma
l'espressione estrema. Dobbiamo innanzitutto fare riferimento all'ostilità dei sistemi di
common law nei confronti dell'intervento di un terzo; la concezione dei trial by duel
impone che «parties of a controversy shall have the right to litigate the same, free from
interference of strangers» (23).
Ed allora, nella prima fase della sua applicazione l'amicus curiae poteva essere considerato
un metodo utile per evitare ingiustizie sostanziali eventualmente derivanti dalla rigida
applicazione dei principi del processo adversary, che impongono una rigorosa limitazione
delle parti in causa.
Viene però fatto notare (24) che proprio a partire dagli inizi del XIX secolo negli Stati
Uniti si riduce di molto la resistenza all'intervento del terzo, generandosi
contemporaneamente possibilità di sovrapposizione tra l'istituto dell'amicus curiae ed il
ruolo dell'intervenor. Si è progressivamente delineata una apprezzabile distinzione tra le
due figure, individuandosi la prima come «an appropriate means to protect a party's
interest when the interest is not sufficient to justify intervention in the suit» (25).
Se questa è la prospettiva dalla quale dobbiamo guardare all'amicus, diviene utile in primo
luogo soffermarsi sull'affermazione secondo cui «no judge or lawyer can know or without
immense labour pinpoint ad hoc anything more than a small fraction of the law in
America» (26); in secondo luogo sul ruolo politico della giurisdizione negli Stati Uniti.
La citazione permette di misurare la distanza tra la concezione continentale del giudice,
espressa dall'ormai logoro brocardo jura novit curia (27), ed una realtà in cui l'iniziativa
processuale, completamente demandata alle parti, può essere bilanciata anche attraverso
il ricorso della corte a consulenti esterni: con il consueto pragmatismo, si è preso atto di
quanto sia ingannevole l'immagine di una corte onnisciente.
Ma non è soltanto questione di opportunità limitata ad ipotesi circoscritte: vi è chi,
giustamente, vede nel favore delle corti di common law verso gli amici curiae l'attuazione
di un modello «paritario» di esercizio delle funzioni giurisdizionali. Attraverso
l'ammissione dei briefs si avrebbe una delega di funzioni pubblicistiche a soggetti privati,
consentendo una maggiore apertura ed interscambio tra le aule di tribunale e la società
(28).
Se inseriamo l'amicus nel quadro di un attivismo giurisprudenziale che nell'operato della
Corte Suprema ha le sue espressioni più eclatanti, e riconosciamo che «the courts cannot
operate in an Olympian remoteness from the social scene» (29), possiamo comprendere
l'utilità per i giudici di acquisire informazioni, dati di fatto, interpretazioni del diritto
provenienti da soggetti maggiormente rappresentativi del contesto sociale di quanto non
lo siano le parti in causa.
4. Per cominciare a dare una risposta precisa almeno al primo dei tre interrogativi che ci
siamo posti, dobbiamo porci il problema della classificazione degli amici. A questo
proposito numerose sono le tecniche prescelte negli studi sull'argomento: per il momento
sarà sufficiente, come primo approccio, una sommaria distinzione in tre categorie, che ci
consente di individuare altrettante linee generali di tendenza nell'impiego dello strumento.
Successivamente, anche in sede di valutazione delle strategie seguite, sarà possibile
introdurre ulteriori distinzioni.
La prima categoria comprende i rappresentanti legali del governo federale e di quelli
statali, delle contee, delle municipalità, delle agenzie e degli organi governativi (50).
La seconda comprende organizzazioni professionali, associazioni che noi definiremmo di
categoria. La forte caratterizzazione «economica» e la rigida delimitazione del settore di
intervento sono proprie anche della partecipazione delle corporations(51).
La terza comprende gruppi ed associazioni, di solito dotate di una struttura organizzativa,
che pretendono di rappresentare interessi «non-occupational, non-governmental»,
interessi pubblici in senso lato (52), non riconducibili in ambiti istituzionali predefiniti.
L'intervento individuale in qualità di amicus è ormai estremamente raro; il singolo agisce
solo con il supporto e dietro la spinta di associazioni che mobilitano l'opinione pubblica
(53); già negli anni '30 di questo secolo era scontato il collegamento di questa forma di
intervento con strutture associative.
Il punto di svolta nell'impiego di questo strumento a tutela di interessi collettivi può essere
rintracciato nello sviluppo delle agenzie governative, con la conseguente generalizzazione
di procedimenti amministrativi aperti alla partecipazione dei cittadini; le procedure di
auditing hanno consentito l'emersione ed il coagulo di centri di interesse fino ad allora
sotto rappresentati, costituendo nello stesso tempo un modello ed un punto di riferimento
per l'attività giurisdizionale (54).
Furono per primi i rappresentanti di agenzie governative a sfruttare in modo estensivo
l'amicus nella partecipazione a giudizi che vedevano come soggetti in giudizio altri enti.
In una seconda fase si sono fatte avanti le associazioni di privati, partendo dalla
legittimazione ad esse riconosciuta a partecipare ad official hearings indetti da strutture
governative nel corso delle grandi riforme avviate negli anni '30.
Non deve però essere trascurato il ruolo giocato dalle associazioni sorte a tutela delle
minoranze etniche e religiose: il primo caso di amicus curiae brief fornito da un organismo
del genere risale al 1904 (55), quando, per difendere un immigrato cinese vittima di
discriminazioni, ottenne di esporre in giudizio le proprie ragioni la Chinese Charitable and
Benevolent Association of New York.
Riprendendo la tripartizione introdotta all'inizio del paragrafo, possiamo a questo punto
esaminare nel dettaglio la partecipazione del Solicitor General ai giudizi davanti alla Corte
Suprema.
Il Solicitor General è infatti il soggetto che rappresenta istituzionalmente gli interessi
dell'amministrazione federale in quella sede; ai nostri fini, pur non potendo ignorare che
frequenti sono le memorie di altri uffici appartenenti all'esecutivo inteso in senso lato, il
Solicitor General è la figura che meglio consente di valutare la partecipazione
«istituzionale» in veste di amicus curiae.
Il Solicitor General è il rappresentante in giudizio del governo federale, pertanto è di fatto
quello che l'Attorney General è solo nominalmente: il responsabile della conduzione delle
liti giudiziarie che in qualunque modo coinvolgano il governo degli Stati Uniti. Ciò gli
consente di essere il soggetto che più frequentemente è in giudizio davanti alla Corte
Suprema: tra il 1959 ed il 1989, su 133.147 casi pervenuti alla Corte Suprema, il governo
era parte in 53.131, il 39,9% del totale. Le cause decise nel merito sono state 8.926, in
4.329 delle quali partecipava il governo (48,5%). Mediamente, negli anni '80, il governo
è stato parte in oltre 2.000 casi l'anno (56).
Il Solicitor General è dunque posto nella posizione ideale per poter valutare le tendenze di
lungo periodo della Corte, adeguarsi ai mutamenti di giurisprudenza, individuare i casi
meglio difendibili; d'altronde è anche un soggetto che dispone delle risorse economiche,
culturali e professionali più imponenti: esso inoltre non incontra i notevoli ostacoli
finanziari cui invece vanno incontro le parti e gli amici privati che intendano partecipare
ad un giudizio davanti alla Corte Suprema. Il Solicitor General, al contrario, può scegliere
di partecipare a qualunque giudizio, anche per affrontare solo una questione di principio
(57).
Per l'ufficio del Solicitor, al pari di quel che vedremo per gli altri soggetti, la redazione di
un amicus curiae brief fa parte dell'armamentario disponibile ai fini della realizzazione di
una strategia processuale (ed extraprocessuale): i dati ci dicono che tra il 1959 ed il 1986
l'ufficio ha partecipato come amicus in 518 casi, con un impegno annuo che va dal minimo
di 5 briefs nel 1962 al massimo di 60 nel 1976 (58).
Tutte le ricerche dimostrano che le parti appoggiate dal Solicitor General hanno oltre il
70% di probabilità di successo (59): ciò e forse una dimostrazione dell'importanza che ha
questo tipico «repeat player» nel determinare l'esito del giudizio; non dobbiamo però
trascurare la circostanza che l'ufficio è in genere libero di presentare o meno una memoria;
se lo fa, sceglie naturalmente il caso che si presenta meglio.
La seconda categoria cui ho fatto riferimento comprende soggetti che sottopongono briefs
non tanto per supportare una specifica opzione politica sottostante alla posizione di una
parte, quanto piuttosto per far valere le proprie competenze tecniche o scientifiche; è anche
probabile che questo genere di soggetti sia chiamato dalla Corte, in un ormai raro recupero
della funzione originaria dell'istituto.
Un esempio, certamente non rappresentativo della normalità ma ad ogni modo utile ad
illustrare quali possano essere i «professionisti» che stilano i briefs, e gli obiettivi che si
pongono, sono i casi Ange v. Bush e Dellums v. Bush(60).
Alla fine del 1990, di fronte al progressivo coinvolgimento degli Stati Uniti nelle
operazioni militari nel Golfo Persico, che sarebbero sfociate di lì a poco nella guerra contro
l'Iraq, il New York's Center for Constitutional Rights sponsorizzò due azioni legali contro
il Presidente: la prima sostenuta da un riservista che si opponeva al richiamo alle armi, e
la seconda da alcuni membri del Congresso. Entrambe si fondavano sulla violazione, da
parte del convenuto, dell'obbligo costituzionale di esercitare i poteri di guerra solo dopo
aver ottenuto una formale ed esplicita autorizzazione del Congresso. Le azioni furono
intentate presso la Corte distrettuale del District of Columbia, coincidente con la capitale.
A queste azioni, chiaramente riconducibili ad una forma di judicial lobbying esercitata
dall'associazione di New York, si ricollegò, nel caso Dellum, la presentazione di un amicus
curiae brief da parte di un gruppo di costituzionalisti tra i più prestigiosi degli Stati Uniti
(61); i professori, esponenti di convinzioni politiche diverse, erano uniti nel proporre alla
corte, da «esperti», un'autorevole opinione nel senso dell'esistenza di un obbligo per il
presidente, e dell'incostituzionalità di una guerra non autorizzata dal Congresso.
A sostegno della propria tesi essi non presentavano credenziali di rappresentatività della
pubblica opinione, o di classi sociali o gruppi di interesse; il testo è invece corredato da
un elenco delle attività scientifiche di ciascuno dei sottoscrittori, inteso a dimostrarne la
competenza specifica al di là di ogni possibile contestazione (62).
Poco importava a questi amici dell'esito finale della causa (che la corte dichiarò unripe):
più importante era considerata l'affermazione (che la corte inserì nella decisione) secondo
cui era comunque possibile ottenere in linea di principio un provvedimento contro
l'esercizio dei poteri di guerra in assenza del voto congressuale. La vittoria sul piano
tecnico del governo fu dunque limitata da un chiaro monito, ed è difficile ritenere estranei
a questo risultato gli autori dell'amicus curiae brief.
Più frequente è la presentazione di un brief in cui il soggetto proclama innanzitutto la
propria istituzionale rappresentatività di gruppi organizzati di soggetti: campo privilegiato
di invertento sono le cause in materia di lavoro e sindacale in genere, che vedono la
partecipazione costante, su opposte sponde, dei rappresentanti dei datori di lavoro e dei
lavoratori.
Per quanto riguarda la partecipazione delle imprese, è stato osservato come queste
prediligono un ruolo in cui possono far valere, attraverso la propria presenza, la
complessità e l'articolazione degli interessi in gioco; nel fare questo godono di maggiore
libertà rispetto alle associazioni d'opinione, potendo permettersi una condotta processuale
più flessibile ed una scelta dei casi migliori da «sostenere» non condizionata da aspettative
molteplici e di difficile composizione (63). Si ricordi l'Equal Employment Advisory
Council (EEAC), fondato nel 1976 da diversi gruppi imprenditoriali esplicitamente con la
funzione di presentare amicus curiae briefs in casi relativi alle libertà economiche; a
quell'associazione è preclusa dallo statuto la possibilità di agire in giudizio.
La terza categoria è quella in cui si riscontra maggiore varietà di soggetti e maggiore
disponibilità all'impiego di questo strumento.
Un ruolo di rilievo è svolto dall'American Civil Liberties Union, attiva nel settore dei
diritti civili, che ha sempre svolto un'intensa attività di sponsorship a favore di cittadini
che lamentassero la lesione di diritti costituzionalmente tutelati, sia attraverso un ausilio
diretto (un avvocato dell'associazione), sia mediante la partecipazione come amicus. In
proposito bisogna ricordare che è molto difficile, anche per un'associazione ben radicata
nel territorio, seguire fin dall'inizio un caso che poi si rivelerà importante; più spesso il
cittadino si rivolgerà alla sede locale dell'associazione dopo l'inizio del procedimento,
ottenendo un ausilio limitato in primo grado. Diviene allora utile l'amicus curiae brief
sottoscritto dal legale di prestigio, esperto in materia, che può influenzare in modo
determinante le corti minori (64).
Abbiamo richiamato in precedenza il settore dei rapporti tra gli stati, o la federazione, e le
confessioni religiose (65): qui svolge un ruolo di rilievo l'American Jewish Congress
(AJC), associazione laica di tutela della cultura ebraica, alla quale si rivolgono
abitualmente le associazioni religiose ebraiche per la difesa in giudizio o, appunto, la
richiesta di un sostegno attraverso la redazione di un brief. L'AJC ha svolto una funzione
pioneristica nel ricorso agli strumenti giurisdizionali in difesa delle minoranze religiose,
al punto da essere diventato il punto di riferimento nel settore anche per associazioni
rappresentative delle chiese protestanti meno diffuse, le quali spesso si associano ad essa
nella presentazione di briefs congiunti.
L'AJC è nato nel 1917, ed ha finalità che trascendono il rapporto stato-chiesa, come anche
l'ambito della litigation, configurandosi come associazione intesa ad affermare e garantire
l'uguaglianza e i diritti sociali, politici, economici della minoranza ebraica nonché, più in
generale, tutelare il rispetto delle regole democratiche. Svolge la sua attività di amicus
principalmente per conto del National Jewish Community Relations Advisory Council,
un'organizzazione che svolge attività di coordinamento tra le principali associazioni
ebraiche e le 108 comunità locali della federazione.
In anni più recenti l'attività di amicus è stata svolta anche da altre associazioni ebraiche,
quali il Synagogue Council of America, il Jewish Committee on Law and Political Action
I ed infine l'American Jewish Committee.
Nel 1947 fu fondata l'associazione laica denominata Protestans and other Americans
United for Separation of Church and State, nota come Americans United, che si è spesso
distinta per la presentazione di briefs contro la concessione di sostegni economici alle
scuole gestite da religiosi: tra i punti chiave del suo statuto vi è l'espressa previsione
dell'impiego di strumenti giudiziari «to resist every attempt by law or the administration
of law further to widen the breach in the wall of separation of church and state».
Tale associazioni religiose, oltre al già citato Synagogue Council particolarmente attivo è
il National Council of Churches of Christ in the U.S., la principale associazione
protestante, che raggruppa 32 chiese riformate ed ortodosse. Pur essendo stato creato a
fini esclusivamente religiosi, dagli anni '60 ha cominciato ad intevenire come amicus,
sempre a sostegno della completa separazione.
Un caso a parte, in ogni senso, è quello della chiesa cattolica, che sta in giudizio quasi
esclusivamente a titolo di parte in causa. Le rare volte che ha presentato memorie, lo ha
fatto attraverso l'United States Catholic Conference; non ha mai accettato di sottoscrivere
briefs congiuntamente ad altri soggetti, nemmeno nelle occasioni in cui ne condivideva i
contenuti.
Un altro campo nel quale la partecipazione come amici si inquadra in più ampie strategie
di litigation è quello della discriminazione razziale, in cui particolarmente si è distinta la
National Association for the Advancement of Colored People (NAACP), attiva fin dagli
inizi del secolo (66); essa, a partire dagli anni '50, ha avviato una vera e propria campagna
giudiziaria che, traendo spunto da test cases presso le corti statali del Sud, è riuscita a
condurre davanti alla Corte Suprema la questione della segregazione: dobbiamo ricordare
che nelle cause più importanti l'associazione era presente non in qualità di parte bensì di
amicus, oltre che, naturalmente, come supporto logisitico legale e finanziario al soggetto
discriminato (67).
Relativamente più recente, ma di gran lunga più movimentato negli ultimi anni è il fronte
delle c.d. gender discriminationis, al quale mi permetto di legare strettamente la
problematica dell'interruzione di gravidanza. In occasione di cause riconducibili a questo
campo negli ultimi anni si è riscontrata una vera e propria esplosione in qualità di amici
curiae(68). È utile ricordare in questa sede il caso Webster v. Reproductive Health
Services(69), in cui, di fronte al tentativo di ottenere un'inversione di tendenza rispetto a
Roe v. Wade(70), sono stati presentati ben 78 amicus briefs su entrambi i fronti.
Pur nell'eccesso intuibile già dalle dimensioni del fenomeno, il caso si presta ad una
ricognizione dei soggetti partecipanti. A sostegno dei ricorrenti (antiabortisti, o pro-life)
sono stati presentati 46 briefs, sottoscritti da un totale di 85 associazioni e cinque cittadini.
I resistenti (abortisti, o pro-choice) erano appoggiati da 32 briefs stilati da 335 associazioni
e circa 3.000 cittadini.
Il Solicitor General è intervenuto a sostegno dei primi; complessivamente sei governi
statali e sette enti pubblici sono intervenuti a sostegno dei ricorrenti, tre stati a favore dei
resistenti.
Cinque associazioni professionali (ad es. l'American Academy of Medical Ethics ed i
Doctors for Life) si sono schierate con gli antiabortisti, dieci contro (ad es. l'American
Medical Association ed i Bioethicists for Privacy).
Tra gli interest groups l'articolazione è altrettanto complessa: si prendano come indicatori
i soggetti attivi nel campo religioso che, contrariamente a quel che si potrebbe pensare, si
trovano in entrambi i fronti: ad es. la chiesa ortodossa, i Catholics United for Life da un
lato e i Catholics for a Free Choice, oppure gli American United for Separation of Church
and State dall'altro.
Le prime indagini svolte sull'amicus curiae brief tendevano a catalogarlo come strumento
caratteristico delle associazioni per i diritti civili, di impostazione liberal quando non
addirittura radical. Il caso Webster è un esempio lampante dell'impossibilità di
circoscrivere il fenomeno ad ambiti culturali, sociali o politici precisi: dagli anni '60 la
partecipazione per mezzo di amicus curiae briefs di associazioni chiaramente riconoscibili
come conservatrici è più che raddoppiata ed è in continua ascesa (71). Un ruolo prioritario
è quello delle associazioni antiabortiste che, dalla storica sconfitta del 1973, hanno
praticato con sempre maggiore intensità la via del fiancheggiamento nelle cause più
importanti. Non si tratta però dell'unico settore in cui è divenuta costante la presenza di
gruppi conservatori: si ricordi l'Equal Employment Advisory Council (EEAC), citato
sopra; oppure l'associazione degli Americans for Effective Law Enforcement (AELE),
nata nel 1966 con lo scopo di assicurare tutela ai cittadini rispettosi della legge e di fornire
supporto alle forze dell'ordine: tra le varie forme di azione ha predisposto un Amicus
Curiae Brief Program.
I dati disponibili (72), relativi agli anni '70 ed '80, ma comunque indicativi di una tendenza,
mostrano che i gruppi liberal si orientano di preferenza verso le cause in tema di diritti
civili (58,9%) e verso i temi della giustizia penale (24,3%); i gruppi conservatori
privilegiano invece la difesa delle libertà economiche (42,9%), pur non disdegnando le
cause sui diritti civili (36%) e quelle penali (14,6%). È superfluo rammentare che la
partecipazione avviene su fronti e per obiettivi opposti.
Lo scontro è sicuramente più acceso sui diritti civili: i conservatives, che nel 1970
partecipavano come amici al 20% delle cause, dieci anni dopo erano presenti quasi nella
metà dei processi.
5. Se di strategie si deve parlare, come fanno ormai tutti gli studiosi americani, la prima
stratega dell'amicus curiae brief è stata la Corte Suprema, la quale ha dimostrato nei fatti
una progressiva apertura a contraddittori «terzi», pur continuando a negarla nelle norme.
Una simile apertura del contraddittorio è certamente tesa a garantire «the possibility of
raising new issues» (73), compito per il quale apparivano chiaramente insufficienti le forze
del singolo, tanto più inadeguate quanto maggiore era la discriminazione e la marginalità
sociale; si rendeva indispensabile, per garantire appieno la realizzazione del due process
of law, individuare soggetti collettivi dotati di «ability to mobilize resources and to bring
to bar expertise, memory, or files; and the organizational flexibility to respond quickly
and sensitively before policy is set » (74).
L'amicus che risulta dal processo evolutivo che abbiamo tratteggiato è comunque un
soggetto pregiudizialmente schierato: è divenuto uno strumento disponibile per le parti,
suscettibile di strumentalizzazioni ed eccessi.
Non ha ormai senso chiedersi se la sua funzione è riconducibile ad un sostegno alla corte,
o se non debba essere invece considerato come elemento utilizzabile all'interno delle
strategie di difesa attuate dalle parti in causa (75). Ma allora, posto che l'amicus è un'arma
delle parti in causa e dà una possibilità di farsi sentire a chi parte non è, resta da rispondere
ad un ultimo quesito: è uno strumento ancora utile per le corti? Qualche possibile
soluzione verrà prospettata alla fine di questo lavoro. Per il momento ci limitiamo ad
esplorare le linee di condotta seguite dagli amici.
Il primo amicus da esaminare è ancora il Solicitor General: perché l'ufficio che più
frequentemente è parte davanti alla Corte Suprema, la parte che ha le maggiori possibilità
di vincere (76), il soggetto che ha tanta influenza presso quell'organo da essere
soprannominato the Tenth Justice, ricorre con frequenza ad uno strumento secondario, e
apparentemente riservato a chi dalle aule di giustizia è escluso?
Giocano in questa scelta elementi diversi: in primo luogo la partecipazione as amicus verrà
favorita nelle cause che vengono ritenute di particolare importanza, sia per le questioni
sostanziali affrontate, sia per le possibili ripercussioni relative all'assetto dei poteri, sia per
quanto concerne i rapporti stati-governo federale.
È possibile distinguere tra i casi in cui l'intervento è dettato dall'esigenza di far valere
interessi federali, rispetto alle ipotesi in cui il Solicitor General cerca di sfruttare una causa
per dare attuazione al programma politico presidenziale. In questa seconda ipotesi
dobbiamo tenere presenti le parole di un ex Solicitor: «This is one instance where
precedent actually works in reverse. The fact that I had already filed several amicus
briefs... was a strong argument against doing it again» (77).
Il governo ha fatto valere il suo punto di vista sin dai desegregation cases; come per le
associazioni di privati, l'incremento della partecipazione è stato notevole a partire dagli
anni '70, ed altrettanto evidente è la mutazione da mezzo di ausilio per la Corte Suprema
a strumento di difesa impiegato in una logica di parte.
L'amicus ha ampia libertà di manovra, potendo sostenere la propria posizione senza dover
proteggere un interesse specifico: dunque un amicus curiae brief può essere un modo per
sondare la Corte, per preparare successive cause.
Ma, proprio perché l'amicus è in linea di principio libero, il Solicitor General si asterrà dal
partecipare se già ci sono numerosi briefs di associazioni, e non dispone di argomenti
nuovi. Il rischio, per il decimo giudice, è l'eccessivo presenzialismo, che potrebbe
squalificarne le tesi.
Comunque, sia, l'appoggio fornito dal governo ad un privato costituisce un vantaggio
enorme: se ricorrente, vince in quasi quattro quinti dei casi; se resistente, ha quasi il 60%
di probabilità di vincere; in media il privato che ha il Solicitor General per amicus vince
nel 71,87% dei casi (78).
L'amicus può rivelarsi anche un'arma a doppio taglio. Non è infatti rara (79)la chiamata
da parte della Corte, che richiede al Socilitor General chiarimenti su questioni di fatto o di
diritto.
Letteralmente, la Corte formula un invitation, che finora è sempre stato interpretato come
un ordine. Le richieste possono essere volte a sfruttare la particolare competenza
professionale dell'ufficio. Il Solicitor si avvale delle agenzie competenti per materia al fine
di redigere un parere.
In altri casi, i più frequenti, la Corte rinviene nella questione un interesse federale e
sollecita una presa di posizione del governo: qui l'amicus gioca contro il Solicitor General,
fungendo da strumento coattivo di intervento, presumibilmente proprio nei casi in cui era
stata prescelta una linea di disimpegno.
La posizione dell'ufficio del Solicitor General è da ritenersi rappresentativa, seppure al
livello più alto, delle strategie processuali connesse all'impiego dell'amicus curiae brief da
parte degli enti pubblici e, per certi aspetti, delle imprese. I soggetti in questione si
differenziano dalle associazioni in quanto possiedono una maggiore flessibilità, che nelle
imprese si combina al ristretto ambito delle materie oggetto di intervento: le istituzioni e
le imprese, scarsamente condizionate da articolazioni interne, sono di solito libere di
scegliere casi che ben si prestano alla tutela dell'interesse di cui si fanno promotrici, senza
al contempo ritenersi vincolate a prendere posizione in ogni caso che le possa riguardare
(80).
Più complessa e difficilmente riconducibile ad una matrice unitaria è la partecipazione
delle associazioni rappresentative di interessi diffusi.
Le scelte degli interest groups, pur differenti a seconda della consistenza numerica degli
associati, delle risorse disponibili e soprattutto dell'orientamento ideologico, sono
caratterizzate da alcuni elementi comuni.
a) In primo luogo vi è la tendenza marcata ad accompagnare l'amicus curiae brief a un
sostegno economico e legale alla parte in causa, per cui l'associazione somiglia ad una
parte occulta in giudizio. Gli esempi richiamati in precedenza dimostrano che la scelta di
fornire appoggio ad una parte non è mai casuale, anche se certe associazioni (NAACP,
ACLU) tendono a difendere «a tappeto» i soggetti che esse ritengono discriminati.
I gruppi conservatori presentano una particolarità, poiché dimostrano una marcata
preferenza verso l'impiego dell'amicus curiae brief rispetto ad un coinvolgimento diretto
in giudizio (81).
b) Le associazioni che sostengono posizioni identiche tendono a raggrupparsi,
istituzionalmente (peak organizations) oppure in funzione del processo, mediante la
creazione ad hoc di un coordinamento dei briefs(82), o più spesso mediante l'affidamento
all'associazione più prestigiosa della strategia di intervento (83).
Il coordinamento dei contenuti può essere o meno abbinato alla presentazione di un brief
comune, sottoscritto da tutte le associazioni. Non è infatti da trascurare il costo del brief,
che si aggira tra i 10.000 ed i 15.000 dollari in media, toccando anche i 50.000 dollari (84).
Il raggruppamento è giustificabile anche con l'impossibilità di produrre un numero elevato
di argomentazioni originali. Il rischio insito nella riproposizione ossessiva degli stessi
concetti è quello di provocare irritazione e rigetto da parte dei giudici. Inoltre è presumibile
che solo gruppi fortemente incentrati su specifici temi abbiano la necessità di differenziarsi
dagli altri in sede processuale (85).
La quantità dei briefs proposti, la varietà delle associazioni che li sottoscrivono, il numero
dei singoli cittadini che aderiscono, difficilmente vengono lasciati alla casualità. Piuttosto
vengono considerati elementi di un insieme inscindibile, che deve rappresentare in
maniera persuasiva il complesso di interessi sottostanti alla posizione assunta dalla parte.
Inoltre ciascuna associazione tende ad utilizzare il brief anche come strumento di
autorappresentazione: in esso verrà dato conto non solo dei fini associativi, ma anche della
consistenza numerica e della storia del gruppo che lo presenta. Non è estranea a questo
assunto la convinzione che sia necessario influenzare i giudici attraverso la dimostrazione
della prevalenza numerica dei sostenitori di uno dei contendenti: si tratterebbe insomma
di un tentativo di quantificare la rilevanza degli interessi in gioco. A ciò si può replicare
che giudici non eletti, e tenuti ad applicare la Costituzione piuttosto che la volontà della
maggioranza, non devono tenere conto di tali dimostrazioni di forza (86).
c) La divisione dei ruoli in funzione di una strategia comune comporta anche una
distinzione tra le posizioni assunte: alcuni briefs sosterranno, con variazioni sul tema, le
argomentazioni della parte; altri, provenienti da soggetti qualificati, faranno leva su aspetti
tecnici, scientifici, legali della questione; infine vi saranno soggetti che esporranno una
visione estremista, oppure faranno appello ad elementi emotivi (c.d. risk takers) (87).
Quest'ultimo aspetto comporta il rischio che posizioni analoghe finiscano per essere
sostenute con argomenti suscettibili di entrare in conflitto tra loro. Certamente vi è una
correlazione fra le caratteristiche dell'associazione ed il ruolo svolto costantemente
davanti alla corte.
d) Molto spesso l'associazione ritiene sufficiente accodarsi a memorie redatte da altri
soggetti. Pare che venga dunque priviliegiata la manifestazione della propria appartenenza
di campo rispetto alla produzione di un autonomo punto di vista (88).
e) Nonostante l'esplicito divieto di proporre memorie di risposta ad altri amici, la
competizione tra i gruppi spinge a moltiplicare gli interventi e a ricreare nel processo il
dibattito in corso in altre sedi (89).
F) L'amicus curiae brief vuole essere anche uno stimolo ed un campanello d'allarme per il
legislatore, rendendo evidente che, per una quota consistente di elettori, una determinata
materia necessita di intervento (90).
6. La prima fase del giudizio davanti alla Corte Suprema è quella relativa alla valutazione
discrezionale che culmina con l'eventuale concessione del certiorari.
Sebbene la Rule 36.1 esprima sfavore per le memorie presentate anteriormente alla
concessione del certiorari, nei fatti è raro che la Corte le dichiari inammissibili.
Gli amici sono più numerosi nella fase di merito, per due ragioni. La prima e più evidente
è una questione di economia (da intendersi sia in senso stretto che con riferimento alle
energie degli associati), per cui è più redditizio concentrarsi sui casi che la Corte ha già
selezionato. La seconda è una ragione pratica di estrema importanza: non è conveniente,
per chi voglia evitare un giudizio di merito, proporre briefs in questa fase.
Gli studi dimostrano infatti che vi è una relazione diretta tra la presentazione di briefs in
questa fase e le probabilità di ammissione alla discussione nel merito (91), con la
conseguenza che se si vuole evitare un riesame da parte della Corte Suprema, bisogna
evitare di proporre considerazioni (92).
Quanto sopra si inserisce nel solco della c.d. cue theory(93), secondo cui la Corte è
tendenzialmente favorevole al riesame di decisioni che riguardano i diritti civili, quelle in
cui è parte il governo e quelle su cui vi è stato disaccordo tra le corti inferiori. Ma, a parte
lo scetticismo che si può provare verso tentativi di enunciare leggi meccaniche della case
selection(94), l'individuazione di un nesso tra concessione del riesame e presenza degli
amici deve essere inquadrata, ancora una volta, nella condotta che complessivamente
tengono le associazioni. Non si può trascurare che esse scelgono i casi apparentemente
migliori, quelli che meglio si prestano all'illustrazione delle proprie idee, ma che (come
precondizione) sono anche i più idonei a giungere alla fase di merito.
In aggiunta a ciò devono essere valutati gli orientamenti politici della Corte, che sarà più
favorevole a concedere il riesame per le materie, e per i casi, in cui è disposta a modificare
la situazione normativa.
Rimane comunque importante la presenza o meno degli amici come indicatori di tensione
sociale: se la presenza o meno di un amicus fa passare dall'8,5 al 37,1% la probabilità di
concessione del certiorari(95), essa cresce di pari passo con l'aumento del numero dei
briefs (96).
Se poi tra gli amici è presente il Solicitor General, la probabilità di ottenere il riesame
diviene quasi una certezza (97).
7. Ben diverso dal problema della selezione dell'accesso è quello dell'effettiva influenza
che gli amici esercitano sugli organi giurisdizionali: è impossibile avere dati certi, anche
in un sistema che prevede dissenting e concurring opinions(98), per cui le affermazioni
degli studiosi sono frutto in buona parte di congetture o pregiudizi (99); si può concordare
con chi, pragmaticamente, constata che l'ultima parola sul come e quanto profondamente
lasciarsi influenzare, spetta ai singoli giudici (100).
Nonostante ciò, dobbiamo tener conto di alcuni indizi che emergono soprattutto dalle
decisioni: la valutazione del peso di un brief può essere ricavata per induzione dalle
citazioni esplicite che ottiene oppure, in modo più sottile, dall'impiego che i giudici fanno
delle tesi in esso esposte.
Per quanto condizionate dal concreto assetto del caso, le possibilità offerte alla
partecipazione in veste di amici rappresentano lo sbocco giudiziale privilegiato di interessi
che non si prestano ad esse ingabbiati nella «narrow view of a common law litigation»
(101).
Gli organi giurisdizionali, ormai ben lontani dal pretendere obiettività, si pongono il
problema della capacità di rappresentare al meglio gli interessi dell'entità sociale di cui gli
amici curiae si autopromuovono a paladini.
In altri termini, è ben accetta un'attività di judicial lobbyism, ma il problema si sposta dalla
possibilità o meno di partecipare alla effettiva rappresentatività di chi partecipa.
L'operatività della disposizione per cui le memorie presentate senza il consenso delle parti
sono not favored è nulla: le organizzazioni che presentano una petition intesa alla
partecipazione come amici curiae nella pratica se la vedono sempre accogliere (102); ciò,
naturalmente, è ben lungi dal significare che qualunque brief sarà effettivamente preso in
considerazione.
Gli studi esistenti si concentrano, ai fini della valutazione dell'efficacia degli amicus curiae
briefs, su singoli casi, fornendo indirettamente una dimostrazione delle difficoltà insite in
un'indagine che ambisca a produrre risultati di valore generale (103). L'unica eccezione è
rappresentata dal Solicitor General sul quale abbiamo dati precisi dai quali, come già
sappiamo, emerge una percentuale di successi molto elevata, in linea peraltro, con i
risultati che l'ufficio ottiene come parte in causa.
Per le indagini sui gruppi gli indicatori prescelti possono essere di natura estrinseca, come
il numero di citazioni ottenute da ciascun brief, in totale e con riferimento a ciascuna
opinion; altrimenti meno chiare sono le deduzioni tratte dai riferimenti indiretti che i
commentatori ritengono di vedere nel ragionamento giuridico condotto dalla Corte.
Ad ogni modo chi presenta un amicus curiae brief non ha un unico obiettivo coincidente
con la vittoria nella causa; la logica di questa forma di partecipazione, e il suo inserimento
in strategie di ampio respiro, considerano come eventualità positive l'accettazione da parte
della Corte del punto di vista prospettato, oppure l'accettazione implicita di premesse
estranee al caso specifico, ma ritenute fondamentali dagli amici(104).
Infine, dobbiamo ricordare che il piano sul quale si muovono i gruppi non è limitato alla
sede giurisdizionale, ma si estende alla arena politica: la notorietà del caso comporta
pubblicità della questione e delle opinioni che si confrontano, dunque agevola l'opera di
stimolo e di pressione sul potere legislativo, rendendo evidente la necessità di comporre il
conflitto.
Note:
(1) Si può fare riferimento alla causa decisa con la sentenza 23 dicembre 1993 n. 456 (in
questa Rivista 1993, 3712 ss.), nel corso della quale la Corte, con ordinanza non numerata,
ha ammesso l'intervento in causa della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici
Chirurghi ed Odontoiatri, che non era parte nel giudizio a quo, facendo riferimento agli
interessi dalla stessa istituzionalmente tutelati. V. in proposito M. Bignami, L'ordine dei
medici «espugna» il processo costituzionale, in questa Rivista 1994, 1293 ss. Un ulteriore
esempio è fornito dalla sentenza 6 aprile 1995 n. 108, in cui è stato ammesso l'intervento
della S.I.A.E., in seguito ad un sindacato sulla regolarità del contraddittorio nel giudizio a
quo, condotto d'ufficio dalla Corte; v. la sentenza in questa Rivista 1995, 876 ss., con nota
di P. Bianchi, La Corte ancora alla ricerca del suo contraddittorio: una incerta pronuncia
sull'intervento nel giudizio incidentale, ivi, 891 ss.Più in generale sul problema
dell'intervento nel processo costituzionale v. G. D'Orazio, Soggetto privato e processo
costituzionale italiano, 2ª ed., Torino 1992; M. D'Amico, Parti e processo nel processo
costituzionale, Torino 1991, cui adde R. Romboli, Il giudizio di costituzionalità delle leggi
in via incidentale, in Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (1990-1992), a
cura di R. Romboli, Torino 1993, 66 ss. Per una valutazione complessiva degli sviluppi
più recenti L. D'Andrea, Verso una «democratizzazione» del contraddittorio nel giudizio
costituzionale incidentale, in questa Rivista 1994, 552 ss. ed infine sia consentito rinviare
a P. Bianchi, Dal «processo senza parti» alla «rappresentazione processuale degli
interessi», ivi, 3045 ss.
(2) V. ad es. A. Anzon, Il ricorso individuale di costituzionalità in Germania Federale,
Austria e Spagna, in Pol. d. dir. 1989, 329 ss.
(3) V. per un quadro generale G. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Bologna 1988,
175 ss.
(4) Per alcune elementari notazioni sulla Corte Suprema degli U.S.A. si veda E.A.
Farnsworth, Introduzione al sistema giuridico degli Stati Uniti d'America, Milano 1979,
in particolare 40 ss.; S. Wasby, The Supreme Court in the Federal Judicial System, 4th
ed., Chicago 1993.Per un approfondimento si rinvia a L. Tribe, American Constitutional
Law, 2nd ed., Mineola, New York 1988; R.D. Rotunda, J.E. Novak, Handbook on
Constitutional Law, 2nd ed., St. Paul Minnesota 1992.
(5) Per un'introduzione al sistema processuale civile statunitense v. G.C. Hazard, M.
Taruffo, La giustizia civile negli Stati Uniti, Bologna 1993.
(6) Supreme Court Case Selection Act (Public Law 100-352), divenuto esecutivo il 27
giugno 1988, con il quale si è modificato il § 1257 dello U.S. Code, espungendosi inoltre
dal § 1254 la giurisdizione in appello fino ad allora spettante alla Corte Suprema.
(7) Trascuro qualunque cenno sulle ipotesi, ormai residuali, di «Original jurisdiction», che
si possono leggere al § 1251 dello U.S. Code.
(8) Così testualmente la Supreme Court Rule n. 10: «1. A review on writ of certiorari is
not a matter of right, but of judicial discretion. A petition for a writ of certiorari will be
granted only when there are special and important reasons therefor».
(9) Per un esame dell'istituzio del writ of certiorari v. H. J. Abraham, The Judicial Process,
6th ed., Oxford-Nez York, 1993, 173 ss.; D.M. Provine, Case Selection in the United
States Supreme Court, Chicago 1980; P. Linzer, The Meaning of Certiorari Denials, in
Columbia L. R. 1979, vol. 79, 1227 ss.; G.A. Caldeira, J.R. Wright, Organized Interests
and Agenda Setting in the U.S. Supreme Court, in Am. Pol. Sc. R. 1988, vol. 82, 1109 ss.;
H.W. Perry Jr., Deciding to Decide. Agenda Setting in the United States Supreme Court,
Cambridge-London 1994.Può essere utile ricordare in questa sede che le migliaia di
petitions per l'emissione da parte della Corte di un writ of certiorari vengono esaminate
dai clerks (che potremmo tradurre con «assistenti») dei giudici; questi ultimi si riuniscono
informalmente a fine estate, prima dell'inizio del nuovo term, per discutere e decidere
sull'ammissibilità delle richieste. La maggior parte di esse viene respinta all'unanimità, su
indicazione dei clerks e senza neppure essere discussa (v. nota successiva). Solo un
numero molto limitato di casi in ciascun term è considerato degno di essere rivisto. In
queste ipotesi la Corte emette un ordine, indirizzato alla corte che ha deciso in precedenza
la causa, con il quale dispone la trasmissione degli atti e consente alle parti (nonché, come
vedremo, agli eventuali amici) di produrre memorie.Peraltro deve essere ricordato che fin
dalla fase di discussione dell'ammissibilità sono ammesse memorie (anche provenienti da
amici) a sostegno o contro la concessione del certiorari. Ma di questo ci occuperemo in
particolare nel § 6.Per la discussione sull'ammissione del certiorari è necessaria la
presenza di tutti i giudici; il caso viene riesaminato quando almeno quattro di essi sono
favorevoli (c.d. rule of four); nella valutazione in proposito entrano considerazioni di
merito svolte, più o meno esplicitamente, dai singoli giudici. Resta il fatto che, a differenza
di quanto avviene presso la nostra Corte costituzionale, il procedimento è svolto in modo
pienamente collegiale, con una netta delimitazione dei poteri del Chief justice. Con
riferimento alle dinamiche politiche interne alla Corte Suprema v., oltre agli autori citati
in precedenza, B. Woodward, S. Armstrong, The Brethren, New York 1979.Un raffronto
con la Corte italiana, improponibile in queste pagine, può essere desunto dalla lettura di
S. Panizza, Organizzazione e funzionamento della Corte costituzionale, in Aggiornamenti
in tema di processo costituzionale (1987-1989), a cura di R. Romboli, Torino 1990, spec.
10 ss.; 29 ss.; S. Panizza, Organizzazione e funzionamento della Corte costituzionale, in
Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (1990-1992), a cura di R. Romboli,
Torino 1993, spec. 14 ss.
(10) V. in proposito, H. J. Abraham, The Judicial, cit., 179 ss.È impressionante la stima
proposta da D.M. O'Brien, Storm Center. The Supreme Court in American Politics, 2nd
ed., New York-London 1990, 218, secondo il quale i giudici ed i loro clerks
affronterebbero ad ogni term circa 375.000 pagine di documentazione relativa ai casi
sottoposti all'attenzione della Corte, prima di giungere a selezionare quei 150/180 casi che
saranno giudicati nel merito. Va anche ricordato che i giudici si riuniscono prima di ogni
term per una preselezione dei casi, nella quale, sempre secondo O'Brien (ivi, 225), viene
scartato senza discussione il 70-80% dei ricorsi. L'A. riporta i dati del term 1973, ritenuto
indicativo del normale procedere della Corte, in cui l'86,28% dei ricorsi fu respinto in fase
preliminare: sul totale di 3.355 richieste di certiorari negate, ben 2.797, pari al 71,93% del
totale dei ricorsi esaminati, furono respinte all'unanimità.Può essere interessante notare
che anche presso le corti costituzionali «continentali» che dispongono di un meccanismo
di selezione dei casi sui quali pronunciarsi, le percentuali di rigetto dei ricorsi individuali
sono elevatissime (v. A. Anzon, Il ricorso, cit., 341 ss.).
(11) V. comunque l'indagine di P. Linzer, The Meaning, cit., in cui si cerca di scavare
sotto la superficie dell'apparente neutralità del diniego di certiorari, riconoscendo anche
nell'impiego di questo strumento l'espressione di una policy della Corte.
(12) Oppure, rovesciando la prospettiva, si può osservare, come recentemente ha fatto R.
Romboli (La mancanza o l'insufficienza della motivazione come criterio di selezione dei
giudizi, in La motivazione delle decisioni della Corte costituzionale, atti del seminario di
Messina, 7-8 maggio 1993, a cura di A. Ruggeri, Torino 1994, 334 ss.) che l'uso
estremamente disinvolto delle decisioni processuali da parte della Corte costituzionale
consente di paragonare la selezione dei casi in tal modo ottenuta ad una sorta di certiorari;
l'A. mette in rilievo quanto profonda sia l'imponderabilità in ordine all'uso da parte della
Corte di quegli strumenti, data la mutevolezza della giurisprudenza.
(13) Per un'accurata ricostruzione della genesi dell'istituto v. G. Criscuoli, Amicus curiae,
in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1973, in particolare 195 ss.; per un'esposizione più sintetica
v., dello stesso Autore, la voce Amicus curiae in Enciclopedia Giuridica Treccani, Milano
1989, vol. I. Inoltre alcune sommarie informazioni sono fornite da G. De Franchis, voce
Amicus curiae in Dig. 4ª ed., Disc. priv., Torino 1987, vol. I, 301.
(14) The Amicus Curiae: From Friendship to Advocacy. È questo il titolo di un importante
saggio di S. Krislov, in Yale L. J. 1963, vol. 72, 694 ss., al quale in seguito farò spesso
riferimento.
(15) Nella sentenza relativa al caso Protector v. Geering, del 1656 (citata da S. Krislov,
The Amicus, cit., 196) si afferma che scopo della collaborazione è «to aid the court and to
act for the sole benefit of the court», principalmente «to avoid errors in its judgement».
(16) Può essere interessante notare come l'istituto di cui stiamo parlando conosca una fase
di espansione in particolar modo all'interno di procedure giurisdizionali a carattere
sovrazionale.Un primo esempio lo troviamo presso la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo;
in proposito v. N. Trocker, L'amicus curiae nel giudizio davanti alla Corte Europea dei
Diritti dell'Uomo, in Riv. trim. dir. civ. 1989, I, 119 ss.Un esame dell'introduzione di
questo istituto, limitatamente ad alcune soltanto delle funzioni di cui è titolare la Corte
Interamericana dei Diritti dell'Uomo, si può leggere in T. Buergenthal, The Advisory
Practice of the Inter-Americna Human Rights Court, in The Am. J. Int. L., 1985, vol. 79,
15 ss.Una panoramica completa è fornita da D. Shelton, The Participation of
Nongovernmental Organizations in International Judicial Proceedings, in Am. J. Int. L.
1994, 611 ss.
(17) F.M. Covey Jr., Amicus Curiae: Friend of the Court, in De Paul L. Rev. 1959/60, vol.
9, 31.
(18) Per i riferimenti giurisprudenziali, risalenti nella maggior parte dei casi al XVI e XVII
secolo, v. G. Criscuoli, Amicus, cit., 194 s.
(19) V. ancora G. Criscuoli, Amicus, cit., 216.
(20) D.M. O'Brien, Storm, cit., 201.
(21) Immigration and Naturalization Service v. Chadha, 103 S. Ct. 2764 (1983), su cui v.
D.M. O'Brien, Storm, cit.
(22) Concordò anche la Corte Suprema, che con la sentenza sopra citata non solo annullò
quel veto, ma dichiarò incostituzionali tutte le previsioni di veto di una o di entrambe le
camere, qualora fosse stata delegato un complesso di attività ad una o più agencies. La
decisione comportò l'illegittimità di oltre duecento provvedimenti legislativi; peraltro il
Congresso reagì alla decisione approvando, appena un anno dopo, trenta nuove previsioni
di veto. Esamina il caso dal punto di vista della delimitazione del potere legislativo operata
dalla Corte J. Sundquist, Stati Uniti: il Congresso perde l'arma del veto legislativo, in
Quad. cost. 1984, 190 ss. Sul punto v. ancora D.M. O'Brien, Storm, cit., 60, 201, 365, ed
inoltre, in una prospettiva che illustra il ruolo svolto dal Solicitor General nel «riaprire» il
caso davanti alla Corte Suprema, R.M. Salokar, The Solicitor General. The Politics of
Law, Philadelphia 1992, 92 s.
(23) Si veda, per una ricostruzione della problematica del contraddittorio nel sistema
statunitense, V. Vigoriti, Garanzie costituzionali del processo civile. Due process of law e
art. 24 Cost., Milano 1970, in particolare 51 ss., 153 s. Dello stesso A. v. ora Due processo
of law, in Dig. IV ed., Disc. priv., vol. III, 201 ss.A. Chayes, The Role of the Judge in
Public Law Litigation, in Harvard L. R., 1976, vol. 89, 1821 ss., ricostruisce in questi
termini la concezione tradizionale (ed ampiamente superata dagli sviluppi
giurisprudenziali di tutto questo secolo) del processo civile di common law: 1) è bipolare;
2) è retrospettivo, nel senso che riguarda eventi già compiuti; 3) in esso rights and
remedies sono interdipendenti; 4) è un episodio circoscritto (self-contained), nel senso che
la decisione ha effetti solo per le parti; 5) è iniziato e diretto dalle parti.
(24) G. Criscuoli, Amicus, cit., 202.
(25) F.M. Covey Jr., Amicus, cit., 37.
(26) E. Angell, The Amicus Curiae, Amecina Development of English Institutions, in Int.
and Comp. L. Quarterly, 1967, vol. 16, 1022.
(27) V. in proposito A. Pizzorusso, Jura novit curia, in Enc. giur., vol. XVIII, Roma 1990.
(28) M. Damaška, The Faces of Justice and State Authority, New Haven 1986; tr. it. I volti
della giustizia e del potere, a cura di M. Taruffo, Bologna 1991, 122.
(29) E. Angell, The Amicus, cit., 1023.
(30) G. Criscuoli, Amicus, cit., 207, traduce il termine leave con «concessione». Qui si è
ritenuto di dover evitare il richiamo ad una categoria di provvedimenti costitutivi; pare
piuttosto di vedere nel provvedimento della Corte la rimozione di un limite all'esercizio
della facoltà di informare i giudici riguardo a fatti utili per la definizione della causa. Nello
stesso senso, con riferimento al significato generico del termine, G. De Franchis, voce
Leave in Dizionario giuridico inglese-italiano, Milano 1987.
(31) V. Supreme Court Rules, 27.9 b, 338 U.S. 959 (1949).
(32) V. Krislov, The Amicus, cit., 716 n. 119, che riporta su una tabella i dati dal term
1949 fino a quello del 1961.
(33) Il dato è tutt'altro che trascurabile, poiché il Governo federale era (ed è) parte in quasi
la metà delle cause pendenti davanti alla Corte Suprema. In proposito si possono citare i
dati forniti da R.M. Salokar, The Solicitor, cit., 14 s., che vengono riportati oltre nel testo:
v. § 4, in corrispondenza della n. 56.
(34) Sul punto v. United States v. Lance Inc., 342 U.S. 915 (1952).V. inoltre, sulla
controversia Black-Frankfurther riguardo all'amicus, S. Krislov, The Amicus, cit., 714 ss.;
L. J. Barker, Third Parties in Litigation: a Systemic View of the Judicial Function, in J. of
Pol., vol. 29, 1967, 53 s.; G.A. Caldeira, J.R. Wright, Amici Curiae before the Supreme
Court: Who Participates, When and How Much?, in J. of Pol. 1990, vol. 52, 784 ss. La
discussione, come è evidente, investiva il ruolo della Corte Suprema nella composizione
dei conflitti sociali, e verteva intorno all'intensità di judicial activism che ciascun Justice
riteneva ottimale. Era molto chiara, ed apertamente dichiarata, la connessione tra il grado
di apertura del processo e la capacità (o la volontà) della Corte di amplificare gli effetti
della propria decisione.
(35) E.R. Beckwith e R. Sobernheim, Amicus Curiae: Minister of Justice, in Fordham
L.R., 1948, vol. 17, 48.
(36) N. Hakman, Lobbying the Supreme Court - An Appraisal of Political Science
«Folkore», in Fordham L. R., vol. 35, 1966, 50 ss.; v.lo anche in J.B. Grossmann, J.
Tanenhaus (eds.), Frontiers of Judicial Research, New York 1969.
(37) L.J. Barker, Third Parties, cit., 41 ss.; L. Pfeffer, Amici in Church-State Litigation, in
Law & Cont. Probls., vol. 44 n. 2, 1981, 83 ss.; K. O'Connor, L. Epstein, Amicus Curiae
Participation in U.S. Supreme Court Litigation: an Appraisal of Hakman's «Folklore», in
Law & Soc. Rev., vol. 16 n. 2, 1981/2, 311 ss.; K. O'Connor, L. Epstein, Thre Rise of
Convervative Interest Group Litigationin J. of. Pol, vol. 45, 1983, 479 ss.; G.A. Caldeira,
J.R. Wright, Organized, cit., G.A. Caldeira, J.R. Wright, Amici, cit.
(38) S. Krislov, The Amicus, cit.
(39) N. Hakman, Lobbying, cit.
(40) La distinzione, introdotta da Hakman, non corrisponde a quella, comunemente
accettata tra fundamental rights e property rights. Non è d'altronde molto chiaro il criterio
adottato dall'autore, che ad es. include tra i noncommercial cases quelli in materia
sindacale e di diritto del lavoro. In senso critico v. K. O'Connor, L. Epstein, Amicus, cit.,
311 n. 2.
(41) Si traduce in questo modo l'espressione «interest groups»: non è certo questa la sede
per approfondire l'argomento. Più avanti, dove sarà necessario verranno introdotte
ulteriori specificazioni relative ai caratteri distintivi, alle forme organizzative ed alle aree
di interesse concretamente tutelate.
(42) K. O'Connor, Women's Organizations' Use of the Courts, Lexington 1980; K.
O'Connor, L. Epstein, Amicus, cit.; K. O'Connor, L. Epstein, The Rise, cit.; K. O'Connor,
L. Epstein, Court Rules and Workload: A Case Study of Rules Governing Amicus Curiae
Participation, in Just. Sys J., vol. 8, 1983, 35 ss.; G. Ivers, K. O'Connor, Friends as Foes:
the Amicus Curiae Participation and Effectiveness of the American Civil Liberties Union
and Americans for Effective Law Enforcement in Criminal Cases, 1969-1982, in Law &
Policy, vol. 9, 1987, 161 ss.
(43) Validità che viene ulteriormente ridimensionata da numerosi altri lavori, i quali
pongono l'accento sulle tecniche di selezione approntate dalle associazioni per individuare
i migliori test cases, la scelta delle cause in discussione davanti ai giudici meglio disposti
(D. Truman, The Governmental Process: Political Interests and Public opinion, New York
1951); descrivono le vere e proprie «campagne giudiziarie» di associazioni quali il
NAACP (L.J. Barker, Third Parties, cit.; C.E. Vose, NAACP Strategy in the Covenant
Cases, in W. Res. L.R., vol. 6, 1955, 101 ss.; C.E. Vose, Caucasians Only, Berkeley 1969);
scorgono in alcuni settori la contrapposizione costante di associazioni che intervengono
come amici su opposte sponde (F.J. Sorauf, The Wall of Separation: The Constitutional
politics of Church and State, Princeton 1976; L. Pfeffer, Amici Curiae in Church-State
Litigation, in L. & Cont. Probs., vol. 44, 1981, 83 ss.). I dati di Hakman vengono
contraddetti esplicitamente dall'analoga ricerca di S. Puro, The Role of Amicus Curiae in
the U.S. Supreme Court: 1920-1966, Ph. D. dissertation, State Un. of New York, Bullalo
1971, riportata da Epstein e O'Connor, Amicus, cit.
(44) I dati, che qui riporto solo parzialmente, sono tratti da K. O'Konnor, L. Epstein,
Amicus, cit., tavole 1 e 2 a p. 316.
(45) Dati tratti da K. O'Connor, L. Epstein, Amicus, cit., tavola 3 a pag. 317.
(46) V. G.A. Caldeira, J.R. Wright, Organized, cit., 1110; G.A. Caldeira, J.R. Wright,
Amici, cit., 802 ss.
(47) Rules of the Supreme Court of the United States, adopted Dec. 5, 1989; effective Jan
1, 1990; as emended to Mar. 1, 1993, n. 37.
(48) A titolo esemplificativo possiamo dire che il brief presentato nella fase preliminare
di concessione o meno del certiorari deve avere una copertina color crema, deve essere
lungo non oltre 45 pagine dattiloscritte con spaziatura doppia, oppure 20 pagine a stampa,
prendendo come modello l'impaginazione dello U.S. Report; la copertina deve contenere
in evidenza l'indicazione che trattasi di amicus brief, a favore di quale parte è proposto e
da chi. Ulteriori indicazioni riguardano il formato delle pagine, la loro consistenza ed il
loro colore. La Rule 38 specifica il costo di ogni atto processuale.
(49) Sono state mantenute le prescrizioni contenute nelle Rules del '54 relative alla
lunghezza di tale motion (cinque pagine), ai tempi di presentazione della stessa (quelli a
disposizione delle parti) e soprattutto è ribadito che essa «shall concisely state the nature
of the applicant's interest» (Rule 37.4).
(50) V. R.M. Salokar, The Solicitor, cit., 134 ss. V. anche H. J. Abraham, The Judicial,
cit., 237.
(51) V. G.A. Caldeira, J.R. Wright, Amici, cit., 787 ss.; K. O'Connor, L. Epstein, The Rise
of Conservative Interest Group Litigation, in J. of Pol., vol. 45, 1983, 479 ss.
(52) Per una panoramica, in italiano, del ruolo svolto dalle associazioni nelle battaglie a
difesa degli interessi collettivi, v. V. Denti, L'avvocato e la difesa di interessi collettivi, in
Foro it. 1978, V, 112 ss. V. inoltre L.J. Barker, Third Parties, cit., 41 ss.
(53) Si possono fare a questo proposito due esempi, relativi agli anni '50, (riportati da
Krislov, The Amicus, cit.) che possono chiarire in quale misura, già allora, il fenomeno
presentasse strette correlazioni con il ruolo svolto dai mass media nell'orientare l'opinione
pubblica.In occasione del caso Dennis, nel 1950, il giornale Daily Worker invitò i propri
lettori a scrivere petizioni ed inviarle come amicus curiae briefs direttamente alla Corte:
Dennis v. U.S., 339 U.S. 162 (1950). Ancora, nel caso Rosenberg, di fronte alla probabile
condanna a morte degli imputati (che infatti fu irrogata) il National Committee to Secure
Justice chiese di presentare un amicus a nome di cinquantamila petitioners: Rosenberg v.
U.S., 346 U.S. 273 (1953). Gli studiosi (si veda in proposito S. Krislov, Amicus, cit., 717)
da un lato paiono propensi a qualificare tali fenomeni come aspetti degenerativi di un
istituto nato in funzione di «aid to judicial law making», dall'altro, come vedremo più
avanti, tentano di analizzare più a fondo la portata dell'istituto, rintracciando nelle
decisioni della Corte i segni dell'influenza esercitata dalle memorie di questi amici
interessati.
(54) Così Krislov, Amicus, cit., 706. L'esperienza cui si fa riferimento nel testo è
naturalmente quella dell'istituzione delle grandi agenzie governative incaricate della
realizzazione di imponenti piani di opere pubbliche negli anni della Grande Depressione;
sulle politiche riassunte nell'espressione new deal e collegate alla figura di F.D. Roosevelt
v. W.E.Leuchtenburg, Roosevelt e il new deal, Bari 1968.
(55) Ah How (alias Louis Ah How) v. United States, 193 U.S. 65, (1904), citato da S.
Krislov, Amicus, cit., 707.
(56) R.M. Salokar, The Solicitor, cit., 14 s.
(57) Quanto sopra suona abbastanza naturale alle nostre orecchie abituate ad un ufficio
del Pubblico Ministero che partecipa al giudizio, e può ricorrere, in difesa di un interesse
pubblico in qualche misura trascendente rispetto alla dialettica delle parti. Un po' meno
ovvia è la stessa riflessione trasferita in un processo che della parità assoluta delle armi a
disposizione dei contendenti fa il proprio architrave, non tanto funzionale, quanto
ideologico.
(58) R.M. Salokar, The Solicitor, cit., 20, 145.
(59) S. Puro, The Role, cit., rileva nel periodo 1928-1966 una percentuale pari al 75%; S.
Ulmer, D. Willison, The Solicitor General of the United States as Amicus Curiae in the
U.S. Supreme Court, 1969-1983 Terms (paper presented at the Am. Pol. Sc. Ass. Annual
Meeting, N. Orleans 1985), cit. da R.M. Salokar, 214 n. 46, riportano una percentuale del
70,4%; R.M. Salokar, The Solicitor, cit., 145, ricava un 71,9% nel periodo 1959-1986.
(60) Dellume v. Bush, 752 F. Supp. 1141 (D.D.C. 1990); Ange v. Bush, 752 F. Supp. 509
(D.D.C. 1990).
(61) La versione finale del brief fu sottoscritta da H. Hongju Koh e B. Ackerman di Yale;
A. Chayes, E. Griswold e L. Tribe di Harvard; L. Fischer Damrosch e L. Henkin della
Columbia Un.; J.H. Ely e G. Gunther di Stanford; P. Kurland di Chicago e W. van Alstyne
della Duke Un.
(62) Il testo dell'amicus curiae brief può essere letto in H. Hongju Koh, Presidential war
and Congressional Consent: the Law Professors' Memorandum in Dellums v. Bush, in
Stanford J. Int. L., vol. 27, 1991, 247 ss. L'A. commenta la vicenda sia sul piano
processuale che in riferimento alla questione sostanziale dell'esercizio dei poteri di guerra.
(63) G.A. Caldeira, J.R. Wright, Amici, cit., 789 s.
(64) V. L. Barker, Third Parties, cit., 58 ss.
(65) V. in proposito L. Pfeffer, Amici, cit., da cui sono tratte le informazioni riportate di
seguito.
(66) Il primo caso in cui la NAACP ha presentato un amicus curiae brief è Guinn v. U.S.,
238 U.S. 347 (1915).
(67) Sul punto la bibliografia sarebbe sterminata, mi limito a rinviare a G.A. Spann, Race
Against the Court. The Supreme Court and Minorities in Contemporary America, New
York 1993. Inoltre, ai nostri fini, v. L. Barker, Third Parties, cit. Fondamentali sono le
cause Brown v. Board of Education of Topeka (I), 347 U.S. 483 (1954), Brown v. Board
of Education of Topeka (II), 349 U.S. 294 (1955), Baker v. Carr, 369 U.S. 186 (1962).
(68) V. K. O'Connor, Women's Organisation use of the Courts, Lexington 1980; K.
O'Connor, Women's Organization Use of the Courts, Lexington 1980; K. O'Connor, L.
Epstein, Amicus, cit., 313.
(69) S. Ct. 3040 (1989). V. l'accurata analisi del ruolo delle associazioni in questa vicenda,
svolta da S. Behuniak-Long, Friendly fire: amici curiae and Webster v. Reproductive
Health Services, in Judicature, vol. 74, 1991, 261 ss. Inoltre v. le considerazioni di
O'Brien, Storm, cit., 47 ss.
(70) 410 U.S. 113 (1973).
(71) K. O'Connor, L. Epstein, The Rise, cit.; L. Epstein, Conservatives in the Courts,
Knoxville 1985. Gli studi in questione hanno denominato conservatori gli interest groups
che si richiamano a parole chiave quali legge e ordine, quelli che difendono i diritti dei
datori di lavoro, quelli che contrastano le misure assistenziali.
(72) K. O'Connor, L. Epstein, The Rise, cit., 485 fig. 3.
(73) S. Krislov, Amicus, cit., 704.
(74) Ibidem.
(75) S. Krislov, Amicus, cit., 713, si chiede infatti se l'amicus «can be seen also as part of
the supplementary strategies available to the principal litigants».
(76) V. R.M. Salokar, The Solicitor, cit., 22 Tav. 1: il Solicitor General è parte nel 39,9%
dei casi giunti alla Corte Suprema, nel 48,5% di quelli esaminati nel merito, nel 58,8% dei
quali è ammesso a fornire un oral argument. V. inoltre ivi, 29: il Solicitor General ha
prevalso nel merito (periodo 1959-1986) ne 67,6% dei casi; ha perso nel 26,8%; nel 4,8%
non è possibile stabilire con chiarezza il «vincitore».
(77) R.E. Lee, Lawyering for the Government: Politics, Polemics and Principle, in Ohio
St. L. J., vol. 47, 1986, 595, citato da R.M. Salokar, The Solicitor, cit., 139.
(78) Dati ricavati da R.M. Salokar, The Solicitor, cit., 146 tav. 10. L'apparente minore
successo del Solicitor in difesa del resistente deve essere ponderato con la considerazione
che la Corte Suprema è poco propensa a concedere il riesame di un caso quando sia
tendenzialmente già orientata alla conferma della decisione, per cui è generalmente meno
probabile che, una volta giunti all'esame del merito, il resistente vinca.
(79) R.M. Salokar, The Solicitori, cit., 144: la Corte Suprema ha «invitato» il Solicitor
General a partecipare in 440 casi tra il 1959 ed il 1986, con un trend crescente negli ultimi
vent'anni. Il Governo ha visto prevalere il suo punto di vita nel 60% circa delle cause.
(80) G.A. Caldeira, J.R. Wright, Amici, cit., 789 ss.
(81) K. O'Connor, L. Epstein, The Rise, cit., 482 e 483 fig. 2.
(82) Per una dettagliata descrizione relativa ad un caso concreto di grande importanza, v.
S. Behuniak-Long, Friendly, cit., passim.
(83) V. L. Pfeffer, Amici, cit.
(84) G.A. Caldeira, J.R. Wright, Amici, cit., 800; S. Behuniak-Long, Friendly, cit., 262.
(85) S. Behuniak-Long, Friendly, cit., 262.
(86) È esattamente quanto ha dichiarato il Justice Scalia nella sua dissenting opinion nel
caso Webster (109 S. Ct., 3065 s.).
(87) V. ancora S. Behuniak-Long, Friendly, cit., 267.
(88) L. Pfeffer, Amici, cit., 109.
(89) G.A. Caldeira, J.R. Wright, Amici, cit., 801.
(90) L.J. Barker, Third, cit., 64 ss. L. Pfeffer, Amici, cit., 110.
(91) G.A. Caldeira, J.R. Wright, Organized, cit., 1116 s., i quali con riferimento al term
1982 dimostrano che su 1.906 richieste di certiorari, 148 delle quali erano appoggiate da
memorie di amici, il riesame è stato concesso nel 5% dei casi «privi di amici», contro il
36% dei casi in cui vi erano memorie a sostegno; H. W. Perry Jr., Deciding, cit., 121 ss.;
135 ss.
(92) Ancora Calderia e Wright dimostrano, ivi, 1119, che la presentazione di briefs contro
il certiorari paradossalmente ne incrementa le probabilità di concessione.
(93) J. Tanenhaus, M. Schick, M. Muraskin, D. Rosen, The Supreme Court's Certiorari
Jurisdiction: Cue Theory, in Judicial Decision-Making, ed. G. Schubert, New York 1963;
S. Ulmer, W. Hintze, L. Kirklosky, The Decision to Grant or Deny Certiorari: Further
Considerations on Cue Theory, in Law and Society R., vol. 7, 1972, 637 ss.
(94) V. per tutti D.M. O'Brien, Storm, cit., 249.
(95) H.W. Perry jr., Deciding, cit., 137 tav. 5.4.
(96) G.A. Caldeira, J.R. Wright, Organized, cit., 1121, tav. 2.
(97) H.W. Perry jr., Deciding, cit., 138 tav. 5.5 mostra addirittura uno sconcertante 100%
di certiorari concessi in presenza di briefs del Solicitor General. R.M. Salokar, The
Solicitor, cit., 28, tav. 2, riporta un dato più credibile: il brief proposto nella fase di esame
della richiesta di certiorari a sostegno del resistente avrebbe successo nell'84,55% dei casi,
quello proposto a sostegno del ricorrente avrebbe successo nel 65,85% dei casi.
(98) V. in proposito il seminario promosso recentemente dalla Corte costituzionale,
svoltosi presso il Palazzo della Consulta nei giorni 5 e 6 novembre 1993, i cui atti sono
raccolti nel volume L'opinione dissenziente, a cura di A. Anzon, Milano 1995; una
comparazione con il sistema statunitense viene proposta negli interventi di V. Varano, A
proposito dell'eventuale introduzione delle opinioni dissenzienti nelle pronunce della
Corte costituzionale: considerazioni sull'esperienza americana, ivi, 129 ss.; V. Vigoriti,
Corte costituzionale e «dissenting opinions», ivi, 145 ss.; J. P. Greenbaum, Osservazioni
sul ruolo delle opinioni dissenzienti nella giurisprudenza della Corte Suprema
Statunitense, ivi, 183 ss.
(99) In tal senso H. J. Abraham, The Judicial, cit., 238.
(100) H. J. Abraham, The Judicial, cit., 239.
(101) S. Krislov, Amicus, cit., 720.
(102) K. O'Connor, L. Epstein, Amici, cit., 314; G.A. Caldeira, J.R. Wright, Amici, cit.,
800.
(103) Si veda S. Behuniak-Long, Friendly, cit., spec. 268 ss. Per un altro caso inerente le
Gender discriminations, in materia di accesso al lavoro e tutela del feto, v. S. Uttaro
Samuels, Amici curiae and the Supreme Court's review of fetal protection policies, in
Judicature, vol. 78, 1995, 236 ss., spec. 238 ss. Il caso è international Union, United
Automobile, Aerospace and Agricultural Implement Workers of America et al. v. Johnson
Controls, 499 U.S. 187 (1991).
(104) Un esempio è fornito da S. Uttaro Samuels, Amici, cit., 241, la quale constata
l'appiattimento della Corte nel caso Johnson sulla dicotomia protezione del feto-diritti
della donna proposta non tanto dalle parti quanto dagli amici.
(105) Così, con esplicito riferimento all'istituto in esame, S. Krislov, Amicus, cit., 717, e
s. Wasby, The Supreme, cit., 150 ss. Il tema in realtà è molto più vasto, poiché riflette la
visione complessiva dei rapporti tra i consociati e le istituzioni. La prospettiva che qui si
segue è quella impostata da R. Dahl, del quale si veda, per un quadro generale, La
democrazia e i suoi critici, Roma 1990.V. inoltre, nel contesto europeo dei sistemi di
giustizia costituzionale, P. Häberle, Die Wesegehaltgarantie des Art. 19 Abs. 2
Grundegesetz, Heidelberg 1983, del quale è disponibile una parziale traduzione italiana, a
cura di P. Ridola, con il titolo Le libertà fondamentali nello stato costituzionale, Roma
1993, secondo il quale «che cosa i diritti fondamentali siano veramente è deciso
essenzialmente anche dall'operato di coloro cui questi ultimi appartengono. La realtà dei
diritti fondamentali si determina pertanto prendendo le mosse dalla libertà dei titolari
stessi; con ciò, peraltro, non si intende negare la rilevanza del comportamento dei ‘
destinatari dei diritti fondamentali ', cioè della pubblica autorità e in parte anche dei gruppi
di potere sociali» (ivi, 191).
(106) J.H. Choper, Judicial Review and the National Political Process, Chicago, London
1980, 4 ss.; 140 ss.
(107) R. Dahl, Decisionmaking in a Democracy: the Supreme Court as a National
Policymaker, in J. of. Pub. L., vol. 6, 1957, 279 ss.; R. Dahl, Pluralist Democracy in the
United States: Conflict and Consent, Chicago 1967, 143 ss.
(108) J. H. Choper, Judicial, cit., spec. 60 ss., 380 ss.; J.H. Ely, Democracy and Distrust.
A Theory of Judicial Review, Cambridge (Massachusetts), London 1980, spec. 135 ss.
(109) V. J.H. Choper, Judicial, cit., 29 ss.
(110) Afferma R. Dahl, Pluralist, cit., 170, che «this is the inescapable paradox of the
judicial review in a democratic political order».
(111) Il riferimento è a U.S. v. Carolene Products Co., 304 U.S. 144; 58 St. Ct. 778, (1938),
in cui il Justice H. F. Stone, autore dell'opinion of the Court, inserì la famosa footnote 4,
nella quale si afferma che, salva la generale presunzione di legittimità dei provvedimenti
esaminati, devono essere sottoposti a un «more exacting judicial scrutiny» quelli che
riducono gli spazi del political process, al pari della legislazione suscettibile di produrre
«prejudices against discrete and insular minorities».La footnote 4 è un punto di centrale
importanza dell'evoluzione della giurisprudenza della Corte Suprema, e di conseguenza
del diritto costituzionale americano; sarebbe dunque inutile indicare riferimenti
bibliografici. Li limito a rinviare, per l'esposizione di considerazioni utili ai fini di questo
lavoro, a W.F. Murphy, J.E. Fleming, W.F. Harris, II, American Constitutional
interpretation, Mineola, New York, 1986, 482 ss. e 748 ss.
(112) Così, esplicitamente, Ely, Democracy, cit., con un particolare accento rivolto alle
garanzie procedimentali che sarebbero l'ossatura del testo costituzionale, da contrapporsi
ad un tessuto di valori sostanziali fortemente incompleto.
(113) Le decisioni in oggetto richiedevano, per avere effetti materiali l'attività delle
amministrazioni statali, che però erano le principali responsabili del regime di
segregazione. La Corte, riconoscendo la propria incapacità a provvedere direttamente,
delegò le corti distrettuali all'esecuzione delle sentenze. Queste ultime, in condizioni di
autorità ed indipendenza deteriori rispetto alla Corte Suprema, incontrarono problemi
notevoli. La Corte distrettuale dell'Arkansas richiese allora l'intervento dello U.S.
Attorney General e dello U.S. Attorney come amici curiae, ergendoli a garanti della piena
attuazione delle pronunce.V. ampie esposizioni sul punto in L. J. Barker, Third Parties,
cit., 44 ss.; G.A. Spann, Race, cit.; Krislov, The Amicus, cit., 718 ss.; D.M. O'Brien,
Storm, cit., 334 ss.
(114) T.R. Marshall, The Supreme Court and the grass roots: whom does the Court
represent Best?, in Judicature, vol. 76, 1992, 22 ss.; T.R. Marshall, J. Ignagni, Supreme
Court and public support for right claims, in Judicature, vol. 78, 1994, 146 ss. I dati in
questione, che vengono sommariamente riportati nella nota che segue, sono stati elaborati
partendo dai sondaggi della Gallup svolti immediatamente dopo le principali decisioni
della Corte Suprema. Sono stati ritenuti attendibili solo quelli a partire dagli anni '40.
(115) T.R. Marshall, The Supreme, cit., 26, tavv. 1 e 2; 27, tavv. 3 e 4; 28, tav. 5.Il dato
nazionale riporta una corrispondenza tra opinione dei cittadini e decisione giudiziaria nel
59% dei casi; scomponendo i dati, la corrispondenza è confermata ad es. per il 62% dei
maschi ed il 55% delle femmine, per il 63% dei neri ed il 58% dei bianchi, per il 63% dei
democratici e il 57% dei repubblicani. Sostanzialmente vi è omogeneità di opinioni anche
fra i gruppi che si assumono come contrapposti: la massima percentuale di casi che vedono
un dissenso fra gruppi è il 17% (fra bianchi e neri). Anche se si cerca di individuare quali
gruppi esprimono maggiore consenso verso le decisioni della Corte relative al proprio
specifico ambito di rappresentanza non si riscontrano clamorose divisioni: in materia
razziale la Corte ottiene il consenso dei bianchi nel 63% e dei neri nell'89% dei casi; in
materia di privacy (che sottintende anche le pratiche contraccettive e l'aborto) e di
discriminazione sessuale c'è corrispondenza con l'opinione degli uomini nel 53% dei casi
e con le donne nel 44%; in materia religiosa sia i protestanti che i cattolici concordano con
la Corte nel 40% dei casi.
(116) R. Dahl, Pluralist, cit., 167, ritiene necessario inquadrare la Corte nel sistema di
interrelazioni tra le minoranze in cui si articola, e dalle quali trae equilibrio una società
pluralista.Nello stesso senso anche A. Bickel, The Least Dangerous, cit., 18 s.
(117) Esiste una correlazione tra l'incremento della partecipazione dei conservatori in
veste di amici e la maggioranza conservatrice nella Corte, così come vi è stata
corrispondenza tra la diffusione dell'istituto e l'apertura della Corte Warren alla difesa dei
diritti civili: v. in proposito K. O'Connor, L. Epstein, The Rise, cit.
(118) J.H. Ely, Democracy, cit., 75 ss.
(119) J. H. Choper, Judicial, cit., 129 ss.
(120) Così A. Chayes, The Role, cit., 1315 s.
(121) Può contribuire a chiarire alcuni punti rimasti in ombra il richiamo a J.H. Ely,
Democracy, cit., 103, secondo il quale la Corte (la giurisdizione costituzionale) ha ragion
d'essere nelle situazioni di disfunzione del political process, che l'autore individua a) nei
tentativi dei detentori del potere (the ins) di estromettere definitivamente gli esclusi (the
outs) dalla possibilità di vincere future elezioni e b) nell'opera sistematica condotta dalla
maggioranza al fine di svantaggiare una minoranza, negandole la protezione cui ha diritto
in base ai principii costituzionali.Come si vede, si tratta di una consepevole traduzione e
rielaborazione in chiave procedurale dei concetti contenuti nella footnote 4 della citata
sentenza Carolene.
(122) Sul tema dell'acquisizione di elementi ai fini della decisione v. R. Chieppa,
Acquisizione degli atti del giudizio di merito nel procedimento c.d. incidentale di
legittimità costituzionale, in questa Rivista 1957, 1222 ss.; M. Cappelletti, L'attività e i
poteri del giudice costituzionale in rapporto con il loro fine generico (natura
tendenzialmente discrezionale del provvedimento di attuazione della norma
costituzionale), in Scritti giuridici in memoria di Piero Calamandrei, Padova 1958, III, 124
ss.; L. Paladin, Legittimità e merito delle leggi nel processo costituzionale, in Riv. trim.
dir. proc. civ. 1964, 326 ss.; A. Cerri, I poteri istruttori della Corte costituzionale nei
giudizi sulle leggi e sui conflitti, in questa Rivista 1978, I, 1337 ss.; M. Chiavario,
Ordinanze interlocutorie della Corte costituzionale nei giudizi di legittimità promossi in
via incidentale, in Scritti giuridici in onore di Vezio Crisafulli, Padova 1985, I, 233 ss.;
M. Luciani, I fatti e la Corte: sugli accertamenti istruttori del giudice costituzionale nei
giudizi sulle leggi, in Strumenti e tecniche di giudizio della Corte costituzionale. Atti del
Convegno di Trieste, 26-28 maggio 1986, Milano 1988, 521 ss.Più recentemente, sul
rapporto tra definizione della questione in punto di fatto e motivazione della decisione cfr.
M. Ainis, La «motivazione in fatto» della sentenza costituzionale, in La motivazione delle
decisioni della Corte costituzionale, a cura di A. Ruggeri, Torino 1994, 167 ss., e M. Ricca,
Sul rapporto tra «ritenuto in fatto» e «considerato in diritto» nel giudizio di legittimità
costituzionale in via incidentale, ivi, 193 ss.Un altro problema che si è posto è se il rilievo
accordato o meno al «fatto» incida ai fini della definizione del giudizio di legittimità
costituzionale in termini di concretezza o astrattezza: in proposito v. A. Baldassarre, I
poteri conoscitivi della Corte costituzionale e il sindacato di legittimità in astratto, in
questa Rivista 1973, 1497 ss.
(123) Giova richiamare la nota tesi di R. Romboli, per cui sarebbe la parte legittimamente
costituitasi nel giudizio incidentale a degradare al ruolo di amicus curiae (cfr. R. Romboli,
La parte nel processo costituzionale: «amicus curiae» o titolare di interessi?, in Foro it.
1982, I, 912 ss.).In questa sede si ipotizza invece l'uso della memoria proveniente da terzi
estranei al giudizio a quo con funzione in ogni senso analoga a quella svolta dall'amicus
presso la Corte Suprema.
(124) La selezione dei casi come rimedio al generale scadimento del «tono costituzionale»
di molte delle questioni sollevate, oppure come passaggio indispensabile ai fini del
miglioramento della qualità delle decisioni, è stata proposta recentemente negli interventi
di A. Proto Pisani, V. Vigoriti, V. Varano che possono essere letti ne L'opinione
dissenziente, cit. Cfr. inoltre A. Agrò, Corte costituzionale e microconflittualità, in Riv. it.
pubbl. amm. 1995, 138 ss.