La crocifissione e la risurrezione non sono due eventi separati quanto due aspetti di un
unico mistero. Non possiamo parlare della resurrezione senza parlare della crocifissione
che sono movimenti di Cristo verso la gloria. Parlerò delle sofferenze di Gesù, il
simbolismo della crocefissione nell’arte moldava, poi descriverò gli aspetti della Sua
Gloria divina e il ritorno nell’eternità Trinitaria. La crocefissione è riassunta dalle parole
di san Giovanni Crisostomo: “Io lo vedo crocefisso e lo chiamo Re. Quell’uomo
sofferente che muore in Croce è il Creatore del mondo, il Signore della vita”1. Perché
allora fu messo in Croce come un peccatore? La risposta è una sola: per liberare l’uomo
dalla morte. A Gerusalemme, nella chiesa del Santo Sepolcro, sotto la cappella del Golgota c’è la cappella di Adamo, dove è visibile una
spaccatura nella roccia che, dal IV secolo, è considerata la testimonianza del terremoto descritto dal Vangelo alla morte di Cristo. Qui
sarebbe stato sepolto (secondo una tradizione medievale) il cranio di Adamo2.
Un affresco della Crocifissione molto interessante si trova nell’Albero di Jesse, a Moldovița (Tav 78) (la parete esterna orientale
della chiesa). In questo quadro, il giardino fiorito, le figure fluttuanti, il cromatismo dei colori allontana ogni sentimento di paura3. Nel
corpo crocefisso è visibile la realtà della morte, l’esperienza dell’estremo abbandono e allontanamento, però il pittore cambia il registro
e descrive un’esplosione di fiori, di tanti colori e trasforma l’evento della morte in un evento vivificante4. Alla sinistra e alla destra della
1
Alfredo Tradigo, Icone…, op. cit., p. 137.
2
Ibidem.
3
Wilhem Nyssen, Pământ cântând în imagini, op. cit., p. 125.
4
Ibidem, p. 126.
croce, come indica l’Apocalisse, appare nel fondo azzurro, con tratti antropomorfici, il sole e la luna 5 che hanno le teste coperte: “Una
Donna rivestita di sole, con la luna sotto i suoi piede sul capo una corona di dodici stelle” (Ap 12, 1). Questo modello della testa coperta
è proprio della tradizione autoctona. Per rispetto delle cose sacre, tutte le donne che partecipano alla Santa Messa devono avere il capo
velato, come afferma San Paolo: “Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo” (1Cor
11, 6). Portare il velo è una pratica molto utilizzata nell’ortodossia; il calice e la patena hanno veli, le icone hanno drappi e in genere tutti
gli oggetti sacri hanno una copertura di qualche genere. Il velo non è un obbligo giuridico, né va vissuto come un obbligo; non è un
burqa. La testa coperta della luna e del sole indica il dolore e la sofferenza per la crocefissione del Salvatore, ma anche la partecipazione
del cosmo a questo evento salvifico.
L’icona della Crocefissione del Monastero di Probota (Tav. 79) è di una particolare allegoria. Essa fa parte dal Ciclo della
Passione e si trova nella parte nord dell’abside della chiesa. Il ladro di destra è raffigurato con la faccia verso Cristo, ha le ginocchia
piegate a causa della distruzione dell’osso della caviglia e la testa girata verso Gesù. Alla Sua destra sotto la croce stanno l’evangelista
Giovanni e la Vergine Maria che tiene il palmo sinistro sul viso, simbolo del dolore dell’anima. Intorno a lei ci sono le donne mirofore e
nella parte sinistra di Cristo sono ritratti gli ebrei e i romani. Nella parte superiore del braccio verticale della croce, il sole e la luna sono
descritti in sofferenza e in trasformazione (Lc 23, 44-45). Questi dettagli fanno parte della storia biblica del Ciclo della Passione, ma la
storia ha altri elementi allegorici che non si trovano nella storia biblica della Crocifissione.
5
San Ippolito afferma che: “Con la donna vestita del sole (San Giovanni ) ha indicato nel modo più chiaro la Chiesa che indossa il Logos del Padre, splendente più
del sole: dicendo poi la luna sotto i suoi piedi indica che è adorna, come la luna, di luce celeste; con le parole sulla testa una corona di dodici stelle, disegna in dodici
apostoli, che sono le fondamenta della Chiesa”, Ippolito, L’Anticristo, Apocalisse, 61, 1, nella BCP, vol.12, p. 171.
L’Allegoria della Crocifissione e di Mosè. Generalmente l’allegoria è una metafora continuata, una specie di parabola, parente
della metafora e dell’analogia, mentre il simbolo appartiene più alla metonimia6 e alla “partecipazione”. Nella tarda antichità e nel
Medioevo esistevano due generi di allegorie, quelle retoriche-poetiche e quelle bibliche7. L’allegoria opera su un piano superiore rispetto
al visibile e si appoggia a convenzioni di livello filosofico o metafisico. Un simbolo è qualcosa di più concreto, statico, rispetto
all’allegoria. Il simbolo non ha in sé il proprio significato, bensì rimanda a qualcosa che è al di là, è un’immagine visibile per esprimere
una realtà invisibile. Per quanto riguarda la crocefissione, la tradizione afferma che questa era al di sopra della tomba di Adamo, per
questo motivo era chiamata il “luogo del teschio”, come indica la Sacra Scrittura: “Giunti a un luogo detto Gòlgota, che significa luogo
del cranio“ (Mt 27, 33). Il cranio (il teschio) si trova ai piedi della croce in quasi tutte le icone
orientali e occidentali della crocefissione e indica il Monte dove Cristo fu crocefisso, che in
ebraico significa “luogo del cranio”. Secondo la Tradizione, la tomba di Adamo sorgeva
esattamente nel luogo, dove poi fu crocefisso Cristo. Il significato profondo teologico è questo:
Cristo libera gli essere umani dal peccato introdotto nel mondo da Adamo ed Eva. Come
ricorderemo in questo capitolo i santi Padri chiamano Cristo il Nuovo Adamo, perché con il suo
sacrificio sulla croce riscatta l’errore del vecchio Adamo. Per mostrare il dramma della caduta e la connessione tra il Nuovo e il Vecchio
Adamo, nella scena della Crocefissione da Moldovița, nella grotta sotto la croce è dipinto Adamo come un anziano, che piange i suoi
peccati e mette le mani sulla testa per le conseguenze del suo atto (Tav. 80).
L’icona della Crocefissione di Probota introduce anche un elemento nuovo: descrive la presenza del profeta Mosè, che ricorda il
dialogo tra Gesù e Nicodemo. In questo dialogo Cristo parla del serpente di bronzo elevato da Mosè nel deserto, che è una prefigurazione
della Sua crocefissione: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così sarà innalzato il Figlio dell’uomo” (Gv 3, 14). La descrizione
di Mosè sul lato sinistro della Croce e la posizione di spalle, come se andasse via, associa la sua presenza all’allegoria della Sinagoga,
6
La metonimia deriva dal greco μετωνυμία e significa “scambio di nome” ed è una figura retorica che consiste nella sostituzione di un termine con un altro che ha
con il primo una relazione di vicinanza, attuando una sorta di trasferimento di significato.
7
Gerhart B. Ladner, Il simbolismo Paleocristiano…, op. cit., p. 213-216.
dipinta nello stesso braccio sinistro della Croce. Per quanto riguarda questa allegoria, con arte straordinaria Mosè ricordato dal Signore
nella conversazione con Nicodemo, cioè il maestro della Legge, in una frase racconta la vecchia storia del popolo ebreo e la spiega come
prefigurazione della sua Passione e della salvezza degli uomini (per questo Mose è ripreso in questa icona). Ricordiamo l’episodio
menzionato da Cristo in questo dialogo. Nel libro dei Numeri 18, il popolo d’Israele nel deserto, stancato per il lungo viaggio e la fatica,
mormorò contro il Signore e Mosè, perciò il Signore mandò contro di loro, come punizione, serpenti velenosi. Per le ferite e la morte
molti gridavano a Mosè ed egli al comando di Dio alzò un serpente di bronzo. Tutti quelli che guardavano il serpente di bronzo erano
guariti. Il Venerabile Beda afferma che l’avvenimento: “[…] parla della passione del nostro Redentore sulla croce, e solo chi crede in
essa vince il regno della morte e del peccato”8. S. Agostino afferma che tutti quelli che guardavano il serpente di bronzo non morivano
per i morsi dei serpenti velenosi, così quanti guardano con fede alla morte di Cristo vengono risanati dai morsi dei peccati: “Mentre
quelli venivano risanati dalla morte per la vita temporale, di questi si dice invece che hanno la vita eterna. Questa differenza, infatti,
sussiste tra la rappresentazione figurata e la realtà vera e propria: la figura simbolica offriva la vita temporale; la realtà vera e propria, di
cui quell’altra era simbolo, offre la vita eterna”9.
L'allegoria della sinagoga è vista sotto il braccio sinistro della croce e in connessione diretta con Mosè,
rappresentante della Legge. Un angelo tiene una spada nella mano destra e guida verso una nuvola nel mezzo della
quale è dipinta una giovane donna con la testa coperta e con un libro nella mano sinistra. La donna è allontanata
dall’angelo con una spada. L’affresco è l’allegoria della Sinagoga, il libro in mano simboleggia la lettera dell’Antico
Testamento e mostra che con la fondazione della Chiesa, la Legge dell’Antico Testamento è l’ombra e il passato,
8
Venerabile Beda, Omelie sul Vangelo, II, 18, introduzione, traduzione e note a cura di Giuseppina Simonetti, CTP, 1990, Città Nuova Editrice, Roma, 1990, pp.
441-442.
9
Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, 12, 21, traduzione di Giovanni Reale con la collaborazione di Ilaria Ramelli, Edizione Bompiani, Milano, 2010, pp.
349-350.
invece l’amore è la promessa dei beni futuri. I profeti dell’Antico Testamento avevano la missione di risvegliare la coscienza e il ritorno
nei loro cuori della Legge di Dio, annunciando il suo giudizio.
Allegoria della Chiesa. Sotto il braccio destro della croce è dipinto un angelo con le ali sollevate che
tiene in mano una nuvola, in mezzo alla quale c’è una giovane donna vestita di abiti imperiali, porta sul
capo una corona con quattro fleuroni e nella mano destra tiene un calice, dove scorre il sangue di Gesù. Il
calice, nella mano della donna è allegoria della Chiesa, custode dell’Eucaristia, come afferma Cristo: “Fate
questo in memoria di me “ (Lc 22, 19). Gli abiti regali e la corona ai quattro angoli ricordano il comando di
Gesù agli apostoli di predicare il Vangelo ai quattro angoli del mondo (Mt 28, 19-20). L’allegoria della
Chiesa dimostra che essa supera il rigore della Legge e chiama alla salvezza tutti i popoli, come dice S. Paolo: “Non c’è più giudeo né
greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3, 28). San Paulo afferma
che la legge è “solo un’ombra dei beni futuri e non la realtà stessa delle cose….” (Eb 10, 1) e la Legge mosaica è chiamata da Paolo
ombra “σκιά” dei beni futuri (Col 2, 17). I tre elementi non storici e apocrifi, le allegorie della Crocefissione, della Sinagoga e della
Chiesa, parlano della fondazione della Chiesa attraverso il sacrificio sulla croce e la fine della missione dell’Antico Testamento. La
scena del Monastero di Probota si basa su elementi biblici e storici della Crocefissione; inoltre nella Sacra Tradizione troviamo un gran
numero di testi liturgici che parlano di queste tre allegorie.
L’antropomorfismo del diavolo nell’icona della Resurrezione. La consacrazione della chiesa ortodossa
Nell’arte bizantina il simbolismo è utilizzato anche per accentuare alcuni dettagli iconografici, per rappresentare il male e il
diavolo. Durante il Medioevo, la Chiesa Cristiana aveva un ruolo formativo ed educativo nella società orientato a un pubblico ignorante.
Non potendo far uso dei testi dalla tradizione letteraria cristiana e patristica, utilizzò le immagini per informare e formare i fedeli.
Nell’antichità il popolo era ossessionato dalla paura del peccato e del diavolo, in particolare. Erano considerati demoni, diavoli, in lat.
“diabolus “, in greco – “δαίμων”, che significa “accusatore”, tutte quelle creature angeliche decadute. Nell’immaginario culturale del
Medioevo, l’Inferno era associato al mondo materiale, in uno stato di continua lotta con il regno di Dio, perché è all’origine del
rovesciamento e scombussolamento dei connotati umani e divini. Alcune volte nell’arte il diavolo è ritratto in forma umana, come è nel
mosaico del Duomo dell’Isola di Torcello, dove è rappresentato come un vecchio con barba bianca e con fisionomia bestiale. La sua
fisicità è mostruosa, perché l’obiettivo è di distinguere Satana, i dannati e i demoni dalle figure angeliche. Per evidenziare la differenza
tra diavoli e angeli, i diavoli sono dipinti più piccoli, disumani, sono rappresentati con una bruttezza fisica che esprime la disarmonia
spirituale. Nell’arte iconografica, per sottolineare la mancanza di unità, i diavoli sono rappresentati in modo che i loro occhi non si
incontrino. Agli antipodi dei diavoli, i santi e gli angeli sono raffigurati con i vestiti che simboleggiano il loro status sociale e liturgico.
Quando sono descritti nella forma umana, tali abiti mancano, sono dipinti di nero e danno l’impressione che portino pellicce10. In altri
casi, sono esseri piccoli, deformi e neri11, con artigli, la capigliatura liscia, il naso lungo e ricurvo, la coda, le orecchie di animali e la
barba caprina.
Generalmente nell’icona della Discesa agli Inferi il diavolo è raffigurato come figura umana. La fonte di queste rappresentazioni
è il Vangelo apocrifo di Nicodemo, che riporta una conversazione con accenti personali tra l’Inferno e Satana 12. Nel testo apocrifo di
Nicodemo, Satana e l’Ade parlano tra di loro, c’è una voce forte come un tuono che afferma: “Alzate le vostre porte, o principi, aprite le
vostre porte eterne per fare entrare il re della gloria”13. Il testo citato è ricordato anche nell’ufficio della consacrazione della Chiesa
Ortodossa ed è ripreso non dall’apocrifo, ma dal Salmo 24 (23) 7-9. Per esempio, durante la consacrazione di una chiesa14, il vescovo ed
i sacerdoti, dopo la processione con il vangelo e con le sante reliquie si entrano in chiesa e sollevando le sante reliquie, (il vescovo) si
avvicina alle porte chiuse e recita questa Preghiera: “Sovrano, Signore nostro Dio, che hai posto nei cieli schiere ed eserciti di angeli
10
Gabriel Herea, Simbolul în icoana de tradiție bizantină - note hermeneutice, în ”Învățături despre sfintele icoane reflectată în teologia românească”, Editura
Basilica, București, 2017, pp. 413-414.
11
Luther Link, Il Diavolo nell’arte, traduzione dall’inglese di Maria Letizia Magini, Bruno Mondadori Editori, Milano, 2001, pp. 48-55.
12
Jeffrey Burton Russell, Lucifer - The Devil in the Middle Ages, Cornell University Press, London, 1984, p. 242; Gregory A. Boyd, Satan and the problem of evil,
constructing Trinitarian warfare theodicy, Inter Varsity Press, Illinois, 2001, pp. 338-359.
13
Vangelo di Nicodemo, in “Vangeli” (Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento), II, V, 1, (21), pp. 694-695.
14
Drd. Teodor Burcuş, Rugăciunea lui Solomon la Sfinţirea Templului şi caracterul ei universalist, în „Studii teologice“, XIX (1967), nr. 3-4, Ed. I.B.M.B.O.R.,
Bucureşti, pp. 173-188.
[…]”, poi bussando con la croce alla porta della chiesa, dice i versetti 7-9 del Salmo 23: “Aprite, prìncipi, le vostre porte, e si spalanchino
le porte eterne ed entrerà il Re della gloria”. Un sacerdote che sta dentro, domanda: “E chi è Costui, il Re della gloria?”. Il vescovo
risponde: “Il Signore forte e potente, il Signore forte nella guerra, il Signore delle potestà, è Lui il Re della gloria”. Al momento della
resurrezione di Cristo, l’Inferno riceve il comando di tenere legato Satana fino alla seconda venuta15. La rappresentazione della Discesa
all’Inferno nella Chiesa di Bălinești (Tav. 81), nella parte nord del presbiterio, Satana e l’Inferno hanno tratti antropomorfici. Si rilevano
i segni della vecchiaia attribuiti al diavolo e la sconfitta subita, e l’Inferno è raffigurato con tratti forti . In entrambe le rappresentazioni è
evidenziata la bruttezza dei denti anteriori, che simboleggiano la loro insaziabilità.
Tav. 80. L’icona della Crocifissione, Moldovița, il lamento di Adamo. Tav. 81. La Chiesa di Bălinești. Satana e l’Inferno hanno tratti antropomorfici (1494-1495)
15
Vangelo di Nicodemo, in “Vangeli” (Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento), II, V,1 (22), p. 695.