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Marco Boccaccio
Caso Apple e dintorni
(doi: 10.1434/93171)
Ente di afferenza:
Universitgli studi dell’Insubria (uninsubria)
Licenza d’uso
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temi 419
1. Introduzione
Una serie di decisioni negative della Commissione europea in materia di
aiuti di Stato e rulings fiscali1 ha sollevato un dibattito ancora in atto che ri-
guarda sia il modo con il quale la disciplina sugli aiuti di Stato è stata applicata
sia l’appropriatezza del ricorso al controllo degli aiuti di Stato per contrastare
alcune pratiche di concorrenza fiscale dannosa.
L’intera vicenda ha preso il via con una indagine conoscitiva del Senato
degli Stati Uniti del 2012 relativa all’elusione fiscale messa in atto da imprese
multinazionali americane tramite lo shifting dei profitti da giurisdizioni ad
aliquote più elevate verso giurisdizioni ad aliquote ridotte, sottraendo in tal
modo gettito all’erario degli Stati Uniti. L’indagine americana è stata seguita
1
Decisione (Ue) 2018/859 della Commissione del 4 ottobre 2017 relativa all’aiuto di Stato
Sa 38944 (2014/C ex 2014/NN) cui il Lussemburgo ha dato esecuzione a favore di Amazon; De-
cisione (Ue) 2017/502 della Commissione del 21 ottobre 2015 relativa all’aiuto di Stato Sa 38374
(2014/C ex 2014/NN) al quale i Paesi Bassi hanno dato esecuzione a favore di Starbucks;; Deci-
sione (Ue) 2016/2326 della Commissione del 21 ottobre 2015 relativa all’aiuto di Stato Sa 38375
(2014/C ex 2014/NN) cui il Lussemburgo ha dato esecuzione a favore di Fiat; Decisione (Ue)
2017/1283 della Commissione del 30 agosto 2016 relativa all’aiuto di Stato Sa 38373 (2014/C ex
2014/NN) al quale l’Irlanda ha dato esecuzione a favore di Apple.
2
https://publications.parliament.uk/pa/cm201314/cmselect/cmpubacc/112/112.pdf.
3
Il Consiglio ha adottato nel 2016 una direttiva anti elusione che si pone sulla stessa linea,
trasponendo nel diritto europeo alcune delle raccomandazioni contenute nel progetto Beps Con-
siglio dell’Unione europea, «Direttiva del Consiglio recante norme contro le pratiche di elusione
fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno», Bruxelles, 5 luglio 2016.
4
È significativo come nel caso Apple il materiale prodotto dalla Commissione europea
consistesse nella riproduzione dei risultati ottenuti dal Us Senate Subcommittee nel 2013, cioè
dal Offshore Profit Shifting and the Us Tax Code – part 2. Cfr. https://www.gpo.gov/fdsys/pkg/
CHRG-113shrg81657/pdf/CHRG-113shrg81657.pdf; http://sullivanlaw.net/cases/Subcommittee-
Memo-on-Offshore-Profit-Shifting-Apple.pdf.
5
Sul tema Lux leaks e alcuni degli effetti che ha alimentato cfr. Biz (2015).
6
Tale preoccupazione è stata sollevata anche dall’avvocato generale Kokott: cfr. conclusioni
dell’avvocato generale Juliane Kokott presentate il 16 aprile 2015, Causa C 66/14 Finanzamt Linz
contro Bundesfinanzgericht, Außenstelle Linz: «una lettura troppo estensiva della nozione di se-
lettività delle disposizioni nazionali reca con sé, però, il rischio di compromettere la ripartizione
delle competenze tra gli Stati membri e l’Unione europea» (punto 113).
Caso Apple e dintorni 421
7
«Direttiva 2003/49/Ce del Consiglio, del 3 giugno 2003, concernente il regime fiscale co-
mune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri
diversi», https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32003L0049.
8
Sul tema cfr. Vanistendael (1999).
Caso Apple e dintorni 423
certi redditi molto mobili, come appunto dividendi o interessi e royalties tra
società dello stesso gruppo. Nel 1997 viene introdotta la possibilità così detta
check the box in base alla quale una società può scegliere a fini fiscali se adot-
tare il sistema della società di capitali o quello della partnership. In questo
secondo caso i profitti vengono imputati pro quota ai soci e tassati quando
reimpatriati. Nella situazione di Apple questa opportunità viene utilizzata da
parte di tutte le subsidiaries (compresa Asi) di Aoi che spariscono ai fini fiscali
assorbite da Aoi che a sua volta viene esentata dal regime fiscale Cfc in base
alla eccezione c.d. active business. Le transazioni tra Asi e le imprese di fatto
spariscono fiscalmente.
La struttura dei contratti di vendita dei computer Apple prevede che l’ac-
quisto dei prodotti Apple, ovunque effettuato fisicamente, avvenga tramite
contratti firmati dalla società Apple di diritto irlandese così che i profitti di
quelle vendite finiscono anch’essi in Irlanda.
Un elemento centrale del sistema riguarda la definizione della residenza
fiscale delle società Apple di diritto irlandese. Aoe ed Asi pur essendo costituite
in Irlanda non sono considerate (almeno per il periodo nel quale sono stati
in vigore i rulings) fiscalmente residenti in Irlanda. Ora, in linea di principio
il fatto che il controllo sia in capo a una società estera non sottrarrebbe Aoe
e Asi dall’imposizione in Irlanda con riferimento agli utili generati a livello
mondiale. La sezione 23 A del Taxes Consolidation Act 1997 prevedeva però
due eccezioni a questo principio generale9. Una società non era ritenuta fi-
scalmente residente se veniva riconosciuta tale da un altro Stato in ragione di
un trattato sulla doppia imposizione oppure se era quotata in una borsa rico-
nosciuta oppure controllata da un soggetto residente in uno Stato membro o
firmatario di un trattato fiscale. È in ragione di quest’ultima eccezione che Aoe
e Asi non vengono ritenute fiscalmente residenti in Irlanda. Non sono però
considerate nemmeno residenti negli Stati Uniti in quanto in quello Stato la
residenza fiscale discende dall’incorporation (che è in Irlanda). In altri termini
sono società apolidi fiscalmente.
La struttura fiscale di Apple comportava quindi l’assegnazione della mag-
gior parte dei profitti alle sedi centrali (head offices) e non alle branches
irlandesi delle due società. Questo è un punto di partenza delle accuse della
Commissione e della relativa difesa dell’Irlanda.
9
Questa situazione è mutata in seguito a modifiche apportate alla legge irlandese.
424 Marco Boccaccio
il mercato interno. Si tratta dell’uso di risorse statali, del vantaggio che in tal
modo si conferisce ai beneficiari delle stesse, della selettività di tale vantaggio,
della distorsione anche solo potenziale della concorrenza e dell’incidenza su-
gli scambi. Pur avendo in linea di principio tutti lo stesso peso, di fatto questi
requisiti hanno un rilievo maggiore. È questo il caso della selettività.
Il requisito della selettività assume un rilievo ancora maggiore nel caso
delle misure d’aiuto di natura fiscale rispetto alle altre tipologie di misura10, ciò
per due ordini di motivi. Innanzitutto le norme fiscali per loro natura tendono
a un trattamento differenziato dei loro destinatari. Dal punto di vista formale
appaiono dunque discriminatorie. Data la loro natura occorre una particolare
cautela nella individuazione del carattere selettivo di tali norme. In secondo
luogo, e più nello specifico, le agevolazioni fiscali di regola riducono i costi
operativi e si concretizzano nella tipologia d’aiuto al funzionamento che, per
la sua natura particolarmente distorsiva, è guardata con maggiore attenzione
dalla Commissione europea e ha un trattamento particolarmente restrittivo
dalla disciplina sugli aiuti di Stato. È molto difficile che un aiuto che riduce i
costi operativi possa godere di una delle eccezioni al divieto generale previste
dall’articolo 107 al paragrafo 3. Ne segue che la partita per questa tipologia
di misure si gioca prevalentemente sulla esistenza dell’aiuto incompatibile ai
sensi dell’articolo 107 paragrafo 1, laddove tale esistenza dipende in maniera
cruciale dalla natura selettiva della misura.
Nella Comunicazione della Commissione del 1998 sugli aiuti di Stato
sotto forma di misure fiscali di tassazione diretta delle imprese11, in vigore
fino alla sostituzione operata dall’assorbimento delle sue regole nella onni-
comprensiva Comunicazione sulla nozione d’aiuto del 201612, viene fissato
un percorso per la determinazione della natura selettiva di una misura che
ha costituito il paradigma al quale si sono attenute sia la Commissione che
la Corte di Giustizia. È il così detto test a tre stadi. Si tratta innanzitutto della
definizione di un sistema di riferimento, solitamente individuato nella base
imponibile di un certo tributo, nella verifica dell’esistenza di una deroga da
tale sistema di riferimento, e infine della possibile giustificazione della de-
roga alla luce della natura e della logica del sistema. La deroga al sistema di
riferimento può avvenire non solo tramite la definizione di regole speciali
derogatorie, ma anche tramite l’interpretazione applicativa che di una norma
in se generale ne dà l’autorità fiscale dello Stato membro. Si parla a questo
10
Il punto è stato sollevato dallo stesso Avvocato Generale Kokott nell’Opinione già citata
(vedi nota 6).
11
Commissione europea, «Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle norme
relative agli aiuti di Stato alle misure di tassazione diretta delle imprese» (98/C 384/03).
12
Comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato di cui all’articolo 107,
paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, 2016/C 262/01.
Caso Apple e dintorni 425
13
Ma analogo discorso vale nel caso di un permanente establishment cfr. Lyal (2015).
14
Cfr. O’Connell (2017).
426 Marco Boccaccio
viene assorbito dall’altro. Nei casi di aiuti di stato concessi tramite rulings
fiscali la Commissione europea ha seguito l’approccio della Corte che nel
caso Mol15 interpreta il requisito della selettività in modo diverso a seconda
che si analizzi uno schema d’aiuto oppure un aiuto individuale. In questo se-
condo caso l’identificazione della presenza del vantaggio sarebbe sufficiente
a stabilire anche la selettività della misura. È questo uno dei punti controversi
dell’applicazione del divieto di cui all’articolo 107, paragrafo 1, Tfue ai rulings
in questione16.
Nella già citata Comunicazione sulla nozione d’aiuto la Commissione eu-
ropea ha fissato alcuni punti generali partendo dalla giurisprudenza della
Corte in modo da avvertire quale sarà il suo atteggiamento interpretativo in
materia. La Commissione ha quindi innanzitutto stabilito che nella valutazione
delle misure concesse a imprese che fanno parte di un gruppo farà riferi-
mento al principio di libera concorrenza collegandolo al rispetto del criterio
dell’arm’s lenght (punti 172 e 173). Inoltre essa delinea a fine esemplificativo
alcuni casi nei quali la concessione di un ruling conferisce un vantaggio
selettivo ai destinatari. Si tratta del caso in cui le autorità applicano in modo
errato la normativa fiscale determinando così una riduzione dell’onere fiscale
per i concessionari del ruling rispetto al trattamento normalmente adottato;
quando concedono ruling a condizioni che non sono disponibili per imprese
che si trovano in situazione analoga di diritto e di fatto; quando viene con-
cesso un trattamento di favore rispetto a quello applicato a imprese che si
trovano in situazione analoga di diritto e di fatto ad esempio utilizzando me-
todi di calcolo dei prezzi di trasferimento che non rispondono alle condizioni
di mercato (punto 174).
15
Sentenza del 4 giugno 2015, Commissione v Mol causa C 15/14.
16
Cfr. Moreno Gonzales (2016).
Caso Apple e dintorni 427
17
Oecd, Transfer Pricing Guidelines for Multinational Enterprises and Tax Administrations,
2010.
428 Marco Boccaccio
natura e dalla logica del sistema tributario dello Stato in questione. Non
esistendo però secondo la Commissione una giustificazione per trattare in
modo differente (e più favorevole) imprese che fanno parte di un gruppo
rispetto a imprese singole, anche in questa seconda ipotesi il ruling sarebbe
da considerarsi selettivo.
In base alle considerazioni così sommariamente tratteggiate la Commis-
sione considera che i rulings in questione costituiscono misure d’aiuto in vio-
lazione del divieto generale di cui all’articolo 107, paragrafo 1, Tfue ordinando
il recupero delle imposte non pagate, quantificate in 13 miliardi di dollari.
4. Commento
4.1. Come già accennato l’applicazione del controllo degli aiuti di Stato ai
rulings fiscali, operata dalla Commissione con le recenti decisioni negative,
è stata criticata sotto una molteplicità di aspetti che riguardano sia l’uso dello
strumento del controllo degli aiuti in modo improprio sia il suo utilizzo per
fini impropri. I due aspetti sono in realtà collegati l’un l’altro. Le incongruenze
nell’applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, Tfue vengono infatti spiegate
con il tentativo di usare il divieto di quello stesso articolo per realizzare
obiettivi che non gli sono propri18, cioè armonizzazione della tassazione delle
società e lotta alla concorrenza fiscale dannosa.
Un primo profilo problematico riguarda l’applicazione dei singoli re-
quisiti la cui presenza cumulativa porta ad integrare la fattispecie dell’aiuto
incompatibile.
Il primo requisito è quello dell’utilizzo di risorse riconducibili allo Stato e
abbiamo già visto come la rinuncia ad una entrata (riduzione di gettito) cui
l’amministrazione fiscale avrebbe diritto è da questo punto di vista equiparata
ad una spesa diretta. Ora nel caso dei rulings fiscali la Commissione per sta-
bilire che questo requisito è soddisfatto utilizza innanzitutto un benchmark
che confronta le imposte pagate dall’asserito beneficiario con quelle pagate
da altri contribuenti. Ma questo confronto può servire a stabilire l’esistenza
di un vantaggio, non tanto quella dell’utilizzo di risorse statali. La Commis-
sione fa riferimento al fatto che la presenza di un vantaggio implica l’utilizzo
di risorse statali. Ma questa inferenza forza la norma che invece indica i due
come requisiti separati. Più vicina alla applicazione consolidata del primo
requisito, di cui all’articolo 107, paragrafo 1, è l’impostazione della Commis-
sione che concentra l’attenzione sulla riduzione di gettito che deriverebbe allo
Stato dalla concessione del ruling fiscale: se non avesse concesso il ruling in
oggetto, lo Stato avrebbe ottenuto un gettito maggiore? La Commissione pre-
18
Cfr. Giraud e Petit (2017) che seguiremo anche nella analisi dei singoli requisiti.
430 Marco Boccaccio
sume che sia così ma non svolge al riguardo alcuna analisi controfattuale. Ora,
lo svolgimento di tale analisi è particolarmente importante soprattutto quando
si ha a che fare con imprese multinazionali che agiscono in un contesto di
concorrenza fiscale. In un contesto del genere è infatti possibile che l’impresa
concessionaria del ruling in assenza dello stesso avrebbe potuto spostare al-
trove i suoi profitti, quindi la base imponibile. In questa evenienza lo scenario
no ruling avrebbe comportato un gettito inferiore e non superiore per lo Stato
quindi l’opposto di quanto presunto dalla Commissione. Per converso, il ru-
ling avrebbe determinato un aumento e non una riduzione del gettito rispetto
allo scenario alternativo. Senza una analisi controfattuale questa eventualità
rimane nell’ombra, pur essendo cruciale per la definizione della fattispecie.
Sempre nell’ambito della individuazione della violazione del primo re-
quisito dell’articolo 107, paragrafo 1, Tfue, la Commissione procede confron-
tando il debito fiscale del beneficiario del ruling con quello sostenuto dagli
altri contribuenti assoggettati all’imposta sulle società. Se l’impresa assegna-
taria del ruling paga imposte per un ammontare inferiore rispetto agli altri
contribuenti assoggettati all’imposta sulle società quel differenziale costituisce
un impiego di risorse statali. In questo modo, di nuovo, si può eventualmente
stabilire che l’impresa che ha ottenuto il ruling è posta in posizione di vantag-
gio rispetto alle altre imprese assoggettate all’imposta sulle società, requisito
diverso rispetto a quello dell’uso di risorse imputabili allo Stato.
Un punto cruciale è ovviamente il modo con cui la Commissione inter-
preta il requisito della selettività che, come abbiamo già rilevato, è centrale
nella valutazione dell’asserita violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, Tfue
in particolare quando la misura ha natura fiscale19. Nel caso di specie viene
applicato il criterio della deroga utilizzando la normativa sulla tassazione delle
società quale sistema di riferimento e trattando le imprese multinazionali e
quelle non integrate come imprese che si trovano in una situazione di fatto e
giuridica paragonabile. Mentre il primo assunto non crea problemi, per quanto
riguarda il secondo diverse perplessità sono state sollevate20. In particolare,
viene sottolineato come le imprese multinazionali si differenziano dalle altre
proprio per la necessità di fissare dei prezzi relativi alle attività intra-gruppo,
cosa che non avviene per le imprese non-integrate, e che questa situazione
di incertezza, che le distingue in termini fattuali, è ridotta proprio dalla con-
cessione dei rulings fiscali. La necessità di calcolare i prezzi di trasferimento
e l’emergere di regole poste a tal fine differenzia quindi anche giuridicamente
tali imprese rispetto alle altre. Ne deriva che il trattamento selettivo andrebbe
19
Sullo stesso punto cfr. anche le conclusioni dell’avvocato generale Juliane Kokott citate
(punto 114).
20
Il punto era già stato sollevato in Luja (2007) mettendo in evidenza i pericoli di una
tendenza in atto nella interpretazione del requisito della selettività nel valutare le attività infra-
gruppo.
Caso Apple e dintorni 431
valutato nei sensi di una potenziale discriminazione attuato tra imprese multi-
nazionali e non paragonando queste ultime a quelle non integrate per vedere
se vengono trattate in modo differenziato.
D’altro canto la stessa Commissione, come sottolineato anche dal Dipar-
timento del Tesoro americano nella sua critica delle indagini della Commis-
sione in materia di transfer pricing e aiuti di Stato21, nella sua prassi decisio-
nale ha richiesto costantemente la presenza di un qualche elemento ulteriore
rispetto alla semplice verifica del fatto che il vantaggio viene attributo solo ad
imprese integrate rispetto a quelle non integrate.
La Commissione con le recenti decisioni sui rulings fiscali avrebbe quindi
deviato rispetto alla sua stessa interpretazione ritenendo sufficiente la prova
della diversità di trattamento tra quelle due tipologie di imprese. Questo cam-
biamento di approccio avrebbe violato una legittima aspettativa sia degli Stati
membri sia delle imprese sulla liceità dei rulings concessi22 creando incertezza
interpretativa.
Trattare due requisiti diversi, quello dell’esistenza del vantaggio e quello
della selettività dello stesso, come fossero un requisito unico, è stata quindi la
strada principale per agevolare la classificazione dei rulings fiscali come aiuti
di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, Tfue. Va peraltro ricordato come
questa tendenza ad assimilare i due requisiti non è una novità assoluta nella
prassi della Commissione (e della stessa Corte di Giustizia)23, come invece
assume il documento del Dipartimento del Tesoro americano. Abbiamo già
fatto riferimento ai casi nei quali una misura agevolativa sia individuale, casi
nei quali la selettività appare in re ipsa e quindi tutta la partita si gioca sulla
individuazione dell’esistenza del vantaggio. Nel caso Apple e in quelli simili
la presunzione della selettività deriverebbe dal fatto che tali misure vengono
considerate dalla Commissione appunto come misure individuali, ad hoc, per
le quali la prova della selettività sarebbe superflua, autoevidente24.
Qualche riflessione più approfondita sul tema dell’assimilazione dei due
requisiti sembra comunque opportuna.
4.2. Bisogna a tal proposito partire dal fatto che l’individuazione dell’esi-
stenza di un vantaggio conferito da una determinata misura passa attraverso
due passaggi metodologici: il primo riguarda il comportamento dell’autorità
fiscale dello Stato membro che concede il ruling; il secondo riguarda il con-
21
Us Department of the Treasury, The European Commission’s Recent State Aid Investiga-
tions of Transfer Pricing Rulings, White Paper, August 24, 2016.
22
Va peraltro rilevato come sia estremamente ristretto l’ambito di applicazione del principio
dell’aspettativa legittima in materia di recupero degli aiuti di Stato cfr. Giraud (2008).
23
Così come in qualche applicazione dottrinale cfr. Friedriszick, Röller e Verouden (2008).
24
La tesi a sostegno della posizione della Commissione ad es. in Bobby (2017), disponibile
in https://chicagounbound.uchicago.edu/cjil/vol18/iss1/5/.
432 Marco Boccaccio
25
Sul principio dell’investitore privato cfr. Slocock (2002).
26
Cfr. Gormsen (2016).
Caso Apple e dintorni 433
27
Sul tema cfr. Köhler (2011).
28
Sul problema dell’incertezza giuridica generate dalla Commissione cfr. Rossi-Maccanico
(2015).
434 Marco Boccaccio
sostituito da un altro tra quelli ricompresi nelle stesse linee guida per rispet-
tare il principio della concorrenza.
Infine, va ricordato che la Commissione ha escluso che applicare le linee
guida Ocse sia sufficiente a mettere al riparo dalla violazione dell’articolo 107,
paragrafo 1, Tfue creando ulteriore confusione: è quindi possibile rispettare le
linee guida Ocse ma essere comunque considerati in violazione dell’articolo
107, paragrafo 1, Tfue29.
Il ricorso al principio della libera concorrenza per risolvere i problemi
sollevati dal far ricorso alle linee guida Ocse ne crea altri, forse più gravi: come
fare per stabilire se un ruling rispetta il principio della libera concorrenza?
La Commissione ha cercato di dare qualche indicazione in tal senso in un
working paper dedicato agli aiuti di Stato e tax rulings30; in realtà si limita a
stabilire che il rispetto dei metodi individuati nelle Linee Guida Ocse permette
di presumere la compatibilità del ruling fiscale con il mercato interno (non
violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, Tfue), ma non garantisce che sia
così. Conclude peraltro affermando che solo laddove vi sia una «violazione
manifesta» del principio dell’arm’s lenght Ocse la Commissione interverrà.
L’approccio adottato dalla Commissione, desumibile dalla combinazione tra la
Comunicazione sulla nozione d’aiuto, il working paper e le decisioni già adot-
tate, pone quindi al centro il principio della libera concorrenza senza peraltro
definirlo in modo chiaro, oscillando tra l’utilizzo di un benchmark astratto
(l’arm’s lenght modificato e anch’esso non ben definito) per individuare il
rispetto dell’esito di mercato e il confronto con il trattamento usato per altre
imprese, due profili che però non coincidono31.
29
Cfr. Taferner e Kuipers (2016).
30
«Dg Competition Working Paper on State Aid and Tax Rulings», Dg Competition-Internal
Working Paper – Background to the High Level Forum on State Aid of 3 June 2016, https://ec.eu-
ropa.eu/competition/state_aid/legislation/working_paper_tax_rulings.pdf.
31
Cfr. Nicolaides (2016).
Caso Apple e dintorni 435
rettiziamente il controllo degli aiuti per superare gli ostacoli politici all’armo-
nizzazione e per agevolare la lotta alla concorrenza fiscale dannosa finendo
per confondere i due piani.
Anche se la stessa Commissione ha affermato che sfruttare i vantaggi delle
disparità tra sistemi fiscali non implica la concessione di un aiuto32 alcuni
interpreti33 sono giunti ad affermare che il planning fiscale internazionale e
l’arbitraggio fiscale sono da considerarsi di per se selettivi in quanto solo le
Mne ne possono usufruire, il che equivarrebbe a introdurre nel sistema una
presunzione negativa di tali strumenti ad esso estranea.
Questa impostazione in parte risente dell’avversione più generale per le
agevolazioni che possono incidere sui movimenti transfrontalieri, generaliz-
zando la presunzione negativa associata agli aiuti all’esportazione.
Su analoga linea ma con accento diverso è il secondo aspetto che ri-
guarda la distorsione che i rulings in questione determinerebbero sulla al-
locazione efficiente della base imponibile tra Stati. Così nel caso Apple la
Commissione assume che tramite i rulings sotto accusa si sarebbe ridotto il
gettito che l’Irlanda avrebbe potuto ottenere applicando la tassazione delle
società come normalmente avviene. Insomma, Apple non avrebbe pagato
la sua giusta quota di imposte. Secondo una interpretazione34 la decisione
Apple è un tentativo di applicare il principio del beneficio, in base al quale
l’active business income va tassato nella giurisdizione nella quale ha origine.
Il nodo è quello di stabilire dove il reddito di Apple viene generato. Secondo
l’approccio tradizionale il valore del reddito da intangibles è creato dove
viene svolta l’attività di ricerca e sviluppo, cioè nel caso di Apple negli Usa. Al
tempo stesso il 60% delle vendite Apple avviene in altri paesi, e questo con-
tribuisce ovviamente alla creazione del valore per Apple. In Irlanda solo l’1%
della ricerca e sviluppo viene condotta e meno dell’1% delle vendite totali si
realizza, ma l’insieme delle regole di tassazione internazionale permettono
ad Apple di affermare che la maggior parte del suo reddito assoggettabile
a tassazione viene creato in Irlanda e imputato agli head offices che come
visto non hanno residenza fiscale da nessuna parte. Se questo è vero, appare
che il problema riguarda altre giurisdizioni alle quali la struttura fiscale di
Apple sottrae base imponibile, e non l’Irlanda. Questa impressione sarebbe
rafforzata dalla citata indagine conoscitiva del Parlamento americano che ha
per oggetto l’elusione fiscale delle multinazionali, non la sottrazione ipotetica
al fisco irlandese. Non a caso all’azione della Commissione si oppone che
l’ordine di recupero nei confronti dell’Irlanda avrebbe per oggetto una base
imponibile sulla quale l’Irlanda non eserciterebbe alcun diritto.
32
No-aid decision C (2009) 4511 def Dutch Group Interest Box del 4 novembre 2009.
33
Cfr. Rossi-Maccanico (2014). Per una critica di questa impostazione cfr. Luja (2014).
34
Cfr. Avi-Yonah e Mazzoni (2016).
436 Marco Boccaccio
35
Per una critica dell’adeguatezza dell’iniziativa BEPS cfr. Avi-Yonah e XU (2016).
36
Cfr. Luja (2016).
37
Per similitudine e differenze tra il controllo degli aiuti di Stato e la tutela della libertà
fondamentali con riferimento a misure di tipo fiscale cfr. Szudoczky (2016).
38
Cfr. Avi-Yonah (2006).
39
Cfr. Avi-Yonah (2007).
40
Cfr. Taferner e Kuipers (2016).
Caso Apple e dintorni 437
Riferimenti bibliografici
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lution of U.S. International Taxation, Working Paper, 07, University of
Michigan Law School, John Olin Center for Law & Economics, p. 17.
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to Enforce the Benefits Principle?, in «Tax Notes International», 84, 9, pp.
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Antitrust Economics, Cambridge, Mass., The Mit Press», p. 627.
41
Cfr. Romani (1992).
438 Marco Boccaccio
Ting A. (2014), iTax-Apple’s International Tax Structure and the Double Non-
Taxation Issue, in «British Tax Review», 1, pp. 40-71.
Vanistendael F. (1999), Impact of European Tax Law on Tax Treaties with Third
Countries, in «Ec Tax Review», 1, pp. 2-3.
Abstract: Apple Sate Aid Case and the Like (J.e.l.: H2, L4)
The European Commission has recently stated that some Member States gave
illegal state aids to Mnes through granting tax rulings at favorable conditions.
Such decisions has been criticised from different viewpoints. The core of this
criticism is that the Commission has misused state aid control as a tool to fight
unfair tax competition introducing confusion and uncertainty in the applica-
tion of state aid rules. In this article we will focus on the Apple case in order
to make clear the main points of disagreement raised by these decisions.