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Lezione

1: home recording
(attrezzatura)
Benvenuti alla prima lezione del Corso per tecnico del
suono dedicato a tutti i musicisti che desiderano iniziare a
registrare la propria musica in completa autonomia,
ottenendo validi risultati.Questo corso è indirizzato
esclusivamente a musicisti che vogliono entrare nel
mondo della registrazione per la prima volta; il mondo
dell’audio è un terreno sconfinato di termini, procedure,
concetti non sempre alla portata di tutti; gli argomenti
perciò verranno trattati in maniera estremamente semplice
in modo da dare le nozioni necessarie utili ad un solido
ma veloce start up nel mondo del recording.

Partiamo dunque dall’argomento strumentazione :


cosa ci serve effettivamente possedere per ottenere delle
buone registrazioni? Quanti soldi dobbiamo spendere
nell’ottica di poter contare su un buon home recording
studio? Per rispondere a queste apparentemente banali
domande è necessario però fare un passo indietro: bisogna
infatti chiedersi anzitutto “dove voglio arrivare?“.
Desidero registrare unicamente degli appunti musicali in
modo da poter ricordare le mie canzoni anche tra qualche
anno? Desidero mettermi nelle condizioni di registrare dei
provini (demo) “ascoltabili” , da divulgare tra i miei amici
ed eventualmente da far ascoltare a gestori di locali o
organizzatori di eventi? Desidero avere la possibilità di
presentarmi con un album interamente da me prodotto che
abbia una qualità audio quanto meno paragonabile a
quelle delle produzioni di alto calibro? Oppure desidero
avere a disposizione tutto ciò che mi serve per registrare e
produrre musica ad altissima qualità? Ma come,
Francesco, ma non basta un pc e saper utilizzare bene dei
buoni programmi per ottenere risultati spettacolari?
Dipende: generalmente, se il genere di musica che vuoi

produrre è sull’elettronica, fondamentalmente basata

sulla sintesi, sul campionamento, e perciò se non si tratta


di musica acustica o elettrica, c’è gente che fa dischi con
un solo computer, un po’ di programmi e dei buoni ascolti
(per buoni ascolti non si intende una buona cuffia ma un
sistema di monitoraggio – speakers professionali – inseriti
in una stanza dall’acustica calibrata). Già da ciò che
abbiamo appena detto possiamo dedurre che non è
sufficiente un computer e dei programmi per creare
musica a livello professionale: è necessario anche poter
ascoltare correttamente quello che si crea; dovrai perciò
fare i conti con il rendimento acustico degli speakers e
della stanza in cui i lavori. Su questo concetto ci
ritorneremo più avanti. Viceversa, se la tua intenzione è
quella di registrare musica acustica o elettrica (pop, rock,
folk, jazz, classica, ecc…) o comunque, nel caso in cui si
rendesse necessario registrare almeno una voce, le
attrezzature che dovrai necessariamente avere a
disposizione inizieranno ad aumentare. Ti troverai infatti
nella condizione di dover acquistare almeno un microfono
di qualità discreta, un paio di cuffie professionali (chiuse,
ossia fatte in modo che l’orecchio venga incluso
all’interno del padiglione della cuffia per evitare che il
suono indesiderato della base venga captato dal
microfono); inoltre ti troverai nella condizione di dover
fare i conti con l’acustica della stanza in cui la voce viene
ripresa, con la distanza tra il microfono e la scheda audio
e molti altri fattori che concorrono nel complicare la
situazione. A mano a mano che le esigenze di ripresa
aumentano vedrai lievitare esponenzialmente l’esigenza di
avere nuove attrezzature e quindi Interi costi. Ritornando
perciò al concetto base, il primo passo che devi fare nel
momento in cui decidi di aprire il tuo home recording
studio è quello di domandarti quale sarà, in prospettiva,
l’obiettivo che devi poter raggiungere. Scendiamo un po’
nella pratica e vediamo alcuni esempi concreti corredati
da alcune indicazioni economiche di massima. Ad
esempio, se desiderassi creare musica elettronica /
arrangiata elettronicamente. cantata, a livello semi
professionale avrei bisogno di:

1 pc il più potente possibile (1000 €)


1 scheda audio con almeno 2 canali microfonici / linea
d’ingresso per registrare contemporaneamente 2
microfoni o uno strumento elettronico esterno come ad
esempio un expander (sconsiglio sempre l’acquisto di
interfacce con 1 solo canale d’ingresso), 2 canali d’uscita
per collegare i monitors ed 1 uscita cuffie per lavorare
anche di notte.

1 coppia di monitors (speakers) professionali


posizionati correttamente in una stanza acusticamente
trattata (l’intervento può essere anche poco dispendioso
ma ci deve essere necessariamente) (250 € – 2500 €)
Trattamento acustico (150 € – 500 €)

1 software per la registrazione multitraccia/ sequencer


(un programma che consenta di registrare più tracce
separatamente ed in grado di gestire il midi come ad
esempio Cubase, Protools, Logic, ecc…). Molti plugins
(i plugins sono dei programmini che collaborano col
programma di registrazione multitraccia principale per
aggiungere funzionalità): almeno 1 campionatore, un
paio di sintetizzatori virtuali e virtual instruments,un
pò di processori audio come compressori,
equalizzatori, qualche buon
riverbero e dealay… insomma,
più plugins si hanno a disposizione
e meglio è… (ce ne sono
moltissimi gratuiti, specialmente se
decidi di utilizzare pc anziché mac)
1 midi controller (una tastiera
muta usb da interfacciare al
sequencer che gira sul pc) .

In questo scenario capisci bene che, seppur molto


contenuto rispetto ad un tempo, l’investimento necessario
per creare un set up semiprofessionale di questo genere si
aggira attorno ai (minimo) 3000 €. La cosa interessante
però è che per iniziare a registrare la propria musica
elettronica / arrangiata elettronicamente ed ottenere già
discrete soddisfazioni, senza la velleità di riuscire a
realizzare prodotti professionali o confrontabili e
paragonabili a produzioni portate avanti con alti budget, è
possibile configurare il tutto a piccoli step. In questo caso
perciò dalla campagna acquisti si potrebbero escludere i
monitors, a fronte di una cuffia, l’acustica della stanza ed
eventualmente il microfono (proprio di recente ho potuto
constatare quanto microfoni semi professionali studiati
per chat vocali – skype – suonino estremamente bene se
paragonati a soluzioni più costose… ovvio, non aspettarti
prestazioni incredibili…).
Con queste correzioni vai a lesinare sugli anelli deboli
della catena (ossia quello iniziale della ripresa acustica e
quello finale dell’ascolto). Tuttavia già con questo tipo
step potrai iniziare ad avere buone soddisfazioni, a
sviluppare la tua creatività, a progettare le basi per
investimenti futuri… Come già detto però le cose si
complicano nel momento in cui è necessario registrare in
maniera degna anche strumenti acustici o elettrici.
Sebbene attualmente si trovino in commercio moltissimi
prodotti dedicati a chitarristi ed a bassisti (come ad
esempio scheda audio dedicate alla registrazione di
chitarra e basso senza passare per l’amplificatore
provviste spesso di plugins di emulazione di buona qualità
per riprodurre le timbriche di ampli ed effetti – vedi ad
esempio laToneport Ux2) per registrare anche solo una voce
una chitarra acustica in maniera corretta le cose si
complicano. Partendo dal fatto che è necessario evitare il
più possibile di catturare rumori esterni allo strumento o
alla voce durante la registrazione è che questa è una
norma assoluta da seguire durante la registrazione di
materiale semiprofessionale o professionale, ci sono
alcune considerazioni che per forza di cose bisogna fare:

1) gli ambienti casalinghi sono rumorosi (automobili,


vicini che sbattono le porte, uccellini in giardino, ecc…) :
si renderà pertanto necessario tenere il microfono il più
vicino possibile alla sorgente acustica.
2) computer ed hard disk sono strumenti solitamente
abbastanza rumorosi: si renderà pertanto necessario
allontanare il microfono da queste sorgenti di rumore.
3) allontanando il microfono dal computer si va incontro
ad una serie di piccole difficoltà: per premere rec potrebbe
essere necessario l’aiuto di un amico (se non si dispone di
un telefono dotato di applicazioni studiate apposta per
trasformarlo in un remote control). Allontanandosi dal
computer sarà necessario un cavo microfonico più lungo e
di una lunga prolunga per la cuffia (non avrai più La
possibilità di controllare il livello di ascolto a meno che tu
non disponga anche di un amplificatore cuffie dedicato e
perciò non potrai più utilizzare agevolmente
l’amplificatore cuffia integrato all’interno della scheda
audio). Oltre ad occupare la tua stanza ne dovrai occupare
un’altra, e spesso questo può essere un problema in una
casa comune… A questo punto possiamo porci
nuovamente la domanda iniziale: dove voglio arrivare con
le mie registrazioni? Ha davvero senso mettersi nelle
condizioni di registrare professionalmente a casa mia
oppure è sufficiente per me riuscire a realizzare dei validi
provini che verranno riregistrati in un secondo momento
in studio di registrazione (a discapito di quella calma e
tranquillità che, in casa, può essere generosa ispiratrice
per la tua creatività – in studio, se non si è abituati al
lavoro, c’è sempre più tensione ed è sempre necessario
guardare l’orologio tra una take e l’altra)? A tal proposito
ti consiglio spassionatamente di ascoltare l’intervista audio
realizzata di recente con il tecnico del suono Michele d’Anca , noto costruttore
audio, che, tra le altre cose, ha sottolineato come, secondo
il suo parere, una band emergente abbia altre priorità a cui
guardare prima dell’attrezzatura… In effetti il limite è
proprio questo: in realtà moltissime cose si potrebbero
anche registrare con una banale microfono usb… ma ha
senso nel tuo caso spendere 200 € per un microfono di
quel tipo quando, molto probabilmente, tra qualche mese
ti troverai nella condizione di dover registrare due
microfoni in contemporanea? Non ti suona meglio,
piuttosto, acquistare con 300 € 1 scheda audio ed un
microfono in modo da evitare, dopodomani, di dover
rivendere il tuo microfono usb e cercare, in ogni caso, una
scheda audio con microfono separato? Il mondo
dell’audio è bello perché è vario: più volte mi hanno
riferito di aver mixato dei lavori particolarmente ispirati e
registrati con un microfono usb: ovviamente però, dal
punto di vista qualitativo, hanno dovuto fare i miracoli per
far assomigliare quelle registrazioni ad un vero disco…

Cerchiamo perciò di dare un colpo al cerchio e un colpo


alla botte: quello che sto cercando di fare è di darti una
panoramica generale in maniera che tu possa
tranquillamente effettuare le tue decisioni oppure
informarti in maniera più approfondita nei forum dedicati
all’audio su quale sia la soluzione migliore in questo
momento, per te ed in base al tuo budget. Facciamo un
piccolo salto di categoria: poniamo il caso di un musicista
che desidera registrare nella propria sala prove la propria
band e la propria musica. Il primo grande scoglio da
superare è la registrazione della batteria, ed i costi
lievitano: a meno che il batterista non utilizzi una batteria
elettronica (dotata di un’uscita stereo) per registrare una
batteria acustica sono necessari un minimo di quattro
microfoni nelle situazioni meno impegnative fino ad
arrivare a 13 o anche 15 microfoni nelle situazioni più
particolari. 13 microfoni da registrare
contemporaneamente significa disporre non solo di 13
microfoni e 13 cavi microfonici, ma anche di una scheda
audio in grado di registrare almeno 13 canali
contemporaneamente e di 13 preamplificatori. Il
preamplificatore è un componente dedicato
all’amplificazione del segnale microfonico. Il segnale
elettrico prodotto in uscita da un microfono è un segnale
molto molto piccolo. Per fare in modo che questo segnale
venga correttamente immagazzinato nel computer
attraverso la scheda audio è necessario che esso venga
amplificato adeguatamente prima di essere registrato.
L’esempio tipico di pre è quello dei canali del mixer: il
primo potenziometro di ogni canale infatti è solitamente il
cosiddetto GAIN. Quel potenziometro permette di
amplificare i segnali dei microfoni che giungono al mixer
in maniera che possano essere gestiti adeguatamente dai
componenti elettronici a valle all’interno dell’architettura
del mixer (equalizzatori, faders, somma, ecc…). In una
situazione di questo tipo la spesa aumenterà
notevolmente: 500 € per la scheda audio che, solitamente
, integra 8 preamplificatori + 500€ per un modulo con 8
preamplificatori aggiuntivi è il set up tipico di un home
recording studio. Questo tipo di configurazione
ovviamente ti costringerà a ottimizzare la gestione dei
canali: per registrare infatti tutti gli strumenti
contemporaneamente serviranno almeno 8 canali di
registrazione dedicati alla batteria ed i rimanenti otto per
voci, chitarre, tastiere, eccetera… apriamo una piccola
parentesi sulla modalità di registrazione: è meglio
registrare tutta la band assieme oppure, come spesso si
usa fare negli studi di registrazione, è meglio registrare un
componente del gruppo alla volta? Ci sono diverse scuole
di pensiero però possiamo dire che, in linea di massima,
registrare tutta la band assieme aiuta a velocizzare il
lavoro ed, a parità di sforzo, migliora l’amalgama del
gruppo nella registrazione.Viceversa, registrando uno
strumento

alla volta, il grande vantaggio sarà la precisione sonora


della registrazione (per l’esempio precedente, i 10
microfoni posizionati su una batteria riprenderanno non
solo il suono della batteria ma anche quello degli altri
strumenti che suonano vicino alla batteria e di
conseguenza in fase di mixaggio tutto ciò andrà a
discapito della qualità).

Tuttavia registrare uno strumento alla volta e un lavoro


molto lungo, a volte estenuante e, per ricreare il sound ed
il feeling della band, sono spesso necessarie moltissime
ore di lavoro in post produzione… Secondo me, dal mio
personalissimo punto di vista, l’approccio migliore è
quello di fare le cose con testa, senza estremismi: ad
esempio si può pensare di registrare in due momenti
diversi, prima la band e poi le voci… in questo modo si
lavora con un concetto ibrido è si trae giovamento da
entrambi i modi di procedere. Questo metodo però è
consigliabile solo se l’obiettivo finale non è quello di
realizzare un vero proprio disco ma piuttosto una demo un
brano da mettere su myspace, una registrazione ufficiale
ma senza velleità di spettacolare qualità sonora, un buon
compromesso insomma… A me personalmente è capitato
spesso di creare e registrazioni sia con questo tipo di
approccio sia con un metodo leggermente più raffinato:
tutti i musicisti che suonano assieme nella stessa stanza,
microfoni sulla batteria, basso, chitarra e tastiere registrati
direttamente col jack e passati attraverso simulatori di
ampli per l’ascolto dei musicisti… In questo modo si
ottiene una discreta pulizia sui canali della batteria e,
ovviamente, una pulizia assoluta sulle tracce degli
strumenti registrati in linea. In entrambi i casi però ci si
trova di fronte a delle difficoltà: amplificatori potenti di
chitarre e bassi che suonano vicino ai microfoni della
batteria non ti aiuteranno ad ottenere suoni di batteria
qualitativi ma il lavoro sarà più rapido e più veloce ed
appagante nell’immediato. Viceversa, registrando tutto
ciò che non è “batteria” via cavo avrai la necessità di
provvedere agli ascolti di ogni musicista (una cuffia per
un musicista con relativo ampli in cui spesso è necessario
effettuare un mixaggio differente) è di ricreare delle
sonorità credibili con gli emulatori di ampli. Gli amici
chitarristi e bassisti sanno bene che suonare con l’ampli di
fianco non è la stessa cosa che suonare con un
amplificatore virtuale in cuffia, perciò anche in questo
caso bisogna valutare quale risulta essere il compromesso
migliore nella situazione specifica. Per concludere
possiamo dire che con una cifra che si aggira tra i 500 ed i
1000 euro è possibile ottenere un set up base per
registrazioni non eccessivamente qualitative con un
massimo di due canali; i balzi sostanziosi
nell’investimento avvengono quando si ritiene necessario
poter disporre di un ascolto professionale e/o di un
sistema di ripresa dotato di molti canali in registrazione e
molti microfoni. Probabilmente speravi di poter trovare
all’interno di questo articolo tutte le informazioni
necessarie sugli oggetti da acquistare ma, come vedi, il
mondo dell’audio che apparentemente può sembrare
intuitivo, in realtà necessità di un bel po’ di ragionamenti
al fine di ottimizzare il proprio budget… Il mio consiglio
è quello di informarti quanto più possibile nel dettaglio
delle apparecchiature che ti piacciono prima di cacciare
dei soldi! Mi auguro comunque che queste righe ti siano
state utili a farti un quadro di quelle che sono le
possibilità ed i “diritti-doveri” relativi all’home recording.
Lezione 2: Microfoni
(tecniche di riprese
microfoniche)

Oggi parleremo di microfoni e di tecniche di ripresa


microfoniche. Al solito, gli argomenti trattati, non
intendono essere completi ed esaustivi ma, nello spirito di
questo Corso per tecnico del suono, la trattazione verrà orientata in
maniera che, i musicisti che per la prima volta si
affacciano all’argomento recording, possano avere
un’idea più precisa sull’argomento.

Come sono solito fare partiamo con una domanda, la


domanda tipica, quella che, chiunque si approcci al
mondo della recording, prima o poi, non potrà fare a
meno di porsi: che microfono devo comprare? Al
solito, una domanda semplice, una risposta articolata… Il
mondo dei microfoni e un mondo davvero molto vasto,
esistono costruttori di ogni tipo, di ogni modello, di ogni
categoria, di ogni pezzo ecc…. In mezzo a questa selva di
microfoni l’importante è avere dei punti fissi, dei punti
cardinali, con i quali effettuare le proprie scelte per
evitare di sprecare denaro. La domanda di apertura ci
conduce alla solita domanda che risiede un po’ più in
profondità: cosa devo ottenere? Qual è lo scopo delle mie
registrazioni?

Mettiamo subito in chiaro una cosa: ogni microfono ed


ogni modello viene concepito dai costruttori per un
determinato impiego. Ad esempio esistono microfoni per
voce, microfoni per percussioni, microfoni per riprese di
strumenti acustici, microfoni più adatti ai concerti o
microfoni dedicati allo studio di registrazione. Dal punto
di vista della resa, quello che cambia, è la capacità di
captare meglio suoni deboli o foriti (sensibilità) e la
colorazione sonora (risposta in frequenza); ad esempio un
microfono dinamico per voce tenderà ad eliminare i bassi
e gli altissimi in funzione di una buona risposta sui medi,
uno studiato per la cassa della batteria tenderà ad
equalizzare il suono in maniera da far risaltare i bassi ed
una porzione di medio alti, ecc… In sostanza, spesso, i
costruttori tendono a progettare microfoni volutamente
non “perfetti” per aiutare il fonico, già nello stadio
embrionale della ripresa, ad ottenere un suono già in
partenza il più gradevole possibile. Quello che spesso non
si dice però è che, con un minimo di creatività… di
necessità virtù! Nel mondo dell’audio è sempre vero tutto
ed il contrario di tutto. Ad esempio, un preziosissimo
microfono a condensatore studiato per la voce, in
determinati contesti, potrebbe restituire un suono di cassa
di batteria particolarmente gratificante. In maniera simile,
un microfono concepito per cabinet di chitarra elettrica
potrebbe aiutarci a raggiungere un suono di voce unico,
singolare, interessante. Partendo da questo presupposto
possiamo dire che (e qui so bene di attirare il dissenso di
molti miei colleghi) non sempre la scelta di un microfono
risulta essere corretta se il microfono è, sulla carta, quello
giusto o se è il più costoso. Ovviamente, uno studio di
registrazione con determinati budget a disposizione
deciderà di investire in una vasta gamma di microfoni,
cercando di implementare il proprio parco microfoni in
maniera da coprire la maggior parte delle esigenze. Nel
caso degli home studio e dell’home recording però, il
collo di bottiglia è sempre e comunque il budget. Bisogna
infatti cercare di risparmiare il più possibile ed ottenere
dei risultati che si avvicinino comunque al professionale.
Ora, per un momento, mettiamo da parte queste
considerazioni e parliamo di argomenti più tecnici: presto
fonderemo le due sezioni dell’articolo… Microfoni
dinamici ed a condensatore: “In natura” esistono diversi
tipi di microfoni. Analizzare nel dettaglio ogni singolo
tipo di microfono, in base alle classiche schematizzazioni
che si utilizzano nei corsi per tecnico del suono
professionali, richiede molte ore e molto approfondimento
(nel corso per tecnico del suono avanzato di ScuolaSuono.it diverse
ore vengono dedicate all’approfondimento ed alla
comprensione dell’argomento microfoni analizzando a
fondo le diverse categorizzazioni in maniera da scegliere
sempre, in qualsiasi circostanza di ripresa, il microfono
più adatto alle nostre esigenze). Tuttavia, riassumendo,
possiamo dire che la classificazione più significativa,
almeno a livello semiprofessionale, è quella che distingue
i microfoni in base alla loro tipologia costruttiva. La
classica distinzione che si fa tra i microfoni dedicati alla
registrazione audio e che si possono trovare in commercio
è tra: “a condensatore” e “dinamici”. Questi due termini
si riferiscono al principio con il quale l’elemento
trasduttore trasforma la variazione di pressione acustica in
variazione di segnale elettrico. I più esperti non me ne
vogliano, ma, in due righe, cercherò brevemente di
spiegarne la differenza.

Nei microfoni a condensatore l’elemento trasduttore è,


per chi se ne intende un minimo di elettronica, un
condensatore piano a tutti gli effetti: due superfici piane,
metalliche e diversamente polarizzate, vengono disposte
in maniera parallela ad una distanza di qualche micron.
Queste due superfici (le armature del condensatore piano)
sono una un pezzetto metallico ancorato al corpo del
microfono, l’altra una membrana metallica sottilissima,
dell’ordine di qualche micron, posta ad una distanza
altrettanto minima dall’altra armatura. Con la variazione
di pressione acustica che il suono produce nella quiete
atmosfera, la sottilissima membrana si muove seguendo
esattamente l’andamento che le molecole di aria attorno a
lei compiono. Dal momento che le due armature sono
caricate in maniera differente, senza entrare nei
particolari, possiamo dire che, per il funzionamento del
condensatore, una variazione di distanza tra le due
armature equivale ad una variazione di tensione in uscita,
il segnale audio che riflette l’andamento della pressione
acustica, del suono insomma…
Non desidero addentrarmi ulteriormente nella trattazione
del funzionamento del microfono condensatore, anche se
secondo me è uno degli argomenti più interessanti della
fonia, ma bisogna ricordare che, il segnale in uscita da
questo tipo di trasduttore a condensatore è un segnale
piccolissimo che necessita molto spesso di una forte
amplificazione al fine di far “masticare” correttamente
questo segnale dalle apparecchiature preposte a trattare
segnali microfonici .
Lo stadio di amplificazione avviene, nella maggior parte
dei casi, attraverso un amplificatore integrato all’interno
del corpo del microfono. Questo componente è un
componente attivo, quindi necessita di alimentazione.
L’alimentazione viene convenzionalmente provvista
attraverso lo stesso cavo microfonico che collega il
microfono al preamplificatore. Un’alimentazione che
scorre nel verso opposto rispetto al segnale microfonico
parte dal preamplificatore per raggiungere la
amplificatorino inserito nel corpo del microfono. Tale
alimentazione viene definita Phantom Power o P 48v. In
ogni mixer o nella maggior parte dei preamplificatori è
presente infatti un pulsantino con una dicitura P 48 o
simile. La seconda tipologia costruttiva che in questa sede
prendiamo in considerazione è quella dei microfoni
dinamici (o a bobina mobile).

L’elemento trasduttore del microfono dinamico si basa sul


principio che una bobina elettrica (qualcosa che
potremmo immaginare come un rocchetto di fil di rame)
posta in movimento in prossimità di un magnete (una
calamita) genera in uscita una variazione di tensione
elettrica proporzionale alla variazione del suo
spostamento (per induttanza). Il trasduttore dinamico non
è altro che un sistema meccanico tale per cui, una
membrana sottilissima di materiale plastico alla quale
viene ancorata una bobina mobile viene posta in
prossimità di una magnete fissato sul corpo del
microfono: facendo in modo che l’intero “equipaggio
mobile” risulti essere sufficientemente leggero da essere
messo in movimento dalle variazioni di pressione sonora
nell’atmosfera, in uscita dalla bobina ritroveremo delle
variazioni di segnale elettrico proporzionale allo
spostamento della bobina mobile e quindi della variazione
di pressione atmosferica (suono).
Ad un trasduttore dinamico spesso viene abbinato un
sistema di amplificazione passiva basato su un
componente denominato “trasformatore”, a volte presente
anche nei microfoni a condensatore. Il micro segnalino
microfonico proveniente dall’elemento trasduttore riceve
perciò comunque un’amplificazione (passiva, cioè senza
necessità di fonti di alimentazione) prima di poter essere
interfacciato ad un preamplificatore microfonico; il
microfono dinamico nella maggior parte dei casi non
necessita di amplificazione esterna per funzionare mentre,
al contrario, la maggior parte delle volte, un microfono a
condensatore necessita dell’alimentazione phantom.

Confronto tra microfoni a condensatore e microfoni


dinamici

Vediamo ora, in sintesi, quali sono le più evidenti


differenze tra microfoni dinamici e microfoni a
condensatore. I microfoni dinamici vengono spesso
utilizzati per sorgenti sonore fragorose: anche una voce
umana può essere fragorosa se viene ascoltata a 2 cm di
distanza… viceversa, molto spesso, i microfoni a
condensatore vengono privilegiati per catturare il suono
prodotto da sorgenti sonore più deboli in quanto risultano
essere microfoni più sensibili a variazioni di pressione
sonora anche minime. Una “sorgente sonora debole” è, ad
esempio, una viola, un violino, una chitarra classica… ma
può essere anche una batteria rock ascoltata da 20 m di
distanza… Nell’audio tutto è sempre relativo, ecco
perchè, per ottenere risultati professionali, in qualità di
aspirante tecnico del suono, dovrai necessariamente
conoscere un pò di teoria e fare molta pratica.

Nella pratica
:

Microfoni dinamici spesso vengono impiegati per la


ripresa ravvicinata (colse) di strumenti musicali come i
tamburi che compongono una batteria, gli amplificatori di
chitarre elettriche, voci, percussioni, ecc… Microfoni a
condensatore invece vengono spesso utilizzati per
riprendere strumenti in approccio “panoramico” ossia in
maniera da riuscire a catturare complessivamente ogni
suono ed ogni sfumatura proveniente da uno strumento
musicale nel suo complesso (una chitarra acustica non
emette suono solamente in prossimità delle corde ma,
proprio per la sua natura intrinseca di strumento acustico,
essa vibra in ogni sua parte, dalle chiavette all’intero
corpo passando per il manico…).
Dobbiamo infatti ricordare che, posizionare un microfono
in prossimità della sorgente sonora, significa catturare
alcuni particolari di quel suono, ma non il suono
complessivo dello strumento. Ad esempio, un microfono
posto molto vicino alla bocca, riuscirà a catturare in
maniera molto precisa e dettagliata i suoni delle
consonanti, e tutto ciò che è suono emesso attraverso la
cavità orale; viceversa esso non sarà in grado di catturare
con definizione il suono emesso dalla vibrazione della
maschera facciale e della testa del cantante nel suo
complesso. Lo stesso equivale per un amplificatore di
chitarra: un microfono posto in estrema prossimità del
cono riuscirà a carpire un preciso e determinato
particolare della sonorità complessiva. Allontanando lo
stesso microfono esso sarà in grado di catturare onde
acustiche provenienti dall’intero cono se non dall’intera
struttura della cassa. Allontanando ulteriormente il
sistema di ripresa microfonico (> 0,5 m) saremo in grado
di captare, oltre che il suono diretto dell’amplificatore o
della voce, anche l’interazione e la risposta dell’acustica
dell’ambiente in cui si trova immerso il cantante o
l’amplificatore del chitarrista. Da questi pochi esempi
possiamo perciò renderci conto già di quante siano le
variabili che entrano in gioco nella scelta dell’utilizzo di
un determinato microfono: un microfono a condensatore,
più sensibile, più adatto a captare i particolari, potrebbe
essere ben utilizzato sia in prossimità della bocca di un
cantante per ottenere un suono molto asciutto molto
dettagliato che in lontananza per ottenere una sensazione
più naturale. Lo stesso vale per un microfono dinamico
con la differenza che, mentre un microfono condensatore
posto in prossimità della sorgente sonora restituirà un
segnale molto forte (ecco perché, sulla maggior parte di
questi microfoni, si possono trovare degli switch
attenuatori con dicitura come -20db o -30 db che servono
ad evitare che il segnalino in uscita dal trasduttore risulti
troppo alto a valle), un microfono dinamico, essendo
solitamente meno sensibile, dovrà essere trattato con una
preamplificazione decisamente sostenuta in caso di
ripresa distanziata anche di una sorgente fragorosa.

Ne consegue che, se nel caso del condensatore, il tecnico


del suono deve fare attenzione ad evitare eventuali
distorsioni dei circuiti causati da segnali microfoni troppo
potenti, nel caso del dinamico il fonico deve evitare che il
fruscio di fondo delle apparecchiature sovrasti, o sia
paragonabile, al segnale utile da registrare. Lavorare con
un rapporto segnale / rumore a vantaggio del segnale
utile, evitando però le distorsioni, è una di quelle
accortezze che, in qualità di aspirante tecnico del suono,
non puoi evitare: questo approccio consentirà alle tue
registrazioni di avere un sound molto più professionale
rispetto a registrazioni effettuate senza tenere conto
dell’importanza dell’ottimizzazione del rapporto segnale /
rumore.

Registrazione stereofonica:
Dal momento che desideri far suonare alla grande le tue
registrazioni ti consiglio di approfondire l’argomento
“stereofonia” Microfoni a condensatore vengono spesso
impiegati per la registrazione panoramica della batteria,
del pianoforte, degli strumenti a corda o degli strumenti
percussivi ove si renda necessario captare una sonorità
globale dello strumento. Nella maggior parte dei casi le
registrazione panoramiche vengono realizzate con coppie
di microfoni per ottenere registrazionistereofoniche.
Sfortunatamente però, per ottenere riprese stereofoniche
professionali, al contrario di come troppo spesso vedo e
sento fare, non è sufficiente possedere un paio di
microfoni a condensatore e piazzarli “ad sensum” nella
sala di ripresa. Saper utilizzare correttamente coppie di
microfoni ti darà il vantaggio di: – aumentare la
profondità percepita delle tue registrazioni – rendere le
tue sonorità nitide, coerenti e professionali – riprendere il
suono intero e globale dello strumento senza omissione di
particolari – registrare correttamente, catturando una
naturale sensazione di disposizione degli strumenti,
organici interi, rock band, orchestre, quartetti, cori, ecc…
Le tecniche di ripresa stereofonica sono un’arma
incredibile che i tecnici del suono hanno a disposizione.
Peccato che, molto spesso, per la fretta e la noncuranza
del dilettante allo sbaraglio, queste preziosissime risorse
vengano praticamente ignorate, se non snobbate…
L’interazione tra segnali stereo microfonici è un’arte
complessa che rasenta l’alchimia. Il tecnico del suono che
si fregia di registrare in stereofonia DEVE, se non essere
esperto di posizionanti microfoni “esoterici”, quantomeno
conoscere le tecniche base che regolamentano i
posizionanti di coppie stereofoniche di microfoni. Avrai
necessità di molta, molta, molta pratica per poter
padroneggiare le tecniche di ripresa stereofonica al 100%.
Ancora… Un tipico set di batteria solitamente viene
generalmente microfonnato con 2 microfoni a
condensatore che riprendono in stereofonia lo strumento
nella sua globalità dall’alto, un microfono a condensatore
per la ripresa dell’Hi-Hat, eventualmente un altro per la
ripresa della cordiera del rullante ed infine tanti microfoni
dinamici quanti sono i fusti che compongono il set
(Rullante, toms, cassa…). Una chitarra elettrica potrebbe
essere ripresa in varie maniere: con un unico microfono
dinamico, con un microfono dinamico vicino al cono ed
uno in posizione più arretrata, oppure utilizzando
interamente o parzialmente microfoni a condensatore (più
“dettagliati” nella ripresa dei particolari) al posto di
microfoni dinamici; infine una coppia stereo, anche in
questo caso, non guasta… Analogamente coppie
microfoniche stereo possono essere utilizzate con
successo nella ripresa di ensembles d’archi, cori,
strumenti acustici singoli ecc… ricorda: più stai vicino
alla sorgente col microfono, meno percepisci l’acustica
dell’ambiente di ripresa; più ti allontani, più il suono
diretto dello strumento si mischia all’interazione acustica
della stanza. Una buona ripresa stereofonica che tenga
conto delle proporzioni dello strumento e dell’acustica
della sala restituisce naturalezza, spazialità, profondità,
professionalità. Una voce, in studio di registrazione,
solitamente viene ripresa con un microfono a
condensatore. Viceversa, in situazioni live, essa viene
catturata attraverso un microfono dinamico che, essendo
meno sensibile, diminuisce il rischio di effetto larsen
(quei tipici fischi che spesso si sentono nei concerti:
microfoni a condensatore, a causa della loro spiccata
sensibilità, mal si prestano generalmente al live poiché in
grado di percepire anche rumori di fondo come quelli
dell’impianto di diffusione o dei monitors da palco). Al
contrario, microfoni dinamici risultano essere meno nitidi,
meno dettagliati, ma più “pastosi”. Essi infatti, a causa di
una serie di peculiarità e considerazioni che troveranno
approfondimento nel corso per tecnico del suono restituiscono una
sonorità diversa e molto caratteristica rispetto alla
maggior parte dei microfoni a condensatore, generalmente
più “asettici”.
Riassumiamo quello che ci siamo detti fino ad ora in
questo corso per tecnico del suono lezione 2:Microfoni
a condensatore: suono professionale a partire dai 200 –
350 € (fino ai 20.000 €) a microfono, necessitano di
alimentazione phantom, precisi, dettagliati, sensibili,
naturali, adatti a riprese panoramiche e distanziate, adatti
a riprese ravvicinate cariche di dettaglio (anche a sorgenti
fragorose se il mic è dotato di attentatore pad -10, -20, o
-30 db), spessissimo utilizzati in coppia in configurazione
stereo. Microfoni dinamici: suono professionale a partire
dai 100 € a microfono, passivi, meno sensibili, suono
“pastoso” ma meno dettagliato dei condensatori, adatti
specialmente a riprese ravvicina te di sorgenti sonore
anche fragorose, raramente impiegati per riprese
panoramiche e stereofoniche. E’ possibile utilizzare con
creatività microfoni progettati per altre applicazioni: ad
esempio microfoni dinamici per chitarra elettrica possono
essere impiegati con successo nella registrazione di voci
professionali in studio di registrazione o microfoni a
condensatore, pensati per la registrazione della voce,
possono essere anche impiegati per la registrazione
professionale di percussioni o chitarre. Ma chi l’ha detto
che per registrare una voce professionale sia
necessartio spendere 1000 € per un microfono???
Iniziamo a sfatare un pò di miti per cortesia: non serve
spendere migliaia di euro per ottenere sonorità
professionali se qualcuno ti insegna ad utilizzare la
strumentazione che hai a disposizione… Poi, se qualche
proprietario di VM-1 o simili vuol far sentire la sua,
siamo ben aperti al confronto.

Acquisti : Di quanti e di quali microfoni ha necessità uno


studio recording? Come al solito ritorniamo alla solita
domanda: dove vogliamo arrivare? Dobbiamo registrare
delle batterie in maniera professionale? Avremmo
bisogno di almeno quattro microfoni a condensatore di
discreta qualità (100-1000 € l’uno) e di almeno cinque
microfoni dinamici adatti alla ripresa dei vari tamburi.
Desideriamo registrare prevalentemente voci e
strumenti acustici . Il mio consiglio sarebbe quello di
orientarsi su una coppia di microfoni a condensatore di
discreta qualità (100-1000€ l’uno). In questo modo potrai
registrare qualsiasi strumento acustico e realizzare degli
ottimi prodotti demo semi professionali. Desidero
registrare acusticamente una voce ed una chitarra
acustica? Una coppia di microfoni a condensatore, anche
in questo caso, potrebbe essere l’ideale ma, per
risparmiare qualcosa e per allargare le possibilità sonore a
mia disposizione, un’altra scelta potrebbe essere quella
dell’acquisto di un microfono a condensatore e di un
dinamico (da usare eventualmente anche live sulla voce).
NB: in questo caso non sarebbero più effettuabili riprese
stereofoniche convenzionali, anche se.....Desidero
registrare unicamente la mia voce? Per risparmiare,
ottenere validissimi risultati ed avere un mic utilizzabile
anche live consiglierei spassionatamente un microfono
dinamico come unoShure Sm 58o Shure Sm 57 : utilizzi spesso un
microfono dinamico per effettuare anche riprese
“ufficiali” di voce da utilizzare in veri e propri dischi…Se
il mio target è quello di registrare una chitarra
acustica e, a volte, delle voci, e il mio scopo è quello di
risparmiare il più possibile eviterei comunque di
acquistare solo un microfono dinamico: piuttosto
prediligerei un condensatore unico In conclusione posso
affermare che, rileggendo questo articolo, mi rendo
perfettamente conto che la correttezza assoluta dei
concetti esposti ha lasciato posto a suggerimenti empirici
e considerazioni pratiche. Mi auguro comunque che
questo sia un buon punto di partenza per iniziare a
ragionare sulle necessità che effettivamente il tuo home
studio presenta. Sprecare soldi in attrezzature che non
servono è una delle peggiori cose che ad un proprietario
di uno studio oggi possa capitare… effettuare degli
acquisti oculati, ragionati e pianificati ha molto più senso
per un lavoro di successo anche in prospettiva futura.
Lezione 3: la stereofonia
Che cos’è la Stereofonia?

Facciamo un piccolo salto in dietro nella storia della


registrazione sonora. Thomas Alva Edison annunciò
l’invenzione del fonografo il 21 novembre 1877. Questo
oggetto era stato concepito con lo scopo di registrare e
riprodurre una voce umana; una puntina traduceva la
pressione sonora in un’incisione meccanica tracciando un
solco su un cilindro di ottone ricoperto di carta stagnola
(sistema di trazione a manovella). La riproduzione
avveniva facendo in modo che la puntina che scorreva sul
solco sollecitasse una sottile membrana di materiale
elastico che a sua volta metteva in eccitazione le molecole
d’aria a lei circostanti emettendo così il suono. Dal 1887
fino al 1931 l’evoluzione dei metodi di
registrazioneriproduzione del suono si protese
esclusivamente a migliorare la qualità di tali sistemi che
però rimanevano in grado di captare, immagazzinare e
riprodurre informazioni legate ad un unico canale
microfonico. Nel 1931 Alan Dower Blumlein brevettò dei
sistemi di utilizzo dei microfoni, a tutt’oggi impiegati nel
campo della registrazione sonora, basati sull’impiego di 2
di microfoni registrati simultaneamente su canali separati
da riprodursi simultaneamente ciascuno su un altoparlante
dedicato: nasceva così la Stereofonia. Questo breve
accenno per introdurre la sostanziale differenza che c’è tra
monofonia e stereofonia. La monofonia è basata
sull’ascolto di un’unica sorgente sonora ad es. le
televisioni provviste di un unico altoparlante posteriore
oppure le radioline che si trovano in regalo nelle
confezioni di detersivo (quelle con la forma di palla da
tennis o da calcio). Si parla di monofonia quando un
ascoltatore è posto di fronte ad un unico altoparlante che
riproduce del suono. Si potrebbe definire come sorgente
monofonica anche una persona che parla. Quando si parla
di stereofonia ci si riferisce invece ad un ascolto di un
materiale audio adeguatamente registrato per essere
riprodotto da due altoparlanti posizionati in maniera da
formare un triangolo equilatero con la testa
dell’ascoltatore.

La stereofonia infatti si propone di consentire, tramite


tecniche di registrazione e riproduzione del suono, la
riproduzione della scena sonora originale, simulandone le
tre dimensioni (larghezza, altezza e profondità), nonché di
mantenere l’equilibrio timbrico e tonale dell’evento
originale, cosa che è impossibile quando la riproduzione è
effettuata da un unico altoparlante. Per poter analizzare
correttamente questo procedimento dobbiamo partire
dall’applicabilità base della stereofonia prendendo in
esame, ad es., la registrazione di un’orchestra realizzata
unicamente con 2 microfoni posizionati correttamente a
formare un configurazione stereo rispetto alla sorgente
sonora (in questo post però non ci occupiamo di definire
quale sia questa posizione: le tecniche di ripresa
stereofonica sono un argomento trattato e sviscerato in
molti libri e l’argomento è troppo vasto per essere incluso
in questo breve articolo). Il microfono che, rispetto
all’orchestra, punta a destra verrà poi riprodotto
sull’altoparlante destro del sistema d’ascolto e viceversa il
sinistro.

Il principio della stereofonia si basa sul fatto che il


cervello ed il sistema d’ascolto dell’uomo riconoscono
la provenienza di un suono dalla differenza, tra le
orecchie, di livello e tempi di arrivo: se un cane abbaia
alla mia destra il suono che emetterà, oltre ad arrivare più
forte al mio orecchio destro, arriverà dopo al mio orecchio
sinistro e queste informazioni, elaborate dal mio cervello,
mi indicheranno che il cane si trova a destra. Se perciò i
microfoni che riprendono l’orchestra saranno posizionati
in maniera da rispettare questo criterio ed il loro segnale
sarà riprodotto separatamente su due altoparlanti,
posizionati in configurazione stereo rispetto
all’ascoltatore, il risultato sarà che alle orecchie di chi
ascolta arriveranno tutte le informazioni necessarie ad
illudere il proprio cervello che il flauto si trova in una
certa posizione piuttosto che in un’altra anche se in realtà,
nella posizione dove sembra esserci un flautista c’è una
scrivania o un pezzo di libreria. Quando infatti lo stesso
segale audio viene emesso simmultaneamente dai due
altoparlanti, se le condizioni per l’ascolto stereofonico
sono rispettate, si avrà la sensazione che al centro si
materializzi la così detta “sorgente fantasma”. E’ il caso
della voce, ad es., che nei dischi viene percepita sempre
come centrale. Se tutto il programma audio è riprodotto
interamente sia a destra che a sinistra siamo in presenza di
quello che viene definito dual-mono, che si differenzia dal
sistema di ascolto “mono classico” che è formato
unicamente da uno speaker.

Alcune considerazioni:

L’ascolto con l’ipod non può essere definito ascolto


stereo perchè non rispetta le condizioni necessarie pe
essere definito tale, infatti, il segnale del canale destro
arriverà solo all’orecchio destro e non anche all’orecchio
sinistro con minor livello e diverso tempo d’arrivo, e
viceversa il sinistro. L’ascolo in cuffia è definito ascolto
binaurale. Le registrazione effettuata con criteri di
stereofonia interaurale (orecchie esposte al suono di
entrambi gli altoparlanti) ascoltata in cuffia non
consentirà all’ascoltatore una precisa localizzazione dei
suoni ed il cervello interpreterà le informazioni sonore
come provenienti da sopra-dietro la testa e non più
frontalmente. Va comunque precisato che esistono delle
tecniche microfoniche che consentono a chi ascolta in
cuffia una corretta localizzazione delle sorgenti ma tali
tecniche, se ascoltate su impianti stereo tradizionali,
prestentano problematiche analoghe. Anche gli impiamti
stereo nelle automobili non consentono un adeguato
ascolto stereofonico perchè la testa dell’ascoltatore non è
posto sul vertice di un virtuale triangolo equilatero
formato con gli speakers. La stereofonia vera e propria è
perciò un’utopia nel mondo reale ma resta il fatto che, se
confrontata all’ascolto mono, la gradevole sensazione di
profondità e di apertura fanno ancora la differenza.
Lezione 4: tecniche
avanzate di home
recording
In questa lezione parleremo di “tecniche avanzate di
home recording”. Che cosa significhi questo titolo,
francamente, me lo sto chiedendo pure io… tutto
sommato però riconosco che, per l’aspirante tecnico del
suono, alcune considerazioni leggermente più raffinate
riguardanti il workflow e l’approccio generale alle varie
discipline attinenti la registrazione ed il mixaggio, non
siano affatto scontate.
Le riflessioni che seguono, per quanto possano risultare
scontate per gli utenti più esperti, sono in realtà il frutto
della mia esperienza personale confrontata con
l’esperienza personale di molti professionisti tecnici del
suono che ho avuto l’onore di conoscere in prima persona
. Negli ultimi decenni abbiamo assistito all’impennata
commerciale relativa al mondo del recording: da quando a
fare le registrazioni non sono più soltanto gli studi di
registrazione professionali ma sono prevalentemente i
tecnici del suono dotati di un home studio personale, le
aziende di tutto il mondo si sono lanciate nella
profittevole attività di “spennare i nuovi polli”. Non passa
giorno che sul mercato musicale non compaiano nuove
apparecchiature, nuovi microfoni, nuovi outboards, nuovi
Plugins, ecc… attenzione, non sto dicendo che per
ottenere dei risultati professionali sia inutile investire sulle
attrezzature ma, come al solito, propongo una domanda: è
davvero fondamentale ampliare costantemente il
proprio parco macchine per ottenere musica
coinvolgente, ben suonante e che risulti essere
“commerciabile”?
A parer mio assolutamente NO! E ti dirò di più: la
maggior parte dei tecnici del suono professionisti la pensa
allo stesso modo. “il mondo non parte con Reason, Non
parte con Ableton Live…” I professionisti, quelli che
vivono e lavorano in studio di registrazione,

sono i primi ad affermare che, per creare un buon


prodotto, apprezzabile dal pubblico e commerciabile, non
sia necessario investire in maniera spropositata in
attrezzatura. Quello che dicono tutti loro è che è
sufficiente un buon microfono, un buon pianificatore, una
scheda audio semiprofessionale e tanta competenza
tecnica da parte dello staff e del

tecnico del suono per poter ottenere risultati audio


entusiasmanti. Poi, ovviamente, nei loro studi si possono
spesso trovare apparecchiature costosissime e ultra
professionali, ma loro lo ritengono un di più, il suono
viene prima delle macchine ultraprofessionali e dello
studio più costoso del mondo. Tutti i grandi fonici infatti,
chi prima chi dopo, sono venuti in contatto con del
materiale audio registrato in economia ma con un’energia
e una profondità incredibili! La cosa su cui tutti
concordano è che per realizzare un buon prodotto audio le
cose fondamentali non sono le strumentazioni tecniche
ma quello che sta prima: le vibrazioni dell’aria, l’energia
musicale… Quando c’è una band, un sound, un’idea,
un’energia che si trasmette meccanicamente attraverso la
propagazione delle onde acustiche, e quando c’è un
tecnico del suono con le competenze necessarie ad
incanalare questa energia, nel migliore dei modi che ha a
disposizione, in un supporto atto alla registrazione, allora
ci sono i presupposti per realizzare un album di
“successo”, di far emozionare l’ascoltatore. Qualsiasi
nuovo microfono, sommattore, plugins esoterico,
“miracolizer” audio non potrà mai sopperire alla carenza
musicale ed energetica dei brani. Viceversa, energia
musicale positiva, suonata alla grande, prodotta da
musicisti con esperienza, buoni strumenti musicali e
gusto, anche se venisse registrata con dei soli sm58
attraverso una scheda audio economica, restituirà un
risultato incredibilmente professionale (sempre che lei
riprese, il mixaggio ed il mastering vengano filtrati da
conoscenze tecniche approfondite come quelle che
vengono trasmesse. Ricordati, non sono le attrezzature
che fanno il sound, sono i musicisti, i produttori ed il
tecnico del suono! Le macchine non c’entrano.

Preproduzione, live in studio e multitraccia:

Con un criterio assolutamente analogo, la maggior parte


dei tecnici del suono intervistati ritiene che le
registrazioni migliori siano quelle realizzate in un tempo
molto breve, nel quale viene condensata l’energia di tutto
il disco e che, al contrario, registrazioni realizzate in
tempi molto lunghi, tendono generalmente a peggiorare e
a demoltiplicare le potenzialità del lavoro. Lavorare in
maniera veloce in studio di registrazione (o nella tua
cantina di casa, non ha importanza) non significa buttare
su il lavoro in preda alla fretta: significa evitare di
snervarsi di fronte ai microfoni ed alle casse a beneficio di
un risultato certo. Per ottenere un buon “prodotto” nel
minor tempo possibile, sfruttando appieno l’ispirazione
che risiede nella fluidità di lavoro, il consiglio di molti di
questi esperti è quello di condensare la maggior parte
delle energie nella preproduzione: il lavoro che viene
svolto prima che i musicisti vengano registrati. Poniamo il
caso di una rock band: il tecnico del suono che si
occuperà di registrare questa band, in assenza di un
produttore artistico (cioè il 99% delle volte), dovrà essere
lui ad effettuare la preparazione alla registrazione con la
band; questo implica passare assieme delle serate a prove,
partecipare con autorità nelle scelte stilistiche, soniche, di
arrangiamento dei brani, degli strumenti, ecc… Il tecnico
del suono, oggi come oggi, quando lavora su progetti di
terze persone, non può permettersi di rimanere asettico,
barricato dietro al suo mixer o alla sua interfaccia audio,
nella speranza che la registrazione funzioni bene.

Oggi, in Italia, il ruolo del produttore artistico, è


praticamente scomparso al contrario di quanto avviene in
molti altri paesi d’Europa e del mondo in cui la musica
viene ancora considerata come qualcosa di serio dalla
maggior parte delle persone. Il tecnico del suono perciò
deve essere psicologicamente preparato ad essere lui
stesso punto di riferimento e guida artistica delle band che
registra e, per diventare un punto di riferimento,
occorrono 2 cose: la preparazione teorica e teorico/pratica
e l’esperienza. Della prima me ne posso occupare io col
mio corso per tecnico del suono, ma della seconda sarai tu a dover
trovare il modo, la strada, la via migliore per acquisirla
(anche a costo di guadagnare solo esperienza ed aria per i
primi lavori!!!). In definitiva possiamo dire che: il lavoro
di preproduzione determina, in realtà, la buona riuscita di
un disco per l’80% ! Se questa fase è portata avanti con
criterio, con competenza, puntando molto a lavorare sulla
band prima della registrazione, il lavoro di tracking, ossia
la fase di acquisizione audio vera e propria, risulterà
essere gradevole, piacevole, ispirante. Viceversa, se la
band dovesse giungere impreparata alla fase di
registrazione (il che significa non avere le idee chiare
sulle strutture dei brani, sull’arrangiamento, sui suoni e
sulle parti suonate) la fase di acquisizione risulterà essere
pesante, snervante, noiosa, eccetera. È pur vero che oggi
come oggi le tecnologie che ci vengono messe a
disposizione ci permettono, in maniera assolutamente
semplificata rispetto quello che succedeva fino a qualche
decennio fa, di creare takes perfette grazie al lavoro di
editing (ossia le capacità che ci danno i sequencer come
Cubase, ecc.. di effettuare le operazioni taglia, copia,
incolla). Il rovescio della medaglia è che, con tutta questa
“libertà”, si finisce per registrare 10 o 15 takes per
strumento per ogni canzone rimandando il lavoro di
perfezionamento musicale alla fase di editing che, in
realtà, sarebbe deputata all’ottimizzazione più che al
restauro musicale…

Ti sembra libertà, sinceramente, questa? Certo che lo


è, ma questi strumenti devono essere utilizzati nel modo
corretto, non per far suonare dritto un batterista storto…
quello è un lavoro che deve fare il batterista durante le ore
di studio del suo strumento. Allo stesso modo, l’editing
non deve servire per far “andare assieme” i componenti
della band: questo è un obiettivo da raggiungere a prove,
non durante la registrazione! Bada bene, te lo dice uno
che ci è passato, uno che, attratto dalle potenzialità di
Protools, ha preferito per lungo tempo registrare i
musicisti chiedendogli di rifare 10 volte ogni singola
parte. Tuttavia si cambia, si cresce, e nel tempo le cose
che ritenevamo date per scontate, a volte, vengono
rimesse in discussione da nuove esperienze, da nuovi
avvenimenti e dal contatto con le persone più esperte di
noi, e questo vale anche per me! Ritornando a noi, il
concetto è: investire molte energie nella fase di
preproduzione (investimento a basso costo) per
risparmiare tempo, energia musicale e denaro nella
fase di registrazione e missaggio (investimento ad alto
costo). Una band che arriva preparata alle sessioni di
registrazione garantisce al tecnico del suono un lavorare
fluido, appagante, incredibilmente ispiratore o, a beneficio
di tutti, della band in prima persona, della registrazione,
del lavoro finale che uscirà da quello studio.
A mio avviso, una band risulta essere pronta per entrare in
studio di registrazione quando le registrazioni in diretta
fatte in sala prove con un registratorino mp3 riescono ad
emozionare chi le ascolta. E’ un criterio di valutazione
semplice: registra in sala prove, fai sentire agli amici ed ai
parenti, se vedi che quel materiale emoziona, pur essendo
ripreso in maniera economica, allora è il momento di
iniziare a fare sul serio e di entrare in fase di produzione
nello studio di registrazione!
Il tecnico del suono che deve registrare una rock band ha
a disposizione due approcci fondamentali: registrare un
live in studio oppure concentrarsi sulla registrazione
multitraccia strumento per strumento. A questo punto le
opinioni che ho raccolto dai vari professionisti si
dividono: c’è chi preferisce lavorare partendo da una
registrazione “veloce” della band che suona in
contemporanea per poi andare a sostituire strumento per
strumento in sessioni di registrazione dedicate, c’è chi
preferisce (e chi alla possibilità di) registrare tutti i
musicisti nello stesso momento, ognuno microfono nel
suo boot o sala di ripresa, c’è chi utilizza i due metodi
combinati, ma in definitiva la fase di tracking è
caratterizzata dal modo di lavorare il fonico e del
produttore (spesso la stessa persona).
In linea di massima però possiamo dire che, registrare
tutti gli strumenti assieme, ha il potente vantaggio di
mantenere intatto il sound e lo spirito della band, ma è
necessario uno studio di registrazione dotato di molti
ambienti insonorizzati per registrare i vari strumenti
assieme. Viceversa, lavorare a strumenti separati,
garantisce una maggior precisione e cura nei dettagli di
ogni parte suonata, lo si può fare agevolmente i qualsiasi
home studio semi professionale ma allunga si corre
sempre il rischio di incappare nella “libertà” in cui i
software di oggi ci imprigionano se non si tiene alta la
guardia… (quante ore di inutile editig ho sprecato nella
mia vita, se solo avessi saputo prima queste cose, se solo
qualcuno me le avesse dette, se solo avessi saputo
ascoltare… c’è di mezzo achee l’umiltà in questo
discorso). Infine esistono metodi di lavoro misti: ognuno
ha il suo, ogni produzione è diversa dalle altre, ogni
giornata è una giornata a sé. Ad ogni modo, qualsiasi sia
il metodo da te preferito, la cosa fondamentale è curare la
preproduzione!!!

Metronomo e timeline:

In maniera praticamente inaspettata, negli ultimi tempi


sono venuto in contatto con produttori e tecnici del suono
che, presentando una certa dose di nostalgia, sono soliti
lavorare “alla vecchia,” senza essere vincolati alla griglia
della timeline del sequencer e privilegiando il beating
umano.
Molti infatti sono gli esperti che fino ad oggi hanno
smontato il mio vecchio approccio al montaggio ed
all’editing; mi hanno stupito facendomi ragionare sul fatto
che, molto spesso non utilizza nemmeno il metronomo
lasciando al batterista il suo completo compito
primordiale… “tanto, se ti serve MIDI, puoi
tranquillamente rimappare la timelie del tuo sequencer per
adattarlo al batterista…” Quello che per me era un
requisito fondamentale, per come avevo imparato ed
interpretato io il mestiere della registrazione, l’utilizzo del
metronomo, alcuni dei professionisti più accreditati che
ho conosciuto, in determinate circostanze, preferiscono
addirittura escluderlo, estrometterlo dal lavoro. Non sto
parlando di jazz, sto parlando di rock, di rock’n'roll, di
musica leggera e insomma… Tuttavia, fino ad oggi, non
mi è mai davvero capitato di avere la possibilità di
registrare una band escludendo a priori l’utilizzo del
metronomo: sarà la mia insicurezza, saranno le bands con
cui ho avuto la possibilità di lavorare, sarà che sono uno
scettico, ma io preferisco comunque il buon vecchio
metodo metronomico.Diciamo che io generalmente, in
caso di lavoro in studio, non di live ovviamente, lavoro
così: acustica e voce, ascolto le canzoni, prendo nota delle
strutture, decidiamo assieme alla band il beat del brano, e
configuro la mia sessione di Cubase. Subito, attraverso
l’utilizzo dei markers (piccoli cartellini stradali che puoi
appiccicare sulla timeline della tua song), prendo nota di
dove incominciano le varie parti salienti di un brano
(intro, strofa 1, chorus 1, strofa 2, assolo, ecc….). Quando
ritengo che la sessione sia stata preparata in maniera
adeguata allora mi dedico alla registrazione delle tracce
pilota: potrebbe essere un live in studio in cui tutti i
musicisti suonano assieme, registrando in multitraccia in
maniera che, in un secondo momento, si possano rifare le
singole parti dei vari musicisti, ma potrebbe essere anche
una sola chitarra acustica e voce. Spesso infatti mi è
capitato di lavorare a progetti anche rock e pop in cui il
batterista si è trovato a dover suonare per primo,
immaginandosi il sound dell’intera band, e suonando la
sua parte sulla sola acustica… non dico che questo sia il
metodo migliore, anzi! Il fatto è che alcune volte non ho
proprio avuto la possibilità di approcciare il lavoro in
maniera differente. Si fa anche questo se è necessario, se
si può evitare è meglio! Potresti anche scegliere di fare un
lavoro misto: una sessione pilota di chitarra e voce, una
sessione pilota registrando basso e batteria, un’altra
sessione pilota per registrare chitarre e tastiere… come
ben sai, oggi come oggi, credo molto nel potere della
preproduzione e dunque, al contrario di ciò che avrei
pensato anni fa, oggi un approccio del genere non lo
ritengo affatto una perdita di tempo: si registra tutto alla
veloce” una prima volta, poi si riregistra tutto meglio
andando a sostituire i vari strumenti in multitraccia (nel
frattempo vengono fuori idee, si può modificare la
struttura del brano, i vari musicisti suonano la parte da
registrare ascoltando effettivamente una band che suona
assieme a loro anche se nel tuo studio non sei provvisto di
molti locali da adibire alla registrazione dei singoli
strumenti in contemporanea, i benefici sono tanti, basta
saperli trovare…). Se ci si ritrova nella condizione di dire
“come l’ho suonata la prima volta non verrà più” la
maggior parte delle volte è un problema del musicista,
non dell’ispirazione, e torniamo al discorso che, prima di
iniziare a registrare, bisogna conoscere le proprie parti!!!
L’utilizzo del metronomo ti consente di essere
agevolmente operativo nel caso in cui tu voglia integrare
del MIDI all’interno delle tue registrazioni (per chi ancora
non sapesse che cosa si intenda con l’acronimo MIDI –
Musical Insrument Digital Interface – , in sintesi, è la
capacità di programmare un sequencer in maniera che sia
esso stesso l’esecutore di alcune parti musicali come ad
esempio ritmiche elettroniche, pad o parti di tastiera o di
sintetizzatore, effetti sonori, ecc…). L’operazione di
rimappare la time line in funzione del batterista è
un’operazione delicata da fare e, sinceramente, dal mio
punto di vista, sconsigliata ai principianti. Inoltre è un
modo di lavorare adatto a musicisti che davvero suonano
bene, e alle situazioni in cui il suono della band non è
un’accozzaglia di singoli parti strumentali ma è realmente
un tutt’uno. Puoi utilizzare questo approccio, ma ti
consiglio prima di farti molta esperienza sul metodo
classico, con il metronomo impostato all’interno del tuo
programma per la registrazione audio.

La fase del mixaggio:

E qui si apre un capitolo: me la prendo alla lontana ma


vedrai che alcuni concetti e torneranno utili a breve nella
pratica. Anche in questo caso non aspettarti che in questa
sezione si parli di trucchi di mixaggio o di tecniche
specifiche: parliamo del concetto di mixaggio in generale.
Per arrivare a parlare di mixaggio però desidero prima
rendrti partecipe di una delle mie fondamenta nel lavoro
di registrazione: in una band è necessaria una
leadership! Lo ripeto, una band ha bisogno di un leader,
di una coppia di leader, o al massimo di un triunvirato.
Scordati la possibilità di portare a termine con successo
un mixaggio fatto assieme a tutti i componenti di una
band: La chitarra sarà sempre troppo bassa, la cassa della
batteria si sentirà sempre troppo poco, la voce del
cantante non sarà mai al livello giusto, ecc… non esiste! Il
mixaggio lo fa il produttore. Non lo fanno i dilettanti allo
sbaraglio… Pensa bene, se tutti tuoi arti avessero ognuno
un cervello indipendente, probabilmente passeresti la
maggior parte del tuo tempo immobile in preda a un
mondo di movimenti scoordinati. Lo stesso vale per la
produzione musicale: il multitraccia è stato acquisito, ora
bisogna solo perfezionarne i suoni… per fare questo è
necessaria una visione globale ed insieme professionale.
All’interno di una band c’è un produttore artistico o una
persona che abbia queste capacità di visione globale e che
sappia trasmettere questo concetto al tecnico del suono?
Se la risposta è sì allora questa persona, e solo questa, è
ammessa alla sessione di mixaggio. Se la risposta è no il
mixaggio lo fa il tecnico del suono da solo in studio con le
sue casse, i suoi plugins, i suoi modi e tempi di lavoro. Io
lavoro così per la maggior parte delle volte: creo il
mixaggio per conto mio, lo faccio ascoltare alla band,
chiedo alla band di eleggere un referente unico per
interfacciarsi con me, un portavoce di tutti, lo invito nel
mio studio ed, assieme, facciamo le ultime modifiche.
Non esiste che tutta la band venga in studio a mixare! Il
mix è appannaggio completo del tecnico del suono ed
eventualmente del produttore.
Sette cervelli che lavorano sullo stesso materiale musicale
non potranno che peggiorarlo perché ognuno cercherà di
portare acqua al proprio mulino quando invece un buon
bilanciamento, un buon missaggio, è realizzato proprio
con l’intento di far suonare tutto al meglio cercando di
creare un’armonia sonica. Quanti direttori hanno le
orchestre? A me risulti che si parli sempre di direttore
d’orchestra, non di direttori d’orchestra… poi chiaramente
i musicisti fanno il loro, suonano la loro parte, mettono
anche la loro quota di interpretazione la loro, variazione la
loro, umanità, ma la direzione orchestrale è deputata ad
un’unica persona che, anche forse il peggior direttore
orchestrale del mondo, avrà sempre più possibilità di
ottenere un risultato migliore che se venisse affiancato da
altri direttori che dirigono assieme a lui in contemporanea.
Capito? Se invece tu, in qualità di tecnico del suono,
desideri fare un ragionamento meramente speculativo
sulla registrazione e sul mixaggio di una band, potresti
anche invitare tutta la band a partecipare al mixaggio forte
del fatto che il numero delle ore, e quindi il costo che il
gruppo dovrà sostenere, di certo aumenterà… ma questo
non è il mio modo di lavorare!

Il mastering:

Sorrido sempre quando sento che in uno studio si effettua


registrazione, mixaggio e mastering dei proprio lavori…
Certo, è sempre possibile effettuare delle operazioni di
compressione ed equalizzazione su un materiale audio
stereo in uno studio di registrazione, potrei usare degli
outboards particolari se ce li ho, oppure potrei usare dei
plugins, il concetto è che il mastering serve per
ottimizzare, e che solamente in parte, diciamo per il

10%, risulta essere un’operazione creativa.

Mi

domando: che senso ha masterizzare in autonomia un


lavoro mixato da se stessi? Certo, risparmiare, provare,
dimostrare, ma idealmente a mio avviso il mastering
dovrebbe essere una fase curata da un’altra persona, una
persona che non è coinvolta emotivamente nella
produzione, nella registrazione o nel mixaggio di quei
brani e che abbia le “orecchie fresche” al lavoro.
Ovviamente conta molto l’esperienza, ma so che anche ad
alti livelli si utilizza questo concetto: se io ho mixato dei
brani il mio cervello, il mio orecchio, e ormai è abituato
ad ascoltarli ed a sentirli in un certo modo ed è molto
probabile che, quand’anche la mia strumentazione e la
mia struttura mi consenta effettivamente di effettuare
l’operazione di mastering nel miglior modo possibile (e
comunque queste strutture sono davvero poche) la mia
emotività ed il mio cervello non mi aiuteranno ad
ottimizzare rapidamente il prodotto che ho appena finito
di mixare. Sì, posso schiacciare, posso comprimere, posso
equalizzare, posso spippolare, ma quale incredibile
vantaggio dalla possibilità di far avere quel materiale ad
un altro tecnico del suono, far ritoccare ed ottimizzare ad
un’altra persona il mio lavoro? Ce ne sono tanti di
vantaggi…
Ovviamente la persona deve avere esperienza, deve essere
un professionista, devo sapere che ha già effettuato lavori
simili o che comunque sarà in grado di portare a termine
un buon lavoro senza farmi sprecare del denaro… il mio
concetto è questo: se non posso permettermi un mastering
costoso e super professionale ad altissimo livello in
strutture accreditate, sapendo che il mio lavoro passerà
per le mani giuste, preferisco 10 volte dare da
masterizzare il mio mix ad un altro studio di mixaggio
professionale, dotato di ascolti (ed almeno software)
sufficientemente professionali piuttosto che cimentarmi io
stesso nella fase di ottimizzazione finale del sound dei
brani.
Sono troppo legato a quell’opera. È carne della mia carne,
in quel mixaggio c’è la mia anima, c’è la mia arte, c’è la
mia persona: come faccio ad essere obiettivo? Il mix è un
lavoro artistico al 90%; il master in è un lavoro tecnico al
90% e solo un 10% lo possiamo considerare artistico…
Ma pensi che sia il regista che decide il final cut del suo
film?? Neanche per idea, lui è troppo legato al suo girato,
alle emozioni provate durante le riprese, alle sue sclte
visionarie… Il film deve vendere ed il montatore, da
occhio “esterno”, avrà maggiori probabilità di fa uscire
un’opera d’arte dal suo montaggio piuttosto che l’ego del
regista. Sarà forse la mia inesperienza che mi porta a
ragionare in questi termini, di certo tecnici del suono
molto più esperti di me sono in grado di astrarsi durante la
fase di mastering dei loro brani e realizzare degli ottimi
capolavori anche in piena autonomia. Tuttavia ritengo che
l’intervento di un’altra persona competente su quell’opera
musicale, di un tecnico che si occuperà della fase di
mastering, potrà apportare maggiore energia, ai brani.
Stiamo sempre valutando figure tecniche qualificate, non
stiamo parlando di dare in mano il tuo brano al primo
ragazzino che passa… ma il fatto stesso che il brano passi
per le mani di un’altra persona competente, con la sua
storia, con le sue procedure tecniche, con la sua persona,
con la sua competenza non potrà che a portare energia
positiva ai brani ed al progetto secondo me. Poi,
dobbiamo risparmiare? Va bene, una compressione ed una
equalizzazione la possiamo anche fare in studio… però,
potendo, io sceglierei di dare i brani da masterizzare ad un
altro tecnico del suono ed eventualmente ricambiare il
favore martirizzando i suoi lavori, se c’è effettivamente
un rapporto di reciproca fiducia e stima professionale.
Bene, ho parlato abbastanza. Per oggi direi che è tutto, ne
abbiamo dette di cotte e di crude e mi sa che tutto ciò non
contribuirà a fare di me un tecnico del suono amato dai
colleghi, ma chi se ne frega? A me interessa che tu possa
valutare anche la mia campana, una campana spesso fuori
dal coro, e poi ragionare con la tua testa. Il mio goal è
quello di aiutarti a crescere nella tua professionalità, non
di farmi bello davanti agli occhi dei colleghi più o meno
esperti di me…Ti saluto, ti rimando alla prossima lezione.
Lezione 5: il mastering
“Mastering”, così sulla bocca di tutti… Che cos’è
effettivamente? Quando serve? Dove si fa? Il Mastering
è, e rimane ai più, la parte più sconosciuta della
produzione “pratica” di un disco; è forse la fase che
apparentemente sembra essere la più inutile quando
invece è da considerarsi il tocco finale, quel qualcosa in
più che alla fine dei giochi è in grado di fare la differenza
(in bene ed in male) sul sound complessivo di un
proggetto. In Mastering generalmente si lavorano le
canzoni non più in multitraccia bensì sui due canali Left e
Right risultati dal mixdown. Facciamo un esempio: un
artista scrive le sue canzoni, si decidono gli
arrangiamenti, poi col gruppo si va in studio (balle! oggi
si va in sala prove!) si stendono le tracce “pilota” che
serviranno da guida nelle prime fasi del lavoro, si
registrano gli altri strumenti (batteria, basso, chitarre,
tastiere, voci, ecc.), si fà il mix dei brani e si butta il tutto
su cd. NO! SBAGLIATO! Manca un passaggio: il
Mastering.
Una volta che il mix degli strumenti viene realizzato e
curato affinchè suoni bene non si possono stampare i cd
fino a che non si siano messe a posto alcune questioni. In
Mastering si determina anzitutto la scaletta di un cd: un
mastering engineer sa per esperienza quale sia l’ordine
più opportuno da scegliere e consiglia di conseguenza la
produzione (sempre che la produzione non sia portata
avanti da persone così competenti da conoscere le
esigenze di mercato ed imporre una sua scelta). Poi con
l’utilizzo di equalizzatori e compressori dedicati a questo
scopo ( non con il bheringeer per intenderci, ma con 3 o
4000 euro a macchina) si mettono a posto quei difetti
sonori di cui in mix non ci si è resi conto. A questo punto
occorre una precisazione: nelle regie ( non le sale
prove…) dedicate al lavoro di mix è necessario un ascolto
quanto più lineare possibile per evitare che delle
colorazioni timbriche delle casse (monitor) o dell’acustica
della stanza inficino il mix; la regia neutra consente un
omologazione del suono del disco che verrà riprodotto in
centri commerciali, impianti domestici, car hi-fi, radio,
ecc. La regia “colorata” timbricamente no. Altra cosa da
dire è che per quanto la costruzione di una regia
dall’acustica neutra sia pressochè identica per gli studi di
mix e quelli di mastering, i monitor (casse) che si usano in
mix costano 1000-5000 € grosso modo mentre quelle
utilizzate in Mastering possono arrivare anche ai 20.000
euro o oltre! La differenza tra i due ascolti sta nella
definizione e nella risposta lineare. In mix serve molto
“volume”, molta pressione sonora perchè si sta lavorando
creativamente ed è magari necessario ascoltare in piena in
alcuni momenti! In mastering si va a lavorare sul pelo e,
con la definizione necessaria, si è in grado di intervenire
anche su quei difetti di ascolto dovuti ai monitor o ad una
acustica non flat della regia di mix. Oltre ai difetti timbrici
dovuti ad acustica e monitor in questa fase si possono
rimettere a posto alcuni errori del mix engineer derivati
dall’uso troppo spinto dei compressori di dinamica sul
mix totale delle tracce ed, in parte ed in maniera molto
grossolana, si possono addirittura far suonare più forte o
più piano alcuni strumenti che non si sposano bene
col’insieme e dei quali non ci si era accorti (il tutto
lavorando unicamente sull’audio generale L ed R e non
sui singoli strumenti!). Va ricordato infatti, per quanto
banale possa sembrare, che NON è possibile, se non in
circostanze assolutamente particolari e di mix non troppo
complessi, estrapolare e separare gli strumenti da una
registrazione stereo: non c’è modo di isolare la batteria da
basso e chitarre partendo dal mixaggio stereo!!!
Lezione 6: equalizzatore,
compressore e riverbero

In questa lezione desidero riprendere il discorso da un


punto di più pratico e tecnico. Parleremo infatti di effetti e
processori di segnale. Sappiamo bene che lo strumento
principale per un tecnico del suono è il mixer. Troppo
spesso però ci si dimentica che, per ottenere un buon
mixaggio o delle ottime sonorità live, oltre ai microfoni
ed al mixer, sono necessari degli effetti.

Quando si parla di effettistica si parla di processori esterni


(o incorporati) al mixer atti all’elaborazione del suono, o
meglio del segnale musicale. A seconda della piattaforma
con cui si lavora questi effetti possono essere degli
scatolotti fisici (outboards) o dei piccoli programmini che
si innestano all’interno del programma principale
(plugins).

Gli scopi per effettuare un’elaborazione su un segnale


musicale possono essere più diversi: modificarne il
contenuto di frequenze e lo spettro, modificarne la
dinamica, aggiungere delle alterazioni timbriche,
conferire una connotazione spaziale ad un suono,
aggiungere degli effetti speciali, ecc… a seconda
dell’esigenza sono stati inventati diversi strumenti: se il
microfono è quello strumento che permette di trasformare
l’energia acustica in segnale elettrico, il mixer l’oggetto
proposto a raggruppare più segnali elettrici in un unico
segnale elettrico (oppure in due segnali elettrici nel caso
della stereofonia, o in sei nel caso del surround) gli effetti
sono degli strumenti che consentono l’alterazione ed
eventualmente il miglioramento delle caratteristiche
tecniche ed artistiche di un segnale elettrico musicale (del
caso di effetti software o digitali l’alterazione viene fatta,
ovviamente, sulla rappresentazione numerica del segnale
elettrico).
Ci sono diversi criteri per catalogare i processori di
segnale. Quello che a me piace di più è quello che divide
gli effetti in due grandissime categorie: gli effetti di
dinamica e gli effetti di colore.
I processori i “dinamica” sono quegli effetti deputati a
cambiare i connotati ad un segnale audio: l’equalizzatore
è il tipico processore di dinamica che, guarda caso, viene
comunemente integrato in tutti i mixer. Altri processori di
dinamica sono il compressore, il noise gate, molti altri….
I processori cosiddetti “di colore” sono quei processori
che, dato un segnale elettrico dai connotati perfetti, si
preoccupano di aggiungere una certa sonorità o un certo
colore al segnale trattato. Esempi tipici di processori di
colore sono il riverbero, i vari delay, chorus e flanger,
ecc…. che vengono apposti su segnali già tecnicamente
ed artisticamente “corretti”. Questi sono solo alcuni degli
effetti messi a disposizione dal mercato hardware e
software, tuttavia sono queste le categorie principali di
effetti che aiutano il tecnico del suono a raggiungere il
buon risultato sia nel mixaggio che nel live. Vediamo ora
nel dettaglio a che cosa servono i vari processori
sopraelencati: ovviamente non potremo scendere nel
dettaglio pratico del loro utilizzo ma ciò che di seguito
potrai leggere ti permetterà di affrontare con maggior
serenità i manuali dei tuoi plugins o del tuo mixer. Infine
ritorneremo sull’equalizzatore, che, essendo il processore
più famoso ed utilizzato, necessita a mio avviso di un
ulteriore approfondimento sulle sue caratteristiche ed
utilizzo.

Processori di dinamica:

L’equalizzatore è quello strumento che consente al


tecnico del suono di modificare la timbrica di un segnale,
di alterarne le frequenze medie, basse o alte a seconda di
esigenze tecniche o stilistiche. Con l’equalizzatore è
possibile effettuare delle modifiche sostanziali allo spettro
di frequenze di un determinato segnale audio. È un
termine molto utilizzato per definire l’intervento
dell’equalizzatore e “risposta in frequenza”. Questo
termine identifica in maniera generica il fatto che, dato
per assunto, in ingresso ad un equalizzatore, un segnale
audio caratterizzato da rumore bianco (ossia un rumore
composto da tutte le frequenze appartenenti allo spettro
dell’udibile, allo stesso livello), in uscita l’andamento del
livello delle singole frequenze venga o meno alterato. Un
sistema audio definito con risposta in frequenza lineare
indica che il contenuto spettrale del segnale in ingresso
sarà equivalente a quello del segnale in uscita.
L’equalizzatore è, per definizione, un oggetto pensato per
modificare lo spettro di frequenze di un segnale in
ingresso.
È ovvio che in un ana lezione di questo tipo, non
riusciremo ad essere esaustivi. Prima però di passare la
descrizione degli altri processori che tipicamente vengono
impiegati nell’audio, ti avverto che riprenderemo più nel
dettaglio il discorso relativo agli equalizzatore tra qualche
riga in questo stesso articolo: l’equalizzatore è uno di
quegli strumenti onnipresente nelle apparecchiature e nei
software audio ed è bene sapere almeno di che cosa si sta
parlando prima di muovere le manopole a casaccio…

Il compressore, l’expander ed il limiter sono


tipicamente quei processori deputati alla gestione della
dinamica di un segnale (intesa proprio come differenza tra
livelli minimi e massimi, di escursione di “volume” se
vogliamo). Ogni segnale, oltre che essere caratterizzato da
un certo spettro di frequenze che varia continuamente, è
anche caratterizzato da valori di dinamica: quando parlo,
io posso parlare sottovoce oppure URLAREEE; questo è
un cambio di dinamica. Quando sono un assolo di chitarra
io posso suonare il pianissimo o, alzando il livello
dell’amplificatore a manetta, il fortissimo, ecc….

L’argomento processori di dinamica è uno di quegli


argomenti belli tosti, molto appaganti ma molto difficili
da padroneggiare. Per quanto mi riguarda non passa
giorno sull’audio che io non impari qualcosa sui
processori di dinamica, sul loro corretto impiego, sul loro
utilizzo creativo. Spiegare a parole l’utilizzo e l’utilità del
compressore, dell’espander, e del limiter, oltre ad essere
un’impresa non semplice, risulta anche essere molto
deficitaria: ecco perché, anche nel caso dei processori di
dinamica, in linea di massima, tanto per capire di quello
di cui stiamo parlando, possiamo dire che il compressore
è quel processore dedicato a diminuire il range dinamico
di una parte musicale suonata o cantata e dunque ad
avvicinare, in termine di “volume” complessivo, i
pianissimi ai fortissimi. Lo scopo può essere
essenzialmente tecnico (ossia, sapendo che il mio brano
verrà ascoltato spesso in un’autoradio o in un lettore MP3,
essendo a conoscenza del fatto che il sistema d’ascolto
non sarà un sistema professionale e che le condizioni
d’ascolto saranno rumorose, per evitare il rischio che
l’ascoltatore perda i dettagli nei passaggi di pianissimo,
utilizzando la compressione posso fare in modo che anche
passaggi più deboli vengano percepiti come più forti)
oppure di tipo artistico (una chitarra elettrica ben
compressa risulta essere molto più aggressiva ed
appagante rispetto allo stesso segnale senza compressore).

L’expander è un processore di dinamica che effettua


l’operazione inversa rispetto compressore: anziché
diminuire la gamma dinamica di un segnale la amplifica,
ossia i pianissimi verranno resi ancora più inudibili
rispetto ai fortissimi. L’estremizzazione dell’espander è
quello che comunemente viene conosciuto come noise
gate.Il noise gate è lo strumento che virtualmente
consente di eliminare i rumori di fondo, come ad esempio
il fruscio di un amplificatore particolarmente udibile
quando il chitarrista non sta suonando, ed in pratica
funziona così: stabilito un certo livello di riferimento del
segnale, tutte le porzioni di segnale che supereranno quel
livello verranno lasciate passare oltre nella catena audio,
ciò che invece risiede al di sotto di quel livello verrà
“abbassato” fino ad essere reso inudibile. Se perciò la
soglia di riferimento viene impostata ad un livello appena
sopra il livello di fruscio di fondo dell’ampli, quando
l’unico segnale che transiterà all’interno di questo
processore sarà il fruscio, il volume sarà abbassato;
quando invece il chitarrista suonerà una nota, e dunque il
livello supererà la soglia, il segnale audio verrà lasciato
transitare.

Il noise gate è uno strumento fondamentale per la buona


riuscita di una batteria: è fondamentale infatti che, per
evitare rumori di fondo ed aggirare problematiche
complesse relative alla fase dei segnali catturati dai vari
microfoni che riprendono il set, il segnale dei microfoni
d’accento relativi ai fusti risulti essere presente solo
quando è necessario (ad esempio, il segnale del rullante,
attraverso l’utilizzo di un noise gatte, verrà lasciato
transitare nel mixer solo durante il transigente utile
mentre, nel resto del tempo, per esempio durante i colpi di
cassa, il segnale del rullante rimarrà inudibile).

Per quanto riguarda il limiter possiamo dire che esso è


l’estremizzazione del compressore: senza entrare troppo
nel dettaglio, il che richiederebbe ore e ore di scrittura (e
di lettura) possiamo dire che il limiter funziona
esattamente come il limitatore di velocità presenti sulle
corriere che infatti impedisce ad un mezzo, per quanto il
conducente pigi sull’acceleratore, di superare un certo
limite di kilometri orari . Nell’audio è lo stesso: il limiter
costringe e il segnale in ingresso, a prescindere dal suo
livello, ad uscire con un livello massimo pre impostato
dall’operatore. L’utilizzo tipico del limiter è in fase di
mixaggio su singoli strumenti percussivi per restituire
corpo ai suoni oppure, in fase di mastering, utilizzato sul
master Left e Right per limitare i picchi di segnale e
restituire così un segnale che suoni “più forte”. Questi in
sintesi gli scopi principali e gli strumenti principali
deputati alle modifiche dinamiche (ossia deputate a
cambiare i connotati del segnale audio); vediamo ora
quali sono i principali esempi di processori di colore.
Come già detto il processing di colore è quell’insieme di
operazioni che servono a rendere più suggestivo un
segnale audio già ben suonante (quindi un segnale già a
posto dal punto di vista della risposta in frequenza e della
gamma dinamica).
Il riverbero è il processore deputato all’emulazione della
risposta acustica restituita da un ambiente. Ne esistono di
diversi tipi e basati su diverse tipologie di funzionamento,
anche se lo scopo rimane sempre lo stesso. I parametri
che generalmente si trovano sulla maggior parte di questi
processori, sia essi software che hardware, sono il tempo
di riverbero (ossia la durata in termini di secondi della
coda del riverbero – per capirci, il riverbero del tuo
bagno, ha una coda più corta rispetto al riverbero di una
chiesa; te ne accorgi se batti un colpo di mano-), alcuni
parametri dedicati alle prime riflessioni (le riflessioni
acustiche che per prime giungono all’orecchio
dell’ascoltatore dopo essere state rimbalzate da una sola
superficie) ed alle caratteristiche costruttive della stanza
(cubatura, materiale di costruzione, forma, ecc..).
Esercizio per casa: ascolta il riverbero che viene prodotto
nel tuo bagno quando batti un colpo di mano (forte) ed
ascolta il riverbero prodotto all’interno di una chiesa,
magari con soffitto in legno. Ti accorgerai come il suono
del riverbero cambi completamente a seconda della
stanza, della sua forma, dell’arredo, dei materiali con i
quali è costruita, ecc… Il delay è i primogenito degli
effetti di colore ed il componente fondamentale che sta
alla base di tutti i processori appartenenti a questa
categoria (riverbero compreso). Stiamo parlando di un
processore che ha un’infinita gamma di impieghi e di
diramazioni. Tanto per capirci chorus, flanger e phaser
sono suoi derivati…Allora, partiamo dal fatto che il Delay
ideale e primordiale non fa altro che applicare un ritardo
ad un segnale in ingresso. In pratica è con il delay che si
possono simulare echi simili a quelli che si possono
sentire in montagna.
Anche nel caso del delay il discorso è davvero molto
ampio ed, inutile dire, che nel corso per tecnico del suono viene
trattato in maniera molto approfondita e tecnica. Possiamo
però accennare ad alcune curiosità, partendo dai parametri
che spesso ritroviamo sui plugins o sugli hardware. Il
controllo del tempo di ritardo è il fulcro. Tempi di ritardo
tipici di un delay vanno dal millisecondo ai 2 secondi.
L’effetto di colorazione, come nel caso del riverbero, si
ottiene quando il segnale originale viene sommato con il
risultato del segnale prodotto dal processore. Per fare un
esempio, se nel caso del riverbero ci saremmo aspettati
una sonorità composta dal segnale iniziale più la
simulazione di una risposta acustica di una stanza, nel
caso del delay il risultato principale che ci si aspetta è
quello del segnale originale più la sua copia ritardata nel
tempo, un effetto eco, insomma… Attraverso l’opzione
feedback, integrata nella maggior parte dei delay, si fa in
modo che il segnale ripetuto vanga reindirizzato all’input
del processore creando così una sequenza di ripetizioni
più o meno lunga.
TTTAAA – TTAA -TA – ta…..
Non so se mi spiego…
Infine alcuni delay integrano un processing di
modulazione applicabile al segnale ritardato (un leggero
cambio di intonazione che oscilla nel tempo, ad esempio).
La combinazione della modulazione con lo slap delay
(ripetizione singola) o con ll feedback della genera
rispettivamente l’effetto di flanger e phaser. Il miglior
modo per sperimentare le sonorità di un delay provvisto
di tutti questi parametri è sperimentare con un plugin:
rimarrai tu stesso sbalordito delle potenzialità sonore di
questo strumento… Tieni presente che, quando la
ripetizione non viene avvertita come separata rispetto al
segnale originale ma come una vera e propria colorazione
( < 50 ms) quello è il territorio più gratificante per la
sperimentazione iniziale. Inoltre ti avviso che, per
ottenere sonorità meno ridicole e più significative, è
indicato utilizzare rate (valore di oscillazioni
dell’intonazione al secondo) inferiore a 2 (< 2 oscillazioni
per secondo).
Vedremo poi nella prossima lezione come utilizzare
questi processori in combinata con un mixer (sia esso
hardware, software o digitale). Ad ogni modo, prima di
concludere questa lezione, è bene ricordare che ogni
processore di colore integra un controllo mix (Dry-Wet),
ossia un controllo che permette di mixare il segnale
originale in ingresso con una certa quantità di segnale
processato. Vedremo poi che, utilizzando i processori in
un normale workflow che comprenda l’utilizzo del mixer,
raramente questo controllo viene utilizzato in maniera
diversa che con un’impostazione 100% Wet – uscita dal
processore: solo segnale processato – poiché il missaggio
con il segnale originale verrà effettuato nel mixer stesso.
Focus: Equalizzatore
Vediamo ora più approfonditamente il discorso
equalizzatore. Di certo non pretendo che questa
trattazione risulti essere esaustiva ma, al solito, il mio
scopo è quello di darti delle informazioni base affinché tu
possa sfruttare le informazioni che trovi in rete in maniera
proficua e non dispersiva.
L’equalizzatore è forse il più famoso e conosciuto tra i
processori utilizzati nell’audio tanto che, nella maggior
parte delle volte, esiste un equalizzatore integrato anche
nei sistemi highfi casalinghi o car-audio. Esistono diversi
tipi di equalizzatore a seconda della funzione
dell’equalizzatore deve svolgere ma la sua funzione
principalmente rimane quella di alterare, da un punto di
vista spettrale, o se vogliamo timbrico, il contenuto
sonoro di un segnale audio. Quando su un qualsiasi
apparecchio audio, dall’autoradio all’amplificatore per
chitarra, utilizziamo dei controlli per aumentare o
diminuire ad esempio i bassi, gli alti, i medi, non stiamo
facendo altro che utilizzare un equalizzatore.
L’equalizzatore nasce, come dice la parola stessa, per
riequilibrare il contenuto sonoro di un segnale audio
ottenuto da un microfono: in poche parole, fin dagli albori
dell’audio, gli ingegneri del suono dell’epoca si sono resi
conto che l’utilizzo del microfono già di per sé restituiva
un segnale dalla timbrica falsata (ad esempio con pochi
altri con molti medi). Si è perciò inventato un apparecchio
che, in dominio elettrico, desse la possibilità all’operatore
di rimettere mano alla timbrica del segnale registrato.
Dobbiamo stare attenti però che, con la parola
equalizzatore, spesso si intende un insieme di filtri:
esistono infatti molti filtri ed un equalizzatore non è altro
che il raggruppamento di un certo numero di questi. I
tipici filtri che si possono incontrare nella maggior parte
delle macchine audio professionali e semi professionali
sono il filtro Shelving, il Peaking ed i passa alti o passa
bassi. Senza voler per forza entrare in dettaglio, limitando
l’articolo ad una trattazione semplice ed adatta a tutti,
possiamo dire che i filtri Shelving sono quelli deputati ad
incrementare o a diminuire il livello (e quindi il volume)
di una certa porzione dello spettro del segnale (una certa
porzione di frequenze) a partire da una determinata
frequenza. Mi rendo conto che cercare di immaginarsi
questi concetti senz’aver trattato in maniera approfondita
tutto ciò che riguarda la conoscenza del suono e del
segnale audio, il discorso delle frequenze e delle somme
di frequenze e senza un po’ di teoria alle spalle questi
ragionamenti possono risultare leggermente complicati da
seguire. Tuttavia non credo che tutto ciò scoraggi in
partenza la persona che per la prima volta si trovi di fronte
ad un equalizzatore di un mixer: ci sono dei pomelli da
girare, gli Shelving sono quei pomelli che alzano o
abbassano gli alti o i bassi di un segnale. Quando
nell’autoradio o nel tuo amplificatore di chitarra è
presente un controllo per aumentare o abbassare gli alti
allora trattasi di filtro Shelving. Questo tipo di filtro, nei
mixer più costosi o nella maggior parte dei sistemi
software, è dotato di due controlli: la quantità di
intervento (gain) e la frequenza di intervento (cioè, da
questa frequenza in su, oppure, da questa frequenza in
giù, alza o abbassa di una certa quantità il livello del
segnale).
I filtri di tipo Peaking invece sono quelli deputati
all’intervento su un range di frequenze limitato o meglio
su un’unica porzione dello spettro (idealmente, le
frequenze inferiori e superiori alla range di intervento di
questo filtro vengono lasciate inalterate). Capisci bene che
il filtro Peaking è tipicamente utilizzato per l’intervento
sui cosiddetti “medi”. Il concetto è questo: aumenta o
diminuisce la porzione sonora del segnale audio in un
range limitato, attorno ad una certa frequenza. Nella
maggior parte dei mixer professionali e nella quasi totalità
degli strumenti software, il Peaking è provvisto di due
comandi: quantità di intervento e frequenza di centro
banda. Nei filtri più elaborati, specialmente in quelli
digitali, è facile trovare il controllo dedicato all’ampiezza
dell’intervento, ossia a quanto larga o stretta debba essere
la campana raffigurata in un grafico di risposta in
frequenza: più stretta sarà la forma dell’intervento, più
selettivo sarà il filtro e maggiore sarà la probabilità di
riuscire ad innalzare o ad abbassare una porzione molto
precisa di frequenze (questo tipo di filtro viene
tipicamente utilizzato per identificare ed eliminare
l’effetto Larsen nei concerti). Più larga risulterà essere la
“forma” dell’intervento, meno preciso sarà l’intervento
del filtro, maggiore sarà la probabilità di alterare
timbricamente il segnale e di creare sonorità artistiche.
Infine, l’ultima tipologia di filtri che analizzeremo in
questo articolo sono denominati Passa Alto e Passa basso
(o Hi-pass e Low-pass). Questa tipologia di filtro è
tipicamente passiva e cioè, nella pratica, è un componente
che non è in grado di generare una amplificazione ma solo
di tagliare. Il passa basso è infatti il filtro che permette di
eliminare completamente i bassi a partire da una certa
frequenza. Viceversa, il passa alto è il filtro che permette
di eliminare da un segnale audio gli alti a partire da una
certa frequenza. Nella pratica si assiste sempre ad una
diminuzione progressiva del livello del segnale in
funzione della frequenza.

Possiamo dire anche che, tipicamente, l’utilizzo di


entrambi i filtri in combinata determina ciò che viene
definito come band reject o band pass a seconda dei casi.
L’utilizzo classico che si fa di questi filtri è per limitare la
risposta in frequenza di determinati strumenti. Ad
esempio nel caso del segnale microfonico di una voce, il
tecnico esperto sa bene che tutto ciò che risiede al di sotto
degli 80 Hz, con molta probabilità, è segnale indesiderato
dal momento che la voce umana non contiene porzioni
significative ti basse frequenze. Nel caso del segnale di
una chitarra elettrica invece il bravo fonico sa che, al di
sopra dei 4-5000 Hz c’è solo rumore e dunque, non
essendo caratterizzato il suono di elettrica da altissime
frequenze, non ha senso farle passare oltre nella catena
degli strumenti audio. Un utilizzo leggermente più
creativo di questi filtri è quello di costringere i singoli
segnali a risiedere in un determinato range di frequenze:
se nel mixaggio ogni strumento ed ogni segnale copre
l’intero spettro delle frequenze dell’udibile, dalle
bassissime frequenze alle altissime, il mix suona come
un’accozzaglia di suoni. Viceversa, il bravo tecnico che
riesce a gestire lo spettro dei segnali in maniera che ogni
strumento abbia, per quanto possibile, uno range di
frequenze, una porzione di spettro dedicata, creerà i
presupposti affinché ogni strumento risulti godibile
all’interno della somma e, con tutta probabilità, il risultato
finale sarà decisamente più professionale. Dicevamo che
l’equalizzatore è un insieme di filtri: si possono creare
perciò diverse modalità di equalizzatore a seconda dello
scopo che operatore ne deve fare. Prendiamo ad esempio
il tipico equalizzatore di un canale di un mixer di fascia
media: tipicamente vi troveremo un filtro dedicato agli
alti, uno ai bassi (Shielving, tipicamente con frequenza di
intervento fissa) ed un filtro di tipo Peaking per i medi
con controllo di gain e frequenza d’intervento; infine un
passa alti con frequenza d’intervento prestabilita dal
costruttore.

In mixer analogici più prestigiosi o in quelli digitali


(compresi software) l’equalizzatore di canale sarà simile,
sebbene più complesso: tipicamente infatti anche gli
Shielving saranno dotati di controllo per la frequenza di
intervento, molto probabilmente troverai due equalizzatori
parametrici Peaking (uno per il medio alti è l’altro per il
medio bassi) dotati addirittura di tre controlli: il gain, la
frequenza d’intervento e la campionatura (ossia la
possibilità di allargare o restringere la banda d’intervento
del filtro).Infine un passa bassi ed un passa alti con
frequenza d’intervento selezionabile. Un equalizzatore di
questo tipo da moltissime possibilità in più al tecnico di
lavorare sul suono di ogni singolo strumento per creare
mix complessi e ben suonanti. Questo tipo di
equalizzatore viene definito come equalizzatore
“parametrico”. Un altro tipo di equalizzatore molto
conosciuto è l’equalizzatore “grafico”. L’equalizzatore
grafico non è altro che un insieme di filtri Peaking,
ognuno dei quali si occupa di un pezzetto di spettro del
segnale, la cui unica regolazione disponibile è quella
relativa all’entità dell’intervento (gain). Questi filtri si
incontrano tipicamente nei concerti come moduli esterni
al mixer. Solitamente vengono utilizzati tra l’uscita del
mixer e il sistema di amplificazione (sia esso il sistema di
amplificazione principale che un sistema ti ascolto
ausiliario dedicato ai singoli musicisti sul palco -spie-).

Lo scopo con il quale è stato concepito questo


equalizzatore è quello di aiutare a ritrovare la risposta in
frequenza di un sistema di amplificazione il più neutra
possibile adattandone la sonorità all’ambiente in cui
l’impianto suona: un impianto di diffusione da concerto
montato in un palazzetto, a causa dell’influenza acustica
dell’ambiente, restituirà un segnale carico di alti. Allo
stesso modo è impensabile ritenere che una cassa monitor
posizionata su un pavimento di cemento oppure sopra il
palco di un teatro restituisca la stessa sonorità: è proprio
l’ambiente stesso che condiziona la risposta in frequenza
del sistema di amplificazione poiché, alle nostre orecchie,
giungono componenti sonore sia dirette (quelle che dal
cono dello speaker che colpiscono direttamente le nostre
orecchie) che indirette (tutte quelle riflessioni acustiche
che si generano quando sono presenti delle superfici su
cui il suono rimbalza). L’utilizzo corretto
dell’equalizzatore grafico è perciò quello di restituire una
risposta in frequenza lineare al sistema di amplificazione
inserito in un contesto acustico. Spesso però mi è capitato
di vedere alcuni fonici, poco preparati, utilizzare questo
equalizzatore per cercare di sopprimere i feedback (i tipici
fischi che si sentono nei concerti dovuti all’interazione del
microfono col sistema di amplificazione). Sebbene
apparentemente questo sia un utilizzo scontato di questo
equalizzatore, dovrebbe far riflettere il fatto che non
esistano dei veri e propri controlli di gestione delle
frequenze di intervento e della campionatura. In altre
parole ogni singolo filtro opera solamente in una certa
porzione di audio in maniera prestabilita. Se l’esigenza
del fonico è quella di andare a caccia dei famosi fischi che
si avvertono sul palcoscenico lo strumento corretto è
l’equalizzatore parametrico, che consente una maggior
precisione nell’individuazione e nella soppressione del
problema feedbeck a fronte di una quasi inalterata risposta
in frequenza sul resto del segnale trattato. Gli
equalizzatori grafici sono gli stessi, come concetto, che
ritroviamo sui tipici impianti audio casalinghi… Questi
sono solamente principali tipi di equalizzatore ma
ovviamente nel mondo reale, e specialmente nel software,
esiste ogni tipo di combinazione di filtri radunati in
un’unica entità denominata equalizzatore. Nella prossima
lezione ci avventureremo alla scoperta del mixer e del suo
utilizzo.
Lezione 7: il mixer
Ciao a tutti coloro che desiderano, nel loro intimo,
diventare parte attiva all’interno della produzione
musicale ed in special modo a tutti coloro che sognano di
diventare tecnici del suono e respirare così l’aria e
l’energia musicale che solo il lavoro durante una
produzione audio sa regalare. Tra le varie lezioni del
corso del tecnico del suono questa credo che sia una delle
più importanti: fino ad adesso abbiamo parlato di molte
cose ma abbiamo girato attorno ad un argomento
fondamentale per ogni tecnico del suono, sia esso un
tecnico di mixaggio, sia esso un operatore teatrale, sia
esso un fonico da concerto o da broadcast.

L’argomento di oggi è … il mixer!

Il mixer è lo strumento del tecnico del suono per


eccellenza. Un tecnico del suono senza mixer è un po’
come un panettiere senza il forno. Il mixer può
notoriamente avere le più svariate dimensioni,
caratteristiche tecniche, può essere hardware o software,
può essere un mixer digitale o analogico, può avere
quattro canali o 72, non importa: lo scopo del mixer è
sempre uno e cioè quello di raggruppare molti i segnali
audio che giungono in ingresso in pochi segnali audio
in uscita.

Come già detto esistono moltissimi modelli di mixer.


Ogni disciplina musicale richiede, in teoria, un certo tipo
di macchina: ad esempio il fonico Front Of House
(F.O.H), che nei concerti ha il compito di effettuare il
mixaggio in modo che il pubblico dell’evento sia
gratificato, avrà bisogno di un certo tipo di mixer, il
fonico “da palco”, impegnato per garantire il massimo
confort di ascolto ai musicisti sul palco, avrà bisogno di
un’altra tipologia di macchina, in studio di registrazione
sarà necessario un tipo di mixer dedicato, con tante uscite
quante sono le tracce simultaneamente registrabili, ecc…
Ad ogni disciplina il suo mixer. Sì, sì, lo so a che cosa stai
pensando… ci sono passato anch’io… il mixer che ho in
sala prove che tipo di mixer è? È un mixer da live,
progettato con un concetto identico con il quale è stato
progettato il mixer da live più grande del mondo anche se
in scala ridotta, con possibilità di impiego limitatissime,
pochi canali, qualitativamente inferiore, ecc… ma il
concetto non cambia: è un mixer progettato per fare in
modo che i segnali provenienti dai microfoni sul palco
vengano mischiati assieme ed indirizzati verso gli
amplificatori e le casse. C’è però qualcosa di molto
profondo che lega i mixer di qualsiasi genere, categoria e
costo, siano essi analogici, digitali o software:
l’architettura primordiale del mixer che ora andiamo a
vedere. Prima di entrare nel vivo del discorso è necessario
esplicitare che per mixer analogico si intende un mixer
costruito con dei componenti elettronici come
condensatori, switch, resistenze, potenziometri,
collegamenti elettrici, ecc.; per mixer digitale intendiamo
uno scatolotto con la forma di un mixer le cui funzioni
vengono svolte non tanto da componentistica elettronica,
quanto dai calcoli di un computer ad esso integrato: certo,
i feders solitamente sono ben visibili, ma i controlli di
ogni singolo canale, tra cui equalizzazione è mandate
ausiliarie sono spesso accessibili solo attraverso un
display e dei menù tipici delle macchine digitali; per
mixer software si intende invece il mixer presente
all’interno del sequenze che utilizzi per registrare la tua
musica e che, a ben guardare, non è altro che
l’emulazione di un mixer fisico progettato per essere
impiegato in studio di registrazione.

Tutti gli esempi che faremo si riferiranno al tipico mixer


analogico da live dove è più facile individuare a colpo
d’occhio i parametri ed i controlli che citeremo: tieni a
mente inoltre che le medesime funzioni di mixer
analogico vengono svolte egregiamente anche da mixer
digitale, la differenza, in prima analisi, è solo questione di
interfaccia. Dunque, iniziamo… L’architettura del
Mixer Qualsiasi mixer è dotato di un certo numero di
canali in ingresso e di un certo numero di uscite dalle
quali è possibile far uscire un mixaggio dedicato:
tipicamente, in un mixer da sala prove, sono presenti due
uscite denominate L ed R concepite per essere collegate
all’impianto principale di diffusione e, tipicamente,
quattro uscite ausiliarie denominate Aux (altre
caratteristiche sono spesso integrate nei mixer
professionali, come ad esempio i gruppi audio e le
matrici, ma in questo articolo non ne parleremo).
Leggendo il mixer come un reticolato di battaglia navale
si ha subito il polso della situazione: scorrendo con
l’indice tutti potenziometri ed i componenti presenti su
ogni singolo canale, prima o poi si incontreranno i
potenziometri dedicati alle uscite ausiliarie ed il fader.
Questi controlli sono il cuore del mixer: sono infatti
dei”volumi” dedicati ognuno ad un’uscita diversa fisica,
dotata di connettore. Per renderci conto delle impostazioni
relative alle uscite il nostro indice dovrà scorrere in
orizzontale sul pannello dei controlli. Per esempio,
analizzando il canale della voce del cantante, attraverso il
mixer è possibile far uscire il segnale della sua voce con
un certo livello dalle uscite principali e con altri livelli
completamente diversi e scorrelati alle uscite ausiliarie. A
cosa possa servire tutta questa serie di uscite lo può
decidere solo l’operatore volta per volta: il mixer è uno
strumento e, a saperlo utilizzare bene, ci si fa davvero
quello che si vuole, anche i caffè! Ad esempio è possibile
utilizzare le uscite principali al fine di collegarle ad un
sistema di amplificazione, ma anche al fine di collegarle
ad un sistema di registrazione… le uscite ausiliarie
vengono tipicamente utilizzate per inviare mix diversi da
quello che esce sull’impianto principale agli ascolti dei
musicisti (spie, cuffie) oppure per effettuare i processing
di colore, ma su questo ci ritorniamo tra un po’. Ti è mai
capitato di dover utilizzare, o di pensare di dover
utilizzare, due microfoni sulla stessa sorgente sonora, uno
per la diffusione sonora ed uno per la registrazione? Non
sarebbe più comodo trovare un modo per utilizzare un
unico microfono ed indirizzare il segnale su due
apparecchi diversi?

Capito questo del mixer hai capito il 90% delle sue


funzioni: il mixer è come un’architettura di tubi, molto
simile ad una fognatura, che ti consente di mandare acqua
da una serie di tombini ad una serie di scarichi. Ora che
padroneggi il concetto di mixer possiamo entrare più nel
dettaglio sulle singole funzioni che si vengono a trovare
nella maggior parte dei mixer. Al solito, quest’articolo
non intende essere esaustivo: basti pensare che nel corso
per tecnico del suono di ScuolaSuono.it vengono
condensate in due ore di video molto dettagliato quello
che io ho imparato in 3 settimane di corso… come ho
fatto? Ho eliminato le sbavature, sono andato al sodo, ho
creato un video didattico molto approfondito che spiega
passo passo tutti i componenti del mixer, il loro utilizzo e
la logica costruttiva che ne sta dietro. Quello che dicono i
miei allievi è che, dopo aver studiato quella lezione, il
mixer non ha quasi più segreti per loro: ciò che non è
stato esplicitamente spiegato all’interno di quel
videotutorial riescono facilmente a ricavarlo con un
rapidissimo sguardo al manuale di istruzioni. Cercherò
pertanto di essere il più specifico possibile per quanto mi
sia concesso in questa circostanza… Infatti, il secondo
concetto fondamentale che bisogna tener presente quando
si vede per la prima volta un mixer è il fatto che esso è
diviso in due sezioni principali: la sezione di controlli
dedicati ai segnali in ingresso (i singoli canali) e quella
dedicata ai segnali in uscita (parte master). La sezione di
ingresso è relativa al controllo ed alla manipolazione di
ogni singolo canale che entra nel mixer; la parte master è
quella dedicata ai controlli deputati alle uscite del banco
come ad esempio i livelli generali. In ogni singolo canale
tipico di un mixer analogico troveremo: il connettore
d’ingresso a cui connettere lo “spinotto” del cavo di
segnale (xlr o jack), la sezione di preamplificazione
deputata all’adattamento del livello generale del segnale
d’ingresso affinché possa essere ben “digerito” dai
componenti del mixer che risiedono a valle, la sezione di
equalizzazione, l’insert, e cioè le connessioni necessarie a
far uscire il segnale del canale ai fini di processarlo con
un processore di segnale esterno al mixer per poi farlo
rientrare nella medesima posizione, i controlli per le
mandate ausiliarie, il panpot o potenziometro panoramico
che ti permette i dosare la differenza di livello tra le uscite
L ed R (ad esempio nel caso in cui decidiamo di far
suonare la chitarra a destra ed il pianoforte a sinistra), il
pulsante di “mute” atto a disattivare il canale sulle uscite
principali, il pulsante “solo” che consente all’operatore di
poter ascoltare il risultato di un unico canale senza dover
necessariamente escludere col pulsante mute tutti gli altri
canali ed infine il tipico fader per la regolazione del
livello di uscita del singolo strumento nel balance
generale. Dando per scontato che, sezione di
preamplificazione ed equalizzatore siano argomenti che
puoi approfondire negli altri articoli di questo corso per
tecnico del suono gratuito o nelle risorse consigliate ad
esso annesse, prendiamo in esame i rimanenti
componenti.

INSERT
Partiamo con l’insert: viene definito insert la coppia di
connessioni (uno in uscita e l’altra in rientro) che
permettono al segnale che transita attraverso un canale del
mixer di uscire per essere processato da un processore
esterno (come ad esempio un compressore, un
equalizzatore più qualitativo rispetto quello del canale del
banco, altri processori di dinamica in genere). La funzione
dell’insert è perciò quella di aumentare il numero di
processori su alcuni canali. Non avrebbe senso infatti
creare dei mixer completi di compressore, gate, limiter,
eccetera per ogni canale perché, mentre l’equalizzatore è
uno strumento che si utilizza nel 90% dei casi per
ritoccare il segnale microfonico o per effettuare scelte
artistiche all’interno del mixaggio, gli altri processori di
dinamica non sempre vengono utilizzati. Sarebbe perciò
uno spreco di risorse, sia in termini costruttivi che
economici, dotare un mixer di una vasta gamma di
processori di dinamica per ogni canale, senza contare il
fatto che, a livello ergonomico, diventerebbe ingestibile.
Ha invece molto più senso dare la possibilità al fonico di
inserire una catena di effetti esterna al mixer dedicata al
processing di un singolo canale. Se ad esempio la voce
del cantante o la chitarra del chitarrista sono gli strumenti
principali di una situazione musicale, potrebbe essere
necessario utilizzare dell’estetistica di elevata qualità per
far risaltare questi strumenti all’interno del mixaggio; non
sempre però la catena effetti necessaria è la stessa e
dunque, sapere di poter prelevare il segnale, farci un po’
quello che ci pare, per poi reinserirlo nello stesso punto
del mixer, per poi poter essere utilizzato sia nelle uscite
principali che nelle uscite ausiliarie, ci dà la possibilità di
scelta migliore per ogni singola situazione sonora. Come
forse avrai notato, parlando di insert, non ho mai
menzionato alcun processing di colore ma solamente
processing dedicati al cambio dei connotati del segnale,
ossia processori di dinamica. Per riprendere quello che è
stato già detto in un altro articolo, desidero ricordare che
le elaborazioni di colore vengono effettuate per
aggiungere un ambiente o una suggestione ad un segnale
audio già tecnicamente ed artisticamente trattato, con la
risposta frequenza è la gamma dinamica necessaria per
risiedere correttamente all’interno del mix. Difficilmente
perciò ti capiterà di trovare un riverberatore o un della
utilizzato in insert, anche se ciò tecnicamente sarebbe
possibile. Il concetto è questo: prendiamo ad esempio un
processore di riverbero (ma la considerazione che segue si
applica a qualsiasi altro processore di colore); utilizzando
gli insert, se io volessi attribuire una certa dose di
spazialità a quattro strumenti differenti all’interno di un
mixaggio (ad esempio voce, chitarra elettrica, chitarra
acustica e tastiere) necessità dei di quattro differenti
processori ognuno dei quali dovrebbe essere inserito
nell’inserto del rispettivo canale che si vuol processare.
Questo risulta essere un metodo molto dispendioso è poco
pratico anche perché, ammesso e non concesso che non vi
siano limitazioni di budget e quindi che vi possiate
permettere qualsiasi processore desideriate, resta il fatto
che durante il concerto o durante il mixaggio dovrete
provvedere a quattro differenti regolazioni nel medesimo
istante su 4 differenti riverberatori. Se lo scopo però
risulta essere quello di ricreare in maniera artificiale una
connotazione spaziale degli strumenti, e perciò farli
suonare, tutti nella stessa stanza, avrebbe molto più senso
poter utilizzare un unico riverberatoore che, in maniera
univoca, si occupi di emulare un ambiente e trovare un
modo, sfruttando le caratteristiche del mixer, di far
arrivare all’ingresso del processore il segnale di tutti e
quattro gli strumenti. Il metodo “furbo “per effettuare
questa operazione è, come avrei potuto immaginare,
sfruttare le mandate ausiliarie. Come già detto le mandate
ausiliarie consentono di effettuare un mixaggio differente
rispetto al mixaggio che viene inviato al sistema di
amplificazione principale: sarà perciò agevolmente
possibile, utilizzando i potenziometri dedicati ad una
mandata ausiliaria (ad esempio mandate ausiliarie 2) di
ogni singolo canale creare un mixaggio contenente i
quattro segnali che vogliamo processare, collegare l’uscita
della mandata ausiliaria al processore di segnale ed infine
collegare l’uscita del riverberatore (con il controllo mix
impostato a 100% Wet) nuovamente in ingresso al mixer
su un nuovo canale. Per riassumere, la situazione è
questa: chitarra acustica, elettrica, voce e tastiere hanno
ognuna un canale dedicato chi viene mixato in direzione
delle uscite principali. Inoltre, però ognuno di questi
canali, viene utilizzato il potenziometro della mandata
ausiliaria 2 per creare un nuovo mixaggio, indipendente
da quello chi viene inviato alle uscite principali, da
trasmettere al riverberatore. Il riverberatore effettua il
processing del segnale mixato attraverso la mandata
ausiliaria 2, l’uscita del processore (in pratica la risposta
acustica della stanza emulata) viene è ricollegata al mixer
attraverso un quinto canale il quale verrà mixato assieme
ai quattro canali iniziali sulle uscite principali. Capisci
bene che, in questa configurazione, il rapporto segnale
diretto / segnale riverberato potrà ad esempio essere
modificato attraverso il fader del canale di ritorno del
segnale processato dal riverberatore (abbassandolo infatti,
il riverbero complessivo diminuirà e dunque il controllo
mix presente sul processore, ideato per modificare il
rapproto segnale diretto / segnale riverbereto, non servirà
effettivamente più); inoltre i potenziometri nei singoli
canali relativi alla mandata ausiliaria 2 avranno il compito
di determinare il rapporto segnale diretto / segnale
riverberato dei singoli strumenti (vale dire che, se ritengo
necessario che il segnale di voce risulti essere meno
riverberato rispetto al segnale di chitarra acustica, il
potenziometro della mandata ausiliaria 2 del canale della
chitarra acustica presenterà un livello di apertura più
elevato rispetto a quello della voce).

SOLO AFL, PFL ED IN PLACE

Un altro importante aspetto sul quale desidero


soffermarmi prima di concludere questo articolo è il
discorso degli ascolti in “solo”. A seconda delle
impostazioni del mixer e della sua progettazione esistono
diverse modalità di “solo”.

PFL (pre fader listening): all’operatore viene data la


possibilità di ascoltare il segnale del singolo canale prima
dell’intervento del fader; questa impostazione è utile per
effettuare un controllo sonoro sui singoli strumenti o
canali.
AFL(afte fader listening): all’operatore viene data la
possibilità di ascoltare un mixaggio parziale dei canali
tenendo conto della regolazione relativa dei faders (ad
esempio ascoltare la somma ed il bilanciamento di tutti i
canali relativi alla batteria).

Solitamente la modalità di solo è selezionabile nella parte


master della consolle; inoltre c’è da dire che, in queste
modalità di solo, l’intero mixer continua a funzionare per
come è stato impostato e nessun segnale direzionato verso
uscite ausiliarie o principali viene interrotto. Azionando
un pulsante “solo” su uno o più canali i segnali verranno
inoltrati verso un’ulteriore uscita (una sorta di uscita
ausiliaria dedicata) o verso la tipica uscita cuffie di cui
ogni banco è provvisto. In entrambi i casi è possibile
ottenere un segnale composto dai singoli segnali dei
singoli canali mescolati tra di loro ma, solo nel caso
dell’ascolto di tipo AFL questo mixaggio ha senso poiché
la “regolazione relativa” dei faders viene tenuta in
considerazione; in caso di PFL la somma viene effettuata
utilizzando il livello di segnale prima dell’intervento del
fader e dunque il bilanciamento viene completamente
stravolto. Probabilmente a questo punto potrebbe risultare
superflua ai tuoi occhi la modalità di solo PFL: tuttavia
bisogna tenere in considerazione che, nel caso in cui il
tecnico del suono decidesse di voler effettuare un ascolto
di controllo di un singolo canale che, all’interno del
mixaggio complessivo, viene mantenuto ad un livello
molto basso rispetto agli altri strumenti (ad esempio il
canale relativo al microfono di una corista), e
considerando che la posizione del fader si riflette
nell’ascolto AFL, egli sarebbe costretto in modalità AFL
ad aumentare pesantemente il livello dell’uscita cuffie per
compensare il deficit di livello. Viceversa, in modalità
PFL, il fonico potrà mantenere invariato il livello
dell’uscita cuffie a beneficio di una maggior fluidità e
rapidità nelle operazioni di missaggio. Tipicamente, in
fase di concerto, il fonico si avvale con frequenza della
scelta AFL/PFL utilizzando l’apposto switch allocato
nella parte master della consolle.

Solo in Place:

quest’ultima modalità è presente solamente in banchi


molto prestigiosi da live o in consolle dedicate al lavoro
in studio (ed ovviamente nei sequencer audio atti alla
registrazione e mixaggio professionale). Questo tipo di
modalità funziona in questo modo: una volta attivato il
pulsante di “solo” su un canale tutti gli altri canali
vengono disattivati ed i loro segnali non raggiungono più
le uscite principali del banco. Questa impostazione risulta
essere particolarmente utile quando è necessario ascoltare
sul sistema d’ascolto principale l’effettiva sonorità di un
singolo canale corredato di effetti di colore; è
l’impostazione più utilizzata durante il lavoro in studio di
registrazione e risulta essere particolarmente utile in
grosse situazioni live (ovviamente solo durante il sound-
check, prima che il concerto abbia effettivamente inizio).

Concludendo, possiamo dire che, conoscendo queste


informazioni di base ed integrandole con una conoscenza
approfondita del mixer come quella che ci si può fare
all’interno del corso per tecnico del suono di
ScuolaSuono.it, hai la possibilità di lavorare in maniera
professionale sfruttando al massimo le potenzialità del
mixer che hai a disposizione: non conoscere questi
dettagli è muovere le mani a casaccio sui controlli di un
mixer non ti aiuterà ad acquisire professionalità e
sicurezza poiché i risultati che ne otterrai difficilmente
saranno ripetibili se ottenuti per caso. Ora hai tutte le
informazioni necessarie, a mio avviso, per iniziare a
documentarti da solo su procedure, tecniche,
strumentazione e modalità operative relative al lavoro del
tecnico del suono. Inutile dire che personalmente avrei
piacere di incontrarti all’interno del mio corso per tecnico
del suono avanzato. Se così non fosse, ti auguro in ogni
caso buona musica, buon recording, e soprattutto che tu,
come i miei allievi, prima o poi, possa godere appieno
dell’aria e dell’energia musicale che viene a crearsi
durante le sessioni di produzione musicale: sono
sensazioni indescrivibili a parole; risuonare assieme ai
desideri artistici di altri musicisti nella creazione di
materiale musicale emozionante è una delle più belle
opportunità che, a mio avviso, ti possano capitare nel
mondo della musica, e per un tecnico del suono le
occasioni di respirare quest’aria sono davvero molte.

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