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Edizione 110 del 25-05-2007

Conflitti d’interesse

Visco e coop rosse, uno scandalo


di Rodolfo Ridolfi

Nel mio libro “Le coop rosse” ho scritto nel primo capitolo (Da Togliatti all’Unipol) a
pagina 48 “…Su Fassino e Consorte non sono uscite altre intercettazioni; né è
trapelato alcunché sulle telefonate tra Consorte e D'Alema, ammesse da quest'ultimo.
Consorte non è stato sottoposto agli arresti domiciliari - che, si sa, sovente sciolgono
la lingua - per "motivi di salute". E quando la sinistra è arrivata al governo, il
viceministro Vincenzo Visco, che ha la delega per la Guardia di Finanza, ha subito
disposto il trasferimento d'ufficio e d'urgenza di tutti i vertici della Guardia di Finanza
lombarda, che, guarda caso, avevano indagato su Unipol. Insomma, chi tocca i fili...
Nel luglio del 2006 Vincenzo Visco con arroganza fece pressioni sul comandante
generale della Guardia di Finanza, Roberto Speciale, affinché azzerasse senza
motivazioni l’intero vertice della GdF della Lombardia. Ufficiali impegnati in indagini
come quelle sulla scalata a Bnl da parte di Unipol e coop rosse.

Visco aprì quindi una crisi istituzionale con il vertice del Corpo militare, arrivando a
pronunciare un’oscura minaccia al comandante generale. La mette a verbale lo stesso
Speciale: “Visco mi disse - ha dichiarato nell’interrogatorio reso all’avvocato generale
Manuela Romei Pasetti - che se non avessi ottemperato a queste direttive erano
chiare le conseguenze cui sarei andato incontro”. Il caso-Visco "testimonia l’arroganza
di questa sinistra", ha affermato Silvio Berlusconi parlando con i giornalisti a Lucca.
Come dargli torto! Il comportamento di Visco è scandaloso ed è inaccettabile che un
viceministro abusi del suo ruolo per insabbiare un’inchiesta che investe il suo partito.
Il Giornale ha fatto bene a diffondere i documenti, perché la verità non è ciò che
conviene al Partito. Esiste un evidente conflitto di interessi tra grandi cooperative
rosse, PCI-PDS-DS-PARTITO DEMOCRATICO, Governo Prodi e mondo dell’alta
finanzia: la sinistra finge di non vedere.

Dopo la vicenda Unipol e quella italo-lussemburghese del tesoretto di oltre trenta


milioni di euro che ha visto protagonista la Coopservice di Reggio Emilia attraverso il
suo presidente, tocca ora a Coopsette attraverso il presidente Donato Fontanesi (nato
a Castelfranco di sotto Reggio Emilia il 30/01/1943), in predicato di essere uno dei
consiglieri del potentissimo gruppo bancario che nascerà dalla fusione fra Unicredit
Banca e Capitalia, issare la bandiera rossa del PCI-PDS-DS attraverso la presunta
rappresentanza di tutti i soci che lavorano nella coop, che già oggi rappresenta nel
Cda di Finecobank, la banca on line controllata da Capitalia. La Lega delle coop rosse,
ma soprattutto D’Alema, Fassino e Bersani, non è che sono ossessionati dall’”abbiamo
una banca”, di “consortiana memoria”, e sperano finalmente di avere una grande
banca insieme a Romano Prodi? Poletti e Cattabiani, questa volta, rifletteranno sul
fatto che tra il principio della mutualità cooperativa, prevista dall’art.45 della
Costituzione, e gli obbiettivi di speculazione-finanziaria di Coopsette, all’interno del
nuovo colosso bancario, c’è un evidente contrasto?

Come da tempo puntualmente sosteniamo ecco un altro macroscopico esempio del più
grande conflitto di interesse dell’Italia del dopoguerra, altro che quello di Berlusconi! A
quando nuove leggi affinché Coopsette, Coopservice ed altri colossi, impropriamente
cooperativi, siano trattati come Società per Azioni e siano trattate fiscalmente allo
stesso modo di tutte le altre imprese private lucrative e speculative. Nel libro le coop
rosse il capitolo VI è dedicato ad Hera spa e affermo “Numerosi politici, studiosi e
giornalisti, da anni denunciano come il sistema delle partecipazioni locali rappresenti
un vero e proprio freno alle autentiche liberalizzazione dei servizi, configurando di
fatto un monopolio ed un blocco alla libera concorrenza. Questo fenomeno è diffuso a
tal punto da provocare un forte dissenso che si esprime da tempo con numerose
iniziative di cittadini e associazioni dei consumatori, con interpellanze e interrogazioni
nel Parlamento, nella Regione Emilia-Romagna, nei Comuni e nelle Province dove
opera Hera Spa.

I fatti di questi giorni confermano e rafforzano quanto già ampiamente dimostrato


Infatti i 22 milioni di euro di multa dovuti da Hera spa al fisco, a causa dell’ingiunzione
dell’Ue per le agevolazioni concesse nel triennio 1996/99, sono il risultato dell’assoluta
incapacità dei sindaci dei Comuni soci, che hanno accettato passivamente il ruolo di
essere telecomandati per inseguire il business su servizi essenziali”. “Da anni, e in
particolare da quando la Consob nel 2002 lanciava i suoi segnali di avvertimento, era
già chiaro che sarebbe finita esattamente come sta finendo: con un danno di
proporzioni gigantesche per le tasche dei cittadini, costretti a pagare per l’insipienza
dei loro primi cittadini e la spregiudicatezza di consulenti e dirigenti di Hera, per di più
profumatamente pagati”. “Ora, però, ci aspettiamo un soprassalto di dignità da parte
dei sindaci. Facciano valere il loro 57% di quote azionarie per convocare l’assemblea
di Hera spa e propongano che i primi 22 milioni di euro di utili vengano destinati a
pagare la multa al fisco.

Sarebbe il minimo per tentare di mettere una pezza a un’operazione disastrosa”. “Non
solo Se fossero amministratori con un briciolo di rispetto per i loro amministrati,
dovrebbero sentire il dovere di chiedere il risarcimento dei danni ai consulenti e ai
dirigenti di Hera spa, diretti responsabili della multa da 22 milioni di euro”. Se non
fossero così pervicacemente incollati alla poltrona dovrebbero liberare le Istituzioni
dalla loro imbarazzante presenza, ma così non sarà e soltanto una sonora bocciatura
elettorale, quando sarà, potrà restituirci fiducia e serenità in un futuro di verità e di
libertà. Comunque bei compagni alle coop e ad Hera!

Visco minacciò il generale, ecco i testimoni. E


l'Unione ha paura
di Gianluigi Nuzzi - venerdì 25 maggio 2007, 08:50
Sibila. La voce baritonale di Vincenzo Visco si trasforma in una lama
tagliente. A fatica il viceministro dell’Economia argina la rabbia contro il
comandante generale della Guardia di finanza Roberto Speciale, dall’altra
parte del telefono. Quello Speciale reo di aver più volte disobbedito agli
ordini di mandare via i comandanti di Milano, ordini ripetuti e impartiti
dal «super generale» Visco. È il 17 luglio del 2006, passate da poco le
9.26. E il viceministro non ci vede più. Accuse e minacce. Senza sapere
che la conversazione telefonica avviene di fronte a ben due testimoni,
ufficiali di prestigio delle Fiamme gialle, che osservano, sentono,
assistono. Visco non si ferma. Accusa esplicitamente Speciale «di non
aver rispettato alcuna regola deontologica non avendo dato esecuzione
istantenea (sic!) a quanto ordinato». Ovvero rimuovere tutti a Milano ad
eccezione del comandante interregionale.
Ancora, impone a Speciale di riunirsi «subito con i generali Pappa e
Favaro per dare a quegli ordini esecuzione immediata e di concordare
con loro una risposta da dare alla Procura di Milano». Infine la (velata)
minaccia: «Se non avessi ottemperato - parole di Speciale - a queste
direttive mi disse che erano chiare le conseguenze cui sarei andato
incontro». Bisognava obbedire alle disposizioni, anche se andavano
contro i regolamenti?
Di lì a poco Speciale prenderà un aereo militare atterrando a Linate.
Deve essere sentito alle 16.10 dall’avvocato generale della procura
Manuela Romei Pasetti. Che vuole sapere cosa sta succedendo visto che i
magistrati rischiano di ritrovarsi decapitata la Finanza a Milano. E
Speciale riferisce anche l’incredibile conversazione avuta nella mattinata
proprio con l’autorità politica. Oggi la posizione di quei due testimoni è
fondamentale nella ricostruzione. Quei due ufficiali infatti vengono
indicati ai magistrati dallo stesso comandante: «L’intera conversazione
telefonica è avvenuta alla presenza del colonnello Carbone e del
maggiore Cosentino». Dal comando generale filtra l’indiscrezione che i
due ufficiali abbiano distintamente udito le parole del viceministro, i suoi
ordini, i suoi avvertimenti, grazie al viva voce dell’apparecchio telefonico
utilizzato dal comandante Speciale. Carbone e Consentino non sono stati
sentiti da alcuna autorità giudiziaria sugli ordini di Visco. Ma il fatto che
Speciale li indichi, lui per primo, come testi, fa presupporre che la
ricostruzione del comandante generale sia vera. E questo porta a
rileggere e con attenzione anche la parte successiva dell’interrogatorio.
Quando Speciale mette a verbale la risposta che diede a Visco. Ovvero
che «l’osservanza delle regole è stata da sempre il faro della mia vita e
di non poter assecondare pertanto queste sue ultime richieste».Significa
semplicemente che Visco aveva ordinato a Speciale, minacciandolo, di
agire contro le regole. E infatti se avesse dato «esecuzione immediata»
ai trasferimenti sarebbe fuori, al di là delle regole. Per questo Speciale
mette sul tavolo l’ultima carta e minaccia le dimissioni. Di fronte a due
testimoni. Testi anch’essi ufficiali e conosciuti nella Gdf per la serietà e
gli encomi ricevuti nella loro carriera. Carbone, tra l’altro, era stato fino a
pochi mesi prima comandante provinciale a Milano. Carbone e Cosentino
ascoltano quindi senza fiatare. Si trovano di fronte a uno scontro
istituzionale tra il loro numero uno e un politico che chiede, pretende,
ordina, avverte, sollecita, allude. Insomma, prevarica. E l’altro che cerca
di tenere la barra al centro, di far rispettare le prerogative, di proteggere
l’autonomia della sua funzione. Tanto che davanti all’Avvocato generale
snocciola con precisione al minuto, tutte le pressioni ricevute, le parole
udite, i solleciti subiti, le ingerenze sventate.
gianluigi.nuzzi@ilgiornale

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