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[Storia e Politica]

Bettino Craxi

Tangentopoli che cosa resterà, di Piero Ostellino


dal Corriere della Sera 21 gennaio 2010

Craxi il solo ad aver detto a un Paese politicamente incolto che l’etica della responsabilità è etica
della Politica

Erano stati sufficienti pochi mesi per processare e condannare Bettino Craxi. Ci sono voluti 15 anni per
assolvere gli ex parlamentari pugliesi del Psi, Rino Formica, e della Dc, Vito Lattanzio, nel frattempo
politicamente bruciati. Se questo è il senso politico di Tangentopoli non c’è di che compiacersene.

Il decennale della scomparsa del segretario del Psi era una buona occasione per riflettere sul sistema
politico che ha governato l’Italia dalla proclamazione della Repubblica e sui suoi rapporti col sistema
economico; per chiedersi se —al riparo di pur legittime inchieste sulla corruzione— non si sia perpetrato
un ricambio per via giudiziaria della classe politica, che ha tenuto fuori il Pci dal finanziamento irregolare
sovietico e illecito tangentizio e alcuni settori della grande industria da Tangentopoli; per interrogarsi se
oggi la corruzione politico-amministrativa non sia maggiore di prima. Ma politici, intellettuali e giornalisti
hanno ridotto la questione a una polemica sull’opportunità di dedicare a Craxi una via di Milano, mentre
Antonio Di Pietro—un ex poliziotto che s’è costruito una discutibile carriera politica come ex magistrato
di Mani pulite, e con l’aiuto elettorale del Pci (la candidatura al Mugello)—continua a processarlo
invocandone la decapitazione anche da morto. Ma che cosa è stata Tangentopoli? Ha scritto Guido Carli:
«Se oggi volessimo ripercorrere la genesi di Tangentopoli, verremmo a scoprire probabilmente che mano a
mano che la Cee si andava dotando di strumenti per individuare e colpire il "protezionismo interno", la
risposta del sistema consisteva nell’estensione a macchia d’olio della collusione con il mondo politico
attraverso lo sviluppo delle tangenti (...) I "lacci e lacciuoli" che imbrigliavano la libera espressione delle
forze dell’invenzione e dell’intelligenza non erano soltanto esterni, ma soprattutto interni, e si celavano
nell’occulto di bilanci non trasparenti». Come presidente degli industriali, Carli si era proposto di adottare
uno «Statuto dell’impresa» con lo scopo di «isolare e poi scindere l’attività autenticamente imprenditoriale
da quella che veniva mantenuta in vita soltanto grazie al contributo, diretto o indiretto, dello Stato». Ma (in
Confindustria) «tutti, all’unanimità, rigettarono quel progetto, che venne accantonato» (Guido Carli,
«Cinquant’anni di vita italiana», Laterza, 1993).

Giorgio Fedel ha curato la pubblicazione dei discorsi di tre leader di epoche diverse con l’intento di
verificare empiricamente come essi si erano assunta la responsabilità delle conseguenze dell’agire politico
(«Tre discorsi politici – Frammenti di etica della responsabilità», Rubbettino). Uno dei tre è il discorso
pronunciato da Bettino Craxi alla Camera dei deputati, il 3 luglio 1992, mentre sta esplodendo
Tangentopoli. Sullo sfondo ci sono il crollo dell’Unione Sovietica, la fine del bipolarismo internazionale
(Usa-Urss) e interno (Dc-Pci), la prospettiva di un nuovo e più competitivo sistema politico. È da quel
discorso che il mondo della politica avrebbe dovuto ripartire per correggere le distorsioni
dell’interpretazione criminosa di Tangentopoli e prendere atto dei limiti e delle ambiguità della soluzione
giudiziaria di Mani pulite. Di fronte alla convenienza di tutte le forze politiche— come poi sarebbe
accaduto, abdicando alla propria funzione e delegando alla magistratura di risolvere la crisi—il segretario
del Psi si affida, innanzi tutto, al giudizio di realtà: «... ciò che bisogna dire, e che tutti sanno benissimo, è
che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale». Quindi, esplicita il suo pensiero. Poiché
lo facevano tutti, Tangentopoli non era un caso giudiziario, ma politico. Dice: «Se gran parte di questa
materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un
sistema criminale». Fa appello, infine, all’etica della responsabilità: «Un finanziamento irregolare o
illegale al sistema politico, per quante reazioni e giudizi negativi possa comportare e per quante
degenerazioni possa aver generato, non è e non può essere considerato un esplosivo per far saltare un
sistema, per delegittimare una classe politica, per creare un clima nel quale di certo non possono nascere né
le correzioni che si impongono né un’opera di risanamento efficace, ma solo la disgregazione e
l’avventura».

L’appello non è stato colto, per opportunismo e per viltà, ieri; non è colto, per conformismo e per
incultura, oggi. Così si accreditano due pregiudizi che ancora avvelenano la vita del Paese. Il primo, che
dalla nascita della Repubblica l’Italia sia stata governata da mariuoli e che il solo partito immune da
responsabilità politiche, e giudiziarie, fosse il Pci che traeva i propri finanziamenti dall’Urss, nemica del
sistema di alleanze internazionali dell’Italia. Il secondo pregiudizio è che la magistratura possa risolvere un
problema che è solo politico: quello dei costi, e del finanziamento, della politica, cioè dei rapporti fra
società civile e società politica in un sistema di mercato e capitalistico. Che lo dica Di Pietro che l’Italia è
stata governata per anni, e ancora lo è, da mariuoli è nella logica della sua vocazione anti-politica. Che con
questo falso storico, e al di fuori di ogni senso comune, non abbia ancora fatto i conti la sinistra post-
comunista, è un vizio che le ha impedito di capire le ragioni della nascita del fenomeno Berlusconi e la
espone, oggi, ai rozzi ricatti di Di Pietro. Bettino Craxi rimane il solo ad aver detto a un Paese
politicamente incolto che l’etica della responsabilità è l’etica della Politica; che ad essa partiti e uomini
politici dovrebbero far riferimento; che il problema dei costi, e del finanziamento, della politica non lo si
risolve sbandierando il giustizialismo in Parlamento e nelle aule dei Tribunali

Piero Ostellino

La cruna dell'ago. Craxi, il partito socialista e la crisi della Repubblica

'introduzione

La cruna dell’ago è una strettoia sottilissima che va attraversata per passare


da una parte all’altra. È la metafora di una transizione difficile, anzi
impossibile, dal vecchio sistema politico immobile e agonizzante a un
nuovo sistema dinamico e moderno, in grado di aderire ai bisogni, alle
istanze e ai valori della società italiana che via via ha cambiato volto
rispetto al lontano passato quando è stata fondata la Repubblica. L’esaurirsi
di ogni spinta vitale si percepisce già nel Parlamento della VII Legislatura
(1976-1979), che non riesce più a esprimere un governo se non nella
formula consociativa dell’accordo anomalo maggioranza- opposizione;
un’alleanza compatibile con le regole della democrazia solo se finalizzata a
un impegno rifondativo delle istituzioni. Il che appunto non avviene. Il
compromesso storico Dc-Pci, mirato alla conservazione di un esistente
Colarizi, S. Gervasoni, minacciato dalle emergenze della crisi economica e del terrorismo, non è il
M. veicolo adatto per passare attraverso la cruna dell’ago che, dopo il 1979, si
Titolo: La cruna fa ancora più stretta mentre più urgente diventa la necessità del
dell'ago. Craxi, il partito rinnovamento.
socialista e la crisi della
Repubblica Né il ritorno al centrosinistra, in versione aggiornata, si rivela uno
strumento capace di forzare il collo dell’imbuto, che anzi viene del tutto
2005, pp. 306, 18,00 ostruito da una presenza dei partiti persino più incombente di prima.
Euro Proprio la sensazione del crescente distacco tra governati e governanti
ISBN: 88-420-7790-9 spinge la partitocrazia a occupare ogni spazio possibile, nell’illusione di
compensare in termini di potere la perdita di consenso. La transizione
sembra finalmente a portata di mano nel 1989, quando il tramonto della
guerra fredda elimina l’ostacolo più massiccio che bloccava il sistema.
L’onda d’urto non si abbatte però solo sul Pci; si rovescia su tutti i partiti,
troppo invecchiati e screditati agli occhi del paese per mantenere il
controllo di un processo diventato improvvisamente tumultuoso. La cruna
dell’ago si è spezzata; ma a questa metafora andrebbe adesso sostituita
quella di una vecchia diga lesionata che cede di colpo, rovesciando a valle
un fiume d’acqua destinato a tutto travolgere.

Negli ultimi quindici anni di vita della prima Repubblica il partito


socialista gioca un ruolo centrale, anche perché più lucidamente degli altri
intuisce la fragilità dell’intero edificio istituzionale fondato sui partiti,
ormai incapaci di misurarsi con la modernizzazione. Questo protagonismo,
inusitato per una forza intermedia nello schema bipolare, si spiega
paradossalmente proprio con la marginalità del Psi, che lo costringe fin
dagli anni Settanta a uscire dal suo stato di passività per ricavarsi spazi di
azione autonoma, sempre più ridotti nella morsa del compromesso storico.
La riflessione su quali strade percorrere per raggiungere questo obiettivo
comporta un impegno di analisi e di comprensione del nuovo, carente
invece negli altri partiti che sopravvalutano la solidità dei loro ben più
numerosi consensi. Se non si tiene conto dell’importanza di questa
elaborazione intellettuale, si rischia di stravolgere il significato della
battaglia politica del Psi. Fino al 1990, passando per il seminario di Trevi
del 1977 e per le due Conferenze di Rimini del 1982 e, appunto, del 1990,
il partito socialista si alimenta del contributo dei ‘chierici’, anche se il
divario tra teoria e prassi sembra spesso incolmabile.

Lo spazio che si è voluto dare in questo libro al dibattito tra gli intellettuali
di area socialista sull’ideologia, sul partito, sulle istituzioni, è a nostro
avviso indispensabile per comprendere l’ascesa dei socialisti e, in
particolare, del nuovo leader Bettino Craxi, che ha il merito di usare a
larghe mani il bagaglio di conoscenze messe a sua disposizione per
proporsi come la personalità più innovativa e moderna nel quadro politico
italiano in evidente declino. Stesso rilievo abbiamo attribuito ad altri temi
quali la personalizzazione della leadership, la politica spettacolo e le nuove
modalità di comunicazione politica che la rivoluzione dei media sta
producendo anche in Italia, con un certo ritardo rispetto a fenomeni già
diffusi nelle democrazie occidentali avanzate. Anche in questo caso, il Psi
di Craxi manifesta una ben maggiore rapidità nel cogliere queste tendenze
e nel servirsene per imporsi agli alleati e agli avversari come interlocutore
determinante, ben al di là del suo peso elettorale che si incrementa fino al
termine degli anni Ottanta, ma rimane sempre inferiore alle aspettative.
Tanta vitalità si riversa in un progetto strategico mirato a trasformare il
vecchio sistema, che Craxi si illude di riuscire a traghettare verso la
seconda Repubblica. Una transizione indolore rispetto a quella traumatica
che si inaugura invece con la distruzione nell’arco di una sola Legislatura,
la XI (1992-1994), di tutti i partiti storici, dal Pci alla Dc, al Pli, al Pri, al
Psdi e appunto al Psi. A far fallire questo disegno contribuiscono diversi
fattori, non ultimo l’insufficiente forza elettorale del Psi che resta
largamente inferiore alle due grandi organizzazioni di massa, pur indebolite
da una progressiva emorragia di voti. Il ruolo pilota che si attribuiscono i
socialisti non viene riconosciuto dal paese, dove sale un’ondata
contestativa verso la società politica destinata a esplodere nel 1991 quando
si celebra il primo referendum elettorale. Proprio la condizione di minorità
spinge il Psi a giocare l’intera partita dentro il governo, una coalizione di
pentapartito che riesuma la formula del centrosinistra, già logora nei primi
anni Settanta. Rispetto al passato, però, nel 1980 Craxi punta a sostituire la
Dc nella direzione dell’esecutivo, così da compensare in termini di potere
quanto il Psi non riesce a ottenere in voti. Ma la veste di capo
dell’esecutivo non basta ad assicurargli l’autorità e la libertà di manovra
per riformare l’intero sistema; anzi, le modalità che lo portano a forzare gli
equilibri consolidati tra i partiti e ad allargare la sfera di influenza del Psi
sono tali da renderlo agli occhi dei cittadini il campione della vecchia
partitocrazia. L’eccesso di politicismo, quasi una visione giacobina della
politica, porta i socialisti a chiudersi all’interno dei Palazzi nella
convinzione di dirigere dall’alto un processo che prescinde dal
coinvolgimento della società civile, matura, democratica, moderna,
tendente ad autogovernarsi e critica nei confronti della pervasività
opprimente dello Stato partitico, come ripetono gli intellettuali del Psi. La
contraddizione è evidente perché Craxi cerca di passare attraverso la cruna
dell’ago servendosi degli strumenti che in realtà la ostruiscono.

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