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Vincenzo Varlaro
Docente di Medicina Estetica
nel Master Universitario di II livello di Medicina Estetica
della Facoltà di Medicina e Chirurgia
dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.
Docente di Biochimica Applicata
nella Scuola Internazionale di Medicina Estetica
della Fondazione Internazionale Fatebenefratelli di Roma
Via Grazia Deledda, 81 – 00137 Roma – Tel.: 0774.324317 – 349.3131350
vincenzovarlaro@virgilio.it
GENERALITA’
Fig. 1
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BREVE STORIA
Il termine “carbossiterapia” venne introdotto da Luigi Parassoni nel 1995, in occasione del XVI
Congresso Nazionale di Medicina Estetica di Roma organizzato dalla Società Italiana di Medicina
Estetica.
Negli anni 20, a Parigi, vennero effettuate le prime somministrazioni di anidride carbonica per via
sottocutanea. Lo scopo iniziale delle somministrazioni sottocutanee di CO2 fù quello di valutarne
l’innocuità.
Nel 1932, presso la stazione termale di Royat (Clermont Ferrand), in Francia, si iniziò ad iniettare
anidride carbonica per via sottocutanea per sfruttarne gli effetti farmacologici.
Nel 1964, in Italia, venne pubblicato da A. Re, professore presso la scuola di specializzazione di
Idroclimatologia Medica e Clinica Termale dell'Università degli Studi di Pavia un testo: “La cura
termale nelle malattie cardiovascolari”. In tale pubblicazione venne fatto riferimento all’importanza
della terapia con anidride carbonica nelle arteriopatie organiche e funzionali. Con la sua
pubblicazione A. Re è stato il primo ad introdurre in Italia l’idea dell’impiego della CO2 nella
terapia medica.
Nel 1984 L. Parassoni, nel corso di un viaggio a Clermont Ferrand, in Francia, venne a conoscenza
delle metodiche adottate presso la stazione termale di Royat.
Nel 1986 L. Parassoni, con la collaborazione di A. Re, progettò e fece costruire un’apparecchiatura
in grado di erogare anidride carbonica.
Nel 1992 E. Belotti e M. De Bernardi pubblicarono sulla rivista “La Medicina Estetica” l’articolo:
“Utilizzazione di CO2 termale nella pannicolopatia edematofibrosclerotica (PEFS)”.
Nel 1994, in occasione del XVII Congresso Nazionale della Società Italiana per lo Studio della
Microcircolazione di Firenze, venne presentato da S.B. Curri e collaboratori il lavoro: “Effetti sulla
microcircolazione cutanea della inoculazione sottocutanea di CO2”.
Nel 1995, in occasione del XVI Congresso Nazionale di Medicina Estetica di Roma, organizzato
dalla Società Italiana di Medicina Estetica, V. Varlaro, L. Parassoni, C. A. Bartoletti presentarono il
lavoro: “La carbossiterapia nella PEFS e nell'adiposità localizzata”.
Nel 1997, in occasione del XVIII Congresso Nazionale di Medicina Estetica di Roma, organizzato
dalla Società Italiana di Medicina Estetica, F. Albergati, L. Parassoni, P. Lattarulo, V. Varlaro, S.B.
Curri presentarono il lavoro: “Carbossiterapia e vasomotion: comparazione tra immagini
videocapillaroscopiche e referti laser doppler flow dopo somministrazione di CO2”.
Nel 1997, in occasione del XVIII Congresso Nazionale di Medicina Estetica di Roma, organizzato
dalla Società Italiana di Medicina Estetica, L. Parassoni, F. Albergati, V. Varlaro, S.B. Curri
presentarono il lavoro: “La carbossiterapia: attualità in tema di meccanismi d’azione”.
Nel 1997 venne fondata la Società Italiana di Carbossiterapia.
Nel 2001, presso la cattedra di Chirurgia Plastica dell’Università degli Studi di Siena diretta dal
prof. C. D’Aniello, venne istituito un corso di formazione in carbossiterapia.
ELEMENTI DI EMODINAMICA
Fig. 2
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Fig. 3
5
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SISTEMA
NERVOSO
SIMPATICO
FATTORI
LOCALI
Fig. 4
• l’apporto di ossigeno;
• l’apporto di nutrienti (glucosio, aminoacidi, acidi grassi,…);
• la rimozione di CO2 dai tessuti;
• il mantenimento di un’appropriata concentrazione di svariati ioni nei
tessuti;
• il trasporto di diversi ormoni e di altre specifiche sostanze ai diversi
tessuti.
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ANIDRIDE CARBONICA
ADENOSINA
COMPOSTI DI ADENOSINA
FOSFATI
venule
ISTAMINA
IONI POTASSIO
IONI IDROGENO
ACIDO LATTICO
Fig. 5
LA VASOMOTION
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LA REGOLAZIONE A BREVE TERMINE DEL FLUSSO
EMATICO TESSUTALE LOCALE
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• la teoria della richiesta di ossigeno.
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La teoria della richiesta di ossigeno
La teoria della vasodilatazione è accettata dalla gran parte dei fisiologi.
Tuttavia altri sostengono un’altra teoria: quella della richiesta di ossigeno,
oppure, quella definita più specificatamente: la teoria della richiesta dei
nutrienti (perché probabilmente, oltre all’ossigeno, molti altri fattori
nutrizionali sono coinvolti nella regolazione del flusso ematico tessutale
locale).
L’ossigeno (così come altre sostanze nutrizionali) è richiesto per
mantenere la muscolatura liscia dei vasi arteriosi in stato di contrattura.
Pertanto, in assenza di un adeguato apporto di ossigeno (e di altre sostanze
nutrizionali) è ragionevole pensare che i vasi arteriosi tendano
spontaneamente a dilatarsi. Inoltre, un aumento della utilizzazione
dell’ossigeno nei tessuti, come si verifica nei casi di un aumento del
metabolismo, potrebbe, teoricamente, fare diminuire la disponibilità di
ossigeno per le fibrocellule muscolari lisce dei vasi sanguigni arteriosi
locali causando una vasodilatazione arteriosa locale.
Angiogenesi vera
Il termine angiogenesi significa sviluppo di nuovi vasi sanguigni.
L’angiogenesi si verifica principalmente in risposta alla presenza di fattori
angiogenetici rilasciati da:
• tessuti ischemici;
• tessuti in crescita rapida;
• tessuti con livelli metabolici eccessivamente alti.
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• i fattori di crescita delle cellule endoteliali;
• i fattori di crescita dei fibroblasti;
• l’angiogenina.
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Inoltre il grado di vascolarizzazione di un tessuto può aumentare o
diminuire in virtù delle necessità metaboliche del tessuto stesso.
Se il metabolismo tessutale aumenta (e aumenta la produzione di CO2) si
verifica un incremento della vascolarizzazione tessutale mentre se il
metabolismo tessutale diminuisce (e diminuisce la produzione di CO2) si
verifica una riduzione della vascolarizzazione tessutale.
Insomma si verifica una ristrutturazione della vascolarizzazione
microcircolatoria tessutale secondo le necessità metaboliche del
tessuto.
Si parla di angiogenesi vera per distinguerla dalla angiogenesi falsa.
Angiogenesi falsa
Quella della angiogenesi falsa è una teoria di Curri. Secondo tale studioso
della microcircolazione la CO2 favorirebbe l’aumento del letto vascolare
della microcircolazione tessutale promovendo la ricanalizzazione di
capillari virtuali. La angiogenesi falsa non verrebbe indotta direttamente
dalla CO2 ma sarebbe la conseguenza dell’aumento del flusso ematico
tessutale locale. Si parla di angiogenesi falsa perché aumenterebbe l’entità
del letto vascolare della microcircolazione tessutale non per una
angiogenesi vera indotta dai fattori di crescita delle cellule endoteliali, dai
fattori di crescita dei fibroblasti, dall’angiogenina, bensì, per una
canalizzazione di capillari virtuali.
• sia di una angiogenesi vera indotta dai fattori di crescita delle cellule
endoteliali, dai fattori di crescita dei fibroblasti, dall’angiogenina;
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GLI EFFETTI DELLA CARBOSSITERAPIA SULLA
MICROCIRCOLAZIONE
Fig. 6
Fig. 7
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Fig. 8
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ARTERIOLE
METARTERIOLE
VIS
A
TERGO
Fig. 9
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L’aumento della velocità e della entità del flusso ematico tessutale locale è
stato osservato mediante videocapillaroscopia a sonda ottica (VCSO) e
rilevato mediante Laser Doppler Flow da Curri e altri autori.
L’aumento della entità del letto vascolare della microcircolazione tessutale
è stato dimostrato in animali da esperimento (rana, cane) da diversi autori.
Iniettando CO2 nei tessuti per via sottocutanea o esponendo i tessuti ad
ambienti ricchi in CO2 (bagni carbogassosi, docce carbogassose) si verifica
un aumento del flusso ematico tessutale locale ed un aumento della entità
del letto vascolare della microcircolazione tessutale:
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CARBOSSITERAPIA
VIS
A
TERGO
Fig. 10
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Fig. 11
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GLI EFFETTI DELLA CO2 SUI MECCANISMI CHE REGOLANO
A LUNGO TERMINE IL FLUSSO EMATICO TESSUTALE
LOCALE
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Fig. 12 Trasporto dell’anidride carbonica nel sangue.
Una piccola frazione di CO2 presente nel plasma (il 7% di tutta l’anidride
carbonica trasportata) viene trasportata ai polmoni sotto forma di gas
disciolto in soluzione.
Una parte della CO2 disciolta nel sangue reagisce con l’acqua per formare
acido carbonico: CO2+H2Og H2CO3. Questa reazione sarebbe così lenta
da non essere di alcuna importanza se non fosse che all’interno dei globuli
rossi è presente un enzima denominato anidrasi carbonica che catalizza la
reazione tra l’anidride carbonica e l’acqua aumentando la velocità di tale
reazione di 5000 volte. Invece di richiedere molti secondi o addirittura
alcuni minuti, come accade nel plasma, nei globuli rossi la reazione
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avviene così rapidamente da raggiungere lo stato di equilibrio in una
frazione di secondo. Ciò permette a grandi quantità di anidride carbonica
di reagire con l’acqua contenuta nei globuli rossi ancor prima che il
sangue abbia lasciato il capillare. In un’altra frazione di secondo l’acido
carbonico formatosi nei globuli rossi si dissocia in ioni idrogeno e ioni
bicarbonato: H2CO3g H++HCO3-. Molti degli ioni idrogeno (H+), poi, si
combinano con l’emoglobina nei globuli rossi in quanto l’emoglobina
stessa si combina con un potente tampone acido-base (Figg. 13, 14).
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Molti ioni bicarbonato (HCO3-) diffondono dai globuli rossi nel plasma,
mentre ioni cloro (Cl-) vi si sostituiscono spostandosi nei globuli rossi. Ciò
è reso possibile dalla presenza, nella membrana cellulare dell’eritrocita, di
una speciale proteina di trasporto degli ioni cloro e bicarbonato che
promuove il rapido scambio tra i due ioni che si muovono in direzioni
opposte. Pertanto il contenuto di ioni cloro negli eritrociti del sangue
venoso è maggiore di quello presente nei globuli rossi del sangue
arterioso: questo fenomeno prende il nome di scambio dei cloruri.
Il legame reversibile dell’anidride carbonica con l’acqua negli eritrociti, in
seguito all’intervento dell’anidrasi carbonica, è responsabile di circa il
70% del trasporto dell’anidride carbonica dai tessuti ai polmoni. E’ questo
il meccanismo di trasporto della CO2 più importante tra quelli utilizzati
dall’organismo.
Se si somministra ad un animale da esperimento un inibitore dell’anidrasi
carbonica, quale per esempio l’acetazolamide, allo scopo di bloccare negli
eritrociti l’azione dell’anidrasi carbonica, il trasporto dell’anidride
carbonica dai tessuti si riduce così tanto che la PCO2 tessutale può
aumentare fino a raggiungere il valore di 80 mmHg, invece dei normali 45
mmHg.
Oltre che combinarsi con l’acqua, l’anidride carbonica reagisce anche con
i radicali amminici delle molecole dell’emoglobina formando
carbaminoemoglobina (CO2Hgb). Si tratta di un legame reversibile e di
debole intensità che permette all’anidride carbonica di essere facilmente
rilasciata negli alveoli polmonari, dove la PCO2 è più bassa che nei
capillari tessutali.
Una piccola quantità di anidride carbonica reagisce con le proteine
plasmatiche con le stesse modalità con cui reagisce con l’emoglobina. La
quantità teorica di anidride carbonica che può essere trasportata dai tessuti
ai polmoni in combinazione con l’emoglobina e con le proteine
plasmatiche è pari a circa il 30%. Tuttavia il legame dell’anidride
carbonica con le proteine plasmatiche si verifica più lentamente della
reazione tra l’anidride carbonica e l’acqua catalizzata dall’anidrasi
carbonica negli eritrociti per cui è dubbio che questo meccanismo possa
concorrere al trasporto dell’anidride carbonica per più del 20% del totale.
L’acido carbonico che si forma quando l’anidride carbonica entra nei
capillari dei tessuti fa diminuire il pH del sangue. Tuttavia, la reazione di
questo acido con i sistemi tampone impedisce che la concentrazione degli
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idrogenioni aumenti in modo eccessivo facendo diminuire troppo il pH del
sangue.
LE INDICAZIONI CLINICHE
ANGIOLOGIA
Fig. 15
MEDICINA ESTETICA
Cellulite
Smagliature
Fig. 16
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REUMATOLOGIA
Fig. 17
DERMATOLOGIA
Psoriasi
Fig. 18
LE CONTROINDICAZIONI
CONTROINDICAZIONI
Tab. 19
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Per ipercapnia si intende un eccesso di anidride carbonica nei liquidi
corporei (acidosi).
Gli organi che provvedono alla eliminazione della CO2 e degli idrogenioni
(H+) dall’organismo sono i polmoni e i reni. Una compromissione grave di
tali organi (una insufficienza respiratoria cronica grave, una insufficienza
renale cronica grave) può determinare la comparsa di una situazione di
ipercapnia. Nella insufficienza cardiaca cronica grave si ha un
rallentamento importante del flusso ematico che determina una
diminuzione della quantità di anidride carbonica che può essere rimossa
dai tessuti. L’insufficienza cardiaca cronica grave rappresenta una
condizione fisiopatologica che può indurre una possibile situazione di
ipercapnia.
Si comprende facilmente perché è bene non effettuare la carbossiterapia a
soggetti interessati da una situazione di insufficienza respiratoria cronica
grave, di insufficienza renale cronica grave, di insufficienza cardiaca
cronica grave.
Una terapia con acetazolamide, diclofenamide o con altri inibitori
dell’anidrasi carbonica potrebbe indurre, nei trattamenti prolungati, la
comparsa di una situazione di ipercapnia (acidosi) perché verrebbe meno,
a livello eritrocitario, la coniugazione rapida dell’anidride carbonica con
l’acqua per formare acido carbonico, coniugazione catalizzata dall’enzima
anidrasi carbonica. Con una inibizione dell’anidrasi carbonica si
interferisce con uno dei meccanismi principali attraverso cui la CO2 viene
trasportata nel sangue per potere, poi, essere eliminata a livello degli
alveoli polmonari e a livello renale. Si comprende facilmente perché è
bene non associare la carbossiterapia ad una terapia con acetazolamide,
diclofenamide o con altri inibitori dell’anidrasi carbonica.
Altra controindicazione è l’anemia grave. Nel caso di un’anemia grave si
avrebbero due situazioni deficitarie nel meccanismo di eliminazione della
CO2: quella relativa alla coniugazione della CO2 con l’acqua a formare
acido carbonico operata dall’anidrasi carbonica eritrocitaria e quella
relativa all’emoglobina.
Una situazione di anemia grave significa un deficit eritrocitario grave e, di
conseguenza, un deficit importante del meccanismo principale attraverso
cui la CO2 viene trasportata nel sangue per potere, poi, essere eliminata a
livello degli alveoli polmonari e a livello renale.
Una situazione di anemia grave significa, inoltre, un deficit importante in
emoglobina. Un deficit grave in emoglobina comporta quote ridotte di
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proteincarbaminati per cui viene meno anche l’altro meccanismo
eritrocitario che permette il legame e, quindi, il trasporto della CO2 nel
sangue e la sua conseguente eliminazione polmonare e renale.
Se alla difficoltà di eliminare la CO2 tessutale intrinseca in una situazione
di anemia grave sommiamo un intervento terapeutico mediante
carbossiterapia diventa facile prevedere che si possa verificare una
situazione di ipercapnia (acidosi).
L’insufficienza epatica cronica grave rappresenta un’altra
controindicazione. Nella insufficienza epatica cronica grave si verifica una
deficitaria produzione delle proteine plasmatiche con possibili deficit dei
proteincarbaminati. Per l’insufficienza epatica cronica grave vale lo stesso
discorso effettuato per l’anemia grave a proposito di deficit di
proteincarbaminati.
Altre controindicazioni sono da correlare ai possibili effetti cellulari e
sistemici dell’acidosi (Fig. 20) e ai deficit di trasporto locale di O2 per
alterazioni circolatorie (Fig. 21).
Fig. 20
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DEFICIT DI TRASPORTO LOCALE DI OSSIGENO
PER ALTERAZIONI CIRCOLATORIE
Trombosi arteriose
Tromboflebiti
Flebotrombosi
Embolie
Fig. 21
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LA CARBOSSITERAPIA NEL TRATTAMENTO DELLA
CELLULITE
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Fig. 22 Effetto Bohr ed effetto Haldane.
Attivazione recettoriale
L’attivazione recettoriale è legata all’iperdistensione dei tessuti
sottocutanei operata dall’anidride carbonica iniettata. Tale effetto non è,
chiaramente, CO2-dipendente; infatti vale per qualsiasi altro gas che viene
iniettato nel sottocutaneo e che ha la capacità di distendere i tessuti.
Nel sottocutaneo si trovano degli esterocettori specifici:
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rilascio dell’O2 dall’emoglobina è detto effetto Bohr, da Christian Bohr, un
fisiologo danese, che lo scoprì (Fig. 22).
L’effetto Bohr è il risultato di un equilibrio che coinvolge non solo
l’ossigeno ligante ma anche altri due liganti che possono essere legati
dall’emoglobina: l’H+ e la CO2. La reazione è: Hb+O2D HbO2.
Questa reazione è, però, incompleta. Considerando l’effetto delle
concentrazioni di H+ sul legame dell’ossigeno da parte dell’emoglobina
possiamo, così, riscrivere la reazione: HHb++O2D HbO2+H+ dove HHb+
denota una forma protonata di emoglobina. Questa reazione ci dice che la
curva di saturazione di ossigeno dell’emoglobina è influenzata dalla
concentrazione degli idrogenioni H+. Sia l’O2 che l’H+ sono legati
dall’emoglobina ma in modo inverso. Quando la concentrazione di
ossigeno è alta, come nei polmoni, esso sarà legato dall’emoglobina e gli
idrogenioni H+ saranno rilasciati. Quando la concentrazione di ossigeno è
bassa, come nei tessuti, sarà legato l’idrogenione H+. Comunque l’O2 e
l’H+ non sono legati nell’emoglobina agli stessi siti. L’ossigeno è legato
agli atomi di ferro dell’eme mentre l’H+ è legato ai gruppi R dei residui di
istidina 146 nelle catene beta e ad altri due residui nelle catene alfa. La
CO2 si lega al legame amminico all’estremità aminoterminale di ciascuna
delle quattro catene polipeptidiche dell’emoglobina formando
carbaminoemoglobina. Ad alte concentrazioni di CO2, come avviene nei
tessuti, alcune molecole di CO2 sono legate all’emoglobina e l’affinità per
l’O2 diminuisce per cui si verifica il suo rilascio. Viceversa, quando l’O2
viene legato nei polmoni l’affinità dell’emoglobina per la CO2 diminuisce,
per cui si verifica la sua eliminazione. Quindi la curva di saturazione di
ossigeno dell’emoglobina è influenzata sia dal pH, sia dalla
concentrazione di CO2. Questa relazione inversa tra il legame dell’O2 da
una parte ed il legame di H+ e CO2 dall’altra è molto vantaggiosa per
l’organismo. L’effetto Bohr è un effetto essenziale per la vita.
Maggiore e’ la pressione parziale dell'ossigeno maggiore è la percentuale
di saturazione dell'emoglobina in ossigeno.
Maggiore è la pressione parziale dell'anidride carbonica maggiore è la
percentuale di saturazione dell'emoglobina in anidride carbonica.
Maggiore è la pressione parziale dell'ossigeno maggiore è l’affinità
dell’emoglobina per l’ossigeno.
Maggiore è la pressione parziale dell'anidride carbonica maggiore è
l’affinità dell’emoglobina per l’anidride carbonica.
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Nei tessuti, il pH basso e la concentrazione alta di CO2 tendono a
provocare il rilascio di O2 dall’emoglobina e nei polmoni, la
concentrazione alta di O2 tende a promuovere il rilascio di H+ e CO2.
Somministrando CO2 nei tessuti vengono amplificati, a livello distrettuale,
l’effetto Bohr e l’effetto Haldane. La somministrazione di CO2 nel
sottocutaneo determina un abbassamento del pH ed un innalzamento della
concentrazione della CO2 con, quindi, aumentato rilascio di O2 da parte
dell’emoglobina. Aumentato rilascio di O2 da parte dell’emoglobina che
significa aumentata biodisponibilità di O2 per i tessuti e, quindi, aumentata
biodisponibilità di O2 per i processi catabolici ossidativi degli acidi grassi.
Il legame dell’ossigeno con l’emoglobina tende ad eliminare la CO2 dal
sangue. Questo è noto come effetto Haldane (Fig. 22).
L’effetto Haldane è dovuto al fatto che il legame dell’ossigeno con
l’emoglobina nei polmoni rende l’emoglobina più acida, e ciò, fa spostare
l’anidride carbonica dal sangue e ne facilita l’eliminazione alveolare con
due meccanismi:
Nei capillari dei tessuti l’effetto Haldane causa una maggiore assunzione
di anidride carbonica da parte dell’emoglobina in seguito allo
spiazzamento dell’ossigeno dall’emoglobina.
Nei capillari dei polmoni l’effetto Haldane determina una maggiore
liberazione di anidride carbonica dall’emoglobina per il legame
dell’ossigeno con l’emoglobina (Fig. 22).
LE TECNICHE DI SOMMINISTRAZIONE
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• percutanea;
• iniettiva.
La somministrazione percutanea
La somministrazione percutanea di CO2 prevede diverse metodiche:
• bagni;
• docce di gas secco.
I bagni
I bagni possono essere di due tipi:
• di gas secco;
• di acqua carbonica.
I bagni di gas secco possono essere generali o parziali. I bagni di gas secco
generali prevedono che il paziente stia seduto o disteso su un lettino e
che venga inserito in un sacco di plastica stretto al torace o alla vita con
una chiusura ermetica. In tale sacco viene immessa CO2. Insomma gli arti
inferiori e la parte inferiore del corpo si trovano immersi in una atmosfera
satura in CO2. Un bagno di gas secco generale ha la durata, in media, di
20-30 minuti. Si effettuano trattamenti quotidiani per 20-30 giorni.
I bagni di gas secco parziali prevedono che sia solo l’estremo di un arto o
un arto intero ad essere inseriti in una sacca di plastica che viene, poi,
chiusa in modo ermetico a livello della regione prossimale dell’arto o del
segmento dell’arto interessato da problemi arteriosi organici o funzionali.
Quindi si immette la CO2 nel sacco.
I bagni di acqua carbonica si effettuano facendo immergere il paziente in
vasche contenenti acqua alla temperatura di 34° in cui viene fatta
gorgogliare CO2. I bagni di acqua carbonica hanno la durata, in media, di
20-30 minuti. Si effettuano cicli curativi di 20-30 giorni.
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• docce di gas secco puntiforme: si utilizza un tubicino con un foro
piccolissimo attraverso il quale passa la CO2. Tale metodica si adotta
per le piccole ulcere isolate.
• docce di gas secco loco-regionale: si utilizza una sorta di rampa
multiforata in cui si mette l'arto da trattare che viene, poi, coperto
con un telo e da un sacco di plastica.
Le iniezioni sottocutanee
L’iniezione sottocutanea è la tecnica più utilizzata. Mentre i bagni di gas
secco, i bagni in acqua carbonica, le docce di gas secco, le docce di acqua
carbonica sono metodiche curative termali, quella iniettiva è una metodica
curativa che può essere effettuata in un ambulatorio medico. Inizialmente,
per le somministrazioni sottocutanee, veniva utilizzato uno strumentario
spartano: una bombola di CO2 e una siringa. Oggi si possono utilizzare
apparecchiature sofisticate, degli erogatori elettronici che permettono non
solo di poter dosare l’anidride carbonica ma anche di poter assicurare al
gas un certo grado di purezza: una serie di filtri purificano la CO2 da
possibili contaminanti come, ad esempio, dalle spore di Clostridium
sporogenes. Il gas dosato da un apparecchio centrale e purificato da una
serie di filtri, arriva in un deflussore che termina con un ago 30 G da 13
mm. Mediante l’attivazione di tali apparecchiature sofisticate inizia
l’erogazione dell’anidride carbonica. Si lascia che il gas fuoriesca per
pochi secondi dall’ago in modo da avere la certezza che il condotto del
deflussore sia saturo in CO2 e, poi, si infigge l’ago stesso nel sottocutaneo
provocando un graduale enfisema sottocutaneo.
Una volta che la CO2 comincia a diffondere nel sottocutaneo si fissa l’ago
sulla pelle con un cerotto e si lascia che la diffusione sottocutanea,
attraverso percorsi virtuali, si realizzi fino alle quantità stabilite. La facilità
di diffusione dell’anidride carbonica nel sottocutaneo dipende dal grado di
lassità del tessuto sottocutaneo stesso per cui è variabile da soggetto a
soggetto.
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IL DOSAGGIO
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BIBLIOGRAFIA
1. ALBERGATI F., PARASSONI L., LATTARULO P., VARLARO V., CURRI S.B.:
Carbossiterapia e vasomotion: comparazione tra immagini videocapillaroscopiche e referti
doppler laser flow dopo somministrazione di anidride carbonica. Riv. La Medicina Estetica,
anno 21, n.1, gennaio-marzo 1997. Editrice Salus Internazionale, Roma.
2. BELOTTI E., DE BERNARDI M.: Utilizzazione della CO2 termale nella PEFS. Riv. La
Medicina Estetica, anno 16, n.1-2 gennaio-giugno 1992. Editrice Salus Internazionale,
Roma.
3. BRANDI C., GRIMALDI L., BOSI B., DEI I., MALATESTA: Il ruolo della
carbossiterapia come complemento alla lipoaspirazione. Riv. La Medicina Estetica, anno
26, n. 1, gennaio-marzo 2002. Editrice Salus Internazionale, Roma.
4. BRANDI C., BOSI B., D’ANIELLO C., STANGHELLINI E., ALESSANDRINI C.:
Carbossiterapia ed adiposità-Modello di valutazione clinico-strumentale-Dati preliminari.
Riv. La Medicina Estetica, anno 25, n. 1, gennaio-marzo 2001. Editrice Salus
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STUDI MEDICI DOVE SI EFFETTUA LA CARBOSSITERAPIA
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