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Osservazioni aggiuntive
1. Su giudizio, verità e proposizione
i. Il giudizio è l'atto del pensiero che si esprime verbalmente in un enunciato dichiarativo, il cui
contenuto logicoconcettuale è uno stato di cose (come si suol dire, un “fatto”), rappresentato in
una proposizione. Sono collegati qui quattro aspetti: l'aspetto psicologico, l'atto del pensiero;
l'aspetto logicosemantico, il contenuto oggettivo del giudizio; l'aspetto linguistico, l'espressione
verbale della proposizione; l'aspetto ontologico, lo stato di cose descritto.
ii. Un enunciato dichiarativo ha per contenuto una proposizione descrittiva di un possibile stato
di cose, e può essere affermativa o negativa, a seconda che il predicato sia attribuito o rimosso dal
soggetto (x è y; x non è y). Tuttavia, nel giudizio e nel suo proferimento in un'asserzione si dichiara
che il suo contenuto descrittivo, lo stato di cose che costituisce il senso della proposizione
espressa in un enunciato, è vero o falso, a seconda lo stato di cose sussista o non sussista. Perciò,
ogni proposizione, sia affermativa o negativa, è a sua volta oggetto di un'affermazione: quanto si
dice e si pensa (x è y; x non è y) in effetti sussiste e quindi, la rispettiva proposizione è vera.
Diversamente, un enunciato dichiarativo può essere destituito della sua apparente funzione
descrittiva; ad esempio, quando l'enunciato è citato come esempio grammaticale o quando è
proferito in un contesto comunicativo che non ha per scopo la trasmissione di informazioni
fattuali, come il teatro.
iii. La copula verbale “è” (e le relative flessioni temporali) è l'elemento determinante di un
enunciato dichiarativo poiché esprime le diverse funzioni logiche che lo costituiscono: 1) il
collegamento di due termini, secondo un nesso predicativo: il secondo termine determina il
primo, identificandone l'essenza o qualificandone le proprietà; 2) esprime l'esistenza, in assoluto o
in un tempo determinato; 3) esprime la funzione veritativa del giudizio e del relativo atto
assertorio: la congiunzione del soggetto e il predicato che rappresenta il sussistere di un fatto,
temporalmente determinato, “è” in quanto è vera: il fatto in effetti sussiste, così come si è pensato
e come si è detto.
2. Elementi della logica platonica
i. Nei primi dialoghi detti “socratici” e nel Sofista (230ad), Platone sembra attribuire a Socrate due
procedure logiche: la definizione e la confutazione per assurdo. Socrate dichiara la propria
ignoranza, quindi interpella quanti fanno mostra di sapere sollecitandoli alla definizione delle
espressioni che utilizzano per caratterizzare l'oggetto del loro presunto sapere (es. che cos'è il
santo, il giusto, etc.) e ne esamina la relativa coerenza. Il riscontro di contraddizioni dà luogo alla
confutazione dell'ipotesi di definizione assunta. La ricerca è condotta nella forma del dialogo,
scandito da domande e risposte che determinano via via una scelta tra i membri di una
disgiunzione.
ii. Nell'Eutidemo, è presentato un campionario esemplificativo dei paradossi sofistici, buona parte
dei quali fondati su ambiguità lessicali e sintattiche (“anfibolie”). Da notare però la rilevanza
teorica dei problemi di cui alcuni sofismi nella sezione centrale dei dialogo sono indizio
(283c285e; cfr. nn. 35, 7 del nostro schema), in larga parte riconducibili alle aporie dell'ontologia
eleatica. Platone si fa carico di questi problemi nei dialoghi più tardi, soprattutto nel Sofista.
i. Le definizioni sono distinguibili secondo due classificazioni differenti. La divisione in intensive
ed estensive riguarda le definizioni che insistono sul significato oggettivo dei termini: il contenuto
concettuale e il relativo oggetto di riferimento. Hanno come criterio normativo le proprietà e gli
oggetti che rappresentano. Perciò sono talora dette “reali” o “teoriche”, poiché appunto riguardano
la realtà stessa, oggetto della definizione. Le definizioni lessicali (o “nominali”) e stipulative, invece,
insistono sulla dimensione linguistica dei termini, la prima avendo come criterio normativo il
lessico di una lingua, mentre la seconda è vincolata a criteri regolativi come l'efficacia e la
coerenza (se definisco in maniera stipulativa un termine o un qualsiasi simbolo devo attenermi alla
definizione che ne ho dato). Un esempio per la prima è un'etimologia, un esempio per la seconda
è un codice di abbreviazioni in un libro.