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Lezione 10 (24­I)

Osservazioni aggiuntive

1. Su giudizio, verità e proposizione

i. Il giudizio è l'atto del pensiero che si esprime verbalmente in un enunciato dichiarativo, il cui  
contenuto logico­concettuale è uno stato di cose (come si suol dire, un “fatto”), rappresentato in 
una   proposizione.   Sono   collegati   qui   quattro   aspetti:   l'aspetto   psicologico,   l'atto   del   pensiero; 
l'aspetto logico­semantico, il contenuto oggettivo del giudizio; l'aspetto linguistico, l'espressione 
verbale della proposizione; l'aspetto ontologico, lo stato di cose descritto.

ii. Un enunciato dichiarativo ha per contenuto una proposizione descrittiva di un possibile stato 
di cose, e può essere affermativa o negativa, a seconda che il predicato sia attribuito o rimosso dal 
soggetto (x è y; x non è y). Tuttavia, nel giudizio e nel suo proferimento in un'asserzione si dichiara 
che  il   suo   contenuto   descrittivo,  lo   stato   di   cose   che   costituisce  il   senso   della   proposizione 
espressa in un enunciato, è vero o falso, a seconda lo stato di cose sussista o non sussista. Perciò, 
ogni proposizione, sia affermativa o negativa, è a sua volta oggetto di un'affermazione: quanto si 
dice e si pensa (x è y; x non è y) in effetti sussiste e quindi, la rispettiva proposizione  è vera. 
Diversamente,   un   enunciato   dichiarativo   può   essere   destituito   della   sua   apparente   funzione 
descrittiva;   ad   esempio,   quando   l'enunciato   è   citato   come   esempio   grammaticale   o   quando   è 
proferito   in   un   contesto   comunicativo   che   non   ha   per   scopo   la   trasmissione   di   informazioni 
fattuali, come il teatro.

iii.   La   copula   verbale   “è”   (e   le   relative   flessioni   temporali)   è   l'elemento   determinante   di   un 
enunciato   dichiarativo   poiché   esprime   le   diverse   funzioni   logiche   che   lo   costituiscono:   1)   il 
collegamento   di   due   termini,   secondo   un   nesso   predicativo:   il   secondo   termine   determina   il 
primo, identificandone l'essenza o qualificandone le proprietà; 2) esprime l'esistenza, in assoluto o 
in   un   tempo   determinato;   3)   esprime   la   funzione   veritativa   del   giudizio   e   del   relativo   atto 
assertorio: la congiunzione del soggetto e il predicato che rappresenta il sussistere di un fatto, 
temporalmente determinato, “è” in quanto è vera: il fatto in effetti sussiste, così come si è pensato 
e come si è detto.

2. Elementi della logica platonica

i. Nei primi dialoghi detti “socratici” e nel Sofista (230a­d), Platone sembra attribuire a Socrate due 
procedure   logiche:   la   definizione   e   la   confutazione   per   assurdo.   Socrate   dichiara   la   propria 
ignoranza,  quindi  interpella  quanti  fanno mostra  di  sapere  sollecitandoli  alla  definizione  delle 
espressioni che utilizzano per caratterizzare l'oggetto del loro presunto sapere (es.  che cos'è  il 
santo, il giusto, etc.) e ne esamina la relativa coerenza. Il riscontro di contraddizioni dà luogo alla 
confutazione dell'ipotesi di definizione assunta.  La ricerca  è condotta nella forma del dialogo, 
scandito  da   domande  e   risposte  che  determinano   via   via  una   scelta   tra  i   membri   di   una 
disgiunzione.

ii. Nell'Eutidemo, è presentato un campionario esemplificativo dei paradossi sofistici, buona parte 
dei   quali   fondati   su   ambiguità   lessicali   e   sintattiche   (“anfibolie”).  Da   notare   però   la   rilevanza 
teorica   dei   problemi   di   cui   alcuni   sofismi   nella   sezione   centrale   dei   dialogo   sono   indizio 
(283c­285e; cfr. nn. 3­5, 7 del nostro schema), in larga parte riconducibili alle aporie dell'ontologia 
eleatica. Platone si fa carico di questi problemi nei dialoghi più tardi, soprattutto nel Sofista.

ii. Il  Sofista  è, col  Parmenide, uno dei dialoghi più rilevanti di Platone in merito alle tematiche 


logiche;   soprattutto   sul   rapporto   tra   linguaggio,   pensiero   e   realtà   in   cui   consiste   il  logos.   In 
particolare: la  sintesi (sunagoghé) e  divisione  (diairesis)  come metodologia definitoria  (pp 2­3 del 
nostro schema); i significati dell'essere e del non essere, con particolare riguardo alla verità delle 
proposizioni   (tutta   la   sezione   centrale   del   dialogo);  l'analisi   della   struttura   predicativa  della 
proposizione e dei rispettivi elementi grammaticali (pp. 16, 21).
3. Chiarimento sulle definizioni

i. Le definizioni sono distinguibili secondo due classificazioni differenti. La divisione in intensive 
ed estensive riguarda le definizioni che insistono sul significato oggettivo dei termini: il contenuto 
concettuale e il relativo oggetto di riferimento. Hanno come criterio normativo le proprietà e gli 
oggetti che rappresentano. Perciò sono talora dette “reali” o “teoriche”, poiché appunto riguardano 
la realtà stessa, oggetto della definizione. Le definizioni lessicali (o “nominali”) e stipulative, invece, 
insistono sulla dimensione linguistica dei termini,  la prima avendo come criterio normativo il  
lessico   di   una   lingua,   mentre   la   seconda   è   vincolata   a   criteri   regolativi   come   l'efficacia   e   la 
coerenza (se definisco in maniera stipulativa un termine o un qualsiasi simbolo devo attenermi alla 
definizione che ne ho dato). Un esempio per la prima è un'etimologia, un esempio per la seconda 
è un codice di abbreviazioni in un libro.

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