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A.

Mercato del lavoro


B. Contratto di somministrazione
C. Ammortizzatori sociali

A. Mercato del lavoro:


Nel nostro ordinamento il tema del mercato del lavoro e la costruzione giuridica è un
problema. Non si tratta della disoccupazione, ma dal punto di vista del mercato (diritto,
regole che determinano il punto di incontro tra domanda e offerta cioè chi ha questo
compito).
Bisogna chiedersi quali sono le strutture che in Italia si occupano di questo. Il mercato del
lavoro risente di un approccio poco efficiente e burocratico.

Quali soggetti si occupano di questo? Agenzie per il lavoro. Da un lato centri per l’impiego
dall’altro le agenzie. Bisogna capire cosa fanno uno e l’altro e la suddivisione delle
competenze.

Perché in Italia ci sono così tanti problemi? Fino a pochi anni fa il nostro mercato del lavoro
era caratterizzato da tre grandi elementi ognuno dei quali è stato modificato nel corso del
tempo ma non basta una norma di legge per cambiare prassi di decenni, modi di lavorare..

Il legislatore deve intervenire di come si cerca e trova domanda e offerta di lavoro? Il


giurista risponde si partendo dalla costituzione, perché questa non detta solo principi e
diritti dei cittadini ma parla anche al legislatore, ci sono delle cose che non si possono non
fare perché lo dice la costituzione che è legge sovraordinata al legislatore. All’art. 4 della
costituzione si parla al legislatore ordinario e dice che la repubblica riconosce ai cittadini il
diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Il legislatore
prova a rispondere a questo input, diritto AL lavoro e qualcuno deve però promuovere le
condizioni che rendano effettivo questo diritto. Questo diritto è la repubblica.
In che rapporto sta la repubblica con lo stato?
L’attuale situazione del mercato del lavoro distingue tra soggetti diversi che formano la
repubblica. Lo stato centrale NON è la repubblica, questa è composta dallo stato centrale e
dalle autonomie locali (le regioni, che hanno una competenza legislativa).

Qual era la situazione fino a 15/20 anni fa (le cui conseguenze abbiamo anche oggi)?
1. C’era un monopolio pubblico nel match domanda offerta di lavoro, quindi vuol dire che i
soggetti detti primi (agenzie) in passato non esistevano.
2. C’era una gestione statale accentrata del mercato del lavoro. Non c’erano quindi i privati
ma dei soggetti pubblici che se ne occupavano solo uno, attraverso il ministero del lavoro e
le sedi decentrate, uffici del lavoro, nelle province. Uffici di collocamento provavano a
collocare, chi aspirava ai sensi dell’articolo 4, reclamava il diritto al lavoro. Quindi i
disoccupati venivano collocati.
3. La natura vincolistica delle norme dettate —> per cercare i lavoratori le aziende erano
obbligate a passare per quegli uffici, non si poteva assumere un disoccupato senza
rivolgersi all’ufficio del lavoro. questi uffici del lavoro gestivano le domande da un punto di
vista meramente burocratico, erano delle graduatorie nelle quali più che quello che un
soggetto sapeva fare e profilarlo secondo titolo di studio ed esperienza era solo
graduatoria per diritto amministrativo, quindi era una posizione più alta o meno in base a
elementi che trascendeva dalle competenze, come stato di famiglia (quanti più soggetti
facevano parte delle famiglia), gli altri redditi.. si usava la chiamata numerica io azienda che
volevo assumere un disoccupato all’ufficio del lavoro dicevo quanti operavi mi servivano e
per cosa e il mio compito finiva qui. Non assumevo scegliendo tra questi. Chiamata
numerica vuol dire che io ne chiedo 10 dicevo per cosa, job description e basta. Chi inviava
alla Fiat i 10 operai era ufficio di collocamento in base alla graduatoria. I primi 10 veniva
selezionati e davano il lavoro.
In un mercato del lavoro, meno complesso di quello attuale, era comunque un sistema che
era da sempre poco efficiente, il presupposto era la piena fungibilità dei lavoratori. Mi
basta averne 10 non mi interessa chi siano. Questo sistema così congegnato non poteva
durare, quindi continua a durare per tutti anni 90 ma con alcune deroghe così importanti
che il nesso tra regola generale ed eccezione era quasi ribaltato. Si passa alla chiamata
nominativa, però ancora il match domanda offerta passa per gli uffici dello stato, quindi
magari avveniva che magari il soggetto che doveva essere assunto veniva invitato a
iscriversi alla lista così che poi io datore di lavoro da li pescavo. Ma non aveva senso come
sistema.

Da questo allora come si arriva all’attuale competenza diffusa?


Partendo dal terzo punto elencato (natura vincolistica per cui il datore di lavoro deve passa
dall’ufficio di collocamento) da anni ormai, l’assunzione di un lavoratore da parte del
datore di lavoro è assolutamente libera o meglio non passa più neanche da alcune
procedure quasi veri e propri nulla osta che io dovevo richiedere sempre all’ufficio del
lavoro. Rimane una parte di burocrazia necessaria, successivamente all’assunzione,
comunicazioni uniche, ovviamente se io assumo un docente di diritto del lavoro non devo
andare all’ufficio di collocamento ma l’università quando mi assume avrà mandato la
comunicazione all’ufficio del lavoro per dire che io ora lavoro in tale posto. Questo
principio quindi è venuto meno, ora domanda e offerta di lavoro non devono passare da
nessuno permesso da parte di nessuno. Ci sono se semplicemente delle comunicazioni che
l’ufficio del personale del posto di lavoro darà all’ufficio di collocamento. Non per chiedere
l’autorizzazione ma solo per la comunicazione.
Per quanto riguarda il monopolio pubblico —> vuol dire che nessun altro soggetto se non
lo stato potesse intervenire nel mercato del lavoro. Storicamente abbiamo avuto una netta
inversione di rotta. Uno dei principali artefici di questo smantellamento del sistema
monopolistico pubblico (apertura ad altri soggetti che non fossero il pubblico) deriva dal
diritto dell’unione europea, in modo particolare dai quei principi su cui da sempre si basa,
in ordine alla libera concorrenza delle attività economiche. Perché a seguito di importanti
sentenze della corte di giustizia della comunità europea, la stessa ha sostenuto che
prendere i curricula, fare della formazione (?), mediarsi tra datore e lavoratore, in caso di
assenza di determinate competenze, mettere sul mercato del lavoro soggetti (?), tutte
queste cose (lato diritto sono funzioni che lo stato ha sempre posto) all’unione europea
che ha sempre un occhio nei confronti del mercato dice attenzione queste sono delle
attività economiche, o meglio sono delle attività svolte all’estero (?).
Il monopolio si è andato sbriciolando con le sentenze delle corte di giustizia della comunità
europea. Quindi siamo arrivati all’apertura dei privati per il tramite del diritto dell’unione
europea che ritenendo le funzioni anche attività economiche ha condannato l’Italia
dicendo che non le fa fare e non apre il mercato a possibili soggetti terzi a quelli presenti
nell’allora comunità europea. Monopolio venuto meno per il diritto alla libera concorrenza,
principi cardine della comunità europea.
L’apertura al privato quindi è frutto del diritto dell’unione Europa ma non bastava dire che
il enopolio era publico. Serve capire quando è stato che soggetti pubblici diversi dallo stato
sono intervenuto nell’ambito del mercato del lavoro. Bisogna fare riferimento alla modifica
della costituzione, modifica del titolo V della costituzione che si è avuto nel 2001, a partire
da questo anno la modifica delle competenze legislative anche nei confronti delle regioni,
chiamata potestà legislativa concorrente. Le regioni fino ad allora attività meramente
amministrative, dal 2001 pongono in essere delle vere e proprie leggi che hanno efficacia
nell’ambito delle regione stessa. I problemi sono nel definire chi fa cosa. Una delle
competenze legislative concorrenti, art 117, le regioni hanno potestà legislativa
concorrente in tema di tutela e sicurezza del lavoro. Tutela e sicurezza del lavoro —> fa
pensare a quali ambiti? Questo caso è stato moto discusso e risolto dalla corte
costituzionale dicendo che è stata scritta male. Una norma (criterio importante), visto che
il legislatore è sovrano e giudice può solo interpretare, se esistente può essere interpretata
in qualche modo. Però tutela e sicurezza è ambito molto ampio, tutela riguarda anche
come sono i contratti collettivi, part-time, numero di ore di lavoro, tempo determinato..
come si risolve? La corte costituzionale dice che la sicurezza sul lavoro, contratti (etc) fanno
parte di altra competenza che è esclusiva dello stato centrale, competenza definita
ordinamento civile. Perché in due posti diversi le cose non possono essere diverse. Si deve
parlare allora di tutela e sicurezza del mercato del lavoro sul rapporto del lavoro assoluta
competenza esclusiva dello stato centrale, è lui che fa le leggi, i contratti, i diritti sindacali..
le regioni hanno competenza sul mento del lavoro. Non siamo una repubblica federale il
legislatore detta:
- le regole quadro
- LEP: livelli essenziali della prestazione, ogni regione non può fare come vuole, deve
rispettare delle norme basilari che detta lo stato centrale. Dopo di che la legge centrale
può disciplinare la materia come crede.

Qual è però la norma da cui dobbiamo partire per sapere quali sono gli attori e chi fa cosa?
Dobbiamo dire che le regioni non hanno, per determinati motivi anche economici, tutte la
stessa qualità della legislazione. Ci sono delle regioni eccellenti come Lombardia o Emilia
Romagna che sono due regioni in cui il mercato del lavoro è disciplinato in maniera più
efficace che in altre.

Perché attualmente la situazione è così complicata? Alcuni anni fa (2015), uno dei decreti
legislativi è quello in ordine alle materie delle politiche per il lavoro, la concretizzazione,
cosa fa il pubblico per il lavoro. Perché si parla di indennità di disoccupazione, e come
rientra questa nell’ambito del mercato del lavoro? Rientra in questo modo:
Storicamente distinguiamo tra misure passive di politica del lavoro e attive. In Italia i
versamenti, la quantità di denaro investita è stata per gli ammortizzatori sociali, cioè
misure passive nel senso che a certe condizioni al venire meno di posti di lavoro il pubblico
erogava ed eroga una cera somma di denaro. Politiche attive —> politiche che mixate con
dei sussidi di disoccupazione rendano attivo, protagonista, il soggetto alla ricerca del posto
di lavoro. Per questo la volontà di questo decreto legislativo era di mettere al centro i
centri per impiego, sono i vecchi uffici di collocamento che sono di competenza delle
regioni. Presso questi uffici del lavoro non si va solo dal punto di vista burocratico, ai fini
all’ottenimento di alcune previdenze economiche, ma si dovrebbe andare anche per fare
quello che anche le agenzie del lavoro fanno:
- supporto alla ricollocazione del personale, sono un lavoratore, ho perso il lavoro come
addetto a tal reparto voglio imparare un altro. Altro grande tema che è di competenza
delle regioni.
- ricerca e selezione per personale, in base al decreto legislativo 150/2015 ne fanno sia i
centri di impiego sia i privati, tecnicamente entrambi sono in concorrenza tra loro quindi
ruolo, tipologia di attività che svolgono i centri per impiego e agenzia del lavoro.

Supporto alla ricollocazione, devo essere aiutato a rifarmi una professionalità. Ricerca e
selezione del personale, sebbene alcuni dati dell’ISTAT dicono che su 100 assunti in Italia
solo 5/6% passa per i centri impiego, però la ricerca e selezione fanno sia i centri per
impiego sia le agenzie. Intermediazione, attività di mediazione tra domande e offerte, fare
una sorta di preselezione, orientamento professionale. Se queste sono le principali attività
che svolgono i centri e le agenzie, in concorrenza tra loro.

Perché questo decreto legislativo non funziona così bene? Perché si è capito che le ragioni
da sole non possono fare, allora si può pensare all’ente creato nel 2015 ANPAL (agenzia
nazionale politiche per il lavoro). Perché non è ancora a regime il ruolo dell’ANPAL? Perché
con il decreto 250/2015 presupponeva un cambio di competenze costituzionali, cioè con
tentativo di riforma costituzionale bocciato dal referendum del 2016 tra le modifiche c’era
che le competente del mercato del lavoro fossero di nuovo accentrate a livello statale non
dandole più alle regioni. Dal 2017 cosa è successo? C’è un tentativo di organizzare e gestire
in maniera accentrata da ANPAL ma le competenze delle regioni sono rimaste ugualmente
le stesse di prima quindi la competenza regionale sono le stesse, le regioni dicono ma tu
ANPAL chi sei.

Tra le competenze dei centri per impiego e agenzie vi è il tema dell’intermediazione. Tema
importante nel nostro paese perché storicamente il fatto che qualcuno si interponesse in
qualche modo tra un lavoratore e il suo datore di lavoro era visto come disfavore, sia da
parte del legislatore, sia era considerato un reato (anche oggi) (reato = illecito penale).
Nell’ambito di agricoltura di parla di “caporalato" molto in voga anni fa. Il fatto che qualche
soggetto si interponesse tra datore e lavoratore era visto come un disfavore. Ogni volta
che c’è un disfavore tra datore di lavoro formale e sostanziale.

Da alcuni decenni avevamo una tipologia di contratti che vede qualcuno che si interpone
tra datore e prestatore di lavoro ma questo in maniera legittima e rispondente a esigenze.
[Premessa a tutto questo —> una novità è il contratto di somministrazione, tutt’ora il
legislatore vede con estremo disfavore chi si mette in mezzo].

Decreto 81/2015, contratto di somministrazione è dagli articoli 30 e ss.


Nell’ambito della somministrazione abbiamo un rapporto trilaterale.
Somministrazione = 3 soggetti. 3 parti, le prime due già citate, ovvero datore di lavoro,
prestatore di lavoro e la terza è l’agenzia per il lavoro.
Questi tre soggetti pongono in essere due distinti contratti:
* contratto di somministrazione di lavoro articolo 30 decr leg 81/2015:
Chi lo stipula? Contratto con il quale un’agenzia di somministrazione autorizzata mette a
disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti. Questo contratto è
posto in essere necessariamente da un’agenzia di somministrazione (del lavoro il più delle
volte). Utilizzatore è imprenditore. Quindi si stipula tra Adeco e Rossi spa. Ma questo è un
contratto di diritto del lavoro? Il contratto di diritto del lavoro riguarda un datore di lavoro
e un lavoratore (??). Contratto di somministrazione è un contratto con il quale un agenzia
di somministrazione (per il lavoro) mette a disposizione un utilizzatore, cioè un
imprenditore, abbiamo un contratto tra Adeco e una spa, questo NON è un contratto di
diritto del lavoro perché non c’è un lavoratore in mezzo. Contratto di somministrazione è
di natura commerciale. I 3 soggetti quindi sono agenzia per il lavoro, utilizzatore e
lavoratore.
* contratto tra agenzia per il lavoro e lavoratore, contratto di natura di lavoro che può
essere a tempo determinato o indeterminato. Il contratto di somministrazione dell’art 30 è
contratto di diritto commerciale ma anche lui a tempo o determinato o indeterminato.
Oggetto di questo contratto: i due si impegnano tra loro a fare cosa? L’agenzia per il lavoro
è un’agenzia che fornisce manodopera e quindi manda presso un soggetto definito
utilizzatore dei lavoratori che sono dipendenti dell’agenzia, e li manda in missione presso
l’utilizzatore. Chi è quindi in questo rapporto il datore di lavoro di me lavoratore che sono
nell’Adecco e che mi manda presso l’università cattolica? L’agenzia è il datore di lavoro. Se
un altro soggetto pone in essere questo tipo di contratto è possibile?
Lato diritto del lavoro il motivo per cui un soggetto, utilizzatore, utilizzi del personale che
non assume lui, può rispondere a tante logiche ma può essere una scelta imprenditoriale.

Ammortizzatori sociali strumenti di previdenza economica per alleviare i lavoratori che si


trovano in determinate situazioni:
- In costanza di lavoro cassa integrazione; rapporto di lavoro sussistente, la persona sta a
casa ma non viene meno il rapporto
- Cessazione del rapporto indennità di disoccupazione (NASPI).

1)La costituzione da obblighi al legislatore


La NASPI è rivolta ai disoccupati involontari, non solo licenziati ma anche chi ha concluso un
rapporto di lavoro determinato (il contratto è terminato). Alcuni casi … essere di dimissioni (sono
un atto libero di recesso dal contratto, solo in caso di giusta causa si ha diritto all’indennità).
Non risponde ad uno stato di bisogno.
“NASPI= assicurazione..”

2)Legame con la condizionalità un cittadino la deve richiedere e consegue all’iscrizione al centro


dell’impiego e alla ricerca di un nuovo lavoro. In mancanza di attivismo può essere sospesa.
3) sono necessarie 13 settimane di contribuzione negli ultimi 4 anni dal momento della
disoccupazione e almeno 30 giorni di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti. Bisogna guardare la
retribuzione mensile media se è pari a 1195 euro si ha diritto al 75% della cifra, se è maggiore si ha
diritto a una cifra pari alla differenza fra la media e 1195 per il 25% a cui sommo il 75% di 1195.
L’ammontare totale non può superare 1300 euro.
La NASPI è legata alla vita contributiva di ciascuno quindi è chiamata assicurazione. E’ previsto un
decremento del 3% mensile a partire dal quarto mese di fruizione.
4)Prima del 2015 la durata era prevista dalla legge, oggi la durata massima è la metà dei contributi
versati negli ultimi 4 anni.

“DIS-COL” indennità di disoccupazione per i collaboratori, la determinazione è uguale alla NASPI


per la durata considero solo l’ultimo anno e ne posso usufruire per massimo sei mesi.
DECENTRAMENTO PRODUTTIVO
Non è un istituto ma un fenomeno economico. In passato la grande azienda non svolge solo
produzione ma anche logistica, trasporti e sicurezza. Negli ultimi anni invece le imprese si
concentrano sul core business e gli altri servizi vengono svolti da altri. Quando l’azienda si
rimpicciolisce ci sono soggetti che rispondono a datori di lavoro diversi, si guarda quindi a chi è
imputato il contratto di lavoro. Il decentramento produttivo porta più strumenti a disponibilità
dell’azienda:

1) Somministrazione di lavoro è diverso da distacco di lavoratori. Distacco di lavoratori art


30 decreto legge del 10 settembre 2003 numero 276, è una pratica molto in uso è
frequente nella collaborazione fra gruppi che un’azienda mandi soggetti a un’altra, ci sono
però condizioni di legittimità da rispettare: interesse del soggetto, temporaneità e
determinatezza dell’attività lavorativa.
I soggetti si chiamano: distaccante l’azienda che manda, distaccato è il soggetto che viene
mandato, e distaccatario l’azienda che riceve.
L’interesse dell’impresa in questo caso non è il profitto, è un interesse economico ma non
remunerativo perché l’azienda non è un’agenzia per il lavoro.
Il potere di controllo è del distaccatario, e il distacco può essere anche extra nazionale.
Il distacco è legittimo ma per renderlo tale il diritto da dei requisiti, non si fornisce
manodopera in senso lato come un’agenzia ma è previsto lo svolgersi di una determinata
attività.
Se c’è un mutamento di mansione deve esserci il consenso del distaccato. Il più delle volte
però non c’è un cambiamento di mansione quindi non ci deve essere il consenso. Il potere
disciplinare può essere delegato diversamente dalla somministrazione in cui spetta solo
all’agenzia.

2) Trasferimento d’azienda art 2112, si ha un mutamento del datore di lavoro quindi si ha


una modifica soggettiva dal lato datore nel contratto di lavoro. Lo scopo del diritto è il
mantenimento dei diritti dei lavoratori coinvolti. Ai fini di questo articolo, il trasferimento
d’azienda è considerato in casi diversi. Si considera ogni caso di mutamento soggettivo lato
datore di lavoro. Quindi si può avere cessione, donazione, affitto, usufrutto, ma anche
fusione, procedimento giudiziario. A noi però queste specifiche non servono, ci occupiamo
solo delle conseguenze concrete, ossia il mutamento della titolarità.
Il rapporto di lavoro continua con il cessionario, e il lavoratore conserva tutti i diritti che ne
derivano.

Finalità del diritto del lavoro è la tutela dei lavoratori. Al diritto del lavoro interessa più il
risultato che il motivo attraverso cui si giunge al risultato. Il trasferimento ai fini dell’art
2112 è quando muta la titolarità, a noi interessa il risultato e non la modalità che possono
essere quelle sopra. Secondo l’art 2555 l’azienda è un complesso di beni organizzati, ai fini
invece dell’art 2112 il legislatore non dice solo cos’è il trasferimento d’azienda ma da
anche definizione azienda: attività economica organizzata che conserva nel trasferimento
la propria identità.
Nel 2555 il focus è sul complesso di beni, mentre qui ci si focalizza sull’attività e
sull’organizzazione. Il più delle volte non cambia la titolarità ma magari una parte
dell’azienda viene venduta e non tutta. Noi ci concentriamo sul mantenimento dei diritti
dei lavoratori e non sulle modalità di trasferimento. Un ramo d’azienda è definito dal
diritto del lavoro in modo da valorizzarne l’autonomia: è una parte dell’azienda che ha in se
una ben precisa qualità, ossia un’articolazione funzionalmente autonoma di un’attività
economica organizzata.
Finalità: (del trasferimento d’azienda)
1) Il rapporto di lavoro continua con il cessionario, (ceduto è il contratto di lavoro non la
persona). E’ una situazione peculiare del diritto del lavoro dal punto di vista
contrattuale: il mio contratto di lavoro prosegue con un soggetto diverso e quindi il
rapporto continua senza che nessuno esprima un consenso automaticamente. Nel
passaggio il contratto rimane immutato e si considera unitario.
2) Il trasferimento non determina di per se una possibile causa di licenziamento. Il nostro
ordinamento richiede una causa giustificativa per il licenziamento, ma che dev’essere
diversa da quella del mero trasferimento.

Il diritto del lavoro non è solo legge ma anche autonomia e contrattazione collettiva. A continuare
non è solo il contratto di lavoro, in assenza di contratto collettivo da parte del cessionario, ci sarà
un’altra attività dei contratti collettivi stipulati dall’azienda cedente fino alla scadenza.
Il cessionario deve rispettare i contratti collettivi fino a scadenza a meno che non ne abbia lui uno
di pari livello. E’ sempre positivo il trasferimento? Dipenda da alcuni fattori, ci sono casi in cui la
cessione del contratto non è vantaggiosa. Fino a pochi anni fa si diceva che il ramo d’azienda
doveva essere preesistente al momento del trasferimento ossia doveva risultare al di la del
trasferimento. Da qualche parte in maniera differente doveva risultare l’esistenza del ramo già
prima della volontà di trasferimento. Oggi il problema concreto è che invece il ramo d’azienda può
essere identificato come tale al momento del trasferimento. Possono essere cedute anche
funzioni separate come il creativo / pubblicitario o la rete commerciale. Quindi ramo è ciò che
cedente e cessionario decidono ma con dei limiti ossia nel rispetto del concetto di articolazione
funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata.

Se sono trasferiti non ambiti funzionalmente autonomi il ramo non mantiene la propria identità,
quindi se a mutare è un ramo d’azienda che non mantiene la propria identità o si ha il
trasferimento di un’articolazione non funzionalmente autonoma, questo può avvenire? Si può
succedere, la cessione non è vietata ma siamo nell’ambito dell’art 1406, quindi cessione di singoli
beni. Non si applica il 2112.
Secondo il 1406 è quindi necessario il consenso del lavoratore, il passaggio non è autonomo.

CONTRATTO DI LAVORO
E’ un contratto sinallagmatico a prestazioni corrispettive. Molti contratti sono così.
La prestazione dedotta nei contratti è di fare o non fare o dare qualcosa. Il contratto di lavoro
obbliga a fare: obbligazione di lavoro e retribuzione. Sono le due obbligazioni principali, non le
uniche. Il prestatore di lavoro ha anche altri obblighi che sono accessori come l’obbligo di sicurezza
che derivano da quello principale e non sono meno importanti.
L’obbligazione di lavoro obbliga a fare qualcosa. Il lavoratore non è adibito allo svolgimento di una
sola attività, l’oggetto del contrato dev’essere determinato o determinabile. Quindi come faccio a
non irrigidire le attività? Il problema è risolto dalla contrattazione collettiva: necessariamente la
mansione per la quale si è assunti è generica ma determinabile, il legislatore non parla delle
singole mansioni, o (qualifiche professionali). L’art 2095 è una norma che deve andare bene per
diversi tipi di lavori, fa una generica distinzione fra dirigenti, impiegati, quadri e operai, ma non da
una specifica definizione di ciascuno. Per sapere ai fini della legge cos’è l’impiegato bisogna
addirittura fare riferimento a un decreto regio del 1924. Per la legge la differenza fra impiegati fra
impiegati e operai sta nel lavoro manuale (l’impiegato non può svolgere esclusivamente attività
manuale). Grazie alla contrattazione collettiva vengono definite le mansioni.

Poteri datore lavoro (ius variandi)


Art 2103 principio di contrattualità: il lavoratore è adibito per le mansioni per cui è stato
assunto. Nel tempo però le cose possono cambiare, quindi in concreto il datore di lavoro ha il
potere direttivo che si conforma alla struttura organizzativa dell’azienda. Lo ius variandi è la
possibilità per il datore di lavoro di variare unilateralmente le mansioni del lavoratore. E’ un
potere che rientra nel potere direttivo del datore di lavoro senza che esso debba chiedere il
consenso del lavoratore. E’ necessario quindi dare dei limiti al datore di lavoro nella possibilità di
variazione della mansione del lavoratore.
Il potere non è assoluto, l’articolo 2103 delimita il potere unilaterale di cambiare le mansioni.
Dev’esser infatti tutelata la professionalità del lavoratore (la professionalità determinata da una
serie di fattori come competenze, retribuzione, ruolo sociale..)

Sono quindi disciplinate tre modalità che sono:


- “Mobilità verticale” vero l’alto= non tutti potrebbero essere d’accordo che le mansioni
superiori diventino la propria nuova mansione. Solitamente lo spostamento verso l’alto
avviene quando qualcuno va via, es maternità, malattia, casi in cui c’è diritto al
mantenimento del posto; fin da subito il soggetto ha diritto al fatto che la retribuzione sia
adeguata alla sua nuova mansione, se lo spostamento è fatto per sostituire un altro
lavoratore che ha diritto al mantenimento del posto allora non si ha diritto alla
promozione. Invece se si è spostati sena sostituire nessuno (per esempio se è stato
licenziato qualcuno o si è creato un nuovo posto), si ha diritto dal primo giorno all’aumento
della retribuzione ma si ha anche diritto che quelle mansioni diventino le proprie dopo un
periodo stabilito dai contratti collettivi. Al lavoratore per fare una modifica permanente è
chiesta la volontà.
- “Mobilità verticale” verso il basso= un soggetto viene posto a svolgere una mansione
inferiore rispetto a quella di assunzione e può avvenire in tre distinte modalità. ( Fino al
2015 il legislatore non ne parlava; fra licenziamenti e mansione inferiore lavoratore
preferisce mansione inferiore):
a) potere unilaterale del datore di lavoro= non può farlo a piacere ma solo in
modificazione degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del
lavoratore. In questo caso siccome si vuole tutelare la professionalità del lavoratore si
mantiene inalterata la retribuzione. L’abbassamento possibile è solo di un livello
b) casi previsti dai contratti collettivi= oggi non ce ne sono.
c) Sede protetta= sono necessarie delle sedi protette dove modificare il contratto in cui la
volontà soprattutto del lavoratore è più libera. Non si può fare nell’ufficio del
personale. Si è di fronte a un accordo individuale tra datore e lavoratore in cui può
esserci anche un mutamento della categoria legale. In sede d’accordo ci sono 3 motivi
da esplicare che vengono tutelati:
 Tutela dell’interesse del lavoratore alla salvaguardia del lavoro
 Acquisizione di una diversa professionalità
 Miglioramento delle condizioni di vita
La retribuzione di adatta al livello o nuova categoria legale.
- “mobilità orizzontale”= con la riforma del 2015 (jobs act), aumenta il potere del datore di
lavoro nel richiedere mansioni diverse. Ad oggi con la nuova norma si parla del fatto che il
lavoratore può essere adibito a mansioni dello stesso livello e categoria legale. Prima si
parlava di equivalenza, le mansioni dovevano essere quindi equivalenti, l’equivalenza è un
concetto più ristretto. I contratti collettivi definiscono i livelli, non la legge. Fin dagli anni 70
i contratti collettivi non distinguono più fra operai e impiegato, l’inquadramento è unitario.
In un livello si mettono insieme mansioni estremamente diverse e questi soggetti hanno la
stessa retribuzione. Questi livelli servono al fine retributivo. Oggi il loro ruolo è
importantissimo perché il datore di lavoro per esempio può prendere il capo cassiere e
mandarlo a fare l’enologo perché sono mansioni che appartengono allo stesso livello. (il
datore è obbligato alla formazione del soggetto a cui cambia lavoro). Prima del 2015 non
era possibile, la riforma amplia tanto la possibilità di trovarsi a fare lavori diversi e il limite
è dato dal fatto di rimanere all’interno dello stesso livello. In presenza di un obbligo
formativo un soggetto può quindi essere posto a svolgere mansioni diverse di pari livello.

Obblighi del lavoratore


Art 2104 Diligenza della prestazione di lavoro.
Art 1176Afferma che il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia e la diligenza
deve legarsi alla natura dell’attività esercitata. La diligenza è il criterio della misura della
prestazione dovuta. Il lavoratore non solo deve svolgere la prestazione richiesta, ma deve anche
farlo con la diligenza richiesta in base alla natura della prestazione dovuta e all’interesse
dell’impresa. Il lavoratore deve rispettare le disposizioni del datore di lavoro, quindi obbligo di
obbedienza non dev’essere un’obbedienza cieca ma funzionale e limitata all’esecuzione della
prestazione lavorativa.

Art 2105 Obbligo di fedeltà racchiude due obblighi di non fare qualcosa, sono obblighi
accessori all’obbligazione principale (l’obbligazione principale è quella di svolgere la mansione da
una parte e di dare la retribuzione dall’altra), il venire meno di un’obbligazione accessoria ha
conseguenze molto gravi.
Obblighi di non fare qualcosa:
- obbligo di non concorrenza
- obbligo di riservatezza
Tali obblighi perdurano per tuta la durata del contratto, è possibile poi stipulare un patto di non
concorrenza con il lavoratore che ha 3 requisiti: forma scritta, corrispettivo, e la durata del vincolo
(max 5 anni per i dirigenti, negli altri casi 3) e questo patto viene frequentemente stipulato con i
dirigenti per evitare che uno vada a svolgere immediatamente la stessa mansione in un’impresa
concorrente. Se non è stato stipulato questo patto, l’obbligo di non concorrenza termina con la
conclusione del contratto di lavoro.

Luogo della prestazione di lavoro


(in generale il luogo dell’adempimento è legato alla natura della prestazione). In questo caso è
quello deciso dal datore di lavoro. Il lavoratore non può essere trasferito da una sede all’altra, se
non per ragioni tecniche, produttive, organizzative. Il trasferimento che è la modifica definitiva del
luogo di lavoro è diversa dalla trasferta che ha carattere temporaneo.

Orario di lavoro
La durata è la misura della prestazione lavorativa, e questo vale per il lavoro subordinato
diversamente dal lavoro autonomo in cui riguarda l’esecuzione della prestazione. La durata è un
criterio fondamentale per la commisurazione dell’obbligo retributivo (lato datore di lavoro).
Ci sono alcune norme nel codice civile, ma il ruolo determinante in tema di orario di lavoro è dato
dalla contrattazione collettiva.
Art 36 costituzione la durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.
Il diritto del lavoro è nato con l’orario di lavoro, le prime norme del diritto del lavoro riguardavano
l’orario di lavoro. La costituzione al secondo e terzo comma dell’art 36 dice che:
- la durata massima della durata lavorativa è stabilita dalla legge, quindi ci deve essere per
forza una legge che la indichi. Il regio decreto del 1923 definiva l’orario di lavoro con 8 ore
al giorno o 48 ore settimanali
- il lavoratore ha diritto a ferie retribuite e riposo e non può rinunciarvi

Decreto legge 66 del 2003


Nel frattempo le 48 ore settimanali massime erano state superate dalla contrattazione collettiva
che dai primi anni 70 aveva ridotto la durata della prestazione massima settimanale a 40 ore (la
contrattazione collettiva può modificare /derogare la legge ma solo per maggior vantaggio del
lavoratore). Grazie ad una direttiva dell’Unione Europea, l’Italia è stata costretta a porre in essere
una disciplina organica sull’orario di lavoro. Dal punto di vista teorico il decreto legislativo 66 da
una definizione di orario di lavoro come periodo in cui il lavoratore è al lavoro, a disposizione del
datore di lavoro, e nell’esercizio delle sue attività o funzioni.
Si considerano quindi anche i lavori di custodia, e attesa come il medico di guardia il lavoro è
anche quando aspetto la chiamata).
C’è anche un elenco di lavori subordinati che non rientrano nell’applicazione di questa direttiva
come il trasporto aereo.
L’orario normale di lavoro è fissato dal legislatore di 40 ore settimanali, ma i contratti collettivi ne
possono prevedere anche meno. Vi può essere anche un orario multi periodale, ossia la
contrattazione collettiva può riferire questo orario normale alla media delle prestazioni in un
periodo più ampio fino all’anno (se le 40 ore le guardo su due settimane, posso lavorare 45 ore la
prima settimane e 35 la seconda e per giungere all’orario normale faccio una media). In questo
modo si vuole favorire un utilizzo più flessibile della forza lavoro compensando periodi in cui c’è
più bisogno di lavoro e altri in cui ce n’è meno.
La durata media non può superare per ogni periodo di 7 giorni le 48 ore, sempre che la
contrattazione collettiva non deroghi in meglio. Nella legge non c’è la durata massima giornaliera,
anche se la costituzione dice che la legge la deve prevedere. Qualcuno ha quindi detto che questa
norma è incostituzionale, perché il legislatore non ha previsto espressamente la durata massima
giornaliera. La legge però parla dei periodi di non lavoro e la norma quindi non è incostituzionale
perché l’orario di lavoro è riconducibile a contrario dai riposi. Siccome il lavoratore ha diritto a 11
ore consecutive di riposo ogni 24 ore e allora rimangono 12 ore di lavoro ma siccome ogni 6 ore si
deve fare un intervallo di 10 minuti allora si ottiene che la durata massima prevista dalla legge è di
12 ore e 50 minuti. Siccome però c’è il limite settimanale delle 40 ore io non posso lavorare tutte
queste ore ogni giorno.
Il lavoratore ha diritto al riposo ogni 7 giorni di 24 ore consecutive di regola coincidenti con la
domenica. C’è un periodo di media per calcolare il risposo settimanale ossia 14 giorni (posso
lavorare 12 giorni consecutivi e risposarmi due giorni).

Le ferie sono retribuite. Il periodo minimo previsto dalla legge è di almeno 4 settimane, di cui
almeno 2 settimane consecutive da consumare nell’anno di maturazione, e le altre 2 nei 18 mesi
consecutivi. Le ferie sono irrinunciabili, si vuole infatti proteggere la salute del lavoratore. In
passato inoltre se uno non aveva fato ferie per 20 anni, l’azienda si è trovata a pagare ingenti
somme, quindi il legislatore ha voluto mettere dei paletti.
Lavoro notturno= ai fini della legge è un periodo di almeno 7 ore consecutive che ricomprende le
24 e le 5. Il lavoratore notturno è colui che svolge almeno 3 ore di tempo di lavoro in questo
intervallo. E’ un lavoro più gravoso e quindi sono stati posti alcuni limiti. La legge italiana
prevedeva un divieto di lavoro notturno per le donne, oggi questo non c’è più (era una
discriminazione). C’è soltanto il divieto di adibire al lavoro notturno donne incinta, e fino al
compimento di un anno del bambino. L’orario notturno massimo è di 8 ore.

Potere direttivo ius variandi, si manifesta questo potere direttivo. Il datore di lavoro ha poteri
che lo pongono in una situazione di supremazia. La legge pone delle limitazioni ai poteri del datore
di lavoro. E talvolta sono previste delle procedure per l’esplicazione di questi poteri. La posizione
di supremazia del datore di lavoro deriva dall’art 2086 (imprenditore capo dell’impresa) e art
2094 lavoratore è colui che lavoro alle dipendenze e sotto la direzione altrui. E art 2104
disposizioni per l’esecuzione sono impartite dal datore di lavoro.
L’evoluzione del diritto di lavoro è stata quella non di eliminare i poteri ma di salvaguardare il
lavoratore. Il contratto di lavoro legittima i poteri unilaterali del datore di lavoro quindi non si
vogliono eliminare i poteri ma si vuole cercare di riequilibrare il gioco contrattuale.

la legge 300 del 1970 è lo statuto dei lavoratori, con questa legge i diritti dei lavoratori entrano
“nelle fabbriche”.
Potere di controllo lo statuto dei lavoratori pone dei limiti specifici a questo potere di controllo
vigilanza del datore di lavoro. L’articolo 4 parla dei controlli a distanza (è stato modificato dal jobs
act nel 2015). I controlli esercitabili a distanza grazie alla tecnologia sono molto avanzati e non si
possono fare in maniera occulta, gli impianti possono essere utilizzati in base a determinate
condizioni che sono esigenze organizzative produttive , sicurezza del lavoratore, e tutela del
patrimonio aziendale. Questi strumenti da cui deriva ANCHE il controllo a distanza possono essere
installati previo accordo con i sindacati solo per le finalità sopra dette. In mancanza di accordo
(non c’è il sindacato o non mi sono accordato) gli strumenti possono essere installati previa
autorizzazione da parte della sede locale del ministero del lavoro o sede centrale dell’ispettorato
nazionale del lavoro.
Il secondo comma dice che le disposizioni del comma 1 (le procedure sopra dette) non si applicano
agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e da cui può derivare
un controllo indiretto. Es per il telefono computer non bisogna fare tutte le procedure per darle al
lavoratore nonostante possa derivare un controllo indiretto.

Potere disciplinare art 2106, questo articolo non dice molto semplicemente che l’inosservanza
delle disposizioni degli articoli precedenti (2104 diligenza e 2105 obbligo di fedeltà) possono dare
luogo a sanzioni disciplinari. Si fa quindi riferimento all’art 7 dello statuto dei lavoratori.
Siamo di fronte a una procedimentalizzazione del potere. Il datore deve seguire le procedure
disciplinate dal legislatore per limitare il suo potere, se non lo fa la sanzione erogata è nulla. Le
sanzioni disciplinari sono la multa, la sospensione, il richiamo verbale che è l’unico he può essere
messo in atto senza rispettare l’art 7 , il richiamo scritto e licenziamento disciplinare.
Anche in questo caso la contrattazione collettiva ha un ruolo molto importante. Multa non può
superare un ammontare pari alle 4 ore di retribuzione. E la sospensione massimo per 10 giorni.
Il licenziamento disciplinare non è menzionato dall’art 7 ma è la sanzione massima. Devono essere
rispettati alcuni principi che sono:
1) la proporzionalità: ad un certo adempimento deve seguire una sanzione non eccessiva
2) Il soggetto incolpato deve essere sentito quindi ci dev’essere un iter procedimentale
costituito da tre momenti:
a) Contestazione – il datore di lavoro in forma scritta contesta il presunto
inadempimento. La contestazione deve essere tempestiva e dettagliata ossia deve
precisamente individuare i presunti inadempimenti
b) Sentire a discolpa il lavoratore che può presentarsi con un avvocato o sindacalista
c) Irrogazione della sanzione (una delle 5 previste) o archiviazione. Se non si rispetta uno
di questi passaggi la sanzione è nulla. Al fine di far riflettere sul fatto di sanzionare o no
il lavoratore c’è una sorta di pausa di riflessione di 5 giorni per il datore di lavoro prima
di erogare la sanzione.
3) Bisogna tener conto del passato del lavoratore (recidiva) se il lavoratore è già stato
sanzionato allora un inadempimento può essere sanzionato in maniera maggiore. La
recidiva considerata è al massimo di due anni.

Il lavoratore deve sapere quali sono gli inadempimenti che portano a sanzioni. Il datore di lavoro
deve quindi affliggere il codice disciplinare in un luogo accessibile. Di solito viene collocato sopra la
macchinetta che prende le timbrature, se non lo affliggo le sanzioni erogate sono nulle.
Il trasferimento non è previsto come sanzione disciplinare quindi non può essere erogata come
sanzione.

I DOVERI DEL DATORI DI LAVORO


1) Obbligo di retribuzione= in altre nazioni c’è una legge che fissa un minimo d salario orario
con cui il lavoratore dev’essere retribuito. Ad esempio in Francia c’è nel codice civile
francese e ogni anno viene modificato. In Italia non c’è una legge che prevede un salario
minimo, ma la contrattazione collettiva dice quanto bisogna pagare i lavoratori. L’articolo
36 della costituzione dice che la retribuzione deve avere dei limiti sotto i quali non si può
andare.
2) Obbligo di tutela delle condizioni di lavoro art 2087, per l’epoca era una previsione
avanzata. In base a peculiarità del lavoro ed esperienza tecnica il datore di lavoro deve
porre in essere delle misure di tutela, il bene giuridico tutelato dal legislatore è l’integrità
fisica e la personalità morale dei lavoratori. Da questa norma deriva la tutela del mobbing.
Il 2087 in realtà dice poco e quindi sono intervenute diverse discipline legislative: test unico
in tema della tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro che è il decreto legislativo
del 9 aprile 2008 numero 81. Casi concreti danno accelerate a questioni legislative e al
dibattito parlamentare. Esempio la questione Kissen Grug dove sono morti molti lavoratori.
 Il datore è solo lui in posizione di supremazia per gli obblighi, non può delegarli tutti
ma solo in una certa misura
 Le norme sono preventive posta l’idea che non si possano azzerare i rischi
 E’ previsto un sistema partecipativo. Ciascun soggetto è chiamato in causa e deve
fare qualcosa anche se l’onere è del datore di lavoro. C’è un rappresentante dei
lavoratori per la sicurezza che non viene scelto dal datore di lavoro ma viene eletto
o designato dai lavoratori stessi.
OBBLIGO DI SICUREZZA
Art 2087, l’obbligo coinvolge più persone, non solo i lavoratori subordinati ma anche quelli
autonomi, stagisti e studenti in alternanza scuola lavoro. L’art 2086 dice che l’imprenditore è il
caso dell’impresa, è capo quindi responsabile. L’imprenditore può delegare alcuni compiti
rispettando delle regole. La delega deve avere 3 caratteristiche:
- Dev’essere istituita con una data certa
- La persona delegata deve essere veramente competente e non un prestanome
- La persona delegata deve essere dotata del budget stanziato per la sicurezza
Si è di fronte ad una responsabilità civile, privata, ma anche pubblica, con sanzioni amministrative
penali.
L’art 16 del decreto legislativo 81 riguarda l’imprenditore perché è rivolto non solo ai lavoratori
subordinati, e quindi non si può parlare di datore di lavoro. Egli (imprenditore) deve adottare le
misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. I danni fisici
derivano da infortuni sul lavoro e malattie professionali (le malattie professionali sono state
considerate in seguito ad esempio rumore, amianto e danni psichici come esaurimenti nervosi che
derivano da malattie professionali).
INAIL istituto professionale per gli infortuni sul lavoro è un ente pubblico monopolista che si
occupa della sicurezza sul lavoro. Non c’è una concorrenza affidata al mercato, in modo tale da
garantire condizioni uguali per tutti.
Gli infortuni sul lavoro portano alla morte e sono dette morti bianche. In Italia il tasso è alto.
Qualche volta malattie psichiche e fisiche sono connesse. Non ci sono limiti per la sospensione
come nella malattia se mi infortunio sul lavoro. Se mi ammalo mi rivolgo all’IMPS per ricevere soldi
perché in malattia non mi pagano.
Fuori orario di lavoro il lavoratore è libero di fare quello che vuole. Se uno fa qualcosa che poi gli
impedisce di andare al lavoro crea un danno economico all’azienda. Quindi la malattia deriva da
una causa esterna. Mentre l’infortunio deriva da una causa interna all’azienda (all’interno
dell’impresa).
Ci sono degli obblighi preparatori all’adempimento che invadono anche il lavoro e hanno a che
fare con la sicurezza. Il lavoratore è tenuto a fare uso dei dispositivi individuale di protezione messi
a disposizione dall’imprenditore. Se non li ha usati e si fa male, allora si riduce la responsabilità del
datore. Il datore è tenuto anche a controllare che tali dispositivi vengano usati.
Quali sono le misure? IL codice civile non dice cosa sono, dagli anni 90 in poi si è sviluppata la
disciplina della sicurezza che ha un suo codice che è il decreto legislativo 81 del 2008. Esso non
sostituisce il 2087 ma è integrativo. Il principio rimane quello del codice civile. Si vuole
procedimentalizzare questi compiti e affiancare all’imprenditore persone più competenti di lui.
L’imprenditore quindi deve:
1) Firmare il documento di valutazione dei rischi= non c’è l’obbligo di redigerlo, può affidare il
compito ad un soggetto competente, ma la firma è la sua quindi la responsabilità è la sua.
In questo documento viene fatto un elenco dei rischi e di che cosa si intende fare per
evitarli. Sono documenti concreti esempio mettere alle porte le maniglie antipanico. Se
non succede nulla l’unico soggetto che va a leggere il documento è l’ispettore e possono
essere date delle sanzioni, se succede qualcosa anche il giudice penale lo legge.
2) Nominare il responsabile della protezione e prevenzione= la legge non si fida
dell’incompetenza dell’imprenditore che quindi deve nominare un responsabile. Il soggetto
nominato deve avere un patentino, nelle grandi imprese ci sono soggetti che fanno solo
quello e quindi ho un contratto di lavoro subordinato. Nelle piccole imprese non ho un
soggetto apposta e quindi ho contratti di lavoro autonomo. Se ho una persona fissa la
situazione è gestita meglio, se invece ho un soggetto che fa il responsabile anche per altri
clienti, il controllo è buono ma peggiore rispetto all’altra possibilità perché non ho un
controllo continuativo. Fino a 9 dipendenti la legge permette all’imprenditore di fare il
corso e prendere il patentino ed essere lui il responsabile. Se l’impresa è più grande ci deve
essere per forza un responsabile
Questi due compiti non sono delegabili, tutto il resto è delegabile.

CI sono altre due figure coinvolte nell’ambito della sicurezza:


1) Medico competente= dopo la rivoluzione industriale era in uso che ci fosse il medico di
fabbrica, il suo lavoro però si era allargato. Nel 1970 lo statuto dei lavoratori lo vieta. I suoi
compiti però vengono dati ad altri medici, quindi alla fine nella questione della sicurezza si
vede che era importante ed è stato quindi reintrodotto. Deve esserci per i lavori pericolosi.
Ci vuole quindi un contratto di lavoro con un medico se l’impresa è grande sarà contratto
di lavoro subordinato, se l’impresa è piccola sarà un contratto di lavoro autonomo.
2) RSL (responsabile dei lavoratori per la sicurezza) = questo soggetto deve esserci e
rappresenta i lavoratori in materia di sicurezza. Dev’essere un sindacalista nella grossa
impresa (c’è una coincidenza voluta dalla legge). Egli ha dei permessi e accede e può
consultare il documento di valutazione dei rischi. Il documento dev’essere sempre
aggiornato ed essi controllano. Egli ha anche il potere di chiamare l’ispettore. Più
segnalazioni fanno peggio è per il datore se non fa nulla.

Personalità morale che cos’è?


La personalità morale è stata inserita perché c’erano delle preoccupazioni sulla moralità
dei posti di lavoro (soprattutto per il lavoro femminile). Nel 42 infatti era avvenuto un
massiccio ingresso delle donne nelle fabbriche. Oggi che cosa significa? Negli anni 90 viene
fuori una nuova sensibilità detta mobbing sul clima di lavoro che si genera nelle aziende. La
cultura sul benessere del lavoro è recente. CI sono stati casi in cui sono state indotte le
dimissioni del lavoratore: si tratta di strategie messe in atto dal datore a sottoposti per
indurre il lavoratore a dimettersi. Se uno vuole liberarsi di un lavoratore ma non può
licenziarlo, spera che lui si dimetta a causa di magari un clima di vessazioni. Questo
fenomeno ha riguardato molte persone. L’imprenditore quindi non ha l’obbligo assoluto
che il lavoratore sia contento di lavorare, ma comunque deve tutelare la personalità
morale.
E’ stato introdotto il concetto di molestia che lede la personalità morale: ambiente ostile al
lavoratore in cui lui soffre e viene maltrattato. Viene detta quindi molestia quel
comportamento del datore diretto ad aggredire la dignità della persona creando un clima
intimidatorio, ostile, umiliante, degradante e offensivo (è un fenomeno così difficile da
descrivere che il legislatore dura addirittura 5 parole). Molto più spesso sono
comportamenti dei colleghi che al posto di collaborare emarginano una persona in modo
passivo senza aggredirla portando il soggetto al licenziamento. Se non ci sono quindi danni
alla salute e non ci sono lesioni non c’è una sanzione penale.

RETRIBUZIONE
E’ la principale obbligazione da parte del datore di lavoro. Art 2099 la parte del contratto
relativa alle retribuzioni ha effetti erg omnes, che fanno parte alla categoria a cui si applica
il contratto collettivo. (Il contratto collettivo è un contratto agli effetti del codice civile, si
ha un’eccezione perché solitamente i contatti si applicano solo alle parti).
Art 36 della costituzione è il principale onere del datore di lavoro ma storicamente chi ha
stabilito le retribuzioni ha avuto un ruolo fondamentale. (Scala mobile= la retribuzione fino
al 1984 era legata all’inflazione, di mese in mese la retribuzione prevista dai contratti
collettivi cambiava). Il tema delle retribuzioni interessa l’economia e il legislatore della
costituzione ha determinato conseguenze in termini di orari di lavoro.
Comma 1 il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e
qualità del lavoro e sufficiente ad assicurare a se e alla famiglia una vita dignitosa.
Emergono quindi due principi: il principio di proporzionalità e quello di sufficienza.

Art 2099 la retribuzione può essere stabilita a tempo e a cottimo( risultato prodotto,
l’unica retribuzione esclusiva è quella a tempo e quindi quella a cottimo non può esserlo. Il
cottimo è stato visto sempre con sfavore dai sindacati e la retribuzione a cottimo nel
nostro ordinamento in mancanza di un minimo fissato era vista come uno sfruttamento) e
deve essere corrisposta dal giudice tenuto conto del parere delle associazioni professionali.
L’ordinamento corporativo non c’è più oggi, la retribuzione per ciascuna categoria si
ricollega a un minimo retributivo, ossia a una somma al di sotto della quale non si può
scendere. Il giudice ha dei paletti da determinare, quando la retribuzione non è
determinata da accordi fra le parti, ma non sa per esempio per un meccanico o un
ricercatore quale cifra rispetti i due principi della costituzione. E quindi va a vedere i vari
contratti collettivi.
Se il datore non è iscritto a nessuna organizzazione sindacale, in base agli articoli 1419 e
1339 in caso di prezzi mancanti ci sono delle conseguenze. Se una retribuzione è inferiore a
quella minima prevista dai contratti collettivi la clausola è nulla, Quindi come se non ci
fosse, e quindi la retribuzione decisa dal giudice che applica i minimi previsti dalla
contrattazione collettiva nazionale.
LA retribuzione minima dettata dai contrati collettivi è applicabile sempre a tutti perché
appunto in mancanza di essa la applicherebbe comunque il giudice. Anche quelli che non
fanno parte di organizzazioni sindacali devono applicare la retribuzione minima e prevista
dai contratti collettivi che quindi assumono efficacia di legge applicabili a tutti i lavoratori
di quel comparto.
Il superminimo è l’ammontare che il datore attribuisce più di quanto sarebbe tenuto. L’art
2099 prevede più modalità di retribuzione, ma non tutte hanno la stessa importanza.
Quella più importante è quella a tempo, le altre possono affiancarsi, esempio sono
partecipazioni agli utili o ai prodotti provvigioni o prestazioni in natura.

TEMA DELLE DISCRIMINAZIONI


Sono un limite al datore di lavoro. Egli non può avere solo uomini, non può per esempio
dare dei benefit a solo quelli che tifano la sua squadra.
Il nostro ordinamento ha fatto sue molte direttive comunitarie.
La legge 198 del 2006 è il codice delle pari opportunità fra uomo e donna. L’UE è stata
accusata di essersi occupata poco di questioni sociali, ma comunque si è interessata di pari
opportunità. Nel trattato istituzionale di Roma l’articolo 118 dice che ci deve essere parità
di retribuzione tra uomo e donna. Perché l’UE si occupa di libertà della circolazione delle
merci, si ha scritto questo articolo? I destinatari della norma eravamo in particolare noi, la
Francia fece di tutto perché ci fosse questo articolo, non tanto per questioni sociali ma
soprattutto per evitare che retribuzioni diverse determinassero concorrenza al ribasso.
Non si può discriminare nessuno per il proprio sesso, vi sono due tipi di discriminazione
(questo è art 25): una è di tipo diretta, è ampio il numero di condotte tenute dal datore nel
discriminare qualcuno. Qualsiasi comportamento che produce un effetto pregiudizievole
discriminando il soggetto in base al sesso. Poi c’è la discriminazione indiretta che sono
comportamenti che sono apparentemente neutri che mettono o possono mettere i
lavoratori in una situazione di svantaggio rispetto agli altri, ad esempio le donne impiegano
più tempo degli uomini a correre, quindi quando ci sono prove fisiche devono esserci due
requisiti diversi, si tratta di una discriminazione che non è immediatamente manifesta.
Nell’ambito delle discriminazioni vige un maggior favore verso chi è affetto dalla
discriminazione, sia una particolare inversione dell’onere della prova, i soggetti discriminati
devono allegare un documento anche usando le statistiche insinuando il dubbio che ci sia
stata una discriminazione. Il datore dovrà poi dimostrare il contrario e giustificarsi.

SOSPENSIONI DEL RAPPORTO DI LAVORO


Al venir meno della prestazione una volta veniva meno l’obbligo retributivo, questo nesso
prestazione-retribuzione era rigido. La disciplina però si è evoluta. Noi consideriamo le
malattie generali, non quelle professionali dovute al lavoro, così come gli infortuni sul
lavoro.
Malattia come evento che sospende l’obbligo di prestazione a seconda dei contratti
collettivi il soggetto ha diritto ad un ristoro economico.
Distinzione fra impiegati e operai è venuta meno perché i contratti collettivi non
distinguono più in modo fisso le mansioni di uno o dell’altro. Nel tema della malattia le
norme prevedono una distinzione data dal fatto che ignari della malattia degli operai non
erano da subito retribuiti. Queste condizioni erano quindi meno favorevoli per gli operai.
Le prime tre giornate non erano retribuite. I contratti collettivi prevedono una
equiparazione e quindi l’operaio dal primo giorno viene retribuito. L’INPS è l’ente
previdenziale più grande d’Europa. Ci sono cause di sospensione determinate dal
lavoratore mentre ce ne sono altre che gravano sul datore di lavoro.
L’art 2110 da delle indicazioni importanti che però sono integrate da altre fonti come
Costituzione e leggi speciali. LA costituzione è molto rilevante sul tema: parla di diritto
inviolabile alla salute (il servizio sanitario italiano è un’eccellenza a livello mondiale prima
però era legato ad un ambito mutualistico. In assenza di una struttura che si rivolgesse a
tutti i cittadini 1978 la tutela della normale malattia passava su organismi strutturati da
lavoratore e datore di lavoro. Non tutti i lavori prevedono una tutela ampia. La nascita del
servizio sanitario nazionale ha portato a eguaglianza a livello basilare.
In passato era non lavori, non ti pago (indipendentemente dalla causa di sospensione) or
ala situa è cambiata.
Art 37 costituzione donna ha gli stessi diritti e retribuzione del lavoratore. Le condizioni
di lavoro devono tutelare la madre e il bambino, quindi sono previste dei congedi per i
genitori. Il testo unico a sostegno della maternità e paternità numero 151 del 2001.
Viene annualmente modificato e prende il nome della prima volta in cui è stato emanato.
C’è un divieto sanzionato penalmente da parte del datore di far lavorare la donna in cinta
due mesi prima del parto e per i tre mesi successivi.
Recentemente le cose si sono modificate.
La tutela alla lavoratrice prevede un’indennità versata dall’INPS pari all’80% della
retribuzione.
Ci sono poi i contratti collettivi più favorevoli che prevedono il 90%, 100%. In mancanza di
contrattazione collettiva i 5 mesi sono pagati all’80%. Fin dal 2001 questi 2 + 3 mesi se il
medico ne da il nullaosta possono diventare 1 + 4 retribuiti sempre all’80%--> il congedo è
diventato flessibile.
Con la legge finanziaria per il 2019 è intervenuta un ulteriore possibilità di flessibilità:
facoltà di astenersi esclusivamente dopo il parto per 5 mesi in presenza di un certificato
medico. In mancanza di attestazione del medico da due mesi prima la lavoratrice deve
stare a casa.
Il congedo di paternità è legato a situazioni molto gravi come morte o grave infermità della
madre per i mesi successivi dopo il parto.
Attualmente ci sono disposizioni di legge speciale che prevedono un simbolico congedo di
paternità 81 giorni fino al massimo di 3 giorni) è un fatto culturale.
Congedo parentale art 37 del testo Unico: per ogni bambino nei primi 12 anni di vita, il
genitore ha il diritto di astenersi dal lavoro per:
- La madre trascorso il periodo di maternità, periodo intero o frazionato fino a 6 mesi
- Per il padre elevabile fino a 7. Perché periodo più lungo? Perché la norma cerca di
incentivare il padre.
Il più delle volte non sono usufrutti.
Questi congedi sono remunerati al 30% della retribuzione. C’è un problema di
finanziamento.

Per quanto riguarda il lavoro notturno l’Italia è stata sanzionata dall’UE perché le lavoratrici
non potevano essere adibite a tale lavoro. Oggi le lavoratrici in stato di gravidanza non
possono lavorare di notte. Il divieto generalizzato a tutte era discriminatorio.
Cosa avviene per l’onere retributivo in capo al datore di lavoro in caso di sospensione del
lavoro? Non bisogna associare la cassa integrazione guadagni al tema diverso (anche se
potenzialmente connesso dei licenziamenti il lavoro cessa mentre nel nostro caso c’è
una sospensione).
In molti casi casi prima del licenziamento si passa alla cassa integrazione ma non dovrebbe
essere sempre l’anticamera del licenziamento.
Ce ne sono di due tipi:
1) Cassa integrazione ordinaria
2) Cassa integrazione straordinaria
E’ una sospensione dell’obbligo di porre in essere la prestazione di lavoro ma ci sono anche
gli obblighi accessori che però non vengono meno come la fedeltà, non concorrenza.
Quindi anche in assenza più o meno prolungata non vengono meno tutte le obbligazioni
accessorie.
Cassa integrazione ordinaria= c’è qualcuno che integra la retribuzione in caso di causa
integrabile. E’ gestito dall’INPS provinciale. A chi si applica? Il campo di applicazione si è
ampliato nel tempo ma al tempo aveva un preciso destinatario, le imprese industriali.
All’inizio erano tutelati sono gli operai. Molto spesso con normative ad hoc a seconda delle
crisi del momento è stato ampliato l’elenco. Oggi tutte le categorie sono tutelate tranne i
dirigenti.
Le cause integrabili (cause in cui viene sospeso del tutto o ridotto l’orario di lavoro) sono:
1) situazioni temporanee di mercato, sono due mesi che non vendo, ho il magazzino
pieno, è inutile produrre ancora
2) Eventi transitori e intemperie stagionali (se piove c’è la neve o fa freddo non posso
lavorare, quindi uso la cassa integrazione per quella giornata)
La cassa ordinaria può durare fino ad 1 anno.
La cassa integrazione è un ammortizzare sociale ma anche un vantaggio per il datore di
lavoro, perché c’è una traslazione dell’obbligo retributivo. La cassa integrazione è pagata
come un’assicurazione, c’è una base fissa di contributi versati ad hoc; in passato c’era una
quota legata alle dimensioni dell’azienda più eri grande più pagavi; oggi il pagamento è
legato all’utilizzo dello strumento (è una sorta di bonus malus). Il lavoratore in caso di cassa
integrazione ordinaria e straordinaria ha diritto all’80% della retribuzione prevista per le
ore che non ha lavorato. Se c’è cassa integrazione a 0 ore cioè non lavoro nessuna delle 40
ore, ho diritto all’indennità per l’80% di quella prevista. Lavoro solo 20 ore a settimana, ho
diritto per le 20 ore a quanto previsto dal contratto, per il resto delle ore l’80%.
L’indennità può essere sostitutiva quindi o integrativa della retribuzione.
L’erogazione avviene da parte dell’INPs, ma chi versa è il datore di lavoro che compensa
con l’INPS.
Cassa integrazione straordinaria= ente che deve approvarlo non è l’INPS provinciale ma il
Ministero del Lavoro si è di fronte a una crisi aziendale).
Il campo di applicazione non è lo stesso.
In passato si parlava quotidianamente di cassa integrazione in deroga, in deroga dalle
previsioni legislative. Il campo di applicazione durante la crisi magari non andava a coprire
tutti i settori, l’elenco quindi è stata ampliato nel tempo partendo dalle imprese industriali.
In passato rincorreva le crisi economiche che c’erano. Non si possono scrivere all’interno i
nomi di azienda ma alcune applicazioni derivavano da casi concreti.
Anche qui si ha diritto all’80% della retribuzione ma all’interno dei massimali, se la
retribuzione supera una cifra che non è alta l’integrazione non viene erogata.
Le cause integrabili sono cause molto più gravose, che sono la:
- Riorganizzazione aziendale (Fiat )
- Crisi aziendale (in passato equivaleva alla chiusura, i lavoratori erano pagati per imprese
fallite caso Alitalia i lavoratori sono stati pagati per 7 anni con la cassa integrazione). La
cessione dell’attività non è prevista tra le cause integrabili.
- Contratto di solidarietà è un accordo fra datore di lavoro e sindacati che prevede la
diminuzione per un determinato periodo di tempo dell’orario di lavoro per evitare
situazioni di crisi. A un lavoratore viene modificato il contratto per esempio a 35 ore e
quindi la cassa integrazione aiuta il lavoratore. E’ un modo di scongiurare i licenziamenti, a
differenza della cassa ordinaria dura fino a un massimo di 24 mesi in un periodo di 5 anni.
Se uno utilizza lo strumento della solidarietà fino a 3 anni (il legislatore vuole incentivare
l’utilizzo di questo metodo).
Ci dev’essere una procedura per collocarsi in cassa integrazione straordinaria e ci devono
essere due distinte procedure:
1) Di carattere sindacale, bisogna rendere noto lo stato di crisi
2) DI carattere amministrativo, ci può essere un caso in cui vista la difficoltà di crisi su
richiesta del datore non c’è l’anticipazione e quindi l’erogazione avviene direttamente
da parte dell’INPS

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