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FONDAZIONE GUIDO D’AREZZO

CENTRO STUDI GUIDONIANI

IL CANTUS FIRMUS
NELLA POLIFONIA
Atti del convegno internazionale di studi
Arezzo, 27-29 dicembre 2002

Premessa di Giulio Cattin e Francesco Facchin

A cura di Francesco Facchin

Arezzo - 2005
SOMMARIO

GIULIO CATTIN e FRANCESCO FACCHIN


Premessa Pag. 7

IAIN FENLON
Costanzo Festa and the Missa Ducalis ” 15

FRANCESCO FACCHIN
Uso del cantus firmus tra pratiche “fiamminghe” e
“italiane” ” 29

MARCO GOZZI
Cantus firmus per notulas plani cantus:
alcune testimonianze quattrocentesche ” 45

ANTONIO ADDAMIANO
Imitatio, aemulatio e traditio in alcune Missae carminum
tra Quattro e Cinquecento ” 89

ANTONIO DELFINO
Scrittura a tre voci e cantus firmus nel tardo Cinquecento:
note a margine di un Agnus Dei di Pietro Vinci ” 121

RODOBALDO TIBALDI
Reminiscenze Palestriniane? La messa Ecce sacerdos
magnus di Vincenzo Pellegrini ” 141

5
RODOBALDO TIBALDI

Reminiscenze palestriniane?
La messa Ecce sacerdos magnus di Vincenzo Pellegrini

Nel 1619 il maestro di cappella del duomo di Milano, il pesarese Vincen-


zo Pellegrini, pubblicò un imponente volume miscellaneo contenente ben 65
sue composizioni.1 L’opera, stampata a Venezia per i tipi di Giacomo Vincen-
ti, venne dedicata al duca di Urbino Francesco Maria II Della Rovere, suo
antico protettore, del cui favore evidentemente continuava a godere. Come
sappiamo grazie alle ricerche effettuate da Giuseppe Radiciotti nei primi
decenni del Novecento, esistono due lettere scritte dallo stesso Pellegrini al
segretario del duca, l’abate Giulio Brunetti; nella prima, del 21 novembre
1618, il compositore si rallegrava dell’accettazione dell’opera e del gradi-
mento della dedica da parte di Francesco Maria, nella seconda, del 22 mag-
gio 1619 ringraziava il duca per le parole «molto affettuose» rivolte all’opera
stessa.2 La raccolta contiene prevalentemente mottetti ed un Magnificat in
stile concertato da una a sei voci e basso continuo, alcuni dei quali erano già
apparsi in due importanti antologie dell’epoca, il celeberrimo Parnassus
musicus di Bonometti del 16153 e l’ultima edizione delle ancora troppo poco
indagate (e, soprattutto, ancora inedite modernamente) antologie edite da
Francesco Lucino dal 1608 al 1617.4 Accanto ad essi vi sono ben tredici com-

1
Due mottetti sono in due parti; si deve inoltre aggiungere il concerto per Basso e continuo Sub
tuum praesidium di Francesco Lucino, vice maestro di cappella nel duomo di Milano e figura
piuttosto importante nel panorama della vita musicale milanese nei primi decenni del Seicento.
2
Cfr. GIUSEPPE RADICIOTTI, La cappella musicale del duomo di Pesaro (sec. XVII-XIX), «La
cronaca musicale», XVIII, 1914, pp. 43-48 e 65-75: 43-44, con trascrizione completa delle due
lettere conservate nella Biblioteca Oliveriana di Pesaro, Monumenti Rovereschi, tomo XVII,
pp. 178 e 198. Desidero ringraziare la Biblioteca Oliveriana di Pesaro per avermi fatto avere
una fotocopia del saggio.
3
Parnassus Musicus Ferdinandeus in quo musici nobilissimi, qua suavitate, qua arte prorsus
admirabili er divina ludunt: 1.2.3.4.5. vocum. A Joanne Baptista Bonometti bergomate Sere-
nissimi Ferdinandi Archiducis Austriae etc. musico congestus, eidemque Serenissimo in grati
animi symbolum dicatus et consecratus, Venezia, Giacomo Vincenti, 1615 (RISM 161513).
4
Seconda aggiunta alli concerti raccolti dal Molto Reverendo Don Francesco Lucino, a due,
tre, e quattro voci, di diversi eccellenti autori, novamente raccolta, et data in luce da Filippo
Lomazzo, con una Messa, due Magnificat, le Litanie della Beata Vergine, e dodici canzoni per
sonare, con la partitura per l’organo, Milano, Filippo Lomazzo, 1617 (RISM 16172). La tavo-
la si veda in Sartori 1617d.

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posizioni a cinque e a sei voci, recanti la didascalia «a cappella»,5 per lo più


mottetti, ma anche il salmo 109, un Magnificat (che meriterebbe ulteriori
indagini, e su cui mi riprometto di tornare in altra occasione6) e una messa a
sei voci, oggetto del presente intervento, che è evidenziata con chiarezza nel
frontespizio (anche se non sottolineata nell’impostazione grafica del titolo), e
che ha il compito di chiudere l’intera raccolta:

SERENISSIMO / FRANCISCO MARIAE / FELTRIO DE RVERE VRBINI


/ DVCI CLEMENTISSIMO / SACRI CONCENTVS / VNIS, BINIS, TER-
NIS, QVATERNIS, QVINIS / ET SENIS VOCIBVS. / Item Missa / Ecce
Sacerdos Magnus, Senis Vocibus pro Capella. / VNA CVM PARTE ORGA-
NICA: / VINCENTII PELLEGRINI PISAVRENSIS / Et in Metropolitana
Ecclesia Mediolanensi Musices Præfecti.7

La stampa avvenne a Venezia per i tipi di Vincenti, non a Milano, che pure
poteva vantare diverse botteghe tipografiche (come Rolla, o i Tini, o Lomaz-
zo), a spese dell’autore8. Evidentemente, i contatti già avuti in precedenza per
le altre sue pubblicazioni lo spinsero a proseguire sui binari noti e consolidati.
Gli elementi di interesse sono molti, e vanno dalla mescolanza di stile
concertato e stile a cappella nel genere mottettistico (senza che sia sentita la
necessità di avvertirlo nel frontespizio9) alla presenza di una messa quasi a

5
Una di esse, Plorans ploravi a sei voci, sembra porre la doppia opzione «da concerto e da
capella», ma si tratta, in sostanza, di una composizione in stile osservato più che concertato.
6
«A 5 Da capella octavi toni Quest’è quel chiaro fonte», indicazione presente nei libri parte in
testa al brano ma non nell’indice. Si tratta di un Magnificat basato sul madrigale Questo è quel
chiaro fonte di Ippolito Baccusi, contenuto nell’antologia L’Amorosa Caccia de diversi eccel-
lentissimi musici mantovani nativi a cinque voci: novamente composta & data in luce, Vene-
zia, Angelo Gardano, 1588 (antologia ristampata dal medesimo editore nel 1592; cfr. RISM A
II 158814 e 159212).
7
L’unico esemplare pervenuto dell’opera si trova, fortunatamente completo, nella Biblioteca
Musicale «Santa Cecilia» di Roma (cfr. RISM A I: P 1181). Di questa messa, come di altre
composizioni tratte da questa stampa, esiste una copia manoscritta di pugno dell’abate Santini
ora conservata nella Diözesanbibliothek, Santini-Sammlung, di Münster.
8
Troviamo questa informazione in una lista delle «Opere di Vincenzo Pellegrini stampate a
Venezia a sue spese» posta alla fine di un memoriale presentato nel 1628 ai membri del Capi-
tolo della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano. Il memoriale è pubblicato in MARINA TOF-
FETTI, La cappella musicale del Duomo di Milano: considerazioni sullo status dei musici e sul-
l’evoluzione dei loro salari dal 1600 al 1630, in Barocco padano 2, atti del X Convegno inter-
nazionale sulla musica sacra nei secoli XVII-XVIII (Como, 16-18 luglio 1999), a cura di Alber-
to Colzani, Andrea Luppi e Maurizio Padoan, Como, AMIS, 2002, pp. 439-556: 487-488. Su
questo importante contributo avremo modo di tornare più avanti.
9
Non compare alcuna indicazione come «parte da capella, e parte da concerto», che, tra l’al-
tro, si trova di solito in rapporto alle messe e non ai mottetti.

142
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

mo’ di appendice; è questa una situazione tutt’altro rara nell’editoria seicen-


tesca, al contrario (gli esempi sarebbero veramente molti, da Grandi a Capel-
lo, da Burlini a Cima), ma solitamente la messa è pure essa concertata, con o
senza strumenti, e non «pro capella». Inoltre, non si tratta di una messa qual-
siasi composta su un qualche tono ecclesiastico o basata su una composizio-
ne preesistente rielaborata secondo le più diverse tecniche, ma di una Missa
ecce sacerdos magnus, il cui titolo è capace da solo di evocare suggestioni e
richiami palestriniani.10
Non sono molte le messe cinquecentesche recanti simile intitolazione, al
contrario; a mia conoscenza sono solo due, quella di Palestrina a quattro voci
pubblicata nel suo Liber primus missarum del 1554, dedicato a Giulio III, e
quella di Guerrero a cinque voci edita nel Missarum liber secundus (Roma,
1582) e dedicato a Gregorio XIII. Il primo interrogativo che ci si pone, per-
tanto, è legato all’occasione in cui può essere stata scritta la Missa Ecce sacer-
dos magnus. Il frontespizio, abbiamo visto, nulla dice al riguardo, e di nessun
aiuto è la dedica rivolta al duca di Urbino. Franco Piperno suggerisce una pos-
sibilità, sulla base di una testimonianza riportata da uno storico locale del
XVII secolo:

Il volume [la stampa del 1619] include una messa sull’antifona Ecce sacer-
dos magnus che forse fu quella eseguita in duomo nel maggio 1598 in
occasione della visita a Pesaro di papa Clemente VIII secondo quanto atte-
sta G.C. Tortorino, Historia dell’antichissima e fedelissima città di Pesaro
(1633), Ms. Oliv. 318, c. 41v (v. anche Ms. Oliv. 381, parte II, p. 120).11

10
Stranamente, l’esatta intitolazione della messa non compare in nessuno dei dizionari di nor-
male consultazione, come anche nella letteratura, e vi è sempre il rimando ad una generica
messa a sei voci; dico stranamente non tanto per la sua presenza sul frontespizio, quanto per-
ché l’intitolazione completa dell’opera è riportata sia nello schedario dell’URFM sia nel cata-
logo in rete dell’ICCU (Istituto Centrale per il Catalogo Unico), l’OPAC dell’indice SBN
(http://opac.sbn.it/index.html) e, una volta tanto, anche sul RISM (sappiamo bene come nella
gran parte dei repertori bibliografici si preferisca indicare il titolo in maniera abbreviata, omet-
tendo informazioni preziose per lo studioso; è cosa risaputa, e non è il caso di polemizzare ulte-
riormente). I soli riferimenti precisi a questa messa si trovano in FRANCO PIPERNO, Musiche e
musicisti attorno ai Della Rovere, in Pesaro nell’età dei Della Rovere, tomo II, Venezia, Mar-
silio, 2001 (Historica Pisauriensa, 3/2), pp. 375-402, e in ROBERT KENDRICK, The Sounds of
Milan, 1585–1650, Oxford, Oxford University Press, 2002, p. 265 e 279-281.
11
FRANCO PIPERNO, Musiche e musicisti attorno ai Della Rovere, in Pesaro nell’età dei Della
Rovere, tomo II, Venezia, Marsilio, 2001 (Historica Pisauriensa, 3/2), pp. 375-402: 396 nota 91.
Su questo importante avvenimento cfr. GIAN GALEAZZO SFORZA, Pesaro fine secolo XVI. Cle-
mente VIII e Francesco Maria II della Rovere, Venezia, Marsilio, 1980.

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RO D O BA L D O T I BA L D I

L’ipotesi è suggestiva, e parte probabilmente anche dalla considerazione


che le due messe sopra citate sono entrambe contenute in volumi dedicati ad
un pontefice; vi sono, però, alcuni elementi che, a mio parere, sembrano
escludere completamente tale possibilità. Pochi anni dopo, nel 1604 (o
1603)12 Pellegrini pubblicò a Venezia «in coenobio Sancti Spiritus Venetia-
rum» un libro di sue messe; si tratta di un’edizione di lusso in folio, con la
cosiddetta disposizione a libro corale, e con la riproduzione xilografica del
pontefice sul frontespizio. Le messe contenute sono otto, tra cui un interes-
sante Requiem, ma a quattro e a cinque voci13, e quindi risulta assente la
Ecce sacerdos magnus. Certo, sul frontespizio è precisato «liber primus»,
ma, a parte il fatto che non si ha notizia di un «liber secundus», è proprio la
dedica a Clemente VIII da un lato e la mancanza della messa che fa nasce-
re il dubbio, tanto più che si tratta di un’edizione di pregio (librone in folio
con disposizione delle voci a libro corale); e, ci si chiede, quale migliore
occasione di questa vi poteva essere per la pubblicazione della composizio-
ne? Inoltre, può essere utile riportare entrambi i passi della sopra citata
Historia di Giulio Cesare Tortorino in cui si ricorda l’episodio avvenuto nel
pomeriggio del 3 maggio 1598:14

12
La maggior parte delle edizioni pervenute hanno il 1604 come data indicata sul frontespi-
zio, e corrispondono al numero RISM P 1179. Al n. P 1178 sono poi indicati altri tre esem-
plari che avrebbero 1603, dei quali però uno (quello di Berkeley) privo del frontespizio, ed
uno, conservato presso la British Library, il quale, sempre secondo il RISM, avrebbe la data
corretta a mano in 1604; in realtà, è stato ricalcato a penna l’ultima I, evidentemente scarsa-
mente visibile nell’originale, di M DC IIII. Rimarrebbe da verificare l’esemplare bolognese
dell’archivio di San Petronio, ma è probabile che si tratti di un errore del catalogo di Bono-
ra. Al n. P 1177 vengono poi indicate delle Missae octo partim quatuor partim quinque voci-
bus concinendae conservate nel Civico Museo Bibliografico Musicale di Bologna; si tratta
sempre, in realtà, della medesima opera, a cui, in sostituzione del frontespizio originale per-
duto, è stato aggiunto un foglio con la suddetta intitolazione posticcia.
13
Sono le messe a quattro voci Ave Regina coelorum, Osanna Filio David, Estote Fortes in
Bello, Paribus vocibus e Brevis, e quelle a cinque Sine nomine, Quam pulchri sunt e Defunc-
torum.
14
Anche in questo caso colgo l’occasione per ringraziare la Biblioteca Oliveriana di Pesaro
per avermi inviato copia delle pagine della Historia di Tortorino relative all’avvenimento.
Quasi del tutto identico a quello riportato nel ms. 318 è il passo presente nel ms. 1997 della
Historia medesima pubblicato in SFORZA, Pesaro cit., doc. 7, pp. 88-95: 90 («[…] et ivi fece
un poco d’oratione cantandosi fra questo tempo dalla musica con l’organo «Ecce Sacerdos
magnus» […]»).

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REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

Ms. Oliv. 318, 41r-v Mis. Oliv. 381, parte II, pp. 119-120

Giunta poi sua Beatitudine alla Porta del Giunto Sua Santità alla Porta del
Vescovato, discese da cavallo, et inginoc- Vescovato discesa da cavallo, et ingi-
chiata sopra un scabello, fece alquanto nocchiato sopra un / scabello fece
oratione, poi li Cardinali, et Ser:mo entran- alquanto oratione, poi con li Cardinali,
do in Chiesa, alla Porta di quella eravi il e Ser.mo entrando in Chiesa alla Porta di
Vescovo della Città, che presentando con quella vi si trovò il Vescovo della
la destra mano il spergolo al Papa, et con Città, che presentando al Papa il spar-
la sinistra tenendo l’acqua santa, il Pon- golo, che tenea nella destra mano, e
tefice diede l’acqua benedetta a tutti li con la sinistra il vaso dell’acqua santa;
Cardinali, et al Ser:mo /ch’era ivi con lui, il Pontefice diede l’acqua benedetta a
poi mise l’incenso nel turibolo, che li tutti li Cardinali, et Ser.mo, poi mise
presentò il Vescovo pluvialato, et andò l’incenso nel turribulo, che li presentò
alli gradi dell’Altar Maggiore, et ivi fece il Vescovo che era vestito col Pluviale,
un poco di oratione, cantandosi fra que- andando alli gradini dell’altar Maggio-
sto tempo dalla [sic] Musica con l’Orga- re ivi fece breve orazione, cantandosi
no Ecce Sacerdos Magnus la qual finita, in questo mentre su l’Organo da Musi-
il Vescovo dalla sinistra dell’Altare sotto ci l’antifona Ecce Sacerdos Magnus,
San Terenzo Protettore di Pesaro, disse terminata la quale, il Vescovo dalla
un oratione, che finita sua Beatitudine si sinistra dell’Altare sotto S. Terenzo
partì con li Cardinali, et Ser:mo, et alquan- Protettore di Pesaro disse una Oratio-
to Popolo, in poco numero entratovi per ne, che finita sua Beatitudine partì con
rispetto delle Guardie, che chinsero la li Cardinali, e Ser.mo, e quella poca
Chiesa, hornatissima in simile occasione gente entrata in poco nummero a causa
di un bello, et vago parato. delle guardine alla Porta, che chiusero.

Nei due passi viene descritta la solenne entrata del Papa nel duomo di
Pesaro, accolto dal Vescovo. Furono pronunciate delle orazioni, ma non si
celebrò la Messa, e fu eseguita soltanto l’antifona (così espressamente men-
zionata dal Ms. Oliv. 381) del Commune pontificum Ecce sacerdos magnus
dai musici che cantavano «su l’organo» forse in polifonia, forse no, come
saluto e acclamazione al pontefice che si era recato all’altare maggiore per
una breve orazione. La messa ebbe luogo soltanto l’indomani mattina, verso
mezzogiorno; fu però una liturgia del tutto privata, celebrata nella cappella di
corte alla presenza dei duchi e di alcuni pochi privilegiati15. Tra questi vi era
il Tortorino, che descrive puntualmente l’avvenimento, senza menzionare la

15
SFORZA, Pesaro cit., p. 34.

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RO D O BA L D O T I BA L D I

presenza di una qualche musica; questa probabilmente non vi fu del tutto, dal
momento che la messa dovette essere assai breve:

Finita la messa Sua Santità diede il buongiorno alla Serenissima con bel-
lissima cortesia et a Sua Altezza, cioè la Serenissima, pigliò la mano et con
grandissima cortesia si licentiò da lei et subito si ritirò alla sue stanze ed
indi, a un quarto d’hora, andò a montare a cavallo, che fu alli 4 di maggio
a hore 13 del 1598, partendo con lo stesso ordine col quale arrivò […]16

Era passata appena un’ora dall’inizio della celebrazione eucaristica da


quando il pontefice si rimise in viaggio, e in questo lasso di tempo riuscì
anche a congedarsi dai duchi e a ritirarsi nei suoi appartamenti per quindici
minuti. Evidentemente, non vi poteva essere tempo per l’esecuzione di una
messa polifonica, qualunque essa fosse.

Escludendo questo avvenimento, e ricordando che nel 1603 fece parte


della delegazione della curia pesarese che si recò a Roma,17 potrebbe essere
stato un altro l’occasione per comporre una messa Ecce sacerdos magnus.
Alla fine del 1610 l’arcivescovo di Milano Federico Borromeo, nel corso di
un viaggio successivo alla canonizzazione di Carlo (1 novembre), si recò a
Pesaro, il 2 dicembre celebrò la messa in duomo e consegnò ai canonici (tra i
quali vi era Pellegrini) una medaglia commemorativa.18 Non sappiamo nulla
sulla messa cantata in quell’occasione solenne, ma, con tutte le cautele del
caso, non sembrerebbe del tutto fantomatica l’idea della Ecce sacerdos
magnus di Pellegrini; il suo inserimento nella silloge mottettistica potrebbe
essere una maniera per legare insieme la sua città natale, il suo protettore e il
luogo che lo aveva accolto, forse malvolentieri, come maestro di cappella.
Oltre a notare che nella stampa del 1619 vi sono due mottetti a voce sola dedi-
cati a San Carlo, secondo Kendrick composti a Milano,19 ma che nulla vieta
essere stati pensati per quel 2 dicembre 1610, desidero ricordare un fatto ben
noto, che potrebbe anche giustificare, in qualche modo, la mia ipotesi.
Il canonico, il quel momento, non era il maestro di cappella, ma era sicu-
ramente una figura di musicista assai prestigiosa in città, se non addirittura la

16
SFORZA, Pesaro cit., doc. 7 p. 93.
17
Cfr. PIER PAOLO SCATTOLIN/AUSILIA MAGAUDDA-DANILO COSTANTINI, voce «Pellegrini» in
The New Grove’s Dictionary of Music and Musicians, second edition, ed. by Stanley Sadie, 29
voll., London, Macmillan, 2001, vol. 19, pp. 209-210: 209.
18
Pesaro, Archivio del Duomo, Libro de’ Risoluzioni capitolari 1594-1614, foglio inserito
prima del f. 1; l’interessante documento è citato in KENDRICK, The Sounds of Milan cit., p. 424
nota 62.
19
Cfr. KENDRICK, The Sounds of Milan cit., p. 265.

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REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

più importante (se ne erano già andati musicisti come Donati o Barbarino,
mentre Zacconi poteva vantare solo un’opera teorica e nessuna stampa musi-
cale) e certamente prediletto dalla famiglia ducale;20 poteva quindi risultare
ovvia e scontata la scelta di rivolgersi a lui come compositore in occasioni
importanti. Al di là dei confini rovereschi, però, era probabilmente un illustre
sconosciuto, almeno come musicista; eppure, a seguito della morte di Giulio
Cesare Gabussi, il 19 dicembre 1611 venne nominato maestro di cappella del
duomo di Milano per intervento diretto di Federico Borromeo presso i cano-
nici milanesi.21 La cosa dovette parere assai strana, anche perché non si hanno
notizie sicure di suoi precedenti incarichi di tal genere, i canonici milanesi
cedettero solo per le pressioni del loro vescovo,22 e in qualche modo gliela
fecero scontare; Pellegrini, come è noto, non ebbe mai vita facile a Milano, e
fu anche sul punto di essere licenziato nel 1625 (ma non lo fu) per le condi-
zioni in cui era precipitata la cappella musicale e di cui era ritenuto, a torto o
a ragione, il principale responsabile.23 Non si può certo escludere che la Missa
Ecce sacerdos magnus, svincolata da una qualsiasi occasione reale, avesse
voluto essere una sorta di biglietto da visita delle capacità del compositore
pesarese, magari in previsione di una chiamata da un’altra istituzione musi-
cale dietro ‘sollecitazione’ di Francesco Maria della Rovere; ma, anche qui,
siamo solo e soltanto nel campo delle ipotesi. È senza dubbio vero che una
messa Ecce sacerdos magnus è solitamente collegata con un papa, ma non

20
A Livia, la seconda giovanissima moglie di Francesco Maria II, dedicò la sua prima opera a
stampa, le notevoli Canzoni de intavolatura d’organo fatte alla francese di Vincenzo Pellegri-
ni canonico di Pesaro novamente da lui date in luce, & con ogni diligenza corrette. Libro
primo, Venezia, Vincenti, 1599. Nel maggio 1621 fu poi presente alle celebrazioni per le nozze
di Federico Ubaldo della Rovere con Claudia de’ Medici (cfr. SCATTOLIN/MAGAUDDA-COSTAN-
TINI, voce «Pellegrini» cit., p. 209; per la musica utilizzata durante quei festeggiamenti cfr.
PIPERNO, Musiche e musicisti cit., pp. 389-392).
21
Sulla cappella del Duomo di Milano rimandiamo soltanto al recentissimo e documentatissi-
mo contributo di Marina Toffetti già citato alla nota 8; sulla bibliografia già esistente, per altro
non sempre aggiornata e soddisfacente dal punto di vista metodologico, mi limito a rimandare
a quanto dice la studiosa alle pp. 442-443, essendo sostanzialmente d’accordo.
22
Secondo una lettera scritta da Pellegrini stesso il 7 gennaio 1612, e pubblicata da Kendrick,
vi fu un intervento diretto del cardinale Bonifacio Caetani, da poco nominato legato per la
Romagna, a raccomandarlo presso Federico, anche se di tale intervento non sembra esserci
traccia nella corrispondenza del cardinale milanese proveniente da Caetani (cfr. KENDRICK, The
Sounds of Milan cit., p. 388 doc. 11/c). In quella medesima data Pellegrini scrisse al canonico
Ottaviano Scotto una lettera di contenuto assai simile, in cui però non compare il nome di Cae-
tani, letta ed approvata nella riunione del Capitolo milanese del 23 gennaio; la lettera è edita
integralmente in TOFFETTI, La cappella musicale cit., pp. 482-483.
23
Sulle vicende della cappella musicale milanese durante la direzione di Pellegrini cfr. TOF-
FETTI, La cappella musicale cit., pp. 482-488; alle pp. 464-465 si dà conto dei motivi di con-
trasto che opposero il maestro di cappella all’organista Guglielmo Arnone.

147
RO D O BA L D O T I BA L D I

necessariamente; ad esempio, la omonima composizione di Lorenzo Vecchi a


otto voci, pubblicata nel 1605, non ha una tale destinazione, se non molto alla
lontana. La sua raccolta di messe è dedicata ai canonici del capitolo della
chiesa metropolitana di Bologna, in cui Vecchi era mansionario e maestro di
cappella; e, ricordo, la chiesa è intitolata proprio a San Pietro.24

***

La struttura generale della composizione è sostanzialmente quella di una


per così dire ‘messa solenne’, come indicano organico e dimensioni complessi-
ve; pur tuttavia, vi sono alcune scelte che paiono in qualche modo singolari e
curiose. La messa richiede sei voci, l’organico della Missa Papae Marcelli e di
altre grandi messe palestriniane come la Tu es Petrus o la Assumpta es Maria o
la Viri Galilaei; Pellegrini, però, organizza l’ensemble vocale in modo da avere
due sezioni omogenee ognuna delle quali vede il raddoppio della parte più
acuta: due canti, un alto, due tenori e un basso, differentemente a quanto avvie-
ne solitamente in Palestrina, che preferisce lasciare un solo canto e raddoppia-
re le voci interne ed il basso, ma in maniera analoga a quanto troviamo nelle
messe a sei voci di Costanzo Porta, soprattutto nella Audi filia e nella La sol fa
re mi.25 L’uso delle sei voci sembra rimandare certo più ad un ambito composi-
tivo tardo-cinquecentesco che non seicentesco, ma anche qui dobbiamo fare i
conti con la mancanza di repertori e di studi adeguati;26 a sei voci è uno dei

24
Laurentii Vecchii bononiensis in Metropolitanae bonon. mansionarij ac musicae praefecti.
Missarum octonis vocibus. Liber primus. Missa Ecce Sacerdos. Missa Sine nomine. Missa de
Apostolis. Missa pro Defunctis, Venezia, Angelo Gardano, 1605. Sul frontespizio è presente
una vignetta xilografica raffigurante San Pietro con la tiara e le chiavi in mano. Secondo Oscar
Mischiati (sub voce in Die Musik in Geschichte und Gegenwart, 17 voll., hrsg. von Friedrich
Blume, Kassel, Bärenreiter, 1949-1986, vol. 13, coll. 1345-1346; sostanzialmente ripresa da
Anne Schnoebelen in The New Grove, vol. 26, pp. 365-366), si tratterebbe di una messa basa-
ta sulla melodia dell’antifona gregoriana; quest’ultima, però, è adoperata sostanzialmente solo
nella sua prima sezione. Non escludo che possa trattarsi piuttosto di una parodia di un model-
lo non ancora identificato.
25
Constantii Portae Almae Ecclesiae Deiparae Virginis Lauretanae magistri musices. Missa-
rum liber primus, Venezia, Gardano, 1578; edizione moderna a cura di Siro Cisilino e Giovan-
ni M. Luisetto in Opera omnia, vol. 9, Padova, Biblioteca Antoniana, 1971.
26
Mi riferisco, ovviamente, da un lato alla mancanza di strumenti bibliografici specifici, dal-
l’altro ad una certa mancanza di interesse verso la musica sacra seicentesca non concertata. Da
quel poco che ho potuto vedere mi sembrerebbe di poter dire che, nel corso del primo Seicen-
to, abbiamo da un lato l’uso di quattro o cinque voci per messe scritte «a cappella» (nella sua
accezione più ampia possibile, includente quindi contrappunto rigoroso, omoritmia, soluzioni
intermedie etc.), dall’altro l’impiego di otto voci suddivise in due cori, secondo modalità di
scrittura diverse ma tutte da indagare.

148
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

capolavori dello stile osservato del primo Seicento, ovvero (è quasi superfluo
ricordarlo) la Missa in illo tempore, nella quale, tra l’altro, Monteverdi organiz-
za le parti nel medesimo modo (due Canti, Alto, due Tenori, Basso). La struttu-
ra generale della messa è così riassumibile:

Organico Finalis
Kyrie 6 voci ¢ Sol
Christe 4 voci CCAT ¢ Do
Kyrie 6 voci ¢ Sol
¢
Et in terra 6 voci ¢ Sol
¢
Patrem omnipotentem 6 voci ¢ Sol
Et incarnatus est 6 voci ¢ Sol
Crucifixus 3 voci CAB ¢ Sol
Et iterum venturus est 6 voci ¢ Sol
¢
Sanctus 6 voci ¢ Sol
Benedictus 4 voci CCAT ¢ Sol
Osanna 6 voci O 32 Sol
¢
Agnus Dei I 6 voci ¢ Sol

Come è consueto, ed è naturale aspettarsi, diverse sezioni richiedono una


riduzione d’organico con coro a quattro ma anche a tre voci, il che ci allontana
dalle soluzioni palestriniane, almeno per la composizione a cinque e più parti.
Risulta però curioso il Gloria, organizzato in un unico movimento, piuttosto ser-
rato (91 misure in tutto, quando il Kyrie ne conta complessivamente 81), e senza
la tradizionale separazione in due parti distinte; una scelta che Pellegrini aveva
più volte operato nelle sue messe del 1603-1604. Il Sanctus prevede due Osan-
na diversi, di cui il secondo contrastante anche per ritmo (ternario anziché bina-
rio); ma l’Agnus Dei prevede un’unica intonazione, e relativa al «miserere
nobis», non al conclusivo «dona nobis pacem», una situazione più normale nel
Seicento soprattutto in ambito veneziano o veneto di terraferma, in cui si lascia-
va spazio ai concerti alla Comunione,27 oppure in messe per poche voci e orga-

27
«[…] Il Sanctus, et l’Agnus Dei si sono posti così semplici, et brevi alla Venetiana, per sbri-
garsi presto, et dar loco al Concerto per l’Elevazione; et a qualche Sinfonia alla Communione
[…]»: sesto degli avvertimenti preposti ai Salmi Boscarecci concertati a sei voci, con aggiun-
ta, se piace, di altre sei voci, che servono per concerto, et per rippieno doppio, per cantare a
più chori; con una Messa similmente concertata, et con il ripieno, d’un’altra simile a sei, già

149
RO D O BA L D O T I BA L D I

no e per lo più breves (e la Ecce sacerdos magnus non appartiene certo a que-
sta categoria), e senza considerare possibili particolarità liturgiche tipiche di un
luogo o di una chiesa, come il ben noto caso dell’arcibasilica di San Giovanni
in Laterano a Roma.28 Eppure, come vedremo più avanti, quest’ultimo Agnus
non è tirato via in qualche modo tanto per finire.
Composizione di ampio respiro, senza dubbio ambiziosa nell’uso intenso e
continuato della scrittura contrappuntistica, la messa di Pellegrini riprende ele-
menti costruttivi della musica cinquecentesca non a fini antiquari (che credo
nessun compositore avesse, almeno nei primi decenni del Seicento), ma come
continuità reale di una maniera di scrivere musica sacra salda, sicura, solenne,
e non soggetta a mode più o meno passeggere (il che, naturalmente, non signi-
fica il rifiuto aprioristico e preconcetto dello stile concertato e del basso conti-
nuo). So di toccare un argomento assai delicato e di portata assai ampia, che
merita ben altra trattazione e che rischia di portarmi fuori dal tema della rela-
zione; e senza ulteriori indugi, torno immediatamente in argomento. Una pic-
cola osservazione di carattere generale: non è mia intenzione un’analisi com-
pleta ed esauriente della messa, che richiederebbe molto tempo e, soprattutto,
risulterebbe eccessivamente astratta in mancanza di un’edizione moderna a cui
fare riferimento. Mi concentrerò pertanto sul materiale melodico e sui rapporti
esistenti con il cantus prius factus.
Elemento basilare dell’intera costruzione contrappuntistica è l’antifona
Ecce sacerdos magnus, che fornisce il materiale melodico in tutti i movimenti
attraverso la divisione della melodia gregoriana in tre sezioni:

Es. 1

A titolo di curiosità, faccio anche notare che la versione della melodia

stampata; et con il basso principale per sonar nell’organo. D’Ignatio Donati mastro di capella
nella terra di Casalmaggiore; L’Auriga nella Academia de Filomeni. Dedicati alli moto illustri
signori del Consiglio della medesima terra. Opera nona, Venezia, Alessandro Vincenti, 1623.
28
Anche nella messa Ecce sacerdos magnus di Vecchi il Gloria è senza ripartizioni interne e vi
è un’unica intonazione per l’Agnus Dei; inoltre manca il Benedictus.

150
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

adoperata da Pellegrini non corrisponde esattamente a quella utilizzata da


Palestrina nella sua messa Ecce sacerdos magnus:

Es. 2

La prima sorpresa si ha nel Kyrie primo, e in modo particolare nelle dodi-


ci misure che costituiscono l’esordio della Messa:29

29
In tutti gli esempi tratti dalla messa Ecce sacerdos magnus è stata omessa la parte per l’or-
gano, che funge da mero basso seguente di accompagnamento; questa riporta nel relativo libro-
parte fascicolo la sola linea inferiore per la gran parte delle sezioni a sei voci, e la partitura per
le sezioni a organico ridotto (Christe, Crucifixus e Benedictus). Anche due sezioni a organico
pieno sono riprodotte in partitura completa, ovvero il Kyrie ultimo e l’Agnus Dei, non saprei
dire per quali motivi (potrei solo azzardare un’ipotesi per l’Agnus; ma lo farò più avanti). Tale
scelta trova anche il sostegno dell’Autore stesso, che negli avvertimenti «Alli signori lettori»
presenti in tutti i libri-parte precisa: «in questi miei concerti spirituali alcune compositioni si
dovranno concertar con l’organo mediante il basso continuato, secondo lo stile moderno, &
altre sono da capella, che si possono cantar senza il sostegno dell’organo». Sulla legittimità (o
addirittura sull’opportunità) di omettere la parte per l’organo in sede editoriale quando mero
segnale di una prassi e non elemento strutturalmente portante cfr. la premessa a CLAUDIO MON-
TEVERDI, Missa «In illo tempore» a 6 (7) voci miste (1610), trascrizione e premessa a cura di
Francesco Luisi, Arezzo-Roma, Fondazione Guido d’Arezzo - Pro Musica Studium, 1984
(Musica Rinascimentale in Italia, 10), pp. 5-6.

151
RO D O BA L D O T I BA L D I

Es. 3

La parte A della melodia, corrispondente alle parole «Ecce sacerdos


magnus», è trattata come un cantus firmus, a valori isocroni e lunghi tranne in
conclusione, con le due semibrevi parigrado («magnus»), collocato nel Canto,
dopodiché passa con uguale veste ritmica ma trasposto alla dodicesima inferio-
re nel Basso. Questa situazione quasi di cantus firmus migrante viene poi
abbandonata definitivamente a favore di un uso più libero dal punto di vista
strutturale della melodia gregoriana, sempre chiaramente riconoscibile e mini-
mamente parafrasata; e un ruolo determinante è giocato ancora dal Basso, che
mediante una progressiva diminuzione ritmica esegue quasi l’intera antifona,
tagliando solo la parte conclusiva della sezione C, anche perché la trasposizio-
ne da lui operata non gli consentirebbe di cadenzare sulla finalis Sol.

152
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

Es. 4

Torniamo ancora un momento all’inizio della messa. Mi sembra evidente


in questo attacco del Kyrie un omaggio a Palestrina: canto fermo nella voce
più acuta, contrappunto da parte delle altre voci (qui solo due su cinque) in
rapporto imitativo tra di loro ma senza alcun legame con il materiale melodi-
co dell’antifona. E, forse, almeno in filigrana, può vedersi un altro tipo di
omaggio, forse non diretto, ma mediato proprio attraverso Palestrina. La sua
messa Ecce sacerdos magnus è rigorosamente su cantus firmus, e, per quan-
to sia migrante in tutte le parti con eccezione del Basso, la voce che più delle
altre è deputata alla sua collocazione è il Tenore; nel Kyrie iniziale, però, Pale-
strina affida la melodia al Canto, lasciandola quindi sovrastante e in netta evi-
denza dal punto di vista acustico.30

Es. 5

30
Cito dalla recentissima edizione critica curata da Francesco Luisi Missarum liber primus
(Roma, Valerio e Luigi Dorico 1554), 2 voll., Roma, Editalia, 2003 (Edizione nazionale delle
opere di Giovanni Pierluigi da Palestrina, 1).

153
RO D O BA L D O T I BA L D I

L’intendimento è chiaro, l’idea geniale, ma è ripresa da quella che possia-


mo considerare la prima vera messa scritta per celebrare un monarca, ovvero
la Missa Hercules dux Ferrarie di Josquin; come tutti ricorderanno, nel Kyrie
I le prime otto misure di pausa dello schema quasi isoritmico del cantus fir-
mus, affidato ovviamente al Tenore, sono per così dire ‘riempite’ dal Canto
che enuncia il soggetto della messa.

Es. 6

Palestrina, per così dire, estremizza questa idea di Josquin, oltre che con-
testualizzarla in un ambito modale diverso (VII anziché I modo), mentre Pel-
legrini la riprende e la amplifica in un contesto diverso, ispirandosi ora all’u-

154
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

no ora all’altro e tentando quasi una sintesi. Il significato di questo esordio


diventa quindi evidente: citazione chiara e inequivocabile della melodia gre-
goriana e della sua sezione iniziale e, nello stesso tempo, menzione indiretta
di Palestrina.
Non si tratta certamente di una messa su cantus firmus, né tale tecnica
viene impiegata in maniera rigorosa ed esclusiva almeno per una parte o
sezione dell’ordinarium;31 ma l’uso parziale alla maniera del primo Kyrie è
riscontrabile in alcuni altri momenti. Propongo come esempio l’«Et incarna-
tus est» del Credo.

Es. 7

31
Si veda, ad esempio, la Missa Estote fortes a quattro voci dello stesso Pellegrini, tratta dal
libro di messe del 1603-1604, in cui il Christe vede l’impiego di una cantus firmus a semibre-
vi nel Tenor, o il Kyrie ultimo del Requiem a cinque voci di Viadana presente nell’Officium ac
missa defunctorum op. XV (Venezia, Vincenti, 1604), con la melodia gregoriana pure nel Tenor
quasi completamente in brevi.

155
RO D O BA L D O T I BA L D I

Abbiamo due solidi blocchi a sei voci di natura essenzialmente accordale


per l’inizio e la fine, corrispondenti ai due punti essenziali del testo, ovvero
«Et incarnatus est» e «et homo factus est», nel primo dei quali è presente la
sezione A della melodia gregoriana nel Tenore I; questi sono collegati da due
episodi a tre voci, rispettivamente due Canti e Tenore I e Canto, Alto e Teno-
re. In realtà, è come se avessimo un’unica sezione a due voci acute ed una
medio-grave, dal momento che l’Alto si spinge nel registro acuto, con le due
voci superiori che si muovono sostanzialmente per terze parallele anche nei
passi di semiminime, su un sostegno isocrono a semibrevi. Degni di sottoli-
neatura sono due fenomeni tra loro diversi: da un lato abbiamo l’utilizzo della
struttura ‘moderna’ del mottetto concertato CCB in una delle sue possibili
realizzazioni, dall’altro la sua totale integrazione in un discorso polifonico di
tipo più tradizionale mediante l’impiego di un cantus firmus gregoriano nella
voce di sostegno, in questo caso i due Tenori che cantano rispettivamente la
sezione B trasposta alla quarta superiore (Tenor II) e la sezione C al comple-
to, con la sua estensione cadenzale perfettamente inserita nella conclusione a
sei voci (Tenor I). Desidero anche far notare come tale integrazione sia tale da
non essere percepita alcuna frattura e mescolanza di elementi diversi, ma piut-
tosto come impiego di semicori battenti in una struttura di tipo antifonale;
l’uso del canto fermo nella parte inferiore, però, per altro usato fin dall’inizio
del Kyrie, ci porta lontanto da Palestrina, per orientarci verso i maestri del-
l’area centro-settentrionale, come Costanzo Porta, tanto per limitarmi ad un
solo ma rappresentativo nome.
Ancora più significativo è il Sanctus, che riprende elementi del Kyrie di
apertura.

Es. 8

156
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

Il canto fermo, relativo sempre alla sezione A trasposta alla quarta superio-
re, si trova questa volta nell’Altus, mentre le altre voci riprendono in imitazio-
ne un controsoggetto già presentato nel Kyrie I con funzione analoga; allora era
esposto inizialmente sul Re, poi sul Sol, e serviva per evidenziare una struttura
duplice: mentre il cantus firmus è in tono nel Canto, Tenore II e Alto impiega-
no in imitazione il controsoggetto su Re, quando il cantus firmus passa al Basso
trasposto alla dodicesima inferiore entrano progressivamente le altre voci in
imitazione con il controsoggetto su Sol. Nel Sanctus l’entrata delle voci è più
‘regolare’, anche se sotto forma di coppie Tenore I-Tenore II, poi Canto II-
Canto I, e successivamente Basso, e sempre con il controsoggetto su Sol. Anche
se limitatamente a Kyrie I e Sanctus, che iniziano in maniera assai simile, que-
sto controsoggetto sembra giocare un ruolo piuttosto importante, o per lo meno
evocativo; con neanche troppa fantasia si potrebbe vedere una rielaborazione
dell’analoga struttura presente nelle sopra citate messe Ecce sacerdos magnus
di Palestrina e Hercules dux Ferrariae di Josquin.

Es. 9

Pellegrini

Palestrina

Josquin

Vorrei inoltre segnalare un’altra situazione piuttosto interessante, ovvero


l’esordio del Sanctus della palestriniana Missa Tu es Petrus.

Es. 10

157
RO D O BA L D O T I BA L D I

Certo, il trattamento generale è diverso, ma i motivi di affinità melodici


sono molti; e soprattutto, vi è la riproposizione del materiale del Tenor da
parte del Bassus con partenza sulla finalis Sol, esattamente come avviene
quasi sempre nel resto della messa di Pellegrini. Imitazione inconsapevole di
un evento musicale sedimentato nella memoria o deliberata citazione di un
modello di riferimento? Non sono in grado di sare una risposta al quesito; cer-
tamente è singolare, e l’impressione di una rielaborazione consapevole, o
anche solo di un omaggio, è accresciuta dal fatto che Palestrina compone la
sua messa a sei voci sull’antifona Tu es Petrus, che si canta sulla stessa melo-
dia-tipo di VII modo utilizzata per la Ecce sacerdos magnus.32
Ritroviamo ancora nel Sanctus un impiego parziale della melodia sotto
forma di cantus firmus; nel Benedictus, a quattro, è congegnata in maniera
tale da essere migrante tra alcune voci e da essere trattata nello stesso tempo
come controsoggetto elaborato esattamente come il soggetto principale.

Es. 11

32
Cfr. WILLI APEL, Il canto gregoriano (ed. orig. Gregorian Chant, Bloomington, Indiana Uni-
versity Press, 1958), ed. italiana a cura di Marco Della Sciucca, Lucca, LIM 1998, pp. 511-513.

158
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

Nel secondo Osanna, infine, unica parte della messa in ritmo ternario,
abbiamo nuovamente un inizio a canto fermo nel Canto I, ancora sulla sezio-
ne A della melodia gregoriana.

Es. 12

Gli esempi proposti mettono in rilievo l’impiego della melodia con fun-
zione di cantus firmus certo non strutturale, poiché nessuna sezione della
messa utilizza esclusivamente questa tecnica; ma essa si mescola sapiente-
mente con quello che è il trattamento base del materiale melodico originario,
ovvero il suo uso intensivo nel corso dell’intera composizione nella costru-
zione dei soggetti sia nel caso di strutture imitative sia in assenza di queste,
ovvero come ‘citazione’ isolata su imitazioni melodico-ritmiche del tutto
diverse. Quasi del tutto assente la parafrasi o una qualche forma di elabora-
zione motivica, semmai limitata al solo elemento cadenzale, nel chiaro inten-
to di lasciare la melodia quanto più riconoscibile possibile, è l’elemento rit-
mico ad essere impiegato come elemento di variazione. Due sono le soluzio-
ni base impiegate, e riguardano la funzione che l’antifona viene ad assumere
nella costruzione dell’impalcatura polifonica.
Prima possibilità. La porzione melodica deputata ad essere impiegata
come soggetto di imitazione si presenta normalmente secondo due schemi rit-
mici, ovvero come un seguito regolare di minime preceduto da una semibre-
ve di apertura e la sua aumentazione, ovvero un seguito di semibrevi prece-
duti da una breve.

Es. 13

159
RO D O BA L D O T I BA L D I

Questo schema ritmico è presente nel Credo e nell’Agnus I della messa di


Palestrina, i soli movimenti in cui tutte le voci (eccetto, ovviamente, il cantus
firmus) utilizzano il materiale melodico dell’antifona, e si trova anche nel sog-
getto degli omonimi mottetti di Porta e di Victoria, entrambi pubblicati nel
158533.

Es. 14

Palestrina
Credo

Agnus Dei

Porta

Victoria

33
Constantii Portae Cremonensis Min. Conven. Musica Sex canenda vocibus in nonnulla ex
Sacris Litteris collecta verba. Ad Sanctiss. D. N. Sixtum, V. Pont. Max. et Opt. Liber Tertius,
Venezia, Gardano, 1585; ed. moderna a cura di Siro Cisilino e Giovanni M. Luisetto in Opera
Omnia, vol. 6, Padova, Biblioteca Antoniana, 1967. Thomae Ludovici a Victoria abulensis
Motecta festorum totius anni cum Communi Sanctorum. Quae partim senis, partim quinis, par-
tim quaternis, alia octonis vocibus concinuntur ad serenissimum Sabaudiae ducem Carolum
Emmanuelem, Roma, Domenico Basa, 1585; ed. moderna a cura di Felipe Pedrell in Opera
omnia, vol. 1, Leipzig, Breitkopf & Härtel, 1902, e a cura di Higinio Anglés in Opera omnia.
Nueva edicíon corregida y aumentada, vol. 4, Barcelona, Consejo Superior de Investigaciones
Cientificas, 1968.

160
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

Seconda possibilità. La porzione melodica viene utilizzata nel corso del


discorso polifonico senza che necessariamente questo comporti la funzione di
soggetto; in tal caso, l’idea di base è quella primigenia dell’andamento iso-
crono, che può trovarsi al livello base (seguito di semibrevi), diminuito (segui-
to di minime) o aumentato (seguito di brevi), quest’ultimo nei casi sopra
mostrati e con funzione di rievocazione, come ho cercato di mostrare.
Le due situazioni appena esposte rappresentano, naturalmente, i due estre-
mi e sono due punti di partenza per mescolanze ritmiche orizzontali ed anche
verticali; la loro combinazione permette talvolta che si trovino sovrapposte por-
zioni identiche o diverse; tra i diversi casi esemplare mi sembra quello che si
presenta nel Kyrie ultimo, e che vale la pena vedere per esteso.

Es. 15

161
RO D O BA L D O T I BA L D I

L’esempio proposto inizia con il segmento A trattato tutto in semibrevi nel


Canto I, a cui risponde in imitazione l’Alto alla quinta inferiore, mentre nel
Tenore I, dopo una sola semibreve, viene introdotto il segmento B, quasi tutto
in semibrevi. Successivamente abbiamo il Canto II che riprende il segmento
A trasposto dall’Alto alla sua ottava superiore; ad esso rispondono in imita-
zione il Tenore che ripropone il medesimo schema ritmico di semibrevi, il
Canto I in diminuzione (seguito di minime) e il Basso, che presenta un’au-
mentazione parziale (solo alcune note). In questo secondo episodio viene uti-
lizzato esclusivamente la parte A dell’antifona. Nella parte conclusiva, infine,
sulla riproposizione nel Basso del segmento B in diminuzione il Canto II si
incrocia con il Canto I, diventa la parte più acuta e ingloba nella sua frase
finale un frammento melodico ricavato dal segmento C.

Es. 16

Si noti anche come la densità di questa conclusione e l’uso di un andamen-


to sostanzialmente omoritmico tra le voci porta Pellegrini a risolvere in manie-
ra un po’ forzata e semplicistica un problema di correttezza di conduzioni tra le
voci; mi riferisco in modo particolare alla successione di quinte che si creano
tra il Basso e il Canto I, spostato comunque a parte interna, ‘salvate’ in manie-
ra piuttosto grossolana dall’intervallo intermedio, il che provoca un disegno non

162
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

palestriniano di quattro semiminime tutte procedenti per salto.


La funzione strutturale della melodia non viene mai meno nemmeno nelle
sezioni accordali, nelle quali è spesso integrata e adattata, dal punto di vista
ritmico, all’andamento delle parti superiori; oltre al già esaminato «Et incar-
natus», possiamo vedere l’esordio del Gloria.

Es. 17

Oltre che in voce interna, il cantus può essere collocato nel Basso e costi-
tuire il fondamento sonoro della struttura accordale.

Es. 18

***
Pur avendo affermato in precedenza che mi sarei limitato ad indagare l’a-

163
RO D O BA L D O T I BA L D I

spetto melodico, penso che sia comunque utile dare una qualche indicazione
più generale sulla scrittura e su qualche particolarità della struttura globale.
Base del suo stile è l’uso di una polifonia di tipo per così dire ‘tradizionale’,
adoperata con maggiore ricchezza soprattutto nel Kyrie, nel Sanctus e nell’A-
gnus Dei, mentre nel Gloria e nel Credo, ben lungi comunque dall’adoperare
una più semplice scrittura di stampo accordale, che sarebbe per altro risultata
assurda in una composizione a sei voci, tende a mescolare soluzioni diverse
rese possibile proprio da un organico ampio. Questo avviene soprattutto nel
Gloria, che, lo ricordo ancora, è serrato in un unico movimento senza la tra-
dizionale bipartizione al «Qui tollis»; vi sono alcuni blocchi accordali a sei
voci, di lunghezza variabile, collegati tra loro da episodi in cui predomina,
soprattutto nella prima parte del movimento, la scrittura a tre voci contro tre,
ovvero il dialogo bicorale (cfr. esempio già proposto). Il tutto potrebbe esse-
re schematizzato nel seguente modo:

164
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

Sarebbe facile, quasi ovvio, fare riferimento alle soluzioni palestriniane


che articolano l’ensemble in semicori in un discorso di tipo antifonale, e,
tanto per citare un esempio noto ed illustre, al Gloria e al Credo della Missa
Papae Marcelli; in realtà, la regolarità e la sistematicità di quei casi non sono
minimanente presenti per il semplice fatto che Pellegrini non ricorre a model-
li palestriniani, ma rielabora soluzioni provenienti dall’ambiente veneziano. I
due ingredienti principali sono la scrittura a cori battenti e la bicoralità dialo-
gica, ma appare talvolta l’alternanza tra soli e tutti derivante dal concertato
grandioso di Giovanni Gabrieli e Giovanni Croce (senza dimenticare, del
resto, che conseguenze di questa soluzione sono il cantar lontanto e il mottet-
to cantilena, così a lungo sperimentati da Ignazio Donati proprio durante la
sua attività in terra marchigiana tra Pesaro, Fano e Urbino in un periodo com-
preso tra gli ultimi anni del Cinquecento e l’inizio del Seicento). Si osservi,
ad esempio, il passo dell’Esempio 19, e lo confronti con l’episodio preceden-
te, già proposto all’Esempio 17.

Es. 19

Se sulle invocazioni «Laudamus te» e «Benedicimus te» assistevamo ad


un dialogo tra due cori omogenei, l’invocazione «Glorificamus te» risuona
diversamente, ovvero come se un coro acuto di solisti continuasse isolata-
mente (oppure interrompesse) un discorso affidato alla cappella e ai cori di
ripieno. Esiste certo il rischio di un certo eclettismo e di incoerenza nei con-
fronti delle altre parti della messa, che viene però superato mediante il ricor-
so all’antifona gregoriana, vero motore della composizione, e, soprattutto, ad
un uso non continuato dell’omoritmia tra le voci dei singoli raggruppamenti,
alla quale è talvolta preferita; si veda, ad esempio, la sezione corrispondente
a «Qui tollis peccata mundi, miserere nobis», in cui la struttura è quella del-

165
RO D O BA L D O T I BA L D I

l’alternanza di due cori e della loro riunione sulla conclusione, in qualche


modo mascherata dalla scrittura polifonica (e si veda anche nel Basso la cita-
zione della porzione B della melodia sacra).

Es. 20

L’uso di tecniche di articolazione formale diverse, l’impiego occasionale


ma non saltuario del cantus firmus nel Basso, il tipo di contrappunto, la sono-
rità complessiva del gruppo corale, sono tutti elementi che ci portano in real-
tà lontano dal modello palestriniano, in qualche modo rievocato, come ho cer-
cato di dimostrare precedentemente, ma non utilizzato nella realtà della com-
posizione. Lo stile è sorvegliatissimo, e l’impiego della dissonanza rientra
nelle regole del contrappunto cinquecentesco, tutte cose che rimanderebbero
(forse un po’ superficialmente) a Palestrina; eppure vi sono talvolta alcuni
modi di procedere che ritroviamo in maestri settentrionali o addirittura d’ol-

166
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

tralpe, o soluzioni più seicentesche. Il fatto di avere due voci acute, ad esem-
pio, provoca talvolta quegli scontri, limitati però a passi ornamentali di semi-
minime, che non riscontriamo in un maestro della polifonia tardo cinquecen-
tesca come Porta, ma che Monteverdi adopera con una certa frequenza.

Es. 21

Più significativo è il passo dell’Esempio 22 (Gloria, bb. 89-91).

Es. 22

I due Tenori eseguono per moto contrario lo stesso disegno melodico, per
cui il primo, arrivato sul Re semibreve, scende di quinta sul Sol in risposta all’a-
nalogo salto ascendente Sol-Re del secondo; così facendo, però, si crea una
quarta rispetto al Basso, sul secondo movimento del tactus, ma presa per salto.
La coerenza melodica spiega questo modo di procedere; ma c’è anche da dire
che Pellegrini si era messo in un vicolo cieco. Il Re non poteva scende né a Do
(nota di passaggio che avrebbe creato ottave con il Canto II) né a Si (nota reale

167
RO D O BA L D O T I BA L D I

rispetto alla cadenza 3-4-3 presente nell’Alto) e nemmeno a La (incompatibile


con il moto cadenzale delle parti); poteva rimanere fermo sul Re come il Teno-
re II, magari saltando d’ottava, ma gli sarebbe mancata la clausola tenorizans,
ovvero avrebbe dovuto far scendere il CantoII a Sol, e sarebbe quindi mancata
la terza nell’accordo finale. Anche questo problema avrebbe potuto essere risol-
to diversamente, ma è evidente che Pellegrini ragiona in termini squisitamente
melodici, il che lo porta a sacrificare la ‘purezza’ del contrappunto alla logica
lineare. Secondo lo stesso principio va valutato il Canto I, che prende la quarta
per grado congiunto, ma la risolve per salto, e addirittura ascendente. Esempi di
quarta risolta per salto, anche se discendente, esistono nel repertorio ‘osserva-
to’ del primo Seicento, ad esempio in diversi passi della Missa in illo temporei;34
sono certo deviazioni dalle regole, ma dovremmo indagare più a fondo lo stile
polifonico del primo Seicento e le interazioni reali tra prima e seconda pratica
prima di esprimere un giudizio.
Anche alcune particolarità dell’organizzazione del soggetto ci allontana-
no dalle abitudini palestriniane; la melodia non è mai particolarmente ampia
e varia dal punto di vista ritmico, al contrario insiste su pochi valori o addi-
rittura su uno o due. Un passo come quello dell’Esempio 23, poi, fa piuttosto
intravedere altro:

Es. 23

Il soggetto, derivante dalla sezione A dell’antifona, è plasticamente e net-


tamente delineato e separato dal resto mediante una pausa, il che accentua il
momento drammatico narrato dal testo secondo uno stilema spesso usato da
Lasso; ma non si dimentichi che, comunque, Palestrina fa la stessa cosa nel-
l’analogo momento della sua Ecce sacerdos magnus, pure a tre voci, anche se
non impiega la melodia gregoriana. Sono piccoli particolari, il cui inquadra-

34
Cfr. i passi commentati in HELLMUT FEDERHOFER, Die Dissonanzbehandlung in Monteverdis
Kirchenmusikalischen Werken und die Figurenlehre von Christoph Bernhard, in Claudio Mon-
teverdi e il suo tempo. Relazioni e comunicazioni, congresso internazionale, Venezia-Mantova-
Cremona, 3-7 maggio 1968, a cura di Raffaello Monterosso, Verona, Valdonega, 1969, pp. 435-
478: 443-450.

168
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

mento deriva ancora una volta dall’assumere Palestrina e Lasso come metri di
paragone; ma come ha scritto assai opportunamente Reinhold Schlöetterer

Non sarebbe anche meglio aver l’ambizione di ampliare il punto di vista,


svincolandosi dai soli Palestrina e Lasso e prendendo in considerazione la
contemporaneità nel tardo cinquecento vedendola come una cerchia più
ampia di ‘Autori illustri’? Probabilmente potremmo chiarire meglio anche
la contemporaneità specifica di Lasso e Palestrina sulla base di esperienze
più ampie.35

Non si tratta, ovviamente, di ridimensionare Palestrina, ma semplicemen-


te di indagare la presenza di influssi diversi nella polifonia dei maestri nati e
formatisi nell’Italia settentrionale, i quali, per motivi legati alla loro attività,
possono aver portato elementi della loro arte anche in altre parti della peniso-
la. Quest’ultimo punto mi serve per l’esempio successivo, riguardante il
Credo. Anche questa lunga parte della messa è strutturata in modo da avere
raggruppamenti di poche voci alternati a blocchi ad organico pieno, anche se
in maniera meno evidente rispetto al Gloria e, soprattutto, senza quei chiari
riferimenti a usi veneziani più o meno moderni (se si eccettua quanto già dis-
cusso nell’Esempio 7 relativo all’«Et incarnatus est»); il tutto è organizzato in
una maniera più consueta che vede l’articolazione degli episodi data dal con-
tinuo alleggerimento dell’ensemble corale, e con ampio uso di andamenti
omoritimici tra le voci (in Pellegrini caso limitato al solo Credo) e con la con-
sueta ampia sezione conclusiva sull’«Amen» di carattere imitativo.

Es. 24

35
REINHOLD SCHLÖETTERER, Palestrina compositore, Palestrina, Fondazione Giovanni Pierluigi
da Palestrina, 2001 (Musica e musicisti nel Lazio, 5), p. 323; ma si veda tutto il capitolo «Con-
temporaneità: Palestrina e Lasso», pp. 313-323.

169
RO D O BA L D O T I BA L D I

Ciò che mi interessa sottolineare è però l’inizio, che vede il materiale melo-
dico tratto dalla sezione A dell’antifona gregoriana essere usato per costruire un
soggetto, in maniera tale che l’esordio non sia accordale ma imitativo.

Es. 25

Un tale inizio è poi modificato per l’esordio dell’Agnus:

Es. 26

170
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

In questo caso viene utilizzato come controsoggetto alla melodia gregoriana


un semplice motivo di carattere triadico che riassume tre elementi basilari del-
l’antifona, nonché fondamentali dal punto di vista modale, ovvero la reper-
cussio Re e la ‘mediante’ Si che costituiscono l’incipit melodico e la finalis
Sol. In diversi punti della messa compare questa figurazione discendente su
Sol o su Do, introdotta progressivamente fino alla sua definitiva proclama-
zione all’inizio dell’Agnus. E qui, ancor più che nel Credo, è ravvisabile un
altro modello, o, per lo meno, un altro omaggio.

Es. 27

Così comincia il mottetto Ecce sacerdos magnus di Costanzo Porta, con-


tenuto nel terzo libro dei mottetti a sei voci del 1585 dedicato a papa Sisto V.36
Siamo davanti ad una elaborazione di una impalcatura polifonica preesisten-
te in maniera tale che vengano utilizzati stessi soggetti o anche solo spunti
melodici, come la triade discendente o il salto d’ottava, in maniera tale da dare
vita ad una nuova costruzione. Inoltre, in entrambi i casi, la voce di Basso è
scritta in chiave di baritono, una cosa non proprio usuale nel settimo modo,
che vede solitamente quella voce scritta in chiave di tenore. Non siamo pro-
prio davanti ad una parodia (nel significato un po’ restrittivo che diamo oggi
ad un termine sostanzialmente ignoto all’epoca di Porta e di Pellegrini), ma di
una per così dire ‘libera interpretazione’ di un brano in un altro; è come se la
fonte venisse utilizzata a mo’ di pretesto per ricavare spunti tematici e nulla
più, secondo quanto fece Monteverdi nella messa In illo tempore con il mot-

36
Cfr. nota 33. Il testo musicato è quello del secondo responsorio del Mattutino del Commune
confessoris pontificis, come anche la forma del mottetto, ma la melodia utilizzata da Porta per
il primo episodio è quella, assai più nota, dell’antifona.

171
RO D O BA L D O T I BA L D I

tetto di Gombert, ma anche secondo quanto aveva già fatto proprio Porta nella
messa Audi filia con il mottetto ancora di Gombert.37 Certo, non siamo a quei
punti, anche perché a Pellegrini interessa che l’Ecce sacerdos magnus di Porta
sia comunque riconoscibile anche nel contesto polifonico; ma penso che il
caso sia ugualmente interessante, e proprio alla fine della messa.38
L’importanza di Porta come autore e come didatta è ben nota; ma non si
deve dimenticare che, per ragioni biografiche, il grande polifonista cremone-
se si trovò ad operare per diverso tempo nei dintorni di Pesaro: fu maestro di
cappella a Osimo dal 1552 al 1565 (il suo primo incarico professionale) e
nella Santa Casa di Loreto dal 1574 al 1580; ma soprattutto, entrò nelle gra-
zie della famiglia ducale fin dal suo primo incarico. Giulio Della Rovere, oltre
a proteggerlo durante il suo primo soggiorno presso il Santo di Padova (1565-
1567) e a spingerlo verso Loreto, lo volle come maestro di cappella nella cat-
tedrale di Ravenna una volta divenuto arcivescovo della città romagnola. A
Giulio Porta dedicò il suo primo libro di messe a cinque voci (appena una set-
timana prima della morte dell’arcivescovo), nella cui lettera prefatoria è con-
tenuto quel celebre passo di sostanziale ricusazione dello stile accordale di
stampo ‘conciliare’, nonostante le esplicite richieste del della Rovere.39 La
figura di Porta e la sua arte compositiva fu quindi strettamente legata alla
famiglia della Rovere, almeno per un lasso di tempo considerevole; e un
omaggio a tale compositore, di cui viene scelto un mottetto contenuto in una
raccolta dedicata ad un pontefice pure marchigiano (Felice Peretti era nativo
di Grottammare, vicino a Fermo) mi sembra assuma un significato particola-
re in una messa scritta da un autore pesarese e contenuta in una raccolta dedi-
cata ad un della Rovere.

***

Rimane in sospeso un ultimo argomento. Abbiamo visto come la messa di


Pellegrini adoperi in maniera costante la melodia gregoriana, ma non sia certo

37
Cfr. il denso e illuminante ANTHONY NEWCOMB, A new context for Monteverdi’s Mass of
1610, in Studien zur Musikgeschichte. Eine Festschrift für Ludwig Finscher, hrsg. von Anne-
grit Laubenthal und Kara Kusan-Windweh, Kassel, Bärenreiter, 1995, pp. 163-173.
38
Forse proprio per questo suo carattere particolare e per l’importanza che viene ad assumere
nell’economia della composizione l’Agnus si trova messo in partitura nella parte dell’organo.
39
Cfr. Oscar Mischiati, Il concilio di Trento e la polifonia. Una diversa proposta di lettura e di
prospettiva bibliografica, in Musica e liturgia nella riforma tridentina, catalogo della mostra
(Trento, Castello del Buonconsiglio, 23 settembre - 26 novembre 1995), a cura di Danilo Curti
e Marco Gozzi, Trento, Provincia Autonoma di Trento – Servizio Beni Librari e Archivistici,
1995, pp. 19-29: 21.

172
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

una composizione su cantus firmus; eppure ho affermato con relativa esem-


plificazione che l’antifona usata dal compositore pesarese non coincida total-
mente con quella adoperata da Palestrina. Al di là di questo punto, che ora
potrebbe non essere così rilevante come era sembrato all’inizio, rimane aper-
ta la domanda: da dove è stato possibile ricavare la versione dell’Ecce sacer-
dos magnus adoperata da Pellegrini? La risposta sta in un altro curioso aspet-
to che la composizione ci offre.
Nei fascicoli del Quintus e del Bassus, dopo il secondo Osanna, vi è la
seguente didascalia:

Benedictus si placet. Contraponto, che a doi & tre voci si può cantare in
dodici varij modi come di può vedere per la sua resolutione nel Basso del-
l’Organo.

Segue poi nel Quinto una «Tertia pars si placet. Altus secundus» in chiave
di Do2, nel Basso un «Altus primus» notato in Do2 e una seconda sezione con
una doppia chiave (Fa3 e Do4) con la didascalia «Bassus & Tenor si placet».
La risoluzione completa dell’enigma si ha nella parte per l’organo, in cui le
parti sono messe in partitura e sono descritte le dodici diverse modalità di ese-
cuzione. Tutti i dodici contrappunti che si creano sono su un cantus firmus
costituito dalla melodia completa dell’Ecce sacerdos magnus tutta in semibre-
vi (e quindi con  come indicazione mensurale anziché ) e con il relativo testo.
Partendo da questo e da due melodie, una principale (Altus primus, che chia-
merò contrappunto principale) ed una considerata secondaria, non strettamen-
te necessaria (ovvero la tertia pars si placet, o Altus secundus, che chiamerò
contrappunto secondario), vengono individuate quattro modi di procedere di
base; ognuno di questi (o quasi) offre più di una soluzione a due o a tre voci,
il che porta al totale di dodici contrappunti, secondo il seguente schema rias-
suntivo (in Appendice diamo la trascrizione completa di tutte le possibilità):

I. Situazione base: Canto fermo al grave trasposto alla quinta inferiore


Soluzioni a due voci
1. Contrappunto principale e canto fermo
2. Contrappunto secondario e canto fermo
Soluzioni a tre voci
3. Contrappunto principale e canto fermo raddoppiato alla terza supe-
riore
4. Contrappunto principale, contrappunto secondario e canto fermo

II. Si parte dalla situazione base, ma tutte le voci sono per moto contrario;
Canto fermo all’acuto
Soluzioni a due voci

173
RO D O BA L D O T I BA L D I

5. Contrappunto principale e canto fermo


6. Contrappunto secondario e canto fermo
Soluzioni a tre voci
7. Contrappunto principale raddoppiato alla terza superiore su canto
fermo
8. Contrappunto principale, contrappunto secondario e canto fermo

III. Si riprende la situazione I, ma si crea un problema tecnico dato dal pro-


lungamento della prima nota (primo contrappunto) o della pausa iniziale
(secondo contrappunto) di una minima, lasciando tutto il resto invariato;
canto fermo all’acuto in tono.
Soluzioni a due voci
9. Contrappunto principale e canto fermo
10. Contrappunto secondario e canto fermo
Soluzioni a tre voci
11. Contrappunto principale, contrappunto secondario e canto fermo

IV. Si parte dallo schema precedente, ma ancora per moto contrario; canto
fermo al grave.
Soluzione a due voci
12. Contrappunto principale e canto fermo

In realtà, sarebbe possibile un’altra soluzione, a tre voci, in questa IV


situazione, ovvero cantando sul canto fermo entrambi i contrappunti; è una
possibilità di cui parla lo stesso Pellegrini, ma non particolarmente consiglia-
to per le quarte non preparate che si creerebbero rispetto al canto fermo, anche
se «portando la voce giusta non fa tanto cattivo concento» (si verificano in
quattro momenti, di cui tre cadenzali; in questi tre casi l’effetto insieme al
primo contrappunto è quello di una doppia appoggiatura sesta-quarta su quin-
ta-terza). In ogni modo, si ammette come corretta solo la soluzione a due voci.

Valutato nel suo aspetto tecnico, l’operazione è senza dubbio interessan-


te, soprattutto per le combinazioni II e III a due e a tre voci (la IV, tutto som-
mato, permette una sola soluzione), il che rende necessario un continuo spo-
stamento del canto fermo, ora all’acuto, ora al grave, in maniera incrociata (I-
IV al grave con i contrappunti prima per moto retto, poi per moto contrario,
II-III all’acuto con i contrappunti prima per moto contrario, poi per moto
retto). Il risultato musicale è, invece, piuttosto deludente, in quanto ogni
aspetto dei due contrappunti e della composizione risultante rivela il suo esi-
stere solo in funzione di un artificio, e stona vistosamente con il resto della
messa. Inoltre, la tertia pars è davvero secondaria, poiché, per ovvie ragioni
di condotta delle parti, si trova ad essere mancante di qualsiasi clausola, e si

174
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

giustifica solo in unione con tutte le altre due; quando canta da sola sul canto
fermo, le cadenze sono alquanto indebolite per la mancanza della clausula
cantizans. A toglierci da ogni imbarazzo interviene Pellegrini stesso che, alla
fine delle avvertenze riguardanti l’ultima possibilità (situazione IV), precisa:

Questo Benedictus sia messo da me solo per veder l’artificio del Contra-
punto, & acciò li virtuosi con l’inventione di questo, possino inventar altri
Capricci simili, poiche facile est inventis addere. Che per ciò si serviranno,
in Capella del seguente: Benedictus a quattro voci.

Le dodici (o tredici) possibilità precedentemente illustrate non sarebbero


quindi da eseguire durante la messa in alternativa al Benedictus a quattro, ma
hanno solo la funzione di servire da esempio teorico ad altri che volessero even-
tualmente fare qualcosa di analogo. Rimane comunque la curiosità di sapere
come mai sia stato inserito un problema di carattere meramente teorico (o appa-
rentemente tale) in un’opera puramente musicale, ed anche come mai sia stato
scelto il Benedictus (in fondo, anche il Kyrie o l’Agnus sarebbero potuti andar
bene). Non sono certo in grado di dare una risposta a questi quesiti, soprattutto
al secondo; e solo il ricordare che nella già citata Missa Hercules dux Ferrarie
il Benedictus rappresenta l’unico esempio di composizione a due voci con can-
tus firmus di Josquin significa volare un po’ troppo con la fantasia.
Per il primo quesito potrei provare ad azzardare un’ipotesi un po’ più con-
creta e realistica, in quanto sono a mio parere presenti due questioni diverse.
Come prima cosa consideriamo la sola situazione I nelle soluzioni 1, 3 e 4. Ciò
che Pellegrini vuole mostrarci non è tanto come scrivere in maniera corretta su
un canto fermo liturgico una melodia che abbia un certo grado di autosuffi-
cienza; vuole far vedere come cantare un contrappunto su un canto dato, ovve-
ro vuole offrici un modello concreto della prassi dell’improvvisazione verticale
su un canto fermo liturgico, ovvero quello che veniva chiamato il «cantare alla
mente». Sappiamo bene come nel Quattrocento questa era una pratica abituale
nell’apprendimento del contrappunto (basterebbe pensare allo spazio che Tinc-
toris riserva al «cantare supra librum» nel secondo libro del suo De arte con-
trapunti); questa prassi non venne meno nel corso del Cinquecento, come dimo-
strano, tra gli altri, Vincenzo Lusitano40 e, alla fine del secolo, Orazio Tigrini41

40
Introdutione facilissima, & nouissima, di canto fermo, figurato, contraponto semplice &
inconcerto, con regole generali per far fughe differenti sopra il canto fermo, à 2. 3. & 4. voci,
& compositioni, proportioni, generi. s. diatonico, cromatico, enarmonico, composta per Vin-
centio Lusitano, Roma, Antonio Blado, 1553; ed. anast. Lucca, LIM, 1995.
41
Il compendio della musica nel quale brevemente si tratta dell’arte del contrapunto, diviso in
quatro libri. Del R. M. Oratio Tigrini Canonico Aretino. Nouamente composto, et dato in luce,
Venezia, Ricciardo Amadino, 1588.

175
RO D O BA L D O T I BA L D I

(nonostante le voci per lo meno dubitative, come Vicentino), e, direi, sempre


affrontata con la doppia finalità didattica e pratica. In quella summa del con-
trappunto costituita dalla seconda parte della Prattica di musica Lodovico Zac-
coni (pesarese, ricordo per inciso) vi sono moltissimi riferimenti a tale pratica,
per altro annunciata già nel frontespizio,42 la quale poteva diventare autentica
arte:

Bellissimo veramente fu il ritrovato di far il Contrapunto a più voci alla


mente; perché, le Capelle grandi facendone con esso grandissimo orna-
mento alle loro Chiese, non solo rendano grandissimo diletto agl’udienti, e
li tengano contenti in quelle loro soavissimo e delicatissime melodie, ma
anco vengano a rapresentar quelle voci Angeliche, che cantando di conti-
nuo le laudi al Signore, fanno in cielo inesplicabili concenti & armonie.43

Gli avvertimenti che seguono chiariscono brevemente alcuni aspetti che


verranno ampiamente affrontati successivamente affinché « detti contrapunti
vengano fatti a commun beneplacito de Cantori che vi cantano sopra, per
quelli che se ne meravigliano, e per quei Scolari che bramano ancor loro di
saperli fare». In diversi capitoli affronta questioni legate soprattutto alla fase
di apprendimento, come il cap. 34 sempre del secondo libro («Dell’obligo
c’hanno i Maestri in insegnare di far Contrapunto alla mente i loro Scolari»),
ma anche nei punti in cui si riferisce al contrappunto in cartella presenta
esempi di Tigrini (ma già presenti in Lusitano) sulla maniera di fugare il canto
fermo mediante la sincope o andamenti standardizzati.44 Addirittura si discu-
te nel terzo libro la possibilità di eseguire all’impronta una seconda voce
senza un canto fermo (cap. 4 «In che modo il Contrapuntista senza libri di
Musica possi far cantar un compagno seco Musicalmente»). Che poi sia quasi
inevitabile fare degli errori nel contrappunto alla mente, è un fatto dato quasi
per scontato; Tigrini, rifacendosi a Vicentino (senza citarlo), conclude il capi-

42
Prattica di Musica Seconda Parte. Divisa, e distinta in quattro libri. Ne quali primieramen-
te si tratta de gl’elementi musicali; cioè de primi principij come necessarij alla tessitura ò for-
matione delle compositioni armoniali. De contrapunti semplici, et artificiosi da farsi in cartel-
la et alla mente sopra canti fermi: e poi mostrandosi come si faccino i contrapunti doppij d’o-
bligo, e con consequenti. Si mostra finalmente come si contessino più fughe sopra i predetti
canti fermi, et ordischino cantilene à due, tre, quattro e più voci. Composta e fatta dal M. R. P.
Fra Lodovico Zacconi da Pesaro dell’Ord. Eremitano di S. Agostino. Musico già del serenissi-
mo Carlo arciduca d’Austria, e del Serenissimo Guilelmo duca di Baviera. Alla sereniss. arcid.
Maddalena d’Austria gran duchessa di Toscana, Venezia, Alessandro Vincenti, 1622; ed. anast.
Bologna, Forni, 1983.
43
ZACCONI, Prattica di musica, libro secondo cap. 23.
44
Cfr. Il cap. 18 del secondo libro, soprattutto l’esempio in cui si fuga una voce che esegue terza
e sesta su ciascuna nota di un canto fermo per grado ascendente.

176
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

tolo dedicato al «modo di fare il contrapunto alla mente sopra’l Canto fermo»
dicendo che

il vero Contrapunto sopra il Canto fermo si è, quando prima si fa scritto:


perché in quello che si fa alla mente è quasi impossibile che non si facci-
no infiniti errori.45

Zacconi è ben consapevole che il contrappunto improvvisato genera nor-


malmente degli errori, il che non deve esimere maestro ed allievo, studente e
cantore a farne pratica costante; e cita l’autorità di Willaert:

Nel farli alla mente, perché non si può in tutto e per tutto esser così pron-
to come bisognarebbe nell’osservar le regole, ed ischivarsi dalle cose mal
fatte, e da non farsi; facendo uno in qualche caso due Quinte, o due Otta-
ve, facendo ricantar l’istesso, l’emendi e dichi: hora l’ho fatto bene. Perché
così ancora solea far il grand’Adriano, quando facea la terza parte sopra un
Duo; che la prima volta all’improviso facendove qualche cosa contra le
buone osservate regole, facendolo ricantar un’altra volta, dicea, a chi lo
stava ad ascoltare, hora io l’ho fatta bene; volendo in ciò significare, che
non era maraviglia, s’all’improviso l’huom in simil cose vi fa dell’inde-
cente: ma ben poi è vitio il farvele la seconda volta, e non emendarvele con
la replicatione.46

Pellegrini non fa altro che mostrare sulla carta alcuni di questi esempi,
sostanzialmente a fini didattici, ma non esclusivamente, in maniera che pos-
sano servire come modello di composizione e di pratica esecutiva. A ulterio-
re sostegno della mia ipotesi vorrei citare la soluzione 3, in cui il canto fermo
è raddoppiato alla terza; non è altro che una variante di quella tecnica, di cui
parla Lusitano (e altri fino a Zacconi compreso), che vede il canto fermo al
basso raddoppiato alla decima e l’aggiunta di una terza voce intermedia. Il
raddoppio alla terza anziché alla decima è consigliabile, in questo caso, per
gli incroci e gli unisoni che si creerebbero tra il raddoppio del canto fermo e
il contrappunto principale, il che annullerebbe in qualche modo lo scopo; è
inoltre funzionale a creare un parallelismo con la soluzione 7, in cui è il con-
trappunto principale ad essere raddoppiato alla terza.
Una volta chiarito questo punto possiamo passare alle situazioni II-IV. In
questi casi l’artificio è più evidente, ed ancora più chiaro è l’intendimento teo-
rico-didattico, poiché l’indagare le diverse possibilità su canto fermo richiede la

45
TIGRINI, Il compendio della musica, libro quarto cap. 11.
46
ZACCONI, Prattica di musica, libro secondo cap. 70.

177
RO D O BA L D O T I BA L D I

scrittura delle voci, tanto più che in due casi anche la melodia dell’antifona sub-
isce una modificazione, essendo presentata per moto contrario; ma proprio per
questo, siamo lontani dagli artifici canonici su canto fermo illustrati dai teorici
e utilizzati da diversi compositori provenienti da diverse aree geografiche, senza
dover necessariamente pensare a musicisti di area romana (i primi a cui si
pensa). Come ha giustamente messo in rilievo Giuseppe Gerbino, a cui si deve
un’importante monografia sull’argomento, «l’interesse per l’artificio musicale
non fu comunque prerogativa della ‘scuola romana’, giacché coinvolse anche
musicisti non gravitanti nell’orbita della città pontificia»47. E comunque le solu-
zioni proposte da Pellegrini non permettono ulteriori soluzioni più complesse,
con entrate a canone per moto retto o per moto contrario. L’artificio, evidente

47
GIUSEPPE GERBINO, Canoni ed enigmi. Pier Francesco Valentini e l’artificio canonico nella
prima metà del Seicento, Roma, Torre d’Orfeo, 1995; il passo si trova a p. 18, dove si trovano
elencati autori quali Brunelli, Banchieri, Donati, Valesi e Cima. Non concordo pertanto con l’o-
pinione espressa in KENDRICK, The Sounds of Milan cit., pp. 279-281; secondo lo studioso «the
greatest complexity in contrapuntal ingenuity, combined with a chant cantus doubled at the
third» del Benedictus (di cui descrive brevemente solo le prime otto soluzioni, esemplificate
musicalmente con l’inizio delle prime quattro alle pp. 288-290) «underscores another Milane-
se parallelism with Rome, that of contrapuntal artifice. In the broadest sense, it was a musical
reflection of the «Romanizing» liturgical standardization and cultural emulation typical of the
post-1610 atmosphere», nonostante ipotizzi che «the piece dates from Pellegrini’s years in
Pesaro». A parte una certa forzatura nel far coincidere la possibile retrodatazione al periodo
pesarese con l’ambiente culturale della Milano posteriore al 1610, e senza considerare la tra-
dizione del contrappunto artificioso ben nota e praticata dai compositori milanesi (e descritta
in sede teorica da Angleria con esempi di Cima), oltre al dato oggettivo che l’artificio con-
trappuntistico praticato dai compositori romani è ben diverso e assai più complesso di quello
che ritroviamo in Pellegrini, mi sembra che in tal modo venga riproposto ancora una volta un
luogo comune della storiografia musicale, che tende a collegare Roma con Milano sulla base
di un presunto conservatorismo e attaccamento alla tradizione (che, tra l’altro, andrebbe dis-
cussa più a fondo). Fino a quando non avremo una conoscenza più approfondita della musica
sacra del primo Seicento che non sia limitata al ‘nuovo’ stile concertato ma che sia comprensi-
va dello stile a cappella (uso volutamente questo termine più neutro), con relativa mappa geo-
grafica delle istituzioni, rischiamo di avere una prospettiva troppo parziale e di ricadere in
eccessiva genericità. A Milano, per esempio, la conoscenza delle opere e dello stile di Pale-
strina a Milano tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento rappresenta un momento assai
importante di recupero di una solida scrittura contrappuntistica una volta passati i ‘furori post-
conciliari’, come ho cercato altrove di mostrare (e mi permetto di rimandare al mio I mottetti
a quattro voci (Milano 1599) di Giovanni Paolo Cima e lo stile ‘osservato’ nella Milano di fine
‘500: alcune osservazioni, «Polifonie. Storia e teoria della coralità – History and theory of cho-
ral music», II/1, 2002, pp. 7-69, trad. ingl. alle pp. 71-105; disponibile anche in rete all’indi-
rizzo www.polifonico.org/edizioni/rivista/introduzione.htm), il che non esclude affatto la pre-
senza di altri influssi (in primis Lasso, di cui esistono diverse ristampe milanesi) e tradizioni
locali che andrebbero studiate attentamente in compositori come Guglielmo Arnone, Serafino
Cantone, Antonio Mortaro (per il periodo milanese), o i fratelli Cima, solo per fare qualche
nome.

178
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

nelle soluzioni 9-12, sta nel combinare delle melodie variate metricamente solo
per la prima nota con lo stesso canto fermo alla duodecima rispetto a prima,
quindi una sorta di interazione con le possibilità offerte dal contrappunto dop-
pio; da qui il termine «capriccio» usato da Pellegrini per definire le sue elabo-
razioni. Potremmo considerarle una via di mezzo tra il contrappunto artificioso
osservato, a cui queste dodici composizioni del Benedictus non appartengono,
e il contrappunto ‘comune’ di cui parla Diruta,48 da cui ugualmente si distin-
guono per l’artificio, comunque funzionali a indicare didatticamente e pratica-
mente come si può cantare ‘alla mente’ in maniera tale da rivelare, comunque,
una solida formazione di musicista.
Al termine del mio intervento vorrei citare le parole del mai abbastanza
compianto Jerome Roche; dopo aver elencato rapidamente quelli che sono i
problemi dell’intonazione musicale delle singole parti, conclude

As a result, both stile antico and concertato Mass setting flourished side by
side in the early years of the seventeenth century. Such composers were not
in the least interested in the old idiom, and derived a new approach to the
text of the Mass from the early concertato motet. But, for a number of gif-
ted composers, Monteverdi included, the writing of ‘a cappella’ Masses (as
they called them) was a demonstration of their competence in the old con-
trapuntal manner. For others, of lesser ability, who failed to grasp the
modern style and lacked the degree of imagination needed to write in it, the
old idiom proved a simple, fail-safe solution to the problem of churches’
liturgical needs; they used as a model the Missa brevis of the 1580s and
‘90s, which required little in the way of contrapuntal ingenuity.

Sottoscrivere quasi tutto il passo, almeno nelle sue linee generali (un po’
meno nei singoli dettagli, che richiederebbero diverse puntualizzazioni); l’uni-
ca vera cosa che mi frena, e che secondo me rappresenta uno dei nodi cruciali
della musica sacra del primo Seicento, ancora tutto da affrontare, è l’uso di ter-
mini come «old idiom» o «old contrapuntal manner», che possono prestarsi ad
equivoci, come il loro equivalente storico «stile antico». Vi è anche un’altra que-
stione non secondaria, e strettamente collegata a questo: supponiamo che la
Missa in illo tempore fu effettivamente una dimostrazione per una qualche fina-

48
Seconda parte del Transilvano, dialogo diviso in quattro libri del R. P. Girolamo Diruta peru-
gino minore conventuale di San Francesco, organista del duomo d’Agobbio, nel quale si con-
tiene il vero modo, & la vera regola d’intavolare ciascun Canto, semplice, et diminuito con ogni
sorte de diminutioni: et nel fin dell’ultimo libro v’è la regola, la qual scopre con brevità e faci-
lità il modo d’imparar presto à cantare. Opera nuovamente dall’istesso composta, utilissima,
& necessaria a’ professori d’organo, Venezia, Giacomo Vincenti, 1610, libro terzo pp. 14-15;
ed. anast. della ristampa Venezia, Alessandro Vincenti, 1622, Bologna, Forni, 1969.

179
RO D O BA L D O T I BA L D I

lità precisa (maestro di cappella in Santa Barbara? Un impiego a Roma o altro-


ve?49), non ultima una risposta ad Artusi; ma in moltissimi casi l’uso dello stile
osservato fa ancora parte della normale pratica compositiva del primo Seicen-
to, che si affianca tranquillamente allo stile concertato, e rappresenta una orgo-
gliosa risposta verso il dilettantismo, denunciato forse per primo da Banchieri
(e presente anche nella ben nota prefazione della Geistliche Chormusik di
Schütz del 1648) che la pratica del basso continuo può portare con sé.50 Questo
ragionando in termini puramente musicali; ma abbiamo a che fare con musica
liturgica, nel nostro caso addirittura di un’intonazione dell’Ordinarium Missae.
Sono quindi altre (o per lo meno anche altre) le categorie che devono essere
prese in esame, all’interno di un un quadro più generale ed ampio del contesto
storico e del progetto culturale e cultuale della Chiesa post-tridentina in cui la
musica ebbe fin da subito un ruolo fondamentale, come ha rilevato Gino Stefa-
no in un famoso contributo ancora oggi insuperato e imprescindibile; da questo
traggo, senza alcun commento (che sarebbe del tutto superfluo) la conclusione:

Status symbol dell’istituzione e segnale di solennità secondo le rubriche, alla


musica si chiede anzitutto di essere ‘grave’, cioè posata e seriosa, e insieme
maestosa e pomposa. […] Ma, soprattutto, grave significa ‘lento’, da cui più
risulta il carattere di posatezza, imponenza e solennità. […] ‘Propter homi-
nes’, la musica dovrà servire alla devozione. A questo fine la gravità/solenni-
tà si tempera con l’estetica degli affetti e con l’etica della medietas: ‘sempli-
cità’, ‘modestia’, ‘moderatezza’, ‘non troppa musica’, ‘musica non troppo
vivace’. [… ] Il genere di canto che più dovrebbe realizzare questi ideali di
gravità e semplicità è palesemente il canto tradizionale, il cui appellativo di
‘canto fermo’ contiene appunto anche queste connotazioni. Quanto alla poli-
fonia tradizionale, nella sua condotta omogenea delle parti essa sviluppa l’im-
magine di una moderazione ed aequalitas consentanea al coro ecclesiastico;
d’altra parte lo stylus canonicus (tanto più se ligatus a regole o a un cantus fir-
mus), dove i compositori sfoggiano il meglio dei loro artifici contrappuntisti-
ci, sembra garantire con la sua seriosità dottrinale una ‘nobiltà’ certo grave e
solenne, che si orna, ma senza perdersi, nello stylus motecticus.51

49
Sull’argomento mi limito a citare CLAUDIO GALLICO, Monteverdi, Torino, Einaudi, 1979,
pp. 112-119, in cui vengono presentate e discusse criticamente le varie ipotesi correnti, insie-
me alla proposta di qualche idea nuova.
50
Su queste questioni mi permetto di rimandare al mio contributo Monodia e stile concertante
a Santa Maria Maggiore di Bergamo nel primo Seicento: il Nuovo giardino di spiritual et har-
moniosa ricreatione (1620) di Giovanni Cavaccio, in Album Amicorum Albert Dunning in
occasione del suo LXV compleanno, a cura di Giacomo Fornari, Turnhout, Brepols, 2002,
pp. 515-574: 524-530.
51
GINO STEFANI, Musica e religione nell’Italia barocca, Flaccovio, Palermo 1975, pp. 78-81.

180
APPENDICE

VINCENZO PELLEGRINI
Tredici contrappunti sull’antifona gregoriana Ecce sacerdos magnus
RO D O BA L D O T I BA L D I

Benedictus si placet. Contrapunto, che doi, & a tre voci si può cantare in
dodeci varij modi come da queste parte se può vedere

Li soprascitti, sono quatro varij modi, cioé sopra il fermo del Basso à 2. se
canta il Contrapunto superiore secondo sopra l’istesso, se canta la terza parte se
place a 2. Terzo si cantano li doi Canti fermi per le due chiavi, & la parte del
Contrapunto superiore a 3 voci. Quarto sopra il fermo del basso si canta il Cont-
trapunto & la terza parte se place che sarà a 3 voci, & quelli che esamineranno
bene la diversità delle consonanze che cadono in questi quattro modi, bisogna-
rà che confessino essere uno dall’altro variato.

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REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

1. Canto fermo e contrappunto

2. Canto fermo e tertia pars

183
RO D O BA L D O T I BA L D I

3. Canti fermi per le due chiavi e contrappunto

4. Canto fermo, contrappunto e tertia pars

184
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

185
RO D O BA L D O T I BA L D I

Questi altri quattro modi sono per contrarias notas, cioè a due voci co’l
fermo se canta il Basso delle due chiavi, secondo il Basso della terza parte si
placet, & à 3. Basso, & Tenore sopra il fermo, & di novo à 3. li doi Bassi sopra
il fermo che danno otto modi varij; come per le loro consonanze si può mani-
festamente vedere.

186
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

5. Canto fermo e contrappunto

6. Canto fermo e tertia pars

187
RO D O BA L D O T I BA L D I

7. Canto fermo e contrappunti con le due chiavi

8. Canto fermo, contrappunto e tertia pars

188
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

189
RO D O BA L D O T I BA L D I

Questi son tre varij modi, & non e di poco artificio che la prima nota del
Contrappunto qual valeva mezza battuta, farla valere la metta di più, & che tutte
le altre noti accordino col fermo, senza alterarne alcun’altra di quello che sta
scritto nelli altri modi di sopra. Onde si cantara a due voci sopra il fermo con la
parte di Contrapunto, & a doi voci con la terza parte si placet. Sopra il detto
fermo, & a tre come sta scritto, che sono tre varij modi.

190
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

9. Canto fermo e contrappunto

10. Canto fermo e tertia pars

191
RO D O BA L D O T I BA L D I

11. Canto fermo, contrappunto e tertia pars

192
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

Questi sarebbono altri doi modi quando si usasse la quarta come consonan-
ze ne i luoghi segnati con le crocette, che portando la voci giusta non fa tanto
cattivo concento, che l’udito in parte non se compiacci, ma io li pongo sola-
mente per un modo cantando il fermo, & la parte del contrapunto, che così
havremo tutti le dodici variate modi. Questo Benedictus sia messo da me solo
per veder l’artificio del Contrapunto, & acciò li virtuosi con l’inventione di que-
sto, possino inventar altri Capricci simili, poiche facile est inventis addere. Che
per ciò si serviranno, in Capella del seguente: Benedictus a quattro voci.

193
RO D O BA L D O T I BA L D I

12. Canto fermo e contrappunto

13. Canto fermo, contrappunto e tertia pars

194
REMINISCENZE PALESTRINIANE? LA MESSA ECCE SACERDOS MAGNUS DI VICENZO PELLEGRINI

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