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Leonardo Tirabassi articolo 6 marzo 2019


Che cos'è il riformismo

Discutere di questi tempi di riformismo può sembrare cosa vetusta. In apparenza messo in soffitta
da sovranismi e populismi, da slogan e propaganda, suona un po' polveroso riscoprire categorie
antiche. Antiche appunto. Non antiquate.
Certo i tempi, il mondo, i problemi non sono gli stessi né del socialismo democratico e popolare che
va da Turati a Craxi, né quelli che videro la nascita e l'affermazione del pensiero sociale cristiano.
Ma forse vale la pena di riflettere di nuovo sulle basi di quel pensiero cercando di attualizzarlo,
sganciandolo cioè da un ambito politico storicamente determinato come quello socialista,
contrapposto al comunismo rivoluzionario.
Il pensiero riformatore, possiamo dire per semplicità, si basa su quattro pilastri. Una visione
dell'uomo, un'idea di società e di storia, un metodo di azione politica. Si diceva dell'uomo, essere
potente e limitato, che ha bisogno di dare un senso a quello che fa, alla sua vita, che deve trovare il
suo scopo in una linea ideale dal passato al futuro, in una storia personale che non inizia e finisce
con lui, che guarda oltre alla propria morte. Un essere che aspira a lasciare la terra un po' meglio di
come l'ha trovata, e che per lo meno vuole fare bene il proprio lavoro. Che si muove in una
dimensione immediatamente sociale, cittadino della polis di cui condivide il destino assieme agli
altri. Un uomo errante che cerca la propria strada nella vita, creatura allo stesso tempo potente e
fragile. Animale non dotato di istinti, costretto a proteggersi raccogliendosi in comunità, forgiando
istituzioni.
La società quindi, eccoci al secondo punto, è un complesso dinamico di connessioni che noi non
riusciamo a cogliere nella loro totalità in movimento, sistema di sistemi. Persona, società, mondo,
universo sono un complesso misterioso, strutturato da miliardi di misteriosi nessi. E infatti la vita è
qualcosa di imprevedibile, sempre aperta all'inatteso.
Se queste sono le premesse, la politica, cioè la nostra azione sulla e nella società per permetterci di
stare assieme, non può non tenerne conto perché la politica, ecco il punto, non vive di se stessa, né
si fonda su se stessa. La politica infatti trova le proprie radici fuori dal proprio recinto. I reali
cambiamenti sono prepolitici, le trasformazioni avvengono nel profondo della società, nelle sfere
della cultura, del lavoro, della tecnica, dei comportamenti. La politica sa cogliere quei cambiamenti,
li analizza, li interpreta e quindi agisce. La vera politica è realista perché deve tener conto della vita
che cambia, sta nel presente ma con una visione della storia, si colloca certo nel qui e ora, ma riesce
a vedere la propria azione nel tempo perché il presente è frutto del passato. Ha una visione della
propria forza, ma ne conosce i limiti. Se la realtà, il mondo sono qualcosa di complicato,
l'insegnamento che ne deriva per l'azione politica è un comando assoluto. Dobbiamo trattare i nessi
sociali con molta cura e sensibilità, agire sulle singole parti, cercando di vedere le conseguenze
delle nostre azioni, cercando di cambiare i pezzi “rotti” a piccoli passi, ma sempre sforzandoci di
cogliere la totalità, senza presunzione di sapere come funziona l'intera macchina. Perché come
diceva il primo presidente della Cecoslovacchia post sovietica,Vaclav Havel, a cui queste righe
devono molto, la civiltà è una struttura di relazioni.
In ultimo, il punto più in crisi, il progresso. La storia vista come una linea continua ascendente
verso continui traguardi, trainata dalla locomotiva del progresso tecnico scientifico, non funziona
più. Oggi sappiamo che lo sviluppo non è sempre positivo e nemmeno neutrale, che la tecnica, se è
un destino a cui non si può sfuggire, mette al contempo in discussione l'essenza dell'uomo. Basti
pensare a quanto sta accadendo nella biosfera, alle sfide portate dall'ingegneria genetica,
dall'intelligenza artificiale e dal connubio di esse con la robotica.
Ma è sufficiente questa messa in discussione per mettere fuori gioco quella tradizione riformista?
No, perché a reggere sono tutti gli altri pilastri. Anzi, dato che l'unico aspetto che cambia è la
posizione dell'uomo nell'universo, più fragile e limitato nelle sue forze razionali di quanto pensasse
il positivismo socialista, i confini tra le due tradizioni riformiste più forti, quella socialista e quella
cristiano cattolica, non hanno più motivo di esistere.

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