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Il celibato è vincolato al sacramento dell’ordine?

Per una teologia spirituale del celibato


Laurent Touze
Pontificia Università della Santa Croce

Introduzione: l’apparente contraddizione del celibato sacerdotale


Agli occhi di molti, la gerarchia ecclesiastica e specialmente la Sede
Apostolica sosterrebbe posizioni contraddittorie sul celibato sacerdotale.1
Da una parte, infatti, si nota una ferma insistenza sulla non negoziabilità
del celibato. Prendendo soltanto il secolo scorso, è facile raccogliere un
elenco di citazioni pontificie2 che fanno eco ad una celebre dichiarazione
di Benedetto XV: “Riaffermiamo ora solennemente e formalmente […]
che giammai questa Sede Apostolica sarà indotta non solo ad abolire, ma
nemmeno a mitigare, attenuandola in parte, la sacrosanta e oltremodo
salutare legge del celibato ecclesiastico”.3 Dall’altra parte, si ritrovano delle
eccezioni al celibato in alcuni riti orientali cattolici ma anche nella chiesa
latina, dalle prime decisioni di Pio XII4 alla recente costituzione apostolica
di Benedetto XVI Anglicanorum cœtibus (4 novembre 2009) per gli Angli-
cani che entrano nella piena comunione con la Chiesa.
Perché, se queste eccezioni sono possibili, non abolire una discipli-
na sovente contestata e renderla opzionale? Ciò che vorrei spiegare qui è
5

1
Riprendo in questa relazione molti elementi del mio libro L’avenir du célibat sacerdotal et
sa logique sacramentelle, Parole et Silence-Lethielleux, Paris 2009.
2
Cfr. ad esempio Le célibat pour Dieu dans l’enseignement des Papes. Introduction, choix et
ordonnance des textes, index par les moines de Solesmes, Abbaye Saint-Pierre, Solesmes 1984.
3
Allocuzione al Concistoro segreto (16 dicembre 1920).
4
Cfr. Pio XII, Ordinations sacerdotales de pasteurs protestants mariés, «La documentation
catholique» 49 (1952) 146-151.
5
Si vedrà propriamente qui che il celibato non è soltanto una disciplina, nell’accezione
usata dagli addetti più o meno consapevoli del positivismo giuridico, per i quali la legge
nasce dall’arbitrarietà dell’autorità, senza fondamento nella verità delle cose, senza vincolo
con la giustizia intesa come virtù. Al capriccio celibatario di ieri risponderebbe oggi la scelta
possibile della condizione matrimoniale per il ministro, con il vantaggio di rispondere agli
imperativi liberali della cultura contemporanea. Sul realismo giuridico, cfr. C.J. Errázuriz

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che tale quesito apparentemente legittimo, dimentica a mio avviso, ed è


quanto intendo dimostrare, l’articolazione tra i sacramenti e la vita. Gra-
zie al celibato che gli viene chiesto giuridicamente dalla Chiesa, infatti, il
sacerdote capisce6 che è chiamato ad estendere a tutta la sua vita la logica
oblativa del ministero che gli è stato conferito.
È la tesi che illustrerò in questa relazione, esaminando innanzitutto
il principale motivo del celibato insistentemente proposto dal Magistero
recente, quello nuziale, che chiamerò in generale eucaristico. In seguito giu-
stificherò questa mia scelta. Dopo una descrizione del significato di questo
motivo, mi interrogherò soprattutto sulla sua portata pratica. Per rispondere
a questa domanda verranno utilizzati due strumenti complementari: il pen-
siero tomista e la riflessione contemporanea sul sacramento dell’ordine. Essi
riveleranno che in fin dei conti, questo motivo eucaristico chiede al sacer-
dote di rendersi adeguato ai misteri ricevuti e celebrati, di unire nel suo stile
di vita la consacrazione e la missione. Più concretamente ancora, di rendere
visibile l’oblazione di Cristo per la salvezza del mondo attraverso la libera
elezione del celibato e della continenza, imparando così ad aprire la sua esi-
stenza e la sua spiritualità quotidiane alla logica sacramentale del ministero.

1. L’evoluzione del Magistero sulla motivazione teologica del celibato


Una prima evoluzione magisteriale: l’affermazione sempre più forte
della dimensione propriamente ministeriale del celibato, già ricordata dal
Vaticano II (PO, 16) ma specialmente rilevata dall’enciclica Sacerdota-
lis caelibatus di Paolo VI (n. 40) e soprattutto dall’esortazione apostolica
Pastores dabo vobis del Beato Giovanni Paolo II (n. 29).7
Non ci vedrei un’indovuta evoluzione o un’incompatibilità con il Vati-
cano II,8 ma piuttosto una specie di progresso dogmatico, di sviluppo dot-

M., Corso fondamentale sul diritto nella Chiesa, t. 1, A. Giuffrè, Milano 2009, 15-22 e in
generale tutto il primo capitolo.
6
Parlerò qui del presbitero e del vescovo, non del diacono, e specialmente non del diacono
permanente.
7
“La volontà della Chiesa trova la sua ultima motivazione nel legame che il celibato ha
con l’Ordinazione sacra, che configura il sacerdote a Gesù Cristo Capo e Sposo della Chiesa”:
Pastores dabo vobis, n. 29d: AAS 84 (1992) 704.
8
Cfr. B. Petrà, Preti sposati per volontà di Dio?, Dehoniane, Bologna 2004, 126-136.

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trinale, ed è ciò che cercherò di spiegare parlando di ‘logica sacramentale’


del celibato.
Infatti, un secondo messaggio magisteriale precisa la natura di questo
vincolo tra celibato e ministero, riconoscendo nel motivo nuziale o euca-
ristico il motivo centrale per il celibato ecclesiastico, considerato come il
riflesso sulla condizione ministeriale dell’oblazione di Cristo per la Chiesa.
Servitore di Cristo sposo, morto sulla croce, altare delle sue nozze con la
Chiesa, il sacerdote, specificamente identificato al Salvatore, è chiamato
a riprodurne il sacrificio, tra l’altro col suo celibato. Tale concetto è stato
espresso in Sacerdotalis caelibatus,9 poi in Pastores dabo vobis10 e ripreso in
altri documenti della Sede Apostolica,11 soprattutto da Benedetto XVI
nel contesto ancora più chiaramente eucaristico dell’esortazione apostolica
Sacramentum caritatis.12
Mi sembra, e vi tornerò dopo, che questo contesto eucaristico offra la
chiave per entrare nel significato più profondo di questo motivo nuziale.
Tale teologia nuziale è dunque una teologia eucaristica del celibato, per-
ché prende il sacerdote, lo installa davanti all’ufficio principale della sua
vocazione, la celebrazione eucaristica, e gli ricorda quanto le parole della
consacrazione devono modellare la sua personale oblazione per la salvezza
del mondo. Inginocchiato davanti all’Agnello immolato, alla presenza fisi-
ca della comunità e intenzionale di tutta la Chiesa, il ministro capisce che
il suo cuore si deve dilatare per amore dei suoi fratelli, e che per divenire il
loro servitore deve offrire il suo corpo nello Spirito.
La specificità della spiritualità eucaristica del presbitero è determina-
ta dal suo ruolo nella celebrazione. Nel sacrificio della Messa, “fonte e
9
Cfr. ad esempio: “Il sacerdote si configura più perfettamente a Cristo anche nell’amore
col quale l’eterno Sacerdote ha amato la Chiesa, suo Corpo, offrendo tutto se stesso per lei, al
fine di farsene una sposa gloriosa, santa e immacolata”: Sacerdotalis caelibatus, n. 26: AAS 59
(1967) 667.
10
Cfr. ad esempio: “La Chiesa, come Sposa di Gesù Cristo, vuole essere amata dal
sacerdote nel modo totale ed esclusivo con cui Gesù Cristo Capo e Sposo l’ha amata. Il
celibato sacerdotale, allora, è dono di sé in e con Cristo alla sua Chiesa ed esprime il servizio
del sacerdote alla Chiesa in e con il Signore”: Pastores dabo vobis, n. 29: AAS 84 (1992) 704.
11
Cfr. Congregazione per il Clero, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri (31
gennaio 1994), n. 58c.
12
Cfr. Benedetto XVI, Es. ap. Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), n. 24: “Non è
sufficiente comprendere il celibato sacerdotale in termini meramente funzionali. In realtà, esso
rappresenta una speciale conformazione allo stile di vita di Cristo stesso. Tale scelta è innanzitutto
sponsale; è immedesimazione con il cuore di Cristo Sposo che dà la vita per la sua Sposa”.

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culmine di tutta l’evangelizzazione” (PO, 5) per ogni fedele, il ministro


impara ad associarsi interiormente ed esteriormente a colui che rende pre-
sente, a diventare pubblicamente anche lui sacerdote e vittima, a vivere ciò
che Benedetto XVI chiama la “logica eucaristica dell’esistenza cristiana”.13
Questo è il motivo per cui in questa relazione impiegherò come sinonimi
motivo eucaristico e motivo nuziale del celibato.

2. Il senso di questa motivazione magisteriale del celibato


Il Magistero nel presentare la motivazione ministeriale del celibato
presbiterale, si fonda su dati biblici e patristici che rivelano il Cristo come
Sposo della Chiesa inserendo in tale relazione il ministro ordinato.
Vedremo brevemente qui di seguito i passaggi più significativi di tale
interpretazione della tradizione della Chiesa.

a) Il senso biblico e patristico: un dono di sé che passa attraverso il corpo


In questa breve sintesi della riflessione classica sulla nuzialità,14 non si
può dimenticare che la Bibbia indica che “è nel mistero della Croce, follia
di Dio, che [Gesù Cristo] rivela l’amore di Dio per la sua sposa infede-
le della quale egli è sposo, lui che la salva e santifica. Cristo è lo sposo,
Cristo crocifisso. È nel sangue che la nuova alleanza rimane stabilita”.15 I
sacramenti diffondono e comunicano quest’amore sacrificato e purificato-
re. Con Schlier, si deve affermare che “la morte di Cristo ha propriamen-
te come fine questa santificazione sacramentale”.16 I Padri riprendono lo
stesso messaggio, per descrivere il cuore dell’annuncio cristiano e la sua
proiezione nella storia. Così scrive sant’Agostino, con la serena bellezza
della contemplazione:

Mentre il Signore dormiva sulla croce, gli fu trapassato il fianco dalla lancia
e ne scaturirono i sacramenti con i quali s’è costituita la Chiesa. Anche la

13
Cfr. Benedetto XVI, Es. ap. Sacramentum caritatis, tutta la terza parte e specialmente
il n. 80 sul sacerdote.
14
Cfr. Touze, L’avenir du célibat, 75-113.
15
M.-F. Lacan, Époux-Épouse, in X. Léon-Dufour (ed.), Vocabulaire de théologie
biblique, Cerf, Paris 1970, col. 366-370, qui col. 369.
16
H. Schlier, Der Brief an die Epheser. Ein Kommentar, Patmos, Düsseldorf 1957, 256.

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Chiesa infatti, sposa del Signore, trae origine dal suo fianco, come Eva
era stata presa dal fianco [di Adamo]. E come questa fu tratta dal fianco
dell’uomo addormentato, così anche la Chiesa non ebbe altra origine che il
fianco di Cristo morto.17

Quattro elementi mi sembrano riassumere questo messaggio della tra-


dizione: un donatore che è Gesù Cristo, lo sposo; una donataria che è la
Chiesa, la sposa; il dono di vita dello sposo alla sposa che è l’oblazione
totale di sé, che passa per il corpo; la trasmissione del dono, che si realizza
nella storia attraverso i sacramenti.

b) Il dono del ministro, oblazione sacramentale ad immagine dell’oblazione


di Cristo
Qual è il ruolo del ministro in questa relazione tra Cristo e la Chiesa?
Sarò breve nel rispondere, e esporrò soltanto alcuni dei temi sviluppati
dalla tradizione quando presenta il ministro come sposo.
Ricordo qui, ad esempio, l’esegesi patristica dell’espressione “marito di
una sola moglie”, come condizione per l’ordinazione, presente nelle Lette-
re Pastorali, sovente letta come invito per il ministro alla continenza e all’i-
mitazione dell’oblazione di Cristo per la Chiesa; il legame del sacerdote
con la sua chiesa descritto come un matrimonio, o anche il trasferimento
da una sede episcopale ad un’altra considerato come un’ infedeltà coniuga-
le; le liturgie d’ordinazione, e in particolare, infine, la traditio dell’anello al
neo-vescovo come un segno di fedeltà coniugale.
Cosa si può notare nello studio di questa tradizione?18 Senza dub-
bio, è da sottolineare un’evoluzione: dalle prime formule patristiche più
morali a quelle più sacramentarie della patristica tardiva e del Medioevo.
Con ‘morali’, intendo le espressioni nelle quali la fonte dell’agire nuziale è
determinata dalla libertà del soggetto. L’individuo scopre le vere dimen-
sioni dell’amore nella contemplazione del Crocifisso e cerca di imitarlo.
Con ‘sacramentarie’, intendo invece le espressioni che descrivono non
un’imitazione esteriore, ma la vita di Cristo sposo nel cristiano e nella
Chiesa, trasmessa dai sacramenti. Questa evoluzione dal ‘morale’ al ‘sacra-
17
Enarr. in Ps., Ps. 126, 7: PL 37,1672.
18
Sarebbe troppo lungo riprendere qui il dossier patristico e medievale di L’avenir du
célibat, 113-181.

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mentario’ non è una metamorfosi illecita, un tradimento. Ci vedrei un’e-


voluzione omogenea dello stesso concetto: questi due gruppi di formule
nuziali sono coerenti, compatibili.19 L’uso morale della nuzialità non è una
parenesi più o meno vuota, la sua forza di persuasione deriva da un aspetto
nuziale veramente iscritto nel ministero. Anzi mi sembra che si dovrebbe
affermare che l’accezione sacramentaria (patristica tardiva e medioevo) è
più fedelmente biblica che il senso morale della patristica primitiva, in
quanto le Scritture abbinano nuzialità e sacramenti. Si può parlare di evo-
luzione omogenea proprio a causa del ritorno perpetuo alle fontes della
Bibbia, della loro più esatta comprensione.

3. Come dire questa oblazione sacramentale? La proposta di Balthasar


è sacramentale ma privilegia il battesimo, non l’ordine
Se si parla del vincolo tra la sponsalità e i sacramenti, si deve esaminare
un’intuizione teologica particolarmente diffusa oggi che, però, impedisce
al mio parere una comprensione autenticamente sacramentaria e mini-
steriale del sacerdote come sposo. Alludo alle teologie che esprimono la
nuzialità col lessico della vita consacrata, e specialmente alla proposta di
Hans Urs von Balthasar, propugnatore di una visione della nuzialità e della
spiritualità oggi preponderante in molti ambienti ecclesiali. Sottolineerei
sin dall’inizio che intervengono qui fattori opinabili, preferenze spirituali,
e non articoli di fede o assoluti dogmatici. Esporrò solamente e dialogica-
mente le scelte teologiche che mi sembrano più opportune.
L’influsso della teologia e della prassi della vita consacrata è compren-
sibile, in quanto essa appartiene inseparabilmente alla santità della Chiesa
(cfr. LG 44) ed è stata considerata per molto tempo come paradigma della

19
Non credo di cedere qui alla tentazione anacronistica di ingabbiare le formule patristiche
in teorie teologiche più recenti, né di interpretare « trop facilement des textes de la période
primitive à partir d’une synthèse sacramentaire postérieure » : M. Jourjon, Quatre conseils pour
un bon usage des Pères en sacramentaire, «Maison Dieu» 119 (1974) 74-84, qui 74.
Non condivido dunque l’opinione di chi considera la rappresentazione di Cristo sposo
nel ministro come puramente morale (cfr. H. Legrand, ‘Traditio perpetuo servata’. La non
ordinazione delle donne: tradizione o semplice fatto storico? Alcune osservazioni metodologiche, in C.
Militello (ed.), Donne e ministero: un dibattito ecumenico, Dehoniane, Roma 1991, 205-244,
qui 238). Molte tra le prime espressioni storiche della nuzialità cercano di assicurare la fedeltà
del ministro e soprattutto del vescovo alla sua Chiesa locale, ma questo non riduce la sponsalità
ad un incoraggiamento per un comportamento esemplare.

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perfezione per tutti i fedeli, anche per i laici e i ministri. Quando infatti il
pensiero passa da una costatazione dogmatica alle sue conseguenze spiri-
tuali, il linguaggio che s’impone quasi sempre è quello della vita consacra-
ta. Si rende così un omaggio meritato ad uno stato di vita che ha aperto
un ammirevole solco di santità nella storia, ma si rischia anche di ingab-
biare il Vangelo nel vocabolario di una singola vocazione, impedendo di
distinguere ciò che lo dovrebbe essere, obbligando tra l’altro a confondere
ordine e vita consacrata.
Balthasar, dal canto suo, non soccombe alla tentazione di questa con-
fusione. La sua eccezionale conoscenza della tradizione teologica gli for-
nisce una definizione della nuzialità chiaramente sacramentale, ma a causa
delle sue opzioni spirituali, descrive questa nuzialità col lessico dei consa-
crati. Il vocabolario della vita religiosa non entra nel suo pensiero come per
effrazione. Per Balthasar di fatto, la santità ministeriale in quanto tale ha
bisogno dei consigli evangelici, e non può non essere detta senza il voca-
bolario della vita consacrata. È un’opzione che non condivido, e presento
qui i miei dubbi, riassumendo il pensiero di Balthasar su tale concetto.
I riferimenti alla consacrazione religiosa e specialmente ai tre consigli
evangelici classici di castità, povertà e obbedienza stanno di fatto al cuore
del sistema teologico e spirituale di Balthasar.20 Per lui, santità, nuzialità e
consigli sono in un certo qual modo sinonimi. Come un riflesso nel tempo
dell’eterna kenosi del Verbo nel seno della Trinità, la vita terrestre di Gesù
si organizzerebbe intorno ai consigli, in un annientamento di obbedienza
al Padre, di dono totale alla Chiesa, che il sacerdote dovrebbe riprodurre
con gli stessi consigli.21 Il considerare l’obbedienza come cuore della san-

20
Cfr. P. O’Callaghan, ‘Gli stati di vita del cristiano’. Riflessioni su un’opera di Hans Urs
von Balthasar, «Annales Theologici» 21 (2007) 61-100. Un sistema che non intendo riassumere
qui. Mi fermerò soltanto sulla nuzialità sacerdotale, come lo richiede la complessità del pensiero
balthasariano e della sua antropologia sessuale, legata alla sua teologia ministeriale. Cfr.: “Il
ministero sacerdotale e il sacramento sono le forme di comunicazione del seme. Appartengono
alla mascolinità, e la loro funzione è di guidare la Sposa alla sua funzione femminile”: H. U.
von Balthasar, Wer ist die Kirche? Vier Skizzen, Herder, Freiburg 1965, 24. Cfr. anche Idem,
Theodramatik II: Die Personen des Spiels 2: Die Personen in Christus, Johannes Verlag, Einsiedeln
1978, 326. Su questi punti, cfr. R.A. Pesarchick, The Trinitarian Foundation of Human Sexuality
as Revealed by Christ according to Hans Urs von Balthasar. The Revelatory Significance of the Male
Christ and the Male Ministerial Priesthood, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma 2000.
21
Cfr. ad esempio: H. U. von Balthasar, Christlicher Stand, Johannes Verlag, Einsiedeln
1977, passim ; per una raccolta di citazioni e un’analisi: D. Power, A Spiritual Theology of the

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tità, della nuzialità e del sacerdozio è dettato per lui sempre da riferimen-
ti alla vita religiosa e ai consigli, specialmente nella loro comprensione
ignaziana. Nella contemplazione balthasariana, Cristo è innanzitutto il
perfetto obbediente, modello di santa subordinazione per il battezzato e
specialmente per il consacrato. Ma Cristo è anche la fonte di un’autorità
divina e dunque irrifiutabile, partecipata nei ministri. Balthasar è stato
giustamente criticato, credo, quando sceglie l’obbedienza come principale
strumento ermeneutico per capire il rapporto sacerdozio comune/sacerdo-
zio ministeriale e conclude che l’autorità avrebbe l’obbedienza come uni-
co obiettivo, creando un circolo dove il ministero è lì per comandare e il
sacerdozio comune per obbedire.22
La grandezza di tale accezione della nuzialità e l’esigente oblazione di
sé che impone spiegano forse la fecondità intellettuale e spirituale di questo
pensiero balthasariano. Il ministro è inteso sacramentalmente come sposo,
come specifico rappresentante di Cristo. Ma secondo uno schema nato nel-
la vita religiosa, e tenendo dunque conto più del battesimo – che struttura
la vita consacrata – che dell’ordine.23 Si traslata cioè l’obbedienza religiosa
alla struttura ministeriale della Chiesa, incrementando la forza del voto
– che sottomette un battezzato all’altro, il consacrato al suo superiore – con
l’autorità cristica dell’ordine. Balthasar supera certamente le letture esclu-
sivamente moralizzanti della nuzialità. Ma, appoggiandosi sul battesimo
più che sul sacerdozio, rischia di far dimenticare all’autorità la sua funzione
ministeriale, e d’incoraggiarla ad una clericalizzante mistica del capo.
Questi paragrafi su Balthasar sono forse troppo brevi,24 ma mostrano, a
mio parere, l’utilità di ricercare una teologia più direttamente sacramentale

Priesthood: the Mystery of Christ and the Mission of the Priest, Catholic University of America
Press-T & T Clark, Washington-Edinburgh 1998, 88-112.
22
Cfr. S. Dianich, Teologia del ministero ordinato. Una interpretazione ecclesiologica,
Paoline, Roma 1984, 85-87. Sull’obbedienza in Balthasar, cfr. P. Ide, L’amour comme obéissance
dans la Trilogie de Hans Urs von Balthasar, «Annales Theologici» 22 (2008) 35-77.
23
Non voglio evidentemente dire qui che la vita religiosa sia il solo modo di vivere il
battesimo. Anche il sacerdote ha una vita radicalmente battesimale (cfr. B.D. de la Soujeole,
Prêtre du Seigneur dans son Église, Parole et Silence, Paris 2009). Intendo sottolineare soltanto
che il battesimo è il riferimento sacramentale essenziale della vita consacrata.
24
Questa relazione utilizzerà un concetto tradizionale che Balthasar riprende, ossia il
concetto dell’associazione del sacerdote al sacrificio che celebra. Balthasar lo sviluppa con il
vocabolario dei consigli (cfr. Christlicher Stand, la fine della seconda parte; Power, A Spiritual
Theology, 29-48) ma vi è un’intuizione che condivido.

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e ministeriale, senza influsso della vita consacrata, che possa dire con esat-
tezza il ruolo del sacerdote. Utilizzeremo successivamente due strumenti:
le teologie dell’ordine tomista e contemporanea, che daranno un risultato
analogo. La persona e la vita del ministro entrano cioè nella significazione
della nuzialità, o più esattamente nella significazione del sacramento. Ed
è qui il posto del celibato, perché esprime questo dono di servizio per la
Chiesa. Quando il Magistero usa il motivo nuziale o eucaristico del celi-
bato, indica secondo me la logica dell’ordine in quanto deve essere vissuta
dal ministro, incorporata alla sua esistenza tramite il celibato.

4. Il pensiero tomista indica che il ministro deve rendersi adeguato


al sacramento
I primi passi su questa via sacramentale si compiono con san Tommaso
d’Aquino e la sua teologia dell’ordine,25 specialmente con il suo apporto
ad una riflessione ecclesiale in corso sulla non-ordinazione delle donne.
Mi riferisco alla riflessione, non sul fatto dell’impossibilità per una bat-
tezzata di ricevere l’ordine – questo punto è stato definitivamente chiarito
dal Magistero –26 ma sulla teologia di questa impossibilità, resa ancora più
necessaria dalla riscoperta del ruolo della donna nella società e nella Chiesa.
Eppure, quando Tommaso riflette sulla non-ordinazione, non invoca
la sponsalità né chiama sposo il ministro (cfr. ad esempio Super Sent., l. IV,
d. 25, q. 2, a. 1 qc. 1 co). La Congregazione per la Dottrina della Fede,
però, nella dichiarazione Inter insigniores (15 ottobre 1976) ha vincolato
direttamente la teologia tomista dell’ordine e la nuzialità, seguendo un
ragionamento che si può così riassumere.27
Il sacerdote rappresenta sacramentalmente Cristo, al più alto grado
nella celebrazione dell’Eucaristia, tenendovi il ruolo del Salvatore quando

25
Su Tommaso e l’ordine, cfr. J. Périnelle, La doctrine de saint Thomas sur le sacrement
de l’ordre, «Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques» 14 (1930) 236-250. Per una
visione d’insieme sul tema del sacerdozio: Saint Thomas d’Aquin et le sacerdoce. Actes du Colloque
organisé par l’Institut Saint-Thomas d’Aquin les 5 et 6 juin 1998 à Toulouse, «Revue Thomiste»
99 (1999) 5-295, specialmente 59-74, 181-210 e 245-279 sul tema dell’ordine.
26
Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Ordinatio sacerdotalis (22 maggio 1994).
27
Per una riflessione più ampia e sistematica sul sacerdozio ministeriale e la donna, cfr.
M. Hauke, Die Problematik um das Frauenpriestertum vor dem Hintergrund der Schöpfungs- und
Erlösungsordnung, Bonifatius, Paderborn 1986.

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Laurent Touze

pronuncia le parole della consacrazione. Grazie a questa qualità di rappre-


sentante sacramentale di Cristo, “il sacerdote è un segno, la cui efficacia
soprannaturale proviene dall’ordinazione ricevuta, ma un segno che deve
essere percettibile e che i fedeli devono poter riconoscere facilmente”.28 In
che modo i sacramenti sono segni, si chiede Inter insigniores, e risponde:
attraverso simboli naturalmente leggibili. E di cosa è segno l’ordine? È
qui che la Congregazione fa intervenire la nuzialità. L’ordine significa la
salvezza offerta da Dio in un’economia nuziale, secondo una logica pie-
namente realizzata dall’oblazione del Signore in croce, ri-presentata nella
celebrazione eucaristica. Poiché Cristo si manifesta come sposo al popolo
sposa, al cuore della rivelazione e del mistero salvifico, è conveniente che il
suo rappresentante sia un segno leggibile dello sposo, e dunque che sia un
uomo. Dio si era presentato ad Israele come sposo, così il Messia alla Chie-
sa, per cui egli doveva essere un uomo. Allo stesso modo, conviene che il
suo rappresentante sacramentale sia un uomo, specialmente nell’atto nuzia-
le centrale dopo il mistero pasquale, la Messa. Come scrive Inter insigniores:

L’incarnazione del Verbo è avvenuta secondo il sesso maschile: è, sì, una


questione di fatto, ma un tal fatto [...] è in armonia col disegno di Dio
nel suo insieme. [...] Infatti, la salvezza offerta da Dio agli uomini, [...]
in una parola l’alleanza, riveste [...] la forma privilegiata di un mistero
nuziale. [...] A meno che non si voglia misconoscere l’importanza di questo
simbolismo per l’economia della rivelazione, bisogna ammettere che, nelle
azioni che esigono il carattere dell’ordinazione e in cui è rappresentato il
Cristo stesso, autore dell’alleanza, sposo e capo della Chiesa, nell’esercizio
del suo ministero di salvezza, e ciò si verifica nella forma più alta nel
caso dell’eucaristia, il suo ruolo deve essere sostenuto – è questo il senso
originario della parola ‘persona’ – da un uomo.29

Si chiede dunque al ministro di essere per la comunità un segno per-


cettibile del dono che Cristo fa di sé fino alla morte per dare la vita alla
Chiesa, cioè un segno di nuzialità. Di fatto,

28
Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione circa la questione
dell’ammissione delle donne al sacerdozio ministeriale Inter insigniores (15 ottobre 1976), AAS
69 (1977) 98-116, qui 110.
29
Inter insigniores, AAS 69 (1977) 110-111.

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Il celibato è vincolato al sacramento dell’ordine?

Il sacerdozio di Cristo culmina nell’atto pasquale per eccellenza: nel


passaggio di Cristo al Padre, quando si offre a lui come vittima, sotto la
direzione costante dello Spirito. [...] Se si considera adesso la nuzialità,
si dovrà dire qualcosa di simile [...]. Il sacerdozio e la nuzialità sono
strettamente vincolati perché si contempla in loro la pienezza del mistero
di Cristo che con la forza dello Spirito passa da questo mondo al Padre, [...]
procurando agli uomini una redenzione eterna.30

Questo è l’insegnamento della tradizione quando introduce il ministe-


ro nella nuzialità. Considerare l’identità sessuale dell’ordinando come un
dato senza interesse per la rappresentazione di Cristo ridurrebbe il mini-
stro ad uno strumento passivo posto davanti alla comunità, una specie di
burattino sacro.
Ma queste considerazioni nuziali sono veramente fedeli a Tommaso?
La risposta sembra a prima vista negativa. Nel Commento alle Sentenze
citato da Inter insigniores, la nuzialità è assente. Ciò che sarebbe da signifi-
care nell’ordine è la superiorità gerarchica, e la donna sarebbe inetta a sim-
bolizzarla perché naturalmente assoggettata (cfr. Super Sent., l. IV, d. 25
q. 2 a. 1, qc. 1a co). Non intendo opinare su ciò che c’è qui di politicamen-
te incorretto o di teologicamente convincente, ma il ricorso alla nuzialità
non è un ornamento artificialmente aggiunto al pensiero di Tommaso. Il
Dottore angelico, infatti, scopre come nucleo di ciò che Cristo vuol vedere
rappresentato nei sacramenti, il dono nuziale che egli fa di se stesso alla
Chiesa. La rappresentazione di Cristo è rappresentazione della nuzialità,
dell’oblazione offerta sulla croce:

L’istituzione e il potere dei sacramenti hanno la loro origine in Cristo, del


quale l’Apostolo scrisse nella lettera agli Efesini: “ha amato la Chiesa e ha
dato se stesso per lei, per renderla santa”. [...] Come Cristo stava per privare
la Chiesa della sua presenza corporale, era necessario istituire altri uomini
come i suoi ministri, per dispensare i sacramenti ai fedeli. [...] Bisogna
comparare il ministro al suo maestro come lo strumento all’agente principale.
[...] Ora lo strumento deve essere proporzionato all’agente. Così i ministri di
Cristo gli devono essere conformi (Contra gentes, l. IV, c. 74, n. 2).

Inter insigniores partecipa dunque della logica di Tommaso, affermando


la partecipazione del ministro al sacramento e vincolandola alla nuzialità.

30
A. Bandera, Redención, mujer y sacerdocio, Palabra, Madrid 1996, 272-273.

73
Laurent Touze

Conviene che il presbitero sia un segno percettibile per i credenti, affinché


passino dal ministro nella sua umanità a Cristo, attraverso l’Eucaristia.31 È
la somiglianza tra segno e significato che permette la percezione del segno;
una certa somiglianza, che essendo una condizione della significazione
sacramentale, appartiene in alcuni casi alla validità del sacramento; questo
principio si estende alle persone in quanto partecipano come ministri o
beneficiari, alla costituzione del segno sacramentale.32
Con l’Eucaristia, dunque, siamo al cuore degli atti cultuali del sacer-
dozio ministeriale. Si tratta, infatti, di un sacramento che fa riferimento
all’ordine perché il ministro vi rappresenta efficacemente Cristo in fun-
zione della sua ordinazione. Si applica qui il principio di Tommaso: “tutti
i significati non appartengono all’essenza del sacramento, soltanto quelli
che spettano all’ufficio o effetto del sacramento” (Super Sent., l. IV, d.
27, q. 3, a. 3, ad 3um).33 Ora la nuzialità esprime il ministero e deve essere
significata anche nel ministro: è ciò che realizza la sua mascolinità. Biso-
gnerà chiedersi se il celibato può rientrare in un tale ragionamento. La
riflessione contemporanea sull’ordine ci fornirà però prima sull’argomento
alcune fondamentali delucidazioni.

5. Le precisioni della teologia contemporanea sull’unione tra ministero


e vita
Tommaso ci ha aiutato a capire che il sacerdote deve incarnare la logi-
ca nuziale-eucaristica del suo ministero. Questa stessa idea, la teologia
contemporanea la precisa con due concetti: l’unione della consacrazione e
della missione da una parte, il ministro come persona pubblica dall’altra.
Il vincolo tra sacerdozio e vita concreta del ministro –  tra essenza
dell’ordine e persona del ministro per Tommaso – è infatti ciò che il Vati-
cano II chiamò l’unione tra consacrazione e missione. Il presbitero rimane
contrassegnato dalla rappresentazione di Cristo (consacrazione) in vista

31
Cfr. G. Narcisse, Convient-il à l’homme et à la femme d’être ordonnés prêtres ?, «Revue
Thomiste» 99 (1999) 191-210, qui 201.
32
Cfr. S. Butler, Quaestio disputata: ‘In persona Christi’, «Theological Studies» 56 (1995)
61-80, qui 79.
33
Per officium, l’edizione Vivès (t. 11 (1874) 95) segnala di fatto la variante effectum del
sacramento, particolarmente illuminante.

74
Il celibato è vincolato al sacramento dell’ordine?

del servizio sacerdotale verso tutte le anime (missione). Questo vincolo


tra la rappresentazione e la partecipazione specificamente ministeriale alla
missione del Signore è così stretto d’aver permesso al servo di Dio Álvaro
del Portillo, segretario della commissione che redasse il testo del Vaticano
II sui presbiteri, di scrivere: “questa unione, questa interdipendenza, si è
voluto farne il filo conduttore di tutto il decreto Presbyterorum ordinis”.34
Vi sono due scogli da evitare per giungere ad una comprensione adegua-
ta del binomio consacrazione-missione. Il primo scoglio è quello d’insiste-
re troppo sulla consacrazione, non aspettandosi dal presbitero altro che un
potere sacro senza effetto vitale per il ministro, fermandosi ad una concezio-
ne statica oggettiva della rappresentazione35 (scoglio del ministro distribu-
tore dei sacramenti). Il ministro sarebbe soltanto un inerte canale che lascia
scorrere l’azione divina; sarebbe talmente strumento da diventare pura pas-
sività nell’opera di salvezza, come una patena o un calice.36 Il rischio è quel-
lo di separare talmente la consacrazione dalla vita che la rappresentazione
finisce per essere senza alcuna rilevanza pratica nell’esistenza del ministro. Il
presbitero potrebbe essere santo o peccatore, la Chiesa non aspetterebbe da
lui altro che la capacità d’agire ricevuta all’ordinazione. Se la rappresentazio-
ne di Cristo però è la realtà del ministero, esso diventa visibile nella missione
vissuta giorno dopo giorno, nella spiritualità quotidiana.
Il secondo scoglio da evitare è quello di incentrare tutto sulla missione,
perdendosi nell’urgenza dell’azione, dimenticando l’unica sorgente divina
della fecondità ministeriale. È il pericolo di tutti i clericalismi – scordare
chi è il solo Santificatore. Il compimento adeguato della missione si pog-
gerà piuttosto “sulla funzione di rappresentazione della persona di Cristo,
capo del suo corpo la Chiesa. È la più opportuna via d’accesso, perché
questa rappresentazione è costitutiva del ministero ordinato come tale”.37
La comprensione esatta della repraesentatio Christi non sbocca dunque
su una privatizzazione del ministero (il presbitero ha il potere di porre
atti sacri, che moltiplicherebbe per la sua devozione egoista), ma l’ànco-

34
A. del Portillo, Escritos sobre el sacerdocio, Palabra, Madrid 1970, 58 ; cfr. anche 44.
35
Cfr. P.J. Cordes, Inviati a servire. Presbyterorum Ordinis: storia, esegesi, temi, sistematica,
Piemme, Casale Monferrato 1990, 243.
36
È il paragone di Jacques Maritain in À propos de l’École Française, «Revue Thomiste» 71
(1971) 463-479, qui 476.
37
F. Frost, Ministère, Catholicisme 9 (1982) col. 185-226, qui col. 216.

75
Laurent Touze

ra al contrario nel servizio sacrificato della comunità.


Oltre all’unione consacrazione-missione, la teologia contemporanea
ha sviluppato un altro concetto per descrivere il vincolo tra il presbitero
e la sua vita, l’idea cioè del ministro come persona pubblica. Un’idea tra-
dizionale, ripresa unanimemente dai teologi,38 riaffermata da Trento39 e
dal Vaticano II.40 Ma come la teologia attuale capisce questa convinzione
ripresa dal Magistero? Da una parte, nel ritenere che il ministro riceve la
sua specifica consacrazione per la Chiesa. L’agire in persona Christi capitis
è dato in vista della Chiesa, e il carattere pubblico del ministero esprime
dunque un’essenziale dimensione dell’agire presbiterale.41 Dall’altra parte,
considera il sacerdote come persona pubblica perché è un segno-persona,42
segno efficace, sacramentale di Cristo per la comunità. Questa natura
sacramentale del sacerdozio non implica solamente l’agire nella persona di
Cristo capo ma anche il renderlo visibile agli uomini.43
In che modo il presbitero è segno? Attraverso gli atti del ministero, e
specialmente del principale tra loro, il sacrificio della Messa. Il ministro
celebra l’Eucaristia davanti alla comunità, ne deve imitare il sacrificio per
capirla e farla capire. “È incoerente agire in persona Christi e non rive-
stirsi dall’oblazione interiore di Cristo che si offre attraverso le mani del
presbitero”.44 Egli deve vivere con una disposizione sacrificale non vittimi-
sta e individualista, ma sull’esempio del Dio incarnato che versa il suo san-
gue per la moltitudine, è un atteggiamento mosso dalla sollecitudine per la
Chiesa davanti alla quale il sacerdote ufficia pubblicamente.45 L’Eucaristia
è centro e radice della vita cristiana; questo significa – per il ministro e per

38
Cfr. A. Michel, Ordre, ordination, DTC 11/2 (1932) col. 1193-1405, qui 1305.
39
Che parla di “sacerdotium visibile et externum”: XXIIIa sessione, canone 1: DH 1771.
40
Cfr. PO, 2 o ASC IV/VII, 119.
41
Cfr. Cordes, Inviati a servire, 217.
42
È l’ottica di J. Ratzinger, L. Scheffczyk, H.U. von Balthasar, J. Galot, G. Greshake,
J.-M. R. Tillard, J. Saraiva Martins, G. Gozzelino o A. Favale: cfr. G. Gozzelino, Nel nome
del Signore. Teologia del ministero ordinato, Elle Di Ci, Torino-Leumann 1992, 35.
43
Cfr. A. Miralles, Ecclesialità del presbitero, «Annales Theologici» 2 (1988) 121-139,
qui 131.
44
L.F. Mateo-Seco, El ministerio, fuente de la espiritualidad del sacerdote, in L.F. Mateo-
Seco (ed.) La formación de los sacerdotes en las circunstancias actuales. XI Simposio Internacional de
Teología de la Universidad de Navarra, Servicio de Publicaciones de la Universidad de Navarra,
Pamplona 1990, 383-427, qui 399.
45
Cfr. ibidem, 412-414.

76
Il celibato è vincolato al sacramento dell’ordine?

i fedeli non ordinati – vivere concretamente i misteri del dono di sé cele-


brati sull’altare. Ma questa logica eucaristica deve animare specificamente
l’esistenza del presbitero:46 l’espressione “Questo è il mio corpo offerto, il
mio sangue versato” che pronuncia durante la Messa invita il sacerdote ad
offrirsi per la comunità con la quale celebra.47

6. La rappresentazione dell’oblazione di Cristo significata nella vita


del ministro dal suo celibato
Un piccolo sillogismo confermerebbe ciò che intendo dire qui: il
sacramento dell’ordine richiede una sua visibilità specifica nel ministro;
la nuzialità, l’oblazione eucaristica di sé, è la logica dell’ordine; è dun-
que questa oblazione che deve essere significata. Ritengo, dunque, che il
celibato-continenza appartiene a questa visibilità della rappresentazione
di Cristo, perché esprime in modo percepibile la congruenza morale di
vivere in accordo col sacramento ricevuto. Ciò è anche quanto si ritrova
in un documento più che trentennale della Sede Apostolica: “Nell’esigere
il celibato, la Chiesa ha motivazioni profonde, che si fondano sull’imita-
zione del Cristo, sulla funzione di rappresentatività del Cristo capo della
comunità”.48 “Più che come una legge ecclesiastica, il celibato va inteso
come una ‘qualificazione’, alla quale viene conferito il valore di un’offerta
pubblica davanti alla Chiesa”.49
Cercherò di precisare questa presa di posizione. Non è infatti esagerato
affermare che il celibato conviene al ministero? Come avventurarsi nell’af-
fermare una relazione forte perché sacramentale tra sacerdozio ministeriale
e celibato, allorché la Chiesa conta per eccezione dei ministri sposati?
Bisogna tener conto qui di due riscoperte recenti: la prima riguarda la
storia del celibato, la seconda la tripartizione dell’ordine, due riscoperte
soltanto apparentemente svincolate.

46
Sulla “logica eucaristica dell’esistenza cristiana”, cfr. Benedetto XVI, Es. ap.
Sacramentum caritatis, tutta la terza parte e specialmente il n. 80 sul sacerdote.
47
Cfr. G. Greshake, Priester sein in dieser Zeit, Herder, Freiburg-Basel-Wien 2000,
286-287.
48
Congregazione per l’Educazione Cattolica, Orientamenti educativi per il celibato
sacerdotale (2 aprile 1974), n. 13.
49
Ibidem, n. 9.

77
Laurent Touze

L’evoluzione della storiografia del celibato, è ciò che ha illustrato il Prof.


Stefan Heid durante questo convegno. Quali insegnamenti teologici trarre
da questa nuova ottica storica?50 Il primo e il più importante è che il celiba-
to-continenza episcopale costituisce secondo me una tradizione nel senso
forte del termine. Riassumerò qui la mia opinione con l’aiuto del pensiero
d’Yves Congar sulla tradizione. Se, dal fatto che la Chiesa ha fatto qualcosa,
si può concludere che poteva e può farlo51 (ciò che si applica a mio avviso alle
eccezioni al celibato-continenza dei semplici sacerdoti: se la Chiesa ammet-
te ministri sposati e usando del loro matrimonio, lo può fare), non è sempre
prudente concludere, invece, che non poteva farlo o non lo farà mai se la
Chiesa non fa qualcosa o se non si sa se l’ha mai fatto52 (ciò che sembrerebbe
valere per il caso episcopale: il fatto che non furono mai ammessi vescovi
non celibi-continenti potrebbe essere soltanto un dato de facto).
Ma non bisogna distinguere troppo nettamente un ordine divinamente
determinato dalla disciplina che sarebbe puramente positivistica:53 esisto-
no anche tradizioni ecclesiastiche, tra le quali il celibato sacerdotale, che
costituiscono “qualcosa di più profondo che il diritto puramente positivo
e cambiante; qualcosa di meno assoluto che le realtà che lo stesso Signore
determinò con precisione. […] Una derogazione non è qui rigorosamente
impossibile, ma deve rimanere l’eccezione. Se avviene, è assimilata alla
regola per una applicazione di questo potere, sempre vivente nella Chie-
sa, e che si esercitò all’origine nella determinazione normativa”.54 Prima
dunque di elevare alla categoria di tradizione ogni invariante che la storia
reperisce, la si deve valutare teologicamente alla luce di tutta la tradizione
ecclesiale. È la tradizione che giudica le tradizioni. Una tradizione che è
prima di tutto uno spirito, una maniera di capire radicata nella Scrittura.55
È proprio ciò che s’intende fare con la presente relazione per il celiba-
to, vincolandolo alla logica dell’ordine, vissuta dal ministro con l’oblazione
eucaristica o nuziale, uno dei paradigmi che riassumono “tutta l’intenzione

50
Anche qui, per altre informazioni, cfr. L’avenir du célibat sacerdotal, 23-38.
51
Cfr. Y. Congar, Sainte Église, (Unam Sanctam, 41) Cerf, Paris 1964, 297-298.
52
Cfr. Ibidem.
53
Cfr. Ibidem, 295.
54
Ibidem, 297.
55
Cfr. ad esempio J. Ratzinger, Église, œcuménisme et politique, Fayard, Paris 1987, 110.

78
Il celibato è vincolato al sacramento dell’ordine?

della Sacra Scrittura”.56 Per il caso episcopale, di fatto, la coscienza che la


Chiesa ha di ‘maneggiare’ qui qualcosa che gli è vietato mutare fu messa in
luce tra l’altro dopo la Rivoluzione francese con il caso di Charles-Maurice de
Talleyrand-Périgord, ex-vescovo di Autun, che voleva ricevere il sacramento
del matrimonio57 e più recentemente con i vescovi sposati ordinati nell’ex-
Cecoslovacchia comunista.58 La Chiesa ha mostrato la fermezza che adotta
quando difende un elemento inalterabile del deposito ricevuto.
Quest’affermazione forte sul celibato del vescovo non relega il celibato
sacerdotale al rango di una semplice disciplina che sarebbe abrogabile a
motivo delle eccezioni alla legge della continenza. Non è una semplice
disciplina, per il legame potente che congiunge presbiterato ed episcopa-
to. Bisogna di fatto integrare qui un messaggio ecclesiale apparentemente
senza vincolo col celibato: la definizione dell’episcopato come pienezza del
sacramento dell’ordine proposta dal Vaticano II (LG, 21b). Una distin-
zione dunque sacramentale tra presbiterato ed episcopato, e allo stesso
tempo una forte relazione mutua perché l’ultimo concilio ha designato
tutta la teologia del sacerdozio a partire dalla teologia dell’episcopato.59 La
teologia attuale non ha tratto tutte le conseguenze di questa definizione,60
ma tende pur sempre più a comprendere il presbitero alla luce del vescovo.
Nel sacerdozio ministeriale, presenza del Risorto e canale delle sue gra-
zie, il vescovo occupa un ruolo insigne che il celibato-continenza gli per-
mette di significare vitalmente. Il prelato deve essere il degno testimone
degli ausili divini dei quali è strumento attraverso la parola, i sacramenti e
il governo; il celibato-continenza gli permette di vivere all’altezza di que-
sta funzione martiriale. Alla pienezza dell’ordine corrisponde la visibilità
massima dell’oblazione eucaristica di sé, con un celibato-continenza senza
mitigazioni. Vi è dunque un certo parallelismo tra il significato del celibato

56
Bonaventura, De reductione artium, n. 26, in Opera omnia, t. V, 325.
57
Cfr. B. de La Combe, Le mariage de Talleyrand, «Le Correspondant» 220 (1905) 658-
687 e 853-887.
58
Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione sulla ‘Chiesa
clandestina’ nella Repubblica Ceca, «Il Regno Documenti» 5 (2000) 166-167.
59
Cfr. E. Castellucci, A trent’anni dal decreto “Presbyterorum Ordinis”. La discussione teologica
postconciliare sul ministero presbiterale, in «La Scuola Cattolica» 124 (1996) 3-68 e 195-261, qui 30.
60
Cfr. P. McPartlan, Presbyteral Ministry in the Roman Catholic Church, «Ecclesiology»
1 (2005) 11-24; P. Goyret, Chiamati, consacrati, inviati: il sacramento dell’ordine, Libreria
Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2003, 120-122.

79
Laurent Touze

episcopale e quello del matrimonio rato e consumato, indissolubile per ciò


che rappresenta. A causa dell’eminenza di ciò che figurano questo matrimo-
nio e questo celibato, non possono essere dispensati dall’autorità ecclesiale.61
Orbene, ciò che costituisce la singolarità del vescovo, che esercita la
totalità delle potenzialità del sacerdozio ministeriale, rilegando, inoltre,
la comunità particolare alla Chiesa universale, il sacerdote lo rispecchia
con alcune attenuazioni. In questa misura, il suo celibato è in relazione
con quello del vescovo. Anzi, più si accentua la consapevolezza dei vincoli
che uniscono il presbiterato all’episcopato, come si sta facendo oggi nella
Chiesa, più il celibato appare come conveniente per il presbitero.62 Se il
vescovo deve essere celibatario-continente, più si definisce il presbiterato
in funzione dell’episcopato, più ci si dovrà chiedere in che misura il sacer-
dote deve sottomettersi completamente alla stessa disciplina, a motivo
della logica del sacramento ricevuto.

7. Perché l’oblazione eucaristica del ministro non può essere significata


dallo stato di vita matrimoniale?
Ho appena affermato che il celibato partecipa della significazione della
nuzialità per l’ordine. Ma perché soltanto il celibato? Il matrimonio non
significa sempre le nozze di Cristo e della Chiesa (cfr. Ef 5,31-32; GS,
48)? Perché complicarsi col celibato, o se gli si vuol riconoscere la capacità
di esprimere la nuzialità, perché non considerare il matrimonio e il celiba-
to come due modalità alternative di significare lo sposo dinanzi alla sposa?
A mio parere, il matrimonio e il sacerdozio sono due diverse vocazio-
ni alla santità che sono meglio significate se vissute da individui distinti.
Le due significazioni delle nozze di Cristo, nel matrimonio e nell’ordine,
sono in certo qual modo talmente intense da escludersi mutuamente.
Sarebbe da ricordare innanzitutto quanto il matrimonio sacramentale
esprima l’unione di Cristo e della Chiesa, quanto questa nuzialità del matri-
61
Cfr. H. Doms, Vom Sinn des Zölibats. Historische und systematische Erwägungen,
Regensberg, Münster 1954, 54-55, che rimane al parallelo meno definitivo tra matrimonio e
celibato sacerdotale dispensabile.
62
Cfr. J.F. Stafford, Il fondamento eucaristico del celibato sacerdotale, in G. Pittau-C.
Sepe (ed.), Identità e missione del sacerdote, Città Nuova, Roma 1994, 190-205, qui 198. Cfr.
anche D. J. Keefe, The Eucharistic Foundation of Sacerdotal Celibacy, consultato il 9 gennaio
2008, http://www.renewamerica.us/columns/abbott/061118.

80
Il celibato è vincolato al sacramento dell’ordine?

monio (se si può dire senza pleonasmi) si enuncia con un vocabolario simila-
re a quello dell’oblazione eucaristica del celibato. Tutto parte evidentemente
dalla Lettera agli Efesini: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre
e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero
è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!” (Ef 5,31-32).
Questo senso della Scrittura, la teologia dei due ultimi secoli l’ha risco-
perto, nel solco tra l’altro di Matthias-Joseph Scheeben, che contempla il
matrimonio come la continuazione, la copia e l’organo delle nozze di Cristo
e della Chiesa.63 Tale messaggio deve essere ascoltato soprattutto perché
le sue espressioni più ardite si riferiscono sovente all’Eucaristia, in termini
dunque similari a quelli che ci hanno fatto concludere che il celibato esprime
bene la nuzialità, l’oblazione del Salvatore per la salvezza del nuovo Israele.
L’abbinamento del matrimonio all’Eucarestia si ritrova nella Bibbia, quando
viene descritta la nuova Alleanza stabilita nel sangue di Cristo.
Il matrimonio, dono mutuo dei coniugi orientato alla trasmissio-
ne della vita, incontra il suo esemplare nell’oblazione di Cristo sposo,
che rivela ad ogni Eucaristia e permette di vivere per grazia che l’amore
nuziale esige un sacrificio di sé che passa per il corpo. “A partire dall’idea
di alleanza, si scopre l’aspetto nuziale dell’Eucaristia nel gesto eminen-
temente espressivo d’amore per il quale Gesù, nell’ultima cena, presenta
il suo corpo affinché sia mangiato (“Prendete e mangiate il mio corpo”)
come in un’offerta nuziale, alla quale deve corrispondere, per la Chiesa
e per ogni cristiano, l’oblazione del proprio corpo”.64 Così il matrimonio
umano e l’unione di Cristo con l’anima mediante l’Eucaristia esprimono
le nozze del Signore con la sua Chiesa.65
Una volta ricordato che il matrimonio sacramentale significa le nozze
di Cristo, e di più secondo il modello dell’unione eucaristica, sembrerebbe
che la conclusione del ragionamento dovesse essere di scartare il celibato
per affermare invece che il matrimonio del ministro è una giusta espres-

63
Cfr. M.J. Scheeben, I misteri del cristianesimo, Morcelliana, Brescia 1960.
64
A. Ambrosiano, Mariage et eucharistie, «Nouvelle Revue Théologique» 98 (1976) 289-
305, qui 298.
65
Alcuni esempi classici: Tommaso d’Aquino, S.Th., IIIa, q. 65, a. 3; M.-J. Scheeben,
Handbuch der katholische Dogmatik, III, Herder, Freiburg 1961, n. 442; H. Doms, Vom Sinn
und Zweck der Ehe, Ostdeutsche Verlagsanstalt, Breslau 1935, 111.

81
Laurent Touze

sione della nuzialità.66 Una vita coniugale del chierico non costituirebbe di
fatto per la comunità un segno visibile dell’oblazione di Cristo? Se si vuole
nuzialità, perché non prendere semplicemente il matrimonio? Orbene, se
ogni matrimonio manifesta la sponsalità del Signore – incluso e special-
mente il suo aspetto eucaristico – le nozze del sacerdote non indicherebbe-
ro adeguatamente secondo me la nuzialità specifica del ministro, specifica
tra l’altro nelle sue relazioni con l’Eucaristia. Cercherò di spiegarmi.
Il ministero e il matrimonio sono due espressioni del sacrificio della
croce, e i loro momenti chiavi, ambedue vissuti in riferimento all’Eucari-
stia, si escludono per così dire mutuamente. Questi momenti sono – per il
sacramento dell’ordine e nel suo cuore – la celebrazione eucaristica e l’o-
blazione del sacerdote che essa richiede, affinché sia veramente un segno
di Cristo vittima per la Chiesa; mentre per il sacramento del matrimonio,
la donazione reciproca degli sposi, ad immagine dell’olocausto del Golgo-
ta, incoronata dagli atti coniugali. Più si ha una visione alta del matrimo-
nio e dell’ordine (cioè più il matrimonio è concepito come una vocazione
alla santità e a un dono di totalità, e più l’ordine è inteso come un’alleanza
eucaristica), più le consumazioni di queste due oblazioni saranno capite
come stentatamente conciliabili.
Il carattere pubblico del celibato-continenza, richiesto anche giuridica-
mente, risponde alla natura pubblica del ministero e della rappresentazio-
ne di Cristo-Capo. Il ministro, infatti, è conosciuto dalla comunità come
portatore della consacrazione ministeriale e della sua fecondità eucaristi-
ca, è correlativamente conosciuto pubblicamente come avendo promesso
davanti alla Chiesa di vivere il celibato per il Regno. All’immagine del suo
Signore, sacerdote e vittima, il ministro non sale soltanto all’altare come
sacrificatore, ma vi offre anche il suo corpo, non distribuisce unicamente le
grazie eucaristiche, ma vi associa la sua vita e la sua carne.67 Grazie al celi-
bato, la nuzialità non è un simbolo vuoto, ma si vincola alla rappresentazio-

66
Cfr. l’opinione di un Padre del Vaticano II in R. Wasselynck, Les prêtres. Elaboration
du décret de Vatican II. Histoire et genèse des textes conciliaires, t. II, Desclée, Tournai 1968, 149:
fondare « la convenance du célibat sacerdotal sur l’argument des noces du Christ » è un argomento
che potrebbe « conduire davantage à une conclusion contraire » cioè al matrimonio clericale.
67
Cfr. Stafford, Il fondamento eucaristico, 190; St. Heid, Zölibat in der frühen Kirche,
Schöningh, Paderborn 1997, 313-314.

82
Il celibato è vincolato al sacramento dell’ordine?

ne sacramentale di Cristo nei confronti della Chiesa:68 il sacerdote significa


sacramentalmente il Cristo-Vittima grazie al suo celibato.69
Il matrimonio del ministro, invece, annuncia le nozze di Cristo come
ogni altra unione cristiana, ma non esprime in sé il carattere nuziale del
ministero: per il sacerdote sposato, è nella continenza totale che la tradi-
zione ha identificato una traduzione conveniente della sua particolare rap-
presentazione di Cristo sposo. La continenza totale compie infatti un’o-
blazione passando per il corpo, dove i coniugi scompaiono dinanzi alla
fecondità del Risorto che dispensa il ministero. Di più, il carattere pubbli-
co della promessa di continenza aiuta la comunità a decifrare la nuzialità
del ministero. Mi sembra, perciò, che riscoprendo la loro autentica tra-
dizione di continenza, i presbiteri orientali aiuterebbero l’intera Chiesa a
misurare ciò che è in gioco con lo statuto matrimoniale del ministro.
Ogni sacerdote, qualunque sia il suo incarico pastorale, deve imparare
a compierlo così nei confronti di tutta la Chiesa, vivendo il suo ministe-
ro effettivamente ed affettivamente per la Chiesa. Chiaramente, questo
segno sarà percepito soltanto se il dono è vissuto. In quanto tale, il celi-
bato non è sempre oblazione di sé. Anzi, a molti sembra che il presbitero
rifiuti il matrimonio per egotismo, per la paura dell’esigenze quotidiane
della vita familiare, dell’amore tangibile per una sposa e per i figli. Questo
reale rischio ricorda fermamente che l’opzione celibataria non è soltanto
un impegno giuridico preso una volta per tutte durante l’ordinazione dia-
conale. Esso non confina il presbitero nel corridoio tristemente angusto
di uno stato sopportato per inerzia. Al contrario, perché il celibato brilli
come un segno, il sacerdote deve apprendere giorno dopo giorno a servire
la Chiesa e le anime, per trasformare la sua vita in “una trionfante afferma-
zione dell’amore” (san Josemaría Escrivá, Solco, n. 831).

68
“Just as Christ, and his priests, have a spousal relationship with the Church, so the
Church as virginal spouse of Christ has in a very real sense exclusive nuptial rights over the
priest as icon of Christ”: T. McGovern, Priestly Celibacy Today, Scepter – Four Courts Press
– Midwest Theological Forum, Princeton – Dublin – Chicago 1998, 85.
69
« Seul le célibat explique naturellement en plénitude la représentation sacramentelle de
Jésus crucifié dans l’acte de sa Médiation sacerdotale et de son Alliance virginale avec l’Église
son Épouse » : A. Chapelle, Pour la vie du monde. Le sacrement de l’ordre, Institut d’Études
Théologiques, Bruxelles 1978, 367.

83
Laurent Touze

8. Conclusione: il celibato, ponte tra il sacramento dell’ordine


e la spiritualità quotidiana
Il celibato è dunque l’espressione della logica sacramentale dell’ordine
che la Chiesa ha individuato – e sta mi sembra sempre più individuando –
come normativa. Pertanto si indica qui un autentico vincolo tra sacramento
e celibato. In una coerenza sacramentale che risponde alla chiamata dell’ulti-
mo concilio ecumenico alla santità per tutti, ciò che significa anche la santità
di ognuno secondo le grazie e i sacramenti ricevuti.70 Il celibato lancia un
primo ponte, giuridico, che il sacerdote percorre perché la legge ecclesiastica
glielo chiede, un ponte tra il sacramento e la vita, la consacrazione e la mis-
sione, incitando la libertà del sacerdote a inventare altri passaggi per trasla-
tare la logica dell’ordine, la logica del dono e del servizio, nella sua esistenza.
Il celibato diventa una fiamma che accompagna il sacerdote durante tutta la
sua vita e gli ricorda a tutte le tappe del suo cammino che si deve immolare
per il servizio concreto della Chiesa e delle anime. “Per un’adeguata vita
spirituale del sacerdote occorre che il celibato sia considerato e vissuto non
come un elemento isolato o puramente negativo, ma come un aspetto di un
orientamento positivo, specifico e caratteristico del sacerdote”.71
Il celibato assicura pubblicamente una permanente leggibilità di una
carità pastorale (cfr. PO,14) promessa e dovuta, che esige dal sacerdote
soprattutto atti concreti e sovente nascosti d’amore. “Il contenuto essen-
ziale della carità pastorale è il dono di sé, il totale dono di sé alla Chiesa, ad
immagine e in condivisione con il dono di Cristo”.72
I ministri sentono allora l’eco delle parole di Cristo: “I capi delle nazioni
dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà
essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro ser-
vo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo”(Mt 20,25-
27). Nella scelta innovata dell’oblazione di sé, i ministri riscoprono che sono
“sacerdoti per servire. Non per comandare, non per brillare, ma per donarsi
– in un silenzio incessante e divino – al servizio di tutte le anime”.73
70
Sulla chiamata universale alla santità nella teologia recente, cfr. V. Bosch, Llamados a
ser santos: historia contemporánea de una doctrina, Palabra, Madrid 2008.
71
Giovanni Paolo II, Es. ap. Pastores dabo vobis, n. 29: AAS 84 (1992) 704.
72
Ibidem, n. 23: AAS 84 (1992) 692.
73
J. Escrivá de Balaguer, Sacerdote per l’eternità, in La Chiesa nostra Madre, Ares,
Milano 1993, n. 35.

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