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1. LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
1.1. Premessa: la storia economica
La storia economica, afferma lo storico Carlo M. Cipolla, è la storia dei fatti e delle vicende economiche a livello
individuale, aziendale, collettivo. Essa ha per oggetto:
• La produzione: Si ottiene combinando insieme più fattori della produzione, ossia i fattori naturali, il lavoro e il
capitale, ai quali si aggiunge la capacità imprenditoriale.
• La distribuzione: consiste nella ripartizione di beni e servizi fra coloro che hanno contribuito a produrli.
• Il consumo: è l’utilizzazione che si fa dei beni e dei servizi prodotti. I beni sono utilizzati per soddisfare i bisogni
individuali o collettivi dell’uomo oppure per produrre altri beni.
La produzione, la distribuzione e il consumo sono oggetto d’indagine di almeno altre due discipline:
• L’economia politica: studia l’attività economica per comprenderne il funzionamento ed eventualmente tentare di
giungere alla formulazione di leggi.
• La politica economica: si occupa del modo in cui i governi, con la loro azione e per raggiungere fini prefissati
cercano di modificare la composizione, la distribuzione e il consumo della ricchezza prodotta.
• La storia economica: studia le modalità con le quali i problemi della produzione, della distribuzione e del
consumo di beni e servizi sono stati effettivamente risolti in certe epoche e in determinati luoghi. Mentre
l’economista quindi è orientato verso il futuro, lo storico, viceversa, è orientato verso il passato e deve evitare di
ipotizzare leggi valide per ogni tempo.
2. LO SVILUPPO ECONOMICO
2.1. Crescita, sviluppo e progresso
Nel linguaggio comune questi termini vengono spesso utilizzati come sinonimi, è opportuno tuttavia precisarne le
differenze importanti al fine della comprensione della materia:
• Crescita economica: Aumento complessivo del valore dei beni e servizi prodotti da una determinata popolazione
in un periodo definito (generalmente 1 anno).
• Sviluppo economico: Crescita elevata e prolungata, accompagnata da trasformazioni sociali, strutturali e culturali.
• Progresso: L’idea del progresso è legata alla moderna concezione del mondo affermatasi in Europa fra Sei e
Settecento, ad opera di scienziati come Bacone, Cartesio e Isacco Newton,
che riponevano una grande fiducia nelle capacità dell’uomo di comprendere “oggettivamente” il mondo e di poterlo
misurare e migliorare.
Walt W. Rostov 1960: Schema sostitutivo di quello di Bucher al quale molti studiosi fanno riferimento. Secondo
Rostov la realizzazione dello sviluppo economico passa attraverso 5 fasi o stadi:
1. Società tradizionale: Società preindustriale, in cui l’agricoltura è l’attività predominante e non riesce a fornire
significative risorse aggiuntive da destinare ad attività extragricole, la produttività e bassa in tutti i settori e la
popolazione stenta a crescere. 2. Società di transizione: Fase di cambiamento, incremento della produttività
agricola che finalmente riesce a dare avvio al processo d’accumulazione. Incremento dell’istruzione,
formazione di una classe imprenditoriale dinamica, susseguirsi di innovazioni, intervento dello Stato che provvede
alla costruzione delle infrastrutture più costose.
3. Società del decollo o take off: E’ lo stadio più importante che ha dato notorietà al modello di Rostov. La società
conosce una forte e irreversibile accelerazione, riuscendo a superare
tutte le resistenze che si frappongono al suo sviluppo. Crescono la produzione, la produttività e gli investimenti sia
in agricoltura che negli altri settori; le trasformazioni investono anche il quadro politico e istituzionale che deve
agevolare lo sfruttamento delle nuove opportunità. Il decollo riguarda principalmente dei settori-‐‐ guida (leasing-‐‐
Sector) che trascinano lo sviluppo.
4. La società matura: E’ la società ormai decollata che vede continuamente aumentare la produttività, le
innovazioni tecnologiche e gli investimenti. Le trasformazioni si allargano a ulteriori settori e lo sviluppo comincia
ad autoalimentarsi.
5. La società dei consumi di massa: In questo stadio si assiste a un forte aumento della domanda di beni di
consumo durevoli e di servizi, reso possibile dall’incremento del
reddito pro capite. Ormai il processo di accumulazione è terminato ed è possibile destinare risorse al
miglioramento della qualità della vita.
L’industria tessile con le sue fasi della filatura, tessitura e della tintura si era sviluppata nelle
campagne specialmente mediante il lavoro a domicilio, e riguardava la lavorazione di lana lino e
canapa. In Inghilterra, mentre l’industria della lana era molto sviluppata e alimentava anche una consistente
corrente di esportazioni l’industria del cotone viceversa era modesta e arretrata. Questo era dovuto a un vario
ordine di motivi che andavano dalla concorrenza delle stoffe colorate indiano come il calicò (col Calcio Acta
l’Inghilterra vietò la sua importazione), ai produzione di manufatti di bassa qualità ruvidi e difficili da cucire e
lavare. La filatura del cotone richiedeva l’impiego di molta manodopera e non riusciva a stare dietro alla domanda
dei tessitori. Nonostante fosse urgente un perfezionamento dei filatoi la prima innovazione in campo tessile
riguardò invece la tessitura, con l’invenzione della “navetta volante”
da parte di John Kay fu possibile far svolgere a un singolo tessitore il lavoro che prima occupava due persone. Lo
squilibrio tra filatura e tessitura si accrebbe finché trent’anni dopo James Hargreaves inventò la spinning Jenny o
giannetta (1764). Che si diffuse rapidamente perché costava e ingombrava poco e si prestava ad essere utilizzata
nell’industria a domicilio. L’aumentata capacità delle filande dovute ai successivi perfezionamenti della giannetta e
alle nuove invenzioni,
rese necessario innovare nel campo della tessitura, la soluzione arrivò nel 1785 quando Edmund Cartwright
brevettò un telaio meccanico mosso dal vapore.
Questo insieme di invenzioni che si concentrò nel breve periodo apportò benefici a tutta l’industria tessile. Più di
tutte si sviluppò però l’industria cotoniera i cui motivi di espansione furono: era un industria nuova, le macchine si
adattavano perfettamente al lavoro a domicilio, era un industria ad alta intensità di lavoro, aveva già un mercato, fu
subito orientata all’ esportazione.
Diffusa in tutti i paesi europei si stava sviluppando in particolar modo in Inghilterra. I progressi tecnici compiuti
furono dovuti soprattutto al ‘introduzione dell’altoforno e all’uso di magli azionati dall’energia idraulica. Per la
produzione di ghisa sono necessari i minerali ferrosi e il
carbone, che a metà Settecento era quasi solo di legna, perciò gli altiforni erano dislocati vicino alle zone ricche di
legname oppure vicino alle miniere. In Gran Bretagna l’industria siderurgica aveva le seguenti caratteristiche: era
capital intensive, era organizzata in forme capitalistiche, utilizzava materie prime inglesi, non produceva beni di
consumo ma beni strumentali. Dopo la metà dell’Ottocento si sviluppò in misura rilevante per la forte domanda
delle ferrovie e dei cantieri navali. La principale difficoltà era il ricorso al carbone di legna in un paese poco
boscoso come l’Inghilterra. Questo costrinse gli Inglesi a utilizzare il carbon fossile che però non
Era adoperato nella fusione perché dava una ghisa molto fragile. Inseguito all’ estrazione del coke
(carbon fossile liberato dalle impurità) dal carbon fossile e il brevetto del pudellaggio (processo di
decarburazione mediante il quale la ghisa veniva fusa in un forno ad alte temperature e agitata continuamente per
liberarla dal carbonio in eccedenza e ottenere ferro e acciaio). L’industria siderurgica conobbe una notevole
espansione e la Gran Bretagna arrivò a detenere più della metà
della produzione mondiale di ghisa. Un personaggio importante dell’industria del ferro fu certamente John
Wilkinson, a lui si devono la costruzione del primo ponte in ghisa sul fiume Severn e il varo della prima nave in
lamiera bullonata.
Lo sviluppo economico dei singoli paesi non significa ovviamente che nei medesimi vi sia una
crescita omogenea in tutte le aree geografiche che ne fanno parte. In ogni paese vi furono zone che si svilupparono
più rapidamente e altre che rimasero indietro, regioni più sviluppate e regioni più arretrate (dualismo).
Questa circostanza è stata ben evidenziata da Sidney Pollard il quale ha studiato la dimensione
regionale dello sviluppo e ha evidenziato un processo a più fasi. Nella prima fase di sviluppo le differenze regionali
tendono ad aumentare, il decollo cioè genera squilibri economici e amplia quelli già esistenti. Successivamente ma
non sempre le industrie si impiantano anche nelle regioni più arretrate dove i salari sono più bassi.
Tra i problemi della rivoluzione industriale che bisognò risolvere occupa un posto rilevante il problema dei mezzi
di pagamento. A metà Settecento le monete in circolazione erano quasi
esclusivamente metalliche. La pasta era costituita oltre che dal metallo prezioso (fino) anche da una certa quantità
di metallo vile (lega). Il valore delle monete era definito dal contenuto di
metallo prezioso. Per conseguenza il valore di una moneta rispetto all’altra si otteneva confrontandone il fino. Lo
Stato provvedeva alla coniazione servendosi delle zecche, gestite direttamente o date in appalto a privati.
I sistemi monetari erano tre: monometallismo aureo, monometallismo argenteo e bimetallismo.
Il metallo prezioso assunto alla base del sistema prendeva il nome di tallone. Il tallone di un paese
era caratterizzato dal libero conio (possibilità concessa ai privati di consegnare metallo prezioso alla zecca e
ottenere in cambio l’equivalente in moneta) e dal potere liberatorio illimitato (Possibilità concessa dalla legge alla
moneta di essere utilizzata in qualsiasi pagamento). Verso la
metà del Settecento i sistemi più diffusi erano il monometallismo argenteo e il bimetallismo ad eccezione
dell’Inghilterra che adottava il monometallismo aureo. Con il tempo le monete d’oro e d’argento cominciarono a
rivelarsi insufficienti, fu necessaria una nuova forma di moneta cartacea, introdotta da alcune banche dette di
emissione. Esse cioè non disponendo di una quantità sufficiente di monete metalliche da prestare, consegnavano a
chi chiedeva somme in prestito un biglietto, con la promessa di cambiarli in monete metalliche ad ogni richiesta dei
loro possessori. A metà Settecento le banche di emissione esistevano soltanto in Inghilterra, Scozia e Svezia. La
Band of Negando era la più importante. I biglietti non avevano corso legale come le monete e Quindi non
possedevano potere liberatorio. Avevano corso fiduciario cioè potevano essere rifiutati e chi li accettava nutriva
“fiducia” nella banca emittente. Nonostante fossero ormai noti quasi tutti gli strumenti bancari (giroconto, biglietto
di banca, cambiale ecc.) Non esisteva ancora in nessun paese un vero e proprio sistema bancario. In Inghilterra
accanto alla Banca di Inghilterra esistevano le city banks e le country banks. In diverse città europee c’erano
banche pubbliche che accettavano depositi senza corrispondere alcun interesse e lasciavano ai depositanti una
ricevuta che poteva essere girata ad altri per effettuare
un pagamento. Queste banche investivano nel debito pubblico come anche numerosi banchieri privati.
La prima rivoluzione industriale non fu troppo costosa. I primi industriali ricorsero innanzitutto all’
autofinanziamento e in caso di necessità costituivano una società in accomandita. A partire dagli
anni Trenta dell’Ottocento le imprese costituite sotto forma di società anonima cominciarono a rivolgersi al
mercato sul quale collocavano le obbligazioni che erano in grado di emettere. Per
queste ragioni le banche inglesi difficilmente intervennero per concedere alle imprese finanziamenti cospicui e di
lunga durata. Se i primi imprenditori non avevano bisogno di capitale fisso necessitavano però di denaro per
l’acquisto di materie prime o semilavorati e per pagare i salari agli operai. Le banche di Londra e quelle di
provincia li finanziavano, mediante lo sconto di cambiali a tre mesi che essendo solitamente rinnovate si
trasformavano di fatto in finanziamenti di lunga durata. Un problema per gli imprenditori era
la scarsità di mezzi di pagamento, perché le monete d’oro erano di valore troppo elevato per i piccoli acquisti e per
pagare i salari. Gli assegni bancari erano
poco diffusi perciò rimanevano solo le banconote. Durante le guerre napoleoniche però furono dichiarati
inconvertibili e fu ristabilita la convertibilità nel 1821 anno in cui la Gran Bretagna passò formalmente al Gold
Standard. Nel 1833, infine le banconote della banca di Inghilterra furono dichiarate moneta a corso legale e dal
quel momento poterono essere utilizzate nei pagamenti senza nessuno che potesse rifiutarle. Sorse così il problema
della quantità di biglietti da emettere, a ciò provvide la legge bancaria nel 1844 che autorizzò la Banca d’Inghilterra
a emettere biglietti fino a 14 milioni senza copertura
metallica, mentre oltre tale importo la riserva doveva essere pari al 100% del valore dei biglietti
messi in circolazione. La legge vietava la costituzione di nuove banche di emissione. La sterlina stava diventando
la moneta dei pagamenti internazionali e quindi doveva essere molto solida e sempre cambiabile.
Il lungo periodo delle guerre napoleoniche durato vent’anni (1793-‐‐1815), che vide fronteggiarsi la
Francia rivoluzionaria e la Gran Bretagna favorì la crescita economica britannica. Difatti nonostante i problemi di
cui risentì il commercio estero per via del cosiddetto blocco continentale, attuato da Napoleone per impedire alla
Francia e agli Stati alleati di commerciare con l’Inghilterra, le esigenze belliche funsero da potente stimolo
all’attività produttiva. Lo Stato era divenuto acquirente, sicché gli affari prosperavano. Al termine del lungo
conflitto nel 1815 si esaurì la fase positiva del ciclo di Kondratieff e si
assistette in tutta l’Europa a un periodo caratterizzato da una riduzione dei prezzi e dei profitti (fase b). Si trattò di
anni difficili per la Gran Bretagna, nonostante la sua economia continuasse a
crescere per il commercio estero, la fine del periodo bellico pose il problema di assicurare uno
sbocco alla sua produzione. Il prezzo dei cereali, che durante il periodo di guerra era stato molto
alto per via delle forniture alle forze armate e della difficoltà di importazione, crollò improvvisamente. Anche le
industrie furono colpite dalla riduzione delle commesse militari.
7.6. Il trionfo del libero mercato
In Inghilterra dalla seconda metà del Seicento erano in vigore le Corni Law che regolamentavano le importazioni e
le esportazioni di grano con il fine di garantirne l’approvvigionamento e il reddito ai produttori agricoli.
Col crollo dei prezzi agricoli alla fine della guerra fu adottata la cosiddetta scala mobile, ossia un sistema di dazi
variabili a seconda dell’andamento dei prezzi. Le Corn Laws erano da un lato sostenute dai proprietari terrieri e
dall’altro erano avversate dagli industriali e dagli operai. Gli industriali le ritenevano responsabili degli alti salari e
di ostacolo All’esportazione di manufatti. Gli operai invece lamentavano il basso potere d’acquisto dei salari
dovuto ai prezzi troppo elevati. La carestia e la conseguente miseria del 1845-‐‐
46 portò alla loro abolizione nel 1846 lasciando libertà d’importazione dei cereali. Furono revocati anche gli Atti di
navigazione con questa mossa il trionfo del libero scambio si poté dire completo e fu evidente la scelta
dell’Inghilterra si puntare sull’ industria.
Adam Smith (1723-‐‐90) nella sua opera “La ricchezza delle nazioni” (1776) aveva esaltato il libero
mercato, che riteneva guidato da una “mano invisibile”, capace di consentire l’autoregolamentazione senza bisogno
di interventi statali. David Ricardo (1772-‐‐1823) elaborò il “teorema dei costi comparati” per mostrare la
convenienza nella divisione internazionale del lavoro e del commercio, sostenendo che le varie nazioni avrebbero
avuto convenienza nella specializzazione, perché il vantaggio che ne sarebbe derivato sarebbe stato sicuramente
maggiore di quello ottenuto se ogni paese avesse dovuto produrre tutti i beni. Jean-‐‐Baptiste Say (1767-‐‐
1832) elaborò la “legge degli sbocchi” secondo la quale ogni prodotto
offre uno sbocco ad altri prodotti concludendo che in regime di libero scambio non vi potessero essere crisi di
sovrapproduzione.
Secondo la convinzione comune sostenuta anche da Karl Marx, i paesi industrializzati mostravano a quelli rimasti
indietro l’immagine del loro futuro. L’Inghilterra che ormai aveva raggiunto la maturità, era il paese da imitare. Lo
sviluppo dell’Inghilterra era stato spontaneo, lento, e graduale
e ciò aveva consentito un progressivo assorbimento da parte dei lavoratori e della popolazione delle innovazioni
che cominciavano a trasformare il loro modo di vivere e lavorare. La Gran Bretagna fu quindi il first come e poté
godere del vantaggio dell’assenza di concorrenza, tuttavia fu svantaggiata dal fatto che, essendo il primo paese a
percorrere la nuova strada
dell’industrializzazione, commise errori, conobbe insuccessi e dovette affrontare problemi sconosciuti. I paesi
ritardatari, cioè i seconda camera, poterono godere secondo Gerschenkron dei vantaggi dell’arretratezza costituiti
dalla possibilità di poter usare le innovazioni e i processi tecnologici
sperimentati dalla Gran Bretagna. Lo svantaggio era costituito invece dall’enorme sforzo da loro richiesto per
“agganciare” il paese leader (catechina up). Secondo Gerschenkron esistevano alcuni prerequisiti allo sviluppo, i
second comers dovettero ricorrere ai cosiddetti fattori sostitutivi capaci di svolgere la medesima funzione.
L’industrializzazione francese seguì un modello più lento caratterizzato dalla permanenza dell’agricoltura dalla
prevalenza di medi e piccole imprese e da una maggiore presenza dello Stato.
Nonostante la Francia possedesse i prerequisiti per potersi sviluppare almeno contemporaneamente alla Gran
Bretagna vi furono una serie di fattori sfavorevoli per i quali rimase indietro:
- • Lungo periodo
di guerra (1792-‐‐1815) La Rivoluzione era il segno evidente dei profondi contrasti che caratterizzavano la società
francese, priva della stessa coesione di quella inglese.
Inoltre, nonostante la guerra diede un certo impulso anche all’economia francese, la Francia
dovette sostenere un costo umano e materiale assai superiore e subì in più diverse insurrezioni politiche dopo la
fine del conflitto.
- • Modesta
crescita demografica Il tasso di natalità diminuì molto più rapidamente che negli altri paesi e ciò frenò la crescita
demografica. La popolazione infine fu trattenuta nelle campagne e non si registrarono flussi di
emigrazione. L’assenza di pressione demografica rallentò sia la domanda globale sia l’offerta di manodopera.
- • Mancanza di
risorse naturali in particolare di carbone e minerali di ferro. Lo sviluppo economico francese poté però contare
anche su dei fattori favorevoli, la Rivoluzione francese infatti garantì una rapida e completa liquidazione della
feudalità e la fine del sistema delle corporazioni di mestiere con
l’affermazione della piena proprietà della terra. Inoltre permise
l’abolizione dei dazi interni dando vita a un mercato più libero e omogeneo. La rivoluzione e l’impero ebbero
anche il merito di riformare l’insegnamento e la ricerca puntando sullo studio della matematica e della fisica.
L’industria fu caratterizzata dalla prevalenza di piccole imprese. Queste importarono tecniche dalla Gran Bretagna
e furono sostenute dallo Stato che incentivò inventori e industriali inglesi a trasferirsi in
Francia. Nel campo della siderurgia la
Francia era molto indietro, a causa dell’arretratezza dei metodi di
produzione della ghisa che non utilizzavano ancora il coke al ritardo della diffusione della macchina a vapore e alla
scarsità di carbone e minerali di ferro. L’industria tessile utilizzò di più le macchine inglesi nonostante non fu
agevole importarle perché l’Inghilterra proibì la loro esportazione la Francia fu costretta a ricorrere allo spionaggio
industriale o al contrabbando. I Francesi seppero dare un loro contributo al perfezionamento delle macchine, per
esempio, con il famoso meccanismo Jacquard. Si trattava di un dispositivo
applicato al telaio che consentiva di realizzare
disegni sulla stoffa. In più la Francia vantava un’antica tradizione in molte industrie del lusso.
L’attività industriale fu favorita dalle riforme attuate durante il periodo rivoluzionario e l’impero napoleonico. Fu
approvata nel 1791 la legge Capelliera che vietava qualsiasi associazione di Lavoratori e imprenditori. Furono
approvati il Codice Civile (1804) e il Codice di commercio (1807) che regolarono con chiarezza i rapporti fra gli
individui e quelli relativi all’attività economica. Il sistema dei trasporti ebbe un importanza rilevante per
l’industrializzazione e si basò sulla rete stradale e sul lento avvento delle ferrovie. Le vie fluviali non erano molto
sviluppate e i canali non raggiunsero il livello di efficienza di quelli inglesi. La fondazione della Banca di
Francia nel 1800, fu un altro fattore positivo. Prima di allora il paese aveva potuto contare principalmente solo
sull’attività dei banchieri privati. La banca di Francia, la cui costituzione fu favorita da Napoleone, era una società
privata promossa da un gruppo di
banchieri, che fu autorizzata a emettere banconote e nel 1848 divenne l’unico istituto di emissione. Napoleone la
sottopose al controllo dello Stato, riservandosi la nomina del governatore e dei due
sottogovernatori.
La colonizzazione dell’Ovest e il “mito della frontiera” hanno avuto un importanza notevole nella storia economica
e politica del Paese. L’esistenza della frontiera infatti permise di mantenere una popolazione in continua crescita,
che a sua volta faceva aumentare la domanda di beni e servizi e stimolava gli investimenti delle imprese e le grandi
opere intraprese dal governo e dai privati. La colonizzazione interessò prima il Midwest e successivamente il Far
West. L’avanzata dell’uomo bianco distrusse la povera economia dei pellerossa. Secondo Turner la colonizzazione
dell’Ovest si svolse in quattro tappe: 1. Il primo pioniere era un cacciatore, un mercante o un missionario 2. Arrivo
degli allevatori di bovini e ovini 3. Arrivo degli agricoltori 4. Insediamento della vita urbana Turner riteneva che
lo spirito della frontiera avesse contribuito a modellare il carattere americano rendendo gli uomini egualitari
individualisti e intraprendenti. Inoltre elaborò la teoria della valvola di sicurezza secondo la quale la possibilità di
spostarsi verso Ovest avrebbe allentato le tensioni sul mercato del lavoro dell’Est industrializzato. Sorsero
numerose banche nei territori di nuova colonizzazione che finanziarono i coloni con propri biglietti, assumendo il
carattere di banche d’emissione, legando le proprie fortune alle loro sorti.
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Tuttavia la depressione si inseriva in un trend positivo dell’economia. I paesi colpiti dalla depressione tentarono di
fronteggiarla con varie soluzioni: i governi decisero di tornare al protezionismo, le imprese si sforzarono di ridurre i
costi di produzione, vi fu una ripresa del colonialismo che si proponeva di trovare nuovi mercati per i prodotti della
madrepatria.
• La popolazione aumentò sia per incremento naturale sia per il contributo dell’immigrazione. L’inserimento degli
immigrati non fu affatto facile per via della diversità di cultura, di valori, di religione e in certi casi del colore della
pelle. I Wasp (White, Anglo Saxon, Protestant) che costituivano il gruppo dominante esigevano un atteggiamento
di rinunzia da parte degli
immigrati alla loro cultura di origine e un accettazione di quella americana discriminando chi
non lo faceva. Solo gli immigrati giunti dall’Europa centro-‐‐settentrionale si integrarono senza grossi problemi
dando l’impressione che si stesse affermando l’idea del melting pot.
• La colonizzazione fu portata a compimento entro la fine del secolo, quando ormai la frontiera
non esisteva più e tutti i territori dell’Ovest erano stati popolati e messi a coltura o destinati all’allevamento.
20.3. La pianificazione
Alla morte di Lenin (1924), si scatenò la lotta per la successione fra Josif Stalin, che puntava al “socialismo in un solo
paese”, contro Le Trotskij che riteneva necessaria la rivoluzione in tutto il mondo. Nel 1928 Stalin, salito al
potere, considerando superata la Nep riprese la strada verso il socialismo e promosse l’economia pianificata. In
agricoltura fu avviata una rapida collettivizzazione delle terre con lo scopo di giungere ad
aziende di vaste dimensioni per favorire l’ingresso delle macchine e l’incremento della produttività. Si scatenò una
dure lotta contro i kulaki e i nepmen. I contadini furono spinti a creare
dei kolschoz (cooperative volontarie), ossia aziende agricole collettive, conferendo la loro terra. Accanto alle
fattorie collettive si formarono aziende agricole di proprietà statale i sovchoz (aziende sovietiche) i cui lavoratori
erano dipendenti pubblici e i cui prodotti erano distribuiti attraverso le aziende statali di commercio all’ingrosso.
Nel commercio e nell’industria si eliminò gradualmente il settore privato e si passò alla
pianificazione. L’attività economica fu completamente pianificata e il compito di provvedervi fu
affidato al Gosplan (comitato per la pianificazione di Stato) che doveva preparare i piani quinquennali e controllare
che fossero attuati. Fino al 1941 vi furono tre piani quinquennali, i primi due consentirono una rapida
industrializzazione del paese mentre il terzo non fu portato a termine per lo scoppio della guerra.
• Nel settore agricolo, il governo americano ritirò le eccedenze dal mercato e concesse sussidi a chi riduceva le terre
coltivate, nonché un’indennità a chi lasciava i propri campi a maggese o vi coltivava leguminose.
• In campo bancario una legge pose fine alle banche miste e stabilì una netta distinzione fra banche commerciali e
banche d’investimento.
• Venne creato un piano di sviluppo della valle del Tennessee, mediante la creazione di un ente federale la Tennessee
Valley Authority (Va), e fu avviato un vasto piano di lavori pubblici.
La Gran Bretagna incoraggiò le fusioni di imprese e la razionalizzazione dei settori in crisi. Per combattere la
disoccupazione, il governo incentivò con sussidi la creazione di fabbriche nelle zone depresse. In Francia si puntò
su un incremento dei salari, in seguito agli accordi fra imprenditori e lavoratori promossi dal governo del Fronte
popolare. La riduzione della settimana lavorativa e una politica di grandi opere pubbliche avevano lo scopo di
ridurre la disoccupazione e fornire potere d’acquisto ai lavoratori. In Germania il nuovo governo nazista di Adolf
Hitler, introdusse piani quadriennali. Il primo piano
si propose di ridurre la disoccupazione mediante l’avvio di lavori pubblici e favorendo la
concentrazione industriale. Il secondo piano puntò sulla realizzazione dell’autarchia, vale a dire
dell’autosufficienza economica, ma il suo reale obbiettivo era il riarmo della Germania.
In Italia l’intervento dello Stato fu particolarmente deciso e si orientò verso l’autarchia. Nel settore industriale si
favorirono la concentrazione e varie forme di consorzi e di intese per ridurre la concorrenza e i costi di
produzione. Furono inoltre realizzate numerose opere pubbliche e concessi assegni familiari ai lavoratori e si
estesero le assicurazioni sociali. Le banche miste
sostennero il processo di concentrazione. Le principali banche vi si trovarono sull’orlo del fallimento e il governo
dovette intervenire per salvarle.
Nel 1933 fu costituito l’Iri (istituto per la ricostruzione industriale) che assunse le partecipazioni industriali
possedute dalle banche salvate con lo scopo di rivenderle successivamente a privati, ma non ci riuscì perciò dovette
conservare i pacchetti azionari e costituire diverse holding per gestirli (es. Fincantieri, Fin meccanica).
La produzione agricola è aumentata considerevolmente grazie all’introduzione di nuove macchine e all’uso sempre
più esteso di insetticidi e di fertilizzanti, all’introduzione di nuovi metodi di
allevamento e di nuove varietà di grano, mais e riso, nonché mediante la diffusione dell’irrigazione.
Dopo la guerra il numero degli addetti all’agricoltura diminuì enormemente, fino a portarsi nei
paesi maggiormente sviluppati, sotto il 5% della popolazione attiva. L’incremento riguardò soprattutto i paesi
asiatici. Nei paesi ricchi si diffuse l’obesità. Gli effetti furono diversi nelle varie aree del mondo: • Nei paesi
industrializzati la produzione agricola divenne eccedente e i prezzi mostrarono una tendenza a diminuire. Fu
necessario l’intervento da parte dei governi per proteggere i redditi
degli agricoltori attraverso soprattutto barriere non tariffarie (controlli) e politiche di
Sostegno dei redditi agricoli. • Nei paesi asiatici la produzione riuscì a soddisfare le esigenze della popolazione.
Alcune grandi zone come la Cina e l’India, diventate autosufficienti, furono anche in grado di esportare prodotti
agricoli. • Nell’Unione Sovietica e nei paesi orientali a economia pianificata dopo un iniziale incremento
della produzione agricola vi fu, dopo gli anni Settanta, un crollo che li costrinse a importare
generi alimentari dall’estero. La proprietà collettiva della terra, la carenza di fertilizzanti e la scarsa utilizzazione
delle nuove tecniche furono responsabili di risultati così deludenti. • Nei paesi più poveri soprattutto in quelli
africani, si andò spesso incontro a crisi alimentari e periodi più o meno lunghi di malnutrizione
L’allevamento del bestiame fece registrare una crescita inferiore all’incremento della popolazione mondiale. Il fatto è
che gli uomini sono in concorrenza con gli animali per ciò che concerne l’alimentazione e questo è stato l’ostacolo
più grande.
Durante la guerra, gli Stati Uniti avevano rifornito i loro alleati di materiale bellico e altri beni di prima
necessita, venduti con lunghe dilazioni nei pagamenti. Alla fine del conflitto risultarono creditori netti di oltre 40
miliardi. L’Europa, che versava in condizioni drammatiche, non avrebbe mai potuto ripagare il suo debito.
Gli Americani maturarono allora la convinzione che fosse nel loro interesse favorire la ricostruzione di tutti i paesi
alleati e sconfitti destinati a diventare loro partner economici.
Nel 1948 fu approvato dal Congresso l’Erp (European Recovery Program) meglio noto come Piano Marshall, la cui
gestione fu affidata all’Eca (Economic Cooperation Administration) un organismo del governo con sede a
Washington. I paesi europei che non aderirono all’Erp, sì associarono nell’
Oece (Organizzazione europea per la cooperazione economica). I governi dei vari paesi formulavano un piano di
interventi con le loro richieste e lo inviavano all’ Oece, che lo esaminava e lo trasferiva all’Eca in
America. L’Oece terminato il suo compito continuò a promuovere la cooperazione fra i diciotto
paesi. L’Oece si trasformò nel 1961, in Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico) con l’ulteriore partecipazione anche di Stati Uniti e Canada, con lo scopo di favorire
l’espansione economica degli stati membri e lo sviluppo del commercio estero su base multilaterale.
Con la svolta degli anni Settanta sì modificò il ruolo dello Stato nell’economia. Mentre Keynes ritenne che
l’intervento statale era l’unico modo per rimediare alle carenze del capitalismo e del mercato, e quindi di assicurare
pieno impiego dei fattori produttivi, i liberisti ritenevano che il mercato sarebbe stato capace di risolvere
autonomamente la crisi, e perciò che lo Stato dovesse limitarsi alle sue funzioni essenziali predisponendo solo un
insieme di regole generali. A partire dalla Grande depressione degli anni Trenta le teorie keynesiane presero il
sopravvento su quelle liberiste che non erano più considerati idonei ad affrontare i problemi delle complesse
economie moderne. Esauritasi la fase espansiva del dopoguerra, i neoliberisti ripresero il sopravvento con teorie
rielaborate e più sofisticate di quelle precedenti. Per risolvere il problema dell’inflazione essi ritenevano necessario
un sostegno della domanda attuando una politica dal lato dell’offerta. Secondo questa teoria era necessario: attuare
una decisa deregolamentazione dei mercati e anche forti sgravi fiscali.
27.2. La globalizzazione
Le politiche neoliberiste favorirono la globalizzazione dell’economia, con cui si intende il fenomeno che ha portato
alla formazione di un mercato mondiale dei fattori della produzione, dei prodotti, dei servizi e dei capitali.
Questa fu caratterizzata dal trionfo delle imprese multinazionali ormai trasformatisi in imprese transnazionali, nelle
quali le unità che svolgono la loro attività all’estero godono di una più ampia
autonomia operativa. La conseguenza fu un’enorme intensificazione degli scambi e degli investimenti
internazionali, causa di una crescente interdipendenza delle diverse economie. Le classi medie hanno incrementato
i loro consumi e crescono a ritmo elevato, esse costituiscono l’elemento propulsivo dello sviluppo economico e
sociale di un paese.
Particolare importanza riveste la globalizzazione finanziaria, cioè la formazione di un mercato mondiale di
capitali, capaci di muoversi in tempo reale grazie alla tecnologia informatica. Si parla, infatti, di finanziarizzazione
dell’economia per indicare il ruolo che la finanza ha assunto nell’economia dei principali paesi. I capitali
in cerca di investimenti che provengono principalmente dalle banche e dagli investitori
istituzionali, sono gestiti dai manager di queste istituzioni che con le loro decisioni influenzano l’andamento dei
mercati (il sistema finanziario internazionale è caratterizzato da una quantità enorme di rapporti di credito e
debito). Molti investimenti assunsero carattere speculativo, nel senso che i titoli erano acquistati solo per essere
rivenduti dopo breve tempo e lucrare la differenza di prezzo, oppure per essere collocati in un altro luogo dove
valevano di più (arbitraggio). I titoli trattati sui mercati finanziari non sono più solamente azioni e obbligazioni ma
anche ‘derivati’, ovvero titoli il cui valore dipende da una valore sottostante (merce, titoli, tassi di interesse…). Il
90% di questi derivati non è negoziato sulle Borse ma su mercati non regolamentati. Derivati ad esempio sono i
titoli emessi in seguito a cartolarizzazione= la banca può vendere dei propri crediti ad una società veicolo la quale
poi emette proprie obbligazioni che colloca sul mercato. La banca a suo volta con il ricavato della cessione può
conceder nuovi mutui.
La crisi sembra non arrestarsi e assume nuove forme o, se si preferisce, s’intreccia con nuove crisi che si cumulano
con quelle precedenti, tanto da sembrare che essa si autoalimenti.
Nel 2011 furono colpite principalmente alcune nazioni europee, come la Grecia, la Spagna, il Portogallo,
l’Irlanda e, infine, l’Italia. In
Grecia la crisi si manifestò nel 2011, dove venne alla luce il debito pubblico tenuto nascosto
ammontante al 142% del Pil, per giunta, il deficit del bilancio statale era vicino al 13%. Il nuovo
governo dovette intervenire con drastici provvedimenti di tagli alle spese pubbliche, di licenziamento dei
dipendenti pubblici e di aumento di tributi. Dovettero essere adottate misure di risanamento del bilancio su
impulso dell’Unione Europea, per ottenere aiuti dalla stessa, dal Fondo monetario internazionale e dalla BCE. Le
agenzie di rating, continuavano a declassare i titoli pubblici greci, considerati a rischio di insolvenza, facendo
ulteriormente precipitare la situazione.
Infatti la possibilità di insolvenza provocò un persistente stato di instabilità sui mercati borsistici
mondiali, perché pendeva un grosso rischio sulla sopravvivenza dell’euro a cui la Grecia stessa aveva aderito.
La crisi del debito pubblico si estese successivamente all’Irlanda, alla Spagna e al Portogallo che furono contagiati
dalla situazione greca. Nell’estate del 2011 maturò anche la crisi italiana, il cui debito pubblico complessivo era
giunto al 120% del Pil. Questo debito risaliva agli anni Ottanta e in 12 anni era passato dal 60 al 120% del Pil.
I governi non erano stati in grado di ridurlo per timore di assumere scelte impopolari. I titoli si poterono collocare
sul mercato solo garantendo rendimenti più alti, con un aggravio di costi per lo Stato che doveva pagare interessi
più elevati per continuare a finanziarsi. Furono adottate dappertutto, su spinta dell’Unione Europea, misure
recessive per risanare i conti
pubblici, come un aumento della pressione fiscale e un duro taglio alle spese, con conseguente impossibilità di
sostenere la domanda globale. L’economia reale continuava a peggiorare con una riduzione della produzione e un
incremento della disoccupazione.
Dopo la Seconda guerra mondiale la decolonizzazione ricevette un forte impulso. Gli indipendentisti delle varie
colonie organizzarono movimenti politici per rivendicare l’indipendenza
che si basavano sui valori di libertà, democrazia e autodeterminazione dei popoli affermati nella
Carta Atlantica (1941) e nella Carta delle Nazioni Unite(1945). Gli stessi ambienti dei paesi colonialisti
cominciarono a non ritenere più vantaggiose le colonie dal punto di vista economico poiché avevano sempre
comportato un costo elevato per i governi della madrepatria. Il primo paese a ottenere l’indipendenza fu l’India. A
metà degli anni Settanta quasi tutte le nazioni europee avevano concesso l’indipendenza alle loro colonie. I nuovi
Stati indipendenti conservarono legami economici e culturali con le ex potenze coloniali, ad esempio quelle sotto il
dominio britannico formarono il Commonwealth; in questo modo poterono mantenere i rapporti economici con la
Gran Bretagna e usufruire dei ridotti dazi applicati ai paesi aderenti.
28.3. Le strategie economiche dei paesi in via di sviluppo
Durante il conflitto gli Stati Uniti sfruttarono a pieno la loro capacità produttiva e incrementarono
la produzione agricola e industriale per soddisfare la forte domanda bellica. La tecnologia
americana fu esportata ovunque e in Europa prese avvio una sorta di processo di “americanizzazione” che si
rifaceva all’economia statunitense come al modello da imitare. Gli Stati Uniti erano definitivamente la maggior
potenza, militare economica e politica del Pianeta, si sentivano responsabili della grande missione di combattere il
comunismo mondiale e affermare e diffondere i loro principi. Il dollaro, posto alla base del sistema monetario
internazionale, divenne la moneta dei pagamenti internazionali privilegiando l’America. La crescita riguardò tutti i
settori dall’agricoltura al commercio estero e a quello interno, dalle banche al turismo. Le imprese continuarono a
ingrandirsi, le corporations divennero più numerose e si diffuse l’impresa multidivisionale (composta da più settori
con autonomia funzionale e Gestionale), si realizzò la separazione fra la proprietà, estremamente frazionata, e il
management aziendale (in questo modo colui che divennero i veri detentori del potere e delle decisioni nelle grandi
imprese non furono più gli azionisti ma i manager. Il punto
debole dell’egemonia americana risiedeva nella sua dipendenza dalle importazioni per l’approvvigionamento delle
materie prime soprattutto delle fonti energetiche (petrolio).
29.2 La reaganomics
Ancora una volta, come nel 29, gli Stati Uniti e il mondo dovettero affrontare una crisi di
sovrapproduzione, manifestatasi con la caduta dei consumi e con l’impossibilità di assorbire la
gran quantità di manufatti che l’apparato industriale era in grado di produrre. Gli Stati Uniti stanno uscendo meglio
di altri paesi dalla crisi grazie allo shale gas che garantiva il 25% del fabbisogno nazionale. La società americana
stava subendo profonde trasformazioni. Il sogno americano cominciava a venir meno e
diventava sempre più difficile aspirare a migliorare significativamente la propria condizione economica e sociale.
Anche la composizione della popolazione si stava modificando a causa della forte immigrazione.
Particolarmente numerosi divennero gli ispanici. La conseguenza fu una diminuzione della percentuale di
popolazione bianca.
IL GIAPPONE
29.4. Il miracolo economico giapponese
Il Giappone divenne, nel corso degli anni Ottanta, la seconda potenza economica mondiale per il Pil prodotto.
Nonostante dopo la guerra le speranze nel futuro fossero molto basse e la nazione umiliata e sconfitta vide
diminuire drasticamente la sua produzione, a partire dal 1950 fino al 1973 il Giappone conobbe il suo miracolo
economico.
L’eccezionale sviluppo economico giapponese si basò su diversi fattori:
• La guerra di Corea (1950-‐‐52) durante la quale il Giappone fu in grado di rifornire le truppe americane di
materiale bellico, in cambio di dollari.
• Gli americani aiutarono il Giappone a risollevarsi per farne il fedele alleato asiatico contro il comunismo.
• La disponibilità di una tecnologia avanzata: I Giapponesi seppero profittare meglio degli altri per due ragioni:
disponevano di un capitale umano di alto livello e avevano un elevato volume di risparmio.
• La partecipazione al commercio internazionale: Il Giappone seppe inserirsi sul mercato mondiale come paese
esportatore di prodotti ad alta tecnologia di ottima qualità.
• L’azione dello Stato: il governo tenne bassi i tassi d’interesse e indusse le banche a finanziare le
imprese, ridusse le imposte, concesse sgravi fiscali alle imprese che investivano nella ricerca, varò misure
protezionistiche, realizzò un imponente riforma agraria
• La collaborazione fra governo e imprese: I ministeri predisponevano direttive concordate con gli imprenditori che
in genere le applicavano diligentemente
• La collaborazione fra le singole imprese: si formarono i keiretsu, ossia gruppi di imprese senza struttura gerarchica
con partecipazioni azionarie incrociate e con incarichi direttivi intrecciati. • La collaborazione fra il management
e i dipendenti: I manager garantivano la sicurezza del posto di lavoro e prevedevano una serie di benefici in
cambio della fedeltà dei dipendenti.
Negli anni Novanta vi fu una grave crisi. Le cause dell’inversione di tendenza sono da ricercarsi proprio nella
crescita precedente, durante la quale le esportazioni verso gli Stati Uniti erano aumentate e il governo aveva
adottato una politica di espansione del credito, mediante la riduzione dei tassi d’interesse che comportò la stampa di
cartamoneta. I Giapponesi effettuarono investimenti in titoli azionari e in immobili. Nella seconda metà degli anni
Ottanta i prezzi degli immobili quasi raddoppiarono e l’economia sembrava solida. La bolla speculativa scoppiò nel
1990 e il Giappone entrò in crisi con le conseguenze solite di tali casi (brache falliscono, i consumi ristagnano, la
produzione fu ridotta e aumento della disoccupazione). Per contrastare la crisi fu varato un piano di grandi lavori
pubblici, il costo del denaro fu portato a livelli bassissimi e si avviò un processo di deregolamentazione. FURONO
INTRODOTTE FORME DI PROTEZIONE PER ALCUNE INDUSTRIE E SI FECE RICORSO AL DUMPING.
Nel secondo dopoguerra si avviò un processo d’integrazione economica fra i paesi europei che successivamente
portò alla nascita dell’Unione Europea. Il primo passo verso l’integrazione fu compiuto da i paesi che diedero vita
al Benelux (Belgio-‐‐ Olanda-‐‐Lussemburgo) nata nel 1948 come un unione doganale che decise la libera
circolazione di beni al suo interno. Nel 1951 fu fondata, con il trattato di Parigi, la Ceca (comunità europea del
carbone e dell’acciaio),
alla quale parteciparono oltre ai paesi del Benelux la Francia, la Germania occidentale e l’Italia. Essa era un unione
doganale per il minerale ferroso, il carbone, il coke e l’acciaio ed esercitava il controllo sulla loro produzione e
vendita.
Nel 1957, con i trattati di Roma, i sei paesi della Ceca diedero vita alla Comunità economica
europea (Cee) e alla Comunità europea per l’energia atomica (Ceea). La prima si prefiggeva la
Creazione di un mercato comune tramite la libera circolazione delle merci, dei lavoratori dei capitali e dei servizi; la
seconda si proponeva di promuovere lo sviluppo delle ricerche e la diffusione delle conoscenze in materia
nucleare. La crescita economica dei paesi durante l’età
dell’oro fu veramente imponente. Una notevole importanza riveste la politica agricola comunitaria (Pac) che si
proponeva d’incrementare la produttività dell’agricoltura e di assicurare un equo tenore di vita ai ceti agricoli. Così
furono sostenuti i redditi degli agricoltori e protetta la produzione dalla concorrenza estera.
Le crisi petrolifere degli anni Settanta e il crollo del sistema dei cambi fissi colpirono in modo
particolare i paesi dell’Europa occidentale. I principali problemi dell’economia europea erano la disoccupazione
(11% e che riuscì ad essere sopportata solo grazie al sistema di sicurezza sociale, come pensioni, che fece crescere
l’indebitamento pubblico) e l’inflazione. La necessità di combattere l’inflazione portò all’adozione di politiche
restrittive del credito, che scaturirono effetti positivi e un primo sintomo di ripresa, e alla
definizione dell’unione monetaria come obbiettivo. Nel 1979 fu compiuto il primo passo con la fondazione
del Sistema monetario europeo (Sme) che prevedeva la fissazione di una parità fra le monete aderenti che fu
calcolata in una nuova unità di conto, l’ECU (European Currency Unit) composta di un paniere di monete
europee. Con la possibilità di oscillazioni del 2,25 per cento in più o in meno. Lo Sme conseguì modesti risultati
fino a quando entrò in crisi nel 1992 e l’Italia e il Regno Unito ne uscirono. Nel 1992 venne stipulato il Trattato di
Maastricht, con il quale la Comunità economica europea si trasformò in Unione Europe, con lo scopo di perseguire
l’unione politica, economica e monetaria. Fu decisa l’introduzione di una moneta unica, l’euro (entrò vigore nel
1999 come moneta di conto e nel 2002 come moneta effettiva), e stabiliti rigidi criteri di convergenza, ai quali i
paesi che volevano adottare la nuova moneta si dovevano attenere (frenare l’inflazione, riduzione di deficit e debito
pubblico). Fu creata la Banca Centrale Europea a cui fu affidato il compito di emettere la nuova moneta e di
garantire il suo potere d’acquisto nonché la stabilità dei prezzi. Il consiglio direttivo della BCE è composto dai
governatori delle banche centrali degli stati aderenti all’euro. L’Unione comprende 28 Stati mentre solo 19 Paesi
hanno adottato l’euro
Nel secondo dopoguerra la Gran Bretagna si trovò in grande difficoltà. Durante il conflitto aveva accumulato
un pesante debito estero e fu costretta a chiedere un prestito a Stati Uniti e Canada per pagare le importazioni. Il
nuovo governo laburista mise mano a una serie di nazionalizzazioni ma l’80% delle industrie
rimasero in mano ai privati. Molto importanti furono i provvedimenti tesi a realizzare il Welfare State che
avviarono un vasto programma di edilizia pubblica, forme di assistenza ai lavoratori e ai cittadini e il
miglioramento del sistema dell’istruzione.
L’economia riprese a crescere lentamente fino alla dura crisi petrolifera che bloccò nuovamente
l’economia britannica. Negli anni Ottanta la politica neoliberista di Margaret Thatcher portò alla privatizzazione di
molte industrie statali, alla riduzione della spesa pubblica, con conseguente peggioramento della qualità dei servizi,
e a un processo di ristrutturazione industriale. Negli anni Ottanta e Novanta si svilupparono nuovi settori in
particolare l’elettronico. La Gran Bretagna dal 1975 iniziò a sfruttare ricchi giacimenti di petrolio scoperti nel
Mare del Nord che gli permisero di coprire il suo fabbisogno energetico e di esportare petrolio. Negli ultimi anni
Novanta conobbe una crescita accelerata che le consentì di recuperare il ritardo accumulato nei confronti degli altri
paesi. La City di Londra diventò il centro finanziario mondiale. La Gran Bretagna decise di non aderire all’euro e
conservare la sterlina per poter conservare la possibilità di fissare i tassi d’interesse e la completa autonomia.
La Germania rimase senza governo fino al 1949. Gli occupanti cominciarono subito a smantellare l’industria degli
armamenti e altre industrie pesanti, così da impedire alla Germania di ricostruire
un apparato produttivo e una concentrazione economica capace di dar via a un altro conflitto. Furono smembrate le
grandi imprese e le grandi banche, nel 1948 gli Americani introdussero una nuova moneta, il Deutsche Mark, senza
consultare i Sovietici. Questo provvedimento acuì i contrasti fra le potenze occupanti e portò alla definitiva
divisione della Germania in due Stati separati:
• La Germania occidentale, Repubblica federale tedesca (Americani) Era la parte più industrializzata e meglio
dotata di risorse naturali. Il clima della Guerra fredda indusse gli Americani a interrompere gli smantellamenti e a
avviare un programma di ricostruzione e sviluppo, inserendola nel Piano Marshall, con lo scopo di trasformarla in
un alleato in funzione anticomunista. Da allora ebbe inizio il miracolo economico tedesco. La Repubblica Federale
Tedesca si ispirò a un economia sociale di mercato, cioè una forma di economia mista basata sul libero mercato che
prevede un incisiva azione pubblica per perseguire la giustizia sociale e la solidarietà fra le diverse componenti
della collettività.
• La Germania orientale, Repubblica Democratica Tedesca (Sovietici) Nacque come uno Stato accentrato e
attuò, sull’esempio sovietico, l’economia pianificata. Essa costituiva la parte meno sviluppata della Germania.
Prima dell’erezione del Muro di Berlino nel 1961, subì una emorragia di manodopera (soprattutto molti lavoratori
specializzati fuggivano verso la Germania occidentale).
La riunificazione fu realizzata nel 1990 dopo la fine del regime comunista nella Germania orientale.
Avvenne pacificamente per annessione in quanto i territori orientali chiesero di entrare a far parte della Repubblica
Federale Tedesca come nuovi Lander. Il costo dell’operazione fu molto elevato, i Tedeschi dell’Est indussero il
governo a fissare la conversione del marco orientale con quello occidentale alla pari, mentre valeva molto di meno
(questo andò a vantaggio di coloro che percepivano un salario o uno stipendio).
Per affrontare le spese ingenti il governo dovette ricorrere a nuove imposte, per la
modernizzazione delle infrastrutture e il risanamento dell’apparato industriale della parte orientale. Negli anni
Novanta, perciò l’economia rallentò la sua crescita e furono necessari dolorosi interventi di ristrutturazione
produttiva e di riduzione delle spese pubbliche. Fra il 1989 e il 2006 il Pil pro capite tedesco aumentò appena
dell’1,1 % all’anno (contro il 2% dei 15 anni precedenti). Nonostante avesse perso il primato delle esportazioni
(battuta da Cina e Usa), è stato l’unico Paese che è riuscito a superare la crisi del 2008-13 con un incremento del Pil
di oltre 4 punti.
L’ITALIA
32.1. La ricostruzione
Le condizioni dell’Italia alla fine del secondo conflitto mondiale, erano disastrose. Essa subì ingenti
danni al patrimonio abitativo e dei trasporti, mentre relativamente pochi furono quelli registrati
dall’apparato industriale. Nell’ immediato dopoguerra il Pil pro capite crollò nel 1945 al 55% di quello del 1939.
Negli anni della ricostruzione la nuova classe politica repubblicana dovette affrontare alcuni immediati problemi
come:
• La ripresa della produzione fu rapida e possibile grazie agli aiuti americani giunti con il Piano Marshall che finanziò
sia il governo che poi distribuì gli aiuti alle imprese, sia direttamente le imprese.
• L’inflazione che fu causata dalla scarsità di beni che non riuscendo a soddisfare la domanda
fecero lievitare i prezzi, dalla massiccia emissione di biglietti di banca e di Stato e
dall’introduzione da parte degli americani dell’” amlira” che avendo un valore superiore
rispetto alla lira fece aumentare i prezzi. La lotta all’inflazione fu condotta con la cosiddetta
linea Einaudi, costituita da una serie di misure prese dal ministro del Bilancio, Luigi Einaudi,
che miravano alla riduzione della circolazione monetaria. Si elevò il tasso ufficiale di sconto
rendendo i prestiti più cari, si aumentarono le riserve obbligatorie delle banche in modo che non potessero investire
parte dei depositi raccolti.
La scelta fondamentale del governo costituito dal partito della Democrazia cristiana, fu di optare per un
economia aperta, non vi furono nazionalizzazioni dato che in Italia esisteva già un consistente settore, basti pensare
alle numerose imprese controllate dall’Iri. In mano pubblica era pure l’Agip (Azienda generale italiana petroli) che
fu rilanciata da Enrico Mattei. Mattei promosse anche la costituzione dell’Eni
(ente nazionale idrocarburi) che doveva assicurare all’Italia il
rifornimento delle fonti di energia. Le imprese pubbliche operavano sotto forma di società per azioni, possedute
dallo Stato. Perciò fu istituito il Ministero delle partecipazioni statali.
Nel 1950 furono varati due importanti provvedimenti:
• La riforma agraria con l’espropriazione di 800 mila ettari di terre ai grandi proprietari, che vennero indennizzati, e la
loro assegnazione a famiglie di braccianti agricoli. Si venne a formare una piccola proprietà coltivatrice, che per
non costituire un ostacolo all’ammodernamento dell’agricoltura, si organizzò in un vasto movimento cooperativo.
• La Cassa per il Mezzogiorno che doveva finanziare opere straordinarie di pubblico interesse
nelle regioni meridionali. Nei primi anni rivolse il sostegno soprattutto all’agricoltura e successivamente alla
creazione di industrie.
Dal 1950 al 1973 furono gli anni del miracolo economico, durante i quali il Pil pro capite aumentò del 5,8% l’anno.
La crescita fu accompagnata da profondi mutamenti strutturali che consistettero nell’esodo dalle campagne e dal
conseguente aumento degli addetti all’industria e al settore terziario (industrializzazione e terziarizzazione).
L’agricoltura si modernizzò, grazie all’aiuto dello Stato e mediante una rapida meccanizzazione e una più diffusa
utilizzazione dei concimi chimici. Lo sviluppo dell’agricoltura, inoltre, fornì forza lavoro a basso costo
all’industria. Le principali industrie erano quelle dedite alla produzione di automobili, di elettrodomestici e di fibre
sintetiche. Si affermò la grande impresa sull’esempio americano, che fu organizzata secondo criteri della fabbrica
fordista. La bilancia dei pagamenti si portò in attivo a partire dal 1957 grazie alle accresciute esportazioni, alle
rimesse degli emigrati e per lo sviluppo del turismo. L’Italia era diventata in pochi decenni una nazione
industrializzata. Ricapitolando le ragioni del miracolo economico furono:
- Gli aiuti americani,
- La scelta per un economia aperta orientata alle esportazioni,
- La disponibilità di manodopera a basso costo,
- Bassi prezzi internazionali delle materie prime e fonti energetiche che l’Italia doveva importare,
- Il ruolo dello Stato,
- Un solido sistema bancario.
Il divario Nord – Sud riuscì ad essere parzialmente ridotto. La storia di tale divario è passata attraverso 5 fasi: 1. Il
periodo della stabilità 1861-‐‐ 1890 durante il quale il divario si mantenne entro limiti
modesti, in un paese sostanzialmente arretrato le differenze infatti erano poco rilevanti e vi era una sorta di
eguaglianza nella povertà. 2. Il periodo della formazione del divario 1890-‐‐1920 ci fu quando l’Italia conobbe il
suo decollo industriale che si concentrò nelle regioni del triangolo industriale mentre il Mezzogiorno restava
indietro. 3. Il periodo della divergenza 1920-‐‐50 nel corso del quale il divario aumentò notevolmente 4. Il periodo
della convergenza 1950-‐‐75 coincidente con il miracolo economico, durante il quale il Mezzogiorno crebbe più del
Nord e il divario si ridusse. 5. Il periodo della stagnazione 1975 2010 durante il quale il divario riprese a crescere
portandosi a oltre 40 punti percentuali
Se al posto che al Pil pro capite si fa invece riferimento all’Indice di sviluppo umano la situazione risulta molto
diversa: il divario, abbastanza elevato dopo l’Unità, si ridusse costantemente in seguito fino quasi ad annullarsi. Il
Mezzogiorno quindi beneficiò del processo di modernizzazione
dell’intero Paese, specialmente nel campo dell’istruzione e della durata della vita. La modernizzazione è stata
però passiva e non riuscì ad avviare un autonomo percorso di crescita. Dopo la Seconda guerra mondiale
riprese l’emigrazione dalle regioni meridionali che fu sia esterna soprattutto verso le Americhe, che interna verso il
Nord.
L’economia italiana risentì della crisi petrolifera del 1973 e rallentò la sua crescita. Una delle conseguenze fu la
forte inflazione e per via dell’aumento del prezzo del petrolio furono varate diverse misure per il risparmio
energetico. L’Italia cominciò a utilizzare sempre di più il gas naturale fornito soprattutto dall’Algeria e dalla
Russia. La crisi fu affrontata grazie all’intervento dello Stato. Il sostegno alle imprese fu attuato in vari modi. Fu
decisa la fiscalizzazione degli oneri sociali. I salvataggi avvennero tramite la Gepi (Società
per le gestioni e partecipazioni industriali), un agenzia pubblica, incaricata di concedere finanziamenti agevolati
alle aziende industriali in difficoltà transitorie. Fu costituita anche la Cassa integrazione guadagni, incaricata di
versare, per un certo periodo, una parte dello stipendio ai lavoratori licenziati o momentaneamente sospesi dal
lavoro per riduzione della produzione. I redditi delle famiglie furono sostenuti mediante l’allargamento del
Welfare, furono introdotte le pensioni sociali, riformato il sistema pensionistico, istituito il Servizio sanitario
nazionale gratuito. La conseguenza fu un aumento della spesa pubblica. Fu necessario aumentare il prelievo fiscale,
mediante la riforma del sistema tributario, che prevedeva l’introduzione dell’Iva e dell’Irpef. Fu
necessario ricorrere all’indebitamento pubblico che superò la soglia del 100% del Pil annuo. Per ridare
competitività alle imprese sui mercati internazionali si fece ricorso a svalutazioni della lira.
La lotta all’inflazione fu adottata con una politica restrittiva del credito, fu deciso il divorzio fra
Banca d’Italia e Tesoro che liberava l’istituto di emissione dall’obbligo di sottoscrivere i titoli di Stato
invenduti. Un altro provvedimento fu la riduzione della scala mobile, ossia un sistema di adeguamento automatico
dei salari e stipendi al costo della vita. D’altra parte la riduzione dell’inflazione era, assieme al risanamento dei
conti pubblici, fra le condizioni previste dal trattato di Maastricht per poter entrare nell’euro. Per raggiungere questi
obbiettivi all’inizio degli anni Novanta furono attuate varie misure dall’aumento della pressione fiscale
all’abolizione di privilegi pensionistici. Una strada percorribile fu quella della privatizzazione che riguardò le
imprese dell’Iri, l’Eni, l’Enel, il sistema dei trasporti e delle comunicazioni. Anche il sistema bancario fu
privatizzato con la riforma attuata dal Testo Unico Bancario del 1993 che ridusse le categorie di banche a
due: quelle sotto forma di società per azioni e le banche cooperative. Si adottò il sistema della banca universale e
vi furono numerose fusioni fra banche che formarono i grandi gruppi: in questo modo lo Stato poté controllare solo
il 10% di esse. Il sistema bancario fu riformato con alcune leggi poi confluite nel Testo Unico bancario del 1993
che sostituì la legge bancaria del 1936
Dopo la crisi degli anni Settanta le grandi imprese procedettero a una ristrutturazione produttiva. Anche in Italia il
modello fordista cominciava a tramontare per cui si ricorse sempre di più all’automazione dei processi
produttivi, al decentramento e alla delocalizzazione. I rami più
produttivi continuarono ad essere quello meccanico e il cosiddetto made in Italy, formato da un insieme di imprese
di medie dimensioni che operavano nel comparto tessile-‐‐abbigliamento-‐‐ calzature producendo beni destinati alle
fasce alte del mercato e all’esportazione. Aumentava il peso delle piccole e medie imprese che ebbero il compito di
trainare l’economia del Paese. La loro presenza, diffusa sul territorio, pose fine allo storico predominio del
triangolo industriale. Le Pmi ispirate al modello giapponese di lean-‐‐production si dimostrarono anche in
Italia adatte ai settori leggeri a moderata intensità di capitale e capaci di competere sui mercati
internazionali, tanto che le loro esportazioni contribuirono a riequilibrare la bilancia dei pagamenti. Si
dimostrarono, per la loro struttura flessibile, in grado di resistere alla crisi. La nuova
Caratteristica fu la nascita di concentrazioni in aree geografiche di più Pmi, che si dissero distretti industriali. Questi
furono riconosciuti dal legislatore come degni di tutela per il patrimonio economico che costituivano con una legge
del 1991. Nel momento in cui le grandi imprese si trovarono in difficoltà e dovettero procedere a drastiche
ristrutturazioni e le piccole imprese non riuscivano a crescere, furono le medie imprese a far registrare i maggiori
successi. Queste cominciarono ad affermarsi negli anni Ottanta, divennero le nuove protagoniste del sistema
industriale italiano.
33.1. I limiti della pianificazione Fra i paesi che avevano combattuto la Seconda guerra mondiale, l’Unione Sovietica
fu quello che subì i maggiori danni. Dopo la guerra fu ripresa la pianificazione, che puntò come in precedenza
sull’industria e sugli armamenti, per la paura di essere accerchiata. Morto Stalin nel 1953, il nuovo segretario
generale del partito comunista Nikita Crusche (1953-‐‐64) dichiarò di voler portare la produzione di numerose
derrate alimentari al livello degli Stati Uniti, per ovviare al problema della scarsa produttività agricola
sovietica. Fu proseguita inoltre la strada della pianificazione, ma la
mutata articolazione dell’attività economica, che diventava sempre più ampia, evidenziò l’incapacità di: assicurare
un buon coordinamento fra imprese, prevedere la quantità da produrre e il prezzo dei beni in modo da coprire i
costi e consentire un accumulazione di capitale (i prezzi
erano tenuti artificialmente bassi). Inoltre fu scarso lo stimolo alle invenzioni alle innovazioni e bassa la
produttività del lavoro. Un posto di lavoro era sempre garantito poiché l’attività lavorativa era ritenuta un obbligo
per i cittadini ma la produzione era bassissima e dunque i costi della produzione elevatissimi.
Michail Gorbacev passò alla guida dell’Unione Sovietica dal 1985 al 1991. Pose mano a riforme
volte a conferire maggiore autonomia alle imprese, sulla stessa onda, ma più incisive, di quelle
attuate precedentemente dai dirigenti sovietici, basate sul concetto di profitto sul capitale come criterio di
valutazione della produttività. Queste prevedevano:
• La trasparenza o pubblicità (LA GLASNOST), volta a realizzare forme democratiche di gestione del potere
pubblico, attraverso la libertà di espressione e d’informazione, in maniera tale da consentire una libera discussione
dei problemi del Paese e una ricerca delle soluzioni.
• La ristrutturazione(perestrojka), che richiamava in qualche modo la Nep e si concretizzò in provvedimenti
legislativi che resero le imprese statali più libere di fissare le loro quote di produzione.
Lo scambio di beni fra le imprese doveva avvenire al prezzo di mercato e non più ai prezzi imposti e si costituì
la Borsa merci di Mosca (speculazioni). Fu consentita l’iniziativa privata per creare piccole e medie imprese nei
settori del commercio e della produzione, furono assegnate terre ai contadini e ridimensionato il potere del Partito
comunista. Il tentativo di Gorbacev di conservare il sistema socialista attraverso una sua radicale
trasformazione risultò fallimentare. Infatti le riforme prettamente politiche portarono al crollo del Partito
comunista e alla disintegrazione dell’Unione Sovietica. Cominciò a formarsi una categoria
di oligarchi aventi uno stretto legame col governo che gli garantiva protezioni e benefici favorendone
l’arricchimento spropositato. Il deficit del bilancio statale era straordinariamente cresciuto per via delle enormi
spese di difesa. La liberalizzazione di alcuni prezzi li fece aumentare facendo conoscere ai russi due fenomeni loro
estranei: l’inflazione e la disoccupazione.
Il tentativo di riforme di Gorbaciov non riuscì e le repubbliche slave (Russia, Ucraina e Bielorussia) dichiararono
nel 1991, lo scioglimento dell’Unione Sovietica. Nacquero così 15 repubbliche indipendenti tra le quali la nuova
Federazione russa era ovviamente la più grande.
La transizione al capitalismo fu lunga e difficile e la fretta con cui fu attuata portò a risultati disastrosi. I primi
provvedimenti riguardarono la liberalizzazione del commercio interno e di quello estero e l’apertura del mercato
russo al commercio internazionale e agli investimenti esteri. La privatizzazione delle imprese statali fu l’operazione
più difficile. Tale compito fu affidato a una
Commissione statale che trasformò le imprese pubbliche in società cedendo parte delle azioni a poco prezzo ai
lavoratori delle imprese stesse. Furono distribuiti voucher(buoni) gratuiti ai cittadini, evitando la vendita per
prevenire la formazione di un oligarchia. Lo scopo non fu raggiunto perché i proprietari dei voucher preferirono
venderli ai vecchi dirigenti che divennero ricchissimi. Lo Stato mantenne comunque la proprietà di numerose
attività strategiche (telecomunicazioni, energia, armi). Esplose una violenta inflazione che si trasformò
in iperinflazione a causa della liberalizzazione dei prezzi e dell’enorme emissioni di biglietti per supplire alle
imminenti necessità dello Stato. L’agricoltura fu ancora una volta sacrificata e vi fu un inquietante calo
demografico (droga, malattie veneree, omicidi, suicidi). La transizione Russa fu la più complessa fra quelle degli
altri paesi dell’Unione Sovietica, per via del costo dell’enorme apparato industrial-‐‐militare e dalla prevalenza
della monocultura industriale (presenza di poche grandi imprese che operavano in un solo ramo). La produzione
industriale crollò del 50%. Nell’Europa orientale la fase di transizione fu gestita meglio; ci fu bisogno di un
rinnovamento di impianti industriali, riqualificare i lavoratori e ricostruire il sistema bancario. Quasi tutti i paesi
dell’Europa orientale entrarono, tra il 2004 e il 2007, nell’Unione Europea.
La crisi della transizione fu superata verso la fine degli anni Novanta, dopo un’ulteriore crisi valutaria del rublo che
fu sottoposto ad attacchi speculativi e si svalutò rispetto alle altre monete. Con il nuovo secolo la Federazione
Russa conobbe una forte ripresa economica grazie a due fattori:
- • Consistenti esportazioni di petrolio e di gas naturale oltre che di metalli e legname, i cui prezzi sul mercato
mondiale erano in crescita
- • La debolezza del rublo che favoriva le esportazioni e scoraggiava le importazione, sostenendo in tal modo le
industrie nazionali.
I consumi privati ripresero a crescere e con essi la produzione. Le grandi industrie russe finirono nelle mani di pochi
gruppi privati, ma lo Stato conservò parecchie grandi aziende, specialmente nel settore energetico, ad esempio la
Gazprom che è il maggiore estrattore di gas naturale, venduto a molti paesi. Le banche rimasero anche esse sotto il
controllo dello Stato. Lo sviluppo economico interessò le regioni di Mosca mentre gran parte del paese rimase
indietro, soprattutto nelle zone rurali e nei territori asiatici.