Analisi matematica ~
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(volume 2 parte 2}
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llisi matematica Campostrini, Parpinel Introduzione all'inferenza
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:ematica (2!! edizione) De Giuli; Giorgi, Maggi, Magnani Matematica per
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Pagani, Salsa Serie di funzioni ed equazioni lineare (Decibel}
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Salsa, Squellati Esercizi di analisi matematica Il discreta
(Masson - 3 volumi) Chirita, Ciarletta Calcolo (2 volumi)
Thomas Jr., Finney Analisi matematica Dedò Trasformazioni geometriche
Thomas Jr., Finney Elementi di analisi matematica Dedò Forme
e geometria Enriques Lezioni di geometria proiettiva (Ristampa
Torrigiani Ripensare matematica. In preparazione anastatica)
alle facoltà universitarie scientifiche Questioni riguardanti le matematiche elementari
2 voli. a cura di Enriques
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alla matematica computazionale lineare
Bevilacqua, Bini, Capovani, Menchi Metodi numerici Maroscia Problemi di geometria
Bini, Capovani, Menchi Metodi numerici per Piacentini Cattaneo Algebra (Decibel)
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Bordoni Lezioni di meccanica razionale (Masson) algebra
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Introduzione alla meccanica razionale insiemi, teoria dei gruppi, teoria degli anelli
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Finzi Meccanica razionale (2 volumi) Steinhaus Matematica per istantanee
Levi-Civita Caratteristiche dei sistemi differenziali Vaccaro, Carfagna, Piccolella Lezioni di geometria e
e propagazione ondosa algebra lineare (Masson)
Levi-Civita, Amaldi Compendio di meccanica Ventre Introduzione ai grafi planari
razionale - volume 1
Indice
P refazio n e vii
1 N ume ri 1
1 Insicm i e logica l
1.1 Concetti di base sugli insiemi 1
J .2 Un po' di logica elementare 9
2 Sommatorie e coefficienti binomiali 13
2.1 Il simbolo di sommatoria 13
2.2 Fattoriale di n 15
2.3 Coefficienti binomiali e formula di Newton 16
3 Campi ordinati 1
4 Numeri reali. Estremo superiore e assioma di continuità 20
4. J l nadcguatezza dell'insieme dei r azionali per misurare le lunghezze 20
'1.2 8stremo superiore e assioma di cont inuità 2J
4.3 Valore assolut o. Disuguaglianza triangolare 23
4.4 Intervalli 24
5 Radicali, potenze logaritmi 25
5.1 Radici n-esime aritmetiche 25
5.2 Potenze a esponente reale 26
5.3 Logaritmi 27
5.4 Approssimazioni 2
G Insiemi infiniti 2
7 Il principio di induzione 32
umori complessi 35
.1 Definizione di C e struttura di campo 35
.2 Coniugato e modulo 37
.3 Forma trigonometrica 40
8.4 R adici n-esime 43
2 Funzioni di una variabile 49
1 Il concetto di funzion e 49
2 Funzioni reali di variabile reale 52
2.1 Generalità 52
2.2 F\mzioni limitate 53
2.3 Funzioni simmetriche 54
2.4 Funzioni monotone 55
iv Indice © 978-88-08-06485-1
3 Limiti e continuità 87
1 Successioni 87
1.1 Definizione di successione. Definizione di limite 87
1.2 Successioni monotone 93
1.3 Il calcolo dei limiti 96
1.4 Il numero e 101
1.5 Confronti e stime asintotiche 103
2 Limiti di funzioni, continuità, asintoti 110
3 Il calcolo dei limiti 121
3.1 Proprietà fondamenta.li di limiti e continuità 121
3.2 Limiti notevoli 128
3.3 Confronti e stime asintotiche 130
3.4 Stime asintotiche e grafici 132
4 Proprietà globali delle funzioni continue o monotone su un intervallo 136
4.1 Funzioni continue su un intervallo 136
4.2 Funzioni monotone su un intervallo 141
4.3 Continuità e invertibilità 143
5 Serie 229
1 Serie numeriche 229
1.1 Definizione e primi esempi 229
1.2 Serie a termini non negativi 233
1.3 Serie a termini di segno variabile 239
2 Serie di Taylor. Esponenziale complesso 245
2.1 Serie di Taylor delle trascendenti elementari 245
2.2 Serie nel campo complesso. Esponenziale complesso 249
B Grafici 369
Negli ult imi otto anni i corsi universitari di matematica hanno subìto notevoli cam-
biamenti: il "nuovo ordinamento" degli studi universitari, basato sul modello di una
laurea triennale seguita da un biennio specialistico, ha profondamente mutato le esi-
genze e le caratteristiche dell'insegnament o della matemat ica "di base,,. Ad una prima
fase caratterizzata da una drastica riduzione nei contenuti, e contemporaneo muta-
mento nel taglio di questi insegnamenti, improntati ad uno stile più pragmatico e
meno astratto, si sono succeduti via via vari aggiustamenti, che hanno cercato di te-
ner conto sia dell'esperienza didattica che delle esigenze proprie dell'insegnamento di
una disciplina con caratteristiche sue proprie, com'è la matematica. Ora siamo ad un
nuovo punto di mutamento: l'università torna a sottolineare maggiormente la forma-
zione di base, che era stata in parte sacrificata nella frammentazione di mille corsi
brevi o compositi. L'esp erienza del nostro testo "Matematica", scritto otto anni fa
per venire incontro alle mutate esigenze didattiche, e rivisto dopo quattro anni, ci
spinge quindi oggi ad un nuovo impegno, nella speranza di offrire dci testi universitari
di matematica che possano essere piena.mente utili a studenti e docenti.
La prima scelta, naturale p er quanto detto sopra, è stata: a ciascun corso il suo
libro di testo. Ecco quindi questa "Analisi l", che sarà seguita a breve da una "Analisi
2", e affiancata da una "Geometria e Algebra", che sarà scri tta da altri ma coordinata
con questi nostri testi: questo allo scopo di poter dare ad ogni corso il giusto spazio di
approfondimento, senza cadere uelle eccessive sintesi, ma nemmeno nella tentazione
del "trattato" che rimane poi chiuso su uno scaffale. Il nostro volume unico "Ma-
tematica" continuerà ad esistere, almeno per il momento, e potrà essere utile nelle
situazioni in cui rimangano corsi piuttosto compressi.
I contenuti di questo testo di Analisi l sono quelli fondamenta.li di un corso di Ana-
lisi Matematica per funzioni di una variabile, ed un'occhiata all'indice sarà sufficiente
ad illustrarli. Merita un discorso a parte solo l'ultimo capitolo, "Modelli dinamici di-
screti" , che presenta un argomento meno tradizionale con il quale si intende aprire
per lo studente una finestra verso la modellistica, con la speranza di stimolarne la
curiosità verso gli sviluppi successivi dell'Analisi e delle sue applicazioni. La contro-
parte continua dei modelli dinamici, ossia le equazioni differenziali, sono state invece
collocate nel secondo volume.
Pur nel maggiore approfondimento, i criteri didattici generali che ci ispirano in
questo testo sono gli stessi che ci hanno guidato fin qui:
1. Anzitutto, introdurre il minimo di astrazione necessaria per raggiungere l'o-
biettivo di conoscere, comprendere e saper utilizzare i contenuti di base dell'Analisi
Matematica, con particolare riguardo agli aspetti effettivamente utilizzati negli altri
corsi della laurea triennale.
viii Prefazione © 978-88-08-06485-1
1
Le cose andrebbero rese iJ più semplice possibile, ma non troppo scrnplici.
l
1 Numeri
L'obietbvo principale di questo capitolo è introdurre gli oggetti più elementari del
discorso matematico: i numeri. Sul concetto di numero, come vedremo, si basa quello,
centrale in tutto questo corso, di funzione, che sarà introdotto nel prossimo capitolo
e ampiamente ripreso in tutto il seguito.
Tuttavia, è necessario prima introdurre o puntualizzare alcuni concetti che hanno
a che fare col linguaggio matematico. Come vedremo, non si tratta solo di questioni
terminologiche, ma piuttosto di questioni logiche e di metodo: il linguaggio matema-
tico infatti è strettamente legato alla logica. A sua volta, da più dj cent'anni la logica
matematica utilizza anche il linguaggio specifico degli insiemi.
Gli insiemi quindi si possono vedere per un verso come altri oggetti elementari del
discorso matematico (come lo sono i numeri), per un altro verso come parte integrante
del linguaggio logico con cui parliamo di matematica. Al linguaggio logico-insiemistico
dedicheremo perciò il primo paragrafo.
1 INSIEMI E LOGICA
1.1 Concetti di base sugli insiemi
La teoria degli insiemi può essere presentata e studiata come teoria assiomatica. Stori-
camente questo è stato fatto a partire dal 1908, con Zerrnelo1 . In modo più informale,
la teoria veniva utilizzata già dagli anni 18802 ; noi la ut ilizzeremo in questo modo
informale, o, come si usa dire, "ingenuo".
Le parole chiave
Il linguaggio degli insiemi si basa su tre parole chiave:
l. Insieme
2. Elemento
3. Appartenenza
1
Ernst Zerrnclo, 1871-1953, matematico tedesco.
2 Ad esempio da Georg Cantor (1845-1918), normalmente considerato il padre del concetto di
insieme.
2 Capitolo 1. Numeri © 978-88-08-06485-1
Simboli
Per indicare gli insiemi si usano solitamente lettere maiuscole, come
A,B, X,Y .. .
xEA
(x - 1)= 0
© 978-88-08-06485- 1 1 Insiemi e logica 3
(che ha come unico elemento il numero 1) è uguale all'insieme delle soluzioni dell'e-
quazione
2
(x - 1) =O.
Il fatto che la seconda equazione abbia la soluzione x = 1 che ha molteplicità algebrica
2, non cambia l'insieme delle sue soluzioni.
'\lx (x E A ===? x E B) .
Per quanto detto, quindi, dire che A = B equivale a dire che "A ç B e B ç A".
Quando A ç B , diciamo anche che A è un sottoinsieme di B.
Se si afferma che A ç B , non si esclude che sia A = B. Se invece vogliamo proprio
affermare che A è contenuto in B ma non coincide con B, diremo che A è strettamente
contermto in B , e scriveremo
A~B.
Si parla in tal caso di inclusione stretta. E splicitamente, affermare che A ~ B significa
affermare che
"Ogni elemento che appartiene ad A appartiene anche a B ed esiste un elemento
di B che non appartiene ad A".
Formalmente:
Vx (x E A ===? x E B) e ::lx E B : x tj:_ A.
4 Capitolo 1. Numeri © 978-88-08-06485-1
Si faccia attenzione a non confondere tra loro le relazioni "appartiene a" e "è contenuto
in" (in simboli, E e ç) . In un certo senso, sono due modi per indicare che "qualcosa
sta dentro qualcos'altro" , ma hanno una differenza logica fondamentale: un insieme. è
contenuto in tm altro insieme; un elemento appartiene a un insieme. L'appartenenza
è una relazione tra due oggetti matematici che stanno su due piani gerarchici diversi,
mentre l'inclusione è una relazione tra due oggetti logici che stanno sullo stesso livello
gerarchico. Ad esempio:
3E{l ,3,4};
{3} ç {1, 3, 4};
{1,4} ç {1,3,4}.
In particolare, non si confonda 3 (che è un numero) con {3} , che è l'insieme che
contiene come unico elemento il numero 3.
Talvolta si considerano insiemi che hanno per elementi altri insiemi; questo non
contraddice l'osservazione appena fatta: in ogni caso, i simboli E e ç non sono in-
tercambiabili, ma devono rispettare la distinzione dei livelli gerarchici che abbiamo
spiegato. Ad esempio, se definiamo l'insieme
allora è corretto affermare che {2} E A, perché {2} è un insieme che svolge il ruo-
lo di elemento di A , mentre sarebbe scorretto dire che {2} ç A, perché questo
significherebbe che 2 E A , mentre A ha come elemento {2} i ma non 2.
Insieme vuoto
Si definisce insieme vuoto l'insieme che non contiene alcun elemento, e si indica tale
insieme con il simbolo
f/J.
L'insieme vuoto "ha zero elementi", ma non è il numero zero! Non è neanche l'insieme
{O} (cioè l'insieme che ha zero come unico elemento); difatti, {O} ha un elemento,
mentre 0 non ne ha nessuno. (Il lettore quindi, d 'ora. in poi non usi il simbolo f/J per
indicare il numero zero).
Per qualsiasi insieme A , possiamo affermare che
0 ·~A.
Per dimostrarlo, dovremmo provare che ogni elemento che appartiene a 0, appartiene
anche ad A; ma nessun elemento appartiene a 0, per cui la dimostrazione è terminata.
© 978-88-08-06485-1 1 Insiemi e logica 5
X= {l, 2, 3} ,
allora
P (X) = {0, {1} , {2}, {3} , {l, 2} , {2, 3}, {1 , 3} , X}.
Per esercizio, il let tore provi a dimostrare che se X ha n elementi, allora P (X) ha
2n elementi. Se X è infinito, anche P (X) è infinito, naturalmente. Si può dimostrare
che, in un certo senso, anche in questo caso è vero che P (X) è "più nlLlmeroso" di X.
Approfondiremo que::;t'ultima osservazione nel par. 6 sugli insiemi infinit i.
Insiemi numerici
Prima di continuare il discorso, è bene introdurre i principali insiemi numerici che
incontreremo nel resto del corso. P er il momento non diremo niente sulle proprietà di
questi insiemi: ci basta introdurre il nome e il simbolo con cui si denotano e richiamare
allo studente chi sono queste sue vecchie conoscenze.
N è l'insieme dci rmrneri naturali, ossia i numeri con cui si conta: O, 1, 2, 3, . ..
Z è l'insieme dei numeri interi (detti anche numeri relativi), ossia: O, 11 - 1, 2, -2, .. . ;
Q è l'insieme dei numeri razionali,numeri!razionali ossia delle frazioni
n
- , dove n , m E Z , e m
m
f O.
Gli esempi vogliono ricordare il seguente fatto: un numero razionale, scritto in forma
decimale, dopo la virgola può presentare un numero finito di cifre (diverse da zero) ,
oppure un numero infinito di cifre diverse da zero, che però si ripetono periodicamente.
Si ricordi che O, 9 = l. (P er convincersene, il lettore si chieda quanto vale 1 - O, 9, e
provi a rispondere ragionando) .
Il~ è l'insieme dei numeri reali, ossia quelli che, scritti in forma decimale, presentano
dopo la virgola una successione qualsiasi di cifre diverse da zero, eventualmente anche
infinita e non p er iodica. Che esistano numeri di quest'ultimo tipo (ossia reali ma non
razionali) , si capisce riflettendo su esempi come:
0,10110111011110 ...
11 numero precedente dopo la virgola ha: una cifra uguale a 1, poi O, poi due cifre
uguali a 11 poi O, poi tre cifre uguali a 1. .. e così via. È chiaro che questo criterio
6 Capitolo 1. Numeri © 978-88-08-06485- 1
Come indicato dai simboli, tutte le inclusioni sono strette: esistono numeri interi non
naturali (i numeri negativi) , esistono numeri razionali non interi (le frazioni proprie) ,
esistono numeri reali non razionali (i numeri irrazionali), esistono numeri complessi
non reali (i numeri immaginari).
Operazioni su insiemi
Molto spesso, nel contesto di un certo discorso matematico, esiste un insieme X che
svolge il ruolo di v,niverso, nel senso che tutti gli insiemi di cui si parla in quel contesto
sono sottoinsiemi di X . Ad esempio, in questioni di aritmetica potrebbe essere X= N,
mentre in questioni di analisi potrebbe essere X =JR. Perciò succede spesso di trovarsi
a operare con insiemi che sono tutti sottoinsiemi di un certo w1iverso comune, X. In
queste condizioni, si possono definire certe operaz'ioni sugli insiemi.
In altre parole, è l'insieme degli elementi che appartengono sia al primo sia al
secondo insieme.
A U B = {x: x E A o x E B}.
A\ B = {x : x E A ex rf:_ B}.
Cx A=X\A.
Spesso X è sottointcso: si usa allora il simbolo A c.
Le definizioni appena date delle operazioni tra insiemi sono visualizzate nei diagram mi
in figunt 1.1.
GJ
indnsione: B ~ A uni one: A U B intersezione: A n
C'è poi un'altra operazione sugli insiemi, che può essere eseguita su due insiC'rni
qualsiasi (cioè due insiemi non necessariamente contenuti nel medesimo universo) :
Una illustrazione è data nella figura J .2, dove si può osservare anche che A x B in
generale è diverso da B x A.
Un tipico uso di prodotto cartesiano si ha con JR x JR, che si abbrevia col simbolo
l~.2, e deno(,a l'insieme delle coppie ordinate di numeri reali. Analogamente, JRn (ab-
1>re~'.ìai1'6'll'erié'è115fBéi'6tt'o"efilee~'ìà:fi\.(1ti1"1/ é 'ìi'ìb'ìé'i'i~111t'l~\1.!i~1a &iTl.l~ /"·} 'iirB.!fi8'11c/"WDB ,,,, 'L•JJ}/èv
T,
, ,
2 2 2
AxB
BxA A2
1 l ] .
1 2 1 2 1 2
Figura 1.2.
3 Si
tratta delle regole logiche con cui utilizziamo "e", "o", "non" in qualsiasi ragionamento
deduttivo. A questo livello informale del discorso non è il caso nemmeno di esplicitarle.
© 978-88-08-06485-1 1 I nsiemi e logica 9
Dimostrazioni e controesempi
La maggior parte dei teoremi è costituita da implicazioni universali, nelle quali il
predicato p fa la parte dell'ipotesi e q quella della tesi. In particolare la (1.3) è un
teorema. In questo ca.so ci si convince facilmente che l'asserto è vero, ma come si fa a
dimostrarlo rigorosamente? Per esempio, è sufficiente osservare che
3 è dispari e 32 è dispari
per affermare che il teorema è vero?
Certamente no, poiché il teorema pretende che l'implicazione valga per ogni nume-
ro naturale. Tuttavia, i numeri dispari sono infiniti: come facciamo a provare un'impli-
cazione per infiniti numeri? Il procedimento chiave è questo: si considera il generico
n che soddisfa l'ipotesi (essere dispari) e si dimostra che n soddisfa la tes'i (il suo
quadrato è dispari) . Vediamo come si opera.
DIMOSTRAZIONE. Sian dispari. Osserviamo che qualunque numero dispari si può scrivere
nella forma 2k + 1, con k opportuno. Sia dunque n = 2k + 1 il generico numer o dispari. Per
dimostrare il teorema occorre poter scrivere n 2 come (intero pari + l). Si ha:
n
2
= (2k + 1) 2 = 4k2 + 4k + 1 = 2(2k2 +2k) + 1.
Poiché 2 (2k 2 + 2k) è un intero pari n 2 risulta dispari.
D4 = {n E N: n è divisibile per 4}
E = { x E A : p (x) è vera} .
In queste definizioni, l'importante è che la proprietà p (x) che si utilizza abbia senso
per ogni x dell 'insierne A , e quindi risulti vera o falsa (senza ambiguità di significato)
per ogni particolare x E A; l'insieme E consisterà allora di tutti e soli quegli x
appartenenti ad A per cui la proprietà p ( x) è vera. A questo proposit o, è fondamentale
che sia specificato l'insieme universo A in cui si ragiona: ad esempio: "L'insieme dei
numeri naturali divisibili per 4" e non invece "L'insieme dei numeri divisibili per 4",
che avrebbe un significato ambiguo (il numero V2 è divisibile per 4?).
è logicamente equivalente a
Infatti: sia n 2 pari, e proviamo che allora n è pari; se n non è pari, allora è dispari, e
quindi per la prima implicazione anche n 2 è dispari, contro l'ipotesi che n 2 sia pari.
Di conseguenza n è par i e la seconda implicazione è dimostrata.
Un at timo di riflessione mostra che il ragionamento appena fatto ha una validità
generale, e mostra appunto che se è vera la (1.5) allora è vera la (1.6); di più, se è
vera la seconda allora è vera la prima (p erché "non non p" è logicamente equivalente
a p) , per cui le due sono logicamente equivalenti.
L'equivalenza tra (1.5) e (1.6) è detta legge delle controinverse e un tipico metodo
di dimostrazione indiretta consiste appunto nel provare la (1.6) per mostrare che è
vera la (1.5).
L'altra tipica dimostrazione indiretta è la dimostrazione per assurdo, che esempli-
fichiamo col seguente teorema, che ci sarà utile in seguito.
per cui m 2 è pari; ma allora per la (1.7) anche m è pari; dunque sia n che m sono
pari, e questo è assurdo, perché avevamo supposto che la frazione n/m fosse già stata
semplificata.
In generale, la dimostrazione per assurdo consiste nel .supporre vera l'ipotesi del teo-
rema e la negazione della tesi, e dedurre da questi fatti una contraddizione di qualsiasi
tipo.
Sia nelle dimostrazioni per assurdo sia nell'usare la legge delle controinverse, occor-
re natw·almente saper costruire la corretta negazione di una proposizione o proprietà
data. Si osservi che questa è un'operazione puramente formale, sintattica, che non ha
a che fare col contenuto della proposizione, né col fatto che essa sia vera o falsa.
Riportiamo schematicamente alcune regole tipiche con cui si costruisce la negazio-
ne di una proposizione o proprietà. Il lettore è invitato a rendersi conto della validità
di queste regole ragionando su esempi concreti.
Se p (x), q (x) sono due proprietà qualsiasi, allora:
• la negazione di "p (x) e q ( 1;)" è "non p (x) o non q (x)" ;
• la negazione di "p ( x) o q ( x)" è "non p (x) e non q ( x)" ;
• la negazione di ''non p (x )" è p (x) ;
• la negazione di "Vx vale p (x)" è "3x : non p (x)"
• la negazione di "3x : vale p (x)" è "Vx non p (x)"
• la negazione di ''Vx (p (x) =::::;:. q (x))" è "3x: (p (x) e non q (x))1'.
DEFINI ZIONE 1.1 Siano a 1 , a2, .. . , an, n numeri reali. La loro somma
a1 + a2 + ... + an
si può indicare in forma compatta col simbolo di sommatoria:
n
Il simbolo di sommatoria è dunque una pura e semplice stenografia, che tuttavia risulta
molto utile quando i termini ai sono definiti esplicitamente in funzione dell'indice i,
ad esempio:
10
1 1 1 1
~- =1 + - + - + . .. + -
~ i 2 3 10
i= l
n
2= i2 = 32 + 42 + 52 + ... + n2
i= 3
14 Capitolo 1. Numeri © 978-88-08-06485-1
Per usare agilmente il simbolo di sommatoria occorre capire bene l'utilizzo dell'indice
di sommatoria. Anzitutto, l'indice di sommatoria è un indice muto. Questo vuol dire
che se si sostituisce i con j, k o qualunque altro indice (in tutte le sue occorrenze) il
senso dell'espressione non cambia:
n n
I:i2 = I:.i2
i =3 j=3
Invece,
n rn
~ ·2 _j_ ~ ·2
61, -r 61'
·i = l i= l
jn quanto i due simboli indicano la somma, rispettivamente, dei primi n oppure dei
primi m quadrati: se n-=/= m il risultato sarà diverso.
Le seguenti proprietà formali delle sommatorie sono facilmente comprensibili se si
pensa a ciò che esse affermano in termini di somme scritte per esteso.
PROPOSIZIONE 1.1 (PROPRIETÀ FORMALI DELLE SOMMATORIE)
3. Somma di sommatorie:
n n n
Lak + Lbk= L(ak+bk)
k= l k= I k= l
4. Scomposizione:
n+m n n+m
L ak = L ak + L ak
k=l k=l k= n + l
5. Traslazione di indici:
n n+m
Lak = L ak- m
k = .l k = l+m
6. Riflessione di indici:
n n n-]
L ak = L an-k+l = L an-k
k= l k = .l k=O
PROPOSIZIONE 1.2 Per la somma dei primi t ermini della progressione geometrica
di ragione q 'f= 1 (e a = 1), vale la formula:
n k
]. - qn+l
(2.1) Lq
k=O
= 1-q
•
2.2 Fattoriale di n
Un'espressione di uso frequente in Analisi è il fattoriale di n . Con ciò si intende il
prodotto dci primi n interi: si indica con n! (e si legge "n fattoriale")
n! = 1 · 2 · 3 · . .. · (n - 1) · n
n o 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
n ! = n(n- 1)!
n!
se O< k <n (n _ k) ! = n (n - 1) (n - 2) ... (n - k +I)
16 Capitolo 1. Numeri © 978-88-08-06485-1
Cn,k = (n)
k
n! k)!
= kl(n -
n) = n (n - 1) (n - 2) ... (n - k + 1)
(k k!
espressione che è più maneggevole per il calcolo effettivo.
La formula di Newton si scrive dunque:
(2.2)
Una dimostrazione delle proprietà (2.2)-(2.3) sarà data nel paragrafo 7. Quest'ultima
relazione permette di calcolare i numeri G) per mezzo del cosiddetto triangolo di
Tartaglia; in cima al triangolo si pone il numero (g) = 1 (per definizione); ai lati si
pongono i numeri (~) = (~) = 1 per ogni n 2: 1 e allora, per O < k < n, il numero (~)
viene scritto all'incrocio della n-esima riga e della k-esima colonna e risulta somma
dei due numeri che si trovano nella riga precedente, quello sulla st essa colonna e quello
sulla colonna precedente.
potenza coefficienti
n=O 1
1 1 1
2 1 2 1
3 1 3 3 1
4 1 4rr"41 1
5 1 5 lOl1QJ 5 1
Figura 1.3.
(1 + a)
8
(2a - 3b) 7
ti=
i=l
n(n2+1)
n n n
S'Uggerimento : calcolare 2 E i = L i +L i eseguendo nella seconda sommatoria una rifles-
i=l •i = l i=l
sione di indici.
n-1
'2:::(2k + l) = n 2
k=O
S'Uggerimento: sfrut tare il risultato d ell'esercizio precedente.
r
tk
k= l
2 = n(n+1~(2n+l)
lOO ( 1 1 )
~ k- k+l
L! 3 CAMPI ORDINATI
Inizieremo ora a studiare più da vicino la struttura degli insiemi numerici che abbiamo
introdotto in precedenza., ed in particolare l'insieme Q dei numeri razionali e l'insieme
JR dei numeri reali. Chiariamo subito che non intendiamo presentare una costruzione
rigorosa di questi insiemi. P iuttosto, dando per presupposto che lo studente sappia già
cosa sono i numeri razionali e reali (ovvero accontentandoci della descrizione ingenua
di questi insiemi che abbiamo presentato nel paragrafo 1), puntualizzeremo con più
precisione quali sono le proprietà di cui godono questi insiemi numerici.
Iniziamo quindi col richiamare le proprietà (ben note) dei numeri razionali; indi-
chiamo con a , b, c ... generici numeri razionali.
Rappresentazione geometrica
Una rappresentazione di tipo geometrico di tQ si può ottenere associando a ogni nu-
mero razionale un punto della retta euclidea. Ad un punto di queHta, scelto arbitra-
riamente, si associa O e a un altro, distinto dal primo, si associa 1, individuando così
il segmento orientato 01 che costituisce l'unità di misura. A questo punto si ha una
corrispondenza biunivoca tra i numeri razionali e quei punti P della retta che sono
estremi dei segmenti orientati OP commensurabili (nel senso classico della geometria
elementare, cioè che hanno un multiplo comune) con 01.
- 3/2 5/2
- 3 - 2 - 1 o l 2 3
Figura 1.4.
Per descrivere compiutamente la struttura dell'insieme Ql osserviamo anche che esso ?:l
un insieme ordinato; cioè che nell'insieme Q è definita la relazione :::; (minore o uguale
di .. . ; analogamente la relazione 2: maggiore o uguale di . ..) , la quale è una relazione
d 1ordine 1 cioè verifica le tre proprietà seguenti:
1. \/a a :::; a riflessiva
2. \/ a 1 b se a :::; b e b < a allora a= b antisimmetrica
3. \/ a 1 b1 e se a :::; b e b < e allora a :::; e transitiva
Inoltre 1 presi due qualsiasi numeri razionali a, b, è sempre possibile confrontarli per
mezzo della relazione :::; , nel senso che vale necessariamente almeno una. delle re.I azioni
a < bo b :::; a. Si esprime questo fatto dicendo che Pordinamento di JR è totale 1 o elle
JR è un insieme totalmente 01~dinato.
OssERVAZIONE Si rifletta sulla natura generale astratta delle proprietà che defini-
scono una relazione d'ordine. Ad esempio, se X è un h1sieme qualsiasi (per esempio
Q), nell'insieme P (X) (insieme di tutti i sottoinsiemi di X) possiamo considerare la
relazione ç di inclusione insiemistica; chiaramente, per ogni A, B, C ç X, è vero che
1. A ç A (proprietà riflessiva);
2. A ç B eB ç A implica A = B (proprietà antisimmetrica);
3. A ç Be B ç C implica A ç C (proprietà transi tivç1,).
Quindi P (X) è un insieme ordinato, rispetto alla relazione d'ordine <;;:;. Si osservi
tuttavia che non è un insieme totalmente ordinato. Infatti, dati due insiemi qualsiasi
A B ç X, in generale può non valere né A ç B né B ç A. Quindi: non ogni insiern.e
1
• R3· È definita in Q una relazione d'ordine totale :::;, compatibile con la struttm·a
algebrica, cioè:
20 Capitolo 1. Numeri © 978-88-08-06485-1
1. V a , b, e se a ~ b allora a + e < b + e
2. Va, b, e con e > O se a ~ b allora ac ~ be.
Osserviamo che tutte le regole ben note del calcolo algebrico derivano dalle proprietà.
R1, R2, R3· A titolo di esempio, i "principi di identità" usati nel risolvere le disequa-
zioni, non sono altro che le proprietà di compatibilità della relazione d'ordine con la
somma e col prodotto: tutte le usuali procedure con cui si risolvono le disequazioni
sono quindi conseguenza di questi assiomi e delle proprietà algebriche della somma e
del prodotto, espresse da R 1 , R2.
Astraendo ora dal caso particolare dell'insieme dei numeri razionali, diamo la
seguente
DEFINIZIONE 1.2 Chiameremo campo ordinato un insieme in cui sono definite due
operazioni (che chiamiamo somma e prodotto) e una relazione d'ordine, che soddisfano
tutte le proprietà Ri ,R2 ,R3. Un insieme con le proprietà Ri, R 2 si dice campo.
Un momento di riflessione mostra che tutto ciò che abbiamo detto fin qui riguardo alle
operazioni di somma e prodotto e alla relazione d 'ordine ~ nell'insieme dei numeri
razionali, vale anche per l'insieme dei numeri reali. Possiamo quindi sintetizzare il
punto fondamentale di questo paragrafo nella seguente affermazione:
Da questo punto di vista, quindi, Q ed JR appafono dotati di proprietà simili. Nel pros-
simo paragrafo invece evidenzieremo qual è la proprietà. che distingue sostanzialmente
R da Q e che rende R l'ambiente giusto per sviluppare l'analisi matematica.
o 1 d
Figura 1.5.
© 978-88-08-06485-1 4 Numeri reali. Estremo superiore e assioma di continuità 21
di essa rimangono ancora dei posti vuoti. Significa anche che l'insieme dei numeri
razionali è inadeguato ad esprimere le lunghezze dei segmenti. Ma la lunghezza è solo
la più semplice delle grandezze che si incontrano in geometria e in fisica: un problema
esattamente analogo si incontra nella misurazione di qualsiasi altra grandezza, come
aree, volmni, tempi, velocità ecc.
Sorge spontanea allora la domanda: è possibile ampliare Vinsiemc dei razionali
in modo da avere ancora un campo ordinato, i cui elementi (numeri) siano in corri-
spondenza biv,nivoca con i punti della retta euclidea? Il candidato naturale a questa
estensione è l'insieme dei numeri reali. La domanda dunque diventa: l'insieme JR può
essere messo in corrispondenza biunivoca con i punti della retta? Vedremo che la
risposta a questa domanda (pur di riformularla in modo puramente analitico) è posi-
tiva. P er renderci conto di questo dobbiamo però introdurre un nuovo concetto, che
ci porterà alla comprensione della fondamentale proprietà di continuità d'i JR, che si
rivelerà essenziale per l'analisi matematica.
i) x E E;
ii) x ~ x \lx E E.
Analoga definizione per il minimo J!.. È evidente che, affinché il massimo (minimo)
esista, l'insieme deve essere superiormente (inferiormente) limitato.
Max Min
I) non esist,e o
II) Numeri pari relativf non esiste non esiste
III) {1 l l ' 1 } 1 non esiste
'2'3''
. , .. ,-,
~ n ... •.
IV) n~l
{ nE N ·: - · - . .}
- non esis~e -1
n+l .
V) {~ 6 JR: x 3 2: 27} non esiste 3
Si osserva, negli esempi precedenti, che talvolta, pur essendo l'insieme E limitato, esso
non possiede massimo o minimo.
Introduciamo allora un concetto, fondamentale per l'Analisi matematica, che è
sostitutivo del concetto di massimo o minimo: quello di estremo superiore (sup) cd
estremo inferiore (inf) .
DEFINIZIONE 1.3 Sia E ç X. Un numero k E X (non necessariamente E E)
si dice un maggiorante (minorante) di E se k > x (k ::; x) Vx E E. Notiamo che
un insieme superiormente (inferiormente) limitato ha molti maggioranti (minoranLi).
Chiamer emo estremo superiore (inferiore) di E , e lo indicheremo con sup E (.i nf .E) il
minimo (massimo) dei maggioranti (mi11ora11Li) di E (se esiste).
È evidente che, se l'insieme p ossiede massimo (minimo), questo coincide con Pestremo
superiore (inferiore).
Riprendiamo gli esempi precedenti per vedere se, quando non esiste il massimo o
il minimo, esist e però il sup o l'inf. Negli esempi I , II, V la risposta è negativa p er
l'evidente ragione che gli insiemi ivi considerati non sono limitati (da sopra e/o da
sotto) . Nell'esempio III è facile vedere che l'inf è O (il quale non è minimo poiché O
non fa parte dell 'insieme) e nell'esempio IV il sup è 1. Consideriamo l'esempio VI;
si intuisce che il sup dovrebbe essere un numero il cui quadrato è 2; ma in Q tale
numero non esiste; esiste però in JR ed è J2. Questa circostanza non è casuale, ma
illustra precisamente la differenza tra l'insieme Q dei numeri razionali e l'insieme JR
dei numeri reali. P er chiarirla , diamo la seguente definizione generale:
Si dice che l'insieme X (totalmente ordinato) possiede la proprietà dell 'estremo
superiore, se
Si prova facilmente che, se vale ques ta proprietà , allora è anche vero che ogni sottoin-
sieme di X non vuoto e inferiormente limitato ammette estremo inferiore.
Si faccia attenzione al contenuto della precedente definizione: non si richiede che
X stesso abbia estremo superiore (ad esempio, nel ca.so X = Q o JR questo è cerLa-
mente falso!) , ma che ogni sotto,insiem e non vuoto superiormente frmitato di X ne sia
provvisto. L'esempio VI mostra che cerLamente Q non ha la proprietà dell'estremo
superiore. Invece, JR ha questa proprieLà. Questo fatto non può essere dimostrato a
partire dalla nostra "definizione ingenua:' di JR, data in precedenza. Tuttavia nella
presentazione assiomatica di JR, questa proprietà costituisce parte della definizione
stessa di JR:
DEFINIZIONE 1.4 (DEFINIZIONE ASSIOMATICA DI JR) Chiamiamo JR un insieme
che soddisfa le proprietà R1, R2 , R3 , R4, ossia un campo ordinato che ha la proprietà
dell'estremo superiore.
Sia {A, B} una partizione di JR (cioè A e B sono .insiemi non vuoti e disgiunti la cui
unione è JR); essa si chiama sezione se: V a E A e V b E B risulta a, < b. Allora s.i
dimostra che:
• R~ .
Per ogni sezione {A, B} di JR esiste UD unico numero reale s (eletto elemento
separatore) tale che
V a E A , \7' b E B
(tale elemento separatore altro non è che sup A = inf B ).
se a> O
(4.1)
se a<O
( 4.4) la - bi :::; la - cl + lb - cl V a, b, e E JR
Basta porre nella (4.3) x = a - ce y = e - b. Se invece, sempre nella (4.3), si pone
x = a - b e y = b si ottiene
(4.6)
4.4 Intervalli
Dati due numeri reali a, b, si chiama intervallo di estT"emi a e b uno dei seguenti
insiemi:
[a,b], ms1eme dei numen reali x ' a<x<b - -
[a, b), "
))
" " x , a<x<b
" "
))
(a, b] , " x, a<x<b
(a, b), ))
" )) ))
x, a<~i;<b
Come si può notare la parentesi quadra (tonda) in corrispondenza di uno dei due
estremi indica che quest'ultimo è incluso (escluso) nell'intervallo.
Gli intervalli [a, b] si dicono chiusi; quelli (a, b) si dicono aperti. Tutti gli intervalli
indicati sopra sono limitati; si chiamano intervalli (illimitati) anche le semirette, p er
esempio:
(- oo, b), insieme dei numeri reali x, x < b
,,
[a,+oo), )) ))
x, x'?_a
a b e
.. 'I#: - -11---- - - - ----J(
[a, b] (e, +oo)
Figura 1.6.
© 978-88-08-06485-1 5 Radicali, potenze, logaritmi 25
Si può dimostrare che gli intervalli, limitati o illimitati, sono tutti e soli i sottoinsiemi
I di JR che soddisfano la seguente proprietà caratteristica (detta connessione ): presi
comunque tre numeri reali
x1 < x2 < X3, se x 1 , x3 E I , allora x2 E I.
Nel seguito ci capiterà di considerare il prodotto cartesiano di due (o più) intervalli, cui
si può dare il significato geometrico di rettangolo (in due dimensioni) o parallelepipedo
(in tre dimensioni).
lfJS: Sia A = [O, l], B = [1, 2]; la figura 1.2 di p agina 8 illustra gli insiemi A x B , B x A ,
A x A indicato anche con A 2 .
con la regola che: ognuno di questi numeri è il più grande tra quelli con lo stesso
numero di decimali dopo la virgola il cui quadrato è minore cli 2:
1 12 = 1 22 = 4
1,4 (1 , 4)2 = 1, 96 (1, 5)2 = 2, 25
1,41 (1,41)2 =1, 9881 (1,42) 2 = 2,0164
26 Capitolo 1. Numeri © 978-88-08-06485- 1
2 1,5 1,42
Questo insieme E+ è limitato inferiormente (ogni elemento è > 1), perciò possie-
de estremo inferiore; si dimostra che inf E+ = sup E_. I numeri della classe E_
approssimano V2 per difetto, quelli della classe E+ per eccesso.
(- 2)3/5 = r-s - -~
(-2)2/5 = V4
Quando si dice "non esiste in JR" si intende che non è possibile definire tale operazione
in modo da mantenere valide le usuali regole di calcolo. Qualcosa di più sull'argomento
sarà detto nel paragrafo 8, parlando dei numeri complessi.
Le proprietà principali dell'elevamento a poten:6a sono:
© 978-88-08-06485-1 5 Radicali, potenze, logaritmi 27
Eo a0 =1 V a -:/= O; 1e =1 Ve
E1 ac > O V e; ac S 1 se a S 1 e e > O
5.3 Logaritmi
Consideriamo 1'equazione
a>O
con y assegnato e x incognito.
Anzit utto, se a= 1, essa è risolubile solo se y = 1 (e in tal caso ogni numero reale
x è soluzione) . Sia dunque a i= 1. Se y ::; O essa non ha alcuna soluzione (cfr. E 1 ) . Il
seguente teorema ci dice che essa ha una sola soluzione per ogni y > O.
TEOREMA 1.4 Sia a > O} a i= l , y > O. Esiste un unico n·u mero reale :x; tale che
ax = y.
Tale numero prende il nome di logaritmo in base a di y e si indica col simbolo log0 , y .
Quindi, per definizione: a 10ga. Y = y . Le proprietà dei logaritmi, che si deducono da
quelle degli esp onenziali, sono:
siano x, y, a reali pos·itivi, a # 1
X
loga -Y = loffba x - loga y
Va E JR
1
log x =
a Iogx a
= - log i x
a
(x i= 1)
5.4 Approssimazioni
Concludiamo questo paragrafo con qualche osservazione sulle approssimazioni che si
fanno lavorando coi numeri reali. Cominciamo col ricordare che un numero raziona-
le può essere sempre espresso con precisione assoluta 1 sia ricorrendo alla scrittura
frazionaria che a quella decimale (eventualmente con cifre periodiche). Invece non è
possibile, naturalmente, scrivere tutte le cifre decimali di un numero irrazionale, dato
che queste sono infinite e si susseguono senza periodicità. Cosa significa allora "co-
noscere1' o "specificare" un numero irrazionale? Significa conoscere qualche algoritmo
che ci consenta (almeno teoricamente) di scrivere tante cifre decimali esatte quante
ne desideriamo. Nell1esempio (già considerato) del numero irrazionale
0,1010010001 ....
(formato in base alla regola: scrivere una cifra 1, una cifra O, una cifra 1, due cifre O,
una cifra 1, tre cifre O, e così via) è chiaro che potremmo scrivere tante cifre quante
ne desideriamo. In altri casi, come .J2 o log2 3, le cose sono più laboriose, richiedendo
Fesecuzione di calcoli iterativi per determinare ogni successiva cifra decimale; tuttavia,
questi calcoli sono effettivamente eseguibili. Altre volte, in Analisi matematica, un
numero viene specificato in modo non costruttivo, denotandolo come Punico numero
che risolve un determinato problema (una volta che si sia dimostrato appunto che tale
soluzione esiste ed è unica). Si tratta di un modo operativamente meno soddisfacente,
ma teoricamente ineccepibile.
Veniamo ora agli aspetti pratici. Ogni volta che eseguiamo calcoli con una calco-
latrice tascabile, questa scriverà solo numeri con un numero fissato di cifre decimali
dopo la virgola (tipicamente 9). Questo significa che stiamo lavorando solo con numeri
razionali, anzi con un sottoinsieme finito dell'insieme Ql Lavorando con un computer
le _cose migliorano un po', ma rimaniamo comunque nell'ambito di sottoinsiemi finiti
di Q. Occorre naturalmente esserne consapevoli.
Oltre all'approssimazione generata dagli strumenti di calcolo, a volte siamo noi
stessi a non essere interessati a troppe cifre decimali; introduciamo allora volutamente
delle approssimazioni, scrivendo ad esempio
h "-' 1,414.
Si ricordi, a tale proposito, la regola di arrotondamento espressa dai seguenti esempi:
Esplicitamente: l'ultima cifra che si scrive viene arrotondata all'unità inferiore (supe-
riore) se la prima cifra che si trascura è da O a 4 (rispettivamente, da 5 a 9).
6 INSIEMI INFINITI
Accenniamo ora ad una questione fondamentale che ha a che fare con gli insiemi, e
precisamente il problema di come si possa confrontare la "numerosità" degli insiemi
infiniti. Avvertiamo che ciò che diremo in questo paragrafo non sarà dirett amente uti-
© 978-88-08-06485-1 6 Insiemi infinit i 29
lizzato nel seguit o del corso; tuttavia, ci sembra giusto dare spazio a questo problema,
al tempo stesso così naturale e difficile4 .
Affrontiamo il discorso a partire dagli insiemi numerici notevoli che abbiamo
introdotto: N, Z, Q, JR. Chiediamoci: quanti sono gli elementi di ciascuno di questi
insiemi?
Intuitivamente, la risposta sembra ovvia: ciascuno di questi insiemi ha infiniti
elementi; tuttavia i numeri razionali sono più numerosi dei numeri interi, essendo
Z e Q, e per lo stesso motivo i numeri reali sono di più d ei numeri razionali. Queste
risposte pongono però un problema: come possiamo affermare, al tempo stesso, che
due insiemi sono entrambi infiniti, ma uno è più numeroso dell'altro? Com'è possibile,
in generale 1 confrontare la numerosità degli insiemi infinit i? Ad esempio, ci sono più
punti in una sfera o in un piano? (In questo caso, nessuno dei due insiemi è contenuto
nell'altro).
P er dar senso a queste domande, prima ancora che per sapervi rispondere, occorre
definire cosa si intenda per uguale numerosità di due insiemi. Astraendo dall'espe-
rienza del contare gli elementi di u n insieme finito, si è giunti a identificare l 'idea di
uguale numerosità con quella di corrispondenza biunivoca.
DEFI N I ZIONE 1.5 Due insiemi A, B si dicono di uguale cardinalità o potenza (termini
che traducono l'idea intuitiva di numeros,ità) se possono essere messi in corrispondenza
biunivoca tra loro, cioè se esist e una legge che associa ad ogni elemento di A uno e
un solo elemento di B , e viceversa.
z o 1 -1 2 - 2 n -n
N
Io I I2 I3 I
1 4
I
2n- l
I2n
Come si vede, la legge ora d efinita realizza una corrispondenza biunivoca tra Z e N.
Quindi, anche se dal punto di vista dell,inclusion e Z ha "più elementi" di N (nel senso
che ha tutti gli elementi di N più altri), gli insiemi hanno la stessa cardinalità (si dice
anche che sono equipotenti) . In questo senso, quindi, vanno p ensati come ug'ualmente
numerosi.
DEFINIZIONE 1.6 Si dice numerabile un msierne che ha la stessa cardinalità
di N.
4 Le
ricerche sulla numerosità degli insiemi infiniti iniziarono nel 19° secolo con Bolzano, Dedekind,
e soprattutto Cantor, il cui nome è legato in maniera speciale a questo teina.
30 Capitolo 1. Numeri © 978-88-08-06485-1
1 2 3 4 5 6 7 8 9 ...
1 1 2 I 3 1 2 3 4
I 2 T 3 l 4 3 2 I .. .
(si noti che abbiamo saltat o 2/2 perché u guale a 1/1, già incontrato). Questo d imostra che
Pinsieme dei razionali positivi è numerabile; allora anche Q è numerabile, e questo si può
provare con una d imostrazion e analoga a quella con cui abbiamo provato che Z è numerabi le:
detti qt, q2, q3, . .. i razionali positivi, si p one :
2 3 4 5 6 7
Q
Io I I I I I I
che realizza una corrisp ondenza bi univoca tra N e Q.
•
Aver scoperto che diversi insiemi infiniti, uno propriamente contenuto nell'altro
(N, Z, Q), h anno la stessa cardinalità, potrebbe far pensare che questo sia vero per
tutti gli insiemi infiniti. Ciò non è vero. Infatti, si dimostra che:
TEOREMA 1.6 JR non è numerabile.
r3 = O.a31a32a33 . . .
© 978-88-08-06485-1 6 Insiemi infiniti 31
Con questa definizione risulta bi =/::. aii per ogni i. Si noti che il numero r è stato costruito
ragionando sulla diagonale de.Ila tabella infinita che ha per righe i uumeri ri, da cui il nome
del procedimento.
Osserviamo ora che r è un numero reale appartenente all'inLervallo [O, 1] (perché è del
tipo 0.b1 b2b3 ... con tutte le cifre uguali a 4 o 5) e d 'altro canto no11 è uguale a nessuno dei
numeri ri dell'elenco, in quanto:
r =/::. ri perché la prima cifra di r è diversa dalla prima cifra di ri (perché b1 i= a11);
r =/::. r2 perché la seconda cifra di r è diversa dalla seconda cifra cli r2 (perché b2 =/::. a22);
r =/::. r3 p erché ...
Ma questo porta a una contraddizione, avevamo supposto che gli ri esaurissero completamen-
te l'insieme dei numeri reali dell'intervallo [O, l ]. Dunque [O, L] non è numerabile.
Poiché N non può c::;scrc messo in corrispondenza biunivoca con JR, ma può esseT messo
in corrispondenza biunivoca con un sottoinsieme proprio di JR (N stesso!), diciamo che
N ha cardinalità minore di JR. Ecco quindi com'è possibile dé:tr senso al confronto tra
la "numerosità" di due insiemi infiniti.
Notiamo anche che l'intervallo [O, 1], anzi qualsiasi intervaJlo di JR (aperto o chiuso,
limitato o illimitato) ha la stessa cardinalità di JR. In altre parole, la retta non ha una
cardinalità maggiore del segmento, ma la stessa. Questo fatto si può dimostrare ad
esempio con una costruzione geometrica elementare, che realizza una corrispondenza
biunivoca tra punti della retta e di un segmento come quella in figura 1.7.
''
--
Figura 1.7. I punti del segmento (aperto) AB sono messi in corrispo nde nza biunivoca con i punti della
rett a, t racciando opportuni segmenti dai due punti fissati P1 , P2 a lla retta stessa.
La cardinalità di JR prende il nome di potenza del continuo. Non solo ogni intervallo
di JR ha questa stessa cardinalità. Si può dimostrare che lo stesso vale per il piano, per
lo spazio tridimensionale e per i loro sottoinsiemi "cont,inui" : per esempio, un piano
e una sfera hanno entrambi la potenza del continuo.
32 Capitolo 1. Numeri © 978-88-08-06485-1
Ahhi::imo incontrato fin qui solo due livelli gerarchici di infinito: la potenza dcl nu-
merabile e quella dcl continuo. Non si deve credere che esistano solo queste due: ad
esempio, l'insieme di tutti i sottoinsiemi di R è ancora più numeroso di R; anzi con
questo procedimento si può sempre costruire un insieme più numeroso di un insieme
dato:
TEOREMA 1.7 Sia A un insieme qualsiasi (finito o infinito!) e P (A) il suo insieme
delle parti. Allora la cardinalità di P (A) è sempre maggiore della cardinalità di A.
Una dimostrazione di questo teorema è suggerita nell'Esercizio 7 dei Complementi in
fondo a questo capitolo.
P erciò i livelli gerarchici delle cardinalità infinite sono anch'essi infiniti.
Lo studente rifletta sulla differenza tra le due frasi appena scritte. La sottigliezza
della dimostrazione per induzione è tutta lì. Diamo un paio di esempi significativi di
applicazione di questo metodo:
cioè 1 2'.: 1, evidentemente vero. Supponiamo che sia vero per n , e proviamolo per (n + 1).
T E OREM A 1.9 (FORMU L A DEL BIN OMIO DI N E W TON) Per ogni 'intero n > o. con
a, b E JR,
D IMOSTRAZIONE. (Questo r isultato è stato già enunciato nel paragrafo 2.3; ora ne forruamo
una dimostrazione). Per induzione sun . Per n = O l'asserto è
(a+b) =
0
(~) a0 b0 , cioè l = I ,
vero. Sia vero p er n, e dimostriamolo per (n + 1).
=(a+ b) t (~)
k=O
akbn-k = t (~)
k=O
ak+Lbn- k + t
k= O
(~) akbn fl- k =
Chiediamoci ora che cosa giustifichi la validità del procedimento di dimostrazione per
induzione dal punto di v ista formale, e non puramente intuitivo. Per rispondere, si
consideri anzitutto la seguente riformulazione del principio di induzione nel linguaggio
degli insiemi:
"Sia S un sottoinsieme di N. Se O ES e, per ogni n E N, se n ES anche n + 1 ES,
allora S = N" .
Formulato in questo modo, il principio di induzione viene ad essere uno degli
assiomi del sistema dei numeri naturali; in altre parole, questo significa che la validità
di questo principio è parte della definizione dell'insiem e N. La situazione è analoga
a quella che abbiamo incontrato parlando della proprietà dell'estremo superiore: la
validità della propriet à d ell'estremo superiore ( ai:isioma di continuità) è parte della
definizione dell'insieme R dei numeri reali.
Lo studente dimostri per induzione le seguenti identità, alcune delle quali si sono già
incontrate nel pararagrafo 1.2:
G La formula per la somma dei primi n interi:
~k
Lt -- -
n (n
-- +-
I) per ogni intero n ~ 1.
2
k=l
n l - qn+l
~l = per ogni intero n ~ O e numero reale q =/= 1.
Lt l - q
n-1
I: (2k + 1) per ogni intero n ~ 1.
k= O
(a, b) + (- a, - b) = (O, O)
dunque (-a , -b) è l'opposto di (a, b) .
36 Capitolo 1. Numeri © 978-88-08-06485-1
Se
(a, b) -/=(O, O) allora (a, b) · (a 2 : b2 , a2 - : b2 ) = (1, O)
dunque la coppia (a/(a 2 + b2 ) , -b/(a2 + b2 )) è il reciproco di (a, b) .
Dunque le proprietà R 1 , R2 (vedi par. 3) sono verificate per la somma e il prodotto
così definiti e perciò l'insieme JR.2 così strutturato è un campo, che chiameremo campo
dei numeri complessi e indicheremo con C.
Osserviamo ora. che <C cont iene il sottoinsieme <C0 delle coppie c1el tipo (o., O); esso
è un sottocampo di C , poiché somma e prodotto di coppie di questo t ipo sono ancora
coppie dello stesso tipo; infatti si ha:
Inoltre <Co può essere ordinato ponendo (a, O) < (b, O) se a <b. Se allora mettiamo in
corrispondenza biunivoca l'insieme dei numeri reali JR. con Co, ponendo
(a ,O) ~ a
possiamo identificare i numeri reali a con i numeri complessi del tipo (a, O).
In questo senso il campo dei numeri complessi (['. è un ampliamento di quello dei
numeri reali JR..
Consideriamo ora il numero (O, 1). Esso ha la singolare proprietà che:
(O, 1) ·(O, 1) = (- 1, O)
cioè il suo quadrato co'incide col numero reale - 1! Per questa ragione la coppia
(O, 1) merita di essere indicata con un simbolo speciale: la indicheremo con "'i" e
la chiameremo unità immaginaria.
Con questa notazione le regole (8 .1) e (8.2) sono le ordinarie regole del calcolo letterale,
ove si tenga conto che i 2 = - 1:
(a + ib) + (e + id) = (a + e) + i (b + d)
(a + ib) · (e + id) = (ac - bd) + i (ad + be)
La scrittura
(8.3) z =a + ib
è detta forma algebrica dei numeri complessi; a si chiama parte reale di z e si indica
con Re(z), b si chiama parte immaginaria e si indica con Im(z).
© 978-88-08-06485-1 8 Numeri complessi 37
Piano complesso
In un piano cartesiano, rappresentiamo i numeri complessi a+ 'ib come punti di coor-
dinate (a, b): ecco una semplice e comoda immagine geometrica del campo complesso.
In questo contesto, il piano viene detto piano complesso o pfono di Ga'USSi gli assi x, y
si dicono asse reale e asse immaginario: i punti sull'asse reale sono i numeri reali, i
punti sull'asse immaginario sono i numeri immaginari puri (cioè del tipo ib).
La somma di due numeri complessi è il numero complesso che ha per coordinate
la somma delle coordinate: il significato geometrico di questo fatto è che il punto z + t
si costruisce a partire dai punti z, t in base alla "regola del parallelogramma" (vedi
fig. 1.8).
t+z
t -z
Figura 1.8.
Abbiamo visto che C soddisfa gli assiomi di campo; non soddisfa però quelli di campo
ordinato, ovvero non è possibile definire una relazione < tra i numeri complessi, in
modo che valgano le proprietà elencate nel paragrafo 3 (in particolare, la R.3 ) . Infatti
si può dimostrare che da quelle proprietà segue che il quadrato di un numero qualsiasi
non è mai negativo, e d 'altra parte, se un numero è positivo il suo opposto è negati·vo.
Ora, in C si ha:
2 2
1 = 1 e i = - 1
Abbiamo quindi due quadrati che sono l'uno l'opposto dell'altro. Nessuno dei due
però può essere negativo (perché sono quadrati), e questo è assurdo (perché tra a e
- a uno dev'essere negativo, se a f. O). Concludiamo che C non è un campo ordinato .
z- z = 2bi = 2iim(z)
38 Capitolo 1. Numeri © 978-88-08-06485·1
a) lzl 2: O e lzl = 0 ~ z =0
b) lzl = lzl
e) IRe(z)I s; lzl IIm(z)I s; lz l lzl < I Re(z)I + JIm(z)J
(8.4) d) Jz1 + z2J s; lz1l + lz2I (disuguaglianza triangolare)
ovvero a
l
© 978-88-08-06485-1 8 Numeri complessi 39
I
I
I
I
I
I
I
Figura 1.9.
Vediamo come si può risolvere un 'equazione nel campo complesso, quando questa
coinvolge l'incognita z = x + iy anche attraverso Rez, Imz, z, lzl.
2
ID z + iimz + 2z = O
Z2 = (X + iy
. )2 = X2 - y2 + 2·ixy
i l mz = iy
2z = 2 (x - iy) = 2x - 2iy
(x2 - y
2
+ 2ixy) + (iy) + (2x - 2iy) = O
Ora, un numero complesso è zero se e solo se la sua parte reale e parte immaginaria sono
zero. Perciò mettiamo in evidenza la parte reale e la parte immaginaria del primo membro
40 Capitolo 1. Numeri © 978-88-08-06485-1
(x
2
- y
2
+ 2x) + i (2xy + y - 2y) =O
x 2 - y 2 + 2x = O
{ 2xy - y =O
1
y= O O X = -
2
Per y = O la prima equazione diventa
x
2
+ 2x =O
che dà
X= 0 O X = - 2
Per x = ~ la prima equazione diventa
-y
2
+ -45 = o
che ha soluzioni
y =±-
·./5
2
Quindi le soluzioni sono:
z =O Z = - 2 Z =
1
-
. .j5
+i- z= -
1
-
.vs
i -
2 2 2 2
L'equazione ha 4 soluzioni.
Il metodo visto in quest 'esempio (passare alla parte reale e immaginaria dell'equazio-
ne) è applicabile in linea di principio ad ogni equazione in C. In pratica, un generico
sistema di due equazioni in due incognite è quasi sempre insolubile per via algebrica.
Perciò prima di mettersi su questa strada è bene osservare se non ce ne sia una più
semplice.
z = a+ ib b
fJ = arg(z)
Figura 1.10.
a
(8.8) cosB = ---::===
Ja2 + b2
sin() = b
Ja2 + b2
I
v'3+i
Abbjamo p = Ja2 + b2 = J3+T = 2;
Formule di De Moivre
La forma trigonometrica è comoda per esprimere prodotti e quozienti di numeri
complessi. Se abbiamo infatti
otteniamo
z1z2 = P1P2 { cos ()i cos B2 - sin fh sin B2 + i(sin B1cos82 + cos 81 sin B2)} =
(8.9)
= P1 P2 { cos (81 + B2) + i sin (()1 + 82) }
Se z2 =I=- O, abbiamo
z1 P1 cos f:Ji +i sin B1
z2 P2 cos B2 + i sin B2
Moltiplicando numeratore e denominatore per cos 82 - i sin 82 e tenendo conto che
( cos 82)2 + (su1 612) 2 = 1 abbiamo:
(8.12) Z1Z2 ... Zn = P1 P2 ... Pn { cos(B1 + 02 + ... + Bn) +i sin (81 + 82 + ... + Bn)}
Se poi i fattori sono tutti uguali, otteniamo:
Quindi
1(1 I i)
7
1= ( hf = 8v'2 arg (1 + i) 7 = ~7r
Di conseguenza:
© 978-88-08-06485-1 8 Numeri complessi 43
Risolvere l'equazione
z3 - lzl = O
Sostituire z = x + iy e separare parte reale e parte immaginaria è possibile, m a porta a
calcoli algebrici u n po' pesanti. Se riscriviamo l'equazione nella form a
z3 = lzl
possiamo invece n ot are che ambo i membri si esprimono facilmente se sj p one z = p( cos () +
i sin O), ovvero se si usa la forma trigonometrica. Infatti:
e l'equazione è soddisfatta se e solo se i due membri hanno moduli uguali e argomenti che
differiscono per multipli di 27r, ovvero (il secondo membro ha argomento O) :
p3 = p
{ 30 = 2k7r conk E Z
- moltiplicare per (1 +i) significa eseguire una dilatazione di coefficiente ../2 e una
rotazione di 7r/ 4.
Pk = rl/n
(8.14) k=O,l, ... ,n - 1
44 Capitolo 1. Numeri © 978-88-08-06485-1
I
I
Z1 = - 1
Z2
Z2 = .!2 (1 - v'3i) Figura 1.11.
La disposizione delle radici cubiche dell'esempio precedente nel piano di Gauss non
è ca.suale. Infatti se w = r( cos c.p + i sin c.p) le radici n-esime zo, z1 , ... , Zn- l di w si
trovano ai vertici del poligono regolare di n lati inscritto nella circonferenza di centro
O e raggio r 11n , con il vertice zo posto nel punto di argomento()= c.p/n.
Nella figura 1.12 sono rappresentate le radici seste di i : zo, z1, ... , z5 .
ysr-;:;;
V~ [cos ( 4
.!!. + 2krr) + i sin ( ~4 + 2kn)]
5 5
con k = O, 1, 2,3,4
Gli angoH trovati non sono notevoli, ma volendo si possono calcolare seni e coseni in modo
approssimato, usando una calcolatrice.
© 978-88-08-06485-1 8 Numeri complessi 45
I
I
I
o I
I
l
Figura 1.12.
az
2
+ bz + e= O
con coefficienti a, b, e E C, si risolve con la "solita" formula
m z2 + 2iz - VJi = O
- 3i; - 5; -J3 +i
Calcolare modulo e argomento dei numeri:
1 +i./3 l+ i l +i
1- i 1-i v'3 +i
(il Disegnare nel piano complesso il luogo dci punti z tali che:
1
i) lzl = lz +il ii) Re (z
2
) >2 iii) Im -
z
= -1
Verificare che, V z E C:
jzJ 2: R e (z) jzj 2: Im (z) lzl :S jRe (z)I + jl m (z)j
l -iJ3 1-
(-
i)3 (1 + i)
2o
(1 - i) 11
1 +i 1 +i
Risolvere le equazioni
2
a) (z - 2) 3 = -i b) z - (4 + i)z + 4 + 2i =O
Calcolare le seguenti radici n-esime nel campo complesso. Quando l'argomento di Vlz
è un valore notevole, riscrivere in forma algebrica le radici (ad esempio: 2 ( cos i + i sin i) =
J3 +i) .
\/- 2 - 2v'3i
O Disegn are nel piano complesso i seguenti insiemi:
l
© 978-88-08-06485-1 8 Numeri complessi 47
COMPLEMENTI
1 Iel paragrafo 1.1 si sono definite l'unione e l'intersezione di due (e quindi di un
numero finito) di insiemi, e si è mostrata l'analogia tra unione e "o", intersezione ed "e" .
Consideriamo ora una famiglia infinita Ai , A2 , A3 , ... di sottoinsiemi di un insieme fissato X.
Come si potrebbero definire rigorosamente la loro unione e intersezione infinita, cioè
LJ An, n A n?
00 00
n= l n=l
Suggerimento: non si possono usare infinite "e" od "o", bisognerà invece usare opportuna-
mente i quantificatori.
3 Dimostrare le proprietà dei coefficienti binomiali (2.3) enunciate nel paragrafo 2.3
mediante un calcolo algebrico diretto (e non per induzione).
5 Dimostrare che l'intervallo [O, l ] e il quadrato [O, 1] x [O, 1] hanno la stessa cardinalità.
Suggerimento: rappresentare in forma decimale O.a1a2a3 ... gli element i di [O, l ], e trovare
un algoritmo esplicito che associ, biunivocamente, ad ogni elemento di questo tipo una coppia
ordinata di elementi di questo tipo.
1 IL CONCETTO DI FUNZIONE
Il concetto di funzione è centrale in m atematica, ed estremamente generale. Dal punto
di vista fisico, si può dire che questo concetto nasca per descrivere matematicamente
quello di grandezza variabile. Esempi di grandezze variabili sono pres~:mché ovunque
attorno a noi: la posizione di un oggetto mobile, o la sua velocità, la temperaLura
in una stanza, la densità di un oggetto, i prezzi delle merci ecc. Si potrebbe pensare
che, dopo tutto, queste grandezze sono espresse da numeri, per cui non c'è bisogno
di introdurre alcun nuovo concetto per descriverle. Tuttavia, dfre che, ad esempio,
la velocità di un'automobile è espressa da un numero è un'affermazione piuttm;to
imprecisa, perché un numero può indicare solo la velocità in un istante fissato. Più
in generale: i numeri, di cui finora ci siamo prevalentemente occupati, sono adatti
a esprimere grandezze costanti; p er esprimere grandezze variabili ci vuole un'idea
diversa. Ora, un'analisi logica del concetto di grandezza variabile mos tra che questa
coinvolge sempre una relazione tra due grandezze: la velocità di un'automobile varia
al variare del tempo; la densità di un oggetto può variare da p·unto a punto; in altre
parole:
Questa dipendenza segue, di volta in volta, una certa legge. Vediamo alcuni esempi
di questo tipo, che ci perrnetLeranno di precisare una caratteristica fondamentale del
concetto di funzione:
k(i) = (1 + li2)12
Cioè:
i 1-----t k(i) =capitale alla fine dell'anno
• La potenza P di una lente dipende dalla lunghezza focale f secondo la formula
P=~
i
(se f è misurata in metri, P è espressa in diottrie).
In ciascuno degli esempi precedenti, a un numero reale (ingresso) viene associato
univocamente un altro numero reale (uscita) . È proprio l'univocità della corrispon-
denza a caratterizzare una funzione. In generale, gli ingressi ammissibili per una data
corrispondenza sono soggetti a restrizioni naturali, legate a11a natura stessa della
corrispondenza.
Nel primo esempio il numero reale "di partenza" ha il significato di tempo; imma-
ginando di lasciar cadere l'oggetto a un tempo iniziale t = O è evidente che ci si dovrà
limitare a tempi t 2':: O.
Nel secondo esempio, evidentemente dovrà essere O :Si :S 1. Infine, nel terzo esempio,
dal significato di f , deve essere f > O, mentre la formula impone ulteriormente f > O.
L'insieme dei valori "di partenza" ammissibili per una data funzione prende il
nome di dominio.
Spesso si usano le locuzioni varia.bile indipendente per indicare un ingresso generico
e variabile dipendente per indicare l'm;cita.
I prossimi esempi sono di tipo un po' diverso:
1 Questa definizione moderna di funzione è dovuta a Dirichlet, in una memoria del 1837.
© 978-88--08-06485-1 1 Il concetto di funzione 51
f : A. -+ B
f :X I-+ f (x)
(che si legge "!associa f (x) ad x") indica come la funzione f agisce s ugli elementi.
Il simbolo f (x) indica il valore che la funzione f associa ad x, e non va confuso col
simbolo f , che denota la funzione st essa.
k : [O, 1] - t JR
. )12
k :i I-+
(1 + 17,2
scatola nera
X ~~~~~~~~~~+;
J 1------- -- - -- .-
- f (x)
input output
Figura 2.2.
• le funzioni f : JRn ~JR= di tipo lineare, dette anche trasformazioni lineari, di cui
si occupa l'algebra lineare;
Infine, nello studio del calcolo differenziale e integrale) incontreremo anche alcuni
esempi di funzioni dcfirùte tra insiemi che, a loro volta, hanno per elementi altre
fun1.:ioni. Come si vede, il concetto di funzione (come quello di insieme, introdotto nel
cap. 1) fa attualmente parte del linguaggio cli base della matematica, che unifica trn
loro concetti e oggetti molto diversi.
f :D ~ JR con D ç JR
f: X ~ f(x)
Le funzioni più comuni, come vedremo, hanno come dominio e come immagine w1
intervallo (che eventualmente è tutto JR) o l'un'ione di un numero finito di intervall'i
(cfr. par. 4.4 del cap. 1).
La dipendenza di f (x) da x si visualizza efficacemente disegnando il grafico di f,
ossia l'insieme dei punti del piano di coordinate (x , y) con
y= f(x)
e x variabile nel dominio D (v. fig. 2.3). Per le funzioni più comuni, il grafico è una
curva, nel senso intuitivo del termine.
La proprietà fondamentale che fa di f una funzione, ossia il fatto che ad ogni
ingresso x E D faccia corrispondere una e una sola uscita f (x) E JR, ha allora il
seguente significato geometrico: '
a X b
ognj retta parallela all'asse delle ordinate che taglia l'asse delle ascisse :in un.
punto x dcl dominio D, interseca il grafico di f in uno e un sol punto.
Figura 2.4. Questa curva non è il grafico di una funzione: all'ingresso x quale uscita J(x) corrisponde?
Si noti che, invece, nulla impedisce che una retta parallela all'asse delle ascisse tagli
il grafico di f in più punti (o in nessun punto).
Per le funzioni reali di variabile reale si pu~sono introdurre alcune importanti
nozioni, che non sempre hanno senso per funzioni di tipo più generale.
1
X 1-----t x3 X 1-----t x2 .x ~ --2
l +x
non limiLa.La
(né superiormente, limitata inferionnentc limitata
né inferiormente)
Figura 2.5.
y y
-a -x
-a X X a X a
- f(x)
grafico di mm fum:ione pari grafico di u na funzione dispari
Figura 2.6.
© 978-88-08-06485-1 2 Funzioni reali di variabile reale 55
Notiamo che una funzione non può, invece1 avere il grafico simmetrico rispetto all'asse
x: per quanto osservato nel paragrafo 2.1, una curva con tale simmetria non sarebbe
il grafico di una funzione, venendo meno l'w1ivocità della corrispondenza..
Figura 2.7.
/ /
/ /
/ /
/ /
-+"--:'l~-t-~---+--JL__-+-~-+--.'~-1-~--t---,f---+-~---<,._..l----+-~~1---1----+-~~+--~I~~~~
/
- GI 1 - 5 5 6 I
I I
I I
3 FUNZIONI ELEMENTARI
Esaminiamo in questo paragrafo alcune tra le più comuni funzioni numeriche, evi-
denziandone le proprietà principali e segnalandone uso e interpretazione in qualche
contesto applicativo.
Lo studente conoscerà già, probabilmente, la maggior parte di queste funzioni .
Si t enga presente che le proprietà che qui richiameremo brevemente (proprietà alge-
briche e loro utilizzo, grafici, ... ) devono essere possedute con padronanza, per poter
procedere con efficacia nello studio del calcolo infinitesimale. Lo studente che trov&:;se
difficoltà, ad esempio, nello svolgere gli esercizi riportati alla fine di questo capitolo,
è invitato a dedicare qualche t empo allo studio di questi argomenti elementari.2
(3.1) I f (x) = kx 0
j (o. :f O)
dove k e a sono numeri reali. In generale, queste funzioni sono definite solo per x 2: O,
se a> o>e per X> o, se a< O.
La (3.1) indica che ruscita f(x) è proporzionale, secondo la costante di proporzio-
nalità k, a xo: . Cominciamo a passare in rassegna alcuni esempi di funzioni potenza
che si incontrano in applicazioni di vario tipo, quindi faremo alcune puntualizzazioni
generali.
Negli esempi sottostanti usiamo lettere più appropriate alla situazione, per Pin-
gresso e l'uscita .
Capacità di un condensatore
In un comune condensatore, la quantità di carica Q presente sulle armature e la
differenza di potenziale 6.V esistente tra queste sono legate dalla formula
y = kx k = tg () = pendenza
sull'asse x
Figura 2.9.
Trasformazioni isoterme
In una trasformazione a temperatura costante di una mole di un gas ideale, pressione
e volume sono legati dalla legge
RT
p =-
v
Cioè: p è inversamente proporzionale a V secondo la costante RT, dove R = 1,986 cal/K
e T è la temperatura assoluta.
(a = - 1 nella ( 3 .1))
Al variare di k (che qui consideriamo > O) si ottiene una famiglia di iperboli equilatere.
58 Capitolo 2. Funzioni di una variabile © 978-88-08-06485- 1
I
I - -- - . y = k1
-
I :e
I
I
k1 >k
I y=k
\
\ :i;
'\
'\
''
---
.....
''
'\\
\
I
I
I
I
I
I
Figura 2.10.
y = k2.T2 y = k2 xi1
y = kx 2
I
I y = kx3
I
y = k1x2 I
' /
/
/
I
I
I
/
/
I
/ I /
/ / /
/ /
/
/ '//'
/ /
/ /
/ I
/ /
/ f
I
I
I
I
Figura 2.11.
h
Si t ratta di una legge del tipo
A
IJ(x) = kvxl
Figura 2.12.
(o:= ~ nella (3.l))i i cui grafici al variare
di k sono illustrati sotto.
Figura 2.13.
Trasformazioni adiabatiche
In una trasformazione adiabat ica di una mole di un gas ideale, pressione e volume
sono legati dalla formula
e
p = Vì' (e dipende da Re T)
X 2/:3
::r f>/:~
Figura 2.14.
x - 1n
:1: - 1/2
Figura 2.15.
© 978-88-08-06485-1 3 Funzioni elementari 61
In questi casi la funzioné è strettamente decrescente in (O, +oo), ment re in (-oo; O),
se è definita, basta tener conto della simmetria di f per decidere se cresce o decresce.
Per le funzioni potenza a esponente reale (ma non razionale) la casistica si sem-
plifica, per,c hé f(x) non è definita per x <O. Precisamente, f(x) = k.1/-"- è definita per
~e ~ O se a: >O, per x > O se a: <O. Le situazioni possibili sono le seguenti:
3.5
a>l
3 -
2.fi
1.5. -
0.5
o
f(x) = x"
0.5
X > 0, O'> 0
-1
-1 o 1 2 3 4
g:lRi--------------IR g(x) = ax
a< 1
a) b)
Figura 2.17. a) Grafico di f(x) = loga x; b) grafico di g(x) = àx.
La base naturale
Tra le funzioni esponenziali e logaritmiche, si incontrano con partico1are frequenza
quelle la cui base è. il numero e di Nepero. Si tratta di una costante molto importante
in matematica, che sarà definita e trattata ampiamente nel prossimo capitolo 3. Per
ora è sufficiente sapere che e vale circa 2, 7, perciò le funzioni éc e logc :r: (che scrivere-
mo semplicemente log x sottointendendo la base e) hanno i grafici caratteri0tici delle
funzioni esponenziali e logaritmiche di base maggiore di 1.
Notiamo che una funzione esponenziale ax (di base qualsiasi, positiva e diversa da
1) si può sempre esprimere nella forma èx, scegliendo b = log a .
Q
e R
a) b) t
Figura 2.18. La carica decresce secondo la legge esponenzia le (3.4) come indicato in b).
La fun;,ione in (3.4) si può 8crivere nella forma q(t) = Qat con a= e-l/r < 1.
Nella. tabella seguente sono raccolte le principali proprietà delle funzioni in oggetto.
Le altre proprietà algebriche dei logaritmi sono state richiamate nel capit olo 1.
._
La prima si ricava dal fatto che Psi trova sulla circonferenza di equazione u 2 +v 2 = 1;
la 8econda segue dalla similitudine dei triangoli OPQ e OT A ; la terza segue dalla
similitudine dei triangoli OPQ e OBS.
Nella seguente tabella sono raggruppate le principali proprietà delle funzioni seno,
coseno, tangente.
64 Capitolo 2. Funzioni di una variabile © 978-88-08-06485-1
V T
B = (0,1) cotg x tg X
s
sin x
o COS X Q A = (1, O) u
Poiché sin x = cos (x - ~) ricaviamo che sin x si ottiene da cos x con uno sfasamento
di x pari a 1, ossia, il grafico di sin x si ottiene da quello di cos x traslandolo a destra
di ~ (v. fig. 2.20).
asintoto
~ - / --........s---.
.I / .I
.I .I
I I
- 271" X
COS X sin x tg X
asintoto
s-- <" ~
-------- y ~ -------- 1
-11" 11"! X
2 2 I
\
Figura 2.20. Grafici di y = cos x, y = sin x, y = tg x ey = cotg x.
· In sintesi
asinwt + bcoswt = Asin(wt + cp)
a= A~oscp
{ b = Asm cp
27r rp //
-w- / /
/
/ X
w
I
1-A
k - -- ---
21f - - -- - ->-!
w
h(t) = t sin wt (t 2: O)
e quindi il grafico di h si trova tra i grafici delle rette di equazione y = -l., y = l. Nei
punti in cui sinwt = 1, cioè t = 2: + k2;: (k =O, 1, 2 1 • • • ) , il grafico di h tocca quello
di y = t, mentre nei punti in cui sin wt = -1, cioè t = t
+ k :; , il grafico di h tocca
quello di y = -t.
© 978-88-08-06485-1 3 Funzioni elementari 67
/- y = t
/
/
/
/
/
// I
/
/ i
/
/
ar. + k: 27f
2w w
/;
7f +k 27f
'' 2w ùJ
''
'
''
'
''
'' y=- t
Dal grafico si vede come la rnoltiplica.zionc~ per t abbia l'effetto di una mn plifica.zione
della vibrazione, all'aumentare di t.
Analogamente, la funzione
k(t) = e - o:t sinwt (a> O)
rno.dellizza una vibrazione smorzata.
Ricotdarrdo che .e - tt.t = ( 01"') t è un'esponenziale con ba.se minore di 1, considera-
zioni analoghe a quelle svolte per la funzione h, indica.no che il grafico di k è compreso
tra. i grafici delle funzioni Y1 = e - cd e Y2 = - e - ot, come in figura:
4
3
2
- i) -4 -3 - 2 -1 1 2 3 4 5
- - - ; -1
-2
-3
-4
-5
La mantissa, o parte decimale di x, indicata con (x) oppure mant(x), è definita da:
(:x:) =X - (.1;].
Ad esempio, si ha:
(2,38) = 0 ,38;
(3) = O;
(-1 ,8) = 0:2.
La manfo;sa quindi non è un intero ma un numero reale, compreso in [O, 1). Per i
numeri positivi, si ottiene semplicemente "buttando via le cifre prima della virgola" ,
per i numeri negativi la mantissa è il complemento a uno del numero che si ottiene
buttando via le cifre prima della virgola.
© 978-88-08-06485-1 3 Funzioni elementari 69
- 5 - -1 - 3 -2 -1 1 2 3 4 5
Si noti che la mantissa è una funzione periodica di periodo 1; si tratta di una semplice
funzione periodica di tipo diverso da quelle trigonometriche.
3) (Chx) 2 - (Shx) 2 = 1
Sh(x + y) = ShxChy + ShyCh x
Ch( x + y) = Ch xCh :y + Sh y Sh x
Thx + Th y
Th( x+y ) = - - -- -
1 + ThxThy
Sh(2x) = 2 Sh x Ch:z;
Ch(2x) = (Ch x) 2 + (Sh x) 2
I grafici di queste funzioni sono illustrati nella .figura 2.26.
70 Capitolo 2. Funzioni di una variabile © 978-88-08-06485-1
Ch X
~e"'
l
- - - - --
2
Sh :e
r -x ~+ - z r -J
Figura 2.26. Grafici di Shx = e - 2e , Ch :c =e 2
e , Thx =~:i: ~;'. x .
Y1 = f (X) + a, a E JR;
Y2 = f (x +a), a E JR;
Y.3 = k · f (x), k E JR.;
y4 = f(kx), kE:IR.;
Y5 =li (x) I ;
Y6 =f (lxi).
Inoltre, più oper<1.zioni di questi t ipi possono essere effcttmitc in sequenza. P er tanto, a
partire dalle funzioni elementari precedentemente introdotte, è possibile costruire me-
diante queste operazioni i grafici di una grande vari.età di nnove funzioni. Illnstriamo
su ese:mpi il significato e l'azione di queste trasforma'.l.:ioni.
a-
• Consideriamo ancora f (x) = log x . Allora Y2 = f (x +a) = log( x +a) . Essendo log x
definito per x > O, log(x +a) sarà definito per x +a > O e cioè per x > - a. Poiché
log x =O 8e x = 1, i;i ha log(x +a) =O per x +a= 1 e cioè x = 1 - a.
In altri termini il grafico di Y2 si ottiene da quello di y con una traslazione di a
unità a sinistra. se a> O, a destra se a < O.
'2 - 1 I 'l 2
I / I
I
I
I
y = log (x + 2) y = log (x 1)
y = sin :e
1 ,, --- ....
- 1
1
· "'"' ,.,. .- --- -.,c ....... \ ......
I sm x
'' sin x/ 2
0.5 ''
' sin 2x
''
'
- 0.5
- 1
\ I . ./
Per quanto riguarda la riflessione per k < O, si confrontino anche i grafici di log x e
log (- x):
© 978-88-08-06485-1 3 Funzioni elementari 73
1.5
1.0 log :r
log - ::z;
0.5
- 4 - 2 \
\ 2 4
\
\
-\0.5 \
I
I
\
- 1.0',
I
l
I
- 1.5\I
Dunque nel pa?sare dal grafico di .f a quello di l.fl i punti a ordinata non negativa
rimangono inalterati mentre quelli a ordinata negativa vengono trasformati nei loro
simmetrici rispetto all'asse x.
Il grafico di Ili si ottiene perciò da quello di f ('ribaltando'1 simmetricamente
rispetto all'asse delle ascisse la part e del grafico di .f che si t rova nel semipiano inferiore
e lasciando inalterato il resto. Per esempio 1 per le funzioni y = x e y = sin ;r; si ha:
A
y=x
y=sin:i;
y= lxl
y =I sin :i; I
JJ =e'"
Sia
logx sex > 1
f (x) = x 2 se O < x :::; 1
{
x sex:::; O
Un attimo di riflessione mostra che la funzione f è definita su t utto JR e ha il grafico segu ent e:
1.5 "
l.O
0.5 "
- 1.0
- 1.5
Figura 2.34.
© 978-88-08-06485-1 4 Funzioni composte e inverse 75
TI valore f (x) è calcolato median te "istruzioni" diverse a seconda dell'intervallo jn cui cade la
x. Una fun zione di questo tipo si chiama solitamente "funzione definita a tratti" . Dal punto
di vista logico/ algoritmico, si può dire che una funzione di questo tipo ha la particolari là di
essere costruita utilizzando, come "ingredienti", non solo le funzioni matem atiche elementari
discusse fin qui 1 ma anche la funzione logica "se... al lora" .3 .
f :E I----+ JR.
ossia
gof
(f o g) o r = f o (g o r)
ossia
x i---+ I (-) 2
[ 1---f x2 i---+ I cos(-) I i---+ cos( x
2
)
1
--------7
(cos x) 2
2
Figura 2.35. Grafico di y = cos(x2 ) e di (cosx) .
© 978-88-08-06485-1 4 Funzioni composte e inverse 77
Se una funzione f : D - - t JR è tale che f (D) ç D, allora si può comporre con sé stest>a;
la funzione
y = f(x) X = f- 1 (y)
(4.3) { xED
equivale a
{ y E J(D)
Yi--~ I
a) b)
Figura 2.36. a) Funzione non invertibile: all'uscita y corrispondono 3 ingressi. b) Funzione invert ibile.
Se x1 =f. x2, allora o x1 < x2, oppure x1 > x2. Per la monotonia stretta di f , nel primo caso
si ha f (x1) < f (x2), nel secondo f (x1) > f (x2); in entrambi i casi f (x1) =f. f (x2) , p erciò f
è invertibile, Sia ora x = f- 1 (y) la. sua funzione inversa, e proviamo che 1- 1 è strettamente
crescente. Sia dunque Y1 < y2. Se fosse x1 2: x2 (dove Xi = 1- 1 (Yi)), poiché f è crescente
avremmo Y1 2: y2, assurdo; quindi x1 < x2, ossia f - 1 (y1) < 1- 1 (y2), e f - 1 è strettamente
crescente.
Si noti, ad ogni modo, che una funzione può essere invertibile anche senza essere
strettamente monotona, come mostra il prossimo esempio:
~
I
I
I
Figura 2.37.
© 978-88-08-06485-1 4 Funzioni composte e inverse 79
Nel prossimo capitolo, parlando di funzioni continue, diremo qualcosa di più sulle
condizioni di invertibilità per una fonziono definita su un intervallo.
Grafico di 1- 1
Le relazioni (4.3) indicano che se il punto (xo, Yo) è sul grafico di f allora il punto
(yo, xo) sta sul grafico cH 1- 1 . Essendo i p1mti (x0 , y0 ) e (yo, ~;o) simmetrici rispetto
alla bisettrice di equazione y = x, si deduce che il grafico di 1- 1 si ricava da quello
di f per simmetria rispetto alla bisettrice y = x .
« / I
,,,.
(cl,e)
f
(c,d)
(a,b) - - -
(b,a)
f I
f: {Y= x2
X :2: 0
Y= x3
f:
{ X E JR
! I f
f:
y = ax
{ xER
1- 1 : {x = loga y f l
y>O
Essendo somma di due funzioni strettamente crescenti in tutto JR, f(x) è strettamente
crescente e quindj invertibile su tutto JR. Tuttavia, cercheremmo inutilmente di risol-
vere rispetto a x l'equazione x +ex = y. In altre parole, f - 1 esiste, ma non si sa
scrivere esplicitamente.
Si noti che tutte le funzioni potenza: y=x0 '-, per x >O, sono invertibili e le funzioni
inverse x = ylfo. sono ancora potenze (con esponente reciproco di quello della funzione
data) . Lo studente controlli questa affermazione sulla famiglia dei grafici di xa.
Osserviamo anche che le potenze pari: x 2n (n = 1, 2, ... ) non sono invertibili su
tutta la retta, ma solo sulla semiretta x 2". O, mentre le potenze dispari: x 2 n+-1 e le
potenze xPf q con q dispari essendo monotone strettamente crescenti sono invertibili
da - oo a +oo.
1f arcsin x
2
1 Slil X
7f
2 - 1
1i X
: 1
2
._ .......; ___ __ }
I I /
' 1T
Analogamente, un intervallo di monotonia del coseno è [O: 7r], nel quale dunque esso è
invertibile. La funzione inversa si chiama arcocoseno (arcos)
P ertanto:
y = cosx x = arcosy
equivale a
{ x E (0, 7r] { yE[-1, 1]
© 978-88-08-06485-1 4 Funzioni composte e inverse 81
-1 '
~ -·
I
arcos :r - - - - - - COS X
1 I
I •
I 1 I
j
I 7r r I
'
· - · - · _J _ ______
2 I
__l_ _
'
I
7f '
2 I
X
I 2
I
- II - - - - 7r-. I .- .- .-
I -
I I 2
, I
lg X
I ' arctg x
' I
eY = x + Jx2 + 1
poiché eY > O, la soluzione col segno - va scartnta. !limane dunque:
y = log ( x + J x 2 + 1)
Questa è l'espressione analitica della funzione inversa di Shx, che prende il nome di
settore seno iperbolico , e si indica anche con SettShx. È definita per ogni x reale.
La funzione y = Clix è definita in~: strettamente crescente per x ~ O, decrescente
per x :::::; O. Perciò non è invertibile su tutto JR. La sua restrizione a x > O però
lo è. Vogliamo determinare l'espressione analitica della funzione inversa di questa
restrizione.
Con calcoli analoghi ai precedenti, scriviamo
eY + e-Y
x= Chy=
, --
2 -
e risolviamo rispetto ad y :
e2Y - 2xcY +1 = O
eY = x ± Jx 2 - 1
Questa volta entrambi i numeri :r; ± Jx 2 - 1 sono positivi; ricordiamo però che stiamo
ragionando solo per :y 2 O, che equivale a scegliere il segno +. Pertanto:
y = log(a:; + Jx 2 - 1)
Questa è l'espressione analitica della funzione inversa di Chx, che prende il nome di
settore coseno iperbolico, e si indica anche con SettCh:r:. Si noti che è de.finita per
x 2 L Si osservi anche che, mentre ad esempio l'equazione
3 3
2
- 2 2
- 2 - 1 o 2
a) b)
Utilizzando il grafico di f(x) = log :r; e i metodi del paragrafo 3.7, disegnare i grafici cli
Sia .f(x) = sin x. Tracciare il grafico e studiare, aiutau<losi col comput er , come esso si
modifichi moltiplicando .f per x, ;;, ex, e-x .
Dctcrrniuarc dominio e immagine delle seguenti fum~i.oni. Nel caso in cui la funzione sia
inverlil>ile, determinare la funzione inversa
'3
a) Y1 =:i;' +2 e) y3 =xix!
1 sex~ O
f(x) = g(x) = sin x
{
- 1 sex<O
Disegnare il grafico di f o g.
X x2 + 1 x 3 +1
a) 1 + x2 b) xsin 2x c) cos (x 3 ) e) x4 + 2 f) x+ 4
Stabilire con ragionamenti elementari se le seguenti funzioni sono monotone sul loro
insieme di definizione :
1 1
a) - e) sin 2x d) log(l + 2-=r. ) e) 1 + x2
x2
a) x- 2 / 7 b) x-t/s e) x 6 15 d) x1r e) x 11 V2
( 2x - 1)(X + 1) >O X
i) lx - 41~X+2 ii) iii) ~( 1 - x) .::;l+x
X -
..j2x + 1 - 3 <
i) J lx - li< 2 - X ii) {/1 + x3 > x-4 iii) 0
x2 - 4 -
Risolvere le disequazioni:
log-'- (1 + x) = log2 (2 - x)
2
'?
Con lo stesso metodo usato per invertire la funzione Sh x, scrivere la funzione inver-
sa di Thx.
e M EME
1 Dimostrare che la funzione f (x) = x 2 è strettamente crescente per x >O. (Suggeri-
mento: moltiplicare ogni membro della diS'Uguagl-ianza O < x1 < x2 ·u na volta per x1 e una
volta per x2, e confrontare le disuguaglianze ottenute) .
Utilizzando un'idea simile a quella suggeritn, provare per induzione su n che xn è
strettamente crescente in (O, +oo) .
1 Sia f : JR __,. JR una funzione periodica di periodo T. Si dica se le seguenti funzioni sono
periodic;he, ind.icandone il periodo, oppure non lo sono, esibendo in tal caso un contresernpio
esplicito:
fi. (1;) = f (wx) (con w >O); f2 (x) = f (x + e) (con e E JR);
h (x) = \f (x) I ; f1 (x) = f (JxJ);
f5 (x) = f (x2)
B Sia.no f1, h : JR __, JR funzioni periodiche di periodo T1, T2, rispettivame11te. Ci
chiediamo se la funzione fi + f2 è periodica o no, e in ca.so affermativo qual è il suo periodo.
Se vogliarno che risulti
Cf1 + f2) (x + T) = U1 + fz) (x) 'i.lx ,
dovrà essere:
T = n1T1 = n2T2
per due oppor'tnni interi positivi n 1 , n2 . Ne 'segue che T dev'essere un multiplo commie di T1
e T2 . In particola.re•
i) condizione necessaria affinché fi + f2 sia periodica è che il rapporto tra i due periodi
T1/T2 sia un numero razionale,
ii) se questa condizione è soddisfat ta, un numero T che soddisfa la condizioue è il minimo
comune rn.ult'iplo di T1 , 'T~ . Questo numer:o è il periodo di f (oppure un multiplo del periodo
di f , che in tal caSo è più piccolo).
Usando· di questi fotti:
a) Si determinino i periodi delle seguenti funzioni:
,
sin 4x + 3 cos 6x,· tg 6x - 2 cos 8x:, 5. sm
. -3
. X
+ cos -4X
e si controlli il risultato previsto tracciando il gtafico di queste funzioni col computer.
b) Si dimostri che la funzione
sinx +sin (1Tx)
no11 è periodica. (pur essendo somma di due funzioni p_e riodiche), e ci si renda conto cli questo
fat to tracciando il grafico di questa funzione col computer, su intervalli di vad~1 ampiezza.
1 SUCCESSIONI
N: O, 1, 2, 3, ... , n: ...
1
Corso di Analisi per J'Ecole Polytechnique di Parigi.
88 Capitolo 3. Limiti e continuità © 978-88-08-06485-1
Questo è l'esempio canonico di successione. Stabiliamo ora una legge che associa, a
ogni elemento di N (o da un certo intero in poi) un numero (reale) :
n 1---4 an
f : n !--+ an
(o eventualmente, f : { n E N : n 2:: no } - t JR, per un certo no fissato). Il fatto che
il dominio della funzione f sia l'insieme dei nat urali, rende possibile visualizzare la
successione enumerando i suoi valori, nell'ordine in cui essi si succedono al crescere
di n : 2
2I
puntini di sospensione... scritti nella formula seguente dopo an sono fondamentali: significano
che non stiamo considerando soltanto i primi n termini della successione (cioè un insieme finito di
numeri), ma l'intera successione di infiniti termini (in cui n gioca il ruolo di indice muto).
© 978-88-08-06485-1 1 Successioni 89
• • • •
1 2 3 4 5 6
• • •
•
o 1 2 3
Figura 3.1.
Successioni convergenti
DEF I NIZIONE 3.2 Una successione {an} si dice convergente se esiste un numero
l E JR con questa proprietà: qualunque sia e > O risulta definit ivamente
(1.1)
In altre parole: per ogni s > Osi può trovare un intero N (che naturalmente dipenderà
•
in generale da questo e) tale che
ma tale disugnagli<inza, potendo noi scegliere e come vogliamo, può sussistere solo se
li =h.
DEFIN IZIONE 3.3 Il numero l che compare nella (1.1) si chiama limite della succes-
sione { an}, e Ri seri ve della successione
lim an = l
n ->+oo
oppure an ---+ l per n ---+ +oo
(si legge, rispettivamente: il limite, p er n tendente alhnfinito, di an è l , oppure: an
tende a l per n tendente a infinito).
Si noti che la <liouguaglianza ( 1.1) corrisponde, più esplicitamente, alle seguenti <l ne:
(1.2)
Rappresentando graficamente i punti della successione
• •
l+e
l
• • • • •
l - E
•
•
•
o 2 3 4 5 G 7 8 10
Figura 3.2.
1
0.-fostriamo che lim n + = 1 (cosa che si può facilmente sospettare osservando
n-+oo n - 1
l'andamento della successione). Delle due disuguaglianze
. n+ 1
1 - s< - - < l +c
n-l
quella di sinistra è sempre soddisfatta: mentre quella di destra è soddisfatta per
2+c
n> - -
E
Fissato E > O, basterà scegliere N = (2 +c)/e (o uguale al primo intero > (2 + t:)/é) per
soddisfare la condizione richiesta dalla definizione di limite.
© 978-88-08-06485-1 1 Successioni 91
Non risultano convergenti invece le p rime due succcssi011i dell'esempio 1.1. Esse sono
però molto diverse tra loro e conviene introdurre defini:doni che ue wett auo in ritmlto
la diffcrenzi:i..
Questi simboli, +oo e - 00 1 non sono numeri. Se rappresentiamo i numeri reali ::;ulla
rotta euclidea, ogni numero corrisponde a un pu11to e ogni punto a un numero. Con
i simboli +oo e -oo conveniamo di indicare <lue "punti", uno (+oo) sta alla dest ra
di ogni punto di JR e l'altro (- oo) alla sini!::ìtra; a questi due punti non corrisponde
però alcun numero (in altre parole, non possiamo definire sui simboli + oo e -oo le
operazioni di somma e prodotto con le proprietà in<licatc in R 1 e R 2 , anche se, come
vedremo, potremo forc ('parzialmente" queste opera'l;ioni).
L'insieme dci numeri reali JR con Paggiun ta dei due clementi {+oo} e {-oo} sarà
indicato con JR*
R* = JR U {-oc} U { +oo}
Possiamo rappresentare ''visivamente" l'insieme JR* mettendo in corrispondenza biu-
nivoca (fig. 3.3) i punti della retta con quelli di una scmicirconfcrem'..a, proiettando
e
questi ultimi dal centro sulla retta JR:
A e }]
00 • •. . .. +oo
P' o Q'
Figura 3.3.
92 Capitolo 3. Limiti e continuità © 978-88-08-06485-1
Infinitesimi e infiniti
Una successione an tendente a zero si dice infinitesima. Ad esempio, sono infinitesime
le successioni { ~ }, { ~ }, ...
Il concetto di infinitesimo gioca un ruolo centrale ed è fondamentale anche per
avere un'immagine intuitiva corretta ed efficace dei concetti del calcolo infinitesimale.
Vedremo nel par. 2 che il concetto dì infinitesimo nel continuo (cioè parlando di
funzioni) sarà perfettamente analogo. L'idea chiave a cui prestare attenzione è la
seguente:
"infinit esimo" non è un.. "numero infinitamente piccolo" (concetto privo di senso,
se non si vuole che denoti semplicemente il numerò -O) ma una q1tantità variabile
(successione o, come vedremo, funzione), che diviene indefinitamente piccola.
DEFINIZION E 3.6 Si dice che la successioné { an} t ende a l E JR per éccesso (per
difetto), e si scrive
lim an
n~+=
= z+ oppm~e an __,. z+per n __, + oo
(rispettiva.mente:
lim an =
n---+=
z- oppure an __, z- per n __, +oo)
se per ogni e > O si ha che
In sostanza, d ire che an __, z+ significa affermare. che an __, l. e inoltre an ;:::: l
•
definitivamente; dunque an si avvicina ad l "da sopra'', ossia approssima l pèr eccesso.
Si rifletta sui prossimi esempi:
.
1un -n- = 1- ·
n· + 1
n --++qo '
,.n
(- 1 I
lirn - - 1
- = O,
n
n--++oo
TEOREMA 3.1 (DI MONOTONIA) Sia { an} una s·uccessione monotona crescente e
superiormente limitata.
Allora {an } è convergente, l:· il su.o limite. è. uguale a sup {an: n E N}.
Analogamente, se { an} una successione monotona decrescente e inferiormente
limitata, allora { an} è convergente, e il suo limite è uguale a inf {an : n E N} .
94 Capitolo 3. Limiti e continuità © 978-88-08-06485-1
R icordiamo che il simbolo sup { a11• : n E N} denota l'estremo superiore dell'insieme dei
valori an assunti dalla successione.
DIMOSTRAZIONE. Consideriamo l'insieme dei valori assunti <lalla successione, {an : n E N}.
Poiché la succesi:;ione è limitata superiormente, questo insieme è limitato superiormente,
quindi (per la proprietà dell'estremo superiore di cui gode R) esiste il suo estremo superiore,
A = sup {an: n E N} ,A E R
La seconda disuguaglianza è ovvia: per ogni n è an ~ J\ (e quindi a.,. < A + e), perché A è
l'estremo superiore degli an, quindi in particolare è un maggiorante dell'insieme <lei valori
an. Per provare la prima disuguaglianza, consideriamo il numero J\ - e . Ricordiamo che per
definizione di estremo superiore, A è il minimo dei maggioranti del1'insieme { an : n E N}.
Perciò, essendo A - E < A, certamente A - E: non è un m aggiorante dell 'insieme { an : n E N} .
Questo significa che esiste un no per cui
Figura 3.4.
Per esprimere anche simbolicamente che il limite è il sup (o l'inf) di una successione
crescent e (o decrescente) si usa la notazione (di evidente significato):
an rl oppure an l l.
è vero che una successione crescent e e limitaLa di numeri razionali ammette sempre
limite razionale, cioè in IQ.
ao = 0
a2 =O, 1011
a3 = O, 10110111
a4 = 0,1011011101111
e così via. (Al passo n si aggiunge al numero decimale ottenuto al passo precedente una cifra
zero seguita da n cifre uguali a 1).
La successione {an} è evidentemente crescente, e superionnenLe li111itata (ad esempio,
a11 ~ 1). In ~' la succe::isione converge al numero sup {a,,, : n E N}, che dopo la virgola
presenta un allineamento decimale illimitato e non periodico di cifre (una cifra 1, una cifra
O, due cifre 1, una cifra O, tre cifre 1, una cifra O, e così via all'infinito). Quindi il limite della
successione è un numero irrazionale. Quest'esempio mostra che nell'insieme Q il teorema di
monotonia è falso.
Vedremo in seguito che il teorema di monotonia sar à utilizzato per tlimotìtrare impor-
tanti proprietà. delle funzioni continue. Questo teorema quindi costituisce una delle
motivazioni per cui è utile studiare l'analisi ma.tematica nell'ambiente dci numeri reali )
anziché in quello dei numeri razionali.
11 teorema di monotonia si può completare con il prossimo enunciato: che considera
successioni limitate o illimitate:
COROLLARIO 3.2 Sia {an} una s·uccessione monotona crescente. Allora esiste
Si può ar_che dire) sinteticamente: una successione monotona, converge o diverge (non
p1 lÒ essere irregolare).
DIMOSTRAZIONE. Se { an} è superiormente limitata, l'enunciato è contenuto nel t eorema
di monotonia. Se invece {an} è superiormente illimitata, questo significa che per ogni I< >O
esiste un no tale che ari.0 > K. D 'altro canto la successione è crescente, perciò per ogni n ~ no
si ha an 2: an0 >I<. Abbiamo quindi provato che per ogni]{ >O è an > f{ definitivamente.
Questo s ignHìca che rin ~ + oo.
96 Capitolo 3. Limiti e continuità © 978-88-08-06485-1
+oo se q>l
1 se q= l
lim qn
'.11.->-f-OO .
o se lql < 1
non esiste se q s-1
1.3 Il calcolo dei limiti
In questo paragrafo passeremo in ras_segna i teoremi basilari sul calcolo dei limiti. Le
dimostrazioni si basano sulla definizione di limite, sull'u.so di dis:ug'uagl'ianze, e sull'uso
di proprietà de.fìn'itivamente vere. In particolare, questi teoremi illustrano la rela.zione
tra l'operazione di limite e· le strutture algebriche e d'ordine prGSf3nti in JR.
Cominciamo ad esaminare le proprietà dell'operazione di limite rispetto alle ope-
razioni algebTiche. Quando il limite esiste finito, si dimostra un risultato semplice e
11aturale: l'operazione di limìte commuta. con queste operazioni, cioè:
an a
- --t -
bn b
(an., a >O)
(per la disuguaglianza triangolare, cap.l, par. 4.3). Poiché per ipotesi an -+ a e bn ---> b, si
ha che
lan - al <e e lbn - bi <e definitivaniente,
© 978-88-08-06485-1 1 Successioni 97
:::; lan (bn - b)I + lb(an - a) I = !ani lbn - bi+ lbl lan - al
:::; lanl lbn - bi+ lbl lan - al .
Poiché an --+ a, lan - al < E definitivamente; inoltre !ani < lai+ e definitivamente; poiché
bn --+ b, lbn - bi < € definitivament e. Quindi:
lanbn - abJ < (Jal + s) e+ lbl é < é · cost.
definitivamente. P er l'arbitrarietà di s segue la t esi.
Tralasciamo le dimostrazioni degli altri due casi.
D IMOSTRAZIONE. Segue dal teorema precedente. Infatti, se per assurdo fosse a < O, dal
t eorema precedente si avrebbe O.n < O definitivamente, il che è incompatibile con l'ipotesi che
sia an ~ O definitivamente. Questo dimostra la prima affermazione del teorema.. Applicando
ora questa proprietà alla differenza an - bn si ottiene anche la seconda affermazione. Infatti:
L'ultima relazione significa che in una disuguaglianza tr:;:t. due successioni si può passare
al limite ad ambo i membri, mantenendo il segno ::;. Si noti che in genera.le, invece,
nel passaggio al limite non si conserva il segno di dis11guaglianza. stretta: àd esempio,
e quind i, definit;ivamente,
l - e< bn < l +é
Dunque bn -+ l.
Casi particolari di questo teorema che si usano frequentemente sono espressi dal pros-
simo corollario, molto utile quando si studia il prodotto tra una successione oscillante
(ma limitata) e una che tende a zero:
COROLLARI O 3 . 7 1. Se lbn[ ::; Cn definìtìvamente e Cn --7 O, allora anche bn --7 O.
2. Se Cn --7 O e bn è limitatà (tna nòn riecessaT'iarnente convergente), allora cnbn --7 O.
Detto a parole_: ìl prod9tto dì una s'uccessìone 'infin'itesima. e una limitata è infin~tesi
mo.
DIMOSTRAZIONE.
1. Sappiamo che definitivamente è - Cn ::::; b..,.,, ::::; Cn; d'altro canto se Cn - > O anche - cn _, O,
quindi -pe1' il teorema precedente (con an = -Cn e l = O) si ha che b..,.. - O.
2. Se bn e limitata.) ossia lbnl :::;: K per un certo K >O e per ogni n, possiamo scrivere
Poiché Cn ->O, anche K lc,il -+ O, e per il punto 1 si conclude che bnCn _,O.
n"~ ~ roo se o: = o
se cx<O
Infatti, se a> O, fissato Jl/I >O t'.isulta n'.x > M per n > NJ 1 fa ; perciò n°' -+ +oo; se a < O,
scrivendo na = 1/nlcxl, si osserva. che l /nlal < s per nl c~ I > l/c ossia per n > l/c 1 /la·I, cioè
definitivament e.
© 978-88-08-06485- 1 1 Successioni 99
Limiti che si presentano nella forma di rapporto di due espressioni1 ognuna costituit a
dalla somma di p otenze d i n :
n 5 12 -3n+7
n3 + fa- 3n2
Si met te in evidenza a numeratore come a denominatore la pot enza maggiore
Fin qui abbiamo visto t eoremi che operano su coppie di successioni entrambe conver-
genti o comunque limitat e. Consideriamo ora il caso in cui i limit i sono +oo o -oo.
Supponiamo 1 per esempio, che an -4 a e bn --+ +oo; allora è facile (e intuitivo) vedere
che an + bn --+ + oo. Abbrevieremo questa scrittura così: a + oo = +oo. Ragionando
in maniera ana.loga possiamo compendiare le regole per il limite della somma (o dif-
ferenza) di due successioni delle quali una o entrambe sono divergenti con le scritture
~eguenti:
a + oo = + oo
a - oo = -oo
+oo + oo = +oo
a·oo=oo (a # O)
a
- = oo (a # O)
o
a
-= O
(X)
In modo analogo si procede, in ba.se alla regola dci segni, se a < O o bn --+ o- ; è
comu nque necessario, p er applicare qu esto t eorema, sapere che bn tende a zero per
eccesso o per difetto.
Le precedenti regole prendono il nome di "aritmetizzazione parziale del simbolo di
infinito".
DIMOSTRAZIONE. Proviamo ad esempio che:
+ oo - oo , O · oo ,
o 00
o' 00
Queste espressioni si chiamano forme di indecisione, poiché nessuna regola può es-
sere stabilita a priori per det erminare il risultato, come vedremo negli esempi sotto
illustrati.
Le regole sopra elencate (e la mancanza di regole per le forme di indecisione) confer-
mano la natura particolare dei "punti" +oo e -oo, che non possono essere considerati
"numeri" poiché non rispettano le proprietà Ri e R2 del capitolo 1 paragrafo 3.
1.4 Il numero e
Introdurremo ora un numero molt o importante per l'Analisi, che sarà definito come
limite di una particolare successione. Cominciamo a dimostrare il seguente risultato:
è convergente.
e limit ata:
2:::; an <4
e perciò è convergente, per il Teorema di monotonia (par. 1.2).
Per provare che an è monotona cres~ente, studiamo, per n ;:::: 2, il rapporto:
(
1+ _1 )n-1
n-1
(nr )n
n- 1 (
1
n - 1)
'fl,
(1 - ~ r > 1- n . ~ = 1,
1 - 1..
n
1-1.
n
bn = ( + -1)
1
n
n+l
Si noti che
bn = an · (1+ ~) ,
perciò bn > a,,,. Con calcoli simili .a quelli appena svolti (lasciamo i dettagli al lettore) , si
mostra che che bn S bn- 1· Poiché b1 = 4, risulta quindi
e an è limitata.
102 Capitolo 3. Limiti e continuità © 978-88-08-06485-1
2. 7182818284 . ..
-
Quest o J1Umero viene molto spesso usato come base dei logaritmi, ì quali, qua1ido si
usa· questa base, vengono detti naturali o neperiani (dal nome del matematico John
Napier) e indicati sernplicerne:nte col simbolo log (oppure ln) senza indicazione della
base.
(1.3) e= lim
n -++oo
(i - ~)-n
n
TEOREMA 3.9 Sia {an} una qualsiasi successione d'ivergente (ci, +oo o -oo). Allora
esiste
,
lim
(
1+ -
1 )an.=e.
n;->+oo an
(Una traccia per la dimostrazione della (1.3) e di questo teorema sarà fornita nei
Complementi alla fine del par. 1). Quest'ultimo teorema si rivela estremamente utile
nel calcolo di limiti che .coinvolgono la forma di. indeterminazione [100] .
Calcoliamo
lim (-n
n-!+oo3+
)5n n
00
Si tratta di una forma. di indeterminazione [1 ] . Scriviamo:
_ n )5n+l 1 1 1
( 3+n
,.
.
'
'
' ,
con an = ]'- . Per il teorema precedente, la successione entrb parentesi qu a.di-e tende ad e,
mentre l'esponente
_ 3 ( 5n + 1) t:
bn - ____, 10
n
15
perciò il liinte cercato è 1 / e .
Altre situazioni di questo tipo saranno illustrate negli esercizi alla fine del par. 1.
l finito e =J O ii)
±oo iii)
inesistente iv)
104 Capitolo 3. Limiti e continuità © 978-88-08-06485-1
PROPOSIZIONE 3 .1
bn -t 1 · l = l.
Lo stesso teorema (nel caso di limite infinito) permette di concludere che se an -+ ±oo
e bn "' an, anche bn -+ ±oo. Osserviamo or a che la relazione di asintotico è simmetrica,
© 978-88-08-06485-1 1 Successioni 105
quindi quanto appena provato mostra anche che se bn converge (diverge), anche an converge
(diverge). Ne concludiamo che se o,n è irregolare, anche bn è irregolare, perché se per assurdo
non lo fosse, per quanto appena affermato anche an sarebbe convergente o divergente.
2. Proviamo la transitività della relazione di asintotico:
an = an . bn - l.
Cn bn . Cn
2n
2
+ 3n + 1 = 2n
2
(i + ~+
ri
2\)
n ,
rv 2n
2
2; Simmetri:f: se an rv bn allora bn rv an ;
si esprime dicendo che "asintotico" è unà relazione di equivalenza. (Si noti che le
prime due proprietà sono immediate, mentre la terza è stata dimostrata sopra) . Più
in generale, in matematica si chiama relazione d'equivalenza una relazione che soddisfa
i 3 assiomi ora enunciati.
Mostriamo ora il seguente:
logo. n "
lirn = 0
n--+oo na
. n o: - -
hm - =O
n-++oo an \
Questi limiti descrivono la "velocità" con cui i logaritmi (con base > 1), le potenze, gli
esponenziali (con base > 1) vanno all'oo: i logaritmi vanno più lentamente di qualsiasi
potenza, le potenze più lentamente di qualsiasi esponenziale a base > 1.
106 Capitolo 3. Limiti e continuità © 978-88-08-06485-1
dove: la prima disuguaglia nza segu e dalla monotonia della funzione esponenziale, la seconda
dallo sviluppo del binomio di Newton (o dalla disuguaglianza di Bernoulli) . P assando ai
logaritmi in base a, ottenia mo
log,.. x < x loga 2
per ognì x >O. Applichiamo ora questa disuguaglianza al numero x = n°1 2 e abbiamo:
Se ora a > 1 è fissato, scegliendo à > O in modo che sia 2°' = a otteniamo che a~' ---->O ) che
è la seconda relazione nel caso particolare in cui n è elevato ad esponente 1. Il caso generale
segue dall'identità.:
n')! ( n ) °' ( n ) °'
an = an/0t = (a°')n
Infatti per il risultato precedente (a:)" -4 O (la base a°' è ancora un numero > 1), quindi
anche ca,::)" r~ __.o. •
TEOREMA 3.11 (CRITERIO DEL RAPPORTO) Sia an una successione positiva {cioè
an > O per ogni n). Se esiste
' lim an+l = l .
, n~oo an _ i
e l < 1, allora an -4 O; se l > 1 {ed eventualmente l = +oo), allora an----+ +oo.
11
Fissato E> O, definitivamente, ossia per ogni n >no (con no opportuno) si ha "+ 1 < l +E.
- CLn
Scegliamo E abb astanza p iccolo perché si abbia l + E < 1. Possiamo scrivere la catena di
disuguaglianze:
Dimostriamo che
lim bn' = O per ogni b >O.
I n-+OOn.
Applichiamo il criterio del rapp~rto alla successione un "~.
= 1n. Si ha:
bn+I n! b
-(n+l)
- -!· -
b'••
= -n +l
- - o·
b"'
Per il criterio del rapporto allora, n!
-t O. Abbiamo quindi ottenuto un nuovo caso n ella
gerarchia degli infiniti.
Si provi a calcolare
. logn
1l ffi - -
n-oo n
col criterio dcl rapporto, osservando che il metodo fo.llisce.
Ecco alcuni esempi di come si applicano tutte le osservazioni precedenti per risolvere
alcune forme di indeterminazione. Quando avremo studiato un certo numero di li-
miti notevoli (par. 3.2) potremo risolvere mediante stime asintotiche situazioni più
complesse di queste.
. 2n +4n+ 1
3 = [ 00]
hm
n-->+oo 5 (n + 1) 3 00
Considerando solo le potenze di grado massimo a numeratore e denorrùnatore, possiamo
scrivere:
2n3 + 4n + 1 2n3 2
5(n+ 1) 3 rv 5n3 = 5
e pertanto la successione t ende a 2/ 5.
108 Capitolo ] _ Limiti e continuità es 978-88-08-06485-1
lim
n-++oo
2n + n -
2n+l
[ooooJ .
2n è un infinito di ordine superiore rispetto ad n; possiamo scrivere quindi:
2"' 1
l""-'-- 1= -
2n+1 1 2
e il limite è ~-
lim
n-++oo
\;In = e0 = 1.
.
lllll -n! - [oo]
-
nn 00n -+oo
Applicando il criterio del rapporto, consideriamo:
(n + 1)! nn (n+l)nn
-( n- +-'--1-)n -_-'-(-n_+_l_) =
(
n
n
+1
)n- 1
(1 + ~r -+; <i,
1
(n + 1t+1 n!
Provare che
log (n + 1) rv logn
Calcolare . an+l
1lill --
n~+oo an
per le seguenti successioni: n 2
an =n .an = n
r .. Dare una stima asintotica delle seguenti successioni, mediante una successione ccpìù
semplice'', e calcolare quindi il limite:
1
1
Cerchi di spieg~rne la ragione.
107 o 0,5
108 o 0,5
Spiegare la ragione del diverso risultato.
Jn 2 + n - n
log(n + 1) - log n 1
( 1 + -n1·
)n
9
1 Dimostrar e il teorema sul limite dcl quoziente: se a"' ~ a, bri - i b, allora ~::: --+ %
purché bn, b f. O.
-I
Suggerimento: per maggiorare I~: % fare denominatore comune; ora il numeratore si mag-
giora in modo simile a quello visto nella dimostrazione del t eorema sul limite del prodotto;
per il denominatore occorre invece dimostrare che, ad esempio, lbnl ;: : lbl /2 definitivamente)
e poi. ..
110 Capitolo 3. Limiti e continuità © 978-88~08~06485-l
Dimostrare che i valori assunti dalla successior:f€ sin n sono tutt i diversi tra loro, ossia
che n, m E .N, n =f. m implica sin n =f. sin m .
Provare che
lirp. ( 1 - -1
n-T-rCO 17J
)-n = e
· ··5 ·· Provare il Teorema 3.9 enunciato nel par. 1.4, ad esempio nel casb +oo. an _,
Suggerimento: detta [an] la parte intera dian , provare anzitutto le disuguaglianze:
(1+ [ari]1+ ) 1
[a.n] <
-
(1 + J...)
a,1.
a.,. <
-
(1 + _1_)
[an]
(a ., ,.]+l
Quindi sfruttando opportunamente il fatto che [an] è intero, ricondursi al limite già noto di
(l+~)n .
..;~#~- Dimostrare la proprietà 3 del simbolo di "' enunciata nel paragrafo 1.5 (Proposizio-
i1é 3.1), usandò la definizìone dì "asintoticò" e di linìite.
Si fa\:cia un esempio di due successioni an, bn tendenti a +oo, per cui si ha:
Dunque il simbolo di asintotico non si può usare con gli esponenziali come si userebbe nei
prodotti o quozienti.
Suggerirnènto: scegliere comè an la somma di due infiniti di tipo diverso.
lim f (x)
X-+C
=.e oppure f (x) -t f. per X· ---+ e
(che si leggono: "il limite per x tendente a e di f (x ) è uguale a f" oppure "f (x) tende
a t per x tendente a e").
Sinteticamente:
DEFINIZIONE 3.8 (suCCESSI ONAL E D I LIMITE) Si dice che
lim f(x) =f ,
X -+C
(dove e;, f E nr) se per ogni successione {Xn} di punti di I diversi da e, tale che Xn ) e,
si ha che f (xn) ---> e per n ~ oo.
Una funzione che per x ---+ e tende a O si dice infinitesfrna per x -+ e; analogamente
lJUa funzione che tende a ±oo si dice infinita.
La definizione appena data di limite di funzione si dice definizione successionale
di limite, in quanto riconduce il concetto di limite di funzione a quello di limite
di successione. Non è l'unica definizione possibile, come vedremo, e a prima vista
può sembrare una definizione poco operativa. Tuttavia, come dimostreranno sia il
successivo sviluppo della t eoria, sia gli esempi che faremo di calcolo di limiti, il fatto
di avere già sviluppato le basi del calcolo dei limiti per le successioni, renderà molto
vantaggiosa questa definizione, proprio dal punto di vista operativo. Ad esempio,
possiamo subito affermare che vale il:
TEOREMA 3 .12 (DI UNICITÀ D E L LIM I TE) Se esiste limx->c f (x) =f., tale limite f,
è unico.
Infatti, se esistessero due limiti i 1,f2 diversi tra loro, presa una qualsiasi successione
Xn --+ e si avrebbe
.f (xn) -+ E1 e f (xn) -+ f2 ....'. I
dunque la successione f (xn) avrebbe due limit i distinti, assurdo.
Osserveremo ora un po' più da vicino le varie situazioni che si possono verificare
nella definizione di limite di funzione. È subito chiaro che la casistica sarà più ricca e
complessa rispetto al caso delle successioni, perché mentre per una successione an il
limite si calcola necessariamente per n - > +oo, per una funzione f (x) il limite si può
calcolare p er x ---> e dove e può essere-qualsiasi elemento di R*.
Anzitutto chiariamo la terminologia: nella scrittura
lim .f (x) = l
X->C
parleremo di
. . { finito { lER
. s:: .t·o se · l = +oo, l = -oo
limite in11n1
112 Capitolo 3. Limiti e continuità © 978-88-08-06485-1
e parleremo di
. .t { al finito
1inn { e E JR
e a11 ,.ir1firu.t o se e = +oo, l = -oo
I prossimi et>empi hanno lo scopo sia di mostrare come si utilizza concretamente la
definizione successionale di limite, sia di illustrare le varie situazioni tipiche che si
possono realizzare.
Dimostriamo che:
lim ex= o.
x-+-oo
Applicando la definizione, si tratta di provare che per ogni successione {Xn} tale che Xn -+
-oo, si ha
lirn e~'n = O.
n-++oo
A sua volta, per definizione di limite di successione, questo significa provare che fissato € > O
qualsiasi, risulti
lex" I < é definitivamente,
ossia (essendo l'esponenziale sempre positivo),
Xn < logE.
Se E > O è un numero piccolo ( < 1), log e sarà un numero negativo (e grande in valore
assoluto); poniamo K = -logt: > O. Dobbiamo provare che, fissato questo numero I<> O,
risulta Xn < -K definitivamente; ma questo è proprio ciò che vale per ipotesi, perché Xn-+
-oo. Questo conclu<le la dimostrazione.
Asintoto orizzontale
Si dice che f ha un asintoto orizzontale di equazione y = .e (.e E JR) per x - t +oo
oppure per x __, -oo se lim .f (x)
x-+=
=.e
oppure lirn f(x) = f , rispettivamente.
x--=
Ogni situazione di limite finito all'infinito, quindi, corrisponde graficamente alla
presenza di un asintoto orizzontale, ossia di una retta orizzontale a cui il grafico della
funzione si avvicina sempre più (come nell'esempio precedente).
e in tal caso si dice che f (x) tende a f per eccesso (per difetto) per x tendente a
e, se per ogni successione {Xn } di punti di I diversi da e, tale che Xn ___, e, si ha
che f (xn) - t .e+
(rispettivamente .e-) per n --+ oo. Ricordiamo che, come visto nel
para.grafo 1.1) affermare che f (xn) - t .e+
significa che f (xn) -te
e inoltre f (xn) 2: f.
definitivamente.
Ad esempio,
lirn ex= o+.
X -> - 00
Un errore comune consiste nel p ensare che il simbolo o+ denoti un (misterioso) nu-
mero diverso da zero e "poco più grande di O". Sbagliato: il limite della funzione è
il "solito" numero zero che conosciamo; semplicemente, la scrittura o+ aggiunge una
informazione: la funzione tende a zero per eccesso, ossià i valori di f (x) tendono a
zero mantenendosi non negativi.
Si osservi che non ogni limite finito è necessariamente assunto per eccesso o per
difetto, come mostra la. figura 3.5. Questa funzione tende a 1 per x - t +oo, ma non
si può affermare che f (x) ___, 1+ , né che f (x) - t l - .
0.5
o 5 10 15 20 25 30
Figura 3.5.
Dimostriamo che:
log 1; 2 x = -oo.
r lim
,x ->+oo .
Dobbiamo provare che per ogni successione { xn} tale che Xn ___, +oo, si ha
A sua volta, questo sigT1ifica provare che fissato K > O qualsiasi, risulti
log 1 ; 2 Xn < -K definitivamente,
f •
il che equivale a :
Xn > ( ~) -K = 2K definitivamente.
Ma per ipotesi Xn ~ +oo, quindi fissata la quantità positiva 2K, certamente risnlta Xn > 2T<
definitivamente, e l'asserto è dimostrato.
Asintoto obliquo
~ei casi in cui una funzione presento, limite infinito all!if!finito, può accadere (ma non
sempre accade) che esista una retta, obliqua, a cui il grafico della funzione si a.vvicina..
indefinitamente. Si parla in tal caso di asintoto obliquo. Precisamente: si dice che una
funzione f (x) ha asintoto obliquo y =mx+ q (mi- O,q E ffi.) per x--+ +oo (o per
x--+ -oo) se
lim , [f (x) - (mx + q)] = O.
x --++oo ( -oo}
,... Sia f (x) = 2x + 1 +ex. Studiamo la funzione per x ~ -oo. Si vede facilmente che
f (x) ~ - oo; inoltre,
)irn [f (x) - (2x + l)] = lim ex =O.
x- - = x--=
Perciò, per definizione di asintoto obliquo, si riconosce che la retta y = 2x + 1 è asintoto
obliquo per f, per x --+ - oo.
In casi meno elementari, anziché dover «indovinare" qual è l'aointoto obliquo è utile
avere un criterio operativo per cercarlo. Vale in proposito la seguente:
PROPOSIZIONE 3.2 La funzione f (x ) ammette asintoto o-bliquo p_er ;i; --+ +oo se e
solo valgono le seguenti due condizioni:
1. Esiste finito
f (x)
lirn -
x--++oo X
- = m ·i- O;
2. Esiste finito
lim [! (x) - mx]= q
x-++oo
(dove rri è il numero calcolato al punto 1). In tal ca8o l'asintoto è y = mx+ q.
Analogo criterio vale per x - t -oo.
Si lascia per esercizio la facile dimostrazione. Vediamo un semplice esempio di ap-
plicazione; altri, più elaborati, si potranno affrontare dopo aver approfondito, nella
prossima sezione, i metodi di calcolo dei limiti.
Studiamo la funzione f (x) = 3x + .JX per x ~ +oo. Si vede subito chef (x)-+ +oo
per x ~ +oo. Vediamo se presenta un asintoto obliquo. Calcoliamo perciò (in base alla
Proposizione precedente):
.
1un
x-++=
3x + .../X = 1·irn
X x-++=
(3 + - 1 )
..jX
=3 =m
'"
Poiché questo limite è infinito (non esiste q), la funzione non ammette asintoto obliquo.
I
Limite infinito al finito
fD Dimostriamo che:
. 1
1im = +oo.
x-.0 2
X
Dobbiamo provare che per o.g ni successione { Xn} tale che Xn -+ Oe Xn -:/=- O Vn si ha
. 1
1im 2 =+oo.
n->+oo Xn
(Si noti che la precisazione "xn -:/=- O \:In" , che è contenuta nella definizio.ue di limite, era
irrilevante negli esempi precedenti in cui e = ±oo, ma diventa ora importante) . A sua volta,
questo significa provare che fissato K > O qualsiasi, risulti
~ >K definitivamente,
Xn
il che equivale a :
lxnl < ~ definitivamente.
e in tal caso si dice che il limite destro (sinistro) di f (.x ) per x tendente a e è i, se
per ogni successione { Xn} di punti di I tali che Xn ~ e+ (Xn ~ e-) per n ~ +oo e
Xn f=. e \fn, si ha che f (xr,,) ~ e per n ~ oo. -~
'
Ad esempio,
1 1
lirn - = +oo e lim - = -oo,
x-+O+ X x-+O - X
. 1 . 1
1im - non esiste.
x -+O .r,
116 Capitolo 3. Limiti e continuità © 978-88.:08-06485-1
Più in generale:
il lìmìt~'. liinx~c f (x) .;;.__ /, ·@sist'e ·se e'st;>ìb se: esistono,: e··.sono·entrambi ugua:Lì a.
f., flimiti destro 'esinfatro lirn;_.N f(!tJ, lìrri:t_.c 'f (x:}; ·ititt~:v1a, pùò«a:ccaifere
ché i 1Lò1itl.' destio é si11istto-esist1:fuHil1a>s1a11ò: diV~rsf ti:-a' loro, t>.f?pJ:Ir~·i,1nt''soio
<le·i dt1e esista: ìn: c{liesti 'ca..s'i lihi;~ 6'f \'.x) :b.c1n es'ìst~,
Asintoto verticale
Si dice che f ha un asintoto verticale di equazione x =e (e E R) per x -te (oppure
per ::e----+ e+ o x -+ e-) se lim f (x) = +oo o - 'oo (oppure questo accade per x----+ é
X->C
ox e-, rispettivamente).
----+
Ogni situazione di limite infinito al finito, quindi, corrìsponde graficamente all'a.
presenza di un asintoto verticale, ossia di una retta verticale a cui ìl grafico della
funzione si avvicina sempre più. Ad esempio, diciamo che
x = O e, asmtoto
· · i e per 1 (per x
vert1ca -+ .o·) ;
2X
·1 .
X = 0 è asintoto verticale per - (per X -+ Q+ e per X -+ o-);
X
- ~..
Chiunque, probabilmente, risponderebbe: zero. Dopotutto, ,sin O = 9..: Occorre rendersi conto>
però) che anche se il risultato è proptio questo, la mot'itmzione è errata. Infatti, la definizione
di limite richiede che:
\:/ successione { Xn} tale che Xn f:. O \:In e :i::n --+ O per n --+ oo, si abbia sin Xn --+ O, per n -+ CG.
Quindi, per mostrare che limx__,o sin x = Onon si deve calcolare filn O! Si può procedere così)
invece: dalla dìsuguaglianza elementare·
I
lsiilxj:::; jxJ, valida 'ix E JR 1
(si ragioni sulla circonferenza trigonometrica per rendersene conto), leggiamo che jsinxnl::::;
lxn I e quindi, per il teorema del confronto, se Xn --+ O anche sin Xn --+ O. Pertanto
DI Sia
f (x) = { 1 se x "# O
O sex= O
e si voglia calcolare
limf(x).
x- 0
Applicando la defini~ione di limite si vede subito che il limitE) vale 1. Infatti, se Xn --t O per
n-> oo ma. Xn "# O 'efn, risulta f (~cn) = 1 '\In, e quindi f (xn) --t 1 per n ---+ oo. In questo
caso, dunque (a. differenza dell 'esempio precedente), si ha:
lim f (x)
x->0
"# f (O).
Continuità
Si rifletta sui due esempi appena visti. In entrambi i casi il limite al finito di una
certa funzione esiste ed è finito. Nel primo caso, tale limite coincide col valore della
funzione nel punto considerato, nel secondo caso no. Il buon senso suggerisce che
la prima situazione è quella "normalen, mentre la seconda è un po 1 "patologica,, .
Questa idea è chiarita d alla prossima definizione, che introduce un nuovo concet to
fondamentale.
DEFINIZIONE 3.11 (CONTINUITÀ) Se f : I - t JR (I intervallo) e e E J , si dice che
f è continua in e se esiste
lim f (x) = f (e).
X->C
Si dice che f è continua in I se è continua. in cia::;cun punto di .l. Una funzione non
continua in un punto e si dice disconfrn ua in c.
1
· 51
Gli esempi precedenti si possono leggere dicendo che la funzione sin x è continua in
x = O, mentre la funzione f (x) dell'esempio 2.7 è discontinua in x =O. Si consideri
anche il prossimo
. X
lim
x->O±
-IX I = ±i.
I
Questo esempio è interessante per due mot ivi. Anzitutto, in questo caso non sarebbe neppure
possibile calcolare f (O) , quindi è chiaro a priori che il limite non si potr à calcolare sempli-
cemente valutando la funzione nel punto O. Inoltre, in questo caso i limiti destro e sinistro
esistono finiti e sono diversi tra loro. Questo fatto merita una definizione:
DEFINIZIONE 3.12 Si dice che e è un p·unto di discont'inuità a salto per .f (a::) quando
i limiti destro e sin·istro in e esistono fin·iti, ma_diversi tra loro. Il sa:ltO- è èbqtjt:µito
dalla differenza dei limiti e precisamente:
Se uno dei due limiti destro o sinistro per x --+ e coincide con f(c), si dice che f è
continua da destra o da sinistra, rispettivamente.
118 Capitolo 3. Limiti e continuità © 978-88-08-06485-1
Per dimostrarlo è sufficient e trovare due successioni {x,.,.} e {yn} divergenti a +oo tali che
sin Xn e sin Yn tendano a due limiti diversi. Si può scegliere Xn = mr e Yn = ~ + 2mr; in
corrispondenza cli tali successioni si ha sin Xn = O e sin Yn = 1 e quindi la definizione di limite
non è soddisfatta.
Si rifletta sul fatto che, in base alle definizioni che abbiamo dato di limite di successione
e limite di funzione, dimostrare rigorosamente che una funzione non ha limite è molto
più facile che dimostrare che una successione non ha limite. Ad esempio, non è così
banale dimostrare che non esiste limn-++oo sin n . Analogamente:
0.5
0.3
0.4 0.5
- 0.5
- 1
Figura 3.6.
Si noti che, come anticipato, questa definizione di limite di funzione non fa ricorso al
concetto di limite di successione. Anche questa definizione, come quella successionale,
è una definizione unitaria, che contiene come ca.si particolari i 4 tipi di limiti che
abbia.mo studiato analiticamente (limite finito o infinito, al finito o all'infinito). Il
concetto centrale che p ermette questa sintes: è in questo caso il concetto di intorno.
120 Capitolo 3. Limiti e continuità © 978-88-08-06485-1
Poiché questo è un concetto base di quella branca della matematica che prende il nome
di topologia, questa definzione di limite "mediante intorni" si dice anche adefinizione
topologica di limite" .
Il lettore, a titolo di esercizio, verifichi che, particolarizzando il concetto di intorno
di e ai casi e E JR o e= ± oo, la definizione topologica di limite si traduce nelle seguenti
4 definizioni:
Si dice che
l lim j (X) = f,
se:
l x~c
.•.
' Dimostrare in base alla definizione successionale di limite che non esiste
lim t gx.
x - >+oo
lim
x -++oo
f (x)
se f :R ---+ ffi. è una funzione periodica non costante.
© 978-88-08-0"6485-1 3 Il calcolo dei limiti 121
Dimostrare in ba.se alla definizio1;.ie successionale di limite che non esiste (né finito, né
infinito)
lim x sin x .
x-t+oo
~ Sia
1 se x è razionale
f(x) = { O se x e, 1rraz1ona
. . 1e
1
arctg-;
X
sin(~);
sm -
[ex] (dove [·] indica la parte intera).
"'
1. Perx-}c,g(x)--+ O;
TEOREMA 3.19 (ALGEBRA D EI LIM ITI, CASO DEI LIM ITI F I NITI)
Se per x --+ e, f (x) --+ f 1 e g (x) -+ l2 {f1, i2 E ~), allora per x -+ e si ha:
J. f (X) ± g (X) -+ f 1 ± f 2;
8. f (X) I g (X) -+ e1I f2 (purché f.2 i= o, g (X) -I o definit'ivamente per X --7 e).
T EOREMA 3.20 (ARIT METIZZAZIONE PARZIALE DI 00) Valgono per i lim'iti di fun-
zioni gli stessi risultati di ''aritmetizzazione parziale di oo n che valgono per i limiti di
successioni {v. par. 1. 3).
DIMOSTRAZIONE DEI TEOREMI PRECEDENTI. Mostriamo in che modo i teoremi sui limiti
di successioni dimostrati nel par. 1.3 e la definizione successionale di limite di funzione
implicano questi teoremi sui limiti di funzioni. Come si vedrà, l'idea è semplice e applicata
in modo ripetitivo.
T EOREMA DEL CONFRONTO Sia Xn una qualsiasi successione tale che Xn =f e \:In e Xn ~ e
per n --t oo. Vogliamo provare che h (xn) _, l p er n --t oo. D'altro canto sappiamo che
TEOREMA SULL'ALGEBRA DEI LIMITI Sia Xn una qualsiasi successione tale che Xn i- e per
ogni n e Xn --+ e; allora per l'ipotesi si ha che f (xn) --+ f1 e g (xn) --+ f2; dal teorema
sull'algebra dei limiti per successioni si conclude quindi che f (xn) ± g (xn) --+ f1 ± l2, e
quindi f (:i:) ± g (x) --+ .e1 ± l2 . In modo perfettamente analogo si dimostrano i punti 2 e 3
del teorema, ed il t eorema di aritmetizzazione parziale di oo. •·
Dal teorema dell'algebra dei limiti segue un analogo risultato per quanto riguarda le
funzioni continue:
TEOREMA 3.21 (ALGEBRA DELLE FUNZIONI CONTI NUE) Siano f, g d 'UC funzioni
definite almeno in 1m intorno di x 0 E IR, e continue in xo. Allora:
1. .f (x) ± g (x) è continua in x 0 ;
Inoltre g (xo) =I O e quindi, per il teorema di permanenza del segno per funzioni continue,
g (x) i Odefinitivamente per x -+ xo. Allora per il teorema sull'algebra dci limiti si conclude
che
f (x) f (xo)
- (-) -+ - ( - ) per x-+ xo,
g X g Xo
ossia f/.9 è continua in xo.
2. Funzioni esponenziali;
3. Funzioni logaritmiche;
Sappiamo già (v. Esempio 2.G) che sin x è continuo in x =O. Da questo segue che anche cos.x
è continuo in :t = O. Infatti, uno sguatdo alla circonferenza trigonometrica. mostra che, sex
è un angolo nel primo quadrante, sin x + cos x 2: 1 (in quanto 1 è l'ipotenusa di un trìangolo
rettangolo di cateti sinx, cosx). Ne segue che
l. Le funzioni potenza a esponente intero sono continue (in tutto JR), in quanto f (x) =x è
-ovviamente continua, e f (x) = xn è il prodotto di n funzioni continue.
2. I polinorni sono funzioni continue, in quanto ottenuti sommando funzioni del tipo ca:n,
éontinue per il punto precedente.
3. Le funziòni razionali (cioè i quozienti di polinomi) sono funzioni continue, tranne nei
punti in cui si annulla il denominàtore (che è un polinomio, quindi si annulla in un
numero finito di punti).
4. A vendo dimostrato che sin .:r:, cos x sono continue in tutto fil., deduciamo che le funzioni
tg x, cotg x sono continue nel loro insieme di definizione.
Un'altra operazione che "conserva" i limiti e la continuità è la compos'iz'ione di f1Ln·
zioni:
TEOREMA 3.23 (DI CAMBIO DI VARlABILE NEL LIMITE) Siano f' g due funzion·i
per 01,i è ben de.finita la composizione f o g, almeno definitivamente per x - t xo
(xo E R* ) e s·apponiamo che:
1
I p'Un,ti x 0 , "lo E JR*. L'ipotesi iiì) non è necessaria nel caso in cui f sia continua ìn
to, opp'ute (ovviamente) nel caso in cwi to = ±oo.
© 978-88-08-06485-1 3 Il calcolo dei limiti 125
DIMOSTRAZIONE. Basta osservare che se Xn è una qualsiasi successione tale che Xn i- xo\fn
e Xn _, Xo per n - oo, allora g (xn) - to per n - oo (p er l'ipotesi (i)) e g (xn) i- to
definitivamente (per l'ipotesi (iii)) . Perciò
f (g (xn)) - e
(per l'ipotesi (ii)), e questo prova la tesi. Se to = ±oo la condizione g (x) i- ±oo è ovviamente
verificata, mentre se .f è continua in to 1 e=
f (to), perciò nel caso risultasse g (xn) = to per
qualche n, si avrebbe
f (g (Xn)) = f (to) = f
e quindi la convergenza f (g (xn) ) -re sarebbe comunqm~ garantita.
lim g (x)
x ~ xo
= g (xo) = to,
allora per il teorema del cambio di variabile nel limite, si ha:
lim
x -+ xo
.f (.q (x)) = lim
t -1 t 0
f (t) = poiché f è continua in to
= f ('to) = f (g (:r:o) ),
e la.tesi è dimostrata.
Vogliamo ora trarre qualche conclusione dai vari teoremi sulle funzioni continue visti
finora. Sappiamo che
• le funzioni elementari dcll' Analisi matematica sono continue n el loro insieme di
definizione;
lim Ioga (1
x ->0
+ (tgx) 2 ) =Ioga (1 + (tg 0)
2
) = Ioga 1 = O
126 Capitolo 3. Limiti e continuità © 978-88-08-06485·1
Una situazione simile analoga si ha uel calcolo del limite per x _,O di certi quozienti:
2/3
. X
1irn -2 - -- --
x-.o x + 3ijX +X
È una sort a di "quozient e di polinomi" (per la verità, sono potenze a esponente razionale, non
intero): per x _, O, t utte le pot enze scritt e tendono a O, e si ha una forma cli incletermina:zione
[§]. Questa volta, i termini preponderanti sono quelli di esponente m inimo, perché x-. O:
x2/3 x2/3 xl/3
- - - - - -- ---tO
x2 + 3-VX +X - 3xl/3(1 + "'2;3 + x5;3 ) - 3(1 + :i:2;::i + :t5:3)
pcrche, x 1/ 3 --t Oe 3 ( 1+ x
2/ 3
3
+ T5/3) _, 3.
© 978-88-08-06485-1 3 Il calcolo dei limiti 127
m . xs1n-
11m . 1 = o
x --+ O X
I
Infatti, poiché sin~ :S 1, si haI
da cui, per il corollario del t eorema del confronto, '.l: sin~ -> Q_ T,a r.onr.hision e (~ internssante
perché il fattore sin ~, da solo, non ammette limite, quindi non si sarebbe potuto applicare
il teorema sul limite dcl prodotto.
. x - 1
ID I
hm - - = - oo
x -+O+ SÌilX
m lim (~X -
x--+ - oo
2) x
3
= +oo
perché (~ - 2) ----+ -2 e x3 -> -oo. Abbiamo applicat o il teorem a sull'aritmetizzazione
parziale di oo.
l' ( x + sinx ) 1
DI x2~= 2x + COS X 2
Infatti:
x + $ mx
.
_ X (l + sinx x)
. = (1 + ~)
2x + cos x 2x ( 1 + cos
2:r:
x) 2 (1 + c~~x )'
Ora per il corollario del teorema del confronto,
sin x cosx
---;--- --r 0 e 2X --r 0 , per x -> +oo.
. sin~r
(3.1) 1lffi
-- = 1
x-+O X
Osserviamo subito che, essendo sin x e x funzioni dispari, si~ x è funzione pari e quindi
è sufficiente calcolare lim si~ x . A t ale scopo, osservando la figura 3.7 si vede che l'area
x-+O+
del triangolo OPA è minore di quella del settore circolare OPA , a sua volta minore
di quella del triangolo OT A. Ne segu e
1 1 1
- . 1 . sin X < - . 1 . X < - . 1 . tg X
2 - 2 - 2
ossia
sin x < x < tgx
Dividendo per sin x, che è positivo perché x E (O, ~ ), si ha
sin x
cos x < -- < 1
X
>...
p T
HP = sin x
X
AT= tg X
o H A
AP=x
Figura 3.7.
© 978-88-08-06485-1 3 Il calcolo dei limiti 129
Infatti
1- cosx 1 - cos
2
x
( sin x) 2
1 1
x2 x 2 (1+ cos x ) = --;;--- l+cosx -t 2
perché si~ x -t 1 e (1 + cos x ) - t 2.
fon f(x) = l
X-> Xo
la funzione può essere prolungata per cont inuità anche in xo, ponendo per definizione
f (xo) = l .
Lo studente si convinca d el fatt o che se invece la funzione f possiede in X o una
discontinuit à a salto, un asintoto verticale, o comunque non ammett e limite finito,
non è posr:;ibile renderla continua in x 0 alterandone la definizione in un punto solo.
Ogni volta che una funz;ione, inizialmente non definita in xo, risulti essere prolun-
gabile con continuità in x 0 , si sottointende che la funzione sia stata effettivamente
prolungata.
(3.3)
Se si pone y = l,
X
x -t ±oo equivale a y -+ o± e l'ult imo limite si può scrivere nella
forma seguente
log(l + y) -+ __,.
(3.4) 1 se y -t O \
y
--- )
(3.5) 1"':1-->l se X--> 01 \
I
"/
"/
)
Infine, se nella (3.4) poniamo y = (1 + xt -1, con a esponente reale qualsiasi, allora
x - t O equivale ad y - t O, e si ha
)
. (1 +xr - 1
(3.6) 1l ID =CX
x -->O X
lim f (x) = 1
x-+cg(x)
Il simbolo di asintotico gode di tutte le proprietà enunciate nel paragrafo 1.5. I limiti
precedenti si possono allora riscrivere come segue:
1 2 e~r; - 1 rv
1- COS X rv - X X
2
(3.7) log(l + x) ~ x ( 1 + x) °' - 1 ~ ax
per :x; -t O
© 978-88-08-06485-1 3 Il calcolo dei limiti 131
1 2
1 - cos e (X) rv Z e (.1;)
(1 + é(x))a - 1 rv ac(x)
3x, e quindi
log( l + 2x) 2x
= -2
---'-'----~---"-- rv ~
sin 3x 3x 3
. (x - 1) 2 ]
1lill
x - >l e3 ( x - l )2 - l 3
Il limite dà una forma di indet erminazione
2
rnJ. 2
Tut t avia, c 3 (x - l) - 1 rv 3(x - l) 2 per X - 1
(la funzione é(x) = 3(x - 1) è infinitesima per x _, 1), perciò
(x- 1)2 (x- 1) 2 1
e3(x- 1)2 - 1 rv 3 (x - 1)2 = 3
lim ( ij x 3
:r.-•+oo
+ 2x2 + 1 - x) = ~3
È una forma di indeterminazione del tipo [+oo - oo] . 1\.1ttavia:
t '
rv X [~(~
3 :x;
-1- ]_
;:r,3
)] --+ ~3 -
Abbiamo usato la stima \Il+ s (x) - 1 '"'-' ~ s (x) , con s(x) = ( ~ + ~ ).
Altri importanti limiti riguardano il comportamento all'infinito <li potenze, esponen-
ziali e logaritmi, analoghi a quelli validi nel caso delle successioni:
T E OREM A 3.25 (GERARCHIA DEGLI I N FIN I TI) Consideriamo le tre famiglie difun-
zioni:
bx con a,(3 > O,a, b > 1
I
Allora, per x ~ +oo, ognuna è un infinito di ordine inferiore rispetto a quella che le
sta a destra. Esplicitamente:
(3.9) (
lim (Ioga x)o: = O I \
x->+= x f3 I .)
I I
il che si pv,ò esprimere a pM"Ole dicendo che qv.ahmque potenza (positiva) di x prevale
su q'ual'unq1te potenza di log xi e qualunque esponenzìale (base > 1) di x prevale sù
q'ual'unq'ue potenza di .r .
x3
lim - =0
x-++oo 2x
1-im xe1/x
x->O+
· 1t ]
= [ x = - = i·im -et
t-+oo t
= +oo.
Il teorema 3.25 potrà essere dimostrato più avanti con gli strumenti del calcolo
differenziale (cap. 4, par. 4.4) .
f(x ) = {YX + x 2
Si può ragionare così: la funzione è definita e continua su tutto JR; per x -+ ±oo, f(x) ""x 2 .
Dunque f(x) -+ +oo; inoltre il suo grafico sarà simile, per x grande in valore assoluto, a
quello di x 2 . La funzione inoltre si annulla in x = O e, per x -+ O, f (x ) rv ffe; dunque il
suo grafico sarà simile, in un intorno di x = O, a quello di .efx: in particolare, avrà tangente
verica.Je nell'origine. Il più semplice grafico compatibile con queste informazioni è:
1.5
0.5
Figura 3.8.
Spesso l'andamento d i una funzione nell'intorno di un punto (ad esempio il fatto che abbia
tangente verticale o orizzontale) è prevedibile in base a un'opportuna stima asintotica, che
consente di tracciare il grafico qualitativo di f (nell'intorno dcl punto) per confronto con
quello di una funzione nota (ad esempio, una potenza a esponente razionale) . Analoghe
stime sono utili per x -+ ±oo.
ml Uno dei problemi fisici all'origine della teoria quantistica è quello della radiazione
del corpo nero. La legge proposta nel 1900 d a Planck per la distribuzione spettrale della
radiazione emessa da un corpo nero è:
8nhd- 5
j (.\) = ehc/>.kT - 1
Qui j(>.) è la densità di energia raggiante corrispondente alla lunghezza d'onda >., quando
la temperatura del corpo è T; h è la cost ante di P lanck, k la costante di Boltzmann e e la
velocità della luce. Questa legge è in accordo con i dati sperimentali, mentre la legge che si
può dedurre usando la fisica classica (legge di Rayleigh-Jeans) è
che è in accordo coi dati sperimentali solo per ,\ grande, mentre per .\ piccolo è in profondo
disaccordo: tende a +oo, mentre la curva sperimentale tende a zero!
Studiamo la curva di Planck con opportune stime asintotiche.
Per À ~ +oo,
ehc/ >.kT - 1 '"" hc/ >.kT
e
ossia si ritrova la legge di Rayleigh-Jeans, in prima approssima,,,ione; in particolare, la densità
di energia raggiante tende a zero come À - 4 .
134 Capitolo 3. Limiti e continuità © 978-88-08-06485-1
Figura 3.9.
sopralineare ±oo
. f (x) . . .
hm - - = m (fm1to e diverso da O)
f ha crescita lineare se
{ x->+oo X {
sottolinear e o
(Analoghe definizioni si danno per x - t - oo). Solo nel caso in cui una funzione ha
crescita lineare, è possibile che ammetta asintoto obliquo (v. par. 2 per il calcolo di
tale asintoto).
Esempi di funzioni con crescita sopralincare per x - t +oo sono gli esponenziali ax
e le potenze xa con a > 1; esempi di funzioni con crei:;cita sottolineare per x - 7 +oo
sono i logaritmi logo. x e le potenze xa con O < a< 1.
La. fun~ione
f (x) = 2x +cx + clix
per x -> +oo è asintotica a ex ; pertanto tende a +oo con crescit a sopralineare; per x --t -oo
è asintotica a 2x; pertanto tende a - oo linearmente; poiché
Suggerimento: poiché ~!~ ~ 1, si può porre ~!~ = 1 +e (x) con e (:r;) infinitesima; quindi ...
r
:;;-~:roo
(x2 ++ 3) x
;x; 2 2
Suggerimento: dovendo calcolare il limite di una funzione del t ipo .f(x )9(x) che dà una forma
di indeterrnina:r.ione del tipo [1 00 ], riscriverla n ella forma
f(x)g(x) = e g(x) logf(x)
e cominciare a calcolare il limite dell'esponente (che è ora una forma di indeterminazione del
tipo [oo ·O]). Per far qu esto, seguire il suggeriment o dell'esercizio precedente.
. 2 .i:+.L
,, +togl:r.I
Fornire una stima a"1>intotica, ) un 2 i
x-±oo x +
per x --+ O, delle fumioni:
tg x, cotg x, arctg x, a.rcsin x .
xz
. e -1 . x sin 2x 2
lun - - - - 2- 1lffi 3
x-o log (1+2x ) x-+ 0 siu x
lim (
x- •±oo
vx 2
+ 3x + 2 - lxi) ',::::
' ,.,
lim
x-+oo l+log x
log(l og :e)
lirn :r log (
x--.+oo
~~ 5 )
x l
lim
:i; ->+oo
xesinx
Per ciaswna delle seguenti funzioni: dire dove è definita e dove è continua; calcolare i limiti
alla frontiera dell 'insiem.e di definizione (punti in c·u'i non è definita ed eventualmente ±oo);
determinare tutti gli eventuali a.c;intoti (verticali, orizzontal'i, obhqni); ul'il'izzando opportune
stime asintotiche nei p1J,nti in cui la funzione si annulla e all'infinito, prevedere l'andamento
della funzione nell'intorno di tali punti.
x 2 +3x-l
x+2
..
.._ - x 3 +2x-l
x +2
2.•+l
:i;e x+3
~
cosx-1
\'.-'x-1 "
·-
~
X
log ( x-+x-2
2x+l )
x+ 2 )
arctg ( :.r.- ·-{~
.. xarctg; .e X log (,.:3,2+3 )
1 ·'· +x+ l.
2xe- l/:c 2 - lxi \!fl; l vv;lx l
XC
loglx+l l
2 ~;7-&
x +2x-J.
'
:z;e-1/lxl
l:'.<! - 1
(4.1) f(x) =O
Quando f è un polinomio di grado ~ 4 esistono formule che forniscono le soluzioni
della (i1. l) mediante, radicali. Se però f è un polinomio di grado > 4 o una funzione più
complicata1 salvo casi particolarmente fortunati, non esistono formule per le soluzioni.
Geometticamente, risolvere,la (4.1) significa determinare le ascisse dei punti di inter-
sezionè tra il grafico di y = f (x) e l'asse delle ascisse. Naturalmente possono esserci
infinite soluzioni, un numero firtit9 di soluzioni, nessuna soluzione. Ogni soluzione si
chiama zero_ di f.
y = f(:r:)
Il t eorema degli zeri dà alcune semplicì condizìoni sotto lEl quali esiste uno zero di f
e anche un modo per calcolarlo.
i) f continua in [a, b]
ii) .f (a;) . .f(b) <o
Allora .e siste c. E (a, b) tale chef (e) = O.
Se f è anche strettamente monotona, lo zero è unico.
© 978-88-08-06485-1 4 Proprietà globali delle funzioni continue o monotone su un intervallo 137
DIMOSTRAZIONE. Costruiamo una successione che tende a uno zero di f. Poniamo c1 = a!b,
punto medio dell'intervallo [a, b] .
Se J(c1 ) =O siamo fortunati e il teorema è dimostrato.
Se f(c1) i= O guardiamo il segno di f(a) · f(ci) e procediamo come segue:
Poniamo ora c2 = b:t~ai, punto medio dell'intervallo [a 1,b1], calcoliamo f(c2) e procediamo
come prima:
se f(c2) = O lo zero cercato è c2 e il teorema è dimostrato; se f(c2) i= O guardiamo il
b-a
2) bn - an =~ (ciascun intervallo è lungo la metà del precedente)
3) f(aT1) · f(bn) <O (per come sono stati scelti an e bn a ognj passo)
f(a)
'
.f(Ci) ,
-- --1--- - - - - -- -
I
''
b
a C2
j(CI) - -- - - - - - - -- - - - - - - - - - - - - --
f(b)
Figura 3.11.
138 Capitolo 3. Limiti e continuità © 978-88-08-06485-1
Per la. 1), possiam6 allora dedurre che le successioni {an} e {bn.} hanno limite finito, in base
al teorema di esistenza dcl limite delle successioni monotonei cioè:
(Si noti che le succ.essioni sono anche limitate perché contenute in [a, b].)
Dalla 2) deduciamo che bn - an = b2--;.,a ---+ O se n ---+ +oo e perciò e1 = f2 = L
Per la continuità cli .f, abbiamo allora che
TEOREMA 3.27 (01 WEIERSTRAss) Sia f : [a 1 b] _,JR una funzione continua. Al-
lar-a .f assume massimo e minimo in [a, bJ, ossia: esistono ,1:m , :r:M E [a, b] tali che
.f (xm,) :::;; f (:r;) :::;; f (:rM) per ogni x E [a, b].
Si dice che Xm è punto di minimo per f, e m = f (xrri) è il minimo di f; analogamente)
XM è. punto di massimo, e J\ll = f (xM) .è il massimo di f.
DIMOSTRAZIONE. Proveremo che f ammette massimo in [a, b] . Analogamente si prova che
ha minimo.
Cominciamo con la seguente os.ser;vazione sul concetto di estremo superiore: se E 1, E2
sono d ue sottoinsiemi non vuoti di JR,
Que.s ta proprietà è vera per insiemi sia limita.ti che illìmit ati (se Ei è superiormente illimitato
si pone sup Bi= + oo; si intende che max (a, +oo) = +oo). Sia ora
.f : I _, ~ con I = Ii U Iz
(I,h,Iz intervalli). AppÌicando l'osservazione precedente agli insiemi Ei = {f (:i;) : ;i; E Ii}
si ha:
sup f = max (sup .f, sup
1 li I2
1) .
ln particolare quindi, è vera almeno una delle due relazioni:
Veniamo alla dimostrazione del teorema. Useremo una costruzione iterativa simile a quella
vista nella dìmostrazìone del teorema degli ,,;eri. Consideriamo la funzioue f : [a, b] ---+ JR, e
poniarw;.i
A= supf
[a,b]
© 978-88-08-06485-1 4 Proprietà globali delle funzioni continue o monotone su un intervallo 139
(con A eventualmente uguale a +oo). Suddividiamo [a, b] in due intervalli uguali; per quanto
osservato sopra, per uno di essi, che chiamiamo [a1, bi}, sarà vero che
A = sup f.
[a1 ,bi]
Suddividiamo [a1 , b1 ] in due intervalli uguali; per uno di questi, che chiamiamo [a2, b2], sarà
vero che
A= sup f.
[a.2,b2]
Procedendo per dicotomia, così facendo costruiamo una successione d i intervalli [an, bn] ,
ciascuno contenuto nei precedenti, con le proprietà:
1. an monotona crescente e limitat a; Òn monot ona decrescente e limitata;
b-it
2 . b,i - a". = 21' -i.
o;
3. A= SUP[h"""ti: bn l f .
Per lo stesso ragionamento fatto nella dimostrazione del teorema degli zeri (che utilizza il
teorema di monotonia per le successioni), dai punti 1) e 2) segue che le successioni an e bn
convergono ad uno stesso limite xo E [a, b] . Dist inguiamo ora due casi: A < +oo, A = +oo
(proveremo che questo secondo caso in realtà non può verificarsi). Se J\ < +oo, per ogni n
esiste un punto tn E [an, bn] tale che
1
(4.2) A- - < .f (tn) ~A.
n
Infatti: poiché A - ~ è minore di A che è il minimo dei maggioranti dei valori di f (x) in
[an, bnJ, A - * non è un maggiorante, quind i esist e tn E [an) l>n] con la propric~tà (4.2).
Poiché tn E [an, l>nJ, O.n __, Xo e bn __, x o, per il teorema del confronto anche tn __, x o.
Ancora per il teorema del confronto, la ( 4.2) d à allora
lim f (tn) = A.
n - ) oo
D'altro canto, poiché f è cont inua e tn __, xo) si ha che lirnn- •oo f (tn) = f (xo), perciò
f (xo) = J\. Allora, poiché A è il sup dei valori d:i f in [a, b]) A è il massimo di fin [a, b] , ed
è assunto nel punto xo . In questo caso perciò il teorema è dimostrato.
Supponiamo ora che sia A = +oo. Allora per ogni n esiste un punto tn E [a,., bn] tale che
(4.3) f (t.-.) 2: n.
Ragionando come sopr a si prova che tn __, xo per un certo xo E [a, b]. Poiché f è continua
m xo,
lim f (tn) = f (xo),
n->OO
ma per la (4.3) limn-.oo f (tn) = +oo, assurdo p erché in xo la funzione deve avere un valore
finito.
Mostriamo ora che le ipotesi del t eorema di Weicrstrass sono tut t e necessarie, con i
seguenti esempi
~Ji~ f(x) = x in JR. La: funzione è continmi su un intervallo non limit ato. La funzione non
ha né massimo né minimo (non è nemmeno limitata).
X per X E (O, 1}
f(x) = { ~ per x = O,;:r; = 1
TEOREMA 3.28 (DEl VALORI INTERMEDI) Se f è continua su [a, bL allora per ogni
valore À compreso tra rn e Jì,1 ( minùno e massimo di f in [a, b]) 1 esiste un ·ingresso x
in [a, b] che ha ·i{ valore À come uscita (proprietà ·dei valori intermedi).
a b a b
m r------------
a) b)
Figura 3.12. a) L' immag ine d i (a, b] è l'intervallo [m, M]. b) Una funzione che non ha la proprietà dei
valori intermedi. Ogni valore À tra Yl e Y2 non è un'uscita di f.
TEOREMA 3.29 Se f : [a, b] --+ R è contimw, allom f ([a, b]) = [m, M]; cioè l'im-
magine di un intervallo [a, b] è l'intervallo di estremi rn = min f e M = max.f
[a,b] [a,b]
(vedi fig. 3.12a) .
© 978-88-08-06485- 1 4 Proprietà globali delle funzioni continue o monotone su un intervallo 141
TEOR EMA 3 .31 (01 MON OTONIA) Sia f : (a, b) -+ .JR una funzione rnonotona. Al-
lora per ogni e E (a, b) esistono finiti i limiti destro e S'inistro, per x -+ e; ai due
estremi a, b esistono i limiti destro (in a) e s'inistro (in b), eventnalmente infiniti.
A=sup{f(x): x E (a,c)}.
142 Capitolo 3. Limiti e continuità © 978-88-08-06485-1
Notiamo che A esiste finito per la proprietà dell'estremo superiore, in quanto f (e) è un
maggiorante dell'insieme {f (x) : x E (a, e)}. Proviamo che
Sia dunque Xn una qualsiasi successione in (a, e) tale che Xn-+ e, e proviamo chef (xn)-+ A,
ossia che per ogni e > O risulta definitivamente
D'altro canto per ipotesi Xn < e \In e x,,. -+ e per n -+ oo, perciò Xn E (x, r.) <lefìnitiv::imP.ute.
Ma allora
f (xn) "2_ A - E: definitivamente,
che è quanto occorreva provare.
Analogamente si può dimostrare che esiste
lim
x ->c+
f (X) = inf {f (X) : X E (e, b)} .
Per quanto riguarda i limiti ai due estremi dell'intervallo, se si vuole provare ad esempio che
esiste
lim f (x),
x -+ b-
si definirà, ancora
A = Sup{j(x): X E (a,b)};
t uttavia in questo caso A potrebbe anche essere +oo (non possiamo affermare che f (b) sia
un maggiorante dell'insieme, perché in b la funzione non è definita). Nel caso in cui A < oo
si può ripetere la dimostrazione precedente; se invece A = oo, il ragionamento si modifica
come segue. Dall'ipotesi
sup {f (x) : x E (a, b)} = +oo
segue che per ogni K > O esist e x E (a, b) tale chef (::i;) > K; per la monotonia di f, allora,
:--------__
I
I
Figura 3.13.
T EOREMA 3.32 Sia f :I - JR, con 1 'intervallo, una funz'ione contin'ua in I . Allora
f è frwert'ibile 'iri I se e solo se è strettamente monotona. In tal caso la sua inversa è
ancora strettamente monotona e contin·ua.
DIMOSTRAZIONE. Sappiamo già che se f è strettamente monotona è invertibile (indipen-
dentemente dalle ipotesi che f sia cont inua, e che sia definita su un intervallo). Mostriamo
che vale il viceversa, ossia che se è continua e invertibile, allora è strett amente monotona.
Per assurdo, non sia strettamente monotona, allora esistono tre punti x1 < x2 < x3 in I tali
che
Poiché .f è continua, per il teorema dei valori intermedi esiste xo E (x1, x2) tale che f (xo) =
f (x3) . Poiché xo =f:. x3 (perché xo < x2 < x3), ne segue che f non può essere invertibile,
assurdo.
Questo dimostra la prim a parte del teorema. Sia ora f continua, strettamente monotona
e quindi invertibile in I, e sia g la sua funzione inversa, ancora. strettamente monotona e
144 Capitolo 3. Limiti e continuità @ 978-88cQ8-Q6485-l
invertibile. Proviamo che g è continua. Per qnanto osservato dopo il teorema di monotonia.,
la funzione g, strettamente monotona, o è continua, oppure ha dei punti di discontinuità a
salto. In tal caso l'immagine di g non è un intervallo (ma è l'unione cli almeno due intervalli
disgiunti), il che è assurdo perché tale immagine è I. Dunque g è continua. ~
Si noti che nella dimostrazione del teorema precedente si sono utilizzati sia il teorema
dei valori intermedi, sia il teorema di monotonia per le funzioni. Di nùovo, quindi,
abbiamo fatto impl,i citamente uso, in modo essenziale, dell'assioma di continuità di
JR. Jl teorema .appena dimostrato significa in particolare che:
fI J Dimostrare che se per ogni successione Xn --+ e, con Xn # e Vn, la proprìetà p ( Xn) è
vera definitivamente, allora la proprietà p ( x) è vera de:finitiv.amente per x --+ c.
Questo fatto è stato implicitamente utilizzato nella dimostrazione del teorema di perma-
nenza del segno per le funzioni.
Suggerimento: ragionar.e per assurdo, scrivendo in maniera esplicita e quantitativa cosa
significa la falsità della tesi, e costruire una successione che contraddice l'ipotesi.
~J:J Dimostrare le seguenti varianti del Teorema degli zeri su intervalli rnimitati e su
intervalli aperti:
(a) "Sia f : ~--+JR continua e suppon.iamo che
lirn
X-->+CX'.>
f (x) · lim f (x) <O
X->-00
(supponendo anche che i due limiti esistano, finiti o infiniti). Allora esiste e E JR tale che
f(c)=O".
© 978-88-08-06485-1 4 Proprietà globali delle funzioni continue o monotone su un intervallo 145
(supponendo anche che i due limit i esistano, finiti o infiniti). Allora esiste e E (a, b) t ale
che f (e) = O" .
Suggerimento: usando l'ipotesi sui limiti, mostrare che in entrambi i casi esiste un intervallo
[x 1, x 2] contenuto nel dominio della funzione, tale che f (x1) · f (x2) < O, e quindi .. .
(1, 1) ?-' -
-·-
(-2, - 8)
Figura 4 .1. La retta tangente a lla curva y = x 3 nel punto (1, 1) è y = 3x - 2, che taglia la curva anche
in (- 2, -8).
148 Capitolo 4. Calcolo differenziale per funzioni di una variabile © 978-88-08-06485-1
Figura 4.2. La funzio ne y = !xl ha infinite rette che tagliano il suo g rafico solo nell'orig ine: nessuna di
esse è "tangente" .
Figura 4.3.
rico, per vedere poi in quali punti essa è orizzontale. Questa idea si deve per primo
a Fermat, che la elaborò intorno al 1630. Ad esempio, la meccanica insegna che un
sasso lanciato verso l'alto (nel vuoto) con una velocità iniziale vo, dopo un tempo t si
trova a un'alt ezza
1 2
h (t ) = Vo t - 2gt ,
dove g è l'accelerazione di gravità, pari a 9,8 m/s2 . Problema: qual è i1 punto più
alto raggi unto dal sasso? È il valore massimo assunto dalla funzione h (t); cerchiamo
dunque il valore di t per cui la curva h (t) ha retta tangente orizzontale; in realtà
questa curva è una parab ola, e senza scomodare il calcolo infinitesimale sappiamo
che ha valore massimo per t =ascissa del vertice, cioè t = vof.q; perciò la quota
massima raggiunta è h(vo/ g) = ~v6/g. È chiaro però che in problemi più generali
potremmo trovare una funzione h (t) ((qualsiasi" , e si pone il problema di avere un
metodo generale per determinare il punto in cui la tangente è orizzontale, e prima
ancora per calcolare il coefficiente angolare della retta tangente in un punto qualsiasi.
Un punto istruttivo di questa discussione è il seguente: senza il calcolo infinitesi-
male non si potrebbe non solo risolvere certi problemi, ma neppure dar senso a<l essi
(ad esempio, definire rigorosamente il concetto di rett a tangente).
indicano la "pendenza media" del percorso. Nel caso indicato la pendenza media. è
del 103. Che cosa vuo.l dire? Significa che ad ogni avanzamento di 1 km corrisponde
un innalzamento (o un abbassamento) di circa 100 m = 0,1 km (fig. 4.4).
Il 10% che indica la pendenza è il rapporto
variazione quota
variazione percorso
© 978-88-08-06485-1 2 Derivata di una fLJnzione 151
B~
:-· -f
I lQ() lll
A
a
-- - ----- ----- ---- -~ ---
I
I
t
1 C
I
X
,-E-----1 km - - - - ,,,..!I
Figura 4.4.
che rappresenta il tasso &i 'Variazione della quota rispetto al percorso, relativamente al
tratto di 1 km. Si noti che tasso di variazione positivo indica (in media!) innalzamento,
mentre tasso negativo indica abbassamento.
y
Figura 4.5.
D)altra parte, osservando la figura 4.5, si vede che la pendenza media da A a B non
è un dato preciso in quanto, durante il percorso, nonostante la pendenza media sia
positiva, vi sono tratti in discesa, a pendenza perciò negativa.
152 Capitolo 4. Calcolo differenziale per funzioni di una variabile © 978-88-08-06485-1
f(x)
X x+h X
Figura 4.6.
1. la retta limite prende il nome di retta tangente al grafico di f n el punto èli ascissa :r,;
2. la sua pendenza (o il suo coefficiente angolare) è data da tg w (fig. 4.6) e prende il
nome di derivata prima di f nel punto x.
In generale, abbiamo la seguente définizione.
DEFINIZIONE 4.1 Sia f: (a, b)-+ JR; f si dice derivabile in xa E (a, b) se esiste finito
lim f(xo+h2-f(xo). Tale limite prende il nome di derivata prima (o semplicemente
h-+O
derivata) di f in xo e si indica con uno dei simboli seguenti:
f'(xo) df I D f(xo) f(xo )
dx x=xo
. .
1lITl
f (xo + h) - f (xo) =
f'( Xo )
h-+O h .
La retta di equazione:
Se f è derivabile in ogni punto di (a, b) è definita la funzione f' : (a, b) ~JR, derivata
di f, data da
Xr--+j'(x)
In questo caso possiamo anche chiederci se la funzione f' (x) sia a :;ma volta derivabile
(in un punto o in tutto l'intervallo); in caso affermativo, chiameremo derivata seconda
di .f la derivata di f' e la indicheremo con uno dei simboli
ds = velocità dell'oggetto
dt,
• Analogamente, la velocità istantanea di variazione della velocità v( t) dell'oggetto,
rappresenta (per definizione!) l'accelerazione istantanea dell'oggetto stesso:
dv
dt =accelerazione dell'oggetto
Poiché a sua volta v era la derivata della funzione s(t), si ottiene che
accelerazione = :t (~:) = ~:
Ecco un primo esempio di interpretazione della derivata seconda di una funzione.
Se sulroggetto agisce una forza f = .f(cs, s'), la seconda legge della dinamica si può
scrivere nella forma
ms" = f (s, s')
dove m è la massa dell1oggetto.
• Un pendolo oscilla in un piano verticale attorno a un asse,
formando con questo un angolo(}= B(t), come in figura.
In questo caso
• In un filo percorso da cori-ente sia q = q(t) la quantità di carica che attraversa una.
sezione del filo nell'istante t. Si ha:
-d ' t
dq = in·ensi :i corrent e
' d..
't·a
t
• Se e = c(p) indic~1 il costo di produzione di una quantità p (di un determinato
bene), il rapporto tra c(p+ 6.p )-c(p) e 6.p indica la variazione del costo proveniente
da una variazione (media) unitaria della produzione e prende il nome di costo
rnarginale medio. Passando al limite p er Ì:l.p - r O si ott iene il costo marginale~;
cioè, in questo caso
dc
çosto marginale di produzione
dp
f J i' .
1. e (c~stçtr)'.t~) o
2,i 1 l,;z, . l<fg X
2a: 13.. a'"-' (a > O)
1
1;1, loisa x (a > D,-a t5 1)
xloga
15. S·:hx (jfi:i
3.
Si ha:
f(x + h) - f(x) c~:+h)2-x2 x2 + 2h:r + h2 - x 2
- - - - - - -- = 2x +h
h h h
@. 978-88-08-06485-1 2 Derivata di una funzione 155
dove abbiamo usato il limite notevole (1 + E(h) )°' - 1 ,....., Cl'.c(h) per h ---+ O, con
c(h) = h/x (cfr. la (3.8) dcl cap. 3).
~h ~h
2
COS h- 1 rv _ = _ -7 Q
h 2 h 2
Analogamente si most ra la seconda formula. Omettiamo i dettagli.
Perciò la funzione sin .1: ( e 1 come si vede con passaggi analoghi, anche la funzione cos .r,)
soddisfa l'equazione differenziale
f 11 (X) = - f (X)
Pertanto le funzioni sinusoidali governano i fenomeni in cui l' accelerazioné con cuì
varia 'una grandezza è uguale alla grandezza stessa) cambiata di segna. Tali sono ad
esempio molti fenomeni di tipo vibratorio.
Non è esagerato dire che questo è il motivo fondamentale per cui le funzioni trigo-
nometriche sono così importanti nel calcolo infiniteRimale e nella matematica appli-
cata: un motivo che apparentemente non ha nulla a. che vedere con la trigonometria)
da cui queste funzioni sono nate! Approfondiremo questi fatti nel vol.2, trattando le
equazioni differenziali.
y = fi(2) + !{(2)(.i; - 2) = e 2 + e 2 (x - 2)
Per l'altra funzione:
J~(x) = 3x
2
f2(2) = 8, (formula 6 della tabella con a= 3)
Riportiamo in figura 4.8 i grafici delle due funzioni, con le rispettive rette tangenti
per x = 2:
© 978-88-08-06485-1 2 Derivata di vna funzione 157
20 14 . I
I
15 12 I
I
10
10
8
5
6
I
4 I
- 1 /
1 2 3 -/
- 5 2
I
/·
- 1 I
- 10 ~--=~~-+~~====---~_L_~~~~--'--o~
Figura 4.8.
Punti angolosi
Sia f(x) = lxl. Essendo f(x) - x per x >O e f(x) = -x per x <O, si ha f'(x) = +1
se x > O e f' (x) = -1 per x < O, avendo f' il significato di coefficiente angolare.
Nell'origine x =O, occorre usare la definizione. Ora
f(h) - f(O) lhl
h h
e quindi, se h __,., o+, !hl = h e il limite del rapporto incrementale è 1, mentre se
h-+ o-, ihl = -h e il limite è -1.
Si conclude che, non esistendo il limite del rapporto incrernentale, f non è deriva-
.bi.le in x =O. D'altra parte, ricordando il grafico di f(x) =lxi si vede che la tangente
nell'origine non è ben definita.
f(x) = lxi
o X
Tuttavia i limiti destro e sinistro del rapporto incrementale dì lxi esistono finiti e in
(O, O) il grafico presenta '(un angolo".
158 Capitolo 4. Calcolo differenziale per funzioni di una variabile © 978-88-08-06485-1
nistra); il limite si chiama derivata destra (oppure S'inistra) e si indica con il simbolo
f~(xo) (oppure j:_(xo)). ~
Nel caso in cui f sia continua e derivabile da destra e da sinistra (ma non derivabile)
in x 0 si dice chef ha un punto angoloso in x = :ro. Dunque, lxi ha un punto angoloso
in X = 0.
Vale la pena. ricordare la formula ·che esprime sinteticamente la derivata della
funzione valore assoluto (fuori dall'origine):
1 per x >O
)xl' = sgn(x) =
{ -1 per x <O
. f(xo
1im
+ h) - f(xo)
= + oo oppure - oo
h __.,O h
y A_ y
o X
Nel caso misto in cui una delle due derivate è finita e l'altra infinita (con f continua)
si parla ancora di punto angoloso.
Infine, se la funzione è definita solo per x 2: x 0 e in tal punto ha derivata (destra)
infinita, diremo semplicemente che in tal punto ha tangente verticale, senza parlare né
di cuspide né di flesso. Ad esempio, la funzione ft ha un punto a tangente verticale
inx=O.
Continuità e derivabilità
Vale il seguente semplice ma importante
DIMOSTRAZIONE. Scriviamo
f .(Xo + h) -
f( Xo ) -_ f(xo + h)h - f(xo) · 1i ""
!'(.'Xo )h per h-> O.
Perciò lim [f(xo + h) - f(xo) ] = O da cui lim f(xo + h) = f(xo), che è la continuità di
h- O h- o
fin XQ.
Come conseguenza, se una funzione è discontinua in Xo, non può essere derivabile
111 xo.
Viceversa, se f è continua in x 0 , non necessariamente f è derivabile in x 0 come
mostra f(x) = lxi che è continua in x = O m a non ivi derivabile.
Consideriamo la funzione .f periodica di periodo T che coincide con ,P lxi
2
nell'inter-
vallo [-T/2, T/2] (fig. 4.12) . ·
A
\ I
\ I
\ I
\ I
\ I
\ I
\ I
~
- T T o T T X
-2 2
Figura 4.12.
160 Capitolo 4. Calcolo differenzia/e per funzioni di una variabile © 978-88-08-06485-1
,----, 2A
T
I
I
I I I
Figura 4.13.
2
La derivata del segnale triangolare di ampiezza ; rappresenta quella che si chiama
onda quadra.
X
4/:·3 x2/3 XG/3 x1;2 X
3/2
(Questo argomento permette di completare la gi'ustificazione del grafico delle funzion'i potenza
a esponente razionale o reale, che abbiamo descritto n el cap. 2, par. 3.1).
Sia
f(x) = x logx, per x >O
Dopo aver prolungato per continuità f anche in x =O, calcolare la sua derivata destra in O.
Sia
f(x) = e-l/x, per x >O
Dopo aver prolungato per continuità (da destra) f anche in x = O, calcolare la sua derivata
destra in O.
essendo la derivata di una costante uguale a zero, e dalla (3.3) si deduce, per f = 1,
g'
{3.5) g2
f(x + h)g(x + h) - f(x)g(x) = f(x + h)g(x + h) - f(x + h)g(x) + f(x + h)g(x) - f(x)g(x)
e quindi
poiché f(x + h) ------* .f(x) quando h - >O, essendo f continua in quanto derivabile.
Proviamo ora la (3.5):
g (x) per h - t O.
162 Capitolo 4. Calcolo differenziale per funzioni di una variabile © 978-88-08-06485-1
Notiamo infine che d alle (3.2) e (3.5) si deduce anche la (3.3), infatti:
f' · 1
= g+ f · (1)
g ( per la (3.5) =
La (3. 6) si chiama regola della catena; usando le notazioni (di Leibniz) ~~ e ~; per le
derivate di f e g e posto w = g_(y), la (3.6) acquista una forma più significativa:
dw dw dy
(3.7) -·- (come se dy si semplificasse)
dx dy dx
~ Si voglia deriva.re
w (x) = (sin·x) 3'
Per calcolarla, occorre inserire il valote di x, calcolare sin x e poi elevare tutto al cubo:
3
sin . 0 . 3
X --t 1-+ Slll X --t 1-+ ( Slll X)
164 Capitolo 4. Calcolo differenziale per funzioni di una variabile © 978-88-08"06485-l
Posto
3
f (x) = sinx, g (y) = y
si ha allora w (x) = g (! (x)). Pertanto:
I · . 2
'W (X) = 3 (sin X) . cos X
dw dw dy z .. 2
- = - . - ' = 3y . cos X = 3(sm X) . cos X
dx dydx ·
r.;~e.J Derivata di f(t;) = A sin(wt + cp) e di' g(t) = A e- 0 't cos(wt + tp)
f' / (t) = A -dd sin (wt + tp) = A cos (wt + cp) · w = Au.1 cos (&..!t + cp)
1 J 1
fonnul<>- (3.4) regola della ,catena
~M~
w'fi" Possiamo ora completare la dimostrazione delle formule contenute nella tabella delle
derivate di funzioni elementari.
(ax)' = (ex Ioga)' =
(usando le formµ}e per la derivata di et e per la derivat a della funzione composta)
(log11 x) , = ( -logx)
- . '
1oga
1
.-r log a
::l1l!~: (Deriva'te di fun_zioni del tipo f (x) 9 ( x)) . I passaggi per il calcolo di (ax)' si ba.sano
su un "trucco" di uso rnmune: riscrivere una funzione f (x )g(x) con f(x) > O nellà forma
seguente:
f(x)g ( x) = eg(x) log f("J;)
© 978-88-08-06485-1 3 Regole di calcolo delle derivate 165
[f(x)9(~: )]' = [eg(x) log f (x)]' = e!l(x) log J(x) • [g(x) log J(x)J' =
IJ(x)I
Sappiamo che il valore assoluto non è derivabile là dove il suo argomento si annulla. Tuttavia,
nei punti in cui f(x) i= O, la derivazione di funzione composta dà:
ha un punto angoloso in x = - 1.
ax+b))' ( , a e
( log ( cx + d = (log (ax + b) - log cx + d)) = ax + b cx + d
(ossia, talvolta. conviene usare le proprietà dei logaritmi per tra.sfor mare una funzione loga-
ritmica prima di ca.lcolarne la derivata).
Il seguente esempio mette in luce le possibilità di calcolo connesse con la formula della
catena.
io- d m I m1n
-dh = - - . = -i- d m I rmn
. Figura 4.14.
dt 1007r l07r
(3.8) ·
denvata · · d'i f·
1ogantm1ca d 1og f(
= dx · x ) = f'(x)
f (x)
da fa logf
-4
X X
a) b)
Figura 4.15. a) Grafico di f(x) =ex in scala norma le; b) grafico di ex in una scala semilogarìtmica.
' .
Altra variante possibile è quella dei grafici in scala logarit mica, in cui invece di x
sull'asse delle ascisse si collocano i valori di log x; lo stesso si fa con f sull'asse delle
ordinate.
La pendenza della retta tangente a un grafico in scala logaritmica (cioè la derivata
di log f rispetto a log x) rappresenta il tasso di variazione relativa di f rispetto a
variazioni relative di x; questa quantità prende il nornc di elasticità di f e si indica
con E(x).
logf
log X
tg o: = E(x)
Figurn 4.16.
Per trovare l'espressione analitica di E(x) , osserviamo che, per il teorema di deriva-
zione delle funzioni composte, si ha, posto u = log x:
dlog .f d log f d-u
dx du dx
ovvero
F (x) = E(x)~
f(x) X
da cui si ricava
f'(x)
E (x) = x f (x)
Altra variante possibile è quella dei grafici in scala logaritmica) in cui invece di x
sull'a::;se delle ascisse si collocano i valori di log x; lo stesso si fa con f sull'asse delle
ordinate.
La pendenza della retta tangente a un grafico in scala logaritmica (cioè la derivata
di log f rispetto a log x) rappresenta il tasso di variazione relativa di f rispetto a
variazioni relative di x; questa quantità prende il nome di elasticità di f e si indica
con E(x).
log f
log :i;
tg a = E (x)
Figura 4.16.
da cui si ricava
E (x) = xf'(x)
f(x)
DIMOSTRAZIONE. Sia:
f (xo + h) = yo + k; g (yo + k) = xo + h
g(yo+k)-g(yo) h
k = f (Xo + h) - f (XQ )'
Se k i- O, f (xo + h) - f (xo) i- O e quindi anche h i- O; dunque l'ultimo quoziente si può
riscrivere anche nella forma
1
f (Xo + h) - f (xo) ·
h
Inoltre, per k - t O si ha g (y0 + k) - t g (yo) perché g è continua, essendo l'inversa di una
funzione continua su un intervallo (si veda il Cap.3, par. 4.3); d'altro canto h = g (yo + k) -
g (yo), quindi per k - t O anche h --> O, e per ipotesi
1
~.,.---~--,-~~,.--- -t
1
~..,.---
da cui, se J'(x) #O, la (3.9) . La dimostrazione che abbiamo dato, tuttavia, è necessaria per
dedurre la derivabilità di g dalle nostre ipotesi su f.
y =X
y = f (x)
~;
Figura 4.17. Gli angol i a e fJ sono complementari (a+,B = 7r/2) e quindi f'(x) = tga = tg(~ -f3) =
1 1
t gf3 - 9.' (y).
© 978-88-08-06485- 1 3 Regole di calcolo delle derivate 169
Con la notazione di Leibniz, posto y = f(x), x = g(y), (3.9) si scrive nella forma
dx 1
(!)
dy dy
dx
Si faccia attenzione al fatto che nella formula di derivazione della funzione inversa, le
derivate f' e g' sono calcolate in due punti diversi: è questa la principale attenzione
da avere nell'applicazione di questo teorema, come mostreranno i prossimi esempi.
Si osservi che le funzioni arcsin x, arccos x, pur essendo definite e continue in [- 1, 1],
non sono derivabili agli estremi dell'intervallo: precisamente, presenta.no in questi
punti tangente verticale.
L'utilità del teorema di derivazione della funzione inversa consiste nel fotto che
permette di calcolare la derivata di g anche in situazioni in cui g non si sa scrivere
esplicitamente:
Sia f (x) = x+e:c. La funzione è strettamente crescente in tutto JR, dunque invertibile;
sia g la sua inversa. Calcoliamo, ad esempio, g' (yo) per yo = f (O) = 1. Si ha:
In base alle regole di calcolo delle derivate e alla tabella delle der'ivatc delle funziorà elemen-
tari, calcolare la derivata delle seguenti funzioni:
e 2 x (2sin3x - 4cos3x)
cotg x, Th x, Coth x
~ log jlogxl
Scrivere l'equazione della retta tangente al grafico di y = f (x ) nel punto (xo, f (xo)):
f (x ) = sin x, xo = ~ f (x) = (x log lxl) 3 , xo = -1
>J, Qual è il tasso di variazione del volu me di u na sfera rispetto al suo raggio? E rispetto
all'area della sua superficie?
' \
\
\
•, Una funzione è nota dal suo grafico (fig. 4. 19); tracciare con buona approssimazione il
grafico della sua derivata.
o 1 3 o 1 2 o 1 2
Figura 4.19.
© 978-8;8-08-06485-1 4 Il teorema del va/or medio e le sue conseguenze 171
Calcolare la derivata delle segnenti f1mzioni, dove esiste. Stv,diare i pnnti di non derivabilità,
stabilendo se si tratta di p-unti angolosi (in questo caso, calcolare la derivata destra o sinistra) 1
punti di cnspide, flessi a tangente verticale, p·1mti a tangente verticale, tracciando un grafico
locale della .fun~ione in quei punti. Prima di eseguire il calco/o della der·i vata, cercar·e di
p'revedere qual-i sa'tarirw i p'unti di non derivabilità, in basé alla f orrna della. funzione .
~~~ lqg (1 + ~)
2
Calcolare f' (O) in base alla definizfone. Calcolare poi f' (x) per x =f. O, e stabil'ire se la
derivata prima è continua in X = 'Q:
per .x <O
e - 11'•
. .,,.2 pet X> 0
f(x) =
{ x2 per x :=:; O
• Dalla vita corn'une!. Un tubo di lunghezza 4 m (sezione piccola) deve essere tra-
sportato attraverso il cunicofo raffigurato in figur·a 4.20. È possibile il trasporto?
172 Capitolo 4. Calcolo differenziale per funzioni di una variabile © 978-88-08-06485-1
4m
,,, lm
2m
Analoga definizione per il minimo . Vi sono altri tipi di estremo (massimo o minimo)
e cioè gli estremi locali.
4.5 Si dice che NI è massimo locale (o relativo) per
D EFI N I ZI ONE f e che :r:o è p?tnto
di massimo locale se:
esiste un internallo (xo - al Xo +o) tale che Jì!I = .f(xo) ~ f (x )
per ogni X E (xo - o, Xo + o) n (a, b)
Analogamen~e per un minimo locale.
j'(:t2) - - - - - - - - - - - - - - -
f(a)
lt) b)
Figura 4.21.
Le figure mostrano che in un punto di estremo (locale o globale) f può non essere
derivabile ed essere perfino discontinua. Se però f : [a, b] -> JR è derivabile in un punto
xo che sia di massimo o minimo locale e che sia diverso da a e da b) allora in x 0 la.
derivata si annulla, ossia la tangente al grafico in (x 0 , f(x 0 )) è orizzontale (fig. 4.21).
Precisamente:
TEOREMA 4.5 (01 F ERMAT) Sia f : [a, b]-> JR, derivabile 'in x E (a, b). Se x è
punto di estrerno locale allora
f'(x ) = O
D IMOSTRAZIONE. Sia, ad esempio: x punto di max locale. Allora, per z abbastanza vicino
a x, si ha j(z) ::; f(x). Perciò:
z <x ==? f(z) - f(x) >O e quindi f'_ (x) = lim J(z) - f(x) 2: O
Z - X - z- n - Z - X
(abhiarno applicato il teorema della permanenza del segno, cap. 3, par. 3.1) . D'altra. parte
Punti stazionari
I punti in cui f1 si annulla, si dicono punti stazionari per j. Abbiamo app~na visto
che, se x non si trova agli estremi dell'intervallo nel quale f è definita, allora
Vi possono però essere punti stazionari che non sono di estremo. Ad esempio la
funzione .f(x) = x 3 ha f'(x) = 3x 2 che si annulla nell'origine, max= O non è punto
di estremo (vedi fig. 4.22).
Si tratta di un punto di flesso (o di inflessione) a tangente orizzontale come vedremo
più a\ranti.
~~~~~-::;,_...,-"''----~~~~~~
È concettualmente questo il contenuto del teorema del valor medio, che com e vedremo,
è dènso di consegueilze.
O a
Figura 4.23.
Si ha:
La (4.1) esprime dunque il fatto che nel punto (c1 f( c)) la tangente al grafico di f è
parallela alla retta AB. In figura 4.23 esistono due di tali punti, di ascissa c 1 , c2 .
D IMOSTRAZIONE DEL TEOREMA DEL VALOR MEDIO. Osserviamo che la retta AB ha equazione
f(b) - f'(a)
y = f (a) + · (x - a)
b -a
e consideriamo la funzione
y
Sia f(x) - x 2 • Allora J'(x) - 2x e il
teorema afferma che in ogni intervallo [a, b] esiste
un numero e tale che
b2 - a2
- - - = 2c da cui
b- a
a+b
e= - - = media aritmetica cli a e b
2
1 1
b a 1 1
ossia
b -a ab c2
da cui
f crescente ~ f'(x)~O
'ti x E (a, b)
f decrescente ~ .f'(x) ::; o
DIMOSTRAZIONE. Infatti, considerata f: (a, b) ---+ rn. e due punti qualunque x, z E (a, b)
crescente ~o
f(z) - f(x)
f è ~
z-x
è
decrescente .'.S o
© 978-88-08-06485-1 4 li teorema del va/or medio e le sue conseguenze 177
Passando al limite per z-+ x, per il teorema della permanenza dcl segno, dalle due precedenti
relazioni si ottiene
f crei:;cente f'(x) 2: O
VxE (a,b)
f decrescent e J' (x) :::; O
Viceversa, sia, a.d esempio, J' (x) 2: O per ogni x E {a, b), e proviamo che allora f è cre-
scente in (a, b). Prendiamo d unque due punti qualsiasi x1, x2 E (a, b), x1 < x2, e mostriamo
che f (x1):::; .f (x2) . Infatti, applicando il teorema di La.grange ad f sull'intervallo [x1,x2]
abbiamo che esiste e E (x1 ,x2) tale che
Con la stessa dimostrazione si vede anche che: se f' (x) = O per ogni x E (a , b) 1 allora
f è costante in (a, b). Poiché l'implicazione inversa (se f è costante in (a, b) allora ha
derivata nulla) è ovvia, risulta dimostrata la seguente
Un errore da evitare è usare la proposizione 4.1 su insiemi più generali degli intervalli.
Consideriamo la funzione
f'(x) =O
In tal modo si trovano i punti stazionari, tra i quali vi sono gli event uali punti cli
estremo locale 1 interni a (a;b) .
Passo 3. Se non vi sono punti stazionari, .f(a) o f (b) sono punti di est remo globale. Se
viceversa x = xo è punto stazionario) occorre stabilirne la natura. A tale scopo si può
studiare il segno di .f' in un intorno di x 0 , ricordando che .f' ~ O implica f crescente,
f' < O implica .f decrescente. I casi che si presentano più comunemente sono illustrati
qui di seguito:
!' + f' - +
f / Xo f ~ Xo /
a) xo è punto d i max b) xo è punto di min f'(xo) =O
f' + + !'
f / XQ / f ~ Xo
a) xo è p unto di flesso b) xo è pu nto di flesso
Passo 4. Trovati gli eventuali punti di estremo locale 1 si calcola il valore di f in questi
punti e lo si confronta con J(a) e f (b).
Vediamo degli esempi numerici
2
;t{if Sia f( x)= xe-x con x E [O, 2] .
1. f (O) =O, f (2) = 2e-
4
2 2 2
2. J'(x) = e-x + xe-x (-2x) = e-:c (1 - 2x2 )
j'(x) =O ~ 1- 2x =O
2
===> x = ±_]__
v'2
Solo xo = ~ E [O, 2] e perciò è questo l'unico punt o stazionario.
3 . Studiamo ora il segno di f', vicino a Xo = ~:
1 1
J' (x) 2: O per 2x2 ~1 - -.)2 <x<-
- - v'2
!' +
f / Jz ~
© 978-88-08-06485-1 4 Il teorema del va/or medio e le sue conseguenze 179
f ( ~) è massimo globale
Si noti che in questo caso, il fatto che esista un solo punto stazionario con ordinata maggiore
di quella agli estremi dell'intervallo, permette di trarre le stesse conclusioni anche senza lo
studio del segno della derivata prima.
Un grafico qualitativo di .f è il seguente
_ 1_
~
o 1112 2 X
2
Figura 4.26. Grafico in [O, 2] di f(x) = xe-:i: ; si noti che f(x) ,.._, x per x -t O.
Se volessimo studiare i massimi e minimi locali di f(.r:) su tutto R, il segno della derivata
prima ci direbbe che
x =
1
J2 e' punto d"1 massimo
. 1oca1e; x = - ~ è punto di minimo locale.
(Figura di diffrazione della luce attraverso una fenditura). Un fascio di luce che
attraversa una piccola fenditura la cui larghezza è dello stesso ordine di grandezza della
lunghezza d'onda della luce, produce> su uno schermo su cui incide, una figura di interferenza.
L'intensità luminosa in un punto dello schermo è data dalla funzione:
2
l= Io ( -sin'!!_ -~ )
2
dove Io è l'intensità massima (che si ottiene nel punto centrale) e l'angolo <p è collegato
alla differenza di fase tra le due onde luminose che passano ai due estremi della fenditura .
Cerchiamo i massimi e minimi di I in funzione di <p. Anzitutto, couviene porre t = <p/ 2 e
cercare massimi e minimi della funzione
I = Io ( si~ t) 2
(questo significa semplicemente cambiare scala sulFasse <p; basterà ricordare poi che <p = 2t).
Il grafico qualitativo di questa funzione può essere tracciato facilmente, senza calcoli: la
funzione si~ t è pari, vale 1 in O, ha infinite oscillazioni smor zate per t -7 oo; di conseguenza
2
la funzione I = Io ( si~i t) è pari, non negativa, vale Io in O, ed ha infinite oscillazioni smorzate:
180 Capitolo 4. Calcolo differenziale per funzioni di una variabile © 978-88-08-06485-1
t
Figura 4 .27.
Vediamo quindi che I ha infiniti punti di minimo, nei punti in cui si annulla, t = k1r (cioè
'P = 2k7r) > e infiniti punti di massimo, di cui il massimo assoluto è per t= O (<p = O), e va.le
Io. Il problema è determinare gli altri punti di massimo relativo. Questi si trovano risolvendo
l'equazione
dl =o ossia
dt
. I sin
o2 - -
t
t (
t cos t - sin
2 t
= 0
t)
Il fattore sin t si annulla nei punti di minimo che già conosciamo; i punt i di massimo sono
dunque le soluzioni di
t cos t - sin t = O
equazione che non può essere risolta in modo e8atto, ma che si studia facilmente con un
confron'to grafico : riscritta nella forma
t = tgt
possiamo osservare dal grafico delle funzioni t, t g t, dove sono collocate le soluzioni (v.
fig. 4.28).
20
10
L---
--
- 10
- 20
Figura 4.28.
© 978-88-08-06485-1 4 Il teorema del va/or medio e le sue conseguenze 181
Successioni monotone
Come abbiamo visto nel capitolo 3, le successioni monotone h anno import anti pro-
prietà. D 'altro canto, non sempre è facile dimostrare la monotonia di nna successione
per via algebrica. Il calcolo differenziale ci offre un metodo utile.
· ·• Sia
logn
an = - -
n
Sappiamo che an ~ O e an ---t O (p er confronto tra infiniti). Chiediamoci se la successione è
monotona decrescente. Per definizione, ciò significa che
. log·(n + 1) log n
an+l < an ossia. <- -
- n+-1 n
Poiché al crescere di n sia il numeratore che il denmninatore crescono, non è facile provare
questa disuguaglianza. D'altro canto, sia
f' (x) = 1
- l~g x :::=;; O p er ::i; ~ e
X
Il passaggio "dal discreto al continuo,, (cioè dagli interi ai reali) è un modo per avere a
disposizione gli strumenti del calcolo differenziale. Attenzione a non usare indiscrimi-
natamente questo espediente. Si ragioni sul fatto che in questo modo non si potrebbe
studiare la monotonia di successioni come
n 2 + (-1)71'n
n 3 +1
I f(O) =o J'(O) = oI
specchio y = f(:i;)
o X
Figura 4.29.
Con riferimento alla figura 4.29, P è un punt o "sul raggio incidenten e Q è un punto
"sul raggio riflesso". Il punto A è un altro punto sullo specchio. Quello che dobbiamo
mostrare è che, poiché il tempo impiegato dal raggio per andare da P a Q è minimo
(principio di Fermat), deve risult are i = f .
Ora, la velocità della. luce è costante in un mezzo omogeneo e non varia dopo la
riflessione e, pertanto, minimizzare il tempo di percorrenza da P a Q equivale a
minimizzare il percorso S = P A + AQ.
Siano (xo, Yo) le coordinate di P , (x 1 , Y1) quelle di Q e (x , f (x)) quelle di A. Si ha:
(4.2)
Ma
© 978-88-08-06485-1 4 Il teorema del va/or medio e le sue conseguenze 183
mentre
X1
----:=== = Slll T .
Jxr +Yi
Da (4.2) si deduce
sin i= sinf
2
T(x) = PA + AQ = J(x- :ro) 2 +y6 + J(x - xi) +yr
VJ. V2 V1 V2
p
mezzo 1
'
A X
r
mezzo 2
Figura 4.30.
Poiché
T'(x) = x - xo + :r: - x1
v1J(x - xo)2 + Y5 v2J(x - x1 ) 2 + Yf
184 Capitolo 4. Calcolo differenziale per fun zioni di una variabile © 978-88-08-06485-1
(4.3)
sin i V1
sin f v2
o= (h - X) 2 - 2x ( h - X) = ( h - X) [h - X - 2xl =
Figura 4.31. AC = R. CB =h. = (h - X) (h - 3x)
e= c(p)
o Po p
La (4.4) si può riscrivere come p 0 c'((Po)) = 1 e 8ignifica che l'elasticità di e nel pv.nto
e Po
Po è uguale a 1.
La (4.4) ha un'interessante interpretazione geometrica, illustrnta nella figura 4.32:
Se p 0 verifica (4.4) , la retta OQ, di coefficiente angolare c(po),
Po
coincide con la retta
tangente al grafico di e = c(p) nel punto Q, di coefficiente angolare e' (Po) .
Queste considerazioni indicano che non sempre esiste un punto Po che soddisfa
(4.4) e che, se esiste, può non essere unico (vedere figure Ll. 33 a) , b)).
e = c(p)
e = c(p)
o p o Po p
a) b)
A= (a, O)
X
B=(O,b)
Figura 4.34.
Si ha
L' (a) = 2a ( 1 - (a ~ 2 )3 )
L'(a) = O per (a - 2) 3 = 2 cioè a= -J'2 + 2, che è punto di minimo come facilmente
sì verifica. La lunghézza minima è quindi
{basta sviluppare la potenza di (a + b)); si chiede di dimostrare che vale anche una
disuguaglianza di segno opposto, per una opportuna costante Cn . Si osservi che la
costante più piccola per cui questo è vero è la costante migliore, cioè quella per cui la
disuguaglianza dà l'informazione più precisa. Anzitutto ri<luciamo il problema ad un
problema in una sola variabile anziché due: basta raccogliere bn ad ambo i membri e
semplificare:
Sia ora
f (t) = (t + 1t
tn + 1
La disuguaglianza da dimostrare è f (t) :S Cn per ogni t > O, e la minima costante per
cui questo è vero è il massimo di f in (O; oo). Ci siamo così ricondotti ad un consueto
problema di massimir,zazione di una funzione di una variabile. Calcoliamo
l ( ) n (t + l)n-l rei + 1) - ntn- l (t + l)n = n (t + i t-l (1 - t ·n· -1) > o per t < 1 .
f t = '
('tn + 1)2 (tn + 1)2 - -
Allora
lim f (x) = L
x ->a+ g(x)
DnvLOSTRAZIONE. Nel caso f (x) 1 g (x) --t O. Daremo prima un'idea intuitiva (ma non con-
cludente) délla dimostrazione, e poi mostreremo come la si possa rendere r igorosa. Sia Xn una
successione tendente ad a+; prolunghiamo per continuità f e gin a ponendo f(a) = g(a) =O.
Allora
f(xn) _ f(xn) - f(a)
(4.5)
.<J(Xn ) g(xn ) - g(a) ·
Se applichiarp_o a f, g separatamente il teorema di Lagrange sull'intervallo [a, .xn], otteniamo
che l'ultimo quoziente scritto è uguale a:
J'(tn)(xn - a) _ f'(tn)
g'(t:,,)(:i;TJ. - a) g'(t;J
dove tn, t~ sono çiue punti opportuni che cadono nell'intervallo (a, Xn). Poiché quando Xn -r O
anche t 7i e t~ --t O, sembra "ragionevole" che il limite del qµozient,e di .f' / g' sia uguale al
limite del quoziente f/ g. Tuttavia questo non si può affermare rigotosarn8ùte, perché le
successioni tn, t;i .sonb a priori diverse tra loro. Per aggirare il problema occorre modificare
leggermente l'argomentazione seguita. H,iprendiamo dunque la dimostrazione dalla (4.5), e
definiamo
h(x) = f (xn)g(x) - g(xn).f (x)
Not iamo che h(a} = h(xn) = O. La funzione h soddisfa le ipotesi del teorema di Lagrange
sull'intervallo [a, Xn], dunque esiste tn E (o,, Xn) tale· che
ovvero, calcolando
h'(x) = f(xn}g'(x)-g(xn)f'(:r;),
Dunque per ogni Xn esiste u n punto tn E (a, xn) tale che
lim - -· =
f' (x) 1
lim - - = O
x->+oo g' (X) x-++oo 1e"'fX·
xa - ( X ) a
- ( a; ) cx
con ry = -/3
ef3x - e(f:J/a)x - e73.: ~
. x - sin x
hm = (QJ
3
X->O X 0
La stima al prim'ordine Gin x ,..., x non è sufficiente a risolvere tale forma di indeterminazione,
in quanto porta a
x - sin x = _..!.._
x3 x2
(i_ sin x ) --t? (oo. O)
x
(infatti la quantità tra parentesi tende a zero, per la stima asintotica).
Il teorema di de L'Hospit al dà:
(per il limite notevole dcl coseno). Dunque anche il limite di pa.rtcnza vale 1/6.
Per usare efficacement e il t eorema, è utile talvolta fare qualche passaggio preliminare
(come una stima asintotica, oppure un cambio di variabile), in modo che la succes-
siva applicazione dcl teorema semplifichi l'espressione, an ziché complicarla. Talvolta,
inoltre, il teorema va apµlicaLo più volte com;ecutivamente, per sciogliere la forma
di indeterminazione: in questo caso, comunque, già dopo la prima applicazione ci si
dovrebbe accorgere che l'ordine di infinitesimo (o di infinito) a numeratore o a de-
nominatore si è abbassato. Se così non è, significa che non si st a seguendo la strada
giusta per calcola.re il limite!
.
.»
lirn e - 1/x2 =
X-->0 X
[2o]
Se applichiamo direttamente il t eorema di de L 'Hospital, l'espressione si complica (provare!).
Invece, col cambio di variabile x 2 = l/t ci si riconduce a
.
1lIU
Vi
-
t-.+oo et
che per confronto di infiniti (cioè per il teorema di de L'Hospital!) ten<le a. zero.
190 Capitolo 4. Calcolo differenziale per funzioni di una variabile @ 978-88-08-06485-1
~ Si voglia calcolare:
lim
x ->+oo
Se concludessimo che il limite di partenza non esiste, diremmo il falso (quel limite vale 1). Il
punto è che se lim !~((~)) non esiste (né finito né infinito) , cade una delle ipotesi del teorema,
x->xo g x
e in base ad esso non si può semplìcemente concludere nulla.
f (x) = x Jlogxl.
Possiamo usare queste informazioni per affermare che la derivata destra e sinistra di f , in
x = 1, valgono 1, -1, rispettivamente? (Se è così, x = 1 è un punto angoloso). In altre parole,
è vero a.d esempio che
Si osservi che la cosa non è ovvia perché, per definizione, la derivata destra è il limite destro
dcl rapporto incrementale :
TEOREMA 4 .9 Sia f: [a, b) -t JR, continua in a, derivabile in (a, b), ed esista (finito
o infinito)
lim j'(x)=mElR*.
:i;-.a+
Allom esiste
j!i_ (a) = m.
'
Detto in parole: se la funzione è continua in a ed esiste il limite destro della derivata,
allora esiste la derivata destra, e coincide con quel limite. Un analogo enunciato vale
per la derivata sinistra; e quindi per la derivata.
Per h -t o+ si ha che t1i --+ a+ , quindi per ipotesi f' (t,,,) -t m . Di conseguenza esiste
f~ (a) = lim .
1i .......o-
f (a+ h; -
i
f (a) = m.
perciò possiamo prolungare f per continuità definendo f (O) =O, ed f così r isulta continua
anche in O. Chiediamoci se f è anche derivabile in O. Cominciamo a calcolare, per x =/= O,
9!!J Sia
f (x) = arctg .!..
X
Calcoliamo
j' (X) = 1: ~ . (- :l ) = - 1 : x2 .
Osserviamo che
1
lim f' (x) = lim (- = -1.
X --tO x--+O 1 +x2 )
Si può concludere allora che esiste J' (x) = -1? No! In questo caso viene meno l'ipotesi di
continuità di f in O: si osservi che f non è definita per x = O, e
lim
x-.o±
f (x) = ±::::2
dunque x = O è un punto di discontinuità a salto) ed f non è d erivabile in x = O. Si osservi
dunque che l'ipotesi di continuità) nel teorema precedente, è essenziale.
B!D Sia
2
f (x) = x sin (;).
(né finito né infinito). Possiamo concludere che non esiste j' (O)? No! Si noti che il t eorema
non permette questa conclusione, ed in effetti, in questo caso, calcolando f' (O) mediante la
definizione si ha:
f ' (O) = h-o
i·im f (h) - O = i·un h sin
h h~o
. (- = O
h '
1)
perciò in realtà f è derivabile e f' (O) = O. Quando il limite della derivata non esiste (né
finito né infinito), il teorema non è applicabile; in particolar e non è detto che non esista la
derivata nel punto considerato: occorre calcolarla dalla definizione.
© 978-88-08-06485-1 4 Il teorema del va/or medio e le sue conseguenze 193
Dopo aver stabilito i 'insieme di definizione delle seguenti funzioni, determ'iriarne i punti di
massimo e minimo e tracciarne sommariamente il grafico.
(O :x;2ex x 3 +x 2 -x+ l
~
. ,, ijXeX ~- x4 - 8x3 + 22x2 - 24x + 12
i) .7:
2
log X fr.1'
%z} x5 - 5:x;4 + 5x 3 + 1
x+ 2
$ ft logx ~
\~
x2 + 1
Problemi di massimo e minimo.
Impostare e risolvere i seguenti problemi di massimo o minimo, cercando di imitare le
tecniche illustra.te negli esempi dcl paragrafo 4.3. In particolare, impostare il problema
in modo da ridurlo ad un problema di massimizzazione o minimizzazione di una
funzione di una variabile.
·~ Una ditta produttrice di birra desidera minimizzare il costo della lattina. Essendo di
materiale omogeneo e volume fissato (33 cl) occorre minimizzare la superficie totale del
cilindro di volume pari a 33 cl. Quali sono le dimensioni (altezza e diamet ro) della lattina?
~ Un uomo deve raggiungere un punto che si trova sull'altra sponda di un fiume, 100
metri più a valle; il fiume è rettilineo e largo 10 metri; Fuomo può correre sulla sponda del
fiume con velocità v) quindi tuffarsi e attraversare a nuoto il fiume, con velocità inferiore,
pari a 8v (O < o < 1).
Determinare dopo quanti metri di corsa l'uomo si deve tuffare, affinché sia minimo il
tempo impiegato a raggiungere la meta.
Se l'uomo è un nuotatore provetto, ,5 sarà qu.asi uguale a 1: determinare il valore esatto
di 8 per il quale all'uomo conviene t uffarsi immediatamente, senza percorrere neanche un
metro sulla terr aferma.
~ Si vuole costruire una scatola, senza coperchio, col vincolo che la base sia quadrata e la
superficie totale della scatola misuri 108 cm. Di quali dimensioni (lato della base e altezza)
dev'essere affinché il volume sia massimo possibile? E quanto sarà il volume?
Vif", Si determini Paltezza e il raggio di base del cono di volume minimo circoscritto ad una
sfera di raggio r . Si dimostri poi che il suddetto cono è anche quello di superficie minima
totale.
Monotonia di successioni.
'fJì Si stabilisca se le seguenti success10n1 an sono monotone (crescenti o decrescenti),
almeno per n 2 'no opportuno:
n+3 nz n!
n 2
- 2n + 4' logn' 271- l
limeX - x - 1 .
hm - - - - -
Jx 2 - 4
X-->Ù x2 x->2 sin (x - 2)
x2 - 4
lim ;r;l./x lim --;=====
X -" + CC> X -+ 2
VISlll
. ' (X -
2)2
2 2
- ;r; cosx + 1 - ex . x - sin x
1l l l - ----
2 -- - hm 2 .
x -> O .T2 Sin X x-->O X Slll X
. xsinx + log (1 - x 2
) . .x logx
hm 2
hm ---=--
~: ->O x 2 (2x + x 2 ) 1
x - >l x2 -
.
lim x
x ->-1-oo
( arctgx - 7rX
2;E+ 1
+ 2) . x2
1nn
x --> l
- 3x + 3
1l'X
COS -
.2
sinx
Sia f(x) = . Dopo aver prolungato per continuit à f in x = O, calcolare f' (O)
X
e f 11 (O). (Suggerimento : Nei due limiti che si chiede di calcolare, è utile il teorema di de
L'Hospital) .
. 2
Come l'esercizio precedente, per la funzione (sm
X
x) .
@ Il teorema cli de L'Hospital a volte p uò produrre . . ,.i l moto perpetuo. Si provi a calcolare
il seguente limite (elementare!) applicando più volte il teorema:
lirn
Jx 2 + 1
x-t+oo X
$v,ggerimento: utilizzare la definizione di derivat a oppure il criterio v isto nel par. 4.5, sce-
gliendo caso per caso il metodo opportuno.
© 978-88-08-06485-1 5 Derivata seconda 195
~: 5 DERIVATA SECONDA
La derivata seconda di una funzione ha vari significati geometrici, che ci permette-
ranno di meglio studiare le proprietà del grafico di una funzione.
y = f( x )
o X
Figura 4.35.
y= R- VR2 - x2
.'J -
vr=R:::::::2::=_=
x~2 , Y x) = (R2 _ x2)3/2
e quindi y" (O) = k. Se dunque vogliamo che sia so<lcfo;fat t a la (5, 1) occorre scegliere
Rin modo che
1 lf"(x)[
R(x) (1 + f'(x)2)3/2
~1i1J = ax2 =
11
Per una parabola del tipo y si ha y'(x) =2.ax, y (x) 2a e quindi
1 Zia!
R(x) (1+4a2x2)3/2 ·
Si noti çhe la. curvatura è massima per x =O, cioè nel vertice.
Convessità e corde
Cominciamo col ricordare che, in geometria, si dice che una figura F (pern;iamo ad
esempio a, un sottoinsieme del piano) è convessa se, per ogni coppia di punti P1 1 P2 E F
avviene che il segmento -c he congiunge P1 a P2 è interamente contenuto in F:
a) b)
'a) h) e)
Segnaliamo subito che esiste una seconda terminologia, alternativa, che si usa talvolta
per esprimere questi concetti: anziché .f convessa in (a, b) si può dire f concava verso
Falto in (a, b), e invece di concava in (a, b) s-i può dire concava verso il basso in
(a, b).Per non creare confusione, in questo paragrafo non useremo maì questa seconda
terminologia. ,
Si dimostra facilmente che la definizione· precedente è equivalente alla ·prossima,, che
fa riferimento al grafico anziché all'epigrafico della fonzione:
DEFINIZIONE 4. 7 Se funzione .f : I ---* JR (dove I è un intervallo), si dice che f è
convessa (concava) in I se per ogni coppia di punti :ti, x 2 E I si ha che il segmento
("corda'') di estremi (':r:1, .f (x1)), (x2, f (x2)_) non ha punti sotto (sopra) il grafico
di f.
Questa definizione può essere riformulata anche mediante una disuguglianza analitica.
.Con riferimento alla figura 4.38, esprimiamo il generico punto (z1;, ft) del segmento
congiungente i punti (x 1, f (x 1)) , (x2, f (x2)) come combinazione lineare convessa dei
suoi estremi:
j( X2) - - - - - - - - - - .. - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Figura 4.38.
198 Capitolo 4. Calcolo differenziale per funzioni di una variabile © 978-88-08-06485-1
Questa disuguaglianza esprime il modo in cui viene spesso sfruttata l'informazione che
una funzione è convessa. Se nella precedente disuguglianza vale sempre il < la funzione
si dice strettamente convessa. Per le funzioni concave (o strettamente concave) varrà
una analoga disuguaglianza col segno 2 (o > ).
Si noti che la definiL:;ione di funzione convessa non richiede a priori che f sia una
funzione continua o derivabile, quindi è molto generale:
-- -- - f(b)
.f(a,)- -~
a) a b) b
Figura 4.39. a) funzione convessa con due punti angolosi ; b) funzione convessa con due discontinuità
agli estremi di un intervallo_
Si può dimostrare che le situabioni esemplificate dalla figura precedente sono effetti-
vamente ((le peggiori possibili1' , nel senso che:
TEOREMA 4.10 Una funzione convessa (o concava) su un intervallo I è continua in
I ) salvo al più negli estremi dell'intervallo. Inoltre possiede derivata destra e sinistra
ùi ogni punto intenio dell )intervallo.
Dunque, punti angolosi alhnterno e punti di discontinuità agli estremi sono i soli
comportamenti irregolari permessi ad una funzione convessa o concava.
Convessità e derivate
Abbiamo visto che la definizione di convessità ha senso anche per funzioni non deriva-
bili. Ad ogni modo, se sappiamo a priori che la funzione è derivabile una volta o due
volte nell'intervallo considerato, allora la convessità risulta avere relazioni interessanti
con la derivata prima e seconda della funzione:
TEOREMA 4.11 Sia f: (a, b)--+ JR..
a) Se f è derivabile in (a; b), allora .f è convessa (concava) in (a, b) se e solo se f' è
crescente (decrescente) in (a, b).
b) S e f è derivabile due volte 'in ( u, U) , allora f è convessa (concava) ir, (a, b) se e
solo se f" (:i:) > O (:S O) per ogni x E (a, b) .
Il teorema si modifica in maniera ovvia per le funzioni strettamente convesse o concave:
nella (a) "crescente" (decrescente) è sostituito da ''strettamente crescente" (stretta,..
mente decrescente); nella (b) «j11 (x) 2 on (!" (x) ~ O) è sostituito con "!" (x) > Q1'
(.f" (x) < O) .
@ 978-88-08-06485-1 5 Derivata seconda 199
Non dimostriamo il punto (a); il punto (b) segue da (a) per il test di monotonia;
applicato ad f'.
Come conseguenza di questo teorema1 lo studio dcl segno della derivata seconda ci
permette di decidere della convessità o concavità di una funzione, aggiungendo quindi
un elem·e nto utile allo studio del grafico della funzione.
fillli~;" · Le funzioni esponenziali f (x) = ax sono convosse in JR, per qualunque base a:§; 1.
Infatti:
f (:r:) = ax log a; J" (:.r:) = aa' (log a) 2 > O \:lx E JR, \fa> O) a":/- l.
tiflcl:. Le funzioni logaritmiche f(x) = log 0 x sono -concave in (0,oo) se a> 1, convesse in
(01 oo) se O < a < 1. Infatti:
f' (:r:) = 1 ;
xloga
j"(x) =-
· x 2
1 {<O
log a > O
Vx>O,
\lx > O,
se a> 1
seO<a, <l.
L~J~\~.Le funzioni potenza a esponente reale o:, f (x) = x" sono convesse in (O, oo) se o:> 1
oppure o: < O, sono concave in (O, oo) se O < a < 1. Infatti:
f l (
X
)
=o:J;o:-1 ; f il ( ) . o: -
.x) =a<x-lx
( 2
TEOREMA 4.12 Una funzione f: (a, b)JR, derivabile in (a, b), è convessa (conca-
-7
va) in (a, b.) se e solo se corn:unque si scelga v,n vunto Xo E (a 1 b) si ha che il grafico
di f si mantiene in fatto (a, b) sopra (sotto) il grafico della sua rntta tangerde in
(x.o, f (;x:o)).
<
(~,Jté:~ Sappiamo che f (:i:) = ex è convessa in tutto fil.. Ne segue che se, ad esempio, co-
struiamo la. retta tangente al grafico di fin .x = O, ossia y = :r + 1 1 risulta ex ::'.:'. 1 + x \lx E JR.
La retta tangente al grafico di f in x = 1, invece, è y = ex . Di conseguenza r isulta anche
ex 2'.' ex \;/x E JR, e co,s ì via.
È·utile talvolta saper~ che una funzione (derivabile) convessa sta sopra le proprie rett e
tangenti e contemporaneamente sta sotto le proprie corde (definizione di convessità) .
Questo permette di concludere che, presi due punti qualsiasi sul grafico di una funzione
convessa) il graii.co tra quei due punti cade tutto nel triangolo dle ha per lati la corda
che li unisce e le rette tangenti al grafico nei ùue pm)ti (fig. 4.40).
200 Capitolo 4. Calcolo differenziale per funzioni'di una variabile © 978-.88-08-06485-1
Figura 4.40.
Questa lirnitazione può esser~ utile, ad esempio, quando si cerca di localizzare l'inter-
sezione tra due curve (si veda l'esercizio 106).
Punti di flesso
Ovviamente, il verso della coi1,cdvità di una funzione (qssia il fatto eh~ sia convess(1_o
concava) può cambiare, nel suo in13ieme di definizione; questo ci conduce al concett6
di punto di flesso:
DEFINIZIONE 4.8 Sia f : (a, b) -+ JR una funzione e xo E (a, b) sia un punto di
derivabilità. per f, oppure sia f' (xo) = ±oo. Il punto Xo si dice di flesso per f se
esiste un intorno destro (xo, xo + h), h > O, in cui f è convessa (concava)> e un
intorno sinistro (xq - h, xo) in cui f è concava: :1
Attraversando un punto di flesso, la derivata seconda di f (se esiste) cambia segno.
Ci aspettiamo allora che in questo punto f' 1 si annulli. Si può infatti dimostrare che:
TEOREMA 4.13 Sia xo un punto di flesso per f; se esiste f" (xo) , allora f" (xo) = O.
~~..-!-~~~~;~~~~~~~~~~~~~
b C X
Figur:a 4.41.
© 978-88-08-06485-1 5 Derivata seconda 201
DIMOSTRAZIONE. Tracciamo la retta tangente a.I grafico di f (x) nel punto di a.scissa xo. Se
f è (ad esempio) concava in (a, xo), poiché f è derivabile, il grafico di f sta sotto la retta in
(a, xo) (si veda il teorema su convessità e rette tangenti); d'altra parte f è convessa in (xo, b),
perciò il suo grafico sta sopra la retta in (xo, b). Di conseguenza in x 0 il grafico attraversa la
retta tangente.
Sia f (x) = x 3 . Poiché f' (x) = 3x2 2 O, la funzione è crescent e su tutto JR. Ha
un punto stazionario per x = O, che non sarà però punto di massimo o minimo, perché la
funzione è crescente. f 11 (x) = 6x 2 O per x 2 O. Dunque la funzione è convessa per x > O,
concava per x < O e ha un punto di flesso in x =O, a tangente orizzontale.
2 . 2
.r~... Sia f (x) = e-"' . Poiché f' (x) = - 2xe-"' 2 O per x :::; O, la funzione cresce per
x <O, decresce per x > O perciò ha u n punto di massimo relativo in x = O.
2
f" (x) = e-x (4x 2 - 2) 2 O per x 2 2 ~; x 2 '7i;x:::; - ~ ·La funzione è convessa per
questi valori, concava per - ~ :::; x :::; ~, ha punti di flesso in x = ± ~, con retta tangente
di pendenza f' (±.Ì2) = =F-/f. (v. fig. 4.42).
f
0.5
~~~__,,=-~+-----'--~~~-1-~~-'-~i.-___::::=...~~--'----;~
-3 2 3 :i;
Figura 4.42.
'l :' Sia f (x) = x 4 • Poiché f' (x) = 4x3 2 O per x > O, la funzione è crescente per x > O,
decrescente per x < O e ha un punto di minimo in x = O. f 11 (x) = 12x2 2 O per ogni x,
quindi la funzione è convessa in tutto JR. Perciò il punto x = O, in cui f" si annulla, non è
un punto di fiesso.
lt._. Sia f (x) = ijX. Per x > O la funzione è concava, per x < O la funzione è convessa.
(come ::>i deduce dal segno della derivata seconda); in x = O è .f' (O) = +oo. In base alla
nostra definizione, x - O è un punto di flesso (a la ngeu Lt:J verticale). Questo è anche coerente
alla terminologia che abbiamo introdotto discutendo i punti di non derivahilità, nelpar. 2.4.
Si vede che anche in questo caso il grafico attraversa la tangente nel punto cli flesso; si noti
che f'' (O) non esiste (v. fig. 4.43).
Sia f (x) = x lxl. Per x >O è f (x) = x 2 , convessa; per x <O è f (x) = - x 2 , concava;
si noti che esiste f' (O) = O; dunque x = O è un punto di flesso. Tuttavia, f" (O) non esiste.
202 Capitolo 4. Calcolo differenziale per funzioni di una variabile © 978-88-08-06485-1
.f
Figura 4.43.
f(x) = e-lxiJx2 - 5x + 6
2../6
204 Capitolo 4. Calcolo differenziale per fun~ioni di una variabile © 978-8.8-08-06485~1
2 X
Figura 4.44.
x+2
f (;p) = xex-1
Insieme d i definizione: X =/= l. f (x) ~ 0 per X ~ 0
x +-
Per x-" I ± , - 2 -"
x- 1
±00 f (x)-"
1
{+oo
O
+
x+2
X = 1 asintoto vertic~le per X -'+ l +. Per X -'+· ±oo, - -1 -'+ 1, f (x) rv xe, perciò
x-
.f (x) -" ±òo linearmente. Vediamo se c'è asintoto obliquo:
. . · [ x+2 _ 1 ]
lim [f (x) - xe] = lim xe e 'c-1 - 1
x~±= x~ ±=
Per ogni x f. 1 f' (x) è definita; per x --+ 1- , f' (x) --+ o- (l'esponenziale va a zero più
rapidamente di (x - 1) 2 ). Il grafico quindi arriva in x = 1 con tangente orizzontale, da
sinistra.
X ;:::._
5+ V21 ~ 4,8 X
<5-V21
- 2 ~ 0,2
2
+ 3e
/
/
X
1 5+'1/21
/ 2 2
/
/
Figura 4 .45.
206 Capitolo 4. Calcolo differenziale per funzioni di una variabile © 978-88-08-06485-1
ex 3/ x + 3
Vx -2
Suggerimento . Ci aspettiamo: flesso a tangente verticale dove si annulla il radicando, asintoto
verticale dove si a nnulla il denominatore.
2
X -!- X - 21
I 2x +3
Suggerimento. Ci aspettiamo: punti angolosi dove si annulla il numeratore; asint oto vert icale
dove si annulla il denominator e. Conviene studiare la funzione senza modulo e p oi . ..
e3/ Jqg X
Nei punti in cui la funzione non è definita ma ha limite (destro o sinistro) finito, studiare
anche il limite della derivata prima, per sapere con quale pendenza la curva arriva in tali
punti.
ç,...·,,.,..,
,~,
,,filog2 X
1
;\.:.. .. : x3 log lxl e:c- 1 logx
~ ' logx
~ -~. 1- lxle-x
{Yx -1
Le seguenl'i funzioni, tratte da modem reali, contengono qualche costante o parametro. Jlr'ac-
ciarne il grafico qualitativo.
© 978-88-08-06485-1 6 Studio del grafico di una funzione 207
<
J ( Ourva logistica). Si tracci, a.l variare del parametro k, il grafico <lolla curva
kNoet
N(t) - - - - -
- k- No+ Noet
dove No è una costante positiva. (Questa funzione rappresenta, sotto opportune ipotesi e in
opportune unità di misura, il numero di individui di una data specie all'istante t, se alPistante
Otale numero è No; la costante k è detta capacità dell'ambiente; questo esempio sarà ripreso
nel vol. 2°, trattando le equazioni differenziali).
•.. Siano 1·, wo costanti positive. Tracciare il grafico delle due funzioni:
w6-w2
n 1 (w) = 1+ (Wo2 - 2) 2 2 2
W +"( W
(queste funzioni entrano nella descrizione degli indici di rifrazione delle onde elettromagne-
tiche nei dielettrici).
l/ = LIO
·/1 -v2 /c2
1 + v/c
dove e è la velocità della luce (costante positiva). Si tracci il grafico della funzione v = v (v)
nel dominio fisicamente ammissibile: lvi < c.
.. (Angolo di rifrazione) . Dalla legge di Sncll della rifrazione (cfr. par. 4.3) si ricava che
nel passaggio di un raggio di luce da un mezzo a. un altro) l'angolo 8r di rifrazione dipende
dall'angolo ei di incidenza in base alla legge:
. ( sin
Br = arcsm fJi)
---;:;:-
dove n = indice di rifrazione relativo del mezzo 2 rispetto al mezzo 1, può essere maggiore o
minore di 1 (ma é positivo). Studiare questa funzione di fJi e tracciarne il grafico, distinguendo
i casi n > 1, n < 1. L'angolo ()i è sempre compreso in (O,~) . (In uno dei dne casi è necessaria
una limitazione più strett a e, per angoli di incidenza non ammissibili, non si ha rifrazione).
y Y = f(x)
6.f
df
o Xo + dx X
L'incremento valutato lungo la retta tangente è pari alla l\mghezza (con segno!) del
segmento QR e cioè uguale a tgo:·dx, ovvero a f'(xo)dx, ricordando che f'(xo) = tga.
Tale incremento, proporzionale a dx, prende il nome di differenziale di f nel punto
xo e si indica col simbolo df (xo·):
.
1Im f (xo +dx) - f (xo) =
f'(
Xo
)
dx-> O d.r,
© 978-88-08-06485-1 7 Calcolo differenziale e approssimazioni 209
si può scrivere
La quantità dx· e (dx) è una quantità che, divisa per dx, tende a zero: questo significa
che dx· e( dx) è infinitesimo di ordine superiore rispetto a dx . Introduciamo un simbolo
utile a indicare sinteticamente questa circost anza:
D E F INI ZIO NE 4 .9 Date due funzioni f (x); g (x), definite in un intorno di x 0 , si dice
che
f (x) = o (g (:x;)) per x _, xo
(si legge {'f(x) è o piccolo di g(x)") se
f(x) .
-·- _, O per x ---+ xo
g(x)
Se g(x) è un infinitesimo, dire che f (x) = o(g(x)) significa che .f(:x;) è infinitesimo
2
dì ordine sup eriore rispetto a g(x). Ad esempio, per x ---+ O, x 2 = o(x) , e- 1 /x =
o(x4 ), ecc. In particolare, il simbolo o(l) denota semplicemente una quantità infini-
tesima. ~
o, più sinteticamente:
Consideriamo
f( x) = Vl +X
e approssimiamo al primo ordine f( x) - f(O) = v'l + x - 1.
Si 11oti che qui xo = O e quindi x coir_cide con l'incremento dx. Essendo
f' (O) = ~
si ha
o anche
1
J 1 + x =1 + x +o (x), per x -t O
2
P iù in generale, considerando f(x) = (1 + x)a, si ha
rI
R
- q
a o a
+q
Figura 4.47.
V(P) = - q ( -1 - -1 )
4rrco r1 r2
r~ = 2 2
r + a + 2ar coso = r
2
[1 + ( 2~ cose+ ;.: ) ]
Ricordiamo ora che, sex è vicino a zero, v'l + x ~ 1 + ~x al primo ordine e quindi, essendo
')
~
r
vicino a zero e Q.r « ~
r~ 1
si può scrivere ' al primo ordine:
l
Tale equazione è difficile da studiare direttamente. Se però vo- Figura 4.48.
gliamo studiare solo le piccole oscillazioni del punto attorno all'e-
quilibrio, potremo assumere che () sia piccolo; si può allora studiare in prima approssimazione
l'equazione linearizzat a
O"= _fle
l
(Abbiamo sfrutt a to s]n t9 ~ (), al prim'ordine, per e piccolo). Questa può essere risolta
completamente. Si trova (ponendo w 2 = g/l)
e(t) = A cos (wt; + Bo)
con Bo, A costanti da d eterminarsi mediante le condizioni iniziali del sistema. (Lo studente
e
verifichi che le funzioni (t) trova.te risolvono effettivamente l'equazione. Nel.secondo volume,
trattando le equazioni differenziali si proverà che eITeUivamente non v i so110 alLre soluzion i).
m= ---;===
jl -~
e
212 Capitolo 4. Calcolo differenziale per funzioni di una variabile © 978-88-08-06485-1
dove e è la velocità della luce nel vuoto e mo è la "massa a riposo" della particella (questa
è costante); in secondo luogo, vçi,le la famosa equazione dell'cncrgi(1:
E=mc 2
L'energia della particella a riposo è invece
Eo = moc2
e l'energia cinetica relativistica è per definizione pari a (E - Eo). Sostituiamo ad m la sua
espressione e troviamo E come funzione della velocità della particella:
rnoc2
E=-r==
J1-~
Nell'ipotesi ch e la velocità della particella sia piccola rispetto a quella, elevatissima, della
luce, v/c sarà molto piccolo. Linearizziamo allora l'espressione trovata come funzione di
2
(v/c) (usando la (7.5) con a= -1/2):
E= m 0 c
2
· (1 - (~)
2)-1/2 ~ moc (l + 21 ~22)
2
-
= moc2 + 21 rnov2 = Eo + E c
dove Eo è l'energia a riposo della particella, ed Ec l'energia cinetica classica. L'energia
cinetica relativistica, che per definizione è pari a E - Eo, nell'approssimazione valida per
velocità piccole rispetto a quella della luce coincide dunque con l'energia cinetica classica.
sin X = X + o (X)
Che relazione c'è tra queste due affermazioni? Sono in effetti equivalenti~ come mostra
il prossimo fatto generale:
TEORE MA 4 .15 (RELAZI ONE TRA "0 PICCOLO" E "ASINTOTICO") Vale la seguen-
te equivalenza:
Per x --t xo, f (x) ""g (x) se e solo se f (x) = g (x) +o (g (x))
Questo permette di rileggere i limiti notevoli che abbiamo finora espresso con stime
asintotiche, mediante uguaglianze che coinvolgono "o piccolo" . Ad esempio,
per x ----+ O:
sin X rv X, quindi sin X = X + O (X) ;
1 - cosx,....., ~x2 , quindi 1 - cosx = ~x2 +o (x 2 ).
Riflettiamo sull'ultima: 1'uguaglianza 1 - cos x = ~ x 2 + o (x 2 ) si può riscrivere nella
forma:
1
(7.6) cos x = 1 - 2x 2 + o (x 2 )
(questo è ovvio: abbiamo spostato dei termini da un membro a un altro di una ugua-
glianza). Notiamo, invece, che la relazione asintotica 1-cos x,....., ~x 2 non dice la stessa
cosa della relazione cosx rv 1 - ~x 2 . Infatti, per X----+ o, 1 - ~X ,....., 1, perciò la stima
cos x ,....., 1 - ~x 2 contiene la stessa informazione che dire semplicemente "cos x ----+ 1n,
ed è altrettant o vera che la stima cos x '"" 1 + 40x 13 ! Questa osservazione mostra un
vantaggio del simbolo di "o piccold' rispetto a quello di asintotico: un'uguaglianza si
può riscrivere in vari modi, è più facile .da usare senza errori, rispetto ad una stima
asintotica.
Per esercizio, il lettore riscriva mediante il simbolo di "o piccolo" i limiti notevoli
che riguardano le funzioni JI+x, ex, log ( 1 + x) , :r;o:, per :r; ----+ O.
y
1,5
1
Figura 4.49. La fun zione cosx è approssimata dal polinomio y = 1 - ~x2 meglio che dalla retta y = 1,
vicino ad x = O.
214 Capitolo 4. Calcolo differenziale per funzioni di una variabile © 978-88-08-06485-1
Tn (O) = f (O)) T~ (O) = J' (O)) ... ' T~n) (O) = j (n) (O)
e questo polinomio, detto polinomio di lvfacLaur·in di f (x) di grado n, è:
1 1 1
Tn(x) = f(O) + x.f'(O) + 2x2 .f"(O) + a! :;i;3 .f"'(O) + ... + n !xn f(n )(O) =
n J(k) (O) k
=2= k==O
k! X
b. Proviamo ora che il polinomio trovato approssima bene .f (x), in un int orno di
x = O. Precisamente, vale il:
TEOREMA 4 .17 (FORMULA DI MACLAURIN ALL'ORDINE n, CON R ESTO SECON-
DO PEANO) Sia .f : (a, b) - t ~ derivabile n volte in O E (a, b) . Allora
La formula precedente si d'ice "formula di lvfacLaurin d'i ordine n, con reBto secondo
Peanon.
© 978-88-08-06485-1 7 Calcolo differenziale e approssimazioni 215
La formula ha la struttura:
funzione da approssimare = polinomio approssimante + errore di approssimazione
~x
2
. f (x) - [f (O)+ xf' (O)+ f" (O)]
hm · = O.
X ->0 X2
Questo limite dà una forma di indeterrninaz.ione [O/O}, che calcoliamo con De L'Hospital:
. .f (x) - [f'
hi:n . (O)+ x f" (O)]
x-o 2x
dà ancora una forma [O/P]. Osserviamo ora che l'ultimo limite trovato è zero, per il seguente
motivo. Per ipotesi, f è der:ivabile due volte, quindi f' è der ivabile; se applichiamo jl t e01·ern.a
di linearizzazione alla funzione J' (x) otteniamo
Osserviamo ora che la derivata del polinomio Tn (x) di f non è altro che il polinomio Tn- i (x)
della funzione l:
T~,f (x) = Tn- l,f' (x)
216 Capitolo 4. Calcolo differenziale per funzioni di una variabile © 978-88-08-06485-1
come si verifica direttamente dalla definizione di T n . D'altro canto, per l'ipotesi induttiva,
applicata alla funzione f', sappiamo che
f' (x) = Tn- I ,f' (x) +o (xn-l), ossia
lim f' (x) - Tn-1,f' (x) =O
x-o xn - 1 )
quindi il limite (7.8) è zero e, per il teorema di De L'Hospital, anche il limite (7.7) è zero,
come volevamo dimostrare. "'
Tn,x 0 (x) = z=
n
k=O
J(k)
k!
(xo)
(x - xo)
k
Approssimazione all'ordine n
fJll Sia f(x) =ex. Essendo f(n)(x) =ex, f(n)(O) = 1 per ogni n, si ha:
x2 :r3 xn
ex = Tn,o(x) + o(xn) = 1 + x + 2
! + ·~! + ... + ·n! + o(xn), per x-+ O
e poi
/iv) (x) = sin x = f(x) JM(x)
ecc. = cosx = j'(x)
Ne segue che per n = 2k, pari, le derivate di ordine n sono nulle per x = O, mentre quelle di
ordine n = 2k + 1, dispari, sono alternativamente +1 e - 1. In sintesi:
f (2k)(O) =O /2k+1)(0) = (-l)k (k;:::: O)
I polinomi di MacLaurin della funzione seno contengono perciò solo termini di grado dispari:
sin x = T1(x) + o(x) = x + o(x)
xa .
sinx = T3(x) + o(:.c 3 ) = ,-x: - 6 + o(x3 )
- x3 xs
sinx = Ts(x) + o(x = x - - + - + o(x 5 )
0
)
6 120
3 5 2
. . rr
smx=.i.2n+1 x +ox
( ) ( 2n+l) x
= x--
x + ... + ( -
+- . )n x n+l
1 (
( 2n+l)
)I +ox
31
. 51. 2n+l.
La figura 4.50 illustra il miglioramento dell,approssimazione di sin x mediante i suoi polinomi
di MacLaurin, all'aumentare del grado del polinomio.
© 978-88-08-06485-1 7 Calcolo di fferenziale e approssimazioni 217
/ 1ì(x)
,
, ,,
,,
/
,,
,,
/ ----
- .......
~
/
-·---·
\ '·. ?f
o \ X
Figura 4.50.
Nel quadro che segue abbiamo raggruppato gli sviluppi di MacLaurin di alcune
funzioni elementari, con il resto di Peano.
x2 xn
ex = 1 +x + - 1 + ... + - 1 + o(xn)
2. n.
x3 x5 x2n+l ,
sinx=x - -, + -5, + ... +(-1r(2 1)1 +o(x2n+1)
3. . n+ .
2 4 2n
)n
COS X -
_
1-
,7,:
2T + 4T + ... X
T
, (
- 1
X
( n) !
2
+ O ( X,2n)
x3 x5 x2n+l
Sh x = x + 3! + 5! + ... + (2n + l )! + o(x2n.+1)
x2 x4 x2n
Chx = 1 + 2T + 4T + ... + (2n)! + o(x2 n)
x2 x3 xn
ln(l + x) = x - - + - + ,,. + (- 1r- 1 - + o(:r:n)
2 3 n
(1 +x)a =1 + ax +
a(a - 1) 2
x + ... + a(a - 1)
· · · 1(a - n + 1) xn + o(xn)
2 n.
Tl sirnbo1o di o( ... ) non denota quindi una particolare funzione, ma qualsiasi funzione
abbia la proprietà espressa dalla definizione. Da questo fatto seguono alcune proprietà.
della re~azione di "o piccolo" che possono apparire "stra.ne". Ne illustriamo alcune su
esempi che si incontrano frequentemente:
O(::t) - O(X) = O(X) (non fa zern!)
P er x ~ O)o(x) + o (:t 2 ) = o(x) (Perrore più grossolano, cioè o{;x:), ingloba quello più
fine).
Analogamente t>i avrebbe:
Il simbolo di "o piccolo" sj comporta al seguente modo con somme e prodotti (verifi-
carlo in base alla definizion.e):
Se volessimo utilizzare questo fatto per calcolare un valore apprm;sirnFiJ,o di vf;, ossia
pensassimo di approssimare
e1/2 con T3 ( 1) 79
- . = -
2 48
© 978-88-08-0 6485-1 7 Calcolo differenziale e approssimazioni 219
come potremmo stimare a priori (ossia senza conoscere già il valore vero di ..je) di
quanto stiamo sbagliando?
A questo tipo di problema risponde il prm;:::.imo risultato, che dà un modo alternativo
di quantificare Perrore di approssimazione commesso:
r cn+l) (e) 1
(7.9) f (x) = Tn,:r. 0 (a;)+· (n + l)! (x - xot+ .
La formula ha la struttura:
I:f·. (X ) - Tn.xo X
( ) I < (n Nf
+ 1) ! J .
X - xo In+ l
-
nella (7.9), f (x) = ex, .t:o = O, x = ~, n = 3: otteniamo:
I.ve- n (!)I
2 < - 2 J34! ~ 0.00454 .
Questo significa che approssimando Je con il valore ~~ si commette un errore non superiore
a 0.0045.
1 Abbiamo usato la disuguaglianza grossola na e < 3 per non cadere in u n circolo vizioso: p er
stimare il valore di ve
sembrerebbe n ecessario sapere già quanto vale .Je! Invece, basta conoscere
un valore che maggiora .je, e questo va lore è, ad esempio, v'3.
220 Capitolo 4. Calcolo differenziale per funzioni di una variabile © 978-88-08-06485-1
DIMOSTRAZIONE DEL TEOREMA 4.19 Proviamo la (7.9) nel caso n = 1. P onendo per
comodità xo = a , x = b l'enunciato diviene: se f : [a, b] ~ JR è derivabile 2 volte in [a, b],
allora esiste un punto e E (a, b] tale ch e
Poniamo f(b) - {f(a) + f' (a)(b - a)} = k(b - a) 2 e cerchiamo di determinare la forma di k .
Consideriamo la funzione
. g(x) = .f(b) - .f(x) - .f'(.r,)(b- x) - k(b- x) 2
e applichiamo ad essa il teorema del va.lor medio. Poiché g(b) = g(a) = O (la seconda
uguaglianza segue dalla definizione di k) si trova che esiste e E (a, b) tale che
j=O J·
_J(n+l)(c)(b - et+ k (n + 1) (b -
n!
cr =o
ossia
1 <n+1) (e)
k= --~
(n + l)!
che, inserita nella (7.11), dà la tesi.
•
© 978-88-08-06485-1 7 Calcolo differenziale e approssimazioni 221
e supponiamo che in ogni punto di (a, b) si abbia .f"(x) 2:: O, ovvero f sia convessa in
(a, b). Allora si ha ~.f"(c)(x - x 0 ) 2 2:: O e perciò si può scrivere, per ogni coppia di
punt i xo, .x E (a, b):
(7.12) f(x) 2:: .f(xo) + J'(xo)(x - xo )
La (7.12) significa geometricamente che il grafico di f (x) si mantiene in tutto (a , b)
sopra il grafico della sua retta tangente in xo (e questo va.le per ogni scelta del punt o
xo E (a,b)) . Abbiamo dunque dimostrato che se una funzione (due volte derivabile) è
convessa, è anche '(convessa per t angenti" (vedi Teorema 4.12 par. 5.2) .
Se invece f è concava, ossia f" (x) ::; O in tutto (a, b), la disuguaglianza (7. 12) vale
con ":S" anziché 2::: il grafico di f (x) si mantiene in tutto (a, b) sotto il grafico della
sua retta tangente in xo.
f (x) = O
che equivale a. cercare le intersezioni del grafico di f con l'asse x, e supponiamo di aver
accertat o (mediante confronto grafico, ad esempio) l'esistenza di un'unica soluzione
x = a , all'interno di un intervallo la, b] . Si vuole dare una valutazione approssimat a
di a; . Il metodo di Newton, che ora illustriamo, serve proprio a questo scopo. Videa
è quella di costruire una successione convergente ad a;; questa successione , come si
vedrà, è definita in modo ricorsivo: ossia:
• si assegna esplicitamente il primo termine x 0 ;
• si assegna esplicitamente la legge con cui calcolare Xn+l a partire da Xn, qualunque
sian.
In questo modo, il termine Xn può essere costruito a partire da x 0 con n iterazioni del
medesimo algoritmo. Il metodo, perciò, si presta molto bene al calcolo automatico.
Illustriamo il metodo con riferimento alla figura 4.51. Partiamo da x 0 = a e "li-
nearizziamo)) l'equazione .f(x) = O sost ituendo a f la retta tangente al suo grafico nel
punto (a, .f(a)). Tale retta ha equazione
y
f(a)
b
o -11--~------"0-~-------+-------.:
a X
y = f(:r;)
Figura 4 .51.
Procediamo ora con :c1 al posto cli Xo = a, sostituendo f con la retta tangente in
(:z:1) .f(x1)). Anziché. f(x) =O tii risolve l'equazione
x2 = x1 -
f (x1) . d . . d.
.f'(xi) --+ secon · a apprqss11naz1one i 0::
(7.13)
TEOREMA 4.20 Sia f : [a, b] -+JR due volte derivabile in [a, b], e s1Lpponia,mo che:
1. .f (a)· f ,~b) < O;
2. f' (x) , F' (x) hanno segno costante in [a, b].
3. f (a)· f'' (a) >O,
Definiamo per ricorrenza la .'tuccessione
Xo =a
.. f (xn)
{ Xn+l = Xn - j 1 (xn)
Allora esiste uno e un sol punto e E (a, b) tale che f (e) = O, e la successione Xn
converge ad e per difetto'.
© 978-88-08-06485- 1 7 Calcolo differenziale e approssimazioni 223
Xo = b
_ f(xn)
{ Xn+l - Xn - J'(x,,J
si ha
f (/3)
/3 = (3 - f' (/3)
(abbiamo sfruttato il fatto che f è continua, e anche f' è continua, in quanto J' è derivabile,
perché esiste per ipotesi !"). Dall'ultima uguaglianza segue f ({3) =O, per cui {3 =e (unico
punto in cui la funzione si annulla) .
Proviamo du nque che Xn è monotona, sotto le ipotesi {1), (2), (3). Per fo;sare le idee,
supponiamo che sia f (a) < O. Allora per (l ) è f (b) > O. Poiché per la {2) J' (x) ha segno
costante in [a, b], dovrà essere J' (x) > O in t utto [a, b] (se valesse l'altra dis uguaglianza, f
sarebbe decrescente, e non pot rebbe essere f (a) < O < f (b)). Poiché f (a) <O e vale la (3),
f" (a) < O, dunque, poiché per la (2) f" (x) ha seguo costante, f" (:r;) < O in tutto [a, b] .
Siamo quindi nella situazione della seguente figura:
~ I
I
I
a e
b
Figura 4.52.
224 Capitolo 4. Calcolo differenziale per funzioni di una variabile © 978-88-08-06485-1
Xn+l = g (xn);
g (e)= e
f .(x ) =e -x - x= o·
Abbia.mo:
Xo = 0,
Usando una calcolatrice si trova
X1 = 0,500
X2 = 0,5663 . . .
X3 = 0,5671 . ..
X4 = 0,5671 . ..
Si vede che già dopo 4 iterazioni si può dire e= 0,5671 ... con e-"'-1 - x 4 ~ 4,55 · 10- 7 .
con lo stes1.:>o significato dei simboli (il coefficiente h ha ora dimensioni diverse). Li nearizzan<lo
l'espressione, si trovi come varia la velocità nei primi istanti di caduta .
.., L'oscillazione di una pallina fissata all'estremità di una molla e libera di muoversi su
una retta è descritta dalla funzione:
con A , k,w costanti positive. Linearizzando l'espressione, si a,pprossimi x(t) per t --> O.
L'approssimazione così ottenuta è per eccesso o per difetto? Per rispondere, si scriva ora
l'approssimazione al second'ordine: e si confrontino le due espressioni.
Usando la formula di Taylor al second'ordine col resto secondo Lagrange, si dia una
maggiorazione del massimo errore che si commette approssimando sin x con x, quando O ~
x :S: ~" e si precisi se l'errore commesso è per eccesso o per difetto.
Il massimo errore commesso è in realtà per x = ~: si calcoli questo errore. Il risultato è
coerente con la stima effettuata?
226 Capitolo 4. Calcolo differenziale per funzioni di una vàriabife © 978-88-08"06485-1
Usando la formul;-1 di Taylor al second'ordine col resto secondo Lagrange, si dia una
maggiora.zio ne del massimo errore che sì commette approssimando v 1 + x con l + ~ x, quandò
O ~ .r, ~ ~, e si precisi se l'errore commesso è per eccesso o per difetto.
Il massimo errore commesso è in realtà per x = ~ : si calcoli questo errore. Il risult<,i,to è
coerente con la stima effettuata?
M1~ Dimostrare, sfruttando la definizione dei simboli di "o piccolo" e di "asintotico", tutte
le proprietà enunciate nel paragrafo "Proprietà del simbolo di o piccolo".
Metodo di Newton
"b:,;. Nell'esempio 4.5 (diffrazione della luce attravers() una fenditura,) abbiamo visto che
la ricerca dei massimi dell'intensità luminosa nella figura di interferenza ·p er la luce che
attraversa una fenditura porta a risolvere l'equazione t g t = t . Calcolate col metodo di
Ne~;-ton un valore approssimato della prima soluziQne positiva di tale equazione, che si trova
(come mostra il grafico) poco prima di 1T. * ,
~k!::ti Calcolare .con approssimazione l'unica soluzione reale delrequazione ;c2 +1= ±. A tal
fine:
a. Mostrare che il metodo di Newton è applicabile sull'intervallo [~, l];.
b. Scrivere esplicitamente l'algoritmo iterativo.
c. Calcolare esplicitamente. le prime iterazioni, finché le prime .due cifre decimali si
st abilizzano.
Convessità
~!M~ Siano f, g due funzioni definite su tutto ~) deriv'abili due volte. Supponiamo che f
sia convessà e g concava, su tutto. R Utilizzando le proprietà geometriche enunciate nel
paragrafo 5.2 per le funzioni concave e convesse, dirribstrare che f e g non possono avere p~ù
di due interst;~zioni.
. log· ~
l lffi _ _V°'4-
P1•_
·x-
x --+ +oo \'IX
lirn x°' ( J x 2
X -" +00
+ 2x + 3 - x - 1)
lim
x --++oo
(Jx 2+ X + 1 - X)
© 978-88-08-06485-1 7 Calcolo differenziale e approssimazioni 227
sinx 1 1
log(l + cosx)
X cosx
"'·,) Se per x--+ O (o x--+ o± se il caso lo richiede) si verifica che f(x) "'kx°' (k i: O, e~> O),
si dice che a è Perdine di infinitesimo di f rispetto all'infinitesimo campione x .
Utilizzando opportunamente gli sviluppi di Taylor, òetcrminarc l'ordine di infinitesimo
per x --+ O delle seguenti funzioni
2 2
i) sinx - x ii) (sinx) - x
p
·1 Si considerino le funzioni iperboliche inverse SettShx, SettChx (v. cap. 2, par. 4.4).
Calcolare la derivata di queste funzioni inverse:
a) applicando il teorema della derivata della funzione inversa, sfruttando perciò le formule
per la derivata di Shx e Chx, e la relazione tra le due funzioni;
b) derivando direttamente l'espressione esplicita della. funY.;ione inversa1 calcolata nel
cap. 2, par. 4.4. (N a.turalrnente, si deve trovare lo stesso risultato).
3 Si consideri la funzione
a: . 1
X Slll - per x >O
f o: (x) =
{
Q X
per x:::; O
Stabilire per quali valori del parametro reale a, la funzione f 0r. : è limitata; è continua; è
derivabile in O; ha derivata prima continua in Oj è derivabile due volte.
4 Dimostrare il Teorema enunciato nel par. 7.2 sulla relazione tra "asintotico" e "o
piccolo".
" .5" Dimostrare la seguente relazione tra. i polinorni di MacLaurin di f e f' (relazione che
abbiamo utilizzato nella dimostrazione della formula di Taylor con resto secondo Pea.no):
e assegnato u~1 punto X·D E JR., si può esprimere Pn anche nella forma di polinomio di grado
n centrato in xo:
(a) Sia f una funzione invertil;iile in (a, b), e g la sua funzione inversa. Nell'ipotesi
che .f sia derivabile 2 volte in xo E (a, b) con .f' (xo) #O, dimostrare la formula:
g
11 ( ) _
yo - -
f" (Xo)3 (con Yo = f (xo) ).
.f' (xo)
~ La formula di Taylor fornisce un ulteriore criterio per lo studio della natura dei punti
stazionari. Sia f una funzione derivabile tutte le volte che ci occorrerà in xo, e sia j' (xo) =O.
Dimostrare che:
se il minimo intero n per cui risulta f(n) (x 0 ) # O è pari, allora xo è un punto di massimo
o minimo relativo, e precisamente: è. di massimo (minimo) se f(n) (xo) < O (> O); se invece
il minimo intero n per cui risulta f(n) (x0 ) =?O è dispari, allora xo non è un estremante.
Serie
. I SERIE NUMERICHE
1.1 D efinizione e primi esempi
Nel capitolo 3 abbiamo introdotto il concetto di limite di successione, come punto di
partenza per poter definire quello di limite di funzione, che è il fondamento concettuale
del calcolo infinitesimale nel continuo, ossia