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Le composizioni di Francesco da Milano nel manoscritto di Castelfranco Veneto.

Considerazioni in margine.

In ricordo di Ugo Sesini

(Trapani 1899 - Mauthausen 1944)

La scoperta del manoscritto cinquecentesco contenente intavolature per uno, due e tre liuti conservato presso l’Archivio
della parrocchia di San Liberale di Castelfranco Veneto risale a circa venti anni fa. Fu la responsabile dell'archivio
parrocchiale Mary Cusin Frattin ad individuarlo in una busta commerciale posta in un armadio sito nell'archivio, e a
comunicarne l’esistenza allo studioso Franco Rossi. Quest’ultimo ne dette notizia per primo ad un pubblico più vasto
con due articoli apparsi nell’agosto del 1991, ed in seguito alla comunità musicologica con studi di maggior respiro
pubblicati nel 1993 e nel 1996. Infine va annotata l’importante pubblicazione, avvenuta nel corso dell’anno 2000, del
catalogo del fondo musicale dell’Archivio del Duomo di Castelfranco Veneto curata dallo stesso Franco Rossi, che
riprende in una sezione gli studi precedenti ampliandoli, e che soprattutto offre un incipitario del manoscritto con un
primo tentativo di indicazione di concordanze. Nel frattempo il liutista Paul O’Dette registrava due brani provenienti
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dal manoscritto. Il disco vide la luce nel 1994. 2

Non è possibile in questa sede approfondire nel dettaglio lo studio del manoscritto. Piuttosto si cercherà di offrire un
quadro più stringente relativo alle composizioni di Francesco da Milano contenute nella silloge, offrendo al tempo
stesso indicazioni che possano essere utili per la continuazione delle ricerche.

Attenendoci alla descrizione di Rossi, il manoscritto è un volume in quarto, misura circa 320 millimetri d’altezza e 225
di larghezza, è composto da 110 carte ed è acefalo della prima. Su ogni facciata sono tracciati nove esagrammi. Le
dimensioni e il numero degli esagrammi indicano che il manoscritto è opera o fu in possesso di un professionista,
condividendo le caratteristiche fisiche con altre importanti intavolature cinquecentesche. Infatti il volume può essere
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classificato come opera autografa di Giovanni Pacalono, liutista padovano, che in più luoghi appone la sua firma e la
datazione. Particolarmente importante a questo proposito la scritta apposta alla c. 108: « Jouani Pacalono Padoano manu
propria 1565. /Patavis die xv mensis may », che indica delle coordinate molto precise circa la compilazione, il possesso
e la datazione del codice.
Come giustamente sottolinea Franco Rossi, i dati biografici riguardanti Giovanni Pacalono sono estremamente esigui.
L’unica e controversa testimonianza, più volte ripresa dalla letteratura successiva, può essere letta nella voce « Pacolini
(Jean) » stesa da François Joseph Fétis nella sua celeberrima Biographie Universelle:

« Pacolini (Jean), luthiste, né à Borgotaro, dans le duché de Parme, vécut dans la seconde moitié du seizième siècle et
fut attacché au service du duc de Parme. Il a publié des pièces pour trois luths, sous le titre Tabulatura tribus
Testudinibus; Milan, Simon Tini, 1587, in fol. Une autre édition de cet ouvrage a été faite à Anvers par Pierre Phalèze
et Jean Bellere, en 1591, in fol. »
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Per gli strani casi che agitano i mari dei libri antichi non conosciamo oggi copie esistenti dei volumi indicati da Fétis,
ma un’edizione ancora più antica, risalente al 1564. La storia di questo volume è stata tratteggiata da Franco Rossi, agli
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studi del quale rimandiamo. Vanno comunque sottolineati alcuni aspetti della voce di Fétis. Innanzitutto il nome,
Pacolini, che non compare mai in questa forma nelle altre testimonianze relative al compositore. All’interno del
manoscritto di Castelfranco la forma attestata è Pacalono; nella stampa del 1564 il frontespizio recita « Longe
elegantissima excel / lentissimi mvsici Ioannis Pacoloni / Chelistae Patavini, tribus testudinibus ludenda Carmina […]
», evidenziando quindi al genitivo singolare la forma del nome, da risolvere con un nominativo Pacolonus; e,
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soprattutto, nei preziosissimi estratti d’archivio proposti da Claudio Bellinati, il nome oscilla tra Pachalono, riferito a
Giovanni e a suo padre Alessandro, Pacalone, riferito allo stesso Giovanni, e Paccalona, riferito alla sorella
Alessandrina. Ma senz’altro l’aspetto più intrigante della testimonianza di Fétis è quello relativo al luogo di nascita del
liutista, indicato dallo studioso belga in Borgotaro, mentre tutti gli altri documenti in nostro possesso definiscono
Pacalono come liutista padovano. Non abbiamo nessuna ulteriore testimonianza al momento che possa legare Pacalono
a Borgotaro e ad un suo servizio presso la corte di Parma, mentre appare evidente il suo strettissimo legame con
Padova. Il 20 ottobre 1553 il nostro liutista è chiamato a testimoniare circa una vertenza fra gli eredi di Angelo
Petrobelli e gli eredi dell’importante artista Tiziano Minio. Da questa testimonianza si evince il grado d’amicizia
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intercorso fra Minio e Pacalono, ma soprattutto appare, come già detto, il nome del padre, Alessandro. Si tratta di una
piccola ma estremamente significativa spia, preziosissima per le future ricerche e che ha già dato, credo, un piccolo
frutto.

Nel Dialogo / Facetissimo et / Ridiculissimo di / Ruzzante. / Recitato à fosson alla caccia, / l’anno della carestia. /
1528, troviamo infatti alla pag. 20 la seguente battuta:

« Z. Barba Polo e qui, e piu su le piacevolezze che mai, tutto ringiovenito, io lho lassato à desso, chel havea intorno
Alessandro Pacalono, che li dava animo col tuono [sic] del liutto, con parecchi altri buoni compagni, che ivi era il
maggior spasso, & le maggior risa, del mondo. » 8

Il personaggio indicato con Z. è l’anima di Zaccarotto, che partecipa ad una battuta di caccia con Menego e Duozzo, in
forma di spirito. Menego interroga l’anima, chiedendogli come stia l’amico Barba Polo, e l’anima risponde con le
parole qui sopra esposte. Molti sono gli interrogativi e le direzioni di ricerca che si aprono circa la famiglia di Pacalono
grazie a questa piccola informazione. Non possiamo affatto essere certi che l’Alessandro citato da Ruzzante sia il padre
di Pacalono, ma l’associazione con il liuto del personaggio direi che si rivela piuttosto interessante. Se si trattasse del
padre di Giovanni dobbiamo dedurre che il nostro liutista nacque nel 1528 o prima, essendo Alessandro già collocato in
Paradiso nel testo di Ruzzante. Inoltre si potrebbero scorgere radici ancora più profonde con il tessuto padovano della
famiglia Pacalono, una presenza della professione liutistica già nelle mani del padre di Giovanni e soprattutto una
familiarità intima con la cerchia di Alvise Cornaro e la compagnia di Ruzzante. Spia, quest’ultima, di affascinanti
scenari e indicazioni di ricerca ulteriori. Credo ragionevole riconoscere Alessandro Pacalono anche in una lettera scritta
da Alvise Cornaro dopo la morte dello stesso Ruzzante:

« […] tuta la so brigà, che in ella ghe è cinque puteti puorpio da far bello un paradiso e tuti i suò parente pì cari e così i
suò cari amichi; e sì a’ vogion che a’ fazè tornare vivo so frelo e el Foscaro e l’Alvaroto e Ruzante e ‘l Zacaroto e Barba
Polo e Pacalonio e Moro e Pasin e ‘l Schirinzi […] ». 9

Lascio dunque a chi possiede maggiori competenze questa pista di ricerca che, se sarà confermata, ci consentirà di
scorgere un’infanzia o addirittura una prima giovinezza di Giovanni Pacalono a stretto contatto con il circolo culturale
del Cornaro, un contatto ricchissimo di implicazioni artistiche e musicali.

Veniamo ora alla rilevante presenza delle composizioni di Francesco da Milano all’interno del manoscritto castellano. I
brani attribuibili al liutista lombardo sono i seguenti:

cc. 13v-14v fantasia bellissima (Ness 19)

cc. 18v-19 fantasia de franceco da milano / dolsicima et amorosa (Ness deest)

cc. 26-29 Reveillez Vous (La canzon degli uccelli) (Ness 120)

c. 41 tenore de una fantasia a dui liutti /di franc.o milanese (Ness deest)

cc. 44v-45v fantasia de franc.o milanese / divina che si pono dire (Ness App. 31)

cc. 46-47 fantasia di francec.o milanese (Ness 34)

cc. 47v-48 {49v} (anepigrafa) (Ness 55)

cc. 48v-49 recercata di franc.o da milano (Ness 33)

cc. 51v-52 fantasia di franceco da milano a dui liutti (Ness deest)


c. 53v [Quando io penso al martire] (parziale) (Ness 123) (Non segnalato come brano di Francesco da Milano da Rossi)

c. 60v-61 tirate per far la mano di franceco milanese / molto legiadre (Ness deest)

Si tratta certamente di un corpus di notevole consistenza e di particolare importanza, non soltanto per i brani non
conosciuti, ma anche per la possibilità di attribuire con sicurezza a Francesco da Milano la fantasia posta alle cc. 18v-
19 e di poter leggere una migliore lezione del brano posto da Ness al numero App. 31. Inoltre le versioni dei brani già
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conosciuti illuminano sulla tradizione di alcune fantasie, particolarmente quella recante il numero 34 dell’edizione dello
stesso Ness.

Franco Rossi legge il motivo di una forte presenza di Francesco da Milano all’interno del manoscritto giustificandolo
con un comune contatto di Francesco e di Pacalono con la corte parmense. Leggiamo le parole stesse dello studioso:

« […] una nascita [di Pacalono] collocabile intono al 1510-1520 potrebbe far coincidere la presenza (ipotetica) a Parma
di Pacolini [Rossi decide di utilizzare la grafia del nome proposta da Fétis] con quella certa di Francesco da Milano, dal
1535 maestro di liuto di Ottavio per esplicito desiderio di Paolo III, già Alessandro Farnese; forse una frequentazione
diretta avrebbe potuto garantire a Pacolini quella familiarità con le composizioni del maggior liutista del tempo che non
tutti i manoscritti dimostrano. […] ». 11

Mi permetto di dissentire da questa affermazione. È certo che Francesco fu maestro di liuto di Ottavio Farnese, ma
quando il giovane si trovava ancora a Roma. Egli diventerà duca di Parma nel 1547, prendendo pieno possesso della
città nel 1550: Francesco da Milano morì nel 1543, rendendo impossibile una comune permanenza a Parma con il
Farnese. Non possediamo nessun documento che testimoni con certezza la presenza di Francesco a Parma, mentre è
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indubbio il legame con Ottavio e con la di lui moglie Margherita d’Austria, figlia di Carlo V. I due giovinetti, sposi nel
1538, dovettero mantenere contatti piuttosto stretti con il liutista milanese, poiché l’ultimo documento conosciuto
riguardante la vita di Francesco Canova fu scritto di proprio pugno da Margherita d’Austria. Si tratta di una lettera
indirizzata da Roma il 24 giugno 1542 al D’Avalos, allora governatore dello stato di Milano:

« Illustrissimo signore

Avendo sua santità fatto gratia di certi benefitij di non molta valuta à messer Gabbriello casato gentil’homo et doctore
milanese et à messer Francesco da milano musico, de quali avendo secondo dicono trovato impedito el possesso da uno
che vi pretende ragione sopra, desidererieno che vostra signoria Illustrissima fussi contenta commettere al commissario
apostolico (al quale portano un Breve di sua santità per pigliarne el possesso), che conosca summariamente chi di loro a
ragione […] ». 13
Ma anche questo documento, come abbiamo visto, conferma la presenza di un legame romano e non parmense tra
Francesco da Milano e la coppia Ottavio Farnese e Margherita d’Austria.

Ritengo non necessario un contatto diretto fra i due liutisti per giustificare la presenza dei brani del Milanese nel
manoscritto di Castelfranco, data la velocità con la quale la musica per liuto viaggiava nel corso del sedicesimo secolo.
Comunque, piuttosto che l’improbabile Parma, è più economico pensare a tracce lasciate sul suolo veneto da Francesco
grazie alla presenza di quest’ultimo accertata nel corso del 1530 a Venezia. Egli si trovò infatti a Murano con il fratello
Bernardino il 9 gennaio di quell’anno, ed ebbe presso la città della laguna sicuramente contatti con Giovan Francesco
Valier, canonico di Padova secondo l’espressione di Marin Sanudo, il quale ospitava il vescovo di Verona Giberti, altra
persona legata al liutista milanese. Oppure si potrebbe ragionare su un’altra indicazione, meritevole di studio ed
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approfondimento, che potrebbe vedere Francesco a Vicenza, non necessariamente residente, anzi, fra il 1537 e il 1539
in qualità di affittuario del vescovato della città. Innumerevoli però possono essere le vie attraverso le quali le musiche
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del grande Milanese possono essere giunte nelle mani di Pacalono. Vi sono altre particolarità notevoli nel manoscritto
di Castelfranco, che indicano una conoscenza allargata del repertorio da parte di Pacalono ed un accesso a fonti di
grande importanza. Di rilievo è ad esempio la presenza, purtroppo non rilevata da Rossi, di due fantasie tratte da El
Maestro di Luis Milàn, unico esempio di musica del maestro catalano nei manoscritti conservati in Italia, oppure
l’intrigante concordanza inglese della Pavana deta la descordata, anch’essa non rilevata da Rossi, conservata in una
delle fonti liutistiche più antiche sopravvissute della cultura britannica, il ms. Royal App. 58, con il titolo The Duke of
Somerset Dump. Lo studio completo delle concordanze, avviato da Franco Rossi nei suoi lavori ma lontano dall’essere
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completato, permetterà di avere un quadro più preciso della biblioteca a disposizione di Pacalono al momento della
stesura del suo manoscritto. Si evidenzia da parte del liutista patavino una conoscenza diretta delle fonti veneziane a
stampa edite fra il 1546 e l’anno di compilazione della silloge, ma anche una propria attività compositiva che almeno in
parte fu trasmessa e che oggi conosciamo concordante in altre fonti. La più importante testimonianza legata a Pacalono
è sicuramente da rintracciare nel Mus. Ms. 266 conservato presso la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera.
Il manoscritto, ben conosciuto dagli studiosi delle fonti della musica per liuto ma purtroppo ignorato da Franco Rossi a
proposito della testimonianza legata a Pacalono, è composto da innumerevoli fascicoli aventi diversa genesi ed
assemblati insieme nel corso del XIX secolo. Solo la certosina e paziente opera di analisi effettuata da Arthur J. Ness ha
permesso di ricostruire l’origine e in gran parte la provenienza dei singoli fascicoli e a volte delle singole carte. La
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sezione comprendente i brani numerati dal n. 161 al 166 è di particolare interesse per noi in quanto mostra la medesima
filigrana contenuta nel primo fascicolo del manoscritto di Castelfranco. Inoltre riporta con chiarezza la scritta Zuà
Pacalono nella parte superiore della carta 130, in coincidenza con la sezione conclusiva dell’intavolatura del brano O
passi sparsi di Festa. Non è chiaro se l’indicazione sia una nota relativa al brano o all’intero fascicoletto. Infatti al
numero 161 troviamo una concordanza estremamente precisa con il manoscritto castellano, il brano Quand’io penso al
martire, collocato in quest’ultimo alla carta 23v. La mano che ha scritto il fascicolo, individuata come hand K da Ness,
è diversa da quella dell’autografa stesura del manoscritto di Castelfranco. Il fascicolo di Monaco è così composto:

[Mus. Ms. 266, n. 161-66]

c. 130v Quand’io penso al martire [Arcadelt]


cc. 131v-132v Fantasia [Marco dall’Aquila]

cc. 132v-133 Il ciel che rado [Arcadelt]

cc. 133v-134 Toutes les nuicts [Crecquillon]

cc. 134v-135 Responces Quest il besoing [Crequillon; seconda parte di Toutes les nuicts]

cc. 135v-130 [sic] O passi sparsi o pensier grami e promti [Festa-Giovanni Pacalono]

Ness ipotizza una possibile compilazione della sezione di questo manoscritto risalente al 1552, sulla base della filigrana,
ma anche immaginando la presenza di Hans Herwart e del suo liutista a Padova in quel periodo in coincidenza delle
difficoltà legate alla guerra di Schmalkaldien. Herwart fu il primo possessore di gran parte dei manoscritti
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cinquecenteschi conservati oggi presso la biblioteca bavarese. Non vi sono dubbi che questo fascicolo sia legato
strettamente a Pacalono, sia per la presenza di un brano concordante con l’autografo, sia per l’attribuzione di almeno un
altro brano, sia per la coincidenza dell’utilizzo della medesima carta. Si noti infine nel manoscritto di Monaco la
disposizione di nove esagrammi su ogni facciata, esattamente come nell’autografo castellano. La cosiddetta hand K ha
copiato anche tre brani nel Mus. Ms. 1511D conservato presso la medesima biblioteca bavarese, si tratta di una
successione Pass’e mezzo-Padoana-Saltarello posta alle cc. 18-21v. 19

Un altro manoscritto che testimonia la diffusione della musica di Pacalono è oggi conservato a L’viv, Biblioteca
Universitaria, con la segnatura 1400/I. Il volume è stato oggetto di approfonditi studi nel corso dell’ultimo decennio, tra
i quali va segnalato l’esemplare lavoro di Piotr Pozniak comparso nel 2004. Il manoscritto reca alla c. 1 la firma di
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Hans Kernsthok, che si autodefinisce come il compilatore del volume, mentre Andres Schwartz-Andrzej Czarny
(medesimo nome scritto in due diverse lingue), ci rivela essere il possessore del volume, cracoviense di origine, ed
aggiunge la data 1555. La silloge contiene numerosi punti di contatto con il volume di Castelfranco, ma mi preme
soprattutto segnalare la Fantasia bellissima Gioane Pacalono, posta alle cc. 40v-42, e il Pass’e meze de la verlata G.
Pacalono, seguito dalla Pado[va]na Verlata e dal Saltarello, posti alle cc. 45-47. La Fantasia concorda con il brano dal
medesimo titolo collocato nel manoscritto di Castelfranco alle cc. 24v-25, mentre la successione della Verlata è
arrangiata in quest’ultimo per tre liuti: la versione leopolina coincide con quella del superius inserita nel manoscritto
castellano alle cc. 88v-89v. Secondo la plausibile ipotesi di Pozniak uno dei numerosi studenti polacchi presenti a
Padova per studiare presso l’Università potrebbe avere avuto contatti con il circolo di Pacalono o con il liutista stesso ed
avere così inserito i brani del liutista patavino nel proprio libro. 21

Si profila così, alla luce dei due manoscritti ai quali abbiamo brevemente accennato, un’immagine di Pacalono per nulla
isolata dal contesto artistico cittadino e soprattutto internazionale. Il contatto probabile con musicisti legati a Herwart ed
a studenti stranieri, specificamente polacchi, potrebbe aver contribuito ad allargare le conoscenze musicali del liutista,
tramite lo scambio di prezioso materiale. Va inoltre ricordato che le composizioni a tre liuti contenute nel manoscritto
castellano furono composte da Pacalono per il signor Tomaso Paro, inglese, « mio compare et patrone », come viene
scritto dallo stesso musicista alla c. 106. Dunque le porte erano aperte per poter attingere anche a materiale manoscritto
proveniente da molto lontano, e non possiamo escludere che anche le composizioni di Francesco siano giunte fra le
mani di Pacalono in questo modo.

L’analisi dei brani di Francesco da Milano scelte ed incluse da Pacalono nel manoscritto rivela non poche sorprese.
Avviamo la riflessione sui brani già conosciuti, ed in particolare sulle fantasie catalogate da Ness ai numeri 33 e 34.

Si tratta di due casi emblematici, poiché sollevano questioni di pura ecdotica musicale. Questi due brani, centrali nella
produzione di Francesco da Milano per le loro peculiarità di scrittura e di architettura, sono stati oggetto di un attento
studio da parte di Victor Coelho. Come ho già avuto modo di scrivere, l’importante esercizio critico sulle fonti della
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musica per liuto non può essere per nessuna ragione improvvisato. Dispiace ripetere alcuni fondamenti dell’approccio
filologico al testo, ma lo ritengo necessario in vista anche della rilevanza che assume in questo contesto il manoscritto
castellano. Il lavoro di Coelho è incentrato sulla distinzione fra biography e reputation e sulla connessione fra «
authenticity in authorship and posthumous reputation », un punto di vista piuttosto interessante e stimolante, che lo
porta ad affermare che « the layers of interpolations that can be added to a single lute piece as it is disseminated by the
manuscript tradition reveal a process that can be compared to the troping chant: the spine of the original conception
remains, along with its distant, perhaps even apocryphal authorship, but the interpolations reveal efforts of
modernization, pedagogy, enshrinement, revival, imitation, a striving for generational relevance, and, consequently, the
making of reputation ». Di fronte ad una affermazione così impegnativa ci si attende dunque una analisi molto rigorosa
delle fonti, tale da poter dimostrare una perturbazione fortissima in ogni singola lezione. Purtroppo il lavoro di Coelho è
fortemente deludente da questo punto di vista. Dopo aver tracciato una estremamente imprecisa e lacunosa biografia di
Francesco da Milano, che certamente non giova alla lettura dei testimoni, ma che in fondo non ne compromette di per sé
la comprensione, Coelho inserisce nel suo studio una cronologia delle principali fonti della musica del liutista milanese.
Questo momento, definito da secoli recensio rappresenta un passaggio fondamentale dell’approccio al testo e alla sua
restituzione. In questa fase di lavoro il filologo ancora non è a conoscenza se e come sarà possibile restituire
criticamente il testo. Il lavoro di raccolta di tutte le fonti di ogni singolo brano permetterà di capire se la recensio è di
tipo aperto, quindi con perturbazioni orizzontali e dunque non potrà condurre alla costruzione di uno stemma secondo il
metodo di Lachmann, oppure se la recensio è di tipo chiuso, permettendo di seguire così la strada del metodo
lachmaniano. Coelho indica quattro « boxes » che costituiscono le quattro fasi principali, a suo dire dell’evoluzione
della “reputazione” di Francesco da Milano come trasmessa a suo parere dalle fonti. Si tratta dunque di un lavoro già
estremamente approfondito, e che dovrebbe essere altamente accurato e non soltanto legato alla fase di recensio ma
anche a quella di collatio. Un lavoro che potrebbe essere di enorme aiuto anche per la critica del testo dei brani di
Francesco da Milano inseriti nel manoscritto autografo stilato da Pacalono, e che potrebbe permettere di individuare
discendenze e parentele preziosissime. Ma già ad una prima lettura possiamo notare che nessuna critica delle fonti è
stata realizzata. L’assenza di testimoni fondamentali come l’Intabolatura da Leuto / del Divino Francisco / Da Milano
Novame / nte Stampata, antigrafo del lavoro marcoliniano del 1536 è da ritenersi gravissima, essendo probabilmente
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la prima stampa comparsa contente musica del Milanese; l’assenza dell’edizione di Casteliono curata da Pietro Paolo
Borrono a Milano nel 1548 , segnalata, se l’intuito mi assiste, come una mera ristampa di un’edizione pirata di Scotto, è
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altrettanto grave, poiché contiene musica precedentemente non stampata di Francesco da Milano; incomprensibile
risulta la datazione palesemente erronea della stampa edita da Dorico nel 1546 e recante per confusione tipografica la
datazione 1566 sul frontespizio. Quest’ultimo caso è di grande interesse per noi, poiché il volume fu curato da Perino
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Fiorentino, l’allievo prediletto di Francesco da Milano, e perché contiene la prima versione a stampa della Fantasia
Ness 33. Nell’elenco di Coelho è ammessa al n. 16 come
« reprint of no. 8 [si tratta qui di un semplice errore di stampa in luogo di 9, volendo l’autore sicuramente indicare
l’edizione veneziana pirata di Gardane del 1547 piuttosto che la pubblicazione del 1546 di Formschneider] »: ma si
tratta di una collocazione che sfiora, mi si perdoni il termine, il grottesco. Così come l’incomprensibile nota a pie’ di
pagina che recita « I have not included in this table the English sources of Francesco’s music » senza nessun’altra
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spiegazione. Si tratta di un atteggiamento curioso, che impedisce la lettura di un corpus estremamente complesso e
comunque non giudicabile a priori. Anche in questo caso il rilievo è d’interesse per il manoscritto di Castelfranco,
poiché la Fantasia Ness 33 è presente anche nelle fonti inglesi. Un altro punto di grande rilievo dell’articolo di Coelho
è dato dal fatto che le edizioni a stampa assumono un valore di autorevolezza superiore rispetto ai manoscritti, senza
aver passato il setaccio della critica. Di per sé, e si noti che non abbiamo notizia certa di nessun volume curato
dall’autore, il percorso della stampa non implica affatto maggiore autorevolezza del testimone. Anche in questo caso si
tratta di lavorare sulla critica del testo: in nessun modo si può presumere a priori che i testimoni manoscritti possano
essere sottoposti a perturbazione e a corruzione maggiore di un testimone a stampa. Lo stesso discorso vale per la
datazione: recentiores non deteriores, non ci si stancherà mai di ripeterlo.

Giustamente Victor Coelho analizza ad esempio i ricercari inseriti nell’intavolatura di liuto pubblicata da Galilei nel
1563 e attribuiti a Canova, mettendo in luce alcune incongruità che gli permettono di dubitare della paternità degli stessi
da attribuire a Francesco da Milano. E questa è la via da seguire, non quella della distanza temporale dalla morte del
compositore, conclusione che purtroppo l’Autore si affretta a presentare nel corso del suo studio. A suo parere la stampa
di Galilei apre la via ad una terza fase in cui Francesco da Milano viene totalmente reinventato nelle fonti manoscritte,
in un corpus risalente secondo lo studioso alla fine del XVI secolo. L’altissima mortalità dei manoscritti e delle stampe
per liuto cinquecentesche non consentono in alcun modo esercizi di attribuzione sulla base della datazione dei
testimoni: si tratta di una regola generale, ma è bene ricordarla. La strada per la ricostruzione del testo, lo si dice per
l’ennesima volta, è solo quella della critica del testo, comprensiva di tutto ciò che anche gli strumenti codicologici ci
possono offrire, di documenti d’archivio, insomma di tutto l’apparato che ci consente di collocare nel contesto storico il
testimone. Si rimane quanto meno dubbiosi dunque di fronte alla seguente affermazione: « […] the earliest attribution
of Fantasia 34 to Francesco is in Cavalcanti, a manuscript whose attributions to Francesco are suspect to say the least,
and the works themself pastiches. Not one of the versions is identical to any others, and all of them contain mistakes
that require some editing on the part of the player. Clearly, no Urtext of this particular work was ever known. […] ». 28

La presenza della Fantasia Ness 34 nel manoscritto castellano, chiaramente attribuita a Francesco da Milano e della
quale vedremo poi i legami testuali con le altre fonti, corregge drammaticamente questa affermazione. Affermazione
che lascia ancora più perplessi poiché si individua nell’errore un elemento nefasto, quando invece è proprio la presenza
di almeno un errore significativo comune a tutte le fonti che ci può permettere di ipotizzare l’esistenza di un archetipo.
Dipende tutto dall’errore, dunque, e non dalla correttezza delle fonti. Si tratta di individuare l’errore o gli errori
indicativi, significativi e non le versioni perfettamente concordanti, utili per conoscere la trasmissione del testo, ma
inutili nella restituzione dello stesso. Si è sempre alla mercé di nuove, e auspicabili, fonti. Ed è questo appunto il caso
del manoscritto autografo di Pacalono. Piuttosto, la critica delle fonti si rende ancor più necessaria, se possibile, nel
caso del repertorio liutistico, a causa dell’alta concentrazione di perturbazione orale e di codici in movimento, non
necessariamente autografi. Questa condizione spinge quasi sempre all’impossibilità di restituire un testo archetipico.
Nel caso specifico della musica di Francesco da Milano si può osservare come Arthur J. Ness nell’ambito della sua
edizione dell’opera omnia del Milanese abbia optato per la scelta del codex optimus, affidando all’apparato la mole
variantistica.

Procediamo dunque con ordine e prendiamo in considerazione innanzitutto le composizioni già note di Francesco da
Milano incluse nel manoscritto redatto da Giovanni Pacalono. La fantasia bellissima posta alle cc. 13v-14v è conosciuta
al momento da altre nove fonti, per un totale di dieci concordanze ed è pubblicata nell’edizione Ness con il numero 19.
Il brano presenta numerose particolarità. In primo luogo è l’unico brano giuntoci di Francesco da Milano ad essere
scritto nella “posta” di mi bemolle, considerando un’accordatura nominale del liuto in sol; compare nelle prime stampe
contenenti musica del Milanese: s.d., nel volume edito da Marcolini nel 1536 e nei due volumi pubblicati nello stesso
anno a Napoli da Sultzbach; in queste ultime sillogi compare ben tre volte, pur se in versioni diverse. Questo brano
dovette in effetti assumere un significato particolare per Sultzbach o per il suo ignoto editore. Il Recercare è infatti
posto in apertura del primo volume (in intavolatura italiana), in conclusione del secondo volume (in intavolatura
napoletana) e al sesto posto del secondo volume (sempre in intavolatura napoletana). Su un totale di cinquantacinque
composizioni avremmo dunque il nostro brano posto al principio, alla metà e al termine delle due collezioni riunite. Si
noti che il brano occupa la durata di 131 caselle, e che la “posta” di mi bemolle favorisce nell’intavolatura italiana l’uso
dei numeri 1 e 3. Non può non far sorgere almeno un interrogativo il fatto che al numero 131 corrisponda la somma
equivalente alle lettere del nome di Ferrante Sanseverino, Principe di Salerno e maggior mecenate della musica e delle
arti a Napoli nel momento della duplice pubblicazione di Sultzbach, nonché protagonista di un dialogo con Agostino
Nifo, pubblicato da Galeazzo Florimonte, all’interno del quale Francesco da Milano viene citato frequentemente.
L’avvenimento dell’edizione dovette essere straordinario: la visita di Carlo V nella città e la dedica al vicerè Pedro de
Toledo, anch’esso rintracciabile nella successione numerica del nostro ricercare, ne indicano una possibile
motivazione. Senza che questa traccia ci porti troppo lontano, si consideri soltanto che sarà proprio a Napoli il filosofo
Giovanni Battista della Porta a pubblicare il De Furtivis Literarum Notis Vulgo De Ziferis Libri IIII, che contiene una
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tavola di concordanze fra numeri e lettere e soprattutto la continuazione di quest’ultimo, il De Furtivis Literarum Notis
Vulgo De Ziferis Libri Quinque, dove si può leggere un capitolo dedicato al modo di cifrare messaggi nella musica. 30

Nelle edizioni s.d. e di Marcolini il ricercare è posto a conclusione della serie delle composizioni libere, prima
dell’inizio dei brani vocali intavolati.

Il brano presenta solo un punto di corruttela evidente in tutti i testimoni, corrispondente alle caselle 54-56 dell’edizione
Ness e alle medesime caselle del manoscritto castellano, risolto in modi diversi nelle fonti. Il manoscritto di
Castelfranco non segue nessuna delle altre lezioni, indicando così l’appartenenza ad un ramo non conosciuto o ad un
intervento ope ingenii di Pacalono o del copista dell’antigrafo utilizzato dal liutista padovano. Di grande rilievo ed
importanza è la lacuna riscontrabile alla casella 222 di ben 14 battute, che non è ravvisabile in nessuna delle fonti
sopravvissute.

La fantasia de franc.o milanese / divina che si pono dire posta alle cc. 44v-45v presenta una sola concordanza allo stato
attuale degli studi, che reca il titolo Recercare dj Francesco da Milano, ravvisabile in un manoscritto conservato a
Donaueschingen (ora a Stuttgart, Bad Württenbergische Landesbibliothek – RISM D SI) e pubblicato da Ness come
App. 31. Lo studioso statunitense pone il brano in appendice del suo lavoro, considerandolo difficilmente assegnabile al
liutista milanese sulla base di elementi stilistici. Il manoscritto di Donaueschingen è composto da tre volumi e contiene
circa 350 composizioni scritte in intavolatura tedesca, in parte copiate da stampe italiane; fra i compositori rappresentati
troviamo Hieronimus Faber, Conrad e Melchior Neusidler, Georg Hofstetter e Christopher Volker. La versione
31

contenuta nel manoscritto tedesco della fantasia di Francesco da Milano ha in effetti subìto una sovrapposizione di
diminuzioni alla struttura del brano, inducendo Ness a ritenerla un’opera spuria. La versione di Castelfranco Veneto
rivela al contrario un’opera sicuramente del periodo più maturo del Milanese: l’utilizzo strutturale dell’intervallo di
semitono mi-fa-mi e della sua inversione, e l’inserimento di sezioni contrappuntistiche, con false relazioni e andamenti
ritmici particolarmente originali che contrastano con rapide sequenze di scale, ci consegnano una delle fantasie più
interessanti di Francesco da Milano.

La fantasia di francec.o milanese posta alle cc. 46-47 è pubblicata da Arthur J. Ness al numero 34 della sua edizione.
Questo brano è stato soggetto di studio da parte di Victor Coelho nel corso dello studio citato in precedenza. Chiedo al
paziente lettore di rivolgere una particolare attenzione alle seguenti parole dello studioso statunitense:

« That the piece is so firmly established in Francesco’s canon should not dissuade us from raising concerns about his
authorship. The work was never published, and it does not appear in any source until the 1580s, long after ‘new’ works
by Francesco had ceased to appear. Nevertheless, it was copied into manuscripts from about 1580-1620 more frequently
than any other work by (or attributed to) Francesco. […] ». 32

Analizziamo il ragionamento di Coelho. Egli afferma in primo luogo che il brano non è mai stato pubblicato. I filologi
italiani dicono che la filologia è buona quando è buona, non quando è necessariamente innovativa. Non possiamo essere
certi in alcun modo che il brano non sia stato pubblicato e, di per sé, è ininfluente che la composizione sia passata sotto
i torchi della stampa per ottenere i crismi di una composizione attribuibile a Francesco da Milano. Una copia archetipica
può avere infatti circolato senza necessariamente essere stata edita in una officina tipografica. Coelho prosegue
segnalando che il brano non appare in nessuna fonte fino agli anni Ottanta del Cinquecento. Anche questa affermazione
non ha alcun valore da un punto di vista filologico. Se l’apparire di un testimone in un periodo relativamente tardo
dovesse essere fonte di per sé di dubbio di paternità, dovremmo infatti dire addio alla Bibbia e alla Commedia
dell’Alighieri, per citare solo due testi. Inoltre, come ho già scritto in precedenza, affermazioni come queste sono
pericolose, perché siamo sempre alla mercè della risorgenza di nuove fonti, come nel caso del manoscritto di
Castelfranco Veneto. La fantasia Ness 34 è basata sul medesimo materiale della fantasia Ness 33, anch’essa presente
nel manoscritto castellano con il titolo recercata di franc.o da milano alle cc. 48v-49, due brani che rappresentano un
apporto di notevole interesse al settore delle fantasie monotematiche. Mentre della fantasia 34, come sappiamo, non
possediamo versioni a stampa, la fantasia 33 fu pubblicata per la prima volta nel 1546 da Perino Fiorentino, allievo del
Milanese, in un volume edito a Roma dai fratelli Dorico. Entrambe le composizioni utilizzano formule provenienti
33

dall’intavolatura realizzata da Francesco da Milano della chanson De Mon Triste di Jean Richafort, pubblicata
anch’essa nel medesimo volume insieme alla fantasia-parodia Fantasia De Mon Triste. L’elemento principale delle due
fantasie 33 e 34 è la pervasiva presenza dell’intervallo mi-fa-mi e della sua inversione, un elemento che diviene quasi
una firma del liutista Milanese e che egli espone in altre composizioni, come abbiamo già visto. Esso è presente in
modo evidente nella chanson, e viene ripreso e sviluppato nella Fantasia de Mon Triste. Inoltre il compositore milanese
utilizza alle bb. 19-24 della fantasia 33 il cantus di De Mon Triste, cavato dalle battute 4-8, per combinarlo ad un'altra
formula tratta dalla medesima chanson alle bb. 11-12. Quest’ultima idea, composta da quattro semicrome ascendenti
culminanti in due crome che esprimono l’intervallo di volta di semitono sarà poi ripresa ed ampliata nel corso della
fantasia 34. Un altro elemento contrappuntistico di rilievo tratto dalle bb. 28-29 dell’intavolatura della chanson è
utilizzato nel corso delle battute 31 e seguenti della fantasia 33.

Il confronto sistematico con le fonti concordanti rivela una prossimità notevole con la versione doriciana, con
l’eccezione della variante posta alla casella 59, unica fra tutti i testimoni. Di particolare interesse si rivela il confronto
con Krakow, tipico testimone in movimento: il brano è stato copiato da un antigrafo scorretto ed in seguito corretto da
un’altra mano sulla base di una silloge appartenente alla famiglia doriciana. Per le sue caratteristiche formali e di
34

scrittura questa fantasia ebbe una grande fortuna nella letteratura liutistica e fu copiata, rielaborata e ripubblicata in
manoscritti e stampe tedesche, fiamminghe e inglesi fino al secondo decennio del Seicento.

La versione della fantasia 34 contenuta nel manoscritto di Castelfranco Veneto è la fonte più antica conosciuta che
attribuisca il brano al Milanese. Il confronto delle varianti sottolinea una possibile parentela con il frammento
(purtroppo solo un frammento) che appare nella prima carta del cosiddetto, impropriamente, Medici Lute-Book
conservato ad Haslemere, Gran Bretagna, e che restituisce alle cc. 18-20 anche un’altra versione del brano, integra,
copiata da altra fonte. Il punto nodale di differenziazione nelle versioni di questa fantasia sono le scelte legate alla
35

musica ficta all’interno dei passaggi monodici ascendenti e discendenti. L’unica versione che concorda esattamente
anche in questa particolarità è proprio quella copiata alla c. 1 del Medici Lute-Book. Lo studio più recente su questa
silloge, pubblicato da John H. Robinson, dimostra che la filigrana contenuta nel manoscritto era diffusa a Roma e a
Venezia fra il 1560 e il 1580. Il manoscritto presenta similarità con il Siena Lute-Book, oggi conservato a Den Haag,
36

compilato in area senese e fra i più importanti testimoni del repertorio liutistico cinquecentesco, dove le fantasie 33 e 34
sono collegate esplicitamente tra loro essendo la seconda copiata in successione alla prima e definita la Compagna. Allo
stadio attuale degli studi è impossibile stabilire se vi sia realmente una parentela fra i due codici, poiché essi non
condividono errori significativi comuni. Attendiamo dunque nuove e auspicabili riscoperte di fonti che ci aiutino a
capire il percorso della fantasia 34, avendo però ora a disposizione una nuova ed interessante fonte per la lettura di
questo brano.

La fantasia de franceco Milanese posta alle cc. 47v-48 e 49v è pubblicata da Ness al numero 55 della sua edizione. Il
brano fu edito per le cure di Pietro Paolo Borrono nel 1548, e compare solamente in una stampa pirata del medesimo
anno pubblicata a Venezia e in due manoscritti, il Siena Lute-Book e il manoscritto Cavalcanti, un’importante fonte
fiorentina risalente all’ultimo decennio del Cinquecento, che contiene anche le fantasie 33 e 34 ma purtroppo in
versioni scorrette. Sappiamo che Pacalono dovette forse avere a disposizione una delle due stampe edite nel 1548,
37

poiché un altro brano inserito nel manoscritto castellano, la Pavana detta la bella Andronica. cosa vechia et a stanpa,
posta alle cc. 43v-44, di Pietro Paolo Borrono, fu pubblicata proprio in questi due volumi. Ma non si può certo
escludere che i due brani siano giunti separatamente sul tavolo del liutista padovano. Come le altre fantasie pubblicate
da Borrono nel 1548, anche questa composizione si presenta come un’opera di rilievo e della maturità di Francesco da
Milano. La versione castellana si discosta pochissimo da quella pubblicata da Casteliono e Borrono nel 1548, con solo
l’evidente lacuna di una casella.

La Canzone degli uccelli sopravvive in sei edizioni a stampa e in un solo manoscritto, la già citata fonte conservata a
Donaueschingen. Si tratta senz’altro di uno dei lavori più notevoli di Francesco da Milano nell’ambito delle intavolature
di brani vocali, sia per la lunghezza del brano, sia per la difficoltà di poter imitare i versi onomatopeici contenuti nella
composizione originale sullo strumento. Troppo spesso infatti pensiamo che le composizioni vocali fossero intavolate
sul liuto al fine di lavorare su modelli elevati dal punto di vista strutturale e contrappuntistico. Terrei in debita
considerazione la seguente testimonianza sorta dalla penna di Federico Borromeo:

« 4. Furono 3 eccellenti Musici in un tempo. Filippo, Alberto, et Fran.co Milanese. Il primo superava gl’altri di Teorica,
il 2.o di m.o [molto, mano?] il terzo superava et era superato da tutti dice et sonava con tanta energia che faceva
intendere le parole spiccate delle Canzoni francesi che allhora si cantavano ». 38

Filippo va forse identificato con Verdelot, Alberto probabilmente con il grande liutista Alberto da Mantova, il terzo
direi che è senza dubbio il nostro Francesco da Milano. Il riferimento ad uno stile esecutivo che permettesse di mettere
in rilievo l’accentuazione delle parole e del verso poetico si può ritenere di grande rilievo, ed è dunque auspicabile che
venga pienamente ripreso al giorno d’oggi da parte degli interpreti.

Il frammento anepigrafo posto alla c. 53v va identificato con la sezione iniziale dell’intavolatura di Quand’io penso al
martire, pubblicata per la prima volta da Perino Fiorentino nel 1546 nella stampa doriciana citata in precedenza. Si
tratta dell’unica versione ad oggi conosciuta di questo pezzo contenuta in un manoscritto. Purtroppo Pacalono ha
interrotto il suo lavoro di scrittura, forse consapevole di avere già copiato una versione di questo brano alle cc. 23v-24,
la medesima che concorda con la composizione inserita nel Ms. Mus. 266 conservato a Monaco di Baviera di cui
abbiamo discusso in apertura. Sappiamo comunque che quest’ultimo brano differisce da quello elaborato da Francesco
da Milano.

La fantasia de franceco da milano / dolsicima et amorosa posta alle cc. 18v-19 è conosciuta al momento in un’unica
altra versione contenuta in Como. Questo importantissimo manoscritto, datato primo luglio 1601, fu in parte compilato
da Pietro Paolo Raimondi, un’interessante figura della vita culturale comasca del Seicento. Egli fu decurione della città
nel 1608 e morì nel 1647. Nipote del vescovo di Novara, arcivescovo di Chieti e nunzio alla corte di Felipe III Ulpiano
Volpi, Raimondi ebbe l’incarico da parte di quest’ultimo di seguire i lavori di costruzione di un magnifico palazzo a
Como, disegnato dall’architetto romano Sergio Venturi. Volpi seguì le operazioni di costruzione da Roma, avviando e
mantenendo vivo un flusso di corrispondenza con Raimondi di notevole interesse. Può quindi non sorprendere che nel
manoscritto appartenuto allo stesso Raimondi si possano incontrare brani concordanti a composizioni inserite in
manoscritti romani e composizioni di liutisti vissuti a Roma, come il “Cavaliere del Liuto”. Il brano concordante con la
39

composizione contenuta nel manoscritto castellano, intitolata nella silloge comasca fuga senza assegnazione di
paternità, potrebbe dunque anch’essa essere giunta da Roma. Ma anche in questo caso non è possibile accertarlo con
sicurezza. La versione copiata da Raimondi presenta inserzioni di diminuzioni, tipiche anche di altri brani copiati dal
Comasco, particolarmente nella sezione finale. Inoltre il brano fu scritto da Raimondo solo a partire dalla casella 48,
essendo le prime 47 caselle compilate da un’altra mano. La fuga del manoscritto comasco è preceduta da un’altra
composizione che è esplicitamente intitolata Toccata con una fuga. Questa Toccata è rintracciabile anche nel ms.
Krakow alla pagina 249: escluderei però la possibilità che sia stata composta da Francesco da Milano, a causa del
rilievo che assume l’uso del settimo coro – una volta compare anche l’ottavo -, ma soprattutto per la modalità di
scrittura contrappuntistica, ricca di ritardi tipici della scrittura liutistica tardo cinquecentesca.
Si noti infine che il manoscritto comasco comprende anche le fantasie contrassegnate da Ness con i numeri 33 e 34,
delle quali abbiamo discusso in precedenza, e che anche la Fantasia adesposta posta alle cc. 27v-29v potrebbe
appartenere al catalogo del Milanese.

La fantasia di franceco da milano a dui liutti è senz’altro un’importante e rilevante aggiunta al repertorio liutistico. 40

Conosciamo solo altri due brani per due liuti di Francesco da Milano, probabilmente opere di intento didattico. Questo
41

duetto è strutturato come la Spagna del Milanese, con un liuto al quale è affidato un accompagnamento accordale – il
cosiddetto tenore - e un liuto che sviluppa una serie di diminuzioni senza soluzioni di continuità. Il brano è diviso in due
sezioni principali – la seconda è marcata alio modo – all’interno delle quali l’idea iniziale espressa dal liuto primo viene
ripresa in moto retrogrado all’inizio della seconda parte. L’avvio di quest’ultima sezione richiama l’incipit di uno dei
duetti pubblicati da Vincenzo Galilei nell’edizione de Il Fronimo del 1584 , attribuiti ad un nobile fiorentino le cui
42

iniziali sono B.M.. Compositore presente anche nel Siena Lute-Book, potrebbe essere identificato secondo Philippe
Canghuilem in Bernardetto de’ Medici. Si noti comunque che Galilei esprime più volte la propria ammirazione nei
43

confronti di Francesco da Milano, sia nel suo volume Intavolature / de Lauto sia nel corso dello stesso Fronimo,
44

all’interno del quale analizza lo stile utilizzato dal Milanese nell’intavolare le opere vocali.

Le tirate per far la mano di franceco milanese / molto legiadre si rivelano di grande interesse per la loro natura
didattica. Ne ho potuto trovare una sola parziale concordanza nel Passagio adespoto collocato nel tardo Ms. 16.662
della Bibliothèque du Conservatoir Royal de Musique di Bruxelles, che ne testimonia comunque la diffusione. Non è
improbabile che altri frammenti o concordanze possano essere colti nel gran numero di tirate o passaggi che possono
essere letti nei manoscritti e nelle stampe liutistici della seconda metà del secolo decimosesto e degli inizi del Seicento. 45

Il Passagio di Bruxelles riprende nel primo esagramma la nona casella delle tirate; nel secondo esagramma e nella parte
iniziale del terzo la scala espressa nel manoscritto di Castelfranco Veneto alle caselle quarta e quinta; nella seconda
parte del terzo esagramma e in apertura del quarto la scala compresa nella sesta casella dell’autografo di Pacalone; nella
parte seguente del quarto esagramma e nel quinto troviamo corrispondenza con le caselle tredici e quattordici.

Le tirate del manoscritto castellano sono suddivise in due sezioni principali. Nella prima sono situati esercizi
progressivi nel modo dorico trasposto (considerando un liuto accordato in sol, estremamente idiomatico sulla tastiera
dello strumento), che partono da un semplice intervallo di terza fino ad una scala di tre ottave: quest’ultima copre tutta
l’estensione dello strumento dal sesto ordine a vuoto fino al dodicesimo tasto del primo. Nella seconda vengono
affrontati principalmente groppi in diverse posizioni sulla tastiera, fino a giungere, anche in questo caso, al dodicesimo
tasto del primo ordine.

Si noti che i tre duetti scritti da Francesco da Milano ad oggi conosciuti sono composti nel medesimo modo, e che
addirittura possiamo trovare una corrispondenza esatta fra le caselle cinque e sei del superius della Spagna con la
casella due delle tirate.

Le tirate sono particolarmente importanti, poiché non conosciamo materiale esplicitamente didattico scritto da un
grande compositore di musica per liuto della prima metà del Cinquecento, conosciuto anche per il suo virtuosismo
esecutivo. In un importante e purtroppo trascurato trattato dedicato alla pratica della viola da gamba e del liuto, la
Lettione Seconda di Silvestro Ganassi, possiamo leggere il seguente passo:
« […] io trovo essere in proposito a regolarti uno modo de sonar over pratticar il tuo diminuir & non diminuir fora delli
tasti cioè sul corpo del liuto & il violon alla estremità del manico come il peritissimo di tal istromento dirò del violon un
messer Alfonso da Ferrara, & un Messer Ioanbattista Cicilian io dico averli veduto a far quello che si può mai far s’ul
ditto stromento il medemo un Messer Francesco da Milano & un Messer Rubertino Mantovano & certo non si trova in
fama hoggi di solo questi quattro in tal strumento e strumenti & certissimamente sono degli di grandissima laude si che
io dico averli visto pratticar tal strumenti di fuora de li tasti cioè sul corpo del liuto alla estremità del manico con tanta
agilità effetto bono come se gel fusse stato li tasti posti alli sui termini con ogni diligentia per tanto tal secreto ancora
voglio rasonar & regolarti […] ». 46

Le tirate di Castelfranco potrebbero dunque sollevare un piccolo velo sulle modalità di studio e di metodologia didattica
del grande virtuoso milanese.

L’edizione dei brani di Francesco da Milano contenuti nell’autografo di Pacalono sono una spia preziosissima della
straordinaria importanza rivestita per la storia della letteratura liutistica dal manoscritto castellano. Urge, dunque, la
pubblicazione dell’intera silloge accompagnata da un approfondito studio critico che metta in luce l’ampiezza delle
problematiche sollevate da questo manoscritto al fine di restituire un prezioso patrimonio alla storia della cultura
europea.

Franco Pavan

1 Si veda Franco Rossi, Il manoscritto di liuto di Castelfranco Veneto, in « Bollettino della Società Italiana del Liuto »,
Anno III, N. 1, Vol. VII, Gennaio 1993, pp. 8-11 [testo inviato dall’autore al congresso annuale della S.I.L. tenuto a
Carrara il 13 e 14 giugno 1992, e letto in quell’occasione]; Franco Rossi, Pacolini da Borgotaro versus Pacalone da
Padova. Francesco da Milano nell’antologia manoscritta di Castelfranco Veneto, in Trent’anni di ricerche
musicologiche. Studi in onore di F. Alberto Gallo, a cura di Patrizia Dalla Vecchia e Donatella Restani, Edizioni
Torre d’Orfeo, Roma 1996, pp. 167-196; Franco Rossi, Catalogo del fondo musicale del Duomo di Castelfranco
Veneto, Edizioni Fondazione Levi, Venezia 2000, pp. XXIX-LXV e pp. 339-370.

2 Dolcissima et Amorosa. Early Italian Renaissance Lute Music, Harmonia Mundi France 907043.

3 Si vedano ad esempio i mss. Siena, PL-Kj 40032, D-Mbs Ms. 266, solo per citarne alcuni.

4 François Joseph Fétis, Biographie Universelle des Musiciens et Bibliographie Générale de la Musique, Firmin-Didot,
Paris, 1875/2, p. 401.

5 Si può aggiungere che una copia del volume di Pacalono (non sappiamo però di quale edizione si tratti) fu in possesso
di João IV di Portogallo. Si veda Livraria de Música de El-Rei D. João IV. Estudo Musical, Histórico Bibliográfico,
Lisboa, 1967, p. 475: Cifras para Viola de 6 De Ioão Pacoloni. Un’altra copia era conservata presso la biblioteca
del duca di Croy; si veda Edmond De Coussemaker, Notice sur les collections musicales de la Bibliothèque de
Cambrai et des autres villes du département du Nord, Techener, Paris 1843, p. 123: Pacolini (Jean), Tabulatura
tribus testudinibus, in -4. Potrebbe trattarsi di uno dei volumi visti da Fétis? L’indicazione del vol. in quarto anziché
in folio sembrerebbe però escluderlo.

6 La silloge è stata pubblicata in edizione fac-simile da Minkoff, Genève 1981 con una introduzione di Henri Vanhulst.
Assente nel repertorio di Howard Mayer Brown, Instrumental Music Printed Before 1600. A Bibliography, Harvard
University Press, Cambridge Mass., London 1979/3, ma segnalata nel volume della serie A/I del RISM,
Einzeldrucke vor 1800, a cura di K. Schlager, Bärenreiter, Kassel, 1976, VI, p. 366.

7 Si veda Franco Rossi, Catalogo…op. cit., p. XXXVII; e Franco Rossi, Pacolini da Borgotaro… art.cit., p. 174.

8 In Vinegia, appresso Stephano di Alessi, alla Libreria del Cavalletto, Al Fontego dei Todeschi, in Calle della Bissa,
1554. Il Dialogo fu scritto per Alvise Cornaro nell’inverno fra il 1527 e il 1528. Si specifica che il lemma barba va
inteso nell’accezione di zio. Si è mantenuta l’ortografia originale del testo.

9 Citato in Emilio Lippi, Cornariana: Studi su Alvise Cornaro, Antenore, Padova 1983, p. 127.

10 Arthur J. Ness, The Lute Music of Francesco da Milano (1497-1543), Harvard University Press, Cambridge, Mass.
1970. Le composizioni del Milanese sono pubblicate in trascrizione per chitarra nell’edizione Francesco Da Milano,
Opere Complete per liuto, a cura di Ruggero Chiesa, Edizioni Suvini Zerboni, Milano [1971], 2 voll.. Nella Tavola
posta in calce al presente scritto sono segnalate le concordanze fra le due edizioni degli opera omnia del liutista
milanese.

11 Si veda Franco Rossi, Catalogo…op. cit., p. XXXVIII; e Franco Rossi, Pacolini da Borgotaro… art.cit., p. 176.

12 Sulla biografia di Francesco da Milano si può leggere la sintesi di chi scrive: “Francesco (Canova) da Milano”, New
Grove Dictionary of Music and Musicians, ed. Stanley Sadie, London. MacMillian, 2001, vol. IX, pp. 166-168.

13 Archivio di Stato di Milano, Potenze Estere 2 (Austria), n. p.; pubblicato integralmente in Christine Suzanne Getz,
Music in the Collective Experience in Sixteenth-Century Milan, Ashgate, Aldershot-Burlington 2005, p. 279.

14 Si veda Mariagrazia Carlone, New Biographical Information on Francesco da Milano, in « Recercare », vol. XIII,
2001, pp. 79-96.

15 Notizia gentilmente segnalatami da Philippe Canguilhem.

16 Le fantasie di Luis Milan sono poste alle carte 29v-30 e 35. Su The Duke of Somerset Dump si veda Matthew
Spring, The Lute in Britain: A History of the Instrument and Its Music, Oxford University Press US, Oxford 2006, p.
70 e relativa bibliografia.

17 Si veda Arthur J. Ness, The Herwart Lute Manuscript at the Bavarian State Library, Munich. A Bibliographical
Study with Emphasis on the Work of Marco dall’Aquila and Melchior Newsidler, Ph. D. Diss., New York
University, 1984. Si veda anche Marie Louise Göllner, bayerische Staatsbibliothek – Katalog der
Musikhandschriften, 2 Tabulaturen und Stimmbücher bis zur Mitte des 17. Jahrhunderts, G. Henle Verlag,
München 1979, p. 32; Sources Manuscrites en Tablature (c. 1500- c. 1800), Volume II, a cura di Christian Meyer,
Valentin Koerner, Baden-Baden 1994. Si noti che altri brani di Pacalono sono conservati presso la biblioteca
bavarese, copiati dall’edizione a stampa, nel codice 9516. Si veda Elisabeth Ottmann, Neue Konkordanze zu einer
anonymen Lautentabulatur des. 16. Jahrhunderts, in « Musik in Bayern », XXIX, 1984, pp. 61-68. Si vedano inoltre
Sources Manuscrites…op.cit., p. 237, che stabilisce la provenienza del codicetto dalla Biblioteca Parrocchiale di
Haldenwang, e Marie Louise Göllner, op. cit., pp. 198-199 che offre un incipitario in edizione moderna.

18 Arthur J. Ness, The Herwart… op.cit., pp. 160-166. Si noti che la medesima mano potrebbe aver copiato anche brani
attribuiti ad un non meglio specificato A. R. che potrebbe essere interpretato come un altro liutista padovano,
Antonio Rotta.

19 Idem, p. 160.

20 Piotr Pozniak, The Kraków Lute Tablature: A Source Analysis, « Musica Iagellonica », vol. III, 2004, pp. 27-91.
L’articolo contiene l’intero incipitario del manoscritto e la bibliografia completa relativa al ms. stesso. Il codice fu
acquistato dalla Biblioteca Universitaria da un antiquario di Vienna nel 1937, e sopravvisse incredibilmente ai
terribili sconvolgimenti che scossero la città durante il secondo conflitto mondiale. Qui i nazisti assassinarono
decine di migliaia di cittadini ebrei prima di inviare i sopravvissuti ai campi di sterminio. Di questi uno dei pochi a
sopravvivere fu Simon Wiesenthal.

21 Piotr Pozniak, art.cit., pp. 50-52.

22 Victor Coelho, The Reputation of Francesco da Milano (1497-1543) and the Ricercars in the Cavalcanti Lute Book,
in « Revue Belge de Musicologie », Vol. L, (1996), pp. 49-72; si veda anche Victor Anand Coelho, Authority,
Autonomy, and Interpretation in Seventeenth-Century Italian Lute Music, in Performance on Lute Guitar and
Vihuela. Historical Practice and Modern Interpretation, a cura di Victor Anand Coelho, Cambridge University
Press, [Cambridge 1997], pp.108-141 e Victor Anand Coelho, Papal Tastes and Musical Genres: Francesco da
Milano (1497-1543) and the Clementine Aesthetic, in The Pontificate of Clement VII: History, Politics, Culture, a
cura di Kenneth Gouwens, Sheryl E. Reiss, Ashgate Publishing, 2005, pp. 277-293.

Traduzione della citazione di Coelho, nel momento in cui parla di “autenticità come autore e reputazione postuma”: “gli
strati di interpolazione che possono essere aggiunti al singolo pezzo per liuto, come generalmente si vede nei
manoscritti, rivelano un processo che può essere paragonato al canto tropico: la base della concezione originale
rimane, assieme alla sua lontana, e forse anche apocrifa fonte originale, ma le interpolazioni rivelano anche sforzi di
modernizzazione, pedagogia, religiosa conservazione, rinascita, imitazione, una ricerca di rilevanza generazionale,
e, di conseguenza, la creazione di una reputazione”.

23 Si veda nell’elenco delle fonti [s.d.].

24 Si veda nell’elenco delle fonti [36M].

25 Si veda nell’elenco delle fonti [48C].

26 Si veda nell’elenco delle fonti [66D1]. La datazione corretta dell’edizione era già stata proposta da Richard Keith
Falkenstein, The Lute Works of Pierino degli Organi, M. A. thesis, University of New York at Buffalo, 1987,
specialmente pp. 22-28 e nel volume Perino Fiorentino, Opere per liuto, a cura di Mirco Caffagni e Franco Pavan,
Ut Orpheus Edizioni, Bologna 1996.

27 Victor Coelho, The Reputation…art. cit., p. 59, nota 23. Traduzione: “Non ho incluso in questa tavola di
concordanze le fonti inglesi della musica di Francesco [da Milano]”.

28 Idem, p. 70. Traduzione: “[...] la prima attribuzione a Francesco della Fantasia 34 si trova in Cavalcanti, un
manoscritto le cui attribuzioni a Francesco sono a dir poco sospette, e le opere stesse uno zibaldone. Nessuna
versione è identica alle altre, e tutte contengono errori che esigono correzioni da parte dell'esecutore. Chiaramente,
nessuna fonte originale di quest'opera in particolare è conosciuta”.

29 Neapoli, Mariam Scotum, 1563, p. 85.

30 Neapoli, apud Joannem Baptistam Subtilem, 1602, p. 4 e soprattutto p. 156. Sull’uso della traslitterazione numerica
dei nomi nel periodo appena precedente a quello di Francesco da Milano si veda ad esempio Jaap van Benthem,
Fortuna in focus; concerning 'conflicting' progressions in Josquin's Fortuna dun Gran Tempo, « Tijdschrift van de
vereniging voor Nederlandse Muziekgeschiedenis » 30, 1 (1980), pp. 1-50.

31 Il manoscritto Ms G I 4 è conservato a Donaueschingen, Fürstlich Fürstenbergische Hofbibliothek. Il Recercare dj


/Francesco da /Milano è posto alle carte 67v-68. Si veda Sources Manuscrites..op. cit., vol II, p. 84, n. 116.

32 Victor Coelho, The Reputation…art. cit., p. 70. Traduzione: “Il fatto che il brano sia così saldamente corrispondente
ai canoni compositivi di Francesco non dovrebbe dissuaderci dall'avere dubbi riguardo la sua autenticità. L'opera
non è mai stata pubblicata, e non compare in alcuna fonte fino al 1580, ben oltre il tempo in cui “nuovi”
componimenti di Francesco avevano cessato di comparire. Ciononostante, da circa il 1580-1620 è stato copiato in
manoscritti più frequentemente di qualsiasi altra opera di (o attribuita a) Francesco. […]”.

33 Si veda l’elenco delle fonti sotto la sigla [66D1].


34 Il volume Krakow, ex Berlino, è catalogato in Dieter Kirsch e Lenz Meierott, Berliner Lautentabulaturen in Krakau,
Schott. Mainz [1992], pp. 1-53. Per un’eccellente studio del manoscritto si legga Neapolitan Lute Music, a cura di
John Griffiths e Dinko Fabris, A-R Editions, Inc., Middleton, Winsonsin, 2004.

35 Sul manoscritto lo studio più recente è di John H. Robinson, A Description of the Medici Lute Manuscript
(MS.II.C.23) in the Dolmetsch Library, and a Summary of Modern Studies, « The Consort », vol. 62, Summer 2006,
pp. 5-19, dove si potrà trovare tutta la bibliografia relativa alla silloge. Ringrazio il Professor Robinson per le
informazioni e il materiale inviatomi relativo al suo lavoro.

36 Idem, p. 11. La provenienza medicea del codice è stata congetturata per la presenza di uno stemma appartenente alla
casata fiorentina posto nell’angolo sinistro superiore della prima carta. Si tratta di un timbro quanto meno sospetto,
poiché il ms. è acefalo. Inoltre la foggia della corona sovrapposta allo stemma ricorda un rifacimento ottocentesco
piuttosto che un originale cinquecentesco.

37 Sulle pubblicazioni del 1548 si veda Francesco da Milano, Pietro Paolo Borrono, Intavolatura di Lauto, introduzione
di Franco Pavan, Forni, Bologna 2002.

38 Biblioteca Ambrosiana di Milano, G. 309 inf. (ca. 1620) Annotazione autografa di Federico Borromeo. Devo la
segnalazione di questo passo a Robert L. Kendrick, che sentitamente ringrazio.

39 Il manoscritto è edito in fac-simile: Pietro Paolo Raimondo, Libro de Sonate Diverse, A.M.I.S., Como 1980, con una
introduzione di Oscar Tajetti. Bibliografia e incipit in Victor Coelho, The Manuscript Sources of Seventeenth-
Century Italian Lute Music, Garland, New York and London 1995, pp. 68-72 e 246-266.

40 Pubblicato in edizione moderna da Franco Rossi, Pacolini da Borgotaro... art. cit., pp. 191-95. Fac-simile della
prima pagina del liuto primo in Idem, p. 196.

41 Si veda Arthur J. Ness. The Lute Music…op. cit., n. 93 e 94, pp. 242-245. Altre due fonti della Spagna (Ness 94)
sono venute alla luce dopo l’edizione dello studioso americano: Kraków, Biblioteca Jagiellonska, Mus. Ms. 40591,
c. 61v (completa) e Roma, Biblioteca Angelica, ms. 1608, c. 31v. Si veda Victor Coelho, The Manuscript…op.cit.,
p. 338 e p. 574.

42 Howard Mayer Brown, Instrumental Music… op. cit., 1584/5, Contrapunto primo di B. M., p. 178, n. 107.

43 Sull’importanza de Il Fronimo si veda il recente lavoro Philippe Canguilhem, Fronimo de Vincenzo Galilei,
Minerve, Paris -Tours 2001.

44 Howard Mayer Brown, Instrumental Music… op. cit., 1563/7.

45 Il manoscritto è edito in edizione anastatica: Recueil de pièces de luth en tablature italienne XVIIe siècle, Editions
Culture et Civilisation, Bruxelles 1980. Studiato e catalogato da Victor Coelho, The Manuscript…op. cit., pp. 65-66
e pp. 235-237 che suggerisce un plausibile utilizzo didattico del manoscritto. Il Passagio si trova alla c. 28. Le tirate
di Francesco da Milano sono pubblicate in fac-simile da Franco Rossi, Catalogo…op. cit., pp. XLIII-XLIV.

46 Lettione seconda pur / della pratica di sonare il violone d’ar/co da tasti. Composta per Silvestro Ga-/nassi dal
Fontego […], presso l’Autore, Venezia, 1543, cap. XX. Edizione anastatica Arnaldo Forni Editore [Bologna s. d.].

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