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Oggi come ieri il vocabolario dell’essere, qualora lo si consideri nel suo senso
più erudito e più tecnico, non sembra sollevare delle vere e proprie difficoltà di
traduzione, dal momento che esso è costituito da formazioni artificiali che si la
sciano facilmente trasferire, con uguale violenza, da una lingua all’altra. Così, il
greco o ntotês [óvxóxr|c;] viene reso immediatamente con essen tita s (Mario Vitto
rino), e da esso si deduce senza difficoltà la serie e n tità , e n tity , S e ie n d h e it, e per
sino essen tità . La cosa cambia completamente, invece, qualora si consideri che
quello che noi assumiamo come vocabolario ontologico fondamentale procede in
realtà da molteplici sedimentazioni, riappropriazioni e reinterpretazioni dei ter
mini della lingua più comune. Platone non ha inventato Y o u sia [obcda] più di
quanto Seneca o Quintiliano abbiano inventato la s u b sta n tia . Alla profondità di
alcuni dei termini-chiave dell’ontologia, dovuta alla loro storia pre-filosofica -
ciò che giustifica riappropriazioni, rovesciamenti e nuove gerarchizzazioni —vie
ne ad aggiungersi uno sconfinamento di àmbiti: più precisamente, quando la tra
duzione dei Settanta o quella di Girolamo (la Vulgata) reintroducono dei termi
ni già filosoficamente pregnanti (è il caso, in particolare, di h yp o sta sis [hxóaxa -
olç] nella Scrittura, che impone progressivamente i suoi metodi esegetici propri,
o nella dogmatica conciliare). Il modello della trasposizione ve rb u m e verbo, o
quello del calco, pur apparendo di primo acchito immediatamente evidente
(hypo-stasis —su b -sta n tia ), rivelano ben presto la loro insufficienza.
Continuiamo ancora un istante con la metafora geologica: la sedimentazione
a più livelli, e che bisogna tentare di riconoscere stratigraficamente (su di un
fondo prefilosofico, si può cogliere un uso platonico, aristotelico, stoico, filonia
no, plotiniano, neoplatonico...), è essa stessa profondamente alterata da una se
rie di slittamenti del terreno o da forti tensioni geologiche, allorché si passa, per
* Q uesto studio, tratto dal «Vocabulaire européen des philosophies, D ictionnaire des intraduisibles»,
sotto la direzione di B arbara C assin, S euil/Le R obert 2004, appare qui in traduzione italian a (di F ra n ce
sco Marrone) con la cortese autorizzazione d ell’editore.
Nel suo System of Logic, John Stuart Mill metteva in guardia i lettori a proposi
to del «duplice significato» del verbo essere (l’è), che serve sia come «segno di
predicazione», sia come «segno per l’esistenza»:
«Volumi e volumi si potrebbero riem pire nelle vane speculazioni sulla natura dell’es
sere (to óv, o lia la , Ens, Entitas, Essentia, e simili) che sono sorte dall’aver trascurato
questo doppio significato della parola “essere” , dall’aver supposto che quando signi
fica esistere e quando significa “essere qualche cosa specifica” , come essere un uomo,
essere Socrate, essere visto, essere detto, essere un fantasma, e addirittura essere una non
entità, debba tuttavia, alla fin fine, corrispondere alla m edesim a idea, e che si debba
per forza trovare un significato che si adatta a tutti questi casi. La nebbia che si alzò
da questa piccola m acchia si diffuse, nell’antichità, sull’intera superficie della m eta
fisica. [...] E raram ente i Greci conoscevano altre lingue oltre alla loro. Questo ren
deva loro di gran lunga più difficile di quanto non lo sia per noi l’acquisizione di una
certa prontezza a coglierne le am biguità. Uno dei vantaggi derivanti dall’aver studia
to accuratam ente una certa quantità di lingue, specialm ente quelle lingue che em i
nenti pensatori hanno usato come veicolo dei loro pensieri, è la lezione che abbiamo
im parato circa le am biguità delle parole, quando ci siamo resi conto che in una lingua
la m edesim a parola corrisponde, in occasioni diverse, a parole diverse in un’altra lin
E ssenza, sostanza, sussistenza, esistenza 29
gua. Quando non siano così esercitate, anche le intelligenze più robuste trovano diffi
cile il credere che cose che hanno un nome in comune non abbiano, per un aspetto o
per l’altro, una natura comune; e spesso, come accade frequentem ente ai due filosofi
appena menzionati [riferimento a Platone e ad Aristotele, N.d.T.], spendono senza pro
fitto una gran fatica nei vani tentativi di scoprire in che cosa consista questa natura
com une»1.
«La parola è è straordinariam ente ambigua, e si deve avere molta cura per non con
fondere fra di loro i suoi diversi significati. Abbiamo: 1. il senso che il term ine è pos
siede quando asserisce l’essere come in «A è»; 2. il senso dell’identità; 3. il senso del
la predicazione, come in «A è umano»; 4. il senso di «A è un-uomo» [...], che è mol
to simile all’identità. Si hanno inoltre usi meno comuni, come «essere buono è essere
felice», frase con cui si vuole significare una relazione fra asserzioni (e precisam ente
quella relazione che produce, quando esiste, una im plicazione formale)»2.
«Non intendo qui dar battaglia alla tesi generale del relativismo linguistico, e soprat
tutto non voglio negare il fatto che l’unione in un unico verbo della funzione predica
tiva, di quella locativa, di quella esistenziale e di quella veritativa sia una particola
rità sorprendente <delle lingue> indo-europee. [...] Al contrario, vorrei suggerire che
l’assenza di un verbo specifico per esprim ere “esistere” e l’espressione dell’esistenza
e della verità (e anche della realtà) con un verbo la cui funzione originaria era predi
cativa, avrebbe senza dubbio fornito un punto di partenza eccezionalm ente favorevo
le e fecondo per la riflessione filosofica sul concetto di verità e sulla natura della real
tà, intesa come oggetto di conoscenza»3.
1 J. STUART M ill, A system o f logic ratiocinative a n d inductive: being a connected view o f the principles
o f evidence a n d the methods o f scientific invenstigation, R outledge, London 1892; trad. it. di M. T rinche
rò, Sistem a d i Logica deduttiva e induttiva, 2 voll., U tet, Torino 1988, vol. I, 145-146 [corsivi nostri].
2 B. R USSELL, Principles o f M athem atics, Cam bridge UP, London 1903, 64 n.; trad. it. di L. Geym onat,
I P rincipi della M atem atica, L onganesi, M ilano 1963, 117 n .7 (trad. mod.).
3 C.H. K ahn, Retrospect on the Verb ‘To B e ’ a n d the Concept o f B eing, in S. K nuuttila / J. H lNTIKKA
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Un’altra «ambiguità» è quella che viene messa a fuoco da Jacques Maritain, nel
le sue Sept leçons sur l’être:
« . l ’essere presenta due aspetti: l’aspetto essenza, che risponde innanzitutto alla p ri
ma operazione dello spirito (la formazione dei concetti è ordinata innanzitutto a co
gliere, sia pure in molti casi ciecam ente, le essenze, che sono attitudini positive ad
esistere); e l’aspetto esistenza, l’esse propriam ente detto, che è il term ine perfettivo del
le cose, il loro atto, la loro “energia” per eccellenza, la suprem a attualità di tutto ciò
che è»5.
(eds.), The Logic o f Being. Historical studies, D. R eid el P ublishing Company, D ordrecht-B oston-L anca
ster-Tokyo 1986, 4.
4 J. H intikka, The varieties o f being in Aristotle, in K nuuttila / H intikka (eds.), The Logic o f B eing
cit., 82.
5 J. MARITAIN, Sept leçons sur l ’être et les premiers principes de la raison spéculative, P ierre T équi, P a
ris 1934, 25-26; trad. it. di M. B racchi, M. Inzerillo, L. F rattini, Sette lezioni su ll’Essere e sui p rim i prin-
cipî della ragione speculativa, E ditrice M assim o, M ilano 1981, 48.
E ssenza, sostanza, sussistenza, esistenza 31
«Sia che si dica è, o esiste, o vi è, il senso rim ane invariato. Tutte queste formule si
gnificano l’azione prim a che un soggetto possa esercitare. E prim a essa lo è, infatti,
giacché senza di lei non vi sarebbe alcun oggetto»6.
Si tratta di un fatto linguistico da cui viene tratta con abilità una grammatica lo
gica e metafisica: il verbo è non è una copula, ma significa «l’atto primo in vir
tù del quale un essere esiste, e la funzione principale dei verbi è allora quella
di significare, non già degli attributi, ma delle azioni»7. A partire da questa tesi
Gilson ritrova la canonica definizione di Prisciano:
«Verbum est pars orationis cum tem poribus et modis, sine casu, agendi vel patienti si
gnificativum [Il verbo è quella parte del discorso che significa, con i tempi e i modi,
ma senza i casi della declinazione, l’agire o il patire]»8.
6 É. G ilson, L’Être et l ’Essence, 2 e éd. revue e t augm enté, Vrin, P aris 1962, 279; trad. it., qui talvolta
m odificata, di L. F rattini e M. Roncoroni, L ’Essere e l ’Essenza, E ditrice M assim o, M ilano 1988, 267.
7 Gilson fa qui riferim ento a F. B runot, La Pensée et la langue. Méthodes, principes et p la n d ’une théo
rie nouvelle d u la ngage appliquée au fra n ç a is, M asson, P aris 1926.
8 P riscianus Caesariensis, Institutionum gram m aticarum libri X V III, 2 t., ed. M. H erz, Teubner, L eip
zig 1855-1859 (rist. an. G. Olms, H ildesheim 1961), VIII, 1, 1 (t. 1, 369).
9 G ilson, L ’Ê tre et l ’Essence, cit., 27 9 [trad. it., 267].
10 M aritain, Sept leçons sur l ’être cit., 26 [trad. it., 49]. Cfr. anche ivi, 105 [trad. it., 123 ]: « .. .esiste
re vuol dire tenersi ed essere tenuto fuori d al nulla, l’esse è un atto, u n a perfezione, la perfezione suprem a,
un fiore lum inoso in cui si afferm ano le cose».
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che di più intimo e di più profondo vi è in tutte le cose, dal momento che esso è
l’elemento formale rispetto a tutte le cose che sono realmente]»11.
Quello che, peraltro, Gilson e Maritain non riuscivano assolutamente a ve
dere era che questa interpretazione «esistenzialista» dell’essere, che essi ac
creditavano generosamente al tomismo, rimandava ad una lunga storia, intessu
ta di traduzioni, di trasposizioni, di rovesciamenti, e nella quale aveva giocato
un ruolo decisivo il neoplatonismo.
Nel XII secolo, nella canonica distinzione presente nel De Trinitate (1148) di
Riccardo di San Vittore, si riscontra l’eco, amplificata e trasposta sul piano me
tafisico e teologico, di questa prima accezione concreta del verbo latino exsisto:
derationem unam; sim iliter per adjunctam praepositionem ex notari potest quod per
tinet ad aliam. P er id quod dicitur aliquid sistere, primum rem oventur ea quae non tam
habent in se esse quam alicui inesse, non tam sistere, ut sic dicam, quam insistere,
hoc est alicui subjecto inhaerere. Quod autem sistere dicitur, ad utrum que se habere
videtur et ad id quod aliquo modo et ad id quod nullo modo habet subsistere; tam ad
id videlicet quod oportet quam ad id quod omnino non oportet subjectum esse. Unum
enim est creatae, alterum increatae naturae. Nam quod increatum est sic consistit in
seipso ut nihil ei insit velut in subjecto. Quod igitur dicitur sistere tam se habet ad ra
tionem creatae quam increatae essentiae. Quod autem dicitur exsistere, subintelligi-
tur non solum quod habeat esse, sed etiam aliunde, hoc est ex aliquo habet esse. Hoc
enim intelligi datur in verbo composito ex adjuncta sibi praepositione. Quid est enim
exsistere nisi ex aliquo sistere, hoc est substantialiter ex aliquo esse. In uno itaque hoc
verbo exsistere, vel sub uno nomine exsistentiae, datur subintelligi posse et illam con
siderationem, quae pertinet ad rei qualitatem et illam quae pertinent ad rei origi
nem »14.
b. «Existentia», «existentialitas»
14 R icardus de Sancto V ictore, De Trinitate, lib. 4, c. X II, PL 196, 937C , 937D , 938A ; trad. it di M.
Spinelli, La Trinità, C ittà N uova E ditrice, R om a 1990, 163-164: «Ora, con il term ine esistenza noi pos
siam o in ten d ere entram be le considerazioni: tanto, cioè, qu ella che riguarda la n atu ra d ell’essenza, q u an
to q u ella che si riferisce alla n atu ra d ell’ottenim ento; sia, voglio dire, q u ella che in ogni essere ricerca
che cosa esso è, sia qu ella con cui si cerca di sapere d a dove trae l ’essere. L a parola “esistenza” deriva
dal verbo [latino] exsistere. Si può osservare nel term ine sistere ciò che h a rapporto con la prim a conside
razione; parim enti, n ella posizione ex si può notare ciò che riguarda la seconda. Q uando si dice che q u al
cosa esiste (nel senso di sistere), subito si tolgono di mezzo quelle realtà che non hanno l’essere in se ste s
so, m a piuttosto in q u alcu n [altro], che non tanto esistono —per d ir così —quanto insistono, cioè ad eri
scono ad un q ualche soggetto. Il term ine sistere, però, sem bra adatto a tutt’e due, sia a ciò che sussiste in
qualch e modo sia a ciò che non può assolutam ente sussistere, tanto a ciò che è necessariam ente subordi
nato quanto a ciò che non può esserlo in nessu n modo. In effetti, la prim a condizione è p ropria d ella n a
tu ra creata, la seconda di qu ella increata, dal m om ento che ciò che è increato sussiste in se stesso in m o
do tale che nien te si trova in esso com e in un soggetto. P er questo la parola sistere si può riferire tanto a l
la n atu ra creata quanto a qu ella increata. Il term ine exsistere, d al canto suo, esprim e non solam ente il pos
sesso d ell’essere; m a anche la su a provenienza d all’esterno, cioè il fatto che si possiede l’essere grazie a
q u alcu n [altro]. Ciò, infatti, è reso evidente, nel verbo com posto, dalla preposizione ad esso aggiunta. Che
cosa significa exsistere, infatti, se non sistere “d a ” [ex] qualcuno, cioè aver ricevuto il proprio essere so
stanziale d a qualcuno? Di conseguenza, con q u est’unico verbo esistere —o con la sola parola esistenza —si
può in ten d ere sia ciò che riguarda la n atu ra d ell’oggetto sia ciò che si riferisce alla su a origine».
34 Jean -F ran ço is Courtine
«Multo magis autem differt existentia a substantia, quoniam existentia ipsum esse est,
et solum est, et non in alio non esse, sed ipsum unum et solum esse; substantia vero
non solum habet esse, sed et quale et aliquid esse»15.
«Infatti chi conosce che cos’è l’uomo o qualunque altra cosa, necessariamente sa che
è (in effetti ciò che non è, nessuno sa ciò che è, ma sa tutt’al più che cosa significa il
discorso o il nome, <come> quando io pronunci “capricervo"; però è impossibile sa
15 M arius V ictorinus, C andidi E pistola a d Victorinum, I, 2, 18-22, in Traités théologiques sur la tri
nité, ed. P. Henry, introduction, traduction française e t notes par P. H adot, Cerf, «Sources chrétiennes»,
n° 68-69, 1960, 109: «Tra l’esistenza e la sostanza vi è u n a differenza molto p iù grande, poiché l’esisten
za è l ’essere stesso il solo <essere>; non è non-essere in altro, m a è lo stesso ed unico essere; la sostan
za, invece, non soltanto possiede l ’essere, m a è anche qualche cosa di qualificato».
16 S. M ANSION, Le rôle de la connaissance de Texistence dans la science aristotélicienne, in É tudes a ri
stotéliciennes. Recueil d'articles, éd. par J. F OLLON, É ditions de l ’In stitu t su p é rieu r de philosophie, Lou-
vain-la-N euve 1984, 183-203.
E ssenza, sostanza, sussistenza, esistenza 35
pere che cos’è). [...] m a che cos’è l’uomo e il fatto che l’uomo esiste sono due cose d i
verse»1718920.
d. «Hyparxis» —«ous^a»
Sembra che il primo ad aver utilizzato il sostantivo hyparxis, attestato nella ver
sione dei Settanta, sia stato Filone di Alessandria (ca. 20 a.C. - 41 d.C.): nel De
opificio mundi, dopo aver notato (§ 170-171) che Mosé, con la sua narrazione
della creazione, ci ha insegnato «che il divino è ed esiste [hoti esti to theion kai
hyparxei (oxi ecm to 0eiov kocl xmdpljei)]», Filone precisa l’importanza di que
sto insegnamento tramandato «rispetto agli atei, alcuni dei quali hanno dubita
to ed esitato circa la sua esistenza...[ -
3ta[X(|)ox8pLoavx8Ç Jtep'i xfjç xmdpljeroc; axrnyO.. ,]»18.
Come sottolinea molto giustamente John Glucker19, l’invenzione di Filone
presuppone una marcata distinzione tra l,ous^a, l’essenza di qualcosa, ciò che
essa è - o meglio, «cosa è essere x» - e Yhyparxis. Quando si tratta di Dio o del
divino, è chiaro che la sua «essenza» è inaccessibile all’uomo (akatalêptos anth-
rôpôi [dKaxdk^xxoc; dvBprójtq)]): nella migliore delle ipotesi questi non può che
riconoscere la potenza o i «poteri» (dynameis [ôwdpeic;]) che ne rivelano la
provvidenza e l’“esistenza” (hyparxis).
Lasciando da parte, in questa sede, le serrate discussioni a proposito del
l’interpretazione dei termini hyparxis-hyparchein [ùrcdpxeiv], o meglio, a propo
sito dell’opposizione tra i due modi d’essere definiti rispettivamente dall’hypar-
chein et dall’hyphestêkenai (b^eaxr|K8vai)20, ci soffermeremo soltanto sulla di
stinzione stabilita dal neoplatonismo, poiché, in ogni caso, si tratta della distin
zione che motiva le principali decisioni di traduzione che qui ci interessano:
l’opposizione tra Yhyparxis, l’esistenza, associata all’essere puro e semplice (to
einai monon [ ]), da un lato, e Yous^a-suhstantia-to on [xò ov], dal
l’altro.
17 A RISTOTELES, A n. Post., II, 7, 92b 4-11; trad. it. di M. Z anatta, in Organon, 2 voll., U tet, Torino 1996,
vol. II, 84.
18 P hilo A lexandrinus, Opera quae supersunt, 6 voll., B erlino 1896-1915 (rist. 1962), vol. I, 59, 18
19; trad. it. di G. Calvetti, in F ilone DI A lessandria, La Creazione del Mondo. Le allegorie delle Leggi, a
cu ra di G. R eale, R usconi, M ilano 1978, § 170, 146.
19 J. G lucker, The O rigin o f vjictpxco a n d v jta p ^ tç as Philosophical Terms, in F. R omano / D.P. Taor
mina (a cu ra di), Hyparxis e Hypostasis nel neoplatonismo, Leo S. O lschki, Firenze 1994, 1-23.
20 Cfr. P. H adot, Z u r Vorgeschichte des Begriffs «Existenz», Y llA P X E IN h e i den Stoikern, «Archiv für
B egriffsgeschichte», 13, 1969, 115-127.
36 Jean -F ran ço is Courtine
«Exsistentia ipsum esse est et solum esse, et non in alio esse aut subjectum alterius,
sed unum et solum ipsum esse, substantia autem non esse solum habet, sed et quale
aliquid esse. Subjacet enim in se positis qualitatibus et idcirco dicitur subjectum »24.
f. La «nuda entità»
È interessante notare che quando, alcuni secoli più tardi, qualcuno introdurrà
per la prima volta - a quanto pare - nella lingua francese la parola existence nel
la sua accezione «tecnica», rinvierà anch’egli, se non all’«esse solum» (to einai
monon), almeno alla «nuda entità»:
«Il est donc certain qu’il y a notable différence entre l’existence et l’essence des cho
21 Vedi Marius V ictorinus, Adversum A rium , I, 30, 21-26, e C andidi E pistola a d Victorinum, I, 2, 19
24.
22 P. H adot, Porphyre et Victorinus, 2 vol., É tudes A ugustiniennes, P aris 1968, 269; trad. it. di G.
G irgenti, Porfirio e Vittorino, V ita e P ensiero, M ilano 1993, 235-236.
23 M arius V ictorinus, Adversus A rium , I, 30, 21-25, in H adot, Porfirio e Vittorino, cit., 236, n. 155:
«I filosofi definiscono l ’esistenza e l’esistenzialità com e il fondam ento iniziale preesistente a lla cosa ste s
sa, senza i suoi accidenti, di m odo che in prim a istanza non esistano, puram ente e solam ente, se non le
sole realtà che costituiscono il suo essere puro, senza addizione, finché sono chiam ate poi a sussistere;
essi definiscono la sostanza come il soggetto preso con tutti gli accidenti che sono inseparabilm ente in e
renti a lla sostanza» (trad.m odificata).
24 Marius V ictorinus, C andidi epistola a d Victorinum, I, 2, 19-22, in H adot, Porfirio e Vittorino, cit.,
2 36 n. 155 (ma anche 452, testo 23a): «l’esistenza è lo stesso essere e il solo essere, e non l ’essere in a l
tro o il soggetto di un altro, m a l’essere in sé uno e solo, m entre la sostanza non ha soltanto l ’essere solo,
m a an ch e l ’essere qualificato. Infatti soggiace alle qu alità poste in se ste ssa e pertanto è d etta soggetto»
(H adot, Porfirio e Vittorino, cit., 453).
E ssenza, sostanza, sussistenza, esistenza 37
ses. Mais pour le mieux entendre il faut observer qu’en notre langue française nous
n’avons point de term e qui réponde énergiquem ent au latin existentia, qui signifie la
nue entité, le sim ple et nu être des choses sans considérer aucun ordre ou rang qu’el
les tiennent entre les autres. Mais le mot essentia, que nous pouvons bien dire essen
ce, m arque la nature de la chose, et par ainsi quel ordre ou rang elle doit tenir entre
les autres choses. Par exemple, quand je dis que l’homme est, c’est autant à dire, qu’il
a son acte, qu’il est dis-je actuellem ent: et en cela je ne m arque rien que sa nue enti
té et simple existence. Mais quand je dis que l’homme est un anim al raisonnable, je
déploie et m anifeste toute son essence et nature, et lui attribuant son genre et sa dif
férence il est aisé à voir qu’il est en l’ordre de la catégorie de substance sous le genre
d’anim al»25.
f| uitap|iç, oie òqUil xò ovoli//., xf)v Jtpcóxqv ùp'/qv òq// il xfjç ùitoaxâaEcoç ÈKcîaxqç,
oïov xiva 0epÉXiov q olov ’Éôa(|)oç itpoüitoxi0ÉpEvov xqç oXqç %cù itâaqç oucoôopq-
a ecoç
«l’hyparxis, come indica il suo nome, designa il principio primo di ciascuna ipostasi:
è comme une base o come un fondamento anteriorm ente posto sotto la totalità della so
vrastruttura e sotto ogni sovrastruttura»26.
Come nota lucidamente Pierre Hadot, più che di hyparxis, «esistenza», qui si
25 S. D upleix [1569-1661], La M étaphysique ou science surnaturelle, P aris 1610; rist. d e ll’ed. 1640, a
cu ra di R. Ariew, «Corpus des œ uvres de philosophie en langue française», Fayard, P aris 1992, 127-128:
«È d u n q u e certo che tra l ’esistenza e l ’essenza delle cose c’è u n a notevole differenza. M a per inten d erla
meglio bisogna osservare che nella nostra lingua francese non abbiam o alcun term ine che corrisponda in
m an iera del tutto p ertinente al latino existentia, che significa la n u d a entità, il sem plice e nudo essere d el
le cose, senza considerare m inim am ente l ’ordine o la posizione che occupano fra le altre. Ma il term ine
essentia, che possiam o dire essenza, in d ica la n atu ra della cosa e, in tal modo, l ’ordine e la posizione che
essa ricopre tra le altre. P e r esem pio, quando dico che l’uomo è, ciò equivale a dire che egli è in posses
so del proprio atto, che è —dico —attualm ente: in ciò non segnalo altro se non la su a n u d a entità e la su a
sem plice esistenza. Q uando, invece, dico che l ’uomo è u n anim ale razionale, esplicito e m anifesto in te
ram ente la su a essenza e la su a natura; e, attribuendogli il suo genere e la su a differenza, è facile vedere
che è n ell’ordine d e lla categoria d ella sostanza sotto il genere di anim ale».
26 D amascius, D ubitationes et solutiones de prim is principiis in P arm enidem , 2 voll., éd. C.-E. R u e l
le, Im prim erie n ationale, 1889 (réimpr. B ruxelles 1964, A m sterdam , 1966), § 121, t. 1, p. 312, 15 =
Traité des premiers principes, 3 voll., ed. L.G. W esterink, traduction française par J. Com bès, Les Belles
L ettres, P aris 1986-1991, t. 3, 152, 19-22 (trad. mod.).
38 Jean -F ran ço is Courtine
ov yàp xò eÏ vcu ì] ut] eÏ vcu ut] ueIÓv fe ra xof) xpce'uc/.xoc, ovÒ’èàv xò ôv eijtijç <|>L/.óv
cdixò pèv yàp otjòÉv éaxiv, itpoaar|palvE i cróv0Ecnv x iv a ...2789301
«Infatti, l’essere o il non essere non è segno della cosa, neppure se si dica essente sen
za aggiungere altro. Infatti, per se stesso non è nulla, m a significa in più una certa con
giunzione»33.
oi’òl yàp o r]u rlò Êcra xoiï Jtpctypaxoç xà prpraxa xoi) f ’xóp'/ELV, i] uf] cxc/.p/cru
«infatti, i verbi “essere/esistere” , “non-essere/non-esistere” non sono segno di alcuna
cosa»34.
Per questa ragione P. Hadot può ancora osservare sinteticamente: «Non c’è quin
di distinzione nell’ontologia porfiriana tra l’esistenza e l’essenza. L’essere è in
dissolubilmente agire e idea. L’opposizione fondamentale è qui quella che si in
staura tra l’essere, agire senza soggetto, e l’ente, che è il primo soggetto, la pri
ma forma che risulta dall’essere»35.
Se si accetta —come facciamo noi qui —l’attribuzione a Porfirio del «fram
mento di Torino», pubblicato per la prima volta da Kroll nel 1892 e considera
to da P. Hadot come un commento al Parmenide36, allora sarà opportuno sottoli
neare l’effettiva audacia del suo autore, il quale, assumendo una posizione de
cisamente non plotiniana, identifica l’Uno puramente Uno con l’essere. Si trat
ta di una identificazione senza alcun dubbio inammissibile per Plotino (204
270), ma che implica anche una profonda ridefinizione dell’essere (to einai [xò
eivoa] = to energein [xò évepyeiv]), considerato in un senso attivo e distinto rigo
rosamente dall’ente. Ricordiamo il passaggio-chiave di questo frammento:
33 A RISTOTELES, De Int., 16b 22-24 (trad. it., Organon, vol. I, 225). Cfr. anche A RISTOTELES, An. Post.
II, 7, 92b 13-14 (trad. it. m odificata, in Organon, cit., vol. II, 84): « [Ma
l’essere non è la p roprietà (l’essenza) per n essu n a cosa]».
34 M ichael P sellus, Paraphrasis, fol. M. iiv, z 13f, citato in A RISTOTELES, Peri Hermeneias, übersetz
u nd erlau tert von H. 84.
35 H adot, Porfirio e Vittorino, cit., 432.
36 P. H adot, F ragm ents d ’un commentaire de Porphyre sur le P arm énide, in P lotin, Porphyre. Études
néoplatoniciennes, Les B elles L ettres, «L’âne d ’or», P aris 1999, 281 sgg.
40 Jean -F ran ço is Courtine
«Guarda ora se Platone non sem bra lasciar intendere un insegnam ento nascosto, e cioè
che l’Uno, che è al-di-là della sostanza e dell’Ente, non sia né Ente, né sostanza, né
atto, ma piuttosto agisca e sia lui stesso l’agire puro; di conseguenza lui stesso sareb
be l’E ssere che è prim a dell’Ente. È partecipando di questo Essere, dunque, che il se
condo Uno riceve da questo E ssere un essere derivato, e questo è il “partecipare del
l’E nte” . In questo modo l’essere è duplice: il primo preesiste all’Ente, il secondo è
quello che è prodotto dall’Uno che è al-di-là dell’E nte e che è in assoluto esso stesso
l’E ssere ed è in qualche modo l’idea dell’Ente. Partecipando di questo Essere è stato
generato un altro Uno, e ad esso è abbinato l’essere [secondo] prodotto da questo E s
sere [primo]. Come se tu pensassi “essere bianco” »37.
«[...] quaelibet res est ens per essentiam suam; tam en quia essentia rei creatae non
dicit actum completum sed est in potentia ad esse, ideo non sufficit essentia ad hoc
quod res actu existat nisi ei superaddatur aliquod esse quod est essentiae actus et com
plementum. Existunt ergo res per esse superadditum essentiae vel naturae. P atet ita
que quomodo differat ens per se acceptum et existens»40.
37 In H adot, Porfirio e Vittorino, cit., t. 2, 104, 22 - 106, 35; trad. it. di G. Girgenti (qui m odificata)
in P ORFIRIO, Comm entario al «Parm enide» di P latone, a cu ra di P. H adot, P resentazione di G. R eale, Vi
ta e P ensiero, M ilano 1993, 90-91.
38 A NSELMUS CANTUARIENSIS, Proslogion, in Opera O m nia, 6 voll., ed. F.S. Schm itt, S eckau 1938 (vol.
I) e R om a - E dim burgh 1946-1961 (vol. II-VI), vol. I, p. 102, 2-3; trad. it di I. Sciuto, M onologio e Pros-
logio, Bom piani, «Testi a fronte», M ilano 2002, 319: «D unque ciò di cui non si può p ensare il maggiore
esiste, senza dubbio, sia n ell’intelletto sia n ella realtà».
39 Cfr., a questo proposito, il «dossier» m esso a punto d a A lain de L ibera e Cyrille M ichon, in T ho
mas d’A quin / D ietrichDE F reiberg, L Ê tre et lEssence. Le vocabulaire m édiéval de Vontologie, traduction
française et com m entaire p a r A. de L ibera e t C. M ichon, Seuil, P aris 1996, 207-244.
40 A egidius R omanus, Theoremata de esse et essentia, ed. E. H ocedez, X III, 83: « .q u a l u n q u e cosa è
ente in virtù d ella su a essenza; tuttavia, poiché l ’essenza d ella cosa creata non esprim e un atto com pleto,
E ssenza, sostanza, sussistenza, esistenza 41
Ciò che esiste dunque, come aveva indicato Riccardo di san Vittore, esiste (ex
sistit) in rapporto ad un’origine (origo), a un ex...; ciò che esiste - come diran
no, quasi facendo a gara, Tommaso de Vio, il Gaetano (1469-1534) e Suarez
(1548-1617) - esiste «extra suas causas et extra nihilum»41, per cui «id quod
realiter existit extra causas suas est ens reale»42. Anche per questa ragione si
può dire, con Leibniz, che forgia il termine, che Dio è «existentificans» e che le
essenze implicano un existiturire, un’esistenza che deve ancora accadere ed es
sere ratificata. Il possibile porta in se stesso il proprio essere futuro:
«Est ergo causa cur E xistentia praevalet N on-Existentiae, seu Ens necessarium est
EXISTENTIFICANS. —Sed quae causa facit ut aliquid existat, seu ut possibilitas exigat exi-
stentiam, facit etiam ut omne possibile habeat conatum ad Existentiam , cum ratio re
strictionis ad certa possibilia in universali reperiri non possit. —Itaque dici potest Om
ne possibile EXISTITURIRE, prout scilicet fundatur in E nte necessario actu existente, si
ne quo nulla est via qua possibile perveniret ad actum ».43
a. «Ous^a»-«essentia»: un calco?
bensì u n a potenza <rispetto> a ll’essere, l’essenza non è sufficiente a far sì che la cosa esista attualm en
te, se non le viene aggiunto un certo essere, che è l ’atto e il com plem ento d ell’essenza. Le cose, quindi,
esistono in virtù di un essere che si aggiunge all’essenza o a lla natura. Così, è m anifesto in che modo dif
feriscano l ’ente, considerato in se stesso, e l ’esistenza».
41 T homas DE V io [Caietanus], In De ente et essentia D. Thom ae A quinatis Com m entaria, ed. M.H.
L aurent, M arietti, Torino 1934, IV, 59, 92: « . a l di fuori delle sue cause e del nulla».
42 F. S uàREZ, Disputationes m etaphysicae, in Opera om nia, t. 25-26, ed. C. Berton, Vivès, P aris 1866
(repr., Olms, H ild esheim 1965), X X X I.6.21-22 (t. 26, 249): «ciò che esiste realm ente al di fuori delle sue
cause è un ente reale».
43 G.W. L EIBNIZ, Die Philosophischen Schriften, hrsg. v. C.I. G erhardt, B erlin 1875-1890 (repr. Olms,
H ild esh eim 1971), Bd. VII, 2 8 9 (Philosophische A bhandlungen, § VIII): «V’è d unque u n a cau sa per cui
l’E sisten za prevale su lla non-E sistenza, ovvero: l ’E nte necessario è esistentificante. —M a q u ella cau sa che
fa sì che qu alco sa esista o che la possibilità esiga l ’esistenza, fa sì che ogni possibile ab b ia u n a tensione
all’E sistenza, poiché, in generale, non è possibile trovare u n a ragione p e r lim itarla a certi possibili. —Si
può dire, pertanto, che Ogni possibile è un esistente fu tu ro , in quanto si fonda n ell’E nte necessario esi
stente in atto, senza il quale non vi sarebbe alcun mezzo che faccia pervenire il possibile a ll’attualità»
(trad. it. m odifificata in G.W. L eibniz, Scritti filosofici, a cu ra di D.O. B ianca, 2 voll., U tet, Torino 1967,
vol. 1, 228).
42 Jean -F ran ço is Courtine
cato comune, il «bene», la «proprietà», il «fondo» (come nel caso del tedesco
Anwesen) e, in senso filosofico, l’«essenza» di qualcosa, vale a dire «ciò che la
cosa è» e «la-cosa-che-è»: nel Fedone (78c-d), per esempio, \,ous^a è ciò di cui
si dà un logos, ciò di cui si deve render conto in quanto tale, ma anche l’ente (to
on), e persino l’insieme degli esseri (pasês ous^as [xdo^ç obolaç], Repubblica
486a) e ciò che è la cosa stessa (auto hekaston ho esti [aùxò eKaaxov o ecm]),
tutto ciò che è, in se stesso, al di là dei suoi molteplici aspetti e delle sue mani
festazioni e al di là delle diverse affezioni (pathê [xd0r|]) che possono sopravve
nire come dall’esterno.
«Quos equidem non fraudaverim debita laude quod copiam Romani sermonis augere
tem ptarint. Sed non omina nos ducentes ex Graeco secuntur, sicut ne illos quidem quo
tiens utique suis verbis signare nostra voluerunt. [3] Et haec interpretatio non minus
dura est quam illa Plauti essentia et queentia, sed ne propria quidem »48.
«Ac primum Aristoteles elem enta decem constituit, circa quae versari videatur omnis
quaestio: o v o ia v quam Plautus essentiam vocat»49.
48 Marcus Fabius Q uintilianus, Institutiones Oratoriae, 2 voll., ed. M. W interbottom , Oxford 1970
(d’ora in avanti Institutiones Oratoriae), II, 14, 1-2 (vol. I, 104, 7-13): «Ad essi non m ancherò di porgere
la dovuta lode p er aver tentato di arricchire il vocabolario latino: m a quando deriviam o dal greco, non
sem pre riusciam o a trovare le parola adatte, così com e avviene anche per i Greci ogni volta che cercano
di dare la loro im pronta lin g u istica a nostre parole. [2] Ora codesta traduzione non solo non è m eno dura
di q u ella che Plauto fece coniando essentia e queentia, m a è anche im propria» (trad. it. di R. F aran d a e
P. P ecch iu ra, l'Istituzione Oratoria, 2 voll., U tet, Torino 1979, vol. I, 281). —A proposito di q u est’ultim o
term ine, queentia, sufficientem ente oscuro, osserviam o che probabilm ente si è seguita la correzione ri
p ortata d a u n m anoscritto: atque entia.
49 Quintilianus, Institutiones Oratoriae, III, 6, 23 (vol. I, 146, 16-18); UIstituzione Oratoria, vol. I,
367: «Fu A ristotele a fissare p e r la prim a volta dieci elem enti, sui quali sem bra vertere ogni questione:
la ousia, che Plauto rende con essen tia ...».
44 Jean -F ran ço is Courtine
1. Tradurre l’«oùata»
«O ûolaç, quas essentias dicimus, duas esse ait, per quas cuncta gignantur m undus
que ipse; quarum una cogitatione sola concipitur, altera sensibus subici potest. Sed il
la, quae m entis oculis conprehenditur, sem per et eodem modo et sui par ac sim ilis in
venitur, ut quae vere sit; at enim altera opinione sensibili et irrationabili aestim anda
est, quam nasci et interire ait. Et sicut superior vere esse memoratur, hanc non esse
vere possum us dicere»5051.
L’opposizione centrale, qui, è quella tra un vere esse e un non esse vere: solo l’«es-
senza» intelligibile merita quindi pienamente il titolo di essentia in virtù della
sua identità e della sua permanenza: «semper et eodem modo et sui par ac si
milis invenitur, ut quae vere sit (come ciò che è in senso proprio)».
In un contesto siffatto la traduzione di ousia con essentia s’imponeva imme
diatamente e quasi necessariamente. Tradurlo con substantia, infatti, avrebbe
obbligato a dire che, propriamente parlando, ossia secondo verità, ciò che può
cadere sotto i sensi a titolo di soggetto (sensibus subjici potest) non è una sostan
za - ciò che contrasterebbe evidentemente con lo spirito stesso della lingua.
50 P lato, P haedo, 7 9 a 6.
51 A PULEIUS, De P latone et ejus dogm ate, V, 192-193, in Opuscules philosophiques et fra g m en ts, é d i
tion, traduction française e t com m entaire par J. B eaujeu, Les B elles L ettres, P aris 1973, 65; «Platone
sostiene che vi sono due , che noi diciam o essenze, m ediante le quali tutte le cose e il m ondo ste s
so sono generati. Di esse, u n a è co ncepita col solo pensiero e l’a ltra può cadere n el dom inio della se n si
bilità. M a q u ella che è com presa con l ’occhio d ella m ente resta sem pre e allo stesso modo uguale a se
stessa, com e ciò che è veram ente; l ’altra, invece, di cui dice che nasce e perisce, deve essere valutata d a l
l’opinione sen sib ile e irrazionale. E così com e ricorda che la prim a è veram ente, allo stesso modo pos
siam o afferm are che q uesta <seconda> non è veram ente».
E ssenza, sostanza, sussistenza, esistenza 45
Apuleio, tuttavia, non esita a fare ricorso al lessico della sostanzialità nel mo
mento stesso in cui cerca di esplicitare precisamente l’«essenzialità» di quel
l’essenza intelligibile che è veramente. Lo spostamento gioca innanzitutto a fa
vore dell’esame del secondo tipo di ousia. Quando Apuleio affronta la questio
ne di questa «essenza» che non è veramente - la realtà che può cadere sotto i
sensi -, il termine substantia viene in effetti a completare l’essentia, per poi so
stituirsi ad esso:
«Et primae quidem substantiae vel essentiae primum deum esse et mentem formas
que rerum et animam; secundae substantiae, omnia quae inform antur quaeque gi
gnuntur et quae ab substantiae superioris exemplo originem ducunt, quae mutari et
converti possunt, labentia et ad instar fluminum profuga»52.
Alcuni paragrafi prima, Apuleio aveva esposto l’insegnamento del Timeo a pro
posito della materia: essa è ciò che precede i principi primi e gli elementi più
semplici (acqua, fuoco, ecc.) a titolo di materia prima:
La materia precede ogni altra cosa nella misura in cui è capace ultimamente di
ricevere delle figure. Essa non è quasi niente, neppure un corpo, ma non per
questo è incorporea: «sine corpore vero esse potest non potest dicere, quod ni
hil incorporale corpus exhibeat»54. Lo statuto della materia è pertanto essen
zialmente ambiguo, poiché, non possedendo l’evidenza rilevante del corpo e non
cadendo sotto i sensi, non viene a far parte neppure delle cose che sono colte so
lo dal pensiero (ea cogitationibus videri), e cioè di quelle cose che non sono do
tate della sussistenza, della solidità o della stabilità che sono proprie dei corpi
(quae substantiam non habent corporum). Qui il legame substantia-corpus è ca
pitale.
52 A puleius, De P latone et ejus dogm ate, V, 193, in Opuscules philosophiques cit., 65: «D ella prim a so
stanza o essen za sono dio, la m ente, le forme delle cose e l ’anim a; d alla seconda sostanza sono tutte le co
se che sono inform ate, che nascono e traggono origine d a l m odello d e lla sostanza superiore, tutto le cose
che possono m utare e trasform arsi, scivolando e fuggendo quasi com e un fium e che scorre».
53 A PULEIUS, De P latone et ejus dogm ate, V, 191, in Opuscules philosophiques cit., 64: «Egli ricorda
che la m ateria, invece, non può né essere creata né essere corrotta, che essa non è fuoco o acqua, e che
non coincide con nessuno dei principi e degli elem enti assoluti, m a che fra tutti è la prim a, capace di ri
cevere delle figure e passibile di essere plasm ata».
54 A PULEIUS, De P latone et ejus dogm ate, V, 192, in Opuscules philosophiques cit., 64: «<Platone> non
intende nean ch e dire che essa può essere senza corpo, poiché n u lla di ciò che è incorporeo m ostra un cor
po».
46 Jean -F ran ço is Courtine
«Esse ea dico quae cerni tangive possunt, ut fundum, aedes, parietem, stillicidium ,
mancipium, pecudem , suppellectilem , penus et c e t e r a . Non esse rursus ea dico quae
tangi dem onstrarive non possunt, cerni tam en animo atque intelligi possunt, ut si usus
capionem, si tutelam , si gentem, si agnationem definias, quarum rerum nullum subest
corpus, est tam en quaedam conformatio insignita et im pressa intelligentia, quam no
tionem voco»56.
55 A puleius, De philosophia liber, ed. P. Thom as, T eubner, Leipzig 1908: 3, 267.
56 M arcus T ullius C icero, Rhetorica, ed. A.S. W ilkins, «Oxford C lassical Textes», C larendon P ress,
Oxford 1903, 1957; vol. II, 5,27; trad. it. G. Galeazzo T issoni, Q ual è il m iglior oratore. Le suddivisioni
d e ll’arte oratoria. Ito p ic i, Arnoldo M ondadori E ditore, M ilano 1973, 210 e 212: «Dico esistere quelle co
se che sono percettibili a lla vista e al tatto, come poderi, case, sgocciolio, servitù, bestiam e, arredam en
to, scorte alim entari e ogni altra cosa del genere [ . ] D ico non essere quelle cose che non sono p ercetti
bili al tatto e svelabili alla vista, m a che si possono e vedere e intendere con la m ente; così, se volessi d e
finire l ’usucapione, la tutela, il gentilizio, l ’agnazione; di tutte queste cose non esiste corpo [i.e. sostan
za], e tu ttav ia u n a tal form a di essi è com e in sita e im pressa n e lla nostra intelligenza: q u ella che io ch ia
mo nozione».
E ssenza, sostanza, sussistenza, esistenza 47
Il latino substantia, forgiato sul (ben attestato) verbo substare, appare per la pri
ma volta in Seneca. Questa testimonianza relativamente tarda è in se stessa sor
prendente, se per esempio si pensa alla moltitudine dei composti in -antia for
giati a partire da stare (circumstantia, constantia, distantia, instantia, praestan
tia, ecc.). Da questo silenzio dei testi non si possono tuttavia trarre argomenti
per concludere che si tratti di una creazione originale di Seneca: in effetti, quan
do viene utilizzato, questo termine non comporta mai, diversamente da quanto
accade per il termine essentia, particolari spiegazioni o giustificazioni. È evi
dente che si tratta di una parola della lingua corrente, anche se in Seneca essa
appare in contesti molto determinati, nei quali risulta generalmente facile met
tere in luce una sotterranea concettualità stoica. Per esempio, nelle Quaestiones
naturales, là dove si parla dell’arcobaleno, si può leggere: «Non est ergo propria
in ista nube substantia, nec corpus est sed mendacium et sine re similitudo»57.
Attraverso l’opposizione, istituita da Seneca, tra propria substantia e menda
cium, o anche tra res e similitudo, si riconoscono qui senza difficoltà i due ter
mini hupostasis e emphasis [evocate;] (realtà/apparenza), che si ritrovano, per fa
re un esempio, in un contesto esattamente simile, nel trattato pseudo-aristoteli
co De mundo, e che diverranno usuali in questa dicotomia soprattutto a partire
da Posidonio. Vi si poteva leggere:
57 L ucius A nnaeus S eneca, Quaestiones N aturales, ed. A. G ercke, «B ibliotheca scriptorum G raeco
rum et Rom anorum T eubneriana», Leipzig 1907 (rist. B.G. T eubner, S tuttgart 1970), I, 6, 4 (pp. 25, 12
14); trad. it. (mod.) di D. Vottero, Questioni naturali, U tet, Torino 1989, 255: «In codesta nube dunque
non vi è né u n a sostanza specifica, né vi è un corpo, m a un’illusione e un’ap p arenza sprovvista di realtà».
58 [P s-A ristoteles], De M undo, 3 9 5 a 28.
48 Jean -F ran ço is Courtine
«Quomodo dicetur crncua —res necessaria, natura continens fundam entum omnium?
[come si renderà la parola a v o la , la cosa necessaria, la sostanza che ha in sé il fon
damento di tutte le cose?»596012.
Dopo questo primo saggio di traduzione, al quale peraltro Seneca non si sentira
affatto legato, il nostro intraprende un’esposizione che è, a dire il vero, abba
stanza ingarbugliata, perché in essa egli mette insieme la diairesis [òtaipeatc; ]
platonica, l’analisi categoriale di Aristotele e l’esame delle categorie stoiche. In
ogni caso, si tratta di mettersi in cerca di ciò che è primo, del genere supremo al
quale sono sospese tutte le altre specie: «Nunc autem primum illud genus quae
rimus, ex quo ceterae species suspensae sunt, a quo nascitur omnis divisio, quo
universa conprensa sunt»60.
Questo genere primo (genusprimum et antiquissimus61) è innanzitutto defini
to come «ente» (to on = quod est = ciò che è). Preso così, l’«ente» è al di là del
corpo (aliquid superius quam corpus), il quod est - ciò che è - è dunque suscet
tibile di apparire indifferentemente come corporeo o come incorporeo. Per que
sta ragione, aggiunge Seneca, gli Stoici hanno voluto sovrapporre al quod est un
altro genere supremo: genikôtaton genos [yeviKœxaxov yévoc;]62. Così Seneca
spiega le ragioni ultime della decisione degli Stoici:
«In rerum, inquiunt, natura quaedam sunt, quaedam non sunt, et haec autem, quae
non sunt, rerum natura complectitur, quae animo succurrunt, tanquam Centauri, Gi
gantes, et quicquid aliud falsa cogitatione formatum habere aliquid imaginem coepit,
quamvis non habet substantiam »63.
59 S eneca, A d Lucilium epistulae morales, ed. A. B eltram i, 2 voll., impressio altera, R om a 1937, 58, 6
(vol. I, 205, 2 0 - 206,1); trad. it. di U. B oella, Lettere a Lucilio, Utet, Torino 1969, 31 9 (trad. mod.). Non
si resiste a q u e s ta ... traduzione, che reintroduce il term ine sostanza che S eneca aveva evitato!
60 Seneca, A d L ucilium epistulae morales, 58, 8 (vol. I, 206, 16-18); Lettere a Lucilio, cit., 321: «D un
que, cerchiam o qu el prim o genere, d a cui dipendono le altre specie, da cui proviene ogni divisione, in cui
sono com prese tutte le cose».
61 S eneca, A d Lucilium epistulae morales, 58, 12 (vol I, 207, 14-15); Lettere a Lucilio, cit., 321: «il ge
nere prim o e p iù antico».
62 Stoicorum Veterum Fragm enta, 4 B ande, ed. Johannes von Arnim , Leipzig, 1903-1905 (rist. Teub-
ner, S tuttgart 1964), III, 25 (p. 214). Cfr. anche A lexandri A phrodisiensis in A ristotelis Topicorum libros
octo Com m entaria, consilio et auctoritate A cadem iae L itterarum Regiae B orussicae, ed id it M. W allies, IV,
in C om m entaria in A ristotelem graeca, II, 2, B erlin, P reussische A kadem ie der W issenschaften, 1891,
301, 19, il quale afferm a che il q u id (= ti [xi]) è ancora p iù iniziale e costituisce m aggiorm ente un p rin
cipio (aliud genus m agis principale).
63 S eneca, A d L ucilium epistulae morales, 58, 15 (vol. I, 208, 16-21); Lettere a Lucilio, cit., 323: «N el
la n atura, essi afferm ano, alcune cose sono, altre non sono; m a la n atu ra com prende anche quelle cose
che non esistono fuori d ella nostra im m aginazione e che si presentano al pensiero, com e i C entauri, i Gi
ganti, e tutte le altre finzioni d ella fan tasia hanno preso ad avere u n a qualche apparenza, sebbene non a b
biano sostanza» (trad. mod.).
E ssenza, sostanza, sussistenza, esistenza 49
Da questo breve passo si può concludere che «le cose che sono» (to on versus to
hyphestos [to h^ecrcóc;]) sono precisamente nella misura in cui «hanno sostan
za». «Avere sostanza (substantiam habere)» può e deve senza alcun dubbio es
sere inteso come una traduzione o una spiegazione di ciò che significa «essere»
(esse). Essere: in verità, ciò non implica soltanto il fatto di essere una sostanza,
di essere sostanzialmente o secondo il modo della sostanza, ma comporta anche
il fatto di avere sostanza o di prendere sostanza («substantiam capere», Boezio), e
cioè di poter fare affidamento su una realtà corporea definita dalla sua stabilità
e dalla sua solidità.
A questo proposito si può notare innanzitutto che, tenendo conto del carattere
stereotipato della locuzione latina habere substantiam, almeno nel passo citato,
più che al concetto ristretto di hypostasis, essa rinvia con maggiore probabilità
al verbo greco hyphistanai. Resta altrettanto certo che, per Seneca, la sostan
zialità propria di ciò che è in senso pieno consiste nel fatto di avere un sostegno,
un sostrato o una base che assicuri consistenza e stabilità.
Di conseguenza, avere sostanza significa sempre supporre o presupporre un
corpo: qui il corpo dice in generale il fondo sul quale ogni cosa per essere deve
poggiare. Se essere implica l’avere-sostanza, ciò è dovuto al fatto che l’avere-so-
stanza esprime il possesso di un sostrato solido, la cui proprietà è appunto ga
ranzia di consistenza e di permanenza.
Nel passaggio citato in precedenza tratto dalle Quaestiones naturales (I, 6, 4),
dopo aver ripreso - come abbiamo visto - la classica opposizione hypostasis/em
phasis, Seneca aggiungeva: «Nobis non placet in arcu aut corona subesse aliquid
corporis certi»64.
4. «Substantia» - «corpus»
Si può pensare che un’espressione del tipo subesse corpus (un corpo sta alla ba
se, sta a fondamento) deve aver giocato un ruolo determinante nell’apparizione
del termine substantia in ambito filosofico. - Per rendere esplicita questa con
vergenza, s’impone un rapido passo indietro: abbiamo visto come nei Topici (5,
65 Marcus T ullius C icero, De natura deorum, 2 voll., ed. A.S. P ease, H arvard UP, C am bridge (Mass.)
1955 (ripr. W issenschaftliche B uchgesellschaft, D arm stadt 1968), 482; trad. it. di C. M arco, con testo la
tino a fronte, La natura divina, vol. 1, Rizzoli, M ilano 1998, 130-133.
66 S extus E mpiricus, Sexti E m pirici Opera, recen su it H. M utschm ann vol. I, L ipsiae 1912: editionem
stereotypam em endatam curavit, ad d en d a et corrigenda ad d id it I. M au, L ipsiae 1958; trad. it. di O. Te-
scari, Schizzi Pirroniani, a cu ra di A. R usso, L aterza, Bari 1988, 36.
67 Seneca, A d L ucilium epistulae morales, 113, 5 (vol. II, 204, 3); Lettere a Lucilio, cit., 893.
E ssenza, sostanza, sussistenza, esistenza 51
«Sunt qui neglecto rerum pondere et viribus sententiarum , si vel inania verba in hos
modos depravarunt, summos se judicent artifices ideoque non desinant eas nectere,
quas sine substantia sectari jam est ridiculum quam quaerere habitum gestum que si
ne corpore»68.
«Così, si questionò contro gli eredi di Urbinia, se colui che richiedeva i beni come se
fosse suo figlio, fosse Figulo o Sosipatro. La sua sostanza [= esistenza] è di per sé co
sì chiara (nam et substantia ejus sub oculos venit), che non ci si può chiedere se esista
(ut non possit quaeri an sit)...» 69.
È precisamente questo essere manifesto (sub oculos venire) ciò che è proprio del
la «sostanza», la proprietà di ciò cui soggiace un corpo, la proprietà di ciò che
«ha sostanza» (substantiam habere).
Ci si può allora domandare se il termine substantia abbia mai «tradotto» il
greco ous^a, hypostasis, o se invece non sia basato - a favore, certo, di traduzio
ni surdeterminate - su nuove determinazioni ontologiche, le stesse di cui la Ro
mania, senza saperne granché, sarà l’erede.
68 Q uintilianus, Institutiones Oratoriae, IX, 3, 100 (vol. II, 100, 26 - 101, 3); L ’I stituzione Oratoria,
vol. II, cit., 337: «Ci sono alcuni che, senza essersi dati pensiero del peso dei fatti e d ella forza dei con
cetti, se hanno guastato anche le parole di poco conto per farle diventare figure, si credono degli artisti
d ella paro la e perciò non cessano d ’in tre cciar figure: m a il guaio è che andarne in cerca senza darsi cura
d ella sostanza è tanto ridicolo, quanto darsi pensiero dei gesti e d ell’aspetto esteriore senza preoccupar
si d el corpo».
69 Q uintilianus, Institutiones Oratoriae, VII, 2, 4-5 (vol. II, 379, 6-11); U lstituzione Oratoria, vol. II,
cit., 39.
52 Jean -F ran ço is Courtine
«Quamquam Tullius aliter in eodem libro Topicorum ait esse duo genera definitionum:
primum, cum enim id quod est definitur; secundo, cum id quod sui substantiam non
habet, hoc est quod non est; et hoc partitionis genus in his quae supra dixi clausit et
extenuavit. Sed alia esse voluit quae esse dicebat, alia quae non esse. E sse enim d i
cit ea quorum subest corpus, ut cum definimus quid sit aqua, quid ignis; non autem
esse illa intelligi voluit quibus nulla corporalis videtur esse substantia, ut sunt pietas,
virtus, libertas. Sed non omnia ista, vel quae sunt cum corpore vel quae sunt sine cor
pore, si in eo accipiuntur ut aut per se esse aut in alio esse videantur, in uno genere
num eranda dicimus: ut ista omnia esse intelligantur quibus omnibus sua potest esse
substantia, sive illae corporales sive, ut certissimum est et recto nomine appellari pos
sunt, qualitates»70.
Dopo aver introdotto come ovvio il termine substantia nel suo riassunto dell’a
nalisi ciceroniana, tutto lo sforzo di Vittorino consiste nel dissociare corporeità
e sostanzialità. Per quanto ci riguarda - egli dice - , dal momento che conside
riamo tutte le cose «in quanto appaiono essere per sé o essere in altro», bisogna
che le rubrichiamo sotto un unico e medesimo capitolo, quello della sostanza.
Sono in senso proprio tutte le cose per le quali può esserci sostanza, o meglio
70 E d. Stangl, p. 12, 7-20 = P. H adot, M arius Victorinus. Recherches sur sa vie et ses œuvres, É tudes
A ugustiniennes, P aris 1971, A ppendice III, 342: «Nel libro V dei Topici, C icerone da parte su a dice che
vi sono due generi di definizione: il primo, quando si definisce ciò che è, il secondo quando si definisce
ciò che non possiede un a sostanza propria, o detto altrim enti, ciò che non è; e cerca di circoscrivere q u e
sto genere di definizione a partibus e di lim itarne la portata, com e ho m ostrato in precedenza. Egli vuole
distinguere tra le cose che, com e egli dice, sono, e quelle che, com e egli dice, non sono. Egli afferm a che
le cose alle quali soggiace un corpo, sono, com e quando per esem pio definiam o quello che è l ’acq u a o
quello che è il fuoco. Al contrario, egli vuole che si considerino com e non essenti le cose che non sem
brano possedere alcu n a sostanza corporea, quali la pietà, la virtù, la libertà. Di contro, noi diciam o che
tutte queste cose - siano con o senza il corpo - vanno rubricate sotto un unico genere (quello d ell’essere,
vale a dire d ella sostanzialità), se solo le si considera in ciò che sem brano essere di per sé o che sem bra
no essere in un altro. B isogna dunque capire che sono tutte queste cose che possono sem pre avere un a
sostanza propria, sia perché sono corporee, sia perché sono delle qualità, come è determ inato in m aniera
certissim a e com e possono essere legittim am ente definite».
E ssenza, sostanza, sussistenza, esistenza 53
«È “sostanza” (substai) ciò che fornisce (subministrat) agli altri accidenti [i.e. a tutto
il resto a titolo di accidente] un certo soggetto (subjectum), affinché possano essere (ut
esse valeant); infatti, soggiace ad essi (sub illis enim stat), poiché è soggetto per gli ac
cidenti (subjectum est accidentibus)»72.
Seguendo gli Stoici, Cicerone nei Topici opponeva l’essere vero (sostanziale) dei
corpi e l’essere «fittizio» (to hyphestos, kat’ epinoian psilên hyphistasthai [xò ì>-
(|)80xôç, kocx’ ejuvoiav ipiÀriv i>(|)iaxaa0oa]) delle nozioni (ennoêmata [èwor|pa-
xa]): «[...] 8vvot)pa ôé eoxi (|)dvxaopa ôiavolaç, enixe xi ov cnixe jtolov, ròaavei
ôé xi Koa ròaavei jroióv... [Un concetto o nozione è un fantasma del pensiero,
che non è né qualcosa, né qualcosa di qualificato, ma quasi-qualcosa e quasi-
qualcosa di qualificato]»74.
71 Cfr. A. DE L ibera, O v a ta , o v a ta ) a tç, v jio a r a a tç nel Contra E uthychen, in U Art des généralités.
Théories de l ’abstraction, Aubier, P aris 1999, 177-187.
72 B OETHIUS, Contra Eutychen et Nestorium , c. 3; The Theological Tractates, ed. and transl. H.F..J. Te
ster, C am bridge (Mass.), H arvard UP, London, H einem ann 1973, 88; trad. it. (mod.) di L. O bertello, Con
tro E utiche e Nestorio, in S EVERINO B OEZIO, La consolazione della filosofia. Gli opuscoli teologici, R usconi,
M ilano 1979, 329.
73 SuÀREZ, Disputationes m etaphysicae, X X X III.1.1 (t. 26, 330).
74 D iogenes L aertius, Diogenes Laertii Vitae P hilosophorum , 2 voll., ed. H.S. Long, «Oxford C lassi
cal Texts», Oxford 1964, vol. II, 323, vv. 3-5; trad. it. di M. Gigante, Vite dei Filosofi, L aterza, Rom a-Ba-
ri 1975, 265: «Un oggetto di pensiero o nozione (ennoem a) è im m agine del pensiero, che non è qualcosa,
né h a u n a qualità, m a in certo modo è q ualcosa e in certo modo h a un a qualità». Vedi anche Stoicorum
54 Jean -F ran ço is Courtine
«Gli Stoici evitano il presupposto platonico [...] secondo cui essere qualcosa signifi
ca già esistere. Essere qualcosa è piuttosto —così sem bra —essere un soggetto appro
priato per il pensiero ed il discorso. Molte delle cose che sono in tal modo, sono an
che esistenti in quanto sono dei corpi. Ma una cosa incorporea, come un tempo, o un
oggetto fittizio come un centauro, non sono. Dal momento che espressioni quali cen
tauro o oggi sono tuttavia autenticam ente provviste di significato, consideriamo che
denominano qualcosa, anche se questo qualcosa non ha un’esistenza reale o indipen
dente (indipendente, nella fattispecie, dal movimento del mondo nel caso del tempo,
o dall’immagine m entale nel caso del centauro. Pur imponendosi di non utilizzare il
term ine esistere [eivai, xò ov] in tali casi, gli Stoici hanno fatto ricorso al term ine più
ampio al quale esso è sussulto, e cioè sussistere [Ù^iaxaa0cu]. Q uest’ultimo term ine
sem bra ricoprire nell’uso stoico quel modo d’essere che Meinong ha chiam ata beste-
hen e che R ussell ha reso con to subsist (nei suoi articoli del 1904 su Meinong, pub
blicati in M ind, 13). Per Meinong, la somiglianza o Pegaso, per esempio, sussistono
ma non esistono. Essi condividono tuttavia con le cose esistenti il fatto di avere una
caratteristica (Sosein), esattam ente come un vero cavallo e un centauro, nello stoici
smo, sono entrambi dei “qualcosa” . Potremmo rendere la distinzione stoica tra esiste
re e sussistere dicendo: “C’è qualcosa come un arcobaleno, c’è un personaggio come
Mickey Mouse, ma essi non esistono veram ente” »75.
Contro questa dottrina, Mario Vittorino ritiene opportuno fare appello ad Ari
stotele, ma lo fa sulla base di un’interpretazione dell’ousa proposta nel trattato
sulle Categorie e sulla base dell’articolazione ousia protê [oboia Jtpróxr|]- ousia
denterà [obaia Sebxepa], che ha già concesso l’unico punto decisivo: l’interpre
tazione sostanziale dell’ousra. Anche quando essa, propriamente parlando, non
è, come accede esemplarmente nel caso degli esseri corporei, essa può almeno
essere appresa come soggetto di accidenti o di qualità, che così trovano in essa
la loro substantia propria.
Veterum F ragm enta, t. 1, 164; AA. L ong / D.N. S edley, The H ellenistic philosophers, 3 voll., Cam bridge
UP, Cam bridge 1987, vol. 2, 182; cfr. anche t. 1, 164. Si veda anche la m essa a punto di A. de L ibera
in P ORPHYRE, Isagoge, trad. francese di A. de L ibera e A.-P. Segonds, introduzione e note di A. de Li
b era, Vrin, «Sic e t non», P aris 1998, pp. XLVII- liii (note), 32-34.
75 L ong / S edley, The Hellenistic Philosophers, cit., 182.
E ssenza, sostanza, sussistenza, esistenza 55
può dire, così poco eloquente, da abbisognare ogni momento di essere spiegato
mediante il termine substantia. L’opera di Agostino segna a questo proposito un
rovesciamento capitale. Agli occhi di Agostino, come abbiamo già osservato, es
sentia è un vocabolo di recente creazione, ancora poco usato, ma destinato a
prendere il posto del termine substantia, almeno in alcune delle sue accezioni.
In quel testo giovanile che è il De moribus Ecclesiae catholicae et de moribus Ma-
nichaerum, per esempio, Agostino scrive:
«Nam et ipsa natura nihil est aliud quam id quod intelligitur in suo genere aliquid es
se. Itaque, ut nos jam novo nomine ab eo quod est esse vocamus essentiam , quam ple
rum que substantiam etiam nominamus, ita veteres qui haec nomina non habebant pro
essentia et substantia naturam vocabant»76.
E ancora nel De Trinitate: «Essentiam dico quae obola graece dicitur, quam usi
tatius substantiam vocamus»77.
Ci si può addirittura spingere a supporre che nel corso della vita di sant’A-
gostino, e certamente grazie a lui, il termine si sia diffuso fino a diventare usua
le, al punto che, in un’opera tarda come il De civitate Dei, lo stesso Agostino ha
potuto scrivere:
«[...] ab eo quod est esse vocatur essentia, novo quidem nomine quo usi veteres non
sunt latini sermonis auctores, sed jam nostris tem poribus usitato, ne deesset etiam lin
guae nostrae, quod Graeci appellant cmcrlav»78.
76 A UGUSTINUS, De moribus ecclesiae catholicae et de moribus M anichaerum (PL 32; N uova B iblioteca
A gostiniana [= NBA], C itta Nuova, Rom a, vol. 13/1), II, 2, 2: «Infatti la ste ssa natu ra altro non è se non
ciò che, n el suo genere, è concepito com e qualcosa che è. P ertanto, com e noi, usando un nom e nuovo d e
rivato d a quello di essere, chiam iam o essenza ciò che p e r lo più chiam iam o anche sostanza, così gli an ti
chi, che non possedevano queste parole, im piegavano natura p e r essenza e sostanza».
77 A ugustinus, De Trinitate (PL 42; CCSL 50-50A ; NBA 4), V, 8, 9: «Dico essenza per esprim ere ciò
che in greco si dice , m a noi usiam o più correntem ente il term ine sostanza».
78 A ugustinus, De civitate Dei (PL 41; CCSL 47-48; NBA 5/2) X II, 2: « . c o s ì da essere si h a essen
za, u n term ine certam ente nuovo, che gli antichi scrittori latini non hanno usato, m a usuale ai giorni no
stri. E affinché non m ancasse alla nostra lin g u a il term ine che i Greci dicono , dal verbo è stata
coniata la p arola di essenza».
56 Jean -F ran ço is Courtine
«Illa omnia quae quomodo sunt ab ea E ssentia sunt, quae summe maximeque est [Tut
te le cose che sono in una m aniera o in un’altra sono a partire dall’essenza, che è il
punto ed è al punto più alto]»80.
Ci sembra che qui si debba proprio leggere Essentia con la maiuscola: l’Essen
za come tale, l’Essenza pura e semplice, dev’essere intesa come Nome Divino;
essa nomina propriamente il Dio come l’Essenza per eccellenza, vale a dire co
me causa essendi (De diversis quaestionibus, 83, q. 21), l’essere per cui sono tut
te le cose che sono in un modo o in un altro. La «definizione» aristotelica del-
Yousia protê viene chiaramente evocata, ma per essere completamente teologiz
zata. «Lousia detta in senso fondamentale, primo e principale [hê kuriôtata te
kai prôtôs kai malista legomenê (^ Kupicoxorcd re Kai Jtpcoxcoc; koÙ, paLtaxa Le-
yopévr|)]» è ormai intesa come «Essentia [...] quae summe maxime est», vale a
dire Dio. Nulla è, nulla è ente, se non attraverso il suo essere, la sua essentia
(omnis essentia [ . ] non ob aliud essentia est, nisi quia est).
79 A ugustinus, De Trinitate (PL 42; CCSL 50-50A ; NBA 4), V, 2, 3: «Come infatti d al verbo sapere si
è fatto derivare sapientia, d a scire scientia, dal verbo esse si è fatto derivare essentia».
80 A ugustinus, De im m ortalitate anim ae liber unus (PL 32; CSEL 89); L’im m ortalità d e ll’an im a , 11,
18 (nella variante Er. e Lov.), in D ialoghi, vol. I, trad. it. (notevolm ente m odificata) di D. G entili, NBA 3,
C ittà Nuova, R om a 1970.
E ssenza, sostanza, sussistenza, esistenza 57
senza prima» non è più la cosa singolare presente (tode ti), bensì Dio - a riprende
a sua volta la dottrina aristotelica secondo la quale è proprio delle ousiai non
avere contrario. La trasposizione agostiniana di questa dottrina getta una luce
singolare sulla nuova comprensione dell’essere che si enuncia mediante la tra
duzione di essentia. Ricordiamo il testo canonico di Aristotele:
'Y itclp/E i ÒÈ tcùç o l i a t a l e kcÙ xò uqòÈ v ctx>Taïç È v a v x lo v eI vcu . T fj vò.p JtpcÓXI] O lia la
x l c’tv e’1t| È v av x lo v ; o lo v xcò x iv i àvOpcójtcp oìiÒÈv È axi È v a v x lo v , oìiÒÈ y e tcò àv0pcóitco
rj xm Çcôcp oiiòÉv È axi È vavxlov.
«A ppartiene alle essenze anche il non avere contrario. Infatti alla sostanza prima che
cosa potrebbe essere contrario? P er esempio, ad un certo uomo nulla è contrario, né
in verità a uomo o ad anim ale nulla è contrario»81.
«Nam si nulla essentia in quantum essentia est, aliquid habet contrarium, multo m i
nus habet contrarium prima illa essentia, quae dicitur veritas, in quantum essentia est
[Se infatti nessuna essenza, in quanto è un’essenza, ha il suo contrario, a più forte ra
gione non ha il contrario quell’essenza prima che chiamiamo verità, in quanto è es
senza]83.
L’essenza come tale (essentia in quantum essentia est) non ha contrario poiché si
dice ab eo quod est esse; a partire da ciò che è essere. Ora, l’essere (esse) non ha
altro contrario che il non-essere, o nulla. Il contrario dell’essere è il nulla; l’es
sere non ha nulla come contrario: «Esse autem non habet contrarium, nisi non
esse; unde nihil est essentiae contrarium»84. Così, la dottrina aristotelica funge
paradossalmente da sostegno alla tesi del primato dell’Essentia quae summae
maximaeque est, e il trattato delle Categorie è ormai al servizio di una metafisi
ca porfiriana dell’einai. E Agostino può osare portare a compimento quel movi
mento di pensiero che stiamo studiando:
«Nullo modo igitur res ulla potest esse contrario illi substantiae, quae maxime ac p ri
mitus est [Nessuna cosa può dunque in alcun modo essere contraria a quella sostanza
che è in sommo grado e in primo luogo]»8586.
Agostino ha buon gioco qui nel reintrodurre il termine di sostanza (per accen
tuare ulteriormente il riferimento a Categorie, 5): si vede chiaramente che la pa
rola ha perso il suo ruolo prioritario e che viene intesa unicamente a partire dal
la determinazione preliminare dell’essenzialità. Si tratta di un gesto esattamen
te opposto a quello compiuto da Apuleio nel suo De Platone.
Il solo riferimento neoplatonico non basta probabilmente a gettar luce su que
sta nuova comprensione agostiniana dell’essere, che aprirà la strada all’essenza
(fermo restando, però, che Agostino non è un «essenzialista»). In questa sede
non possiamo impegnarci nelle questioni sollevate dalla cosiddetta «metafisica
dell’Esodo», e tuttavia dobbiamo osservare che l’interpretazione del Nome mi
stico che Dio rivela a Mosè sul monte Sinai costituisce il centro della medita
zione agostiniana. LEssentia può essere intesa come Nome Divino, poiché essa
dice ciò che fa essere tutto ciò che è; l’essenza può predicarsi propriamente an
che di Dio: «Quis magis est [essentia] quam ille qui dixit famulo suo Moysi: Ego
sum qui sum, et: Dices filiis Israel: Qui est, misit me ad vos?»86. Dio è denomina-
83 A UGUSTINUS, De im m ortalitate a nim ae liber unus (PL 32; CSEL 89; NBA 3), 12, 19.
84 A UGUSTINUS, De im m ortalitate anim ae liber unus (PL 32; CSEL 89; NBA 3), 12, 19. Cfr. anche De
moribus ecclesiae catholicae et de moribus M anichaeorum (PL 32), II, 1, 1.
85 A UGUSTINUS, De im m ortalitate a nim ae liber unus (PL 32; CSEL 89; NBA 3), 12, 19.
86 A ugustinus, De Trinitate (PL 42; CCSL 50-50A ; NBA 4), libro V, 2, 3: «E chi è dunque p iù di Co
lui che h a d ichiarato al suo servo Mosè: Io sono colui che sono. D i’ a i f i g l i d i Israele: Colui che è, m i ha
m andato a voi?» (237).
E ssenza, sostanza, sussistenza, esistenza 59
«Ora è proibito affermare che Dio sussista e sia soggetto della sua bontà (ut sub-sistat
et sub-sit Deus bonitati suae); è proibito affermare che questa bontà non sia sostanza,
o piuttosto essenza, e che Dio non sia la sua bontà, ma che al contrario la bontà esista
in lui come in un soggetto»91.