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del ritorno dell’Italia in Africa finì per assumere nel dibattito politico interno.

È certo che la richiesta di tornare in tutte e tre le ex colonie afSegue: (b) l’Italia e la
questione africana

La posizione assunta dall’Italia nell’intera vicenda merita a quricane, dapprima nesto


punto una ricostruzione più attenta di quella sin qui svolta: non solo con riferimento al
problema della collocazione internazionale del nostro paese nel quadro della guerra fredda
anche alla luce di altre questioni lasciate impregiudicate dal Trattato di pace (a cominciare
dalla questione di Trieste), ma anche per illustrare il peso che il tema ello status di potenza
sovrana e quindi nella veste di amministratrice fiduciaria, fu sostenuta con insistenza in tutte le sedi,
dalla fine della guerra fino quasi alla vigilia delle decisioni dell’ONU.
Già nelle istruzioni inviate alle nostre rappresentanze a Washington e Londra
nell’imminenza della Conferenza di Potsdam De Gasperi aveva delineato per la prima volta in
modo organico l’impostazione italiana sulla questione: le colonie costituivano per l’Italia un terreno
d’intesa con le potenze occidentali e uno sbocco alla sua emigrazione; la soluzione preferibile era il
ripristino della sovranità diretta italiana e le eventuali rinunce avrebbero dovuto vertere unicamente
sull’intensità di tale sovranità; per la Libia, di cui si sottolineava la tradizionale funzione di
equilibrio nel Mediterraneo, l’Italia era pronta a riconoscere gli speciali interessi inglesi in
Cirenaica e, riguardo all’Eritrea, ad offrire all’Etiopia le più ampie facilitazioni nel porto di Assab;
nel caso in cui si fosse costituito un trusteeship comprendente tutti i territori somali, l’Italia era
disposta ad accettarlo1.
Un mese più tardi, lo stesso De Gasperi aveva scritto al segretario di Stato americano Byrnes
che l’Italia democratica considerava le colonie come un mezzo per assorbire l’eccesso di
manodopera, e aveva espresso delle riserve circa l’applicabilità ad esse del regime di trusteeship
appunto in relazione al carattere demografico della colonizzazione italiana; aveva quindi ribadito
che la restituzione della Cirenaica e dell’Eritrea all’Italia non era incompatibile con le altrui
esigenze strategiche e con la necessità di garantire all’Etiopia uno sbocco al mare2.
Sul punto del trusteeship si registrò poi un’evoluzione, nel senso che l’Italia, verificata
l’impossibilità di riavere le ex colonie in amministrazione diretta finì per attestarsi sulla richiesta di
trusteeship su Libia, Eritrea e Somalia; richiesta che venne mantenuta grosso modo fino alla fine del
1948, allorché si cominciò ad accettare a Roma l’ipotesi di una riduzione del programma di
rivendicazione “globale”.
Una impostazione del genere, condivisa per altro da tutte le forze politiche italiane, rivela
una scarsa percezione degli sconvolgimenti prodotti dalla guerra e del fatto che l’epoca delle
colonie di popolamento era ormai finita. E se si può comprendere l’atteggiamento per così dire
“filo-coloniale” degli “esperti” del Ministero dell’Africa italiana, assai meno comprensibile risulta
invece l’estrema riluttanza dei vertici politici e diplomatici (salvo qualche rara avis), oltre che dei
partiti di opposizione, ad abbandonare posizioni e concezioni non più compatibili con la nuova
realtà postbellica.
Al di là della più volte dichiarata volontà di ispirarsi ai princípi della Carta di San Francisco,
si ha ad esempio la netta sensazione che nell’Italia di quegli anni il sistema di amministrazione
fiduciaria fosse concepito un po’ da tutti non tanto come strumento di promozione del progresso
politico e civile delle popolazioni africane quanto piuttosto come un mezzo per affermare una

1
G. Rossi, L’Africa italiana, cit., p. 94; De Gasperi a Tarchiani e Migone, telesp. Ris. Del 14 luglio 1945, in Ministero
degli Affari Esteri, I documenti diplomatici italiani, (d’ora in poi DD), X serie, vol. II, Roma, Libreria dello Stato, 1992,
doc. 337.
2
Testo della lettera di De Gasperi a Byrnes del 22 agosto 1945 in: Department of State, United States and Italy 1936
1946. Documentary Record, Washington, USGPO, 1946, pp. 163-171; «Rivista di studi politici internazionali», 1945,
pp. 200-206 (in italiano).

1
duratura influenza italiana nelle ex colonie; che era poi in fondo un’impostazione assai vicina a
quella che circolava allora a Londra, a Parigi e a Mosca, come si è appena detto.
Viceversa, soprattutto a partire dal 1947, le ambizioni italiane si scontrarono costantemente
con la netta opposizione degli Anglo-americani: opposizione che scaturiva non tanto da intenzioni
“punitive” nei riguardi dell’Italia, quanto piuttosto dall’interesse strategico che territori come la
Libia, al centro del Mediterraneo, o l’Eritrea, in posizione dominante lungo il Mar Rosso, venivano
ad acquistare in un mondo ormai diviso in blocchi contrapposti. E di ciò si ebbe una chiara riprova
alla vigilia delle elezioni politiche italiane allorché posti di fronte alla dichiarazione sovietica di
simpatia per le aspirazioni italiane, gli Anglosassoni si guardarono bene dell’aderirvi e preferirono
piuttosto ripiegare sulla nota dichiarazione tripartita per la restituzione di Trieste all’Italia del 20
marzo, aderendo in ciò ad una iniziativa francese.
   Il 14 febbraio 1948, con una nota rimessa all'ambasciatore italiano a Mosca, il Governo
sovietico si dichiarava favorevole ad un'amministrazione fiduciaria italiana nelle tre colonie
prefasciste (Libia, Eritrea e Somalia) «per un ragionevole termine fisso» 3. Veniva in tal modo
ufficialmente confermata la posizione assunta dall'Unione Sovietica nel maggio del '46 in seno al
Consiglio dei ministri degli Esteri: posizione che, a prescindere dalle generiche espressioni di
simpatia per l'Italia pronunciate da Molotov alla Conferenza della pace, non era mai stata dopo di
allora ribadita, così come non era mai stata smentita4.
Che l'iniziativa di Mosca si proponesse un fine propagandistico a due mesi dalle elezioni politiche
italiane fissate per il 18 aprile, fu subito compreso dal Governo italiano e dagli stessi Governi oc-
cidentali: con la sua dichiarazione, resa nota da Palazzo Chigi il 16 febbraio, l'Unione Sovietica
intendeva evidentemente aiutare il fronte delle sinistre nella campagna elettorale appena iniziata.
Senza dubbio, l'atteggiamento sovietico e, a fronte di esso, il diverso atteggiamento delle potenze
anglosassoni offrivano ai comunisti e ai socialisti, raggruppati nel Fronte democratico popolare,
un'occasione da non lasciarsi sfuggire per strumentalizzare la questione delle ex colonie a fini
elettorali. Ciò era tanto più vero in quanto l'iniziativa di Mosca giungeva in una fase in cui tale
questione appariva già inserita nel dibattito politico interno ed in cui la sensibilità dell'opinione
pubblica era stata acutizzata da quanto verificatosi a Mogadiscio l’11 gennaio 1948 allorché si
erano verificati gravi incidenti in occasione di una dimostrazione italiana organizzata dalla Lega dei
Giovani Somali, nel corso dei quali 52 italiani avevano perso la vita.
Già durante i negoziati per il trattato di pace, e successivamente, la questione africana aveva
offerto ai partiti di destra (nazionalisti, monarchici, neofascisti) l'occasione per attaccare il Governo
e le potenze occidentali. Da questi era stata attribuita specialmente agli Inglesi ogni responsabilità
per la perdita delle colonie e la stampa che di tali partiti era l'espressione aveva insistentemente
ripetuto questo concetto. La linea di difesa ad oltranza del  trusteeship italiano sulle tre colonie allora
adottata dal Governo era stata successivamente mantenuta. Dettato soprattutto dalla convinzione
che di fronte ai Quattro non era possibile seguire una linea diversa se si voleva ottenere qualcosa,
questo atteggiamento non era privo di inconvenienti sul piano interno: esso rendeva più vulnerabile
la posizione del Governo di fronte a un'opinione pubblica che esso, a sua volta, si curava' di
mantenere sensibile di fronte alla questione africana. Per dirla con il Kogan, «fu la miopia
dimostrata dal Governo italiano nel continuare a proporsi un obiettivo così poco meritevole di
essere perseguito, a esporlo a questi attacchi» 5. Se De Gasperi andava ripetendo che « l'Italia non
può fare a meno delle colonie » dato cc l'eccesso della sua popolazione su di un territorio troppo
ristretto e montuoso », Sforza non abbandonava la tesi che <c sono l'Europa, la razza bianca, la civiltà
umana a non poter fare a meno dell'opera dell'Italia in Africa»6. (Rigidamente allineati su queste

3
«Relazioni Internazionali», 1948, p. 191.
4
Su questo tema, cfr. G. Rossi, Trieste e colonie alla vigilia dell’elezioni italiane del 18 aprile 1948, in «Rivista di
studi politici internazionali», aprile-giugno 1979, pp. 205-231.
5
Norman Kogan, L'Italia del dopoguerra. Storia politica dal 1945 al 1966, Bari, Laterza, 1970, p. 32.
6
« Il Tempo », 18 gennaio 1948.

2
posizioni erano non soltanto i democristiani, ma anche i repubblicani e i socialisti saragat- tiani, che
dal dicembre del '47 facevano parte della coalizione governativa, nonché i liberali.
Significativamente, anche la Chiesa cattolica, con tutto il peso che esercitava su una parte assai
vasta dell'opinione pubblica, si muoveva in questa direzione. Il tono usato ad esempio dalla «
Civiltà Cattolica », autorevole organo dei Gesuiti, riecheggiava in verità un nazionalismo non
dissimile da quello che animava i movimenti di destra e non scevro, pur'esso, da una corposa
anglofobia: alla denuncia vigorosa delle clausole coloniali del trattato che escludevano l'Italia
dall'Africa, «rinserrandola ancora una volta, con la sua popolazione esuberante di vita entro confini
nazionali troppo angusti per contenerla ed alimentarla » facevano da   pendant  gli attacchi contro
ccl'ombrosa politica inglese» e la «stoltezza» dei Grandi .
7

Senonché, anche da parte delle sinistre la questione africana era seguita da tempo con
attenzione: non solo i socialisti, ma anche i comunisti avevano finito per assumere in proposito un
atteggiamento nazionalista. Si è generalmente ritenuto che negli anni in cui fu in discussione la
sorte delle colonie italiane, «l'atteggiamento delle sinistre fu favorevole a troncare ogni esperienza
coloniale», sebbene «non immune da oscillazioni»8. Tale interpretazione merita qui di essere
precisata e ridimensionata. Deve in primo luogo distinguersi, da quella dei comunisti, la posizione
dei socialisti: accampando le consuete argomentazioni, questi ultimi si erano fin dall'inizio
dichiarati favorevoli al ritorno dell'Italia in Africa. Nel breve periodo in cui aveva tenuto il dicastero
degli Esteri, tra l'ottobre del '46 e il gennaio del '47, Nenni aveva sostenuto questa tesi anche con
un'azione personale diretta. Vero è che l'impostazione socialista respinse fin dall'inizio il
colonialismo vecchio stampo»: il ritorno in Africa era invocato nel rispetto dei principi sanciti nella
Carta dell'ONU e a tutela dei lavoratori italiani. Ma a partire almeno dall'inizio del '46 era, questa,
un'impostazione condivisa dai liberali, dai repubblicani e dai democristiani. Senza dubbio meno
uniforme fu l'atteggiamento dei comunisti, ben più interessati alla questione delle riforme di
struttura della società italiana e contrari, per tradizione ideologica, a tutto ciò che potesse ricordare
il colonialismo. Ma a partire dal maggio del '46, da quando cioè l'URSS aveva abbandonato la sua
richiesta di amministrazione fiduciaria in Tripolitania, gli stessi comunisti avevano assunto un
atteggiamento patriottardo e, dopo la loro esclusione dal Governo nel maggio del 47 — che
implicava su un piano generale piena libertà di agire contro il Governo —-, sempre più critico nei
confronti del Governo De Gasperi, accusato di non sostenere con sufficiente energia la causa
dell'Italia contro le pretese anglo-americane, Sforza ha capitolato di fronte a Bevin », aveva scritto
in novembre l'organo ufficiale del PCI, criticando inoltre il ministro degli Esteri per avere evitato
finora con cura di avvicinarsi all'Unione Sovietica per sfruttare la su buona disposizione nei riguardi
dell'Italia in merito alla questione delle colonie»9.
I fatti di Mogadiscio, a poca distanza dalle elezioni, suscitaron' una unanime e spontanea ondata
di sdegno nella penisola, riportando in primo piano la questione africana. Tutta la stampa fu
concorde nel deplorarli come un'offesa alla dignità dell'Italia e come sintomo del l'opposizione
britannica al ritorno dell'Italia in Africa, ma la stampa di sinistra vi colse, per di più, l'occasione per
aggiungere nuove munizioni alla sua campagna contro le potenze occidentali e contro il Governo: «
La responsabilità inglese non elimina quella del nostro Governo » scriveva il foglio comunista,
precisando che « i tragici fatti di Mogadiscio gettano una luce cruda sull'insufficienza dell'azione
diplomatica di Palazzo Chigi»10. L'intesa anglo-americana per la Mellaha11 era poi venuta a
rafforzare queste tesi. Titoli come « La Libia interessa gli Anglo-americani come centro di offesa

7
A. Messineo, L’Italia e il mondo coloniale, «La Civiltà Cattolica», 6 dicembre 1947, pp. 385-395.
8
M. Legnani, L’Italia dal 1943 al 1948. Lotte politiche e sociali, Torino, Loescher, 1974, p. 171.
9
« l'Unità», 11 novembre 1947.
«
10
l'Unità», 15 gennaio 1948.
11
Già utilizzata durante la guerra come punto d'appoggio per i bombardieri americani diretti in Europa, la base aerea
della Mellaha (nei pressi di Tripoli) era stata riaperta a seguito di un accordo intervenuto tra Londra e Washington agli
inizi del '48.
3
militare»12, oppure «Sforza plaude alla conquista americana di Tripoli»13 apparvero a grossi caratteri
sulla stampa di sinistra: se da parte delle destre questo nuovo sviluppo confermava l'impotenza
dell'Italia, da parte delle sinistra" esso era per di più denunciato come segno della politica di
aggressione degli Occidentali nei confronti dell'Unione Sovietica.
Era quindi naturale che in un clima già riscaldato da questi eventi, comunisti e socialisti mettessero
in tutta evidenza l'iniziativa sovietica, qualificata come « un gesto di amicizia in una delle questioni
pi" importanti della politica italiana» 14 e accolta del resto con gratitudine dalla stessa destra
estrema15. La questione coloniale fu così inserita dalla propaganda del Fronte popolare nello scontro
preelettorale con i partiti filo-occidentali. Sia che la utilizzassero come arma elettorale per attaccare
il Governo, sia che fossero convinti della bontà' intrinseca della loro tesi, certo è che in quelle
settimane di campagna elettorale socialisti e comunisti furono tra i principali paladini del
trusteeship italiano sulle colonie prefasciste, senza contare che per la massa degli elettori il concetto
di trusteeship non differiva troppo da quello di colonia. Si giunse così al punto di ' corteggiare ' i
numerosi coloni rimpatriati dall'Africa: II Governo — scrisse 1' "Avanti!" — si è avventurato nella
rovinosa politica del blocco occidentale sacrificandovi gli stessi vitali interessi del paese. Gli
Italiani d'Africa ne trarranno, tra breve, le prime conseguenze»16.Non era certo difficile per la
propaganda socialcomunista porre l'atteggiamento sovietico a confronto con l'opposizione delle
potenze occidentali alla restituzione delle colonie: per la massa degli elettori c'erano, da un lato
della bilancia, i cinquantadue morti di Mogadiscio e, dall'altro, il gesto di simpatia sovietico per le
rivendicazioni italiane. Manifesti elettorali del Fronte popolare, come quello riproducente una scena
violenta dei fatti di Mogadiscio con la mano dell'amicizia sovietica tesa all'Italia sullo sfondo di una
carta del Mediterraneo che mostrava la Libia come territorio italiano 17erano destinati a colpire con
efficacia la fantasia popolare. All'accusa di «rinuncia alle colonie»18si aggiungeva quindi quella di
avervi abdicato in favore dell'imperialismo anglo-americano. « Le nostre colonie sono in pericolo
— disse in un comizio elettorale a Perugia l'on. Scoccimarro — e il Governo italiano ha condotto le
cose a un punto tale che Tripoli e Bengasi sono ormai trampolini dell'imperialismo anglo-
americano, ad onta degli sforzi della Francia e dell'Unione Sovietica per far ritornare al nostro paese
quelle colonie»19. Anche la proposta, ventilata dal Manchester Guardian» alla fine di marzo, di
risolvere il problema affidando le colonie italiane all'Unione occidentale20fu utilizzata dalle sinistre
come riprova delle aspirazioni dell'imperialismo occidentale nei confronti delle ex colonie e per
lanciare un attacco contro il Patto di Bruxelles, appena sottoscritto da cinque paesi occidentali 21.
Sintetizzava bene questi concetti un commento apparso su Rinascita» all'indomani delle elezioni. In
esso il gesto sovietico veniva interpretato non solo come prova di fiducia verso il popolo italiano,
ma anche come gesto di simpatia per le aspirazioni dei popoli coloniali in opposizione all'impe-
rialismo occidentale che tali aspirazioni invece calpestava. Preoccupata di tutelare i diritti delle
popolazioni coloniali all'autonomia e all'indipendenza, e di sottrarre così i territori della Libia,
dell'Eritrea e della Somalia italiana al gioco degli interessi imperialisti, — vi si leggeva — l'Unione
Sovietica sin dal 1946, con profondo senso di realismo e manifestando una grande fiducia nelle
capacità democratiche e costruttive del popolo italiano, ha preso posizione a favore di un mandato
italiano su tutte le ex colonie africane ». Nello stesso tempo si criticava il Governo per non avere
utilizzato le buone disposizioni sovietiche sacrificando così « le giuste rivendicazioni italiane nei

« Avanti! », 18 gennaio 1948.


12 

13
« l'Unità », 17 gennaio 1948.
14
« Avanti! », 17 febbraio 1948.
15
Si veda ad es. il seguente commento apparso su « L'Ora d'Italia » del 20 febbraio 1948: « Il gesto della Russia è il
benvenuto fra tutti gli italiani, comunisti o no... Ringraziamo il Governo di Mosca per l'imbarazzo in cui ha messo
coloro che ci vogliono cacciare dall'Africa ».
16
«Avanti!», 10 marzo 1948.
17
Dunn a Marshall, tg. del 10 marzo 1948, Foreign Relations of the United States, Diplomatic Papers (d'ora in avanti
abbreviato in FRUS), 1948, vol. Ill: Western Europe, Washington, United States Government Printing Office, 1974, pp.
845-847.
Il vero volto della D.C., «l'Unità », 1° aprile 1948.
18

19
« l'Unità », 2 marzo 1948.
20
The Italian Colonies, « Manchester Guardian », 27 marzo 1948.
21
Le colonie all'Inghilterra tramite il Blocco per rafforzare il dispositivo di guerra, « Avanti! », 28 marzo 1948.
4
confronti del mandato coloniale sull'altare del blocco occidentale e della "santa crociata" contro il
comunismo ». «Quando noi parliamo di tradimento degli interessi del nostro paese — concludeva
l'editoriale — ci riferiamo anche al problema delle colonie. Ecco, dimostrato dal vivo, che cosa può
l'anticomunismo, quando viene messo al centro di tutta la politica estera di un paese» 22. Ma se
l'Unione Sovietica tentava di influenzare le elezioni italiane, gli Occidentali non erano certo da
meno. Questi ultimi non potevano ignorare le conseguenze di una vittoria delle sinistre in Italia: ciò
avrebbe significato in primo luogo il passaggio dell'Italia sotto l'influenza sovietica con la
conseguente perdita, per le potenze occidentali, di una posizione di grande importanza nel Mediter-
raneo. Queste preoccupazioni erano avvertite soprattutto a Washington, dove ormai da molti mesi
l'Italia era considerata di vitale importanza e dove il possibile avvento del comunismo nella penisola
era visto come un colpo assai grave agli interessi americani, tale da vanificare i risultati raggiunti in
Grecia e Turchia23. Nel novembre del '47 il Consiglio di sicurezza nazionale aveva suggerito una
serie di iniziative, essenzialmente di carattere economico, dirette appunto a sostenere il Governo De
Gasperi24e in un rapporto del 10 febbraio, approvato il 15 da Truman, aveva confermato quale
«obiettivo prioritario degli Stati Uniti riguardo all'Italia il mantenimento in quel paese chiave di
condizioni favorevoli alla nostra sicurezza nazionale », precisando che cc nel perseguirlo gli Stati
Uniti avrebbero dovuto fare pieno uso della loro potenza politica, economica e, se necessario,
militare per impedire che l'Italia cadesse sotto il dominio dell'Unione Sovietica» 25. Ne conseguiva
che le elezioni italiane non potevano essere considerate come un affare puramente interno: esse
costituivano invece un test decisivo nello scontro tra Est ed Ovest in una fase storica in cui la
divisione del mondo in blocchi stava giungendo ad un punto di non ritorno. La creazione del
Cominform nell'ottobre del '47, il totale fallimento della nuova conferenza dei ministri degli Esteri,
riunitasi a Londra tra novembre e dicembre per discutere le questioni della Germania e dell'Austria,
il colpo di Stato comunista a Praga alla fine di febbraio del '48: erano queste le nuove
manifestazioni che tra la fine del '47 e gli inizi del '48 contribuirono ad approfondire la già con-
sistente divisione tra Oriente ed Occidente e la preoccupazione occidentale di contrastare l'ulteriore
ampliamento della sfera d'influenza sovietica. La guerra fredda e le interferenze delle grandi
potenze furono dunque il fattore essenziale che trasformò la campagna elettorale in un acceso
dibattito sul problema della scelta tra Russia e America: come mai era avvenuto prima, le questioni
internazionali galvanizzarono l'opinione pubblica. Sta di fatto che i temi veri della campagna elet-
torale non furono tanto i problemi concreti della società italiana (progresso economico,
mezzogiorno, riforma agraria), quanto piuttosto gli aiuti del piano Marshall, la revisione del trattato
di pace, la crisi cecoslovacca26. Fu specialmente il tema concreto degli aiuti americani a trascinare la
competizione sul terreno della politica internazionale: la propaganda dei partiti filo-occidentali vi
insiste come su una carta di sicura presa sull'elettorato, mentre il Fronte socialcomunista lo pro-
spettò come lo strumento per un progressivo asservimento all'America.Ma un peso importante
acquistava anche l'atteggiamento delle grandi potenze di fronte ai problemi che il trattato di pace
aveva lasciato insoluti, e appunto in tale prospettiva si inquadrava l'iniziativa sovietica per le ex
colonie. Se la spaccatura dell'Italia in due grandi raggruppamenti politici antagonisti, di quasi pari
consistenza, rendeva oltremodo delicata la situazione politica interna, non v'è dubbio che questa
divisione e le incertezze che ne derivavano favorivano viceversa l'Italia sul piano internazionale: la

22
Palazzo Chigi e le colonie, « Rinascita », giugno 1948, p. 188. Riferendosi alle proposte sovietiche, Umberto
Terracini ha recentemente affermato che « il concetto ispiratore » di esse va ricercato nel « proposito di assicurare al
massimo alle popolazioni di quei territori le condizioni migliori per condurre a successo il moto in atto di liberazione »
e che « anche un mandato affidato alla sola Italia... non avrebbe rappresentato un ostacolo insormontabile all'ulteriore
processo di liberazione di quei popoli » (in: AA.VV., Italia e Stati Uniti durante l’amministrazione Truman, Milano,
Angeli Ed., 1976, pp. 245-246).
23
Memorandum del Policy Planning Staff, 24 settembre 1947, FRUS, 1947, voi. IlI: The British Commonwealth:
Europe, Washington, United States Government Printing Office, 1972, pp. 976-981.
24
Rapporto del National Security Council, 14 novembre 1947, FRUS, 1948, III, pp. 724-726.
25
Rapporto del National Security Council, 10 febbraio 1948, ivi, pp. 765-769.
26
Domenico Novacco, I Governi De Gasperi, in Italia 1945-48. Le origini della Repubblica, Torino, Giappichelli, 1974,
pp. 93-94.

5
previsione di una vittoria di stretta misura, dell'uno o dell'altro raggruppamento, con una posta in
gioco così alta, attirava all'Italia offerte e manifestazioni di simpatia da Est e da Ovest.
Ciò spiega perché, pur suscitando un certo imbarazzo nei circoli governativi, l'iniziativa di Mosca
non dispiacque a Sforza: essa offriva alla diplomazia italiana la possibilità di tornare nuovamente
alla carica a Londra e a Washington con più convincenti argomenti e, soprattutto, giocando la ' carta
' elettorale. Anzi, come ulteriore arma di pressione, Palazzo Chigi favorì nell'opinione pubblica
l'impressione che fosse imminente, da parte occidentale, una dichiarazione di pari contenuto a
quella sovietica27.
È stato rilevato che « la diplomazia di De Gasperi costituì l'esempio forse più grosso in tutta
la storia d'Italia di subordinazione della politica estera alla politica interna, di sfruttamento della
incipiente tensione nelle relazioni russo-americane per indebolire i comunisti italiani e, poiché
erano loro alleati, i socialisti»; e ciò in contrasto con la costante affermazione dello stesso De
Gasperi secondo cui la politica interna, incentrata su un crescente anticomunismo e antisovietismo,
aveva lo scopo di migliorare le condizioni del trattato di pace 28. Tale osservazione, che ci appare
sostanzialmente esatta con riferimento a De Gasperi, ci sembra vada capovolta nel caso di Sforza e,
d'altra parte, sia l'una che l'altra interpretazione — subordinazione della politica estera a quella
interna o viceversa — possono senz'altro coesistere ed è lecito parlare, più che di subordinazione, di
un continuo intrecciarsi tra obiettivi di politica interna e obiettivi di politica estera in particolare alla
vigilia delle elezioni del '48.
Quanto alla questione coloniale, se comunisti e socialisti strumentalizzarono subito
l'iniziativa sovietica a fini politici interni, Palazzo Chigi cercò subito di strumentalizzarla a fini
internazionali. In James Dunn, ambasciatore americano a Roma, Sforza trovava un interlocutore
assai sensibile alle sue argomentazioni. Sempre assai attento nel seguire gli sviluppi politici in corso
nella penisola, quasi quotidianamente Dunn richiamava da tempo l'attenzione del Dipartimento di
Stato sull'esito delle elezioni, contribuendo senza dubbio a rafforzare l'interesse che per esse si
nutriva a Washington. « La situazione elettorale — egli scriveva ai primi di febbraio — giustifica
gravi preoccupazioni e richiede particolare attenzione ». Partendo dal presupposto che cc il prestigio
del Governo De Gasperi poggia soprattutto sulla politica americana verso l'Italia », l'ambasciatore
sollecitava l'invio di nuovi aiuti alimentari e una dichiarazione del Governo americano dal quale
apparisse chiaramente agli Italiani la posta in gioco internazionale nelle imminenti elezioni:
bisognava contrastare cc punto per punto» la politica sovietica in Italia29.
A Dunn, al quale aveva fatto pervenire immediatamente tramite Zoppi copia della nota
sovietica30, Sforza sottolineò che la questione coloniale «ha assunto un grosso rilievo politico in
Italia dato il diffuso interesse dell'opinione pubblica», interesse che gli incidenti di Mogadiscio
avevano acutizzato. Di questa sensibilità aveva approfittato l'Unione Sovietica con la sua
dichiarazione ufficiale. Ebbene — proseguì Sforza, calcando un po' la mano — i Sovietici stavano
ottenendo l'effetto sperato: essi avevano offerto ai comunisti un'ottima occasione per attaccare il
Governo e gli Anglo-americani nella campagna elettorale in corso. C'era quindi da augurarsi che gli
Stati Uniti prendessero una qualche iniziativa favorevole alle tesi italiane e spingessero gli Inglesi a
fare altrettanto31.
A queste argomentazioni aderì prontamente Dunn. Già appena ricevuta la copia della nota
sovietica, egli aveva suggerito a Marshall « un'immediata dichiarazione del Governo americano (di
concerto con la Francia e possibilmente con il Regno Unito) non meno favorevole agli Italiani della
posizione assunta dall'Unione Sovietica nella questione coloniale»32. Facendosi portavoce delle
apprensioni manifestate da Sforza egli ripete al Dipartimento di Stato che era interesse degli Stati
Uniti « fare tutto il possibile per sostenere il prestigio del Governo italiano » prima del 18 aprile,

27
Promemoria di conversazione Tarchiani-Armour, 18 febbraio 1948, ivi, pp. 830-832.
28
Giampiero Carocci, Storia d'Italia dall'Unità ad oggi, Milano, Feltrinelli, 1976, p. 338.
29
Dunn a Marshall, tg. del 7 febbraio 1948, FRUS, 1948, III, pp. 827-830.
30
Dunn a Marshall, tg. del 17 febbraio 1948, ivi, p. 896, nota 3.
31
Dunn a Marshall, tg. del 19 febbraio 1948, ivi, pp. 896-898.
32
Tg. Dunn del 17 febbraio, il cui contenuto è richiamato in Dunn a Marshall, tg. del 6 marzo 1948, ivi, p. 903.
6
sottolineando che cc una dichiarazione favorevole all'Italia per le colonie potrebbe essere utilizzata
dal Governo con grande vantaggio per dimostrare la sua sollecitudine per gli interessi italiani e
contribuirebbe quanto meno a vanificare la favorevole posizione assunta in proposito dal
Cremlino»33.
Argomentazioni analoghe furono sostenute da Tarchiani nell'incontro del 18 febbraio con il vice
di Marshall, Armour. Nel sottolineare il valore propagandistico dell'annuncio sovietico,
l'ambasciatore disse che il Governo italiano era costretto, per ovvii motivi, ad accoglierlo di buon
grado », ma c'era da aspettarsi che esso avrebbe sollevato nella mente degli Italiani la questione
dell'atteggiamento delle altre potenze». Ora, mentre le relazioni italo-britanniche avevano subito un
sensibile miglioramento, l'atteggiamento pubblico del Governo di Londra era ancora men che
amichevole verso l'Italia, mentre lo stesso atteggiamento francese era spesso poco favorevole. Ciò
aveva creato un'atmosfera in cui la propaganda sovietica stava avendo un'influenza maggiore di
quella che avrebbe avuto se tutte le potenze occidentali si fossero mostrate ben disposte verso
l'Italia ». Per di più un atteggiamento poco amichevole da parte inglese rischiava di sminuire,
nellementi degli Italiani, l'amicizia e l'assistenza che gli Stati Uniti avevano accordato all'Italia in
misura così rilevante. Stando così le cose, concluse Tarchiani, c'era da augurarsi che gli Inglesi
dichiarassero almeno (di essere disposti a considerare con favore il trusteeship italiano, pur
rimettendosi alle risultanze della Commissione d'inchiesta» 34.Ma se le vive preoccupazioni per i
risultati elettorali spingevano Washington ad intervenire sempre più attivamente a sostegno del Go-
verno De Gasperi con aiuti economici e dichiarazioni di vario genere, esse non furono tali da fare
uscire gli Americani, come gli Inglesi, dal loro riserbo nella questione delle ex colonie. Il gesto
sovietico, dunque, indusse piuttosto gli Occidentali ad iniziative favorevoli all'Italia in altre
questioni.In verità, era difficile pensare che le due potenze anglosassoni intendessero impegnarsi
con una pubblica dichiarazione avente lo stesso contenuto di quella sovietica prima del 18 aprile. E
la ragione essenziale di ciò era stata perfettamente intesa da Gallarati Scotti già all'indomani dei
fatti di Mogadiscio. Dubito che tali chiarificazioni (con l'Inghiltera, circa le colonie) — aveva
scritto a Sforza il 27 gennaio — possano prendere forma concreta prima del 18 aprile prossimo dato
che Inghilterra e Stati Uniti sempre più vicini nelle loro vedute, sono oggi ugualmente preoccupati e
interessati per il nuovo assetto del Mediterraneo, specialmente dal punto di vista strategico, e che
ancora non sanno fin dove l'Italia di domani potrà essere una sicura collaboratrice o una più o meno
larvata amica di altre potenze, debole di fronte a interessi di un opposto imperialismo avanzante alla
conquista del Mediterraneo e ostile alle potenze occidentali»35.
Era, dunque, la preoccupazione circa i risultati della consultazione elettorale, di cui si è appena
sottolineato il significato internazionale, il principale ostacolo all'adesione anglo-americana alle
richieste italiane, né l'iniziativa sovietica poteva modificare tale atteggiamento: restituire le colonie
ad un'Italia che rischiava di cadere sotto il dominio dei comunisti significava mettere a repentaglio
la sicurezza mediterranea e, dunque, rinunciare ad un obiettivo strategico costantemente invocato
dalle alte sfere militari di Londra e Washington tutte le volte che la questione delle colonie italiane
era stata da esse presa in esame. Proprio l'argomentazione del rischio di una vittoria delle sinistre fu
anzi utilizzata fino alla chiusura della campagna elettorale dal Governo italiano e dalla stampa
filogovernativa per giustificare il riserbo anglo-americano, con l'obiettivo di ricavare un vantaggio
propagandistico da una questione che si poneva negativamente per il Governo sul piano elettorale.
Fu affermato che «dal voto del 18 aprile dipende se il recupero dei territori d’oltremare avverrà o
no» e che talune potenze, come l’Inghilterra, facevano in proposito «una pregiudiziale questione di
sicurezza»36.
Il fatto è che con l’acuirsi della guerra fredda specialmente la Libia era diventata un importante
anello della catena strategica angloamericana. I recenti accordi conclusi dagli Americani con gli
33
Dunn a Marshall, tg. del 19 febbraio 1948, cit.
34
Promemoria di conversazione Tarchiani-Armour del 18 febbraio 1948, cit.
35
Gallarati Scotti a Sforza, lettera del 27 gennaio 1948, in Ministero Affari Esteri, Tommaso Gallarati Scotti, Roma,
Tipografia M.A.E., 1974, pp. 79-81.
36
Intervista di Brusasca a «L’Avvenire d’Italia», 8 aprile 1948.
7
Inglesi per l’uso della base della Mellaha avevano reso evidente tale evoluzione. Proprio la
collaborazione politico-militare tra le due potenze anche nel Mediterraneo, inserita a sua volta in un
unico fronte diplomatico nei riguardi dell’espansionismo sovietico, rendeva assai improbabile una
iniziativa americana in favore delle richieste italiane sganciata da una preventiva intesa con
Londra. Ma non c’era da illudersi che gli Americani intendessero adoperarsi per convincere gli
Inglesi, come da parte italiana si chiedeva con insistenza: il deterioramento costante dei rapporti con
l’Unione Sovietica rafforzava la convinzione dei circoli militari americani, già maturata fin
dall’estate del ’47, circa l’opportunità di «non consentire all’Italia di riassumere il controllo su una
qualsiasi delle ex colonie fino a quando fosse divenuto chiaro che il Governo italiano sarebbe
rimasto non comunista». Pur considerando «assai importante» il mantenimento di un Governo
amico in Italia, i militari erano quindi del parere che non era il caso di «sollevare in questa fase la
questione delle ex colonie», ma era in ogni caso preferibile che le due potenze mantenessero il
controllo delle «necessarie» basi libiche37.
Se da parte americana si era riluttanti a prendere una decisione prima del 18 aprile, c’era nella
posizione britannica una rigidità che andava al di là dei risultati delle imminenti elezioni italiane e
che spiega il successivo atteggiamento del Foreign Office. Era ancora vivo, da parte inglese, il
ricordo delle battaglie aeronavali del Mediterraneo. Quali che fossero le disposizioni del Governo
italiano, la Gran Bretagna non voleva esporsi a nuovi rischi: essa intendeva controllare direttamente
o indirettamente le coste nordafricane. Seri dubbi si nutrivano anche circa il carattere definitivo
della eventuale collocazione internazionale dell’Italia. Neppur un risultato elettorale favorevole ai
partiti filo-occidentali avrebbe del tutto rimosso questa sfiducia inglese: a ciò contribuirono senza
dubbio, sia la consistenza dei partiti anti-occidentali, sia l’esistenza di forti venature neutralistiche
nel seno degli stessi partiti moderati. Rifletteva bene questo atteggiamento l’affermazione del
«Manchester Guardian» secondo cui: «anche se noi potessimo vincere le elezioni italiane in favore
della democrazia col permettere la restituzione delle colonie, quanto tempo ne durerebbe l'effetto?
Sarebbe, per dire il meno, imbarazzante che l'Italia, avendo prima ottenuto le sue colonie, poi
diventasse comunista alle prossime elezioni. Nella attuale situazione l'Occidente difficilmente
tollererebbe basi russe a Tripoli o a Massaua» 38. Ed era ancora nel vero Gallarati Scotti allorché
scriveva a Sforza il 23 marzo: «Per quanto riguarda la Gran Bretagna, potremo impostare su basi
costruttive e serie la questione africana solo dopo aver superato, a elezioni avvenute, una specie di
periodo di prova nel quale l'Italia: all'interno dimostri di poter sicuramente superare la fase critica
di quasi equilibrio politico tra estreme sinistre e correnti democratiche; in politica estera divenga
decisamente e stabilmente un elemento costitutivo dell'Unione occidentale agli effetti economici,
politici e militari; tenga conto delle esigenze strategiche e militari della Gran Bretagna e degli Stati
Uniti, dando prova anche nel campo coloniale di voler perseguire una politica di collaborazione con
la Gran Bretagna e abbandonando ogni tentativo di giocare su appoggi sovietici; dia sufficienti
garanzie di liberalità nei confronti delle recenti aspirazioni delle popolazioni indigene» 39. Oltre a
ciò, ed in parte come conseguenza di ciò, si era andato consolidando a Londra un orientamento che
non si intendeva per il momento modificare e tanto meno rivelare pubblicamente alla vigilia delle
elezioni per il timore di reazioni negative da parte di un'opinione pubblica che si era appena lasciata
andare ad uno scoppio di anglofobia dopo i fatti di Mogadiscio e, quindi, di danneggiare i partiti
filo- occidentali. Tanto più che tale orientamento si era andato evolvendo in senso più sfavorevole
alle richieste italiane in coincidenza con il maggiore interesse strategico assunto dalle ex colonie.
Se l'ipotesi di un  trusteeship sull'intera Libia, già ventilata durante le conversazioni del
Pentagono nell'autunno del '47, aveva allora suscitato qualche perplessità da parte inglese, a fine
gennaio essa appariva come una soluzione vantaggiosa. A suggerirla era la nuova importanza
strategica della Tripolitania associata ad una maggiore considerazione per le aspirazioni unitarie dei
Libici e all'idea che la restituzione della Tripolitania all'Italia avrebbe provocato, da parte degli
37
Memorandum dei capi di Stato Maggiore per Forrestal, 18 marzo 1948, FRUS, 1948, III, pp. 906-907.
38
The Italian Colonies, « Manchester Guardian », 27 marzo 1948.
39
Gallarati Scotti a Sforza, lettera del 23 marzo 1948, M.A.E., Tommaso Gallarati Scotti, cit., pp. 83-86.
8
Arabi, un'opposizione tanto violenta da mettere in forse lo stesso trusteeship britannico sulla sola
Cirenaica. Tutto ciò che si poteva consentire all'Italia era il ritorno in Tripolitania dei 60.000 coloni
rimpatriati oltre ad una rappresentanza italiana nell'eventuale assemblea legislativa. Prima
dell'arrivo della Commissione in Libia bisognava dunque preparare il terreno facendo notare ai
leaders della Tripolitania che, non essendo per il momento possibile l'indipendenza immediata,
l'unica alternativa al  trusteeship italiano, almeno per quanto riguardava la Tripolitania, era un
trusteeship britannico. Per il resto, il Foreign Office confermava la tesi del trusteeship italiano in Somalia
e in una parte dell'Eritrea 40. C'era dunque una lieve differenza nell'atteggiamento di Londra e
Washington: se per gli Americani non era il caso di fissare un orientamento prima delle elezioni, per
gli Inglesi non era opportuno uscire allo scoperto con dichiarazioni che avrebbero influenzato
negativamente gli elettori e dato nuove munizioni alla propaganda antioccidentale delle sinistre. Ma
il risultato era identico: massimo riserbo sulla questione coloniale e, come conseguenza di ciò,
maggiore propensione a favorire l'Italia in altri settori. In questo vedeva giusto l 'cc Avanti! » quando
scriveva che « il silenzio del Dipartimento di Stato sul punto di vista americano per le colonie ha un
chiaro significato elettorale»41.
Anche i lavori in seno alla conferenza dei sostituti riflettevano la preoccupazione degli Anglo-
americani di non esporsi in anticipo sulle elezioni italiane e, viceversa, l'intento sovietico di dare la
massima pubblicità alla sua iniziativa filo-italiana. Era questo il senso delle discussioni in merito
all'opportunità di ascoltare gli altri Governi interessati prima o dopo la stesura dei rapporti da parte
della Commissione d'indagine. La questione, infatti, da procedurale diveniva sostanziale perché
decidere nel primo senso significava costringere i Dominions, allineati sulle posizioni inglesi, a
rivelare gli orientamenti britannici sfavorevoli alle tesi italiane42e, nello stesso tempo, consentire ai
paesi europeo-orientali di pronunciarsi in favore di queste prima delle elezioni di aprile. Se in un
primo momento era stata agevolmente raggiunta dai sostituti l'intesa di fissare il calendario delle
audizioni sulla base delle risposte già pervenute 43e, quindi, di consentire audizioni preliminari prima
delle elezioni44, all'indomani dell'iniziativa sovietica gli Occidentali mutarono atteggiamento: al
sostituto americano Marshall raccomandò di proporre che l'audizione avesse luogo solo dopo la
presentazione dei rapporti da parte della Commissione 45. Ma i Sovietici si dichiararono, al massimo,
disposti a consentire che i Dominions esponessero i loro pareri entro la fine di marzo 46, né si
lasciarono convincere dall'argomentazione del sostituto americano che la loro tesi avrebbe costretto
i Governi interessati ad una procedura diversa da quella prevista per i Quattro, non obbligati ad
esporre il loro punto di vista in anticipo sulle risultanze dell'inchiesta47. Nella riunione del 1 marzo i
Sovietici parimenti si opposero alla proposta francese di iniziare le audizioni il 17 marzo e
concluderle il 14 maggio e proposero a loro volta che tutte le audizioni terminassero entro il 7
aprile. Al che inutilmente gli Anglo-americani, sempre temendo che gli altri Governi «potessero
mettere in imbarazzo le potenze occidentali», suggerirono di rinviare tutte le audizioni al 1°
maggio48. La difficoltà di giungere ad un compromesso su questo punto, costringendo a rinviare la
questione, favorì naturalmente gli Occidentali. Così, caduta la pregiudiziale delle elezioni italiane,
gli Anglo-americani tornarono alla tesi originaria di consentire agli altri Governi audizioni
preliminari senza che ciò pregiudicasse l'esposizione di pareri supplementari dopo avere preso
visione dei rapporti della Commissione49. Anche la questione dell'audizione dei profughi d'Africa,
risolta dai sostituti nella riunione del 10 marzo nel senso che la Commissione li avrebbe intervistati
in Italia dopo la conclusione dei suoi lavori in Libia50, fu motivo di preoccupazione a Washington
40
Promemoria di conversazione Alien-Palmer e Allegato, 23 gennaio 1948, FRUS, 1948, III, pp. 891-893.
41
« Avanti! », 4 marzo 1948.
42
Marshall a Gallman, tg. del 20 febbraio 1948, FRUS, 1948, III, p. 898.
43
Gallman a Marshall, tg. del 3 febbraio 1948, ivi, pp. 895-896.
44
Ivi, p. 898, nota 1.
45
Marshall a Gallman, tg. del 20 febbraio cit. e nota 2, p. 898.
46
Gallman a Marshall, tg. del 25 febbraio 1948, ivi, pp. 900-901.
47
Marshall a Gallman, tg. del 26 febbraio 1948, ivi, p. 901.
48
Gallman a Marshall, tg. dell'll marzo 1948 e nota 1, ivi, pp. 903-906.
49
Marshall a Gallman, tg. del 30 aprile 1948, ivi, p. 908.
50
Gallman a Marshall, tg. dell'll marzo 1948, cit.
9
per il timore che i Sovietici potessero ottenere dalla Commissione di inviare in Italia una loro
delegazione prima delle elezioni51.
Scoraggiava inoltre una dichiarazione anglo-americana in favore delle tesi italiane la piena
consapevolezza che essa, determinando una intesa di fatto tra i Quattro, avrebbe fatto registrare alla
questione un sostanziale passo avanti verso una soluzione favorevole all'Italia. Sotto questo profilo,
deve anzi ritenersi che nel gesto sovietico non vi fosse molto di più del movente elettorale e
dell'obiettivo di mettere in imbarazzo le potenze occidentali nei confronti del Governo italiano:
Mosca era cioè consapevole che appunto per questo motivo Londra e Washington non avrebbero
mai aderito alla sua iniziativa, che era pertanto destinata a restare platonica.
In queste condizioni non restava agli Anglo-americani che rifugiarsi dietro l'alibi, formalmente
corretto, che non era possibile pronunciarsi prima di conoscere i risultati dell'inchiesta. Ciò anche se
era facile rispondere, come fece Bidault, che nessuna critica avrebbe potuto rivolgere ad
un'eventuale dichiarazione occidentale l'Unione Sovietica che, per prima, aveva preso l'iniziativa52.
Da parte americana fu quindi risposto agli Italiani che «l'annuncio sovietico era giunto in un
momento in cui la Commissione d'indagine era ancora al lavoro in Somalia e che sarebbe stato assai
scorretto annunciare una decisone prima di prendere in esame i rapporti e prima di ascoltare i pareri
dei Governi interessati». Se comunque il Governo italiano desiderava controbilanciare la
dichiarazione sovietica, esso poteva dichiarare pubblicamente che «una Commissione d’inchiesta si
trovava in quel momento nelle ex colonie ed esprimere la fiducia che le decisioni finali sarebbero
state favorevoli all’Italia»53.
Se da parte americana si sosteneva anche pubblicamente che non era proceduralmente corretto
prendere sulla questione una decisione definitiva54, da parte inglese si mostrò subito un
atteggiamento anche più rigido nei riguardi delle tesi italiane: mentre si lasciò intendere che nessun
impegno poteva essere preso circa la sorte della Somalia, dell'Eritrea e della Tripolitania, si ribadì
fin dal 17 febbraio che «il Governo britannico resta fortemente contrario al ritorno di una
amministrazione italiana, anche provvisoria, in Cirenaica»55.
La convinzione che il vero ostacolo all'adesione degli Anglo-americani alle proprie richieste
fosse a Londra, indusse Palazzo Chigi da un lato ad insistere con Washington perché esercitasse
pressioni sugli Inglesi e dall'altro ad avanzare direttamente a questi ultimi proposte ben più modeste
e, quindi, più realistiche. Con Londra già prima dell'iniziativa sovietica, Sforza aveva tentato di
sfruttare l'argomento elettorale. Ma Bevin, riferendosi alla « procedura in corso di svolgimento»,
aveva lasciato intendere di non potere assumere alcun impegno circa le ex colonie56. Il 23 febbraio,
Sforza tornò alla carica con un messaggio personale per il titolare del Foreign Office. Egli affermava
anzitutto che non era giusto ritenere che <c qualsiasi proposta britannica, anche se ispirata dal più
profondo senso di comprensione, apparirebbe troppo lontana dalle illusioni che la dichiarazione
russa può aver creato tra gli Italiani» e che «lo stabilimento di una sincera collaborazione fra
l'Inghilterra e l'Italia dipende esclusivamente da una dignitosa soluzione di questa questione».
Suggeriva quindi l'avvio di amichevoli discussioni anglo-italiane e come provvedimento immediato,
diretto a controbilanciare la « teatrale » dichiarazione sovietica, quello di associare funzionari civili
italiani ai funzionari inglesi in Somalia: di tutte le ex colonie — precisava Sforza — era appunto
questo il territorio per il quale «il ristabilimento sotto qualsiasi forma della amministrazione italiana
incontrerebbe la minore opposizione, sia da parte delle potenze che da parte delle popolazioni
locali». Secondo il ministro italiano si trattava di una formula provvisoria, da adottare «in attesa di
decisioni finali»57, ma che in realtà avrebbe precostituito per l'Italia una posizione di indubbio
vantaggio al momento di decidere sulla Somalia. Ma essa non ebbe seguito: a nulla valse il
51
Marshall a Gallman, tg. del 17 marzo 1948, ivi, p. 906.
52
Caffery a Marshall, tg. del 4 marzo 1948, ivi, pp. 902-903.
53
Promemoria di conversazione Tarchiani-Armour, 18 febbraio 1948, ivi, pp. 830-832.
54
Marshall a Gallman, tg. del 20 febbraio, ivi, pp. 898-899.
55
« Relazioni Internazionali », 1948, p. 191.
56
Si ricava da Sforza-Bevin, lettera del 23 febbraio 1948, C. Sforza, Cinque anni a Palazzo Chigi, Roma, Atlante, 1952,
pp. 576-581.
57
Ivi.
10
richiamo alle sorti in pericolo della comune civiltà occidentale, alla crisi cecoslovacca, alla
«tremenda importanza psicologica, specialmente dal punto di vista delle nostre elezioni politiche e
della propaganda comunista, dell'incidente di Mogadiscio»58.
Tuttavia, si potè registrare in quelle settimane qualche sintomo di ammorbidimento
nell'atteggiamento di Londra verso l'Italia. In questo senso va interpretato l'accenno alla possibilità
che l'Italia entrasse nella futura Unione occidentale, secondo la proposta lanciata da Bevin nel
discorso del 22 gennaio ai Comuni 59. Come anche la tempestività e l'imparzialità con cui fu
condotta l'inchiesta sui fatti di Mogadiscio disposta dal Governo britannico: le conclusioni cui
pervennero i membri della  Court   of   Enquiry diedero una certa soddisfazione alle attese italiane. I
provvedimenti presi poi a carico dei principali responsabili, quali il capo dell'ufficio politico e il
comandante della gendarmeria, l'atteggiamento del nuovo amministratore capo brigadiere Drew e
l'accoglimento della richiesta, avanzata dal Governo di Roma, di costituire una rappresentanza
italiana a Mogadiscio, confermarono che di queste aspettative il Governo di Londra intendeva
tenere conto. L'8 marzo, infine, l'Ambasciata britannica a Roma annunciava la riammissione
dell'Italia nell'amministrazione della zona internazionale di Tangeri60.
Ebbero senza dubbio il loro peso, in questa evoluzione, le preoccupazioni per le conseguenze
dei fatti di Mogadiscio sulle elezioni italiane e, dopo il 16 febbraio, anche l'intento di
controbilanciare l'iniziativa sovietica. Un qualche sviluppo sembrò anche avere, in quelle settimane,
l'idea di uan partecipazione italiana ai programmi di collaborazione economica europea in Africa:
un'idea che era stata già ventilata da Sforza a Bevin nei colloqui londinesi dell'ottobre '47 e che
tornava improvvisamente sul tappeto con la messa in opera del piano Marshall. Già agli Americani,
riferendosi alle iniziative da prendere per sostenere il Governo De Gasperi in periodo preelettorale,
Bevin aveva promesso che avrebbe cercato di convincere Bidault a consentire l'inserimento
dell'Italia nel Consiglio per lo sviluppo dell'Africa, con l'obiettivo di aprire la via all'impiego di
personale e manodopera italiani «in diversi progetti agricoli ed edilizi in Africa»61. Il 15 marzo,
nella seduta plenaria della conferenza di Parigi per la cooperazione europea, Bevin accennò ad un
inserimento dell'Africa nell'ERP e l'accenno fu subito ripreso da Sforza 62. In quella occasione, come
poi riferì al Consiglio dei ministri, Sforza ebbe anche un lungo scambio di idee con Bevin circa le
colonie: si parlò di «una vasta collaborazione europea per la valorizzazione economica di parti
dell'Africa che furono finora lontane dalla nostra influenza e in tale opera sarebbe riconosciuta
all'Italia una condizione di assoluta parità»63.
Non era molto sul piano immediato. Ma, da parte italiana, era questo un modo più realistico di
affrontare la questione africana: l'obiettivo di conservare all'Italia un minimo di influenza in Africa
poteva conseguirsi, nelle valutazioni di Sforza, che in questo aderiva al giudizio di Gallarati Scotti,
anche attraverso la partecipazione italiana ai programmi di valorizzazione economica di quel
continente. Tale impostazione non doveva comunque pregiudicare l'azione italiana diretta ad
ottenere l'amministrazione fiduciaria almeno in qualcuna delle ex colonie. Ciò significava affrontare
la questione «nei suoi due aspetti complementari: ripresa della diretta influenza nei territori africani
e partecipazione a più vasti schemi collettivi»64.
C'era anche, in questa impostazione, che riprendeva una vecchia idea formulata da Sforza fin
dal '44, un significato politico di ben ampio respiro: con essa il ministro italiano intendeva dare al
problema coloniale il suo giusto posto nel contesto delle relazioni italo- britanniche ed anche nel più
vasto quadro di un rapporto europeo e prospettarlo soprattutto come diritto del lavoro italiano di
ritornare in Africa. Essa ben si combinava con quegli obiettivi di solidarietà europea cari a Sforza e
sembrava una volta tanto smentire l'impressione che da parte italiana la ripresa di buone relazioni
con Londra venisse sacrificata sull'altare della questione coloniale.
58
 Ivi.
59
«Relazioni Internazionali», 1948, pp. 69-72.
60
«Relazioni Internazionali», 1948, p. 265.
61
Douglas a Marshall, tg. del 6 marzo 1948, FRUS, 1948, III, pp. 843-845.
62
« Relazioni Internazionali », 1948, pp. 288-290. Si veda inoltre conferenza dei Sedici e Italia, ivi, pp. 274-275.
63
Ivi, p. 317.
64
Gallarati Scotti a Sforza, lettera del 23 marzo 1948, cit.
11
Ma sul piano delle dichiarazioni pubbliche, il Governo italiano non poteva permettersi il lusso,
specie in periodo di campagna elettorale, di modificare l'atteggiamento fino ad allora tenuto, pena
l'accusa di politica rinunciataria da destra e da sinistra: perfino le dichiarazioni di Sforza circa
l'intesa con Bevin a proposito della cooperazione euroafricana fecero scrivere all'«Unità» che
«dietro questa enunciazione in apparenza assai vaga si nasconde un piano che, oltre a costare al
nostro paese la perdita delle colonie, schiererà l'Italia a fianco del blocco militarista di Bruxelles che
della ' cooperazione africana ' ha fatto uno dei suoi capisaldi». «Tale formula — concludeva il foglio
comunista — significa la rinuncia definitiva da parte del Governo De Gasperi a ogni rivendicazione
legittima sulle nostre colonie d'Africa»65. Paradossalmente, dunque, anche l'atteggiamento dei
socialcomunisti incoraggiava, da parte del Governo, la difesa ostinata delle posizioni italiane in
Africa. Neppure la Cirenaica poteva essere dichiarata perduta. Certamente, anche queste
considerazioni di opportunità i elettorale ispirarono il memoriale sulla Libia, l'ex colonia che in
quelle settimane stava attirando maggiormente l'attenzione dell'opinione pubblica, fatto consegnare
da Palazzo Chigi ai sostituti il 9 marzo, alla vigilia dell'arrivo in quel territorio della Commissione
d'indagine66. La richiesta di amministrazione fiduciaria sull'intera Libia veniva in esso rinnovata,
mentre si precisava che il Governo italiano nulla avrebbe eccepito alla funzione che gli abitanti
della Cirenaica avessero voluto riservare alla Senussia nella struttura politica del loro paese e si
ricordava che la consistente comunità italiana residente in Tripolitania aveva sempre mostrato una
reale volontà di collaborazione con gli Arabi.
Vi era però, nel memoriale di Palazzo Chigi, qualche elemento di novità dettato evidentemente
dall’intento di dimostrare che l’Italia non ignorava l’importanza del nazionalismo arabo: non solo si
dava un rilievo nuovo all’obiettivo dell’indipendenza allorché si affermava che l’Italia chiedeva il
trusteeship «al solo scopo di preparare tutte le condizioni necessarie perché la Libia diventi appena
possibile uno Stato indipendente» ma veniva riaffermata «la fondamentale esigenza dell’unità,
consolidatasi per un lungo periodo di anni e conforme agli interessi delle popolazioni».
Riprendendo un concetto già suggerito da De Gasperi in un’intervista di circa un anno prima, il
documento dichiarava che l’Italia era pronta a concordare con le stesse popolazioni locali
«l’ordinamento politico che si fosse voluto dare a quel territorio affinché fosse garantito che le
clausole dell’accordo di amministrazione fiduciaria fossero pienamente rispondenti alla volontà
degli abitanti». In un radio messaggio indirizzato il 6 marzo ai Libici, Brusasca aveva inoltre
promesso «un Parlamento eletto a suffragio popolare, con ampi poteri legislativi», piena parità di
diritti tra Italiani, Arabi, Berberi ed Ebrei, libertà di stampa e di associazione, e dichiarato che era
«fermo intendimento dell’Italia di riparare ai torti inflitti ad alcuni in passato, restituendo le
legittime proprietà confiscate per motivi politici o indennizzando equamente i proprietari».
Riconoscendo che con la richiesta di trusteeship l’Italia perseguiva anche un suo interesse, Brusasca
aveva quindi concluso dicendo che questo «era poca cosa» di fronte all’interesse dei Libici e che
l’Italia era «la sola e più qualificata nazione che potesse in pieno accordo con essi, condurli
rapidamente all’indipendenza»67.
Nello stesso tempo, Palazzo Chigi continuò a battere con il Dipartimento di Stato sulla
necessità di indurre Londra ad aderire alla tesi italiana di  trusteeship su tutte le ex colonie: in
verità, le più modeste proposte di Sforza a Bevin avevano solo un significato tattico, nel senso che il
loro accoglimento da parte inglese avrebbe rappresentato un primo passo verso più consistenti
obiettivi. Vi insistette anche Dunn, argomentando che una «tempestiva iniziativa da parte degli Stati
Uniti, della Gran Bretagna e della Francia era essenziale per bilanciare in qualche modo la
propaganda elettorale comunista basata sulla recente dichiarazione sovietica» e chiedendo al
Dipartimento di ccriconsiderare con urgenza la sua proposta del 17 febbraio, che appariva senza

65
Il Consiglio dei ministri ratifica la politica di rinuncia alle ex colonie, « l'Unità », 8 aprile 1948.
66
Testo in «Rivista di studi politici internazionali », 1948, pp. 531-534 e «Relazioni Internazionali », 1948, p. 265.
Questo era cc poca cosa » di fronte all'interesse dei Libici e che l'Italia era a la sola e più qualificata nazione che
potesse, in pieno accordo con essi, condurli rapidamente all'indipendenza».
67
Ivi, p. 251.
12
dubbio preferibile a quella, da lui stesso avanzata il 1° marzo come ripiego, di garantire
pubblicamente ai profughi italiani cceguale trattamento rispetto agli altri elementi delle popolazioni
locali ove avessero scelto di tornare nelle colonie» 68. Soprattutto all'indomani della crisi
cecoslovacca (25 febbraio), a questa azione si aggiunsero le pressioni del  Quai d'Or say nei confronti
del Dipartimento di Stato. Non era stato diffìcile per Palazzo Chigi ottenere dai Francesi un'offerta
di mediazione in questo senso: la prospettiva di una vittoria elettorale del Fronte delle sinistre
preoccupava seriamente Parigi per le ripercussioni che essa avrebbe avuto in tutta l'Europa
occidentale e specialmente in Francia. Ma oltre a ciò i Francesi si battevano volentieri per una tesi
da essi sempre sostenuta, e non soltanto per amore dell'Italia. Già in un comunicato diramato il 19
febbraio, il Governo francese aveva ribadito il suo punto di vista riferendosi alla dichiarazione
sovietica e cogliendo l'occasione per rilevare il contrasto tra l'iniziativa sovietica e l'atteggiamento
tenuto da Molotov nel settembre 194569. In termini drammatici il  Quai   d'Orsay attirò l'attenzione
degli Americani sulla questione delle ex colonie italiane: a Washington Bonnet non mancò di
parlarne a Lovett in un colloquio del 1° marzo70, mentre a Parigi, nel dichiarare all'ambasciatore
Caffery di essere stati cc vivamente colpiti dalla brutale azione di Mosca in Cecoslovacchia», i
Francesi lo informarono che Bidault stava studiando le possibili iniziative da prendere.
Queste comprendevano non solo l'impegno a sostenere il  trusteeship italiano sulle ex colonie, ma
anche «la restituzione all'Italia di una parte della zona alpina ceduta ali Francia con il trattato di
pace»71. Ciascuna delle tre potenze occidentali, secondo il Quai, poteva adottare individualmente «
alcune iniziative dirette a rafforzare l'attuale Governo italiano », ma un'azione concertata dei tre
Governi era «in talune questioni essenziali» 72. La particolare insistenza francese per una
dichiarazione occidentale sulle ex colonie dimostra che, a prescindere da una reale ansietà per
1’elezioni italiane, Parigi intendeva sfruttare il momento per vedere finalmente risolta la questione
nella maniera più consona ai suoi stessi interessi in Africa. Tanto che non appena venne sul tappeto
la questione di una dichiarazione per Trieste, come ora si dirà, i Francesi dichiararono che era «
essenziale una iniziativa tripartita sulla questione coloniale e, in misura minore, su Trieste ,
partendo dal presupposto, tutto da dimostrare, che il popolo italiano era cc interessato ali sorte delle
colonie più che a qualsiasi altra cosa». Bisognava dunque che Stati Uniti e Gran Bretagna si
associassero alla Francia «in qual che formula di appoggio al principio della sovranità italiana sulle
colonie»73. cSiamo molto allarmati per quello che è accaduto in Cecoslovacchia», dichiarò Bidault a
Caffery. Egli non mancò di rimproverar agli Americani di avere assunto ccun atteggiamento assai
poco realista sulla questione coloniale», ripetendo che ccuna qualche forma di sostegno alla tesi
italiana sulle colonie da parte delle tre potenze occidentali era più importante di qualsiasi altra cosa
per disarmare la propaganda comunista nel cruciale periodo pre-elettorale... Ogni giorno più che si
consentiva ai comunisti, attraverso la loro potente macchi propagandistica, di battere sul fatto che
erano gli Stati Uniti e la Gran Bretagna a voler privare l'Italia delle sue colonie mentre l'Unione
Sovietica intende restituirgliele, molti voti in più saranno per noi perduti» 74. <Ma queste nuove
pressioni di Roma e Parigi non ebbero esito poiché il Dipartimento di Stato confermò la sua
posizione75. Comunque, sia pure senza molta convinzione, su istruzione di Marshall 76,
l'ambasciatore Douglas sollevò la questione con Bevin ai primi di marzo. Ma il titolare del  Foreign
Office, pur informando suo interlocutore che il suo Governo stava esaminando le iniziative dirette a
rafforzare il Governo De Gasperi, precisò che quanto al problema coloniale ccnulla poteva farsi o
dirsi per il momento»77.

68
Dunn a Marshall, tg. del 6 marzo 1948, FRUS, 1948, III, p. 903.
69
«Relazioni Internazionali», 1848, p. 191.
70
Marshall a Douglas, tg. del 2 marzo 1948, FRUS, 1948, III, p. 837.
71
Caffery a Marshall, tg. del 27 febbraio 1948, ivi, p. 838, nota 2.
72
Caffery a Marshall, tg. del 3 marzo 1948, ivi, pp. 839-841.
73
Ivi.
74
Caffery a Marshall, tg. del 4 marzo 1948, ivi, pp. 628-629 e 902-903.
75
Marshall a Douglas, tg. del 2 marzo 1948, ivi, pp. 837-839.
76
Ivi.
77
Douglas a Marshall, tg. del 6 marzo 1948, ivi, pp. 843-845.
13
L'ansia per l'esito delle elezioni italiane, accentuata dal colpo di mano a Praga, non modificava
dunque l'atteggiamento degli Angloamericani, ma a Washington, come a Londra, la questione di
iniziative preferibilmente congiunte in favore del Governo De Gasperi era oggetto di seria
considerazione78. Di ciò si era consapevoli a Roma: anche se da parte italiana si continuò a battere
sulla questione africana fino all'immediata vigilia delle elezioni, fin dai primi di marzo Sforza si era
convinto dell'estrema difficoltà di ottenere dagli Americani, fortemente condizionati
dall'atteggiamento inglese ed essi stessi restii ad uscire allo scoperto prima del 18 aprile, una presa
di posizione sulle colonie sfruttando l'argomento elezioni. Egli ritenne opportuno insistervi in vista
di qualche risultato a più lunga scadenza e, magari, come strumento di pressione per ottenere
vantaggi in altre questioni. Fu in questa prospettiva che all'indomani della crisi cecoslovacca e
facendo seguito a precedenti sondaggi, avviati d'accordo con De Gasperi alla fine del '47 e
intensificati agli inizi del '4879, Sforza maturò l'idea di tornare alla carica con gli Occidentali con
una nuova formula per la revisione delle clausole del trattato di pace concernenti Trieste: al-
l'ambasciatore Dunn, «che aveva dimostrato una maggiore apprensione degli interessi dell'Italia» 80,
il 1° marzo egli suggeriva una dichiarazione anglo-americana circa la restituzione della zona A
(occupata dagli Anglo-americani) del Territorio libero di Trieste insistendo sull'opportunità di essa «
dal punto di vista tattico in relazione alla campagna elettorale»81. Cade con ciò, per inciso, la
drastica affermazione, contenuta nelle memorie di Sforza, circa il movente non elettorale di questo
sondaggio presso gli Occidentali82, già del resto smentita da Tarchiani 83: come poc'anzi si rilevava,
in questa azione diplomatica l'obiettivo elettorale si conciliava perfettamente con quello di ottenere
nuovi vantaggi dagli Occidentali. Il suggerimento di Sforza giungeva in un momento propizio. An-
che a seguito dei sondaggi italiani all'indomani della ratifica del trattato di pace, la questione della
revisione delle clausole relative a Trieste era da tempo oggetto di attenzione a Londra e a
Washington. L'ipotesi di « dividere il Territorio libero in modo da restituire Trieste all'Italia»,
ventilata da Bevin alla fine di ottobre del '47 84, non era però stata accolta con favore dagli
Americani85. Anche dopo il fallimento dei negoziati italo-jugoslavi per la scelta del governatore,
questi ultimi restavano contrari ad un mutamento dello  statu quo che, comportando il ritiro da
Trieste dei diecimila soldati anglo-americani, avrebbe sguarnito pericolosamente il confine orientale
dell'Italia86. Tuttavia, il fallimento dei negoziati italo-jugoslavi aveva ulteriormente convinto gli
Anglo-americani circa l'opportunità di ' insabbiare ' una volta per sempre la formula del Territorio
libero e di mantenere salvo il principio dell'italianità di Trieste. Nello stesso tempo una spinta
decisiva all'accoglimento dei « pressanti suggerimenti» di Sforza 87 veniva dall'incertezza crescente
circa i risultati delle elezioni italiane, su cui proprio in quei giorni Dunn richiamò drammaticamente
l'attenzione del Dipartimento di Stato88. Se da tempo gli Stati Uniti si adoperavano per sollevare
l'Italia accordandole i mezzi per riprendersi economicamente, era giunto il momento di dare al
popolo italiano qualche importante soddisfazione di carattere più squisitamente politico e capace di
colpire in modo efficace l'elettorato. La stessa iniziativa occidentale di riproporre l'ammissione
78
Marshall a Caffery, tg. del 2 marzo 1948, ivi, p. 628.
79
C. Sforza, Cinque anni, cit., p. 322; ADTANS ((Paolo Canali), Alcide De Gasperi nella politica estera italiana (1944-
1953), Milano, Mondadori, 1953, p. 114.
80
Dichiarazione del portavoce di Palazzo Chigi, 23 marzo 1948, «Relazioni Internazionali», 1948, p. 283.
81
Dunn a Marshall, tg. del 1° marzo 1948, FRUS, 1948, III, p. 509, nota 1 e Dunn a Marshall, tg. del 4 marzo 1948, ivi,
pp. 509-510.
82
Sforza, Cinque anni, cit., pp. 321-322.
83
Tarchiani, Dieci anni tra Roma e Washington, Milano, Mondadori, 1955, pp. 142-145.
84
Memorandum Bevin a Inverchapel, 31 ottobre 1947, FRUS, 1947, IV, pp. 118-120.
85
Telegrammi Joyce a Marshall e Cannon a Marshall del 6-8 novembre 1947, ivi, pp. 121-123 e 123-124; Lovett a
Johnson, tg. del 12 dicembre 1947, ivi, pp. 129-130.
86
Marshall a Austin, telegrammi del 7 gennaio e 6 febbraio 1948, FRUS, 1948, III, pp. 502-503 e 506-508.
87
Sforza, Cinque anni, cit., p. 324.
88
Dunn a Marshall, telegrammi del 25 febbraio, 1° marzo e 10 marzo 1948, FRUS, 1948, III, p. 835 (nota 5), 835-836 e
845-847. Un ruolo importante ebbero anche le voci secondo cui Mosca si accingeva a prendere anch’essa un’iniziativa
per Trieste. Jean-Baptiste Duroselle, Le Conflit de Trieste, 1943-1954, Bruxelles, 1966, Editions de l’Institut de
Sociologie, p. 271, avanza l’ipotesi che queste voci fossero diffuse ad arte da Sforza.
14
dell'Italia all'ONU fu concepita dagli Americani ai primi di marzo in funzione delle elezioni italiane
anche a seguito di una raccomandazione del Consiglio di sicurezza nazionale89e fu caldeggiata
presso Inglesi e Francesi con l'opportunità di bilanciare gli effetti propagandistici dell'iniziativa so-
vietica per le ex colonie90.
Assai più utili, ai fini elettorali, sarebbero state una dichiarazione anglo-franco-americana in
favore del trusteeship italiano sulle colonie prefasciste o una dichiarazione che ri conoscesse
l'italianità del Territorio libero. Ma poiché la prima non era possibile per i motivi che si sono
sottolineati, il  Foreign   Office e il Dipartimento di Stato si orientarono decisamente verso la
seconda.
D’altra parte, prima ancora che Sforza la proponesse agli Americani e, lo stesso 1° marzo,
all’incaricato d’affari francesi de Courcel91, l’idea di un’iniziativa tripartita per Trieste era già
maturata a Parigi, secondo quanto ha riferito l’ambasciatore Quaroni. Oltre ad attribuire a Bidault il
merito della dichiarazione tripartita su Trieste, il racconto di Quaroni conferma in pieno il
parallelismo, anche da parte francese, tra l’iniziativa sovietica per le ex colonie e quella occidentale
per Trieste. All’indomani dell’iniziativa di Mosca, su istruzioni di Sforza, l’ambasciatore italiano
chiese dunque al Governo francese di adoperarsi presso gli Anglo-americani per indurli ad una
«soluzione a noi favorevole della questione delle colonie, in vista delle elezioni italiane» 92.
Effettuati i debiti sondaggi, Bidault si convinse che la richiesta di «una dichiarazione diretta a
sostenere il Governo italiano nella lotta ingaggiata contro i comunisti» poteva forse essere «più
facilmente soddisfatta a proposito di Trieste», fermo restando che la Francia avrebbe continuato ad
appoggiare «le richieste italiane in materia coloniale contro le pretese inglesi». In linea con questa
convinzione e dopo avervi accennato in Consiglio dei ministri, nella seduta del 25 febbraio 93,
Bidault disse a Quaroni che «per le colonie non c’era niente da fare», ma chiese se «ai fini delle
elezioni non potesse servire qualcosa per Trieste», precisando che secondo lui questo qualcosa si
poteva fare e che egli stesso desiderava cancellare la brutta impressione suscitata a suo tempo in
Italia dalla proposta francese di creare il Territorio libero. Avendo Quaroni confermato che «Trieste
aveva, per l’opinione pubblica italiana, un valore molto maggiore delle colonie», Bidault gli chiese
di non riferire al Governo italiano nel timore che inopportune indiscrezioni potessero indurre Mosca
a qualche contromossa94.
L'11 marzo, la questione fu esaminata dal  National   Security   Council. Partendo dal
presupposto che il Fronte delle sinistre ccstava facendo ogni sforzo per conseguire la vittoria alle
elezioni» approfittando dele difficoltà economiche, dei fermenti sociali in atto, e di «tempestive
dichiarazioni sovietiche dirette a colpire il sentimento nazionale degli Italiani come quella sulle
colonie», il  Council raccomandava una serie di nuove iniziative, approvate da Truman il 12 marzo,
dirette ad ostacolare una vittoria del Fronte popolare. Per la prima volta, queste comprendevano: un
annuncio circa l’intenzione americana di non assistere in futuro un Governo comprendente partiti
ostili agli Stati Uniti; l’invito, da rivolgere agli Europei, ad inserire immediatamente l’Italia nei
negoziati per l’Unione occidentale; «un annuncio immediato, d’intesa con i Governi britannico e
francese, circa l’appoggio degli Stati Uniti per un’immediata revisione del trattato di pace nel senso
della restituzione di Trieste all’Italia»95.
Quanto all'inclusione dell'Italia nel Patto di Bruxelles, è ormai noto che non tutti i Governi
partecipanti ai negoziati ne condividevano l'opportunità: non solo non era il caso di impegnarsi con
un Governo le cui sorti erano legate all'esito delle elezioni, ma comprendendo subito l'Italia si
89
Rapporto del National Security Council, 10 febbraio 1948, FRUS, 1948, III, pp. 765-769.
90
Marshall ad Austin, tg. del 12 marzo 1948, FRUS, 1948, I, 1st Part, pp. 173-174.
91
Duroselle, Op. cit., p. 271.
92
Pietro Quaroni, Le trattative di pace: Mosca, Parigi, in «Studi per il ventesimo anniversario dell’Assemblea
costituente», vol. I: La Costituente e la democrazia italiana, Firenze, Vallecchi, 1969, p. 737.
93
Vincent Auriol, Journal du Septennat 1947-1954, Tome II: 1948, Paris, Libraire Armand Colin, 1974, p. 111.
94
Quaroni, Op. cit., p. 737.
95
Rapporto del National Security Council, 8 marzo 1948, FRUS, 1948, III, pp. 775-779 e note 2 e 3.
15
rischiava, per di più, di dare un'arma elettorale in mano ai socialcomunisti, decisi avversari di
qualsiasi idea di blocco occidentale. Essa fu comunque presa in seria considerazione da Marshall
come iniziativa diretta ad influenzare le elezioni di aprile96: furono sondati in questo senso i Governi
interessati e lo stesso Governo italiano. Pur qualificando « eccellente » il nuovo accordo, De
Gasperi fece intendere che « non sarebbe opportuno per il momento un passo del genere in vista
delle elezioni»97. Anche dopo la firma del Patto di Bruxelles rimasero in piedi le riserve inglesi e del
Governo italiano98e fu concordato che un invito formale sarebbe stato rivolto all'Italia solo dopo le
elezioni99. Tanto più in quanto le raccomandazioni del  National   Security   Council tacevano
completamente in merito alle colonie, queste riserve incoraggiarono ulteriormente l'idea
dell'iniziativa per Trieste, che nel frattempo aveva incontrato anche a Londra un'accoglienza
favorevole. Messo a punto dal Dipartimento di Stato nei primissimi giorni di marzo 100, prima ancora
che Truman approvasse le raccomandazioni del  National   Security   Council, il progetto di
dichiarazione fu presentato quindi agli Inglesi e ai Francesi dall'ambasciatore a Parigi Caffery 101ed
infine a De Gasperi da Dunn il 15 marzo 102, mentre Sforza ne fu informato da Bidault in occasione
della conferenza dei Sedici a Parigi103.
Si giunse così alla dichiarazione tripartita del 20 marzo 1948, con la quale le tre potenze
occidentali si impegnavano a sostenere il ritorno del Territorio libero di Trieste alla sovranità
italiana104. Dalla ricostruzione che precede si deve concludere che essa fu sostanzialmente
determinata dalla estrema riluttanza degli Anglo-americani a concepirne un'altra dello stesso tenore
di quella sovietica sulle ex colonie: significativamente, il 20 marzo 1948, in occasione della firma
del protocollo istitutivo dell'unione doganale italo-francese a Torino, Bidault ritenne di dover
ribadire nei termini seguenti la posizione del suo Governo sulla questione africana un attimo prima
di annunciare la dichiarazione su Trieste: «La Francia ha preso posizione fin dall'origine e può
vantare una ben lunga anzianità. Essa è risoluta a perseguire i suoi sforzi affinché la massima
soddisfazione sia data in questo campo alla nuova Italia democratica, degna di partecipare nel
mondo, con le altre potenze, all'opera civilizzatrice del nostro mondo umanistico e cristiano » 105. È
certo che con la dichiarazione del 20 marzo gli Occidentali, almeno per il momento, non si
proposero molto di più di un obiettivo propagandistico: essa mirava a favorire il Governo De
Gasperi sul piano elettorale con il vantaggio di lasciare le cose com'erano.
La stessa decisione di estendere l'impegno tripartito a tutto il Territorio libero (compresa quindi
la zona B occupata dagli Jugoslavi), in contrasto con gli intendimenti originari britannici e con
l'iniziale richiesta di Sforza (che sotto questo profilo era assai abile) era stata caldeggiata dai Fran-
cesi e accolta dallo stesso De Gasperi come soluzione preferibile a quella più restrittiva appunto per
prevenire una possibile adesione sovietica alla proposta di assegnare la zona A all'Italia e la zona B
alla Jugoslavia che avrebbe vanificato gli effetti propagandistici dell'iniziativa occidentale106. Questa
adesione sovietica era invece da escludere nel caso di una dichiarazione concernente l'intero
territorio libero: in conclusione, gli Occidentali potevano dormire sonni tranquilli perché lo  statu quo
non sarebbe stato toccato. Il carattere platonico della dichiarazione tripartita fu subito rilevato dalle
sinistre che, d'altra parte, evitarono di sottolineare il fatto che l'Unione Sovietica, aderendovi,

96
Marshall a Dunn, tg. dell’11 marzo 1948, ivi, pp. 45-46.
97
Dunn a Marshall, tg. del 16 marzo 1948, ivi, pp. 53-54.
98
Resoconto delle conversazioni anglo-americano-canadesi del 29 marzo 1948, ivi, pp. 69-70.
99
Resoconto delle conversazioni anglo-americano-canadesi del 1° aprile 1948, ivi, pp. 71-75.
100
Tarchiani, Op. cit., pp. 143-144.
101
Marshall a Caffery, tg. del 13 marzo 1948, FRUS, 1948, III, pp. 512-514.
102
Dunn a Marshall, tg. del 16 marzo 1948, ivi, p. 514.
103
Dunn a Marshallì, tg. del 18 marzo 1948, ivi, pp. 515-516.
104
Testo in «Relazioni Internazionali», 1948, p. 283.
105
Ivi, p. 286.
106
Telegrammi Caffery del 13 e 15 marzo 1948, FRUS, 1948, III, p. 513, note 1 e 2; Dunn a Marshall, tg. del 16 marzo
1948, ivi, p. 514.
16
l'avrebbe resa operativa: se platonica era la dichiarazione su Trieste, altrettanto poteva dirsi di quella
sovietica sulle ex colonie, a proposito della quale si accusò invece l'Inghilterra di non avervi aderito.
In verità, l'iniziativa occidentale venne a mettere in serio imbarazzo il Fronte popolare, che vi reagì
in maniera piuttosto confusa. L'argomento del quale la propaganda delle sinistre si avvalse
maggiormente per sminuirne il valore, fu proprio la questione coloniale: la stessa notizia della
dichiarazione apparve il giorno dopo sulla stampa socialcomunista con titoli come: « Ignorando le
colonie, Briga e Tenda, le democrazie occidentali ci promettono Trieste»107; oppure: cc La revisione
del trattato di pace vana lusinga senza la Libia » 108. ccPerché l'Inghilterra, pronta sempre a vendere la
pelle dell'orso prima che sia ammazzato — si chiedeva l’' ccAvanti!» — non aderisce alla proposta
della Russia di restituirci le colonie sotto forma di mandato? », e precisava: « per restituirci le
colonie l'Inghilterra non ha da chiedere permesso a nessuno dal momento che è la sola ad opporsi a
quest'atto di giustizia. Perché gli Stati Uniti non esercitano al riguardo pressione su Londra e si
chiudono nella questione coloniale in un riserbo che non è degno di una grande potenza? »109. Il
richiamo alla questione coloniale tornava dunque utile: « Perché l'Inghilterra e l'America ci parlano
solo di Trieste e ci rifiutano il mandato sulle colonie e trasformano le nostre colonie in piazzeforti e
basi per la loro politica aggressiva?»110, scrisse Ingrao, mentre Togliatti, ribadendo il concetto,
dichiarò in un discorso elettorale il 22 marzo che  «il Governo inglese, se proprio vuole dimostrarsi
nostro amico, perché invece di cominciare da Trieste, non comincia col dichiarare di essere
d'accordo che rimangano all'Italia le sue vecchie colonie? »111.
Né si mancò di richiamare alla memoria degli elettori i fatti di Mogadiscio con commenti come
questo:  cc Gli Stati Uniti non si dimostrano capaci di fare altre offerte all'Italia che non riguardino
cose di cui essi non possono disporre e subito come ad esempio la concessione del mandato sulle
nostre ex colonie... Lo stesso dicasi per l'Inghilterra che, dopo essersi impadronita delle nostre ex
colonie, le sta mettendo a sacco organizzando persino, come a Mogadiscio, massacri degli
Italiani»112. Infine, alle accuse di platonicità rivolte agli Occidentali, il 26 marzo la stampa di
sinistra fece seguire la notizia, riportata con grande rilievo, che la Polonia si era dichiarata in favore
della restituzione delle colonie all'Italia con la sola eccezione di uno sbocco al mare per l'Etiopia 113.
Certo, questo tipo di argomentazioni dimostrava che con la dichiarazione tripartita, a circa un mese
dalle elezioni, l'iniziativa sovietica per le ex colonie era pienamente controbilanciata, tanto più che,
rispetto a quella africana, la questione di Trieste era più diffusamente sentita dall'opinione pubblica.
È significativo che al quesito se vi fosse nella dichiarazione un movente elettorale, ai Comuni Bevin
non trovasse di meglio che rispondere: « Io non ho accusato il Governo sovietico di compiere una
manovra elettorale per il fatto che esso ebbe a proporre di restituire le colonie all'Italia e non credo
che io debba ora essere a mia volta accusato»114. È indubbio che furono soprattutto gli aiuti del
piano Marshall ad assumere «un ruolo decisivo e probante nella convinzione della maggioranza
degli Italiani e di ciò le vicende del 1948, in particolare l'esito delle elezioni del 18 aprile,
costituiscono una prova irrefutabile»115.
La dichiarazione su Trieste costituì però un assai efficace e tempestivo coronamento di tutta
l'azione occidentale di massiccia interferenza nelle scelte elettorali degli Italiani: anche a
prescindere dal suo effettivo contributo alla vittoria dei partiti moderati 116, essa colpì non poco
l'amor proprio ed il sentimento nazionale di vasti strati dell'opinione pubblica mettendo in grave
107
«Avanti!», 21 marzo 1948.
108
Ivi, 26 marzo 1948.
109
La pelle dell’orso, ivi, 21 marzo 1948.
110
P. Ingrao, Difendiamo Trieste e la pace, «l’Unità», 21 marzo 1948.
111
Ivi, 26 marzo 1948.
112
Ivi.
113
«l’Unità» e «Avanti!», 26 marzo 1948. Il testo della nota polacca è in «Relazioni Internazionali», 1948. P. 305.
  Ivi, p. 284. Contemporaneamente, il 25 marzo, il sottosegretario agli Esteri Mayhew ribadiva che il Governo
114

britannico non poteva dire nulla circa le ex colonie italiane in attesa dei rapporti della Commissione d'inchiesta (Parlia -
mentary Debates: House of Commons Official Report, London, HMSO, 1948, vol. 445, cols. 1520-1521, 25 marzo
1948).
 Domenico Novacco, a c. di, Storia del Parlamento italiano, vol. XIV, Palermo, Flaccovio, 1971, p. 170.
115

116
Cfr. Antonio Gambino, Storia del dopoguerra. Dalla liberazione al potere DC, Bari, Laterza, 1975, p. 452.
17
imbarazzo il Fronte popolare. Aveva ragione Manlio Brosio quando annotava nel suo diario alla
data del 22 marzo 1948: “Splendida manovra elettorale. I Sovietici ci offrono le colonie che gli
Inglesi non ci vogliono dare, gli Americani ci propongono Trieste per togliere l’iniziativa ai
Russi”117. Ebbene, dalla ricostruzione che precede si ricava l'interessante conclusione che alle
origini di essa vi fu una iniziativa francese stimolata dalla rigida opposizione angloamericana ad
una dichiarazione favorevole all'Italia sulla questione delle ex colonie e, quindi, il gesto dell'Unione
Sovietica a due mesi dalle elezioni italiane. Visto in questa prospettiva, tale gesto ebbe pertanto una
portata ben più vasta di quanto potrebbe a prima vista sembrare: esso fece prendere corpo ad una
iniziativa alla quale, per la formula impiegata, né gli Italiani né gli Occidentali avevano inizialmente
pensato.

117
M. Brosio, Diari di Mosca, 1947-1951, a cura di F. Bacchetti, Bologna, il Mulino, 1986, p. 251.
18

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