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Il Ribelle

Ernst Jünger, dopo la fine della guerra e la distruzione della Germania,


che lo portarono a prendere irrimediabilmente atto della natura
nichilista e distruttiva della modernità nelle forme fino ad allora
proposte, elaborò un’alternativa al totalitarismo liberaldemocratico
imperante. Se non era più possibile un’azione collettiva, come quella
prospettata dalla mobilitazione totale, rimaneva però una via di fuga
individuale, quella del “passaggio al bosco” (Waldgang), descritta nel
saggio del 1951 “Il trattato del ribelle” (Der Waldgang), edito in Italia da
Adelphi.

Sul titolo va operata una precisazione etimologica.


Il Waldgänger (“colui che passa al bosco”) – qui tradotto come ribelle –
era, nell’antica cultura germanica, il proscritto, colui che bandito dalla
comunità per aver commesso un delitto, se ne purificava vivendo nella
foresta (Wald), non gli attuali boschi ormai antropizzati e coltivati, ma
l’originaria foresta vergine che copriva l’Europa. In Jünger questa
figura assume un significato simile, anche se meno letterale.

Infatti, in un’epoca come la nostra, le domande sono sempre più


semplici e drastiche, e prendono la forma di una sorta d’interrogatorio
da parte di chi detiene il potere. Tanto più la libertà di dire “no” è
sistematicamente intimidita e limitata, quanto più però questo rifiuto
acquista una forza maggiormente eversiva. Questa presa di posizione,
anche non dovesse scuotere il nemico, ha l’indiscutibile effetto etico
però di mutare chi la compie. Si afferma così una terza figura: il
Ribelle, la cui scelta di passare al bosco esprime la libertà, tanto più
preziosa quanto essa conferisce un senso umano alla necessità
storica. Questo singolo uomo su cento, forte del proprio coraggio e
della nozione del diritto, è in grado di mettere in pericolo lo Stato
dittatoriale, esso stesso tanto più in pericolo, quanto più brutale,
proprio perché la maggioranza consenziente, essendo docile, è
inaffidabile, mentre la minoranza ribelle, essendo decisa, è irriducibile.

In epoca di guerra fredda, il passaggio al bosco, contrapposto alla


nave/Stato, reso più difficile dall’attuale dipendenza della vita del
singolo dalle strutture collettive, è possibile in ogni parte della terra, ed
è in grado di restituire la sovranità al singolo e far crollare i Titani.
Mentre la necessità, infatti, è più che altro una prova, la libertà invece,
pur richiedendo sacrifici, è l’autentico motore della Storia.
Chiaramente, l’imminenza della catastrofe apertamente preparata dal
sistema moderno, non fa che rendere più urgente questa scelta di
campo. Di qui non deriva che l’immaginazione debba staccare l’uomo
dalla realtà, bensì che essa debba ricostruire, tramite il bosco,
un’alternativa di quiete all’immagine ambigua del Titanic/Leviatano
(comfort/terrore) che rappresenta invece la modernità. Il Ribelle deve
affrontare anche la paura, un sintomo del nostro tempo, che si svela
appieno qualora l’automatismo del Potere si mostri nella sua fatalità.
Liberare l’uomo da questa paura, metterlo in dialogo con essa,
sgombera le maschere imposte dalla tecnica ed apre la via al
“passaggio al bosco”, in cui il potere del singolo, dell’uomo creato
libero da Dio si afferma appieno.

Il Ribelle, quindi, date queste premesse, non può limitarsi certo


all’indifferenza, ma deve ridefinire la sua libertà. Egli deve dunque
evitare sia un’azione esclusivamente interiore che un’azione
esclusivamente concreta, resistendo al potere con ogni mezzo, ma
mantenendo il contatto con quell’energia primigenia e quelle radici
profonde, ancor oggi presenti nell’uomo comune, cui conferiscono
un’innata saggezza. Nel bosco l’uomo ritrova e riconosce la propria
essenza interiore. Qui egli affronta e supera, come in un’iniziazione, la
paura della morte. Le Chiese possono offrire oasi nel deserto che
cresce, ma l’uomo deve saperne essere autonomo, perché di fronte a
questa decisione si trova ad essere solo. Questo non toglie, tuttavia,
che vitale sia l’opera del teologo e delle Chiese nell’aiutare l’uomo a
prendere consapevolezza della sua condizione, fornendogli gli
adeguati strumenti d’orientamento spirituale. Questo incontro con se
stesso, fa sì che egli debba saper fare a meno della medicina corrente,
del diritto moderno, e conservare anche in questi ambiti, come pure
nella scelta degli armamenti di cui servirsi, la libertà della sua scelta.
Fondamentale è quindi che egli non perda il contatto con l’essere, il
luogo da cui sboccia il Verbo che, trascendendo la lingua, diviene
potenza creatrice.

In sintesi, si può vedere come il Ribelle sia incentrato sul tema della
sovranità del singolo, data dal contatto con territori vergini da cui può
scaturire l’Assoluto, per cui il passaggio al bosco è per Jünger la giusta
e necessaria risposta ai tentativi di tagliare questo contatto e spogliare
l’uomo della propria libertà di scelta. Perciò, nonostante il Ribelle sia
un uomo della modernità, posto in contrasto con l’ordine politico
moderno, affonda le sue radici in un terreno primigenio e astorico,
traendo di qui la libertà e la sicurezza di sé necessarie a liberare se
stesso dalla paura e dalla rassegnazione verso il fatalismo e
l’automatismo del potere e conferirgli la legittima sovranità nei campi
del diritto, della teologia, della medicina, dell’etica. Ne consegue che
l’opposizione vitale e vincente al totalitarismo non può essere basata
su fondamenta meramente materiali e moderne, bensì deve essere
inevitabilmente connessa alla sfera spirituale ed eterna.

fonte: Andrea Virga su http://andreavirga.blogspot.it


L'Anarca
Nel pensiero di Ernst Jünger, a partire dagli anni ’60, la concezione del
Ribelle si evolve man mano, confluendo in quella dell’Anarca, ovvero
da una concezione etica di resistenza attiva e anti-sociale, si passa a
una concezione etica più ampia di resistenza passiva e a-sociale.
Infatti, l’epoca storica si avviava ad essere destinata non più alla
mobilitazione totale, ma alla ripetizione di periodi cesaristici e
diadochici ormai privi di storia, già prefigurati nel cesarismo
spengleriano, e del tutto calzanti ai nostri tempi. In quest’ottica, si
rovescia perciò anche il modello proposto: da un uomo che è bandito
dalla società, a un uomo che ha bandito la società da se stesso. Al di
là dell’evoluzione di pensiero determinata dal cambiamento della
situazione storica, con l’avanzata dilagante del nichilismo (crisi
nucleari, conflitti di decolonizzazione, Contestazione) non bisogna
neanche trascurare l’ampliamento delle conoscenze di Jünger, dovuta
per esempio allo studio delle religioni e delle tradizioni orientali proprio
al periodo di collaborazione con Mircea Eliade alla rivista “Antaios”, da
loro due fondata, il che suggerisce e spiega gli spunti di connessione
dell’Anarca con certe dottrine orientali, come il Tao. L’opera
fondamentale sull’Anarca, in cui questa figura è rappresentata e
teorizzata, è il romanzo criptostorico Eumeswil (1972), il libro
conclusivo di una trilogia narrativo-simbolica che si snoda da Auf den
Marmorklippen ad Heliopolis, descrivendo le tre diverse fasi
dell’affermazione della modernità, ovvero dal rovesciamento dell’ordine
tradizionale alle lotte interne per il potere, fino allo stabilirsi di un nuovo
ordine totalitario tirannico-demagogico. Nella città-stato postmoderna
di Eumeswil, contesa tra l’alternarsi di oligarchie tribunizie e dittature
personali, vive e si racconta Martin Venator, assistente e studioso di
storia all’università e al contempo steward privato del Condor, il tiranno
che domina la città. Questa vicinanza al potere è vissuta in modo
esterno come un’occasione preziosa di apprenderne i meccanismi, in
funzione della sua attività di storico, e tuttavia comporta tutta una serie
di pericoli che il protagonista prende in considerazione. Dalla sua
figura e dai suoi pensieri, emerge quindi il ritratto dell’Anarca
jüngeriano. L’intreccio è in realtà limitato a un lungo monologo del
protagonista che descrive estesamente la situazione e i suoi pensieri,
fino a giungere all’improvviso finale. Jünger constata come in ogni
uomo vi sia al fondo un principio anarchico e libertario, in modo simile
all’Unico di Stirner, da cui l’Anarca si distacca però in quanto cosciente
della sua libertà. Egli è totalmente indipendente, sia sul piano politico,
sia su quello intellettuale e spirituale. Il suo approccio è quello
spensierato e ludico del fanciullo nietzscheano, per cui il dovere è
affrontato come una vacanza, e il riposo come una veglia, rimanendo
continuamente presente a se stesso. Così, egli potrà sempre
mantenersi libero dagli impegni della società. Questo non significa
però ch’egli non può parteciparvi, anche emotivamente, ma
semplicemente che manterrà sempre la sua libertà di giudizio e
d’azione e una riserva di fondo, che gli consenta di declinare il proprio
impegno, qualora questo non gli sia più accettabile moralmente. La
morale dell’Anarca non è un codice rigido, né un legame esterno, ma è
strettamente autonoma e non codificata. L’unica autorità ch’egli
riconosce è se stesso, oltre al diritto di ciascun altro individuo a porsi
come Anarca. Per mantenersi puro rispetto a influenze esteriori, è
sempre opportuno dunque un certo distacco, e una visione della realtà
obiettiva, come quella di uno storico. Lo studio della Storia diventa
istruttiva perché permette di storicizzare ogni attualità e considerarla in
maniera neutra, così come rivela le regole e i meccanismi della politica
e delle leggi. Infatti, come sottolinea in più passi Jünger, l’Anarca è ben
differente dall’anarchico: quest’ultimo è impegnato politicamente e
socialmente, e pur disprezzando le norme della società, egli riconosce
l’autorità, dal momento che vi lotta contro; di fatto, l’anarchico è
bloccato dai pregiudizi e dai valori cui aderisce. Ben diversamente,
l’Anarca mantiene una serena adesione e una costante vigilanza, tali
da poter partecipare liberamente alla società, ma senza legami o
costrizioni di sorta. Il suo rapporto con l’autorità non è conflittuale, dal
momento che egli stesso esercita autorità su se stesso. La sua libertà
interiore è la stessa di un Cesare sopra i propri domini. Sa di avere
ogni diritto, compreso quello di uccidere se stesso. Grazie all’analisi
storica ha imparato come governare se stesso e come sono governati
gli uomini. Così, egli accetta la società, ben sapendo che la sua libertà
non dipende dalle libertà materiali. In conclusione, si può osservare
che l’Anarca, rispetto al Ribelle, non costituisce un cedimento o una
ritirata. È sbagliata infatti la contrapposizione tra uno Jünger giovane e
ribelle e uno Jünger invecchiato e imborghesito proposta da Evola, il
cui “Cavalcare la Tigre” molto ha in comune con lo Jünger postbellico.
Al contrario, il passaggio al bosco è solo una delle possibilità
dell’Anarca, il quale prende le mosse dal Ribelle, ma – con una
maggior coscienza del totalitarismo odierno e un declinare
dell’ottimismo da parte dell’autore – questa nuovo tipo umano sviluppa
queste problematiche a un livello più profondo e più elevato, dal
momento che ha raggiunto un’ancor più piena libertà interiore.

fonte: Andrea Virga su http://andreavirga.blogspot.it

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