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Capitolo III. Lucia, rimasta sola con la madre e con Renzo, racconta
di avere suscitato l’interesse di don Rodrigo, e allora i tre decidono di
rivolgersi ad un avvocato, l’Azzecca-garbugli.
L’avvocato, durante l’incontro con Renzo, pensa, sbagliando, che
invece di avere subito un torto, è Renzo un bravo che ha fatto
qualcosa di brutto e che cerca di evitare la punizione andando da un
avvocato. Perciò pensa di aiutarlo, ma quando scopre che invece
Renzo è la vittima di don Rodrigo, allora rifiuta l’incarico e non gli da
neanche spiegazioni, perchè si spaventa della potenza di don Rodrigo.
Intanto Lucia insiste con la madre per parlare con fra Cristoforo, un
frate cappuccino in cui ha molta fiducia. Mentre le due donne
pensano come fare a parlare con fra Cristoforo, arriva fra Galdino,
che chiede delle noci per il suo convento e che racconta alle donne una
fiaba. Lucia decide di dare a fra Galdino un messaggio per fra
Cristoforo.
Ritorna Renzo, deluso per l’incontro con l’avvocato, e le due donne
cercano di calmarlo e gli dicono che hanno chiesto l’intervento di fra
Cristoforo. Intanto è già sera e i tre devono separarsi.
Per tutto il giorno nelle strade si ode " un ronzio confuso di voci
supplichevoli, la notte, un sussurro di gemiti," ma non si ode " mai un
grido di sommossa. ". Eppure, osserva il Manzoni, tra coloro che
soffrivano " c’era un buon numero di uomini educati a tutt’altro che a
tollerare, " per cui conclude che spesso " ci rivoltiamo sdegnati e
furiosi contro i mali mezzani, e ci curviamo in silenzio sotto gli
estremi". Se qualcuno era in grado di fare qualche elemosina, la scelta
era ardua; all’ avvicinarsi di una mano pietosa, all’intorno era una
gara d’infelici, che stendevano la loro mano. Poiché le strade
diventano ogni giorno di più un ammasso di cadaveri, trascorso
l’inverno e la primavera, il tribunale di provvisione decide " di
radunare tutti gli accattoni, sani ed infermi, in un sol luogo, nel
lazzaretto, " dove potranno essere aiutati a spese del pubblico. In
pochi giorni gli infelici ospitati divengono tremila; ma i più, o per
godere l’elemosine della città o per la ripugnanza di star chiusi nel
lazzaretto, restano fuori. Per cacciare dunque gli accattoni al
lazzaretto, si deve ricorrere alla forza, e così, in pochi giorni, il
numero dei ricoverati sale a circa diecimila.
Capitolo XXXIII. Tra i colpiti dalla peste è don Rodrigo, tradito dal
Griso e consegnato ai monatti, i raccoglitori dei morti e dei contagiati.
Renzo, che ha superato la malattia, ora che nessuno si cura più di lui,
si mette in cerca di Lucia, e si reca al paese, dove trova la desolazione;
da don Abbondio apprende che Perpetua è morta insieme con molti
altri, che Agnese è presso parenti a Pasturo e che Lucia è a Milano,
presso la famiglia di don Ferrante.
SCHEDE PERSONAGGI
Renzo
Giovane che, nato e cresciuto nel limitato ambiente del suo paese,
conosce la vita solo nei suoi aspetti più semplici e consueti, la fatica
del lavoro e la forza degli affetti. Rimasto orfano in giovane età, è
abituato a badare a se stesso e si è creato un onesto lavoro, una
sicurezza per sé e per la sposa prescelta, Lucia. Di indole buona, ha
tuttavia un temperamento impetuoso, incline a scatti e a ribellioni
improvvise, che hanno però la durata dei temporali di maggio, che
presto vengono e presto si dissipano. Si tratta di esuberanza, più che
di prepotenza. Renzo non è privo di una naturale intelligenza e
furbizia che lo aiutano nei momenti critici ma che forse non bastano
quando si trova immerso nei problemi al di fuori del suo paesello,
perso tra le mura della città. Renzo è incline a giudicare il prossimo
con ottimismo, ma quando è sicuro di essere oggetto d'ingiustizie si
ribella, mettendo in moto la sua scaltrezza. Contro il rivale, Don
Rodrigo, si scaglia furiosamente, ma alla fine il suo equilibrio e la sua
fede in Dio lo inducono a perdonare.
Lucia
Giovane donna, le cui caratteristiche, fisiche e morali, sono tra le
meno appariscenti che ci sia dato attribuire ad un soggetto umano ed
a un personaggio di romanzo. Lucia non è passiva come potrebbe
sembrare, ella si oppone con tanta forza a tutto ciò che la sua
coscienza nopn può approvare in modo attivo, agendo in una direzione
sola, quella del bene, usando le armi della fede, della preghiera e del
lavoro. Ragazza umile, del popolo, alla quale la modesta origine non
impedisce di albergare nell'animo una nobiltà di sentimenti e di ideali
a fare invidia a persone di più alta nascita e cultura, ella è conscia dei
suoi doveri di donna e di cristiana, che una strana sorte ha portato in
mezzo ad una serie di loschi intrighi, di terribili vicende. Sensibile al
richiamo degli affetti e alla voce della nostalgia, preda della paura nei
momenti più drammatici, non si abbandona mai alla disperazione, ma
istintivamente trova dentro di sé le risorse per riacquistare
l'equilibrio e la pace dello spirito.
Agnese
Tipo medio di donna in età, come è possibile trovarne nei paesi
lombardi. Il suo carattere deciso e sbrigativo, unito ad un'esperienza
di vita che forse ella sopravvaluta, la porta ad una sicurezza di
giudizio che non sempre si rivela esatta; la sua sollecitudine e l'amore
per la figlia Lucia, velati da un riserbo proprio delle persone abituate
ad una vita semplice e ridotta ai valori essenziali, la sua facilità di
parola e la sua spontaneità, costituiscono un marchio inconfondibile.
Profilo vivo e veritiero, riesce subito simpatica per la sollecitudine
con cui si dispone ad aiutare la figlia nel raggiungimento della sua
felicità. Anche se, spinta da troppa sicurezza, è portata a vedere solo
una faccia della realtà, il suo ottimismo la induce ad escogitare
sempre nuove soluzioni per far trionfare la giustizia e il bene di Lucia.
Padre Cristoforo
Frate cappuccino del convento di Pescarenico, poco distante dal
paese dei due promessi sposi, egli è la guida spirituale cui si affida
Lucia. La sua indole ribelle, ma al tempo stesso generosa è già
delineata fin da quando, non ancora frate, porta il nome di Lodovico.
Abituato sin da giovane all'agiatezza e al lusso, cresce alimentando
un'abituale fierezza che lo porta, come il padre, a scagliarsi contro
l'ostilità del mondo aristocratico e vanesio, conducendo una guerra
aperta contro i suoi rivali e schierandosi a fianco dei deboli che
avessero subito da essi un sopruso. Questo suo atteggiamento lo
porterà al famoso duello dal quale uscirà con la convinzione della sua
vocazione. La figura del frate grandeggia, non come quella di un
essere superiore, ma come quella di un uomo tra gli uomini, che ha
vissuto le sue esperienze e ha formato il suo carattere proprio in
mezzo al complicato mondo seicentesco. In lui, immagine viva e vera,
si può vedere il simbolo dell'eterna lotta tra il bene e il male, tra forza
materiale e forza spirituale che, sorretta da una fede senza confini, è
destinata a trionfare. Quello che egli prima operava a servizio di una
giustizia umana, ora opera a servizio di quella divina e proprio in
questa continuità risiede la reale umanità del personaggio. L'ultima
immagine che abbiamo di lui, con i segni della fine sul volto, è quella al
lazzaretto, a servire i bisognosi come in tutta la sua vita.
Cardinal Federigo
All'epoca della vicenda è Arcivescovo di Milano e lo troviamo in visita
al paese dell'Innominato nei giorni di Pentecoste. Uomo dotato di
eccezionali risorse di volontà, intelligenza e zelo religioso, egli sa
veramente applicare alla vita i principi della religione cattolica,
offrendo sempre un valido esempio del bene operare. Modesto,
frugale, umilissimo, deve lottare contro il suo stesso ambiente per
affermare i suoi principi e dedica tutta la sua vita alla carità e allo
studio, tanto da essere considerato uno degli uomini più dotti del
secolo. La solennità del personaggio scaturisce dall'attesa del paese in
festa, il suo valore dai colloqui, prima con l'Innominato, poi con Don
Abbondio, la sua modestia e umiltà dall'incontro con Lucia, con la
gente del paese e con i bambini. Lo ritroviamo, più tardi, ad aiutare la
popolazione durante la carestia e la peste. A differenza degli altri
"buoni" del romanzo, per i quali la bontà è una conquista, egli è libero
umanamente da ogni debolezza, integro, grande, perfetto.
Innominato
L'Innominato è una delle figure psicologicamente più complesse e
interessanti del romanzo. Personaggio storicamente esistito nel quale
l'autore fa svolgere un dramma spirituale che affonda le sue radice nei
meandri dell'animo umano. L'Innominato, figura malvagia la cui
malvagità più che ripugnanza forse incute rispetto, è il potente cui
Don Rodrigo si rivolge per attuare il piano di rapire Lucia. In preda a
una profonda crisi spirituale, l'Innominato scorge nell'incontro con
Lucia un segno, una luce che lo porta alla conversione; solo in un
animo simile, incapace di vie di mezzo, una crisi interiore può portare
a una trasformazione integrale. Durante la famosa notte in cui Lucia
è prigioniera nel castello, la disperazione dell'Innominato giunge al
culmine, tanto da farlo pensare al suicidio, ma ecco che il pensiero di
Dio e le parolo di Lucia lo salvano e gli mostrano la via della
misericordia e del perdono.
Don Rodrigo
Signorotto invaghitosi di Lucia che, solo per capriccio, vuole avere per
sé. Egli rappresenta l'espressione umana e il simbolo del suo secolo;
non riveste una carica particolare, ma è uno dei tanti nobilotti
dell'epoca, uno qualsiasi. Il suo carattere, per niente deciso e fermo,
riflette passivamente e fedelmente le magagne e le ingiustizie sociali
dell'epoca in cui è chiamato a vivere. Di lui non viene data una
descrizione vera e propria, né fisica né morale, sebbene sia lui il
responsabile di tutta la vicenda; noi lo conosciamo attraverso i simboli
e gli attributi della sua forza e della sua autorità, il suo palazzo, i suoi
servi e le sue azioni. Cattivo genio di tutta l'azione, sicuro che la sua
posizione sociale e gli appoggi di persone influenti gli garantiscono
l'impunità, conosce solo una legge, quella del più forte. Pur essendo
malvagio, non ha il coraggio delle sue azioni, preoccupato dalle
conseguenze che esse hanno. Dopo le minacce di Padre Cristoforo,
probabilmente rinuncerebbe volentieri al piano malvagio, ma
persevera solo per questione di puntiglio e orgoglio vedendosi
costretto a ricorrere all'aiuto di chi è più malvagio di lui, di chi
veramente sa fare il male, l'Innominato. Purtroppo la conversione di
quest'ultimo capovolge la vicenda e Don Rodrigo sarà cpstretto ad
andarsene, a nascondersi, fino a quando la peste non lo coglierà e lo
condurrà alla morte nel lazzaretto di Milano.
Don Abbondio
Curato del paese di Renzo e Lucia, dovrebbe unirli in matrimonio ma,
minacciato da Don Rodrigo, cerca di evitare a tutti i costi di celebrare
le nozze e lo farà solo alla fine del romanzo, quando ogni pericolo sarà
svanito. La vita di Don Abbondio si svolge tutta nell'orbita di Don
Rodrigo e sotto l'influsso del suo principale difetto, la paura. La sua
storia non è altro che la storia della sua paura e di tutte le
manifestazioni attraverso le quali essa si rivela. Gretto, meschino,
egoista fino all'impossibile, non è uomo cattivo, ma nemmeno buono;
egli vive come in un limbo tormentato dalla paura; vede ostacoli e
insidie anche dove non ci sono e l'angoscia e la preoccupazione di
riuscire ad uscirne indenne lo rende incapace di prendere posizione
tra il bene e il male. Anche quando, per un breve attimo, le parole del
Cardinale, sembrano risvegliare in lui una luce, questa non riesce a
giungere agli strati superiori della sua coscienza. Il suo carattere,
oltre a creare vari spunti di comicità, non è privo di una certa
grettezza che egli rivela per la soddisfazione dello scampato pericolo.
Gertrude
La monaca di Monza, che accoglie Lucia nella sua fuga dal paese
natio per sfuggire a Don Rodrigo, è un personaggio che l'autore
descrive ampiamente come se nel racconto della vita della donna egli
cerchi in qualche modo di trovare una giustificazione al male da lei
fatto e al male che ancora farà. La vocazione imposta e non scelta
rende Gertrude donna infelice e soggetta a peccare ma allo stesso
tempo in ogni suo gesto si ravvisa come un senso di colpevolezza che
serpeggia in mezzo ai grovigli e alle passioni che agitano il suo spirito.
E' proprio questo sordo conflitto tra abiezione e senso di colpa che
danno al personaggio della Monaca di Monza la sua tragicità. Ella
non ha ancora superato i problemi che aveva da bambina, problemi
nati dal vedersi negare la vita cui era destinata per la sua indole e dal
non essere stata capace di lottare per far valere i suoi desideri.
L'invidia che provava da bambina per le sue compagne più fortunate
di lei la prova ancora per chi, come Lucia, conduce una vita nel
mondo a lei precluso e tale invidia la porta a compiangersi e a
vendicarsi come può, usando la sua autorità e compiendo il male