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Bruce era li, tormentato dai suoi stessi pensieri, i quali erano diventati un

chiodo fisso. Tutto quello che aveva vissuto quella notte aveva
dell'incredibile, a tratti dell'irreale. Pensava e ripensava a tutte quelle
discussioni relative al male ed al bene e, per quanto illuminanti fossero
state, avevano creato in lui un grande dubbio, dubbio che divenne
estremamente tedioso. Non si era mai interessato alle questioni religiose,
era un uomo estremamente pratico e razionale, lontano da ogni tipo di
“farfalle della mente” come era solito definirle lui. Le giudicava questioni
che non portavano da nessuna parte, e che non facevano altro che creare
confusione nella mente delle persone. Quella storia di Lucifero e Dio, lo
avevano non poco scosso, non riusciva a capire il perché, ma iniziava a
provare una strana compassione per quel demone, o meglio, per il capo di
tutti i demoni, nonché del male stesso! Si trovava avvolto in un incredibile
paradosso, che gli stava procurando dei profondi dubbi esistenziali: da
sempre aveva lavorato in nome della giustizia, combattendo con tutte le
sue forze ciò che era di più considerato ingiusto. Dedicare la propria vita
alla giustizia, al bene, combattendo l'ingiustizia, il male! Questo mestiere,
necessitava di una ben chiara consapevolezza di cosa fosse l'uno e di cosa
fosse l'altro. Ma da quella notte tutto era cambiato, quella notte nulla più
era ovvio, non era più in grado di valutare cosa fosse bianco e cosa fosse
nero, non riusciva più a provare quell'odio e quel fare scostante verso i
criminali con i quali aveva a che fare da una vita. Nella sua mente, tutti
iniziavano ad essere collocati in maniera diversa, ad essere giudicati in
maniera diversa, anzi...A non essere giudicati affatto! Tutto ciò che era
considerato 'male' iniziava ad essere visto da un'altra prospettiva, e tutti
coloro che erano giudicati come 'malvagi' iniziavano, ai suoi occhi, ad
apparire uguali a tutti gli altri, se non anche di più! Erano esseri umani, e
non più solo dei 'cattivi'. Si sentiva come essere tornato bambino, laddove
l'infinita e disarmante innocenza, non poteva riconoscere la differenza tra
ciò che è bene e ciò che è male, e non riconoscendola non poteva
assumersi il ruolo di giudicante!
Si diede da solo uno schiaffo, come per destarsi da quel flusso di pensieri
che gli frullavano nella testa e che, soprattutto, lo stavano distraendo
dall'obiettivo principale di quella notte: venire a capo di tutti quegli
omicidi e, soprattutto, capire perché quel bambino potesse essere così
importante per tutte quelle persone, per ognuna in maniera totalmente
diversa. Tanto da uccidere. Ancora non riusciva a credere a ciò che fosse
successo a Loren, era addolorato ed amareggiato, ma era anche
consapevole che questi sono i rischi del mestiere, e non era la prima volta
che vedeva un suo compagno di lavoro morire. Proprio questo, aveva
contribuito a forgiare in lui un'incommensurata freddezza ed
un'impermeabilità alle debolezze dei sentimenti, ma quella notte tutte le
carte erano state rimescolate, e nulla più poteva rispondere alla tradizionali
leggi della logica. Ciò che aveva vissuto, e che stava tutt'ora vivendo, non
aveva alcunché di razionale, quindi le sue fedeli armi che da sempre lo
avevano accompagnato nelle sue vicissitudini, ora non avevano più alcun
potere. Si sentiva perso e stordito. Bruce Taylor, aveva la fama di essere
uno dei detective più scaltri e determinati della città, e che nemmeno
dinnanzi alla morte si sarebbe fatto intimidire. Ma inspiegabilmente
qualcosa lo aveva fortemente turbato, qualcosa di quegli individui aveva
toccato una parte di se, che forse non aveva mai osato avvicinare in vita
sua.
D'un tratto uno squillo di telefono lo fece rinsavire, si infilò la mano in
tasca e prese il cellulare di corsa. Vide il display e subito sbarrò gli occhi:
<<...Loren..?!>> disse incredulo con il fiato sospeso ed un filo di voce.
La confusione nella sua mente si faceva ancora più polverosa, oramai nulla
di logico poteva aiutarlo a capire in cosa fosse coinvolto. La situazione
varcava totalmente i confini del buon senso e della realtà.
Fissando lo schermo che emanava un bagliore accecante nel bel mezzo del
buio pesto di quella stanza, con il suono della suoneria che rimbombava
sulle pareti, accettò la chiamata e, lentamente, con mano tremante, si portò
il telefono all'orecchio.
<<..P..Pr...Pronto..?>>.
<< Bruce?!..Stai bene? Ti è successo qualcosa?>>
La sua confusione diventava sempre più dirompente, nulla aveva più un
briciolo di senso; sentire la voce della donna, che poche ore prima aveva
visto morire, lo aveva letteralmente pietrificato.
<< ..Loren.?? Sei proprio tu?>> Non riusciva ad esprimersi in maniera più
decisiva, la paura e il senso di irrealtà erano talmente forti e radicati in lui
che il modo in cui parlava non aveva niente a che vedere con quello che
realmente provava. Era come se due Bruce, ora, albergassero in lui.
<<Ma certo che sono io Bruce! Chi altro ti aspettavi?>>
<<..No..non è possibile..io..io..>>
<<Bruce..mi stai facendo preoccupare...cosa ti è successo? Dove ti trovi?
>>
Ormai nulla aveva più senso, ma qualcosa iniziava a convincerlo che fosse
coinvolto in un complotto che andava al di là della sua immaginazione.
Non sapeva più di chi fidarsi o meno. Dentro di lui si stava assodando
ancor di più la convinzione di potersi fidare solo di sé stesso.
<< Loren...>> fece una breve pausa, prendendo un profondo respiro e
riprese:
<<Io ti ho visto morire..!>>
<<Morire?!>> La donna scoppiò in una clamorosa risata:<< Bruce,
capisco che sarai stanco e stressato, la tua vita è estremamente frenetica,
ma da qui a vedermi morta, mi sembra che tu stia esagerando!>>
In Bruce iniziava a prevalere la collera più che l'incredulità, con la quale
ormai iniziava a farci una certa abitudine.
<<E poi quando mi avresti visto morire?!>>
Si sentiva preso per i fondelli, iniziava a pensare che tutto ciò che gli
stesse succedendo fosse tutta una messa in scena per confondergli di più le
idee ed, infine, per incastrarlo. Ma il punto era sempre lo stesso,
'incastrarlo per cosa?'.
<<Quando?!..più di due ore fa, ti hanno sparato!>>
<< Sparato???..Bruce, inizi a preoccuparmi seriamente, se stai scherzando
ti prego di smetterla immediatamente perché non è affatto divertente!>>
Bruce esitò, non sapeva più a chi credere ed a cosa credere, si giurò che di
lì in poi, si sarebbe fidato solo di se stesso. Non aveva tempo di trovare
una spiegazione logica, l'unica cosa a cui doveva pensare era a come uscire
da quella situazione senza problemi o compromissioni. Riprese la
conversazione:
<<Non è divertente? Divertente non è fingerti morta per poi ripiombare
all'improvviso! Ecco cosa non è divertente!>> rispose in modo scontroso.
<<Bruce..ora basta! Seriamente! Non ci vediamo da mesi quando mi
avresti visto morire?!>> Nel sentir quelle parole Bruce indietreggiò
inciampando sui propri piedi, e cascando gli scivolò il telefono dalle mani
che roteò su quel pavimento gelido e scivoloso fino a sbattere su una lastra
di ferro che all'impatto col dispositivo vibrò indietreggiando, emanando
uno strano riverbero. Bruce, dalla posizione in cui si era ritrovato,
intravide che dalla luce dello schermo del telefono ancora acceso, si poteva
scorgere una porzione di ambiente circostante. Si alzò, e con prudenza si
avvicinò a quel bagliore, curioso di scoprire contro cosa il telefono avesse
urtato. Arrivato in procinto della zona illuminata, si chinò afferrando il
cellulare, diede uno sguardo al display e vide che la chiamata era
terminata. Ma non se ne preoccupò più di tanto. Voltò il dispositivo in
modo da illuminare ciò che avesse davanti, e capì che la lastra dalla quale
aveva sentito emanare quello strano rumore era una porta. Esitò, convinto
che non vi fosse altra uscita all'infuori della botola tramite la quale vi era
stato condotto, ma con la mano libera fece una leggera pressione
spingendola leggermente in avanti. Non si udì alcun meccanismo di nessun
ingranaggio. Era già aperta. Non appena si aprì di circa dieci gradi, un
ondata di gelo attraversò il suo viso, ed un brivido terrificante si prolungò
dal cranio sino a tutte le ossa in un batter d'occhio. Si irrigidì, una strana
sensazione di terrore divampò dallo stomaco, per giungere sino alla gola
sotto-forma di un senso di costrizione. Troppo lontano era arrivato per
tirarsi indietro, troppo compromessa era la sua condizione per arrendersi
ed essere vinto dalla paura, l'unica possibilità che aveva era quella di
andare avanti. Inspirò profondamente, oltre il limite della sua capienza
polmonare, buttò fuori tutto d'un colpo l'aria inalata, e con una gestualità
scattante, scaricò tutto il suo peso sulle braccia per spalancare la porta. Era
buio pesto, e non appena si sporse di mezzo metro, percepì un'improvvisa
sensazione di vuoto sotto i piedi. Iniziò a precipitare verso il basso, con il
cuore che gli si catapultò in gola. Per quanto ci provasse, non riusciva
nemmeno ad urlare, ma dopo qualche istante, i sensi lo abbandonarono.

Aprì gli occhi,vedeva completamente annebbiato, li rihiuse. Sentiva un


fischio acutissimo che echeggiava nei timpani, non riusciva a sentire altro,
nemmeno il suo respiro. Riaprì gli occhi, nel bel mezzo di uno sfondo
sfocato bianco, scorse una sagoma scura. Lentamente, la visuale iniziò a
rendersi più nitida, il petulante fischio cominciava ad ammorbidirsi. Aveva
ancora le idee confuse, non si rendeva nemmeno conto di cosa gli fosse
successo e dove si trovasse. Non appena la vista gli tornò, mise bene a
fuoco la sagoma che gli si trovava davanti. Non credette ai suoi occhi.
Iniziò ad agitarsi indietreggiando impulsivamente, ma qualcosa lo
impediva nei movimenti: era seduto su una sedia con le mani legate dietro
lo schienale. Tentò in tutti i modi di divincolarsi, ma non c'era nulla che
potesse fare. Era totalmente immobilizzato. Ciò che gli stava davanti era
troppo assurdo affinché fosse vero: seduto dietro una scrivania, c'era il
bambino, quello della fotografia, il bambino scomparso che tutti cercavano
e che tutti volevano eliminare. Lo fissava. Era vestito completamente di
bianco, era tutto bagnato, aveva sul viso un'espressione totalmente
rilassata, ed era di una bellezza folgorante. Ma tutto questo non aveva
senso.
<<Cosa...ma che cosa significa?!>>
<<Ciao Bruce>> disse quel bambino compiaciuto, apparentemente felice
di vederlo.
<<Ma...si può sapere chi cazzo sei?! E che razza di gioco è questo?>>
chiese con irruenza, in preda alla collera ed allo stordimento più totale.
Ormai aveva persino smesso di chiedersi che senso avesse tutta quella
vicenda. Iniziava a sentirsi come come un gatto quando lo si fa impazzire
con una luce laser, che si precipita qui e li seguendo quel puntino
luminoso, pensando ogni volta di acciuffarlo, ma è inconsapevole che chi
comanda si sta solamente divertendo.
<<Come chi sono?>> chiese il bambino, come se non riuscisse a
capacitarsi della sorpresa provata dal detective. <<Non mi riconosci?>>
Bruce si rifiutava di sentirsi preso in giro anche da un ragazzino di dieci
anni. Possibile che persino lui fosse coinvolto nel piano di una qualche
compromissione nei suoi confronti?
<<Perché dovrei riconoscerti? Tu sei scomparso, eri ricercato da tutti, tutte
quelle persone ti volevano, c'era chi voleva ucciderti...e io..>>
<<Tutti chi?>> chiese il bambino interrompendolo. Parlava con un'estrema
calma, ed un'innocenza propria della puerizia.
Ciò che disturbava Bruce, però, era quel modo di fare che non si addice
per nulla ad un bambino. Era terribilmente inquietante, era come se un
uomo fosse intrappolato nel suo corpo.
Inizialmente non si fece scalfire da quell'interruzione, e rispose a tono
:<<Come chi? Tutte quelle persone, quei pazzi psicopatici che vedevano in
te “il segreto”! Nicholson, Wood, Lopez, Turner! Tutti ti cercavano, tutti
volevano ucciderti! Ma nessuno è riuscito a trovarti...>>
<<Lo credo bene>> rispose il bambino ironico <<dato che tutte queste
persone non sono reali>>
Il detective lo guardò esterrefatto, non riuscendo a concepire ciò che aveva
appena sentito; non riuscendo a realizzare di trovarsi in una stanza, legato,
a parlare con un bambino scomparso che nessuno era mai riusciva a
trovare.
<<Non sono cosa..? Ma cosa diavolo stai dicendo? Chi c'è dietro tutto
questo? Chi ti ha portato qui? Voglio sapere per quale motivo mi avete
coinvolto in tutta questa storia!>> gridò col tentativo di divincolarsi,
cercando di liberarsi dalla stretta che costringeva le sue mani. Si guardava
continuamente intorno, gridando e cercando di richiamare l'attenzione di
qualcuno che con tutta probabilità tenesse i fili del gioco.
Il bambino lo guardò impassibile con aria interrogativa, non partecipava
per nulla al disagio provato da Bruce, era come se i due vivessero due
dimensioni diverse.
<<Chi stai chiamando?>> Chiese il bambino.
<<Senti, non so chi tu sia, e che razza di psicopatico tu possa essere, ma ti
giuro che non appena riuscirò a liberarmi farò in modo che tu, e chi sta
dietro a tutto ciò, passiate le pene dell'inferno! Non ve la caverete
facilmente..avete..>>
<<Noi? Psicopatico? Non so veramente di chi tu stia parlando, qui siamo
solo io e te>>.
<<Cosa..?>> rispose affannosamente.
Un impeto di ira lo pervase, mosso da un irrefrenabile istinto di
sopravvivenza :<<Cosa diavolo volete da me?!>> urlò agitandosi
morbosamente, era talmente furioso ed impaurito da sembrare un animale
in gabbia, cercava con tutte le sue forze di liberarsi.
<<Perché ti agiti così tanto? E perché non riesci a muoverti?>> chiese il
bambino con la sua solita innocenza.
<<Sono legato....>> rispose Bruce costringendo la voce sotto i denti,
considerando inutile quella risposta, dato che erano stati loro a tenerlo
legato.
<<Ma non è vero Bruce!>>
<<Come non è ve...>> e girandosi con la testa per guardarsi le spalle, si
interruppe, non riuscendo a capire ciò che vedeva: dietro di lui uno
specchio, dal quale vedeva la sua figura da dietro, con la particolarità di
notare che le sue mani erano si, vincolate, ma non c'era nulla che le legava.
Spaventato, istintivamente ritirò a sé le braccia riuscendole a muovere
liberamente. Fissò i suoi polsi con occhi spalancati; quel senso di
smarrimento e di inquietudine terrificante salivano sempre di più, notando
che i suoi polsi non riportavano alcun segno che potesse far intendere la
stretta di qualche cosa. Scuotendo la testa, come se volesse continuare a
negare a se stesso ciò che stava vivendo, notò che dallo specchio si vedeva
riflessa la sua immagine e il tavolo dietro di sé, ma il bambino era sparito.
Si voltò di colpo e se lo ritrovò in piedi ad una distanza di mezzo metro
che lo fissava. In preda allo spavento indietreggiò di scatto, dicendo con
voce terrorizzata : << Ok...ora tu mi dici chi o cosa cazzo sei...chi ti ha
ordinato di fare tutto questo, e che cosa volevano da te tutte quelle
persone...adesso basta con le stronzate!>>
Il bambino chinò leggermente il capo, e disse : <<Perché continui a
chiamare queste altre persone? Te l'ho già detto, non sono reali, non
esistono! E nessuno mi ha ordinato di essere qui, ci siamo solo io e te, ci
siamo sempre stati!>>
<<Che significa che ci siamo sempre stati...io sono qui da pochi minuti..>>
<<No Bruce...>> disse quasi amichevolmente avanzando <<Non ti sei mai
mosso di qui, sei sempre stato qui, ti ci sei portato tu!>>
<<C..cosa..?>> Non riusciva a credere alle sue orecchie. Tutto ciò era
decisamente assurdo.
<<..Ora..mi dici chi sei.. e cosa vuoi da me..>> disse in modo
intimidatorio, puntandolo col dito.
<<Veramente non mi riconosci Bruce?>> fece una breve pausa. << Io e te
siamo la stessa cosa, io sono una parte di te, sono una parte della tua
coscienza!>>
<<La mia co..coscienza?>> iniziò a ridere istericamente, cercando di
sopprimere il più possibile il pensiero che tutte quelle parole potessero
essere vere.
<<Io non voglio niente da te Bruce..Sei tu che mi hai portato qui>>
<<Ok adesso mi sono veramente rotto le palle! Chiamerò Loren così..>> E
mentre prendeva il telefono il bambino chiese:
<<La tua amica?>>
Bruce gli lanciò un'occhiata minacciosa: <<Cosa ne sai di Loren?..Cosa le
avete fatto?>>
<<Ancora non ci arrivi? Non esiste nessuna Loren, nessun Fred Nicholson,
Francis Wood, Richard Turner e quanti ne vuoi, non esistono omicidi, e
non esistono complotti! Nulla è reale, questa stanza non è reale, io non
sono reale!>>
Rimase impressionato da quelle parole, da quel tono fermo e diretto,
improprio per un bambino, e soprattutto da come facesse a conoscere tutti
quei nomi. Prese tremante il telefono e digitò sulla rubrica 'Loren'.
'Numero non esistente'. Preso dalla rabbia scaraventò il telefono contro il
bambino, che lo oltrepassò come fosse un essere immateriale.
Non riusciva più a credere ai suoi occhi. Stava sognando? Gli balenò l'idea
di essere pazzo, tutto quello che stava vivendo oltrepassava i limiti
dell'immaginazione.
<<Bruce..ascoltami..tu sei convinto di essere in questa stanza, di avere un
corpo e di vedermi. Come sei convinto di aver trascorso una notte
infernale, tra cospirazioni, killer psicopatici, complotti e delitti, ma nulla di
tutto ciò è reale. Io sono te, tu sei me, e questo non è altro che un momento
della tua coscienza>>.
<<Ma cosa diavolo stai dicendo! Tu sei completamente pazzo!>>
<<No Bruce..io sono il segreto..il tuo segreto!>>
<<Segreto?..ma di quale segreto stai parlando?>>
<<Il segreto..il segreto che tutte quelle persone cercavano di proteggere, il
segreto che quelle persone volevano rimanesse nell'ombra>>.
<<No..quelle persone volevano ucciderti, quelle persone volevano che tu
non venissi fuori per proteggere i loro...>>
<<Per proteggere il tuo segreto. Bruce.>>
Bruce iniziava a dare segni di stordimento, non riusciva minimamente a
capire dove volesse arrivare quel bambino.
<<Te l'ho già detto Bruce. Quelle persone non sono reali, non esistono.
Quelle persone sono te, sono parte di te, come ogni altra cosa che ci
circonda in questo momento e come tutto ciò che hai vissuto stanotte.>>
Indietreggiando, quasi avesse paura disse <<Tu...tu vuoi fregami, vuoi
farmi credere che io sia pazzo ma non riuscirai..>>
<<Io sono il segreto Bruce. Il tuo segreto.>> disse interrompendolo.
<<Ma..cosa..>>
<<Io sono il segreto del bene e del male, io sono il dissidio che ti ha
tormentato per anni, io sono il segreto che non hai mai voluto accettare.>>
<<Ma di che cosa stai parlando?..Quale sarebbe il mio segreto?>> chiese
ormai arreso.
<<Tu li hai uccisi.>>
<<Io...io cosa..?>> Non riusciva a credere alle sue orecchie.
<<Tuo padre e tutta la tua famiglia, insieme a tua madre e tua sorella, sono
morti a causa tua, e questo non hai mai voluto accettarlo.>>
<<Mio padre...mia madre...mia sorella...io non ho mai avuto una
sorella..>>
<<Si Bruce...eccoli..>> ed improvvisamente estrasse dall'interno della sua
manica una foto che gli pose di fronte.
Non riusciva a credere ai suoi occhi, non poteva essere vero.
La foto che il bambino teneva in mano era la stessa che raffigurava i tre
cadaveri morti sul ciglio della strada.
<<No...non può essere..>>
<<Tu eri li quella sera. Sono morti a causa tua, ma tu non hai mai accettato
questa realtà, per cui sei scappato e nessuno ti ha più ritrovato. Nessuno ha
più ritrovato quel bambino di dieci anni, tutti credevano fosse morto, ma in
realtà..eccomi qui!>>
Sbarrò gli occhi fissandolo, il cuore gli batteva all'impazzata, ormai il
terrore e la confusione erano diventati i suoi dominatori.
<<Io sono lui Bruce, io sono quel bambino che scappò dalla paura, io sono
quel bambino che causò la morte dei tuoi genitori e della tua sorellina, io
sono la realtà che tu non hai mai accettato...io sono te!>>
<<Tutte quelle persone che hai conosciuto stanotte, non sono altro che i
tuoi sentimenti che ti hanno spinto ad eliminare questa realtà, ad eliminare
la consapevolezza che fossi stato tu ad ucciderli, i sentimenti che ti hanno
spinto ad eliminare me.>>
<<Io...io ci ho parlato con loro.. e loro volevano..>>
<<Loro volevano tutte arrivare a me, volevano fare in modo che tu non ci
arrivassi, volevano fare in modo che tu non scoprissi la verità.
Tutto questo, è frutto della tua coscienza, della tua memoria e del tuo
passato, hai laboriosamente antropomorfizzato tutte le tue paure, tutto ciò
che ti ha da sempre impedito di raggiungere quel 'te' bambino dietro al
quale si celava la verità. Ti sei costruito questa storia per dargli un senso,
per rendere giustificabile e legittimo il tuo non avermi affrontato.>>

<<No...io..io non ho ucciso nessuno...>>


<<Prendi il tuo portafoglio>> gli disse perentoriamente interrompendolo.
<<Il mio portafoglio?!>>
<<Coraggio! Vuoi sapere la verità?Ascoltami! Prendi il tuo portafoglio>>
Incredulo, Bruce prese dalla tasca il suo portafoglio, lo aprì, ma non
sapeva cosa dovesse andare a cercare. Il bambino infilò due dita all'interno
di una tasca interna, ed estrasse un biglietto, ponendolo al detective.
Bruce lo prese, e non riuscì a credere ai suoi occhi: una foto di famiglia, un
uomo, una donna, una bambina, ed un bambino. Erano loro, era la famiglia
assassinata, ma la cosa sconcertante era quel bambino: riconobbe che era
lo stesso con cui stava parlando in quel momento.
Preso dal panico, gettò la foto all'aria, indietreggiando di corsa, non poteva
pensare che tutto quello che stava vivendo potesse essere reale.
<<Stai lontano da me!>> urlò al bambino, voltando la testa dalla parte
opposta nel tentativo di levarselo dalla vista.
Il bambino si avvicinò lentamente, e gli pose una mano sulla fronte.
Improvvisamente Bruce venne abbagliato da un'accecante luce bianca,
tanto che cercò con il braccio di ripararsi.
D'un tratto, si sentì contornato da un rumore di pioggia, e da boati di
tuoni. Aprì lentamente gli occhi, timoroso di ciò che avrebbe visto. Si
ritrovò accovacciato su una panchina, era notte e pioveva
tempestosamente. Si guardò intorno, ma non vedeva altro che una strada,
fiancheggiata da due marciapiedi, dietro i quali si estendevano file di pini.
Non riusciva a capire come potesse essere possibile, che un istante prima
era in una stanza con un bambino, ed ora si ritrovava catapultato in un
altro luogo. Ma ormai si stava abituando all'idea di tutto quel surrealismo
in cui era coinvolto, iniziando non più a preoccuparsi di come e perché si
trovasse a vivere quelle dimensioni, bensì cercando di procedere dando un
senso a tutto per venirne a capo. Doveva essere una stradina di montagna,
e nei suoi ricordi iniziava ad aleggiare qualche immagine simile:<<Questo
posto...questa strada la conosco...>> disse mentre tentava di orientarsi. Si
alzò lentamente, e si accorse che quel temporale, fisicamente, non lo
toccava: la pioggia non lo bagnava, tanto meno sentiva la forza del vento
che faceva ondeggiare i pini. Non fece nemmeno in tempo a domandarsi
su quello strano fenomeno, che sentì da lontano il motore di una
macchina , mentre dei bagliori di luce, dalle sue spalle, iniziavano ad
illuminare il paesaggio dinnanzi a lui. Si voltò di scatto, e vide
un'automobile avanzare. La pioggia era fittissima, dalla controluce dei fari
accesi, si intravedevano come delle schegge che piombavano in terra a
raffica. I tergicristalli azionati non facevano in tempo a pulire parte del
vetro, che subito il parabrezza si ritrovava inondato di acqua. La macchina
era lussuosa, era ovvio che appartenesse a qualche ricco, ma era anche
evidente che non fosse di quell'epoca; automobili del genere non se ne
vedevano da più di trent'anni. Qualcosa però lo scosse nel vedere quel
mezzo, ebbe un flash: quei fari, quel colore verde petrolio della
carrozzeria, quelle ruote, il tettino decappottabile, le maniglie con quelle
rifiniture argentate; li conosceva, erano particolari che non gli erano
estranei. <<Quest'auto...>> disse tra sé riflessivamente. Si sforzò di
ricordare, ma per il momento non aveva nulla più di ricordi frammentari.
Immagini, suoni, sensazioni, ma nulla che potesse avere un senso. L'auto
gli passò davanti, cercò di intravedere attraverso i finestrini chi vi fosse
dentro, ma questi erano scuri, oltretutto il tempo di quella notte rendeva
ancora più difficoltosa la visuale. Quel tipo di vetro, era comunemente
messo in dotazione per le automobili destinate a personaggi di una certa
fama, laddove, per questioni di sicurezza, non fosse stato prudente
viaggiare sotto gli occhi di tutti; essere riconosciuti in contesti simili
poteva essere pericoloso. Improvvisamente la macchina perse il controllo,
iniziò a sbandare, la strada allagata non facilitava l'attrito, per cui il
veicolo iniziò a ruotare su se stesso fino ad andare a scontrarsi contro un
pino. L'impatto fu devastante, metà della macchina era completamente
distrutta, e la parte anteriore era ormai totalmente accartocciata su sé
stessa. Il clacson suonava ininterrottamente, tant'è che alcune finestre di
alcune case poco lontane si illuminarono; evidentemente quel forte impatto
e quel suono assordante avevano svegliato alcuni abitanti del posto. Bruce
rimase di stucco nel vedere quella scena, qualcosa lo aveva
particolarmente turbato, e non poteva essere solo quell'incidente. Durante
la sua carriera aveva avuto modo di vivere le situazioni più violente,
bambini uccisi, intere famiglie massacrate, persone fatte a pezzi. Non
poteva di certo essere un'auto contro un albero a creargli quell'immenso
tormento. Ma il suo istinto non lo fece esitare per un momento, iniziò a
camminare velocemente verso quella macchina, spinto da un'inspiegabile
frenesia di raggiungerla. Non appena si trovò di fronte a quella scena, si
accorse che l'impatto era stato più devastante di quanto sembrasse: l'auto
era andata a sbattere contro due pini adiacenti, i quali si erano spezzati,
tant'è che le loro cime erano inclinate. Un pezzo di tronco spezzato era
penetrato completamente nel parabrezza. Non riusciva ancora a vedere chi
vi fosse all'interno di quell'auto, quindi, decise di aprire la portiera del
conducente. Era preso da una forte ansia, era inspiegabile, non la capiva,
ma era certo che non poteva fare a meno di vedere chi fossero le vittime.
Afferrò la maniglia, la tirò, ma questa risultava bloccata. Tentò
ripetutamente diverse volte, ma accortosi che era impossibile aprirla,
decise che non c'era altra soluzione che rompere il vetro. Si sfilò il
panciotto, lo aggrovigliò attorno al gomito, e con un colpo secco frantumò
l'intero finestrino. Vide un uomo, privo di sensi, con il viso schiacciato sul
volante, rivolto verso il passeggero. Allungò la mano per voltare la testa
verso sé stesso in modo da vedere il volto di quell'uomo, e non appena lo
riconobbe fu preso dallo sconcerto e dallo spavento: era l'uomo delle
fotografie, quel padre ucciso assieme a tutta la sua famiglia, nonché l'uomo
ritratto nella fotografia che il bambino gli aveva mostrato. Guardò verso la
parte del passeggero e riconobbe la donna, la quale era trafitta in pieno
petto dal tronco d'albero. Si sporse per guardare verso i sedili posteriori e
vide la bambina, adagiata come una bambola di porcellana, con gli occhi
ancora spalancati che lo fissava. Si sporse ancora di più per cercare di
scuoterla, ma non appena la mosse, la testa della cascò a peso morto verso
il basso, rendendo possibile vedere un pezzo di vetro conficcato nella
tempia. Bruce indietreggiò accasciandosi su sé stesso, provò un dolore
lacerante al petto, iniziò a piangere nell'affanno più disperato, sentiva una
fittissima pressione sul petto, ed un senso di morte interiore logorante. Da
lontano, iniziavano ad udirsi i suoni delle sirene, sicuramente qualcuno del
posto che era stato svegliato da quel forte rumore, aveva chiamato la
polizia, ma Bruce riconobbe anche le sirene dell'autoambulanza, per cui
qualcuno doveva aver intuito che si trattasse di un incidente. Inoltre, il
suono del clacson non lasciava dubbi. Si rinsavì, iniziò a sollevarsi pian
piano sulle ginocchia, quando rivolgendo lo sguardo di fronte sé stesso, si
accorse che la portiera del passeggero retrostante al guidatore era aperta,
ed il finestrino rotto. Si alzò di scatto, affacciandosi ma non vide nessun
altro. Fulmineo, si guardò a destra, poi a sinistra, quando avvertì un
acutissimo brivido lungo la schiena. Si voltò lentamente, e rimase senza
fiato. Era lì, era lui, era quel bambino, il bambino della foto, il bambino
con cui poco prima aveva parlato. Lo fissava dritto negli occhi, rossi come
il sangue, gonfi, in preda al pianto più disperato. Bruce ricambiava lo
sguardo ma non riusciva a fare altro. Le sirene si facevano più intense,
tanto che in pochi secondi due volanti della polizia ed un'ambulanza
arrivarono di corsa inchiodando sul posto. Bruce si protesse la vista
accecato da tutte quelle luci. Due uomini uscirono dalla prima macchina,
uno di loro si avvicinò di scatto e disse :<<Agente Taylor, qual è la
situazione?>>
Bruce non poteva credere a tutto ciò, quell'uomo lo vedeva, e parlava con
lui. Lo aveva chiamato a rispondere come se fossero colleghi.
In stato di evidente shock Bruce emise solo dei flebili
versi:<<Io...io...non...>> e nel mentre, indicava con il dito verso la
direzione del bambino che, però, era scomparso.
Nel vedere il suo collega in evidente stato confusionario l'uomo replicò
:<<Signore? Si sente bene?!>>
Non ricevendo risposte soddisfacenti, l'uomo si sporse per vedere
all'interno della macchina:<<Cazzo..! È l'onorevole Mason!>>. Scattò per
chiamare chi di dovere, agitato da quella vicenda. Intanto Bruce
continuava a fissare shockato il punto in cui c'era il bambino. Ancora non
credeva, non realizzava, era impossibile. Le voci degli agenti, come i suoni
delle sirene iniziavano, alle sue orecchie, a farsi più labili, soffuse, era
come se tutta quella circostanza iniziasse a perdere di realtà, come quando
un sogno inizia ad interrompersi.
Un senso di vertigine e di svenimento iniziò a pervadere Bruce, tutto iniziò
a girare attorno a sé, fino a che, il buio totale.
Aprì lentamente gli occhi, ma sentiva le palpebre pesanti come il piombo,
per cui li richiuse. Ritentò, ma la sua vista si ribellava alla luce. Sentiva
ancora la mente annebbiata dallo stordimento; percepiva una stanchezza
tale che sembrava non dormisse da una settimana. A mala pena riusciva a
ricomporsi con il corpo. Tentò di muovere le dita delle mani, ma senza
riuscirvi. Provò a richiamare a sé le gambe sollevando le ginocchia, ma
non riusciva nemmeno a sentirle. Era come atrofizzato. Rimase ancora per
qualche istante con gli occhi chiusi, tentando di schiarire le idee, ma non
riusciva a ricordare nulla. Prima di quei momenti, il buio totale. Cercava in
tutti i modi di capire dove si trovasse e cosa gli fosse successo, ma senza
riuscirvi. Era troppo stanco e privo di forze. L'unica cosa che riusciva
lontanamente a percepire era il piano su cui era poggiato, soffice e
levigato, forse un letto. Nonostante la confusione nemmeno il suo spirito
di sopravvivenza riuscì a rinvigorirlo, la sua mente si ribellava ad ogni
tentativo di pensiero; anche i pensieri parevano paralizzati. Solo un vago e
leggero farfuglio altalenante echeggiava qua e là, rimbombando nei
timpani. Rassegnato, richiuse gli occhi, si abbandonò, e si lasciò andare.

<<John! Svegliati!>> udì richiamare con vigore, e di scattò sbarrò gli


occhi, sollevandosi sui gomiti mentre respirava affannosamente. Era
stordito, turbato, gli fischiavano le orecchie.
<<John, va tutto bene, sono io, rilassati!>>
Voltandosi vide un uomo di mezza età, vestito elegantemente, che sedeva
su una poltrona di velluto dietro di lui.
Riprese fiato, si sollevò completamente mettendosi seduto, riordinando i
pensieri.
Era poggiato su un lettino in pelle nera, e non appena si destò del tutto,
riconobbe finalmente il luogo in cui si trovava: era lo studio dello
psichiatra che lo seguiva da mesi, il dottor George Wilkinson.
<<Respira a fondo John, abbiamo tutto il tempo, sei al sicuro!>> gli disse
Wilkinson gentilmente.
<<Dottore...>> disse John Mason facendo una pausa <<..è stato
devastante..>>.
Il dottore sorrise compiaciuto aggiungendo:<<È normale John, non
potrebbe essere diversamente. L'ipnosi regressiva è una tecnica complessa,
non tutti sono in grado di affrontarla, ma devo dire che sono rimasto
sbalordito da come hai resistito.>>
<<Resistito?>> Chiese John confuso.
<<Certo! Scavare nei più turbolenti e reconditi ricordi del nostro passato
ha un costo dolorosissimo, e solo una grande forza di volontà permette che
essi possano essere accolti. Molti pazienti rimangono in stato di shock per
settimane, altri si risvegliano interrompendo il flusso delle loro immagini,
spesso ritrovandosi in una dimensione paradossale in cui non riescono a
distinguere ciò che hanno vissuto in questo 'viaggio' da ciò che invece fa
parte della loro realtà quotidiana. Sei stato bravo. Ora abbiamo
sicuramente molto da discutere.>>
John era ancora incredulo, quel sogno era stato così reale, così intenso, e
mai avrebbe pensato di rivivere i suoi ricordi con tale veemenza.

John Mason, era un sacerdote cattolico di fama mondiale; era uno stimato
divulgatore scientifico, noto soprattutto per le sue visioni aperte e
innovative nel campo della religione. I suoi saggi, erano stati tradotti in
tutte le lingue del globo, ed erano utilizzati da moltissimi docenti
universitari nelle loro lezioni. Aveva una visione dottrinale atipica, che
tentava in tutti i modi di far conciliare la fede con la scienza, di adattare la
fede a questioni etico/filosofiche attuali, credendo nella fede come
evoluzione e non come tradizione statica. Secondo lui, la fede è un
qualcosa che non sta al di fuori dell'uomo, ma dentro l'uomo stesso, parte
da lui, ed essendo l'essere umano in continuo divenire, anche la fede
cambia di conseguenza. Non è l'uomo che deve adattarsi alla fede, ma è la
fede che deve adattarsi ad esso. Inoltre, nutriva un profondo spirito umano
e di accoglienza, ragion per cui era affettuosamente soprannominato dai
fedeli come 'il padre degli orfani'. Questo era dovuto dal suo incrollabile
impegno nell'avvicinarsi verso tutte quelle persone che erano emarginate
dalla società: poveri, mendicanti, clandestini, prostitute, malati mentali,
talvolta anche criminali e detenuti, tutti coloro che non sono riconosciuti
da niente e da nessuno, coloro che vengono abbandonati dalla società
stessa, scansati, appestati. Nei suoi scritti e nei suoi discorsi, era solito
paragonare la società alla genitorialità, sicché come un genitore abbandona
i propri figli non prendendosene cura, anche la società abbandona i suoi
figli non curandosene, e per questo, come un figlio abbandonato considera
i propri genitori morti, allo stesso modo anche costoro sono come degli
orfani. Ma come spesso succede, anche i grandi uomini, spesso vestiti di
un'immagine aurea ed una fama considerata indistruttibile, nascondono
demoni e fantasmi che li rendono profondamente indifesi. Mesi prima,
aveva iniziato a soffrire d'insonnia e di incubi, e c'era un sogno ricorrente
che lo tormentava: trovarsi nei panni di Lucifero nel momento della
cacciata dal paradiso. Oltre al chiaro turbamento che una ciclicità
ininterrotta di tali incubi può conferire ad un essere umano, è innegabile
che per un uomo di chiesa, sognare di impersonificare il Male, non sia
proprio il massimo dell'aspirazione. Ma i sogni sono sogni, ed un uomo di
larghe vedute come John Mason lo sapeva bene, ma ciò che non capiva, e
soprattutto che non accettava, erano i sentimenti contrastanti relativi a
questi sogni: da una parte l'angoscia, il tormento e lo strazio allo stato
puro, dall'altra, un'eccitazione viscerale. Non avendo mai condiviso quei
metodi medioevali ed oscurantisti che ancora erano condivisi da molti suoi
colleghi, aveva deciso di affidarsi ad uno specialista, uno psicoterapeuta
appunto: ripugnava fortemente l'arte dell'esorcismo, al quale sicuramente, i
capi della chiesa lo avrebbero sottoposto. Tramite alcune ricerche sul web,
era approdato sul profilo dello psichiatra George Wilkinson. Era rimasto
particolarmente colpito dato che quel dottore, era uno specialista in
psicologia analitica religiosa, dedicando la sua intera vita ai nessi che vi
sono tra la fede e la psiche umana. Nel giorno del loro primo incontro,
padre Mason, si raccomandò sul fatto che la questione sarebbe dovuta
rimanere estremamente privata, perché qualora fosse girata la voce che un
sacerdote di quella fama se la faceva con uno 'strizzacervelli', la sua
immagine avrebbe subito una notevole compromissione. Quei sogni, e
quelle sensazioni, avevano fatto sorgere in lui una profonda crisi di fede, i
suoi valori iniziarono a vacillare, e non era più in grado di collocarsi in
una dimensione. Wilkinson, capì subito che quel sacerdote aveva paura di
poter essere giudicato negativamente, anche dal suo stesso psichiatra, ma
lui fu estremamente chiaro e profondamente accogliente sin dal primo
momento:<<Padre, il mio lavoro non consiste nello giudicare, ma solo
nell'analizzare e cercare di rimettere pace, per quanto possibile, nelle
menti delle persone. Da esperto di psicoanalisi religiosa, posso assicurarle
che per quanto mi riguarda, non sono minimamente interessato a quale dio
lei creda, a quali dogmi ed a quali testi sacri. Il mio scopo è quello di
capire il legame tra lei ed il suo spirito religioso, ed il modo in cui esso
influenzi la sua vita.>>
Inizialmente, Mason era un po' incredulo, non si era mai ritrovato nelle
condizioni di poter far entrare qualcuno nella sfera più profonda del
proprio 'io', ma lo psichiatra lo rassicurò, riuscendo subito a prenderlo
simpaticamente:<<Lei è un uomo di fede. Partiamo proprio da questo: per
ritrovare la pace dei sensi, cerchi di avere fede in me!>>
Il prete divertito da quel pungente ma amichevole sarcasmo, riuscì a
rilassarsi ed iniziare ad aprirsi con quel dottore, il quale, gli conferiva una
certa sicurezza e senso di accoglienza. Da li, iniziarono i loro incontri, ma
erano giunti in un punto morto in cui Mason non riusciva più a continuare,
aveva delle forti lacune di memoria, la sua infanzia era caduta
completamente nell'oblio, ragion per cui, Wilkinson decise di tentare
tramite la celebre tecnica di ipnosi regressiva.

Ripreso del tutto, il dottore invitò Mason ad alzarsi dal lettino per sedersi
sulla poltrona di fronte a lui, in modo da poter iniziare una conversazione
colloquiale.
<<Dunque John, cerchiamo di far chiarezza e di mettere ordine,
raccontami tutto ciò che ricordi.>>
Mason prese un respiro profondo ed iniziò a raccontare. Non aveva
tralasciato alcun dettaglio, ma per quanto complesso ed articolato quel
viaggio astrale fosse stato, gli mancavano dei pezzi, era confuso, ancor più
di prima.
Wilkinson era propositivo, non importava quanta chiarezza Mason avesse,
ma i ricordi emersi erano fondamentali per ricostruire il tutto e darne un
senso.
<<Io..veramente non capisco...non ha senso...>> disse Mason scoraggiato.
<<Ne sei sicuro? Tieni chiara a mente questa cosa John: se la tua mente fa
emergere dei ricordi, essi, hanno perfettamente senso, il punto sta nel farti
prendere coscienza di questo senso.>>
<<Ma non ci riesco...come posso fare?>>
<<Beh...ed io cosa ci sto a fare?>>
Mason sorrise, quel dottore era profondamente umano, e riusciva sempre a
farlo sentire a proprio agio.
<<Partiamo da quel bambino. Cosa ti diceva precisamente?>>
<<Diceva di essere me...me da bambino...un me della mia coscienza che
non ero riuscito ad accettare...perché io avevo ucciso i miei genitori..>>
<<Benissimo! E poi dove ti sei ritrovato?>>
Mason esitò. Iniziava a sentire uno strano magone ed un senso di pianto
soffocante.
<<Poi..mi sono ritrovato nella scena di un incidente d'auto..dove...>>
A quel punto, improvvisamente, Mason sbarrò gli occhi di colpo, un flusso
di immagini divamparono nella sua mente come un film. Tutto d'un tratto
ricordava. Ricordava limpidamente. Iniziò a piangere, i singhiozzi gli
mozzavano il respiro, quei ricordi erano stati troppo irruenti per essere
metabolizzati in un istante.
Wilkinson, si avvicinò e pose un fazzoletto a Mason. Era pienamente
consapevole di cosa fosse successo nella sua mente, ed era pienamente
consapevole che il ricordo traumatico tanto ricercato fosse emerso
tempestivamente, causando quella forte reazione emotiva; a quel punto lo
esortò: <<Coraggio John! Ci sei! Accogli quei pensieri! Questi fanno parte
di te, non sono tuoi nemici, lascia che entrino! Non opporre resistenza!>>
Con il pianto che impediva ancora di più la parola, John cercò di
parlare:<<È colpa mia...sono morti a causa mia...li ho uccisi io!..io non
volevo...>>
<<Forza John, è necessario che tu lo dica! Descrivi i tuoi ricordi! Sono
qui, non ti abbandonerò!>>
Col fazzoletto si strofinò gli occhi asciugandosi, riprese fiato, ed iniziò a
raccontare.
<<Avevo...avevo all'incirca undici anni. In quel periodo, ero in forte
conflitto con mio padre. Lui era un uomo potente, un acclamato politico ed
un fervente cattolico. Mi aveva iscritto in un istituto privato gestito dalla
chiesa, la nostra preparazione era fortemente indottrinata verso i dettami
cattolici. Ma questo istituto era finanziato da mio padre stesso, per cui i
professori, talvolta alti prelati, talvolta sostenitori della sua politica, ci
inculcavano con le loro idee, idee nazionaliste, alimentate da posizioni
estremamente violente e radicali. Ci veniva insegnato che l'unico bene al
quale dovessimo aspirare era Dio, un Dio punitore, un Dio vendicativo, al
quale dovevamo offrire la nostra piena e disinteressata sottomissione. E a
me questo non piaceva affatto. Un giorno, ci diedero come compito un
tema da scrivere. L'argomento, era quello di descrivere un noto
personaggio storico verso il quale nutrivamo ammirazione, e dovevamo
elencare e descrivere le gesta per le quali queste persone venivano
ricordate nella storia, evidenziando i motivi per i quali secondo noi queste
persone dovevano essere orgogliosamente onorate. Chi descrisse Giulio
Cesare, chi Dante Alighieri, chi addirittura Adolf Hitler...chi addirittura
mio padre.>>
<<E tu? Quale personaggio scegliesti?>> chiese incuriosito Wilkinson.
<<Io...io scelsi Gesù..>> disse con tono che voleva celare un senso di
colpa.
<<Gesù?..e per quale motivo?>>
<<Perché mi piaceva...mi piaceva perché parlava di amore verso il
prossimo...amore disinteressato verso chiunque...l'unico che stava dalla
parte dei deboli e degli emarginati, l'unico che osava non giudicare bensì
difendere chi dalla società veniva duramente ammonito. L'unico che non si
poneva da giudice, bensì da amico e da pari, verso chi potesse aver
commesso degli errori. Feci vari esempi:poveri, prostitute, ladri...tutti! Ma
questo andava completamente contro gli insegnamenti di quella scuola, in
particolare contro gli insegnamenti di mio padre. La sua era una politica
estremamente reazionaria: omosessuali, clandestini, genti di altre culture e
di altre religioni, criminali, erano da lui definiti 'fecce dell'umanità', la
piaga che doveva essere combattuta con tutte le forze dagli uomini giusti,
ovvero noi. Gli uomini giusti guidati da Dio ovviamente, il bene. Inoltre,
aggiunsi un particolare profondamente scandaloso, tanto che mio padre
venne convocato dal consiglio, e mi sospesero per quindici giorni. >>
<<Cosa avevi scritto?>> chiese Wilkinson.
Mason esitò, quasi se ne vergognava, ma infine parlò:<<Scrissi...che se
tutti fossimo stati come Gesù, saremmo vissuti in un mondo migliore, e
che la sua bontà era talmente tanta che non avrebbe giudicato
nemmeno...>> si bloccò. Non aveva il coraggio di dirlo.
<<Coraggio John. Di chi si trattava?>>
<<..Del...del diavolo...>>
<<Il diavolo? Intendi Lucifero?>>
<<Si...>>
<<E perché scegliesti proprio lui? Cosa intendevi dire?>>
<<Volevo dire...che Gesù era talmente comprensivo e generoso, che non
avrebbe mai 'trattato male', così scrissi precisamente, nemmeno il diavolo,
l'essere che più di tutti rappresenta il male. Ci viene sempre insegnato che
Lucifero rappresenta il male e va combattuto, mentre Dio rappresenta il
bene e va obbedito. A scuola, ci raccontavano sempre la storia, dicendoci
che Lucifero era l'angelo preferito di Dio, suo padre. Preso però dalla foga
di ribellarsi e primeggiare, rinnegò Dio stesso mettendo in discussione la
sua autorità e la sua onnipotenza, causando così la sua cacciata.>>
Fece una pausa, riflesse, e gli scappò una risata innocente.
Al che lo psichiatra chiese :<<C'è qualcosa che ti diverte John?>>
<<Non proprio...ma... ero solo un bambino...di fronte ai professori mi
giustificai in questo modo:'Tutti facciamo i dispetti, e tutti facciamo
arrabbiare i nostri genitori, anche voi quando eravate bambini l'avete fatto.
Ma i vostri papà e le vostre mamme non vi hanno mai abbandonato, vi
hanno sempre voluto bene. Se per un capriccio, Dio ha cacciato via suo
figlio, condannandolo ad essere giudicato da tutti come il super-cattivo, e
non facendoci più pace, allora il vero cattivo è Dio! È un padre che non
vuole bene a suo figlio, ed è per questo che si è vendicato su Gesù
facendolo mettere in croce, perché anche Gesù gli aveva disobbedito, e
non aveva giudicato male il diavolo, ma l'aveva compreso!>>
Il prete e lo psichiatra si scambiarono un'occhiata, e si misero entrambi a
ridere, divertiti dall'innocenza con la quale il John bambino aveva esposto
le sue idee.
<<Beh c'è da dire John, che eri un bambino molto intelligente! Certo hai
dato un'interpretazione un po' diversa delle sacre scritture, ma comunque
molto originale!>>
<<Il punto è che nonostante questa cosa non fosse scritta da nessuna parte,
ne ero, però, profondamente convinto. Avevo unito da una parte
l'insegnamento che ci davano a scuola, e dall'altro il racconto reale di
Gesù. Se tutta quella tipologia di persone incarna il male, stando a quanto
dicevano i miei insegnanti, e se Gesù si era posto amorevolmente con loro,
di conseguenza Gesù ha mostrato benevolenza anche verso il male, e
quindi verso il diavolo.>>
<<Come darti torto!>> Aggiunse Wilkinson divertito. <<Ma ti prego,
continua!>>
John si schiarì la voce e proseguì: <<Si..Dopo tutta questa faccenda, il
giorno stesso ebbi una violentissima discussione con mio padre. Piansi per
tutto il tempo. Lui non faceva altro che inveirmi contro e prendermi a male
parole. Prese il compito da me scritto, me lo stracciò davanti gli occhi e lo
gettò nel camino. Continuava a ripetermi che fossi ancora più maligno del
diavolo, che avevo bisogno di cure e che l'avevo profondamente deluso.
>>
Nel ripetersi quelle parole, John avvertì un lieve colpo al petto, si arrestò,
tanto che il dottore gli chiese se andasse tutto bene. Annuì, fece cenno di
non preoccuparsi, e riprese:<<..comunque..quello stesso giorno decise che
sarebbe stato meglio per me, come soprattutto per lui, se fossi andato in un
collegio maschile privato, nel quale mi avrebbero reclutato per addestrarmi
fino ad intraprendere la carriera militare. Secondo mio padre non ero fatto
per pensare, per cui una condotta basata sulla pura e cieca obbedienza agli
ordini sarebbe stata un'ottima 'cura'; al contempo, se io mi fossi levato di
torno, con quelle mie idee bizzarre e stravaganti, gli avrei evitato
l'imbarazzo di avere un figlio così indegno, specialmente per un
personaggio di fama come lo era lui. Quella stessa sera, mi fece le valige, e
mi volle accompagnare personalmente in questo istituto. Ricordo che
pioveva, la pioggia era talmente fitta da non riuscire a vedere nemmeno
dove si camminava. In macchina, c'erano anche mia madre e mia
sorella....>> si bloccò, quei ricordi stavano iniziando ad essere dolorosi, ed
esitò nel continuare. Ma si fece forza, e riprese:<<durante il viaggio, io
continuavo a piangere, mio padre continuava ad urlare, mentre mia madre
era talmente succube di lui che non si era nemmeno espressa. Più lui
urlava, più io piangevo...>>
<<Che cosa provavi da farti sorgere tanto dolore?>>
<<Io...ero...deluso...amareggiato..arrabbiato..mi sentivo abbandonato da
mio padre..e mi sentivo profondamente in colpa...sentivo di averlo
deluso...ma non capivo il...>>
Le lacrime non gli permisero di continuare, che subito riscoppiò in un
ulteriore pianto.
<<Cosa John? Cosa non capivi?>>
<<...il...perché...>>
<<Cosa significava per te questo 'perché'?>>
<<Io...non capivo perché mi stava abbandonando..non capivo perché non
mi volesse bene...non capivo perché lo avevo deluso così tanto...io...avevo
solo detto ciò che pensavo...avevo solo undici anni...>>
Wilkinson lo lasciò sfogarsi per qualche istante, e poi disse:<<Forza John!
Puoi farcela, cosa è successo dopo?>>
<<Dopo circa dieci minuti di viaggio...in preda alla paura ed allo
sconforto, mi sporsi in avanti afferrandolo per un braccio, supplicandolo
di riportarmi a casa, lo pregai di perdonarmi. In preda alla disperazione
continuavo a dirgli che gli volevo bene. Lui cercò di divincolarsi dalla mia
stretta perché lo distraevo, e nel farlo, perse il controllo dell'auto. Ricordo
che iniziammo a ruotare su noi stessi. Poi un esplosione enorme. Credo di
essere svenuto sul momento. Mi ripresi poco dopo, ma vidi...>> si bloccò
di nuovo, e il pianto si fece ancora più soffocante.
<<Coraggio John, che cosa vedesti?>>
<<Mia sorella...mia madre...e...mio padre erano morti....io..io...non avevo
nemmeno la forza di urlare, ero shockato, impaurito, mi sentivo....>>
<<Come ti sentivi John? Cosa provavi?>>
<<Mi sentivo profondamente in colpa...io...credevo...>> fece una pausa,
rimase per qualche istante in apnea soffocato dal magone e dai pensieri che
lo stavano sommergendo in quel momento, ma come uno sfogo liberatorio,
sussurrò:
<<Li ho uccisi io...è stata tutta colpa mia...se non fosse stato per me, ora
sarebbero ancora vivi...>>
Wilkinson gli si avvicinò, gli pose entrambe le mani sulle spalle e gli
disse:<<Non è colpa tua John, tu non c'entri niente, non sei colpevole di
nulla!>>
E poi riprese: <<Avanti...continua a raccontare!>>
<<Ero profondamente spaventato, cercai di uscire dalla macchina ma la
portiera era bloccata. Così mi stesi sulla schiena, e con i piedi tirai un
calcio contro il vetro per romperlo. Infilai la mano, provai ad azionare la
maniglia esterna, e la portiera si aprì. Scesi dalla macchina, iniziai a
bagnarmi completamente per la forte pioggia. Non sapevo dove andare e
cosa fare, ero shockato. Poi sentii le sirene delle macchine della polizia, e
delle ambulanze. Improvvisamente piombarono due volanti dal quale
scesero degli uomini. Uno in particolare, dopo aver guardato velocemente
la macchina, si voltò e mi vide. Mi guardò fisso negli occhi, cercò di
avanzare verso di me lentamente tentando, forse, di non spaventarmi, ma
non appena venne chiamato da un suo collega verso il quale girò la testa,
scappai, correndo nel mezzo dei boschi. Ricordo persino il suo
nome....Bruce Taylor..Detective Bruce Taylor>>
<<E poi? Dopo essere scappato cosa ricordi?>>
<<Nulla...il vuoto...credo che svenni, ma è l'unica vicenda della mia
infanzia della quale ho memoria>>.
<<Da dove partono i tuoi ricordi attuali? Dopo questa vicenda?>> chiese
Wilkinson.
<<Da quando avevo circa quindici anni...sono cresciuto in un convento di
frati.>>
<<Nessuno ti ha più cercato? Nessuno ti ha più riconosciuto? Eppure
riporti lo stesso nome di quando eri piccolo. Non hai mai fatto domande
sulle tue origini?>>
John ci pensò su, e poi rispose :<< In realtà no..per quanto il dubbio mi
sorgesse, mi sono sempre rifiutato di fare questa domanda, ma non saprei
assolutamente spiegarle il motivo.>>
Wilkinson, si adagiò sullo schienale della poltrona boccheggiando la sua
pipa, ed iniziò a riflettere. Era dubbioso, ed incuriosito, ma proseguì oltre.
<<Bene John, abbiamo abbastanza elementi per dare un senso a tutto.>>
<<Cosa..?>> chiese dubitante il prete, ancora con la voce smorzata dai
pianti.
<<Si John, mi sembra tutto molto chiaro. Tutto questo sogno di fantasia
che hai fatto durante l'ipnosi, ha una sua perfetta logica.>>
<<Io...io non capisco...non ha senso! Nel sogno non ero nemmeno io,
quelle persone non esistono...io..>>
<<Ascoltami John. La nostra mente è estremamente complessa e contorta,
essa è in grado di farci vedere cose che apparentemente non esistono, ma
bada! Tutto ciò che la mente vede, è tutto ciò che per la mente esiste!>>
John lo guardò perplesso. Non riusciva a capire, pensava solamente di aver
vissuto questo fantasioso viaggio astrale dove aveva rimembrato alcune
tappe della sua vita, ma per il resto pensava fossero solo chimere. Inoltre
non riusciva a concepire il nesso tra i suoi incubi, le sue sensazioni e tutta
quella vicenda.
<<Iniziamo dai tuoi sogni. Ti identifichi nella figura di Lucifero, nel
momento stesso in cui vieni cacciato dal paradiso, da Dio, il quale dice di
essere profondamente deluso da te, rifiutando tutte le tue suppliche relative
al perdono che tanto brami. Una schiera di angeli è pronta ad attaccarti
senza pietà, non appena Dio darà il comando. Non ti ricorda proprio nulla?
>>
John fece spallucce, aggrottò la fronte. Non riusciva a capire dove voleva
andare a parare.
<<Il tuo tema John, e il tuo rapporto con tuo padre.>>
Il prete indietreggiò. Ciò che Wilkinson gli stava dicendo non aveva
affatto logica.
<<Nel tuo tema hai espresso te stesso, le tue idee, identificandoti
nell'operato di Gesù, ovvero di un uomo che comprende, ascolta e non
giudica gli uomini, coloro che sono emarginati e non visti di buon occhio.
Ti sei immedesimato in Lucifero, il male assoluto, la malignità per
eccellenza, conferendogli un lato umano. Avevi undici anni John, e la tua
innocenza puerile, si è incontrata con lo spirito di ribellione e di necessario
scontro con l'autorità, tuo padre ed i tuoi insegnanti: stavi diventando un
adolescente! 'Cosa avrà mai fatto Lucifero di tanto male per meritarsi tutta
questa cattiveria? Se prima era un angelo, il più bello e splendente di tutti,
perché ora è denigrato e detestato dall'intera umanità? Prima di giudicarlo,
qualcuno si è mai chiesto di capire il perché si sia ribellato a suo padre? E
qualcuno si è mai chiesto perché dovesse essere proprio lui il cattivo? Chi
lo ha detto? '. Tu John, hai introiettato questa storia in te stesso, ti sei
sentito proprio come Lucifero si è sentito nel momento in cui è stato
cacciato da suo padre. Tu hai solamente espresso una tua idea, hai messo
in discussione la concezione di bene e di male che ci viene da sempre
inculcata, hai messo in discussione la società, la buona morale, la
religione, Dio e senza dubbio l'autorità di tuo padre. A quel punto, scattano
le accuse, le male parole, le delusioni e le punizioni, come i giudizi ormai
incontrovertibili di tutte le persone. Al tuo mettere in discussione tutte le
certezze che tuo padre ed i tuoi insegnanti volevano che tu abbracciassi,
tuo padre ha reagito identificandoti con il male, con il diavolo, 'più
maligno del diavolo stesso' per la precisione. Ti sei sentito abbandonato,
mortificato, non accettato e soprattutto non amato dalla persona dalla quale
ti aspettavi un amore incondizionato: tuo padre.>>
John iniziò a piangere, sempre più intensamente, quelle parole crearono
una tempesta di emozioni dentro di lui; ma Wilkinson proseguì:<<'Perché'
John, questo 'perché' che ti tormenta e che non riesce a farti accettare
questo dolore è la domanda che più di tutti vorresti fare a tuo padre, come
è la stessa domanda che Lucifero poneva disperatamente a Dio:'Perché mi
hai abbandonato?'. Da qui nasce la rabbia, la frustrazione, e quel profondo
senso di colpa che ti porta a supplicare tuo padre di continuare ad amarti,
di continuarti a volere bene. Poi l'incidente, tutti muoiono e ti credi il
responsabile. Ecco perché quei tre cadaveri ricorrevano nella vicenda, ecco
perché nel tuo viaggio ipnotico li hai identificati come vittime di omicidio,
perché tu pensi di averli uccisi! Ma la tua coscienza questo non potrebbe
mai accettarlo, e quindi l'ha ricostruito come un delitto del quale non hai la
minima responsabilità, e del quale tu devi essere l'eroe. Ed ecco che entra
in gioco il detective, Bruce Taylor. C'è un motivo se in tutta questa
vicenda hai assunto il suo ruolo e le sue sembianze: quando dopo
l'incidente uscisti dalla macchina, fu il primo uomo che tu vedesti; sapevi
che fosse un agente di polizia, e questo ti portò ad identificarlo come
quella sentinella, quel 'cane da tartufo' che prima o poi ti avrebbe scoperto,
individuato ed arrestato. Questo perché ti sentivi un assassino. Tu sei
scappato John, ma la tua mente, coinvolta nell'ipnosi, ti ha riproposto un
viaggio, un viaggio con un obiettivo, e cioè ritrovare quel bambino
scomparso, il detective che va alla ricerca del bambino. E come quel
bambino ti diceva in quella stanza, lui era il segreto, tu eri il segreto, il
segreto del bene e del male. Quel bambino incarna quella parte della tua
coscienza, della tua memoria che non hai mai accettato, e quindi la tua
mente lo ha gettato nell'oblio. Quel bambino, per te rappresenta il male, la
vergogna, la delusione, la morte! La morte di tuo padre! Quel bambino sei
tu ad undici anni, che è scappato dopo aver creduto di aver ucciso i suoi
genitori. Tutto ciò che succedeva in quella stanza, ripropone la tua
resistenza ad accoglierlo: ti sentivi le mani legate, quando poi ti sei reso
conto di non essere legato da alcun ché. Questo, significa che tu stesso ti
ponevi nella condizione di non poterti muovere! Il bambino era bagnato,
perché il tutto successe sotto la pioggia. Nei tuoi sogni c'è sempre un
temporale, e non appena ti sei svegliato nella tua stanza, a causa dello
squillo del telefono, fuori pioveva. La pioggia, identifica il luogo, il
momento in cui i tuoi genitori sono morti, il momento in cui il John
bambino ha avuto paura, ed è scappato...scappato da sé stesso! Quando il
bambino ti ha riportato con i ricordi alla notte dell'incidente, la pioggia non
ti bagnava, come se in realtà non ci fossi mai stato in quel luogo ed in quel
momento, e questo sta a simboleggiare la repulsione della tua mente
nell'accettare che quella realtà sia effettivamente avvenuta. Ma il finestrino
sei riuscito a romperlo, proprio perché da bambino, hai rotto il vetro per
uscire dalla macchina. Tutto torna John, nulla che non ti sia effettivamente
successo, potrebbe rientrare nel tuo viaggio. Nella stanza finale, non lo
vedevi riflettere nello specchio perché per te non esisteva, non era reale,
non voleva essere reale! Tutte quelle persone che durante il tuo cammino
si sono intromesse nelle ricerche del bambino, proprio come lui stesso ti
diceva, non sono altro che parti, momenti della tua coscienza che
opponevano resistenza verso il raggiungimento della verità. Hai
antropomorfizzato in quelle persone, tutti quei sentimenti, quelle
emozioni, e quelle paure, che in tutto questo tempo ti hanno impedito di
cogliere quella verità, quel segreto, quel dolore! 'Volevano impedirti di
arrivare a lui, volevano ucciderlo, volevano uccidere il segreto!' La nostra
mente, John, funziona con degli straordinari meccanismi di autodifesa,
proprio come il nostro corpo. La mente, percepisce informazioni
dall'esterno, le memorizza e le metabolizza. Cosa succede al nostro corpo
quando ingeriamo qualcosa di nocivo? Automaticamente va in allarme,
riconoscendolo come qualcosa che non va, per cui lo rigetta fuori. Stesso
identico discorso vale per il cervello. Quando un evento vissuto risulta
essere eccessivamente doloroso e difficile da metabolizzare, la nostra
mente cerca di auto-difendersi, per cui lo butta fuori, ed ecco così che ce lo
dimentichiamo. È molto più semplice dimenticare qualcosa di brutto,
piuttosto che accoglierlo ed accettarlo, perché in questo caso accettarlo
significa vivere un dolore straziante, lacerante, e significa rimettere in
discussione tutta la nostra esistenza, il nostro modo di vedere la vita, i
nostri valori, le nostre credenze, il modo di vedere noi stessi. Il minor
dispendio di energia è il primo candidato ad essere assunto, per questo la
mente ti pone tutti quegli ostacoli: finché c'era la possibilità che tu non
arrivassi a trovare il bambino, il tuo più recondito segreto, il male che
pensavi risiedesse in te, la tua mente ha cercato in tutti i modi di distrarti,
di metterti i bastoni tra le ruote, rendendo più difficoltosa la tua ricerca, ma
infine ce l'hai fatta e ci sei arrivato, sinonimo del fatto che qualcosa in più
è sopraggiunto: la tua forza di volontà!>>
John ascoltò quelle parole con molta attenzione, rimase sbalordito dalla
perfetta analisi che Wilkinson era riuscito a ricostruire. Era una bella storia
effettivamente, ma qualcosa ancora non lo convinceva.
<<Mi perdoni dottore, tutto molto bello, ma ho sognato certe cose che non
esistono, che non fanno parte della realtà. Persone inventate, ho parlato
con persone con cui non ho mai avuto a che fare!>>
<<Ricorda John, la nostra mente è potentissima, ma ha dei limiti: essa può
compiere i più bizzarri viaggi fantasiosi, può inventare, giocare, alterare,
pensare alle cose più inimmaginabili, ma non può assolutamente creare dal
nulla!>>
Il prete rimase a guardarlo, non capiva cosa effettivamente gli stesse
dicendo.
<<Quello che sto cercando di dirti, è che tutto ciò che la mente è capace di
creare, non lo fa mai da zero, ma parte sempre da qualche cosa che ha già
conosciuto in precedenza.>>
<<Ma è assurdo dottore! Io sono di certo in grado di pensare ad un enorme
drago alato che sputa fuoco, ma questo non significa che io l'abbia già
visto in precedenza! È impossibile!>>
Wilkinson sogghignò leggermente sotto i baffi, e si rivolse a Mason in
questo modo:<<D'accordo John. Facciamo a modo tuo. È giusto dire che
un drago abbia le sembianze di un enorme dinosauro, a volte misto ad una
lucertola?>>
<<Beh..direi di si!>>
<<Perfetto! Tu conosci ed hai già visto sia la figura di dinosauro che
quella di lucertola. Le ali le conosci, hai avuto modo di vederle in
innumerevoli circostanze della tua vita. Il fuoco lo conosci, l'idea di
grandezza anche, come anche l'idea di un animale che vola! Tutte queste
piccole idee prese singolarmente, se unite formano un'intera idea
complessa che tu riconfiguri nel drago, ma esso, non è altro che la somma
e l'intreccio di plurime idee semplici e distinte che la tua mente ha già
avuto modo di conoscere.>>
John si accorse di aver preso un granchio, e che tutto ciò che il dottore gli
stava dicendo non faceva una piega.
<<Ok...ma...cosa c'entra tutto questo con il mio sogno?>>
<<Anche laddove hai fatto cose, visto cose, parlato con persone che tu
ritieni siano irreali, c'è una parte della tua mente che in un modo o
nell'altro le ha già conosciute nella realtà. Ti ripeto, la mente può
estendere, alterare, modificare, stravolgere un' idea, un ricordo,
un'immagine, ma lo farà sempre su una base di idee, ricordi e immagini
che ha già metabolizzato. Quindi tutto ciò che hai vissuto nel tuo sogno
astrale, ha a che fare con qualcosa di reale nella tua vita.>>
Stette in silenzio per qualche istante, per vedere se John lo stesse seguendo
col ragionamento, e continuandolo a vedere un po' incredulo continuò:
<< Loren, ad esempio!>>
Pronunciando questo nome si accorse che era riuscito a catturare
l'attenzione del suo paziente, per cui andò avanti
<<Loren, è l'unico personaggio che non si è posto come ostacolo tra te ed
il tuo obiettivo, anzi! Ti ha aiutato, fino alla fine, andando contro le
consuetudini del suo lavoro e gli ordini dei suoi superiori. Ecco, lei
rappresenta quella parte di te, quella scintilla che non è più voluta
sottostare a questa grande menzogna, è quella parte di te che si è voluta
liberare, che è voluta andare fino in fondo.>>
<<Ok ma...non riesco a cogliere il nesso tra mio padre e Dio, tra me e
Lucifero, i miei sogni, quell'attrazione che provo verso il demonio.>>
<<Devo dire John, che nonostante la psicanalisi freudiana è tutt'oggi da
molti considerata superata in molti suoi aspetti, devo dire che in questo
caso, papà Freud ci ha visto lungo!>>
<<In che senso?>>
<<Vedi John, tutto ciò che noi siamo, lo siamo sempre per un motivo. Il
nostro carattere, le nostre inclinazioni, le nostre paure, le nostre passioni,
anche i nostri mestieri identificano il nostro essere. Da tutta questa
vicenda, risulta abbastanza evidente il motivo della tua vocazione.>>
Mason rimase di stucco:<<Vorrebbe dire che da tutta questa vicenda si
può spiegare il perché sia diventato prete?>>
<<Direi proprio di si!>> rispose Wilkinson compiaciuto.
<<Sono cresciuto in un convento di frati, mi sembra più che plausibile!>>
<<Io sono cresciuto in una fattoria John, e non per questo sono diventato
un cavallo!>>
La spiritosa battuta strappò una risata divertita ad entrambi.
John si trovava sempre più a suo agio con quel dottore, sentiva qualcosa
che glie lo rendeva familiare.
<<Comunque, per tornare a noi, il nesso tra te, tuo padre, Dio, Lucifero, la
tua attrazione verso esso, e la tua vocazione, è ben chiara! Soprattutto se si
tiene conto della tua apparente 'simpatia' manifestata verso il male, da
bambino.
Stando a quanto Freud sosteneva, la figura di Dio, non è altro che una
proiezione che noi attuiamo, relativamente al nostro padre terreno. Il
rapporto, cioè, in cui noi ci approcciamo a nostro padre, rimanda di
conseguenza al rapporto che noi abbiamo con Dio, determinandone anche
la fede.
Questa teoria si baserebbe sulla fase successiva del complesso edipico. Il
bambino nelle prima fasi della sua infanzia, identifica nel padre un nemico
che si interpone tra lui e sua madre; perciò, per dominare totalmente la
madre, il piccolo tenta di far fuori suo padre. Successivamente però, nasce
un forte senso di colpa per questa 'detronizzazione' compiuta, cosicché
avviene l'effetto opposto, ovvero invece di eliminare la figura del proprio
padre, il bambino tende a divinizzarlo, facendolo diventare un punto di
riferimento incrollabile, verso il quale prova un senso di totale reverenza.
Ora, verso tuo padre nutri un infinito senso di colpa John, dato dalla tua
convinzione di averlo ucciso. Inoltre la rottura vera e propria risiede nel
momento in cui lui ti accusò di averlo fortemente deluso, a tal punto da
mandarti via da lui. Come ti dicevo, a quell'epoca ti trovavi in una fase
intermedia della tua vita, uscivi dall'infanzia per entrare nell'adolescenza,
per cui vivevi uno dei paradossi più comuni di quell'età, quello del
bambino/adulto: 'ho bisogno di papà, ho bisogno della sua approvazione,
ho bisogno di sentirmi amato, ma allo stesso tempo debbo affermare la mia
autorità, sto diventando un uomo, e non ho bisogno di qualcuno che mi
tenga la mano'. Con quel tuo tema, hai perfettamente espresso quel
paradosso, laddove l'incoscienza innocente dell'infanzia, incontrava lo
spirito di ribellione e di messa in discussione tipico dell'adolescenzia:
'Lucifero non è cattivo, e Dio (suo padre) non può cacciarlo via solo per
avergli disobbedito'. In questo pensiero ci sei tu, il John bambino, il John
che vuole il bene incondizionato di suo padre; 'se Dio caccia suo figlio,
facendolo diventare il simbolo del male, non perdonandolo, il vero cattivo
è Dio'. Qui c'è il piccolo John che vuole andare oltre, che vuole mettere in
discussione l'autorità di suo padre e tutte le regole che gli vengono
imposte! Anche Lucifero mise in discussione l'autorità di suo padre,
proprio come hai fatto tu, ma entrambi siete stati cacciati e considerati
'cattivi', quando in realtà avete un fattore in comune: quello dell'umanità.
Tu non hai detto quelle cose per malvagità, come nemmeno Lucifero ha
rinnegato suo padre per cattiveria, anche perché in questo caso sarebbe un
paradosso in termini, dato che se il male nasce con la cacciata di Lucifero,
quest'ultimo non può aver commesso la sua colpa per cattiveria, dato che
prima di quel momento la cattiveria non esisteva. Lo avete fatto solamente
perché avete mostrato la vostra naturale umanità. È molto più umano un
Lucifero che si ribella al cieco dogmatismo di Dio, piuttosto che un essere
che aspira alla perfezione pura come gli angeli. L'umanità non può essere
considerata un crimine, è la nostra stessa essenza, ed anche le figure di Dio
e di Lucifero non sono altro che le manifestazioni di ciò che l'uomo
considera bene e ciò che considera male. Tuo padre, come ogni padre
d'altronde, l'ultima cosa che brama è quella di essere messo in discussione
dalla propria prole. Ma perché secondo te John? Evidentemente un padre,
sentendosi messo in discussione, avverte che la propria autorità ed il
proprio potere vengono minati, scalfiti, per cui reagire in maniera
repressiva rappresenta un loro modo di rimanere al sicuro, di mantenere il
proprio controllo.>>
John lo ascoltò con attenzione. I pezzi iniziavano a tornare, e tutto quello
che aveva vissuto iniziava ad avere un senso. Tutti quei discorsi su suo
padre, il nesso con Dio, richiamarono in lui una serie di ragionamenti che
lo fecero impegnare a dare una sua interpretazione della faccenda,
cercando cioè, di non accontentarsi della ricostruzione dello psichiatra. A
tal punto, aggiunse alle parole di Wilkinson:<<Mi viene da pensare, forse,
che Dio reagì in quel modo, perché sentì la sua onnipotenza non più
sicura...aveva paura!>>
Fece una breve pausa, stava mettendo in atto pensieri che andavano
totalmente oltre la sua deontologia sacerdotale.
<<E se aveva paura, significa che poteva temere che Lucifero, suo figlio,
potesse in un certo senso...>> riflesse sulla parola giusta da utilizzare, ma
Wilkinson lo precedette:<< Superarlo?>>
John rimase per un momento sconcertato, mai avrebbe pensato di poter
sostenere una conversazione simile. Era, certo, un prete dalle larghe
vedute, ma i principi incrollabili della fede cattolica non potevano essere
desacralizzati in quel modo. Sta di fatto, che quella parola lo scosse, ed
infine, non poté fare a meno di condividere ciò che lo psichiatra stava
dichiarando.
<<Si...superarlo, scavalcarlo in qualche modo. Forse, proprio come ogni
padre teme che il proprio figlio possa diventare qualcosa più di lui. È come
se un domatore di animali, arrivasse al punto di poter essere comandato
dalle sue stesse bestie.>>
<<Esatto John! Vedo con piacere che iniziamo ad intenderci! E...tutto
questo cosa ti porta a pensare? Se effettivamente quello tra Dio e Lucifero,
è solamente una continua 'partita a scacchi', come d'altronde nel tuo sogno
si sosteneva, quale conclusione né deriva?>>
Mason ci pensò profondamente. La questione che Wilkinson gli aveva
posto sembrava poter essere la chiave dello svelamento del tutto.
Improvvisamente, ebbe come una sorta di illuminazione.
<<Tutto questo significa che...bene e male non esistono. O meglio
esistono, ma esistono in quanto siamo noi uomini a dargli realtà. Nessuno
mai si è chiesto del perché Dio sia il bene assoluto, mentre Lucifero
l'esatto opposto, perché fondamentalmente non esiste risposta che
possiamo trovare fuori di noi. Questa risiede dentro di noi, nell'uomo, nella
nostra responsabilità! L'uomo non è mai stato capace di approcciarsi alla
propria esistenza con responsabilità, ha sempre cercato di trovare una
risposta del proprio male all'infuori di lui, quando è lui stesso il creatore
del proprio male. Un po' come Dio...se va tutto bene è grazie a lui, se va
tutto male è colpa del male intrinseco nella natura umana, in altri termini,
del seme del demonio che è in noi. Proprio come spesso fanno i genitori,
se i propri figli crescono secondo una retta condotta è tutto merito loro,
qualora questo non avvenisse la colpa è dei figli stessi, oppure del mondo
che li circonda. Le cose assumono un tipo di realtà nel momento in cui
siamo noi a conferirgli quei valori! Dio e Lucifero esistono perché l'uomo
ha bisogno di credere in qualcosa che gli dia un senso, che dia un senso
alle sue azioni! Siamo noi il segreto del bene e del male..ecco perché tra
Lucifero e Dio è una continua partita a scacchi, non perché sia una
battaglia di supremazia, ma perché ogni mossa dipende da quella
precedente e conseguirà quella successiva. Non esiste vita senza morte,
non esiste bene senza male, per cui ogni mossa del bene, implica
necessariamente una mossa del male. Dio forse aveva paura che suo figlio
potesse superarlo, come mio padre forse aveva paura che potessi diventare
qualcosa di più.>>
Nel dire quelle ultime parole John cascò si sentì sconfortato, stava
iniziando a rivalutare completamente la figura di suo padre.
<<E ti dirò di più John, la tua vocazione deriva proprio da questa lotta
continua tra bene e male, che hai interiorizzato in maniera malsana a causa
degli eventi con la tua famiglia che sono stati per te traumatici. Come ti
dicevo, riprendendo la teoria freudiana, tu hai divinizzato la figura di tuo
padre, hai creato 'Dio'. E cosa fa un sacerdote per Dio? Lo onora, lo rende
fiero, lo rende orgoglioso! Proprio quello che tu credi di non aver potuto
fare con tuo padre, quello per cui pensi che tuo padre, assieme alla tua
famiglia, sia morto. È un riscatto John, il riscatto del tuo dolore, pensi di
non aver potuto renderlo fiero, anzi, lo hai fortemente deluso, tanto da
ucciderlo, per cui hai proiettato la figura di tuo padre in Dio, servendolo ed
onorandolo, cercando la sua approvazione, la sua benevolenza! Ma sei
anche un uomo di scienza, incline al dibattito ed alla messa in discussione,
e questo deriva da quel tuo seme intrinseco, che ti ha da sempre
contraddistinto, quell'andare oltre le cose, quel comprendere, quel non
giudicare per partito preso. Ecco, hai racchiuso nella figura del sacerdote la
sintesi di questi due aspetti che avresti voluto che conciliassero: il piccolo
John che dice la sua, che non si inchina di fronte alla regola data, ma allo
stesso tempo rende orgoglioso suo padre; renderlo orgoglioso
incondizionatamente, renderlo felice per la propria felicità!
Intendiamoci John, sai meglio di me che nessuna dottrina esistente
interpreta la vicenda tra Dio e Lucifero in questo modo, è una tua
personalissima interpretazione, ma quello che la rende importante è che sta
alla base dell'essenza umana. Questa vicenda, ha a che fare con la tua
perché coglie il punto fondamentale che si connette ai tuoi più profondi
dissidi: lotta tra Dio e Lucifero, lo sfondo concettuale che ha
accompagnato i tuoi traumi; da esso hai colto un punto di snodo, quello
dell'umanità del bene e del male, umanizzando il bene ed il male stesso;
parallelamente, tutto questo è successo in te, nelle tue emozioni, nel tuo
rapporto con tuo padre. Quell'eccitazione che tanto provavi a seguito dei
tuoi sogni, non simboleggia altro che il tuo essere attratto dal bisogno di
umanità che tu hai riversato nella figura di Lucifero; il bisogno di amore, il
bisogno di comprensione, il bisogno di essere accettati in tutte le nostre
manifestazioni: nelle nostre umane essenze!>>
Mason si mise le mani tra i capelli, tutto quello che era riuscito a pensare e
ad affermare andava oltre ogni sua immaginazione. Il punto nevralgico era
che se si era rivolto ad uno psichiatra per mettere chiarezza sui propri
dubbi di fede, ora era lui stesso che si stava impegnando per destrutturare
la propria fede.
<<John, hai fatto dei grandissimi passi in avanti. È sbalorditivo come tu
abbia approdato a queste consapevolezze in così poco tempo.>>
<<Il bene...il male...>> John sembrava come se si fosse momentaneamente
dissociato da quella conversazione.
<<Lucifero esiste perché Dio ha deciso che dovesse esistere. Il male sorge,
nel momento in cui Dio ha parlato di 'bene'! L'affermazione del bene
implica automaticamente l'affermazione del suo opposto, il male! Dio, è il
vero maligno...Lucifero è soltanto una vittima..come io sono soltanto una
vittima...Non sono io ad aver ucciso mio padre..è stato lui ad avermi
ucciso...>>

Wilkinson rimase piacevolmente sorpreso. La velocità e l'efficienza con la


quale il suo paziente era approdato a quelle convinzioni, era a dir poco
sbalorditiva.
<<John, il mio lavoro qui è finito. Tutto ciò che potevo fare l'ho fatto, ora
sta a te, è solo questione di tempo, devi darti il modo per poter accettare
tutto questo, devi darti modo di far pace con te stesso, di far pace con tuo
padre! >>

<<Ma..ora non sono più chi sono, le mie convinzioni, la mia fede, il mio
credo. D'un tratto tutte le mie certezze sono crollate, non credo più nella
mia vocazione..>>
<< É una realtà con la quale dovrai fare i conti prima o poi John, ne vale la
tua felicità, il tuo equilibrio, la tua esistenza. Due sono le scelte ora.
Opzione numero uno: rimanere vincolato in una realtà che non ti
appartiene; opzione numero due: essere libero. È una scelta John, non sta
scritto da nessuna parte che la cosa apparentemente più corretta sia quella
doverosa. Una persona che ha difficoltà nel vedere, non è obbligata a
portare gli occhiali, per quanto questo possa giovarle. L'importante è che
rimanga cosciente del fatto che non vedrà mai nitidamente. >>
<<Ma, sono un sacerdote di fama internazionale, un divulgatore. Sono un
punto di riferimento per molti, se dovessi abbandonare tutto...>>
<<Tutto cosa John? Cosa pensi possa succedere? Pensi di poter deludere
qualcuno?>>
<<John si impietrì. Wilkinson aveva perfettamente centrato la questione!
Era sbalorditivo il modo con il quale quello psichiatra riuscisse a cogliere
le dinamiche psicologiche di una persona!>>
<<Si...>>
<< È lo stesso discorso di Lucifero John. È lo stesso principio per il quale
ti sei battuto: essere amato incondizionatamente, indipendentemente dalle
proprie scelte! Vuoi vedere che questo sia reale? Sii il primo a portarne
l'esempio allora.>>
Mason annuì, accolse profondamente il messaggio che il suo medico gli
stava mandando. Fece la sua scelta!
Dopo pochi giorni, l'intero mondo era in soqquadro. Le dichiarazioni
dell'eminente ex sacerdote John Mason avevano sconvolto l'intero mondo
cattolico. Mandò un video messaggio su tutti i social, il quale fece il giro
del web. In poche ore tutto il mondo ne era a conoscenza. Aveva
rinunciato al suo titolo sacerdotale, e aveva deciso di dedicarsi solamente
alla divulgazione scientifica ed al volontariato. Poco dopo il suo ultimo
incontro con il dott. Wilkinson, in una sola notte, scrisse un breve ma
conciso saggio che avrebbe sconvolto l'intero mondo ecclesiastico, non
solo quello cattolico, ma quello di tutte le religioni! E così fu! Il titolo di
questo, bastava già per creare scalpore: 'Lucifero è il Male? É colpa di
Dio!'. Tutti i giornali e tutti i notiziari ne parlavano, consigli di tutti i
vescovi, cardinali e sacerdoti di tutto il mondo si unirono assieme a tutti gli
altri rappresentanti di tutte le altre religioni. Mason, era una figura
estremamente importante, quindi il valore di quella divulgazione e di
quelle dichiarazioni aveva lo stesso peso, se non maggiore, se le stesse
fossero state pronunciate dal papa in persona. Manifestazioni nelle piazze,
proteste, atti di vandalismo si registrarono nei grandi paesi. L'autorità
ecclesiastica aveva subito uno forte scacco, la quantità dei fedeli si era
esponenzialmente ridotta, ma non solo! Addirittura erano aumentati atti di
violenza contro le istituzioni religiose, nonché gruppi di satanisti. È come
se nel mondo non esistesse più una morale, i valori di male e bene si erano
completamente mescolati. Un sentimento di ribellione estrema pervase
l'intera umanità. Il caos assoluto.
Nella sua stanza, John, era seduto sulla poltrona, fissando la TV, mentre
fumava un Montecristo. Tutti i canali parlavano solo di lui, e di nient'altro.
Molti lo iniziavano a reputare un pazzo, ma era inspiegabile come quelle
dichiarazioni avessero potuto creare tutto quello scompiglio. Lui, però, non
se ne sentiva minimamente in colpa, anzi, ne era profondamente
orgoglioso. La figura di Lucifero, era stata completamente ribaltata,
rivalutata, come la stessa figura di Dio lo era stata. Questo dimostrava
ancora di più quanto fosse uscito nella sua seduta: è l'uomo a decidere cosa
sia bene e cosa sia male. Guardò verso la finestra, e con gli occhi rivolti
verso terra, disse tra sé ironicamente:<<Lucifero, mi devi un favore!>>.
Mentre rideva compiaciuto, il telefono gli squillò. Ormai era abituato,
perché in quei giorni era stato tempestato di chiamate ininterrotte. Buttò
l'occhio sul display, convinto che fosse l'ennesimo numero sconosciuto,
ma un nome comparì. Ciò che lesse lo fece rabbrividire, stava per svenire:
'Papà'.
<<P....pronto?..>>
<<John figlio mio! Questi giorni è stato impossibile contattarti!
Finalmente! Io e tua madre siamo preoccupati, ci vuoi spiegare cosa
significa tutta questa storia?!>>

Il dott. Wilkinson stava a casa sua, a sorseggiare la sua solita pipa. Aveva
la TV accesa che oramai trasmetteva solo notiziari ed immagini relativi al
caos epocale di quei giorni. Quelle divulgazioni stavano cambiando la
storia dell'intera umanità. Lentamente avanzò verso il salotto, aveva una
casa enorme, arredamenti antichi, di un raffinato stile ottocentesco. Si
fermò dinnanzi alla scrivania, sulla quale c'era posta una scacchiera, con le
pedine già posizionate. Accanto ad essa, vi era un libro, intitolato:
'L'inganno della memoria. Tecniche manipolative di falsi ricordi'. I suoi
occhi iniziarono a diventare rossi, di un rosso fuoco rovente. Afferrò
l'alfiere, lo sposto di tre caselle mangiando la regina bianca. Alzò
lentamente lo sguardo, e di fronte a lui si trovava un enorme dipinto sul
muro. Raffigurato, c'era il momento in cui Dio caccia Lucifero dal
paradiso. Lo fissò intensamente fino ad accennare un lieve sorriso
mefistofelico, e disse: <<A te la mossa, papà!>>.

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