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QUADERNI FIORENTINI

per la storia del pensiero giuridico moderno

15
(1986)

giuf f rè editore milano

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MA4RI0NIGRO

CARL SCHMITT FRA DIRITTO E POLITICA

I. Ciò che rende difficile parlare di Schmitt - oltre che la


vastità della produzione accumulatasi, è il caso di dire, su di
lui - è la moltiplicità dei suoi interessi, congiunta alla lunga
operosità della sua vita di studioso, le quali - molteplicità di
interessi e lunga operosità - fanno, fra l'altro, sì che di Schmitt
non ce ne sia uno solo, ma tanti quanti sono le epoche e gli
eventi che egli si è trovato ad indagare con la forza congiunta
della sua geniale intelligenza e della sua amplissima e varia cul-
tura. Un soddisfacente discorso generale su di lui resta, almeno
per ora, quanto di più arduo si possa immaginare e non è certa-
mente possibile in questa sede nemmeno per sommari e appros-
simativi accenni. Dovrò limitarmi, quindi a qualche osservazione
su di un punto sicuramente centrale nella riflessione di Schmitt,
una riflessione la quale, ad onta di quello che ho ora finito di
dire, presenta delle costanti che costituiscono il nocciolo duro
della complessa sua personalità di studioso.
Una di queste costanti, e forse, la più importante fra tutte,
la quale merita la massima attenzione e rispetto alla quale non
tutti i problemi sono stati risolti, è sicuramente il profilo del
rapporto fra politica e diritto.
Schmitt, è noto, è insieme un grande giurista e un grande
politologo, ma più interessante ancora è che egli è un grande
politologo perchè è un grande giurista, e viceversa. Con ciò non
voglio soltanto dire, che nelle sue illuminanti indagini politolo-
giche egli si serve largamente e proficuamente di rigorose analisi
giuridiche (si veda, per esempio, la classificazione dei tipi di stato),
così come i suoi ragionamenti giuridici non prescindono mai da
solide premesse politologiche; voglio mettere in rilievo un fatto

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più importante, e fecondo di vastissime conseguenze, e cioè l’es-


senzialità, per Schmitt, del rapporto fra diritto e politica. I n
Schmitt, diritto e politica non sono due entità autonome e irri-
ducibili l’una all’altra, ma due fenomeni, o ordini di fenomeni,
indissolubilmente connessi; e, per come io la vedo, il filo condut-
tore dell’intera opera di questo studioso sta forse proprio nella
convinzione di questa connessione (se è esatto definirla soltanto
connessione) e nel tentativo di usarla più o meno consapevol-
mente e intenzionalmente come chiave di interpretazione della
storia (sviluppo e crisi) dello stato moderno (1).
Sarà vero (forse) che Schmitt sbaglia in questa sua convin-
zione, sarà vero (forse) che egli non riesce a dimostrare la con-
nessione e non riesce (è un’ipotesi) a iscrivere nel cerchio della
sua interpretazione gli eventi e le ideologie in cui si sostanzia
l’intera vicenda di questo stato, ma tutto ciò non ha nulla a che
vedere con il fatto che per Schmitt le cose stanno proprio così,
che egli cioè non è soltanto uno studioso che indaga tanto sullo
stato come fatto politico quanto sullo stato come fatto giuridico,
ma uno studioso che ha come regola metodologica fondamentale
di studiare la vita e la storia dello stato moderno come intreccio
e sintesi di politica e diritto (”.
Che cosa, in particolare, significhi per Schmitt questa embri-
cazione di diritto e politica non è facile stabilire, ma che l’embri-
cazione sia essenziale per lui e che tutto il suo pensiero ruoti
intorno ad essa non mi pare si possa negare.
Non bisogna dimenticare che Schmitt ha dietro di sè la grande
tradizione della scienza giuridica tedesca alla quale si deve la
costruzione dello stato come istituto, o complesso di istituti giu-
ridici, o, più stringentemente ancora, si deve la riduzione dello
stato a diritto. Ora il punto da cui occorre partire è che egli
non rinnega affatto questa tradizione, anzi in un certo senso si

(1) Lo sforzo di C . Schmitt di conciliare la teoria giuridica dello stato con


i risultati della comprensione scientifica della politica (che però egli considera
come un tentativo perdente) è messo in luce da G. Miglio nella Presentazione
della silloge italiana di scritti politici di Schmitt pubblicata con il titolo L e
categorie del N politico o, Bologna, 1972.
(*) Cfr. I tre t i p i di pensiero giuridico, in Le categorie del a politico o, cit.,
272 sgg.

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pone come continuatore di essa: sotto questo profilo egli è giu-


rista, anzi grande giurista. Non voglio dire che continui a pensare
lo stato come fatto primieramente giuridico; ma indubbiamente,
questa giuridicità dello stato è per lui un presupposto indiscuti-
bile. I1 problema, per lui, non è di rifiutare o superare la giuri-
dicità dello stato, ma di integrarla e di rinnovarla, fermando quel
processo di invecchiamento e di disfacimento della concezione
giuridica dello stato che era cominciato già nell’ottocento e con-
tinuava ora con quella che si conviene chiamare la crisi dello stato.
Due ordini di eventi soprattutto erano, per Schmitt, all’ori-
gine dell’indebolimento e della obsolescenza di questa concezione.
Anzitutto, provenendo dall’interno stessa di essa, il disseccamento,
per così dire, e la devitalizzazione della medesima operata dalle
propaggini estreme del formalismo, del legalitarismo e del positi-
vismo di tipo lielseniano: fase in cui la dottrina giuridica arriva
all’assurdo di negare in astratto, in nome della purezza del diritto,
quel rapporto fra diritto e politica il quale è invece la concreta
e positiva ragione d’essere della stessa negazione (come Schmitt
stesso ha, in più di un punto della sua opera, messo in luce).
I n secondo luogo, l’attacco esterno alla detta concezione da parte
di tutte le idee pluralistiche (pluralismo politico, economico, so-
ciale etc.) e neutralistiche (sotto l’aspetto politico) tendenti a
rompere il monopolio dello stato ed a mettere per ciò in discus-
sione non solo l’assetto politico di esso, ma anzitutto e soprat-
tutto l’assetto giuridico in cui la spinta politica si era acquietata
e conformata: è evidente che, o negando addirittura il momento
politico o portando la politica al di fuori dello stato, si rendeva
la costruzione giuridica dello stato più esangue ed inutile che mai.
Schmitt non vuole dunque combattere la classica concezione
giuridica dello stato, ma solo la sua degenerazione e la sua im-
potenza. Ciò che può esser fatto, secondo lui, riproponendo con
vigore il rapporto diritto-politica e revitalizzando la concezione
giuridica dello stato mediante una più energica sottolineatura
dell’elemento politico. Con Schmitt una gloriosa epoca di pensiero
giuridico si chiude, ma non già nel senso che viene meno la pos-
sibilità e la voglia di connotare lo stato come fatto giuridico,
ma nel senso che in questa concezione e in questo assetto ir-
rompe, con la forza originaria di un evento naturale, l’elemento

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politico. A mio sommesso avviso, se c’è in Schmitt abbondanza


di nuovo e di suggestivo, quello che forse costituisce uno degli
apporti più originali da lui dati, non voglio azzardarmi a dire
alla conoscenza politica dello stato (l’esame di questo aspetto
compete ai politologi), ma alla conoscenza giuridica dello stato,
è questa riproposizione insistita e appassionata della necessità di
reintrodurre (consapevolmente e dichiaratamente, perchè nella
realtà non era mai mancata) la politica nel diritto, di riconoscere
che il secondo ha la sua radice, la sua fonte di alimentazione,
il suo metro di giudizio nella prima. È certamente esatto quanto
è stato osservato a proposito dello sforzo di Schmitt di conciliare
la teoria giuridica dello stato con i risultati della comprensione
scientifica della politica, a patto che ciò s’intenda non già nel
senso che Schmitt venga ad assumere una posizione di media-
zione fra diritto e politica, che egli si faccia sostenitore di soluzioni
conciliatorie, ma nel senso che egli si adoperi a ripoliticizzare il
diritto, ad (( iniettare D in esso quell’elemento politico che non
avrebbe mai dovuto venir meno (e nella realtà non era mai venuto
meno).
Non solo, dunque, in Schmitt diritto e politica sono insepa-
rabili, ma questa inseparabilità si esprime e si realizza soprat-
tutto nello stato: è lo stato il terreno di cultura della simbiosi
politica-diritto.
Non che Schmitt non si renda conto della crisi dello stato
e non si renda conto che questa crisi, a mano a mano che la storia
si svolge ed egli procede nella osservazione di essa, è grave e pro-
gressiva. Specialmente nell’ultima fase dei suoi studi, egli ha
precisa l’idea della (( caducità o e (( storicità D della forma stato;
e dalla sua sempre maggiore attenzione per l’istituzionismo di
Rauriou e di Romano non è certo esente il pensiero della neces-
sità di non limitare il discorso sul diritto (e quindi sul rapporto
fra diritto e politica) alla considerazione dello stato, ma la so-
stanza del suo pensiero, così come si è espresso nelle fasi centrali
e più feconde della sua attività di studioso, è che diritto e poli-
tica sono fenomeni che riguardano (solo) lo stato e si risolvono
compiutamente e definitivamente in esso. Si ricorderà la drastica
affermazione della Verfasszmgslehre: (( I1 politico non può essere
separato ‘dallo stato - dall’unità politica di un popolo - e de-

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politicizzare il diritto pubblico non significherebbe altro che de-


statualizzare il diritto pubblico o (3), cosa per lui assolutamente
impensabile.

2. Guardando le cose un pò più da vicino, per prima cosa


Schmitt respinge nettamente l’idea di un diritto (di un diritto-
stato, secondo quanto ho detto finora) senza politica.
Questa posizione è (per lui) soprattutto propria di quel com-
plesso di vicende politiche, di ideologie, di dottrine giuridiche che
è stato il bersaglio preferito della sua critica.
Ci riferiamo, è ovvio, alle vicende dello stato borghese di
diritto ed alle ideologie e teorie proprie di esso, che Schmitt ha
criticato in tutti i suoi aspetti e in tutti i suoi teorici (Kelsen
in testa, ma molti altri ancora: Krabbe, Preuss, Wolzendorf etc.):
prendendo di mira il suo (dello stato borghese di diritto) ((ideale
e sistema di una legalità rigorosa di tutta la vita dello stato )) (4),
la astrattezza del suo ordine normativo senza alcuna connessione
con la concreta situazione attuale (5), la rottura del rapporto fra
sociologia e giurisprudenza e il formalismo di questa giurispru-
denza ( 6 ) ; il rifiuto del concetto di sovranità; l’esasperato positi-
vismo negatore di ogni possibilità di riconduzione del diritto a
valori esterni. Ma ha criticato soprattutto per la spoliticizzazione
e neutralizzazione del diritto e dello stato che questo modello
politico comportava con la sua (<concezionedi una legalità neu-
trale, avalutativa e aqualijcativa, formalistica e funzionalistica in
quanto p r i v a d i contenuto o, con la sua totale eliminazione di tutto
ciò che è (( personale )) (7).
I n quella che è forse la più compiuta raffigurazione di questo
modello (*), Schmitt riscontra nello stato moderno due elementi:
l’elemento dello stato d i diritto, riposante sul concetto e sul valore
di libertà borghese (da questa idea-base, corn’è noto, egli faceva
derivare due principi: il principio dei diritti fondamentali, ten-

{s) Dottrina della costituzione (trad. it.), Milano, 1984, 171.


(4) Legalità e legittamità. in L e categorie del u politaca >>, cit., 223 sgg.
(K) Ivi, 219.
(6) Teologia politica, in L e categorie del cpolztico )), cit., 43 sgg.

(’) Legalità .4 legittimità, cit.: 230. ,


(*) Dottrina della costituzione, cit., 171 sgg., e 265 sgg.

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denzialmente illimitati, di fronte allo stato; il principio organiz-


zativo della divisione dei poteri - che serve all'attuazione del
principio precedente - per cui il potere statale, in linea di prin-
cipio limitato, è diviso e racchiuso in un sistema di competenze
circoscritte) e l'elemento $olitico, cioè lo scopo e il contenuto dello
stato. Dal punto di vista dell'elemento dello stato borghese, lo
stato appare come il servitore rigidamente controllato della so-
cietà; esso è soggetto ad un sistema chiuso di norme giuridiche
ovvero è semplicemente identificato con questo sistema di norme,
dimodocchè esso non è altro che norma o procedimento. ((In
realtà (però) lo stato di diritto, malgrado ogni giuridicità e nor-
matività, rimane pure sempre uno stato e perciò contiene sempre
oltre l'elemento specifico dello stato di diritto, anche quello spe-
cificamente politico )). Raffigurazione dello stato borghese di di-
ritto, in cui, da una parte, è chiaro quale è per Schmitt l'ideo-
logia tipica di un diritto (stato) senza politica, dell'altro si rivela
l'assoluta inscindibilità, in fatto e nonostante ogni pregiudizio
ideologico, di diritto e politica.
Matrice teoretica di questo modello era, per lo studioso, l'an-
tica negazione liberale dello stato; condizione strutturale (strut-
tura politica e socio-economica), la distinzione fra stato e società.
Da una parte, cioè, il vecchio e concreto stato monarchico, buro-
cratico e militare, e, dau'altra, la società libera e produttiva (9):
la situazione dualistica da cui prese l'avvio la storia costituzionale
del sec. XIX e dalla quale derivò che si potesse concepire l'esi-
stenza simultanea e, diciamo così, (( cooperativa )) di uno stato
senza diritto (estraneo cioè al nuovo diritto delle assemblee rap-
presentative e costituito e governato da strumenti adeguati a
rapporti di soggezione personale: la V e r o r d n w g , appunto) e di
un diritto senza stato (il diritto - il Gesetz - espresso dal corpo
legislativo rappresentativo, concepito suggestivamente da Schmitt
non come un organo del vecchio stato, ma come ((un teatro nel
quale la società appariva ed affrontava lo stato )) (lo) o come una
sorta di ponte attraverso cui la società doveva integrarsi nello
stato (e lo stato in esso). I1 successivo corso dell'esperienza poli-

(O) I l custode della costituzione (trad. it.), Milano, 1981, 115 sgg.
(10) Ivi, 117.

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tica vide prima il regresso e poi la scomparsa dello stato monar-


chico, burocratico e militare e con esso dei principi e dei valori
politici che gli erano propri (a cominciare dal pathos de la gloire
e dell’honneur, al quale, nota ironicamente Schmitt, non seppe
rinunciare nemmeno lo stato amministrativo prussiano di Fede-
rico il Grande) (I1), il tutto a beneficio dello stato borghese di
diritto, dello stato legislativo, apparentemente privo appunto di
ogni politicità, ma mero (( e giusto produttore di obiettivo diritto,
con il suo saggio e incorruttibile legislatore e con la sua sempre
buona e giusta volonté générale D (12).
I1 fatto è che la vittoria della nuova società sul vecchio stato
si è rivelata come una vittoria di Pirro, nel senso che il modello
della società borghese di diritto si è inabissato anch’esso, travolto
da quella che Schmitt chiama l’autoorganizzazione della so-
cietà)) (13), in cui tutte le separazioni ed antitesi come stato ed
economia, stato e cultura, stato e società perdono ogni signifi-
cato: ((la società divenuta stato è uno stato dell’economia, della
cultura, dell’assistenza, della beneficenza e della previdenza: lo
stato abbraccia tutto il sociale, cioè tutto quanto concerne la
convivenza umana. La società che si organizza da sè in stato
passa dallo stato neutrale del liberale sec. XIX ad uno stato
potenzialmente totale)) (14). Che ciò porti, per Schmitt, alla crisi
delle istituzioni nate nel diverso ambiente dello stato borghese
di diritto, ed in particolare del Parlamento, è noto, ma non è
questo che mi preme mettere in rilievo. Mi preme rilevare come
l’esame di tale situazione - che è poi in particolare la situazione
di Weimar affrontata da Schmitt in questo che è uno dei suoi
più celebri studi - porti lo scrittore ad affermare (o, per meglio
dire, a riaffermare, del momento che di essa si era occupato, più
o meno ampiamente e specificamente, in altre occasioni) la sua
ostilità per i modelli di strutture spoliticizzate che si andavano
diffondendo proponendosi come forme di soluzione delle difficoltà
in cui si dibatteva lo stato moderno.

(I1) Legalità e legittimità, cit., 217.


(1%) Op. Zoc. ora cit.
(18) Il custode della costituzione, cit., 123.
(19 I l custode della costituzione. cit., 124.

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Nel suo Il custode della Costituzione, Cchmitt analizza e re-


spinge, - a favore dell’idea di fare del Presidente della Repub-
blica l’organo, capace di porsi come un potere neutro e inter-
mediario ma dotato insieme di capacità e forza di assumere delle
decisioni politiche - i rimedi alla crisi dello stato consistenti
nella proposta di varare una costituzione economica (in sostanza,
di creare una sorta di stato corporativo) e nei tentativi di orga-
nizzare uno stato politicamente neutrale nei confronti dei partiti
(o trovando nella burocrazia il contrappeso agli effetti dissolventi
dello stato dei partiti; o fondando lo stato neutrale sulla giu-
risdizione; o costruendo una sorta di stato apolitico, in cui le
decisioni politiche siano demandate agli specialisti dei singoli set-
tori, specialmente ai tecnici amministrativi, finanziari o econo-
mici). Tentativi, come si vede, molto diversi ma accomunati
dall’idea di neutralizzare e depoliticizzare lo stato, di dar vita
ad una sorta di oggettività non-politica, la quale prenda, per così
dire, il posto e le funzioni del sistema giuridico formalista e posi-
tivista e come questo aveva tenuto lontana dallo stato la politica
(inizialmente bloccando i tentativi di reazione e di restaurazione
del vecchio stato), comprima oggi e regoli gli anarchismi politici
i quali, in mancanza di un autentico spirito politico (che è spirito
di unità politica) stanno producendo la dissoluzione dello stato ( 1 5 ) .
Nel libro ora ricordato, Cchmitt riunisce e critica tutte insieme
le idee di depoliticizzazione, ma contro di esse aveva combattuto,
si può dire, in tutta la sua vita di studioso.
Ne Il concetto d i politico )) aveva criticato - soprattutto per
la loro carica antistatalista, ma sostanzialmente per l’intento di
depoliticizzaziione che le animava - le teorie pluraliste di Cole
e Laski e dei sindacalisti in genere, le quali si basavano sulla
esperienza dei sindacati e delle chiese e si accompagnavano spesso,
come in Duguit, alla constatazione della morte dello stato (16).
Ne L’epoca delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni, elen-
cando i centri di riferimento della civiltà europea nei secoli dal
XVI in poi, dopo di aver riconosciuto in questo secolo il dominio
della teologia, nel sec. XVII il dominio della metafisica, e nel

(”) Op. &., 149 Sgg.


(l6) Il cometto di «politico o, cit., 124 sgg.

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sec. XVIII quello dell’illuminismo (Aufkliirung), Schmitt raffigu-


rava il sec. X I X come il secolo dell’economia (e non del roman-
ticismo, che egli concepiva in modo particolare come si dirà ap-
presso) e cioè della generale economicizzazione della vita spiri-
tuale e di prevalenza di una struttura dello spirito che trovava
le categorie centrali dell’esistenza umana nella produzione e nel
consumo, ed imputava allo stato di quell’epoca di essersi spos-
cessato, a vantaggio dell’autonomia dei rapporti economici, delle
più importanti decisioni politiche (che erano appunto quelle ri-
guardanti questi rapporti) e di aver così rinunciato alla sua pre-
tesa al comando, ponendosi come stato neutrale ed agnostico e
ravvisando la legittimazione della sua esistenza proprio in questa
sua neutralità.
I1 X X secolo è, per Schmitt, il secolo della tecnica, che si
pone oramai come vero e proprio centro di riferimento (mentre
invece ne11’8oo essa era al servizio dell’economia). Anche l’evi-
denza della fede nella tecnica dipende dal fatto che si è potuto
credere di aver trovato in questa un terreno assolutamente e
definitivamente neutrale. La critica di Schmitt è ovvia. La tec-
nica è solo uno strumento e può servire a molti usi, quindi non
è effettivamente neutrale: (( la tecnica resta ... culturalmente
cieca)) (“). Di un particolare settore ed apparato tecnico Schmitt
aveva predicato (e criticato) specificamente la neutralità $): la
burocrazia, anch’essa disponibile a servire ad orientamenti poli-
tici diversi o addirittura opposti fra di loro, pur se egli ammet-
teva che la burocrazia potesse diventare, nel concorso di alcuni
elementi (la stabilità di un ceto professionale, l’affidamento della
tutela di interessi pubblici, il corredo di alcune qualità, come
l’incorruttibilità, l’istruzione, il senso del dovere) qualcosa di piU
di un mero apparato strumentale e riconosceva questa condizione
nella burocrazia professionale tedesca del sec. X I X in cui vedeva
un fattore elitistico della vita statale tedesca.
. Una efficace sintesi della costante e spietata critica di Schmitt
contro questo tipo di depoliticizzazione del diritto e dello Stato

(17) L’epoca delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni, in Le categorie del


((politico8 , cit., 167.
(‘8) Legalità e legittimità, cit., 2 2 0 .

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è racchiusa nel seguente brano della Teologia politica: (( Oggi non


vi è nulla di più moderno della lotta contro la politica. Finan-
zieri americani, tecnici industriali, socialisti marxisti e rivoluzio-
nari anarco-sindacalisti si uniscono nel richiedere che venga messo
da parte il dominio non obiettivo della politica sulla obiettività
della vita economica. Oramai devono esistere solo compiti tecnico-
organizzativi e sociologico-economici, ma non problemi politici.
I1 tipo oggi dominante di pensiero tecnico-economico non con-
sente più nemmeno di percepire un’idea politica. Lo stato mo-
derno sembra esser diventato davvero ciò che Max Weber vide
in esso: una grande fabbrica ... Se l’elemento politico si muta
qui in quello economico-tecnico-organizzativo, allo stesso modo
esso si stempera nel dialogo eterno delle categorie generali della
filosofia della cultura e della storia che, con caratterizzazioni
estetiche, contraddistinguono un’epoca come classica, romantica
e barocca. I n entrambi i casi è venuto meno il nucleo dell’idea
politica, l’orgogliosa decisione morale H ps).

3. Quanto si è esposto fin qui delle idee di Schmitt può forse


contribuire a risolvere uno dei problemi che più hanno angustiato
e angustiano gli studiosi del nostro pensatore: quali ragioni ab-
biano portato Schmitt ad aderire al nazional-socialismo. Non
voglio - e non spetta a me - dare una risposta completa a
questa domanda, esaminare a fondo il problema stesso. Fenomeni
come questo, per essere compresi, richiedono la conoscenza e
l’analisi di meccanismi psicologici, di connessioni sociali, di rap-
porti personali etc., che sono estranei al mio argomento. Io vorrei
invece restare sul piano del discorso fin qui fatto, utilizzando ciò
che da esso finora è venuto fuori per cercare di illuminare almeno
qualche aspetto di questo singolare episodio della vita di Schmitt.
Per conto mio, per intender meglio le cose, forse bisogna ro-
vesciare il punto di vista fin qui assunto e considerare che non è
esatto che Schmitt sia andato al nazismo. È accaduto il contrario:
è il nazismo che è andato da Schmitt. La formula è certo para-
dossale, ma può essere agevolmente, e spero convincentemente,
spiegata.

(lo) Teologia politica, cit., 84.

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Come abbiamo visto, Schmitt aveva criticato da anni, se non


da sempre, e sicuramente nel periodo di Weimar, l'avulsione del
diritto dalla politica in tutte le forme in cui si era manifestata:
sia nella forma dell'astrattismo e del positivismo, fine a sè stesso,
dello stato di diritto e dei suoi ideologi, sia nelle forme varie che
avevano assunto storicamente i tentativi più recenti di depoli-
ticizzazione e di neutralizzazione dello stato, alcuni dei quali
(anche) presentati come rimedi alla crisi del parlamento e delle
istituzioni in genere, nel passaggio dallo (( stato liberale H allo
((stato totale H del XX secolo. Per Schmitt la separazione di
diritto e politica era impossibile e l'idea di rimediare alla crisi
dello stato muovendosi nella direzione di un contenimento (( tec-
nico )) della invasione minacciosa del pluralismo e della policrazia
era un errore. I1 metodo era, infatti destinato a condurre non
all'indebolimento di questi fenomeni, ma al loro rafforzamento,
mancando una (( carica politica )) che vi si contrapponesse; il solo
rimedio stava, al contrario, nella riaff ermazione vigorosa del-
l'unità politica e nella valorizzazione di quelle istituzioni più
idonee a presentarsi e a funzionare quali strumenti di decisione
politica, di direzione unitaria (il Presidente della Repubblica
appunto).
Con questo bagaglio di convinzioni, di preferenze e di ostilità,
è del tutto naturale che Cchmitt vedesse favorevolmente quella
violenta irruzione della politica nelle strutture statali di cui il
nazionalismo e in genere i fascismi si erano fatti sostenitori e la
vedeva favorevolmente in entrambi gli aspetti principali che essa
aveva assunto o andava assumendo (mi riferisco sempre, s'intende,
al terreno politico): per il nuovo modo di concepire il rapporto
fra regola giuridica e scopo politico, il quale superava definitiva-
mente il formalismo ancora dominante (emergeva, finalmente,
nella pratica, quel problema dell'attuazione del diritto che, per
Schmitt, era passato in seconda linea o era stato totalmente tra-
scurato rispetto al problema della produzione del diritto) ("O));
per l'adeguamento e la valorizzazione delle strutture idonee alla
assunzione ed imposizione delle decisioni politiche nel senso pieno

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702 MARIO NIGRO

e proprio delle parole. Che la affermazione di queste idee fosse


idonea a provocare non il miglioramento e l’emenda dello stato
parlamentare democratico, ma l’eliminazione di esso e la sua
sostituzione con uno stato di dittatura e che anche queste idee
funzionassero da piani inclinati per il passaggio dall’una epoca
all’altra, si comprese subito e non ci voleva molto a compren-
derlo. Ma qui non si vuol fare il processo a Schmitt. Si vuol rile-
vare che è esatto quanto è stato già osservato, che cioè gli inter-
venti di Schmitt nel periodo nazista si pongono in piena ((con-
tinuità e sviluppo con le sue analisi precedenti)) (21): in realtà,
in quanto il nazismo si poneva come valorizzatore della politica,
il nostro studioso aveva ragione di vedervi (anche) rispecchiate
le proprie idee.
Ma c’è un altro profilo del rapporto fra Schmitt e il nazismo
che forse è ancora più significativo.
Tutta la dottrina giuridica dello stato liberale di diritto, tutta
la grande dottrina tedesca da Laband a Kelsen (e, se non tutta,
la parte assolutamente dominante di essa, quella appunto che ha
costruito il concetto giuridico di stato o, se si preferisce, lo stato
come istituto giuridico) ha ragionato come se lo stato - l’orga-
nizzazione pubblica - fosse una entità a sè stante, galleggiante
in virtù delle sue stesse forze sopra i continenti e gli oceani della
vita sociale, obbediente a regole proprie ed autosufficienti; una
struttura formale, neutrale, imparziale, diretta a mantenere le
condizioni di conservazione e di sviluppo della società, ma asso-
lutamente impermeabile e refrattaria alle idee e agli interessi di
essa. La regola d‘ora di questa dottrina - che Kelsen ha solo
portato agli estremi ed esplicitato, ma non ha inventato - è la
(( purezza >) del sistema giuridico, una purezza esistente, anche e

soprattutto, nei confronti dell’assetto politico che lo esprime e


ne è conformato.

(21) F. LANCHESTER, C. Schmitt: un giurista scomodo, in Riu. trim. dir. PYOC.


civ., 1985, 153 sgg. I1 problema è, si ripete, delicato. Fuorviante, circa il rapporto
fra fascismo e C. Schmitt, è sicuramente il tentativo di fare di questi un consa-
pevole disgregatore della democrazia e un assertore convinto di idee dittatoriali:
cfr., ad esempio, K. D. BRACHER, Il novecento secolo delle ideologie, Bari, 1984,
136, 157 etc.

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CARL SCHMITT FRA DIRITTO E POLITICA 703

Ora, se c’è un merito (un merito scientifico di potrebbe dire,


se fosse possibile ironizzare su queste cose) dei fascismi è di aver
bruscamente dissolto questa rappresentazione dello stato, dimo-
strato l’irrealtà di questa (( favola )) di cui la dottrina pre-fascismo
si era compiaciuta e di avere rivelato ((di che lacrime grondi e
di che sangue la vita dello stato e del diritto. I fascismi hanno
messo gli studiosi di diritto pubblico, che hanno voluto intendere
la lezione, di fronte alla realtà di un assetto che, comunque si
presenti e qualunque insegna inalberi, è sempre espressione di
certe idee e di certi interessi, così come sono fatti valere da certe
forze politiche. La pluralità degli interessi e delle idee, la com-
plessità e varietà delle loro connessioni, così come la varietà e
possibilità di combinazioni delle forze politiche moltiplicano al-
l’infinito le forme e le figure che può assumere questo assetto e
i suoi rapporti con le forze sociali e le ideologie politiche. Ma i
fascismi hanno definitivamente chiarito che lo stato non è un’en-
tità formale e neutrale, bensì un essere corposo e partigiano e
che il problema della scienza del diritto pubblico non è di negare
questa corposità, bensì di comprenderla (nei suoi esatti e com-
plessi significati) e di contenerla in relazione ai valori interni
o esterni al sistema (compresi ovviamente i valori morali).
Sotto questo profilo, il caso di Schmitt si apparenta al caso
di Mortati, il cui realismo si è formato anch’esso al contatto
dell’esperienza fascista che egli aveva sottocchio. Mortati (il quale,
si ricordi, nelle sue riflessioni demistificatorie delle ideologie for-
maliste, è partito proprio dall’analisi dell’ordinamento del governa
nel nuovo regime) ha certo potuto giovarsi dell’azione di rottura
compiuta da Schmitt (e da Smend) così come Schmitt, a sua
volta, si è giovato del dibattito degli anni di Weimar, che hanno
visto una consistente parte della dottrina tedesca in accesa pole-
mica con il positivismo o il kelsenismo e, soprattutto, hanno
visto collocarsi al centro dell’interecse (nella vita politica e nel-
l’ordine degli studi) i problemi della costituzione e del rapporto
di questa con le idealità e i programmi delle forze politiche (pro-
prio per la natura (( compromicsoria )) della costituzione di Wei-
mar) (22), ma non c’è dubbio che è stato il nazismo a lacerare i

(z2) OP.loc. cit.


F. LANCHESTER,

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704 MARIO NIGRO

residui veli del formalismo e a mettere veramente a nudo la


(( persona reale dello stato )), ponendo a disposizione di Schmitt

(e di Mortati) la effettività e la prova della esperienza.

4. Tornando al nostro discorso, se Cchmitt respinge l’idea di


un diritto senza politica, respinge altrettanto energicamente l’idea
di una politica senza diritto (dove diritto, secondo la formula
che è stata sopra enunciata, significa diritto-stato).
È vero che la antitesi amico-nemico, alla quale secondo Schmitt
è possibile ricondurre le azioni e i motivi politici, facendone così
l’essenza della categoria della politicità, sembra superare l’ambito
dello stato e che questo ampliamento della categoria della poli-
ticità, com’è stato rilevato, è il prodotto della crisi dei valori
avvertita dallo studioso e del divario che egli veniva sempre più
constatando fra utopia del diritto e realtà della politica.
Nessun dubbio che Schmitt awertisse tale crisi, ma nessun
dubbio anche su ciò che la crisi venisse fatta consistere da lui
proprio nell’abbandono dell’unità politica (e quindi dell’unità
giuridica) e che il riconoscimento dell’esistenza della crisi non gli
impedisse di riaffermare il valore e la necessità di quella unità.
Proprio nello scritto dedicato al concetto di ((politico)), la
delineazione della categoria del (( politico a come categoria avente
al centro la distinzione amico-nemico è accompagnata vuoi dalla
più decisa affermazione che la distinzione esiste e diventa con-
creta e operante in relazione allo stato ed alla volontà politica
di esso (((è lo stato come unità politica organizzata che avoca
a sè la decisione sull’amico-nemico )>) (23), vuoi dalla critica spe-
cifica alle teorie pluraliste dei sindacalisti e dei sostenitori della
morte dello stato e dalla più generale, e sempre ritornante, pole-
mica contro il pensiero liberale del sec. XIX in quanto (( si muove
entro una polarità tipica e sempre rinnovantesi di due sfere ete-
rogenee, quelle cioè di etica ed economia, spirito e commercio,
cultura e proprietà)), che tagliano fuori lo stato e, sottoponendo
quindi stato e politica ad una (( moralità individualistica e perciò
giurisprivatistica 1’, praticamente sviluppano una politica senza

(23) Il concetto di u politico >), cit., 112.

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CARL SCHMITT F R A DIRITTO E POLITICA 705

stato (in questo ((momento D di accesa polemica, lo stato ((di


diritto H diventa per lui stato (<di diritto privato ))!) (“4).
Se nell’ultimo e nell’ultimissimo periodo della sua produzione
Schmitt sembra riconoscere (( la storicità H e (( la relatività )) dello
Stato e se sembra attribuire proprio a questa consapevolezza il
valore di punto di partenza di una ((nuova fase di riflessione
sulla politicità H (27, si tratta di riconoscimenti e di attribuzioni
che vengono fatti a denti stretti e nell’ambito di un quadro di
convinzioni decisamente svalutative non solo delle realtà presenti,
ma degli stessi metodi con cui idee ed ideologie si affermano.
Per Schmitt le moderne opinioni intorno al diritto ed alla
legalità si adeguano alla rapidità del progresso scientifico-tecnico-
industriale: ciò significa la legittimità del nuovo in quanto tale,
che non rispetta nulla e valorizza ogni cosa e significa (egli ri-
pete una frase di Mignet a proposito della rivoluzione francese)
che (( tout ce qui est ancien est ennemi b (26). Allora: o si rico-
nosce a questo modo di vedere le caratteristiche del ((pensiero
distruttivo )), per usare una espressione dello stesso Schmitt, e
il pensiero di questo scrittore non può certo considerarsi distrut-
tivo, oppure si deve ammettere che c’è un nucleo duro del suo
pensiero - cui appartiene l’idea dello stato come insostituibile
forma dell’unità politica e giuridica - il quale resta intatto no-
nostante le ammissioni e (( i pentimenti H più recenti. Certamente,
bisogna mettere Schmitt fra i teorici della crisi dello stato mo-
derno, delle forme di questa crisi e delle sue cause (il mutato
rapporto fra stato e società con la autorganizzazione della società;
la conservazione in una situazione così diversa delle istituzioni
classiche della democrazia legislativa; l’astrattismo e la vuota
positività di questa democrazia e dei suoi teorici), ma il suo at-
teggiamento non è quello di colui che ricerca valori e legittima
assetti totalmente nuovi a rimedio della crisi, ma quello di chi,
tenendo sempre fede ai vecchi valori, si limita a constatare dove
ha portato l’abbandono e il tradimento di essi (”).

(24) T U i , 155.
(“5) G. MIGLIO, Presentazione, cit., 12.
(zE) C. SCHMITT, Premessa all’edizione italiana de L e categorie del o poli-
tico s,cit.
( z T ) Si veda per il punto M. TRONTI, Soggetti, crisi, potere, Bologna, 1980, 74.

45.

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706 MARIO NIGRO

Se tutto questo è vero, è evidente che il rifiuto, di cui ho


parlato a lungo più sopra, di legittimare le ricorrenti iniziative
di spoliticizzazione e di neutralizzazione, in tutte le forme da esse
assunte, perchè espressive di un impossibile diritto (stato) senza
politica, risulta rafforzato, per Schmitt, per il fatto che esse ini-
ziative sono parimenti espressive di una impossibile politica senza
diritto (stato).
Si tratta di fenomeni che, comunque si presentino ideologica-
mente, collocano la politica al di fuori dello stato e quindi scar-
dinano in entrambe le direzioni l’inscindibile unità di stato e
politica. Solo apparentemente le spoliticizzazioni significano invero
superamento ed esclusione della politica: in realtà, esse vogliono
soltanto sostituire una politica (la politica della burocrazia, della
policrazia o del pluralismo, dell’economia o della tecnica ecc.)
ali’altra (la politica dello stato), vale a dire una cattiva politica
ad una buona e, se si può dire, una politica (( senza politica R ad
una politica autentica. Non va dimenticato che per Schmitt è
dal superamento della (( barbarie )) medievale e delle guerre di
religione che si sviluppa l’ordine politico, lo stato sovrano, l’im-
perium rationis: (( Politica, polizia e politesse diventano il singolare
tiro a tre del progresso moderno, in contrapposizione al fana-
tismo ecclesiastico e all’anarchia feudale e, in breve, alla barbarie
medioevale )) (28): il ritorno di un pluralismo feudale è necessa-
riamente visto da Schmitt, come abbandono dello stato e rinunzia
alla politica.

5. Se per Schmitt politica e diritto sono inscindibili, lo stru-


mento che realizza ed esprime questa inscindibilità è la decisione
politica, che è insieme un fatto politico e un fatto giuridico.
È attraverso la decisione politica che si manifesta il valore
della politicità ed è attraverso di essa che nasce e si alimenta

(”) La frase, in cui viene condensata t u t t a una linea di pensiero e sinte-


tizzate le più importanti direzioni di sviluppo della vita politica e sociale del
seicento e del settecento è contenuta in quel singolare libro che è AmZeio o
Ecuba, trad. it., Bologna, 1983, 113 sgg. (Excursus 11). Analogo orientamento,
pur con forti differenze marginali, in E. FORSTHOFF, Der Staat der Industrie -
Gesellschaft, Munchen, 1971,I1 sgg. Circa il ruolo della politesse, v. ora, ELIAS,
La società d i corte, trad. it., Bologna, 1982.

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CARL SCHMITT F R A DIRITTO E POLITICA 707

l'assetto giuridico. La decisione politica ha nel sistema di Schmitt


un ruolo fondamentale, è il concetto cardine del suo pensiero,
un concetto costante se è vero che egli cominciò a parlare di
decisione già nel suo primo scritto penalistico (2g) e se ne è oc-
cupato fino agli ultimi anni della sua attività scientifica. (Si sa
che Schmitt conosce un altro tipo di decisione, la decisione am-
ministrativa, di cui si sostanzia lo stato amministrativo, la quale
costituisce però, per quanto si comprende, una categoria ben
diversa dalle decisioni politiche, perchè, a differenza di queste,
non è espressione di comando autoritario e volontà personale,
cioè di autonomia politica, essendo assunta solo in base allo stato
delle cose - (( le cose si amministrano da sole H - con riferimento
ad una situazione concreta e per finalità pratiche) (30).
I1 guaio è che il nostro studioso, se ha sempre parlato di de-
cisione politica a proposito degli argomenti più vari, non ha mai
dedicato al concetto una apposita riflessione. Tutti gli scritti di
Schmitt ruotano intorno al concetto di decisione, nessuno se ne
occupa espressamente ed esaurientemente. D'altra parte, mi pare
di poter dire (però con un grave timore di sbagliare, perchè con-
fesso di non conoscere se non una piccola parte della vastissima
letteratura su di lui) che manchi, in questa letteratura, un'ana-
lisi specifica ed approfondita del concetto, analisi tanto più ne-
cessaria in quanto mi pare che Schmitt non detti una nozione
precisa ed univoca di decisione politica, ma lasci anzi il concetto
in una sorta di fluidità, che complica le cose per chi si accosti
al pensiero di lui e soprattutto per chi voglia rendersi conto
proprio del rapporto fra politica e diritto.
Che cosa intende Schmitt per decisione (politica)? Non è il
caso qui di ampliare l'indagine e di formulare e scrutinare tutte
le ipotesi che la fluidità, in cui egli lascia il concetto, consente
(la decisione è, per lui, un fatto storico, una idea-forza, una entità
reale o un (( momento emblematico? è un fatto istantaneo o un
processo? e le domande si potrebbero moltiplicare). Dal nostro

(2g) F. LANCHESTER, OP. cit., 153 sgg.


Legalità e legittimità, cit., ZIZ. Del concetto di decisione amministrativa
e di stato amministrativo in Cchmitt mi sono occupato in altro scritto con 10
stesso titolo, in corso di pubblicazione.

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708 MARIO NIGRO

punto di vista (e cioè per comprendere il rapporto fra politica


e diritto), mi pare che l'importante sia solo chiedersi che cosa
qualifichi come decisione un fatto storico, quale sia l'essenza
individualizzante della decisione. In concreto, il problema è: la
decisione politica è un comando, anzi il comando D: o è qualche
altra cosa?
Schmitt non ha mai chiarito questo punto (anche se nei suoi
scritti prevalgono gli elementi a favore di una soluzione diversa),
anzi vi sono nella sua opera brani esplicitamente contraddittori.
In Legalità e legittimità, in cui pone la distinzione fra stato legi-
slativo, stato giurisdizionale e stato governativo o amministra-
tivo, si afferma che lo stato governativo e lo stato amministrativo
(con notevoli differenze fra di loro) riconoscono il massimo valore
giuridico positivo alla decisione come disposizione prontamente
applicabile (o il meglio al mondo è un comando ))): lo stato gsver-
nativo in particolare ha il suo tratto caratteristico nella volontà
personale e nel comando autoritario di un capo (31). Ne I tre tipi
d i pensiero gimridico, è ,invece, detto chiaramente (( Per il giurista
del tipo decisionista, la fonte di tutto il diritto, cioè di tutte le
norme e gli ordinamenti successivi, non è il comando in quanto
comando, ma l'autorità o la sovranità di una decisione finale che
viene presa insieme con il comando H (32).
Lì, la decisione è un comando, qui il comando è invece sol-
tanto lo strumento (di estrinsecazione e attuazione) della deci-
sione, la quale è invece vista, mi pare, come scelta. Per Schmitt,
dunque, la decisione è un comando o una scelta (sia pure legit-
timata e resa effettiva dal comando o basata sul comando o
attuata mediante il comando)?
A favore della prima soluzione vi sono molti elementi. Schmitt
insiste continuamente sul ruolo della volontà. La decisione poli-
tica per lui è soprattutto (espressione di) volontà politica e di
pari passo con il riferimento a questa volontà politica è la ri-
vendicazione della natura personale della decisione. La polemica
di Schmitt contro il formalismo e il positivismo dei teorici e degli
ideologi del normatismo si svolge anche attraverso la condanna

(31) Op. cit., 216.


("2) Op. cit., 216.

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CARL SCHMITT FRA DIRITTO E POLITICA 709

delle pretese di questi ultimi di dar vita ad un diritto imper-


sonale e obiettivo con totale eliminazione di tutto ciò che è per-
sonale (la critica è rivolta soprattutto a Kelsen) e l'affermazione
della necessità di rivalutare invece l'elemento personale, da cui
proviene e di cui si nutre la decisione politica. I1 ruolo signifi-
cante sempre attribuito da Schmitt allo stato di eccezione, come
situazione che rende palese in assoluta purezza la decisione libe-
randola da ogni vincolo normativo, dà senz'alcun dubbio rilievo
tale all'elemento formale della decisione ed all'essenza volontari-
stica del pensiero di Schmitt da far passare in seconda linea e
far ritenere soltanto eventuale ogni altro elemento. Nello stato di
eccezione si ricrea quella situazione primigenia che faceva scrivere
ad Hobbes che (( auctoritas, non veritas facit legem D (33).
Se si considerano altre posizioni ed affermazioni di Cchmitt,
alle quali forse va riconosciuta prevalenza per il valore che rive-
stono nell'economia del pensiero dello studioso, l'elemento carat-
terizzante la decisione appare invece la scelta (cioè, la preferenza
((decisiva)) ed effettiva accordata in un conflitto di idee o di
interessi, ad una idea, un interesse, un valore); dal versante VO-
lontaristico si passa ad un versante intellettualistico. Importante
- (<decisivo o, per impiegare la stessa terminologia schmittiana -
non è solo che si voglia, o ma che si voglia qualcosa e quindi
che cosa si voglia.
Particolarmente significativo in questa direzione è il libro sul
romanticismo politico, che sembra, a prima vista, avere un'im-
portanza marginale nella produzione scientifica di Schmitt ma
che è invece di grande e centrale rilievo anche per le indicazioni
che offre proprio a proposito della decisione politica (""). La tesi
che viene esposta nel libro è, come si sa, che non esiste e non
può esistere un pensiero politico romantico. E non esiste perchè
l'atteggiamento essenziale dei romantici verso i fatti politici è la
passività. I1 romantico è incapace di giudizi giuridici e politici
e di decisioni in tal campo: Schmitt sottolinea in vari punti la
incapacità del romantico di assumere decisioni politiche (35). I1

("a) I tre ti@id i pensiero giuridico, cit., 263. Sullo stato d'eccezione in Schmitt
ora G. SCHWABB, C, Schmitt. La sfida dell'eccezione, trad. it., Bari, 1986.
(34) Romanticismo politico, trad. it., Milano, 1981, 159 sgg.

("6) Ivi, 138, 178, 184 etc.

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710 MARIO NIGRO

sentimento del mondo e della vita proprio dei romantici è com-


patibile con disparate condizioni politiche e con teorie filosofiche
anche fra loro contraddittorie. Si vede subito, da questo rapido
riassunto, come, per Schmitt, in questa parte della sua opera,
l’essenza della decisione politica sia il giudizio politico, la scelta
politica, quella scelta appunto che per il romantico è impossibile.
Di eguale importanza, a questo riguardo, è la stessa delinea-
zione della categoria del politico, come distinzione (o contrappo-
sizione) amico-nemico. Questa distinzione, in concreto, è operata
mediante una decisione politica. Per Schmitt, si sa, è lo stato
come unità politica organizzata che avoca a sè la decisione sul-
l’amico-nemico. Ma la decisione politica non è una decisione muta
o cieca: si diventa o si è proclamati nemici perchè si hanno idee,
o idealità, o interessi diversi da quelli che, per mezzo dell’unità
politica, si vogliono far valere, perchè si esprimono giudizi poli-
tici diversi da quelli affermati come esatti. Se la categoria del
politico è una categoria meramente formale, perchè, come Schmitt
tiene a sottolineare, (( non indica un settore concreto particolare
ma solo i l grado d i intensità di un’associazione o dissociazione di
uomini, quali che siano i motivi da cui esse sono ispirate )), è vero
anche che ((il politico)) trae la sua forza e il suo contenuto dai
più diversi settori della vita umana, da convinzioni religiose,
economiche, morali o di altro tipo (36).
Essenziale, dunque, è la contrapposizione di giudizi, di scelte,
di valori. Quali che essi siano, è la scelta fra di loro che permea
la decisione politica e la rende tale.
Anche ne I tre tipi d i pensiero giuridico c’è un brano estre-
mamente rivelatore sotto questo punto di vista. Discorrendo del
tipo di pensiero decisionistico, Schmitt osserva che questo tipo
è particolarmente diffuso fra i giuristi, poichè la scienza del di-
ritto ha la tendenza a cogliere tutte le questioni giuridiche solo
dal punto di vista di un caso conflittuale e di porsi come pre-
paratrice della decisione giudiziale intorno al conflitto medesimo.
Le norme e le regole, con le quali ha a che fare la fondazione
giuridica scientifica della decisione, diventano in tal modo sem-
plici punti di vista per pronunciare decisioni intorno a conflitti,

(36) I2 concetto di (1 politico >), cit., 120 sgg.

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CARL SCHMITT FRA DIRITTO E POLITICA 711

materiale di prova di tipo giuridico-scientifico, per fondare le


decisioni giudiziali y)
. L’assimilazione della decisione politica
alla decisione giudiziale, che non è pura volontà (mero comando),
ma volontà motivata, e che anzi Schmitt stesso presenta come
scelta fra più soluzioni (scelta non arbitraria, ma scaturente da
un’analisi del diritto vigente e, noi aggiungeremmo, da una at-
tenta ricostruzione dei fatti) indica verso quale nozione di deci-
sione politica vadano le preferenze di Schmitt.
Sotto questo profilo, importante è per lui che la decisione
politica presupponga un ordine (di norme, di fatti, di valori,
(( di scelte )) già fatte) in cui si incardina. Su questo punto, Schmitt

insiste efficacemente sottolineando e contrapponendo al decisio-


nismo, per così dire, (( dei tempi normali )), il decisionismo puro
di Hobbes. Per Hobbes tutto il diritto, tutte le norme e le leggi,
tutte le interpretazioni di legge, tutti gli ordinamenti sono deci-
sioni del sovrano: ma questa sovranità di decisione scaturisce da
un nulla normativo e da un disordine completo, per cui la deci-
sione ha anche il valore e la funzione dell’instaurazione di un
ordine (3*). I1 che ovviamente non accade in periodi di normalità,
in cui la decisione interviene nel quadro di un ordine e spesso
si cela addirittura in esso, presentandosi il più di frequente com-
mista con le norme e rivelandosi nella sua autonomia solo nel
caso di eccezione. L‘ordine cui Schmitt fa riferimento, va detto
subito, non è solo l’ordine giuridico, ma è l’ordine sociale e mo-
rale, è l’assetto definito della società, definito non soltanto nei
suoi connotati ((positiviD, ma anche nei suoi valori politici e
morali. Che tale sia il concetto di ordine per il nostro studioso
si desume nettissimo dal rifiuto della separazione fra sociologia
e‘ giurisprudenza (39) (affermata dal positivismo imperante) e, più
in generale, della critica di tale positivismo e della ingenua con-
vinzione di esso che i valori della obiettività, validità, inviolabi-
lità, sicurezza e prevedibilità di cui l’assetto politico del X I X
secolo si vantava, fossero meri predicati del sistema legale, men-
tre invece scaturivano dalla stabilità interna della stessa società

(”) l u i , 265.
(3s) I tre t i p i d i pensiero giuridico, cit., 264
(39) Teologia politica, cit., 44 sgg.

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712 MARIO NIGRO

(di cui peraltro non si coglievano le già forti spinte di trasfor-


mazione). Collegandosi ad un ordine preesistente per svilupparlo
e attualizzarlo, la decisione politica si rivela come ((ilnucleo del-
l’idea politica, l’orgogliosa decisione morale H (“O)); proprio attra-
verso lo strumento della decisione si compie così quel ritorno
ai valori di cui Schmitt si faceva fautore contro il positivismo
(il diritto vale perché vale).
Se questo è vero, dunque, non ci possono essere dubbi sul
fatto che per il nostro studioso, se affiorano elementi a favore
di un diverso significato di decisione politica, il significato che
meglio si inquadra nel complesso delle sue idee è quello della
decisione come scelta, come adozione di un indirizzo fra i tanti
possibili o meglio ancora come affermazione (attuazione e invera-
mento) di un valore.

6. Posto che la decisione politica realizza l’inscindibilità fra


diritto e politica, esiste poi il problema di stabilire che cosa nella
decisione politica sia diritto e che cosa sia politica o, per dirla
in altro modo, in quale momento e in quale modo si passi, nella
decisione politica, dalla politica al diritto o, più in generale, dal
non giuridico al giuridico della decisione. Anche per questo punto,
l’interpretazione del pensiero di Schmitt non offre vere e proprie
certezze: non solo egli non precisa mai (o quasi) questi profili,
ma quel che è peggio, il suo brillante discorso trascorre conti-
nuamente dagli aspetti giuridici agli aspetti politici degli argo-
menti, e viceversa, frammischiandoli e accorpandoli con estrema
disinvoltura. Che questo metodo espositivo sia la riprova migliore
della inscindibilità dei due momenti, è ovvio; e si può anche dire
che la permanente presenza della considerazione politica nelle
riflessioni di Schmitt, sia di per sè stessa idonea a rafforzare
l’idea della politicità H del diritto, cioè della corposità e (( sostan-
zialità )) di esso in contrapposizione netta con le posizioni forma-
listiche. Ma non diventa meno grave la difficoltà di rispondere
agli interrogativi che si sono or ora posti. C’è invero in Schmitt
qualche affermazione, la quale può lasciar pensare che egli riduca
a ben poca cosa la specificità giuridica della decisione. Nella

(40) Ivi, 85 sgg.

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CARL SCHMITT FRA DIRITTO E POLITICA 713

Teologia politica per esempio (apparentemente con riferimento


allo stato di eccezione, ma svolgendo in realtà un discorso più
generale) egli afferma che lo specifico della vita giuridica è chi
prende la decisione; per la realtà di questa vita, ciò che importa
è chi decide p).Se si prendessero queste parole alla lettera, do-
vrebbe riconoscersi l’esistenza di una distinzione, quanto alla
decisione, fra il contenuto della stessa (che apparterrebbe al mondo
della politica) e la competenza ad assumerla (che appartiene al
mondo del diritto). Ma già in questa stessa parte della sua opera
si vede come egli, pur relegando il diritto nel campo della forma,
sia tutt’altro che disposto a dare al concetto di forma la stessa
ampiezza e lo stesso significato che gli danno i giuristi positivisti,
permanente oggetto della sua critica, (( La forma giuridica, egli
nota, non ha la vuotezza aprioristica della forma trascendente,
poichè essa nasce proprio dalla concretezza giuridica. Essa non
è neppure la forma della precisione tecnica, poichè questa risponde
ad un interesse finalizzato essenzialmente fattuale, impersonale.
Essa infine non è neppure la forma della creazione estetica che
non conosce alcuna decisione r) (42). La concretezza giuridica di
cui egli parla collega dunque la forma al contenuto, tanto più
che essa non può che essere la concretezza dell’ordine complessivo
che regge la comunità.
A smentire l’idea di un significato così riduttivo per Schmitt
dello specifico giuridico della decisione politica sta però proprio
il fatto che, per lui, la decisione politica non nasce nel vuoto,
ma scaturisce da un ordine preesistente. La decisione politica,
ho già detto, è una scelta in un quadro di fatti, di norme e di
valori già dati, i quali la rendono ammissibile e la orientano.
I1 diritto tocca quindi e riguarda anche il contenuto della deci-
sione, perchè l’ordine in cui questa prende posto è, come s’è
visto, insieme un ordine giuridico e una struttura speciale y3).
Sotto questo profilo, è certamente degna di nota l’importanza
che le idee istituzioniste hanno assunto nel pensiero di Schmitt
a partire dallo scritto I tre tipi d i pensiero giuridico, mentre egli

(41) Teologia politica, cit., 58.


(42) Ivi, 59 sgg.
(4a) i v i , 63 sgg.

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714 MARIO NIGRO

prima conosceva e classificava due soli tipi di pensiero giuridico


(il normativistico e il decisionista); questa importanza è stata
opportunamente segnalata da Mortati (44), il quale ha rilevato
come Cchmitt tragga dal pensiero istituzionista sia l’idea che
la giuridicità della norma non è data dal suo mero essere posta
ma dalla sua fattualità ad effettività in un ordinamento concreto
sia, soprattutto, l’idea che, normalmente, la decisione opera come
elemento di una struttura sociale e quale fonte del suo svilup-
po p5). C’è da dire però che Schmitt si distacca nettamente da
un certo istituzionismo, come dire eccessivamente positivistico e
meccanicistico, la decisione politica non essendo per lui il pro-
dotto necessitato della struttura esistente. Due profili sembrano
in proposito significativi. Egli, a più riprese, rivendica, esplicita-
mente o implicitamente, il contenuto di novità che la decisione
apporta rispetto al precedente ordine: l’idea che lo stato possa
essere ridotto al ruolo di mero araldo di un diritto che si’forma
prima e al di fuori del suo intervento è criticata aspramente p6).
D’altra parte, se è vero che egli nega che la giuridicità consista
soltanto nella conformità a legge (nell’ecsere qualcosa posta in
conformità alla legge), i canoni che accetta, della fattualità ed
effettività della norma in un ordinamento concreto, non sono da
lui intesi in senso piatto e ristretto, apparendo per Schmitt rile-
vanti ed anzi decisivi i valori di giustizia cui la decisione singola
e tutto l’ordinamento debbono ispirarsi.
Riconosciuto che la decisione politica opera, per ripetere la
espressione di Mortati, come (( elemento di una struttura sociale
e come fonte del suo sviluppo o, non si hanno, però elementi per
precisare nè come e quando si realizzi il passaggio dall’impulso
politico alla valenza giuridica, nè come e in che modo la valenza
giuridica spieghi effetto sul sostrato da cui è partito lo stimolo,
in quali momenti cioè si operi la trasformazione del politico in

(44) C . MORTATI, Brevi note sul rapporto f r a costituzione e politica nel pen-
siero d i Carl Schmitt, in questa Rivista. 1973, 511.
(45) C. MORTATI, ivi. Analoghe valutazioni, a proposito di Schmitt, il giu-
rista italiano aveva espresso in L a costituzione in senso materiale, Milano, 1940,
55 sgg. e in Costituzione (dottrine generali), voce dell’Enc. del dir., XI, Milano,
1962, 161.
Teologia politica, cit., 50.

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CARL SCHMITT FRA DIRITTO E POLITICA 715

giuridico e la ritrasformazione del giuridico in politico; e quali


nessi e quali metodi di influenza si stabiliscano fra i due ~ m o -
menti n, e nella singola decisione politica e, quel che è più impor-
tante, nella intera trama delle decisioni politiche. Questo aspetto
resta in Schmitt abbastanza misterioso e proprio, da una parte,
il carattere di novità e creatività della decisione politica, dall'altra
il riferimento ai valori di giustizia accentuano l'oscurità del tema.

7. Queste caratteristiche (e questi limiti) del pensiero di


Schmitt risaltano ovviamente ancor di più ove si consideri la
dottrina della costituzione di questo scrittore, posto che la costi-
tuzione, per un verso, è la decisione politica fondamentale, anzi,
più che una decisione unica o ad oggetto unico, è un coacervo
di decisioni politiche o una decisione complessa, specificando essa
la natura e i connotati della unità politica cioè disciplinando più
profili di questa (e fra l'altro non è chiaro quale sia esattamente
l'ambito delle scelte definibili come fondamentali, in questa ma-
teria: si veda quanto scrive Schmitt a proposito della costitu-
zione di Weimar ("). I1 decisionismo politico e giuridico di
Schmitt culmina nella considerazione della costituzione come de-
cisione politica, ma si porta appresso anzi ritrova ingranditi i
problemi che la decisione politica in genere solleva.
È sintomatico come l'interesse per la costituzione accomuni
il grande giurista tedesco - che, per quanto riguarda gli studi
italiani di diritto pubblico, è però più attento alle idee di Romano
che a quelle di Mortati ("") - a quest'ultimo studioso, e come
molto simili siano, per Schmitt e Mortati, le cause di questo in-
teresse, anche se per Schmitt opera anche uno stimolo particolare
(l'interpretazione e l'attuazione della costituzione weimariana):
da una parte, la reazione alle dottrine positiviste e formaliste,
la quale proprio nella rivendicazione dell'importanza politica e
della effettività della costituzione trova una delle sue armi più
forti: dall'altra, la necessità di ottenere che il sistema giuridico
(e anche qui il ruolo della costituzione è fondamentale) padro-

(47) Dottrina della costituzione, cit., 42 sgg.


(4s) Cfr. per esempio, I tre t i p i d i pensiero giuridico, cit., 260 sgg.

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716 MARIO NIGRO

neggi le nuove e profonde trasformazioni delle società, che i due


giuricti parimenti rilevano.
Schmitt - sulla scia di Smend ("") - compie un'attenta ana-
lisi del concetto di costituzione prospettando varie classificazioni
da diversi punti di vista, ma il concetto che qui interessa è il
concetto assoluto (che, secondo l'idea già prospettata da Smend,
si contrappone al concetto relativo, il quale indica null'altro che
una serie di leggi fatte in un determinato modo) e positivo di
costituzione. Costituzione è l a decisione politica fondamentale del
titolare del potere costituente, la quale è anteriore ad ogni nor-
mazione. Essa determina (<(costituisce o) la forma e la specie del-
l'unità politica, la cui esistenza è presupposta. Non è che l'unità
politica - avverte infatti Schmitt - si formi proprio perchè ((è
data una costituzione )); la costituzione in senso positivo contiene
soltanto la determinazione consapevole della forma speciale com-
plessiva per la quale l'unità politica si decide.
I n vari scritti, Mortati ha indicato le aporie e le incertezze di
questa nozione di costituzione ed a questi scritti si può rin-
viare (50), ma la maggiore di queste aporie e incertezze sta pro-
prio nel non definito rapporto fra costrato politico sociale e as-
setto giuridico.
È sicuramente merito di Schmitt di avere messo in netto
rilievo la necessità di ricercare la base dell'ordine giuridico in
una concezione politica fondamentale, contrapponendosi così fron-
talmente al positivismo formalista, ma l'affermazione resta priva
di sviluppi ed ha solo un prezioso valore di anticipazione, se:
- da una parte, non si chiarisce il rapporto fra la concezione
politica fondamentale e il concreto assetto ed ordine della società;
- dall'altra, non si conosce quale valore giuridico abbia (e
conservi) questa concezione politica fondamentale (e il concreto
assetto e ordine della società da cui scaturisce) una volta che
lo stato (( costituente )) si sia trasformato in (( stato costituito o.
Orbene, su entrambi i due punti mancano analisi e soluzioni

(4g) Sul rapporto fra il pensiero dei due studiosi (Schmitt e Smend), C.

MORTATI, Costituzione (voce), cit., 161.I1 contributo originale di R. Smend nello


studio teoretico della costituzione è riconosciuto da C. Schmitt nella Dottrina
della costituzione, cit., 20.
( 6 0 ) Cfr. gli scritti citati alle note 42 e 43.

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CARL SCHMITT FRA DIRITTO E POLITICA 717

appaganti. Per ciò che riguarda il primo punto, certo Schmitt


non considera la decisione politica fondamentale avulsa dal detto
assetto, così come nessuna decisione politica (abbiamo visto) lo
è: il principio politico affermato, sotto un profilo, è il prodotto
di una concreta dinamica sociale, sotto un altro si pone, proprio
attraverso la costituzione, come spinta e regola di questa dina-
mica. Ma tutto questo resta astratto e generico ed invece andreb-
bero chiariti più da vicino i nessi fra questi due elementi tanto
più in vista della soluzione del secondo problema che resta il
problema fondamentale: la natura e la consistenza del rapporto
che s’impianta fra concreto assetto della società raccolta ed ordi-
nata intorno al criterio politico base, e sistema giuridico positivo
fondato sulla costituzione formale.
Ma questo rapporto non è chiarito da Schmitt, nel quale a
ben guardare anzi un rapporto vero e proprio non c’è: o, meglio,
vi è un rapporto di derivazione e di causazione, non un rapporto
sincronico e permanente.
La decisione politica fondamentale in cui si sostanzia la costi-
tuzione assoluto-positiva, e che costituisce, è vero, la foYma e la
specie della u n i t à politica, ha certo natura sia politica e giuridica,
ma essa non è mai le due cose insieme: è politica fino a tanto
che non è trasfusa nella costituzione e, quando lo è, non è più
politica ma solo giuridica. I1 fatto è che non bisogna confondere
la costituzione assoluto-positiva di Schmitt con la costituzione
materiale di Mortati (se pure accomuna entrambi la natura (( to-
talitaria R della Costituzione ed il radicamento di essa e della sua
effettività in un assetto politico-sociale, di cui è espressione e
stimolo). La prima è una determinazione consapevole della forma
speciale complessiva per la quale l’unità politica si decide (qualche
volta Schmitt però sembra non richiedere la consapevolezza e
autonomia della scelta) e quindi praticamente si presenta come
il nucleo fondamentale della costituzione formale (51): la norma-
tività di questa costituzione è una normatività positiva e il con-
creto assetto e ordine della società resta estraneo a tale norma-
tività (se non perchè fonda e giustifica l’effettività di essa).

(51) Dottrina della costituzione, cit., 38 sgg. (vedi, per esempio, quanto scrive

a proposito della costituzione di Weimar) .

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718 MARIO NIGRO

La costituzione materiale è, invece, per Mortati l’ordine fon-


damentale intrinseco ad una società, un ordine diverso da quello
disegnato dalla costituzione formale e anteriore ad esso: per lui,
((la società da cui emerge ed a cui si collega ogni particolare for-
mazione statale possiede una sua intrinseca normatività quale è
appunto data dal suo ordinarsi intorno a forze e fini politici:
questa normatività è diversa da quella propria del sistema delle
norme derivate (Costituzione formale), sia per la mancanza di
forme precostituite di normazione, sia per la diversità del con-
tenuto delle norme: ciò perchè essa non opera una specifica pre-
determinazione di comportamento, ma si limita ad enucleare in-
teressi associativi che si impongono come scopi dell’azione sta-
tale )) (9. Donde il fitto intrecciarsi di rapporti fra le due entità
(società ordinata intorno a forze e fini politici: costituzione mate-
riale; e apparato statale: costituzione formale) e la varietà di
forme e modi di rilevanza giuridica della costituzione materiale
rispetto alla costituzione formale (per l’interpretazione e l’integra-
zione del sistema delle norme; per l’identificazione della forma
di stato; per la fissazione dei limiti di modificazione della costi-
tuzione ecc.). Dato il suo concetto di costituzione positiva, que-
st’ordine di problemi è ignoto a Schmitt.
Diremo che Mortati è più attento di Schmitt al fenomeno?
In un certo senso, questo è vero. Ma diremo pure che Mortati
abbia risolto in modo definitivo, o almeno soddisfacente, il rap-
porto fra politica e diritto in quella decisione politica fondamen-
tale (o complesso di decisioni politiche fondamentali) che è la
costituzione, un rapporto rimasto in bozzolo nella dottrina di
Schmitt? Ciò sarebbe forse eccessivo. Quella di Mortati è solo
una proposta - una proposta esemplare nel metodo e stimolante
nel contenuto - la quale può suscitare ed ha suscitato molte
perplessità (anche perchè forse, occorre riconoscere, non è mai
stata, nè dai giuristi nè dai politici, analizzata con l’attenzione
che meritava (53).

(52) È la definizione che ne dà Mortati nella voce dell’Enciclopedia del di-

ritto, sopra citata, 162.


2 il rammarico già da me espresso in Costituzione ed effettivitù costitu-
(53) f

zionale, in Riv. trinz. dir. proc. civ., 1969, 1710.

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CARL CCHMITT FRA DIRITTO E POLITICA 719

La determinazione della linea di frontiera fra diritto e poli-


tica (ammesso che proprio di una linea si tratti e non di una
zona ambigua e oscura in cui avviene - per gradi - la muta-
zione dall’uno all’altro stato) era e resta uno dei compiti più
difficili delle scienze giuridiche e di quelle politiche (che debbono
ritenersi accomunate nel compito immane). Continuando negli
interrogativi, è sicuro che in Mortati la giuridicizzazione non si
sia spinta tanto oltre nel terreno politico da raffreddare da una
parte la dinamica politica e da svalutare eccessivamente, dal-
l’altra, i dati formali dell’assetto giuridico a scapito della certezza
di esso? La questione non può esser qui studiata. Ma, una volta
posto questo interrogativo, diventa legittimo affacciarne subito
un altro. Constatata la possibilità (anche solo eventuale) di squi-
libri e di pericoli per effetto di giuridicizzazioni troppo accentuate,
non sarà allora giustificato attribuire a Schmitt il merito di es-
sersene tenuto distante, riconoscendo, sì, la derivazione del diritto
dalla politica (dalla scelta politica), ma mantenendo ferma e
distinta - da buon discendente della scuola giuridica classica -
l’autonomia di questa scelta: la politica si fa diritto, ma resta
sempre politica la fonte di alimentazione di esso? Inscindibilità
non significherebbe confusione. È questa la lezione, una lezione
sempre valida, di Schmitt? Se si risponde di si, bisogna dire che,
per questa parte, la differenza fra lui e Mortati sta in ciò: che
Mortati è un giurista che tiene largo conto dell’elemento politico
per (( acquisirlo r) al diritto, Schmitt uno studioso di politica che
vede nel diritto l’attuazione e il concretamento della politica,
non il superamento e l’assorbimento di essa nel giuridico. M a
.forse - e il discorso va qui necessariamente concluso - ciò che
acciimuna i due giuristi è tanto più forte e importante di ciò che
li divide: l’essenza e l’originalità delle dottrine di entrambi con-
sistono nel tentativo eguale, anche se ciascuno lo sviluppa a suo
modo, di legare la normatività della costituzione alla volontà
politica ed alla idoneità (idoneità non teorizzata o postulata, ma
pretesa e vissuta) di questa a porsi come principio vitale e fonte
di ordine effettivo, e sempre rinnovantesi, della vita della co-
munità.

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