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Nella ricorrenza del XC Anniversario dei Patti Lateranensi, proponiamo l’intervista a S.E.R. Mons.

Cesare
Di Pietro, Vescovo Ausiliare di Messina-Lipari-S. Lucia del Mela.

ll Rev.mo Monsignore Cesare Di Pietro è nato a Messina il 12 marzo 1964. Dopo gli studi classici al Liceo “G. La Farina”,
si è laureato in Giurisprudenza all’Università di Messina. Per sei anni ha rivestito la carica di Presidente diocesano della
Gioventù maschile di Azione Cattolica. Nel 1991, entrato nel Seminario Arcivescovile, ha frequentato l’Istituto
Teologico “San Tommaso” per la formazione al sacerdozio, che ha ricevuto da S.E. Mons. Giovanni Marra il 25 ottobre
1997. Ha conseguito il Dottorato in Storia della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma (2008) e ha
frequentato il corso biennale di Paleografia, Archivistica e Diplomatica in Vaticano. Nel 2017 ha ottenuto la licenza in
Diritto Canonico alla Lateranense. Tra i numerosi incarichi svolti, anche quello di Addetto di Segreteria della
Congregazione per i Vescovi. É membro della Commissione diocesana per gli Ordini e i Ministeri. Ha pubblicato la sua
Tesi di Laurea su: “Domenico de’ Dominicis (1416-1478) vescovo riformatore” e un volume sulla vita del Beato “Don
Giuseppe Puglisi”.

Buonasera Eccellenza, e grazie dell’accoglienza.

Grazie a Lei, è un’accoglienza gradita per esprimere il mio pensiero e la mia personale simpatia per questi temi, che
includono il rapporto tra Stato e Chiesa, sia a livello storico sia sul piano attuale.

1. Eccellenza Reverendissima, nel 1870 Roma viene annessa al nuovo Stato italiano, ma per la tutela del Pontefice e
per garantire l’esercizio del suo magistero si rende necessaria l’emanazione della Legge delle Guarentigie. Era la
Questione romana.

Evidentemente, Roma, da un lato, è da duemila anni la sede di Pietro, la città dei Papi, quindi il cuore del mondo
cattolico, d’altro lato, non a torto Cavour affermava, all’indomani dell’Unità Nazionale, nel 1861: “Dobbiamo fare di
Roma la splendida capitale del Regno Italico”. Si capiva che l’Italia non era soltanto un concetto, un ideale astratto, ma
prendeva forma sempre più quale Nazione, di cui Roma doveva essere capitale. Inevitabile il conflitto: la Santa Sede
aveva necessità di una forma di indipendenza, di una propria sovranità e considerava lo Stato Pontificio presupposto
essenziale di tale sovranità e indipendenza. La Legge delle Guarantigie fu un tentativo inadeguato di trovare una
soluzione alla Questione romana, ma insoddisfacente dal punto di vista del Pontefice perché non garantiva
pienamente questa indipendenza. Il Papa, in fin dei conti, sarebbe finito per diventare un pensionato dello Stato
italiano e non poteva essere ridotto a questo rango, per cui Pio IX reagì sdegnosamente rifiutando questa soluzione.
Quindi, nacque la cosiddetta Questione romana.

2. Con l’arrivo al soglio pontificio di Pio X, che già da cardinale veniva accolto in visita ufficiale da Umberto I e da
Vittorio Emanuele III, si è ritenuto opportuno fissare la nascita di una sequela di Papi “filo -italiani”. Ciò parve vero
dall’apertura di credito della Santa Sede al nuovo Stato italiano e dall’ingresso ufficiale dei cattolici in politica nel
1913. In quali termini possiamo ragionare su tutto ciò, anche rispetto alle precedente linea di chiusura dettata dal
Non expedit?

In realtà, anche Pio IX è stato un Papa “filo-italiano”, che nutrì un vivo sentimento nazionale, sia pure contrastato,
come ho accennato, che si espresse, ad esempio quando esclamò, dal balcone del Quirinale, il 10 febbraio 1848: “Gran
Dio, benedite l’Italia!”. Con i Pontefici suoi successori, i rapporti tra Stato e Chiesa di fecero sempre più distesi, fino a
quando Pio X aprì, con il cosiddetto “Patto Gentiloni”, l’ingresso alla partecipazione dei cattolici alla vita politica
nazionale, fissando determinate garanzie.

3. Con la vittoria nella Grande Guerra, l’Italia chiudeva il ciclo delle battaglie per l’indipendenza nazionale. Il
contributo dei cattolici nel conflitto fu determinante, tanto che alla Conferenza della pace nel 1919 tra la Sante
Sede e il governo italiano si trattò segretamente la conciliazione con ben dieci anni di anticipo. Quanto incidono
questi fatti nel ritenere che l’Unificazione nazionale e la sua evoluzione siano state fenomeni organici al mondo
cattolico?

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La guerra per l’Italia assunse un carattere irredentista, mentre negli altri Paesi europei i nazionalismi si erano gonfiati a
tal punto da generare dei conflitti che diedero luogo a quell’immane tragedia, a quell’inutile strage, come Benedetto
XV definì la Prima Guerra Mondiale. Il Papa cercò di scongiurare finché poté l’entrata in guerra dell’Italia nella Grande
Guerra, ma poi i cattolici, in un certo senso, sfuggirono di mano al controllo del Papa. Il Papa fu allora un profeta
inascoltato rispetto alla pace. Si verificò una partecipazione corale da parte di tutti gli italiani, compresi i cattolici, alla
causa nazionale, così come era avvenuto lungo tutto il corso del Risorgimento. Per converso, tutta la cultura italiana,
nel corso dei secoli della storia del Paese, è stata permeata dal pensiero cattolico e dallo spirito cristiano, che fanno
intrinsecamente parte della nostra identità nazionale.

4. Novant’ anni fa la stipula dei Patti Lateranensi pose fine alla Questione romana, regolamentando i rapporti tra lo
Stato italiano e la Santa Sede, anche in materia religiosa. Cosa veniva stabilito in breve?

Si manteneva in vigore l’art. 1 dello Statuto Albertino del 1848, secondo cui la religione cattolica è l’unica religione di
Stato. Un principio che oggi ci appare anacronistico, ma che allora sanciva la fedeltà dello Stato italiano alla tradizione
cattolica del Paese. Ma, soprattutto, si garantì alla Santa Sede l’indipendenza di cui ho parlato prima, necessaria alla
sua missione, con la costituzione dello Stato della Città del Vaticano, un minuscolo lembo di territorio, piccolo, esiguo,
ma sufficiente per assicurare questa libertà di esercizio della propria missione universale al Papa e alla Curia Romana.
Fu garantito, inoltre, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, quale coronamento di tutto
l’insegnamento. Si riconobbe l’importanza della formazione religiosa nell’educazione dei ragazzi e dei giovani nelle
scuole, e si fissò una serie di altre garanzie. Ancora si perpetrò qualche residuo di privilegio, come uno specifico foro
ecclesiastico per i chierici, che verrà abrogato successivamente. Fu stabilita la cosiddetta “congrua” per i sacerdoti,
ossia uno stipendio statale che fungeva da risarcimento per l’incameramento dei beni ecclesiastici dovuto alle leggi di
fine Ottocento, e una serie di altre garanzie che comunque chiudevano la Questione romana. Si può dire che il
Risorgimento italiano si concluse proprio con quell’avvenimento, in senso pieno, perché sul piano religioso avvenne
una conciliazione tra la Chiesa e lo Stato. Cosa che non era avvenuta prima. E quindi tutti gli italiani si sentirono
pienamente integrati nel nuovo Stato nazionale, cioè nel Regno d’Italia.

5. All’art. 26 del Trattato del Laterano la Santa Sede <<riconosce il Regno d’Italia sotto la dinastia di Casa Savoia con
Roma capitale dello Stato italiano>>, mentre al Papa viene riconosciuta la sovranità sulla Città del Vaticano. Questo
aspetto può a ragione ritenersi il giusto e meritato epilogo del percorso nazionale principiato col Risorgimento?

Sicuramente sì, come ho detto già. Mi piace ricordare un episodio gustoso legato alla morte di Vittorio Emanuele II,
che aveva subito una scomunica dal Papa Pio IX; però, in punto di morte, pare il Re abbia chiesto i sacramenti e il Papa
acconsentì. Quindi il parroco della parrocchia del Quirinale, che si trovava allora in piazza Fontana di Trevi, si recò al
capezzale del Re. La clausola che il Papa aveva posto era che Vittorio Emanuele manifestasse un certo pentimento.
Pare che il Re abbia detto << mi duole di aver causato tanto dispiacere al Papa >>. Il Re morì, quindi, in grazia di Dio il
9 gennaio 1878 e il Papa Pio IX, con la sua solita sagacia, esclamò: << Non contento di avermi rubato il posto sulla
terra, è andato a prendermelo anche in cielo >>. E di fatto Pio IX morì il mese seguente, il 7 febbraio del 1878. In fin
dei conti, i Papi nutrivano anche un sentimento nazionale, come dicevo, e cercavano faticosamente di contemperarlo
con la loro sovranità sullo Stato Pontificio e con l’esercizio della loro missione di Pastori universali della Chiesa.

6. Eccellenza, lo Stato della Città del Vaticano, nato nel ’29 in virtù dell’Accordo del Laterano, in che modo può aver
favorito la Chiesa nell’ambito dell’agire rispetto allo Stato Pontificio giunto fino al 1870?

Ha favorito la Chiesa in quanto Stato piccolo, esiguo, quindi molto meno farraginoso, perché il precedente Stato
Pontificio aveva una grossa macchina burocratica da dover gestire che rappresentava un enorme peso sulle spalle. I
cardinali erano ministri, i peccati diventavano reati, c’era spesso un commistione tra sacro e profano, lo Stato
Pontificio era male amministrato, perché non è compito precipuo di noi sacerdoti quello di governare una nazione.
Noi abbiamo un compito spirituale, quindi uno Stato amministrato dai preti e dai cardinali sicuramente non poteva
andare bene. Mentre lo Stato Vaticano, essendo appunto quasi simbolico, rappresenta un necessario fattore di
indipendenza ma non comporta tutto quel gravame sul piano burocratico che lo Stato Pontificio comportava,
appesantendo anche la missione della Chiesa.

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7. Eccellenza, si può rintracciare nei Patti Lateranensi una relazione diretta tra il diritto naturale e l’ordinamento
dello Stato?

In un certo senso sì. Perché quando si parla di religione come corollario della formazione umana di una persona che
studia e che si forma nella sua crescita adolescenziale si fa riferimento a quell’anelito insopprimibile e ineludibile
presente nel cuore dell’uomo che è il bisogno “naturale” di Assoluto, di verità, di amore, cioè, in definitiva, di Dio.

8. Paolo VI definì il Risorgimento un << fatto provvidenziale>>, confermando sul punto Papa Roncalli. E nel
Sesquicentenario dell’Unità nazionale Benedetto XVI affermò che << L’identità nazionale degli italiani, così
fortemente radicata nelle tradizioni cattoliche, costituì in verità la base più solida della conquistata unità politica
>>. Come cambiò la percezione dei Papi nel tempo rispetto al fenomeno?

Cambiò radicalmente, ma anche gradualmente. Dopo la caduta dello Stato pontificio, sotto Leone XIII, successore di
Papa Pio IX, si avvertì che la Chiesa aveva acquistato un maggiore dinamismo. Una Chiesa più agile, una fede più
attiva, appunto perché liberata da quel fardello che gravava e appesantiva la missione spirituale della Chiesa. Fu una
percezione quasi immediata. Non solo, ma la Chiesa acquistò ulteriore prestigio sul piano spirituale, sul piano della sua
autorevolezza. L’autorevolezza dei Romani Pontefici crebbe sempre di più, anche a livello internazionale. Ci sono due
anniversari importanti che Lei ha citato, cioè Il 1970, nel Centenario della presa di Roma da parte dello Stato italiano
con la breccia di Porta Pia. In tale occasione, Paolo VI ebbe a dire che la perdita dello Stato Pontificio era stata per la
Chiesa un fatto provvidenziale, per le ragioni che ho esposto. Mentre, nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ossia
nel 2011, Benedetto XVI affermò che l’identità cristiana rappresenta il tratto identitario fondamentale della Nazione
italiana. Pensiamo, ad esempio, a Dante, a Manzoni, a Giotto; molti grandi artisti, grandi poeti e grandi letterati
ebbero una ispirazione cristiana. Pensiamo anche a grandi educatori come san Giovanni Bosco, tanto vicino a Casa
Savoia. Davvero l’ispirazione cristiana ha connotato trasversalmente tutte le dimensioni culturali della nostra storia
nazionale. Per cui, possiamo dire che ne costituisce un elemento identitario imprescindibile.

9. Quale fu la causa che nel 1984 portò il governo italiano a ritenere necessaria una modifica al Concordato, che non
si poteva fare in maniera unilaterale?

Si, infatti, non si poteva fare, ma nel frattempo era intervenuta la Costituzione repubblicana, che pure aveva inserito i
Patti Lateranensi e il Trattato del ’29 in uno dei suoi articoli; infatti si parlò di Accordi di revisione del Concordato, per
evitare la lentezza di una legge costituzionale che abrogasse o che modificasse quell’articolo della Costituzione
italiana. Inoltre, per parte della Chiesa cattolica era intervenuto il Concilio Vaticano II, un evento magisteriale di
notevole portata, in virtù del quale la valorizzazione della laicità dello Stato e del dialogo interreligioso, nonché la
caduta di certi privilegi anacronistici resero necessario questo nuovo accordo tra lo Stato italiano e la Santa sede,
siglato in quel momento dal governo socialista di Bettino Craxi, che però raccolse l’eredità dei precedenti governi
democristiani. Frutto di un percorso abbastanza lungo, che partiva dagli anni ’60. Fu un passo in avanti, sicuramente
importante, che sotto Giovanni Paolo II prese forma e che poi fu ratificato dalle rispettive leggi dello Stato italiano e
della Santa Sede. Per esempio il sistema beneficiale cadde, dai benefici ecclesiastici si passò a un sistema in cui i fedeli
contribuiscono anche attraverso la firma dell’8 x 1000, al sostentamento del clero. La religione cattolica non fu più
considerata come religione di Stato. Si tenne conto del mutato contesto religioso. Tanti altri ritocchi furono fatti per
aggiornare il Concordato del 1929 e renderlo conforme al cambiamento dei tempi.

10. Per Sua Eccellenza, a quasi un secolo di distanza, cosa resta dello spirito originario del ’29?

Resta il bisogno di considerare comunque il cristianesimo, e la Chiesa cattolica in particolare, quale fonte di ispirazione
della Nazione italiana, quale tratto identitario fondamentale, imprescindibile. Anche se la religione cattolica non può
essere considerata oggi l’unica religione di Stato, in questo contesto mutato di giusto pluralismo religioso. Però, non
possiamo prescindere da questa identità che ci caratterizza e lo Stato ha il dovere di custodire questo tratto
identitario, di tutelarlo e di promuoverlo. Così pure, da parte dei cattolici, c’è bisogno che siano di fermento, di lievito,
all’interno del Paese, perché nel nostro Paese si cresca insieme, cattolici e laici. Senza che vi sia più una
contrapposizione, che non deve esistere, perché la visione teologica del Vaticano II ha recuperato molto bene il
concetto di laicità dello Stato, di autonomia delle realtà temporali, per cui è ovvio che un cattolico in politica vorrà

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essere un fermento per animare con un nuovo umanesimo la vita del Paese, con una propria identità, ma sempre in
un dialogo costruttivo con tutte le forze vive e le visioni ideologiche.

11. C’è, invece, qualcosa che dovrebbe essere recuperato di quello spirito?

Penso, tra l’altro, la libertà educativa. Noto che oggi lo Stato non favorisce l’educazione cattolica, come forma di
libertà educativa da parte dei genitori nei confronti dei loro figli. Le scuole cattoliche vengono penalizzate perché non
godono di contribuiti statali. Lo spirito del ‘29 in buona parte si è aggiornato, si è rivitalizzato, rispetto a delle forme
anacronistiche come il foro dei chierici, quindi mi sembra che sostanzialmente i cambiamenti siano stati positivi. Tutto
ciò che sa di laicismo, invece, e non di sana laicità, va corretto, perché assume una connotazione ideologizzata e quindi
non conforme a un sano spirito di dialogo e di collaborazione tra Chiesa e Stato.

12. Un’ultima domanda Eccellenza. A proposito degli anniversari, a 70 anni dalla morte in esilio di Vittorio
Emanuele III ad Alessandria d’Egitto, nel dicembre 2017 la sua salma e quella dell’augusta consorte Elena di Savoia
fanno rientro in Italia per essere tumulate al Santuario di Vicoforte (CN) invece cha al Pantheon, ove dovrebbero
riposare tutti i Re e le Regine d’Italia. Cosa auspicare a riguardo, considerato che ancora Re Umberto e la Regina
Maria José riposano in territorio d’esilio?

Auspico che i nostri sovrani possano riposare al Pantheon, meritatamente. Perché, al di là di tutte le valutazioni
storiche, noi messinesi siamo grati alla Regina Elena che ha soccorso i terremotati di Messina del 1908 come Angelo di
carità, quale è stata definita. La sua figura è stata ampiamente apprezzata, come quella del Re Vittorio Emanuele III,
che si sacrificarono per i disastrati di allora. Purtroppo furono travolti dagli eventi successivi, ma questo non deve
escludere una lettura globale della loro vicenda storica, che includa la gratitudine per l’opera che svolsero i nostri
Sovrani. Umberto II ha avuto il merito storico di non provocare un conflitto dopo l’esito del referendum, lasciando
l’Italia con grande dignità. Con la sua moderazione, con il suo equilibrio evitò, in quel momento, uno scontro tra
monarchici e repubblicani. Se ne andò in punta di piedi in esilio. Quindi credo che sia ammirevole questo
atteggiamento di un Re che mostra la sua regalità non volendo spargimento di sangue per il suo Paese e per i suoi
connazionali. Così anche la regina Maria José, che fu animata da spirito liberale, da un antifascismo radicale, va
apprezzata grandemente. Non approvo, perciò, l’attuale ostracismo. Il Pantheon deve, a mio avviso, ospitare le salme
dei nostri ex Sovrani, affinché meritatamente riposino lì e siano destinatari della preghiera e dell’omaggio di tutti gli
italiani.

Grazie Eccellenza Reverendissima, per il tempo e la preziosa intervista che ha voluto concederci.

Grazie a Lei, è stato un onore e una gioia. Auguri!

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