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I
m

- .
LIBRARY OF THE
UNIVERSITY OF VIRGINIA

PRESENTED BY

JUDGE DON P. HALSEY

NATIONM
iLIBRAW BIHDIW

1WEST SPfMNGMU
I EftSI CIEVEUNO
ITALIAN READEK,
A READER

ITALIAN LANGUAGE,

EXTRACTS FROM SOME OF THE BEST MODERN ITALIAN


AUTHORS, BOTH OF PROSE AND POETRY.

WITH NOTES,

BY

LUIGI MONTI,
ft
INSTRUCTOR IN ITALIAN IN THE UNIT-mirr" A^ OAMJRIDGfi.

BOSTON:
LITTLE, BROWN AND COMPANY.
1 8 5 5.
y\o,
328508
>h

Entered according to Act of Congress, in the year 1855, by


LUIGI MONTI,
in the Clerk's Office of the District Court of the District of Massachusetts.

C A II B. R I D G E< .

ALLEN AND FARNHAM, 8TERE0TYPERS AND PRINTERS.


DEDICATED

TO

THOMAS WILLIAM PARSONS,

TRANSLATOR OF DANTE,

THKOTJGH WHOSE FRIENDSHIP THE COMPILER OF THIS VOLUME.

IN EXILE, FOUND A HOME.

A* (V)
PREFACE.

It has been the usual custom of those who have


compiled Readers to collect small extracts from clas
sic authors, and generally from the old, in preference
to modern writers.
The editor of this collection has deemed it more
useful and also more interesting at the present day,
to give extracts from only a few eminent modern
authors, and with one or two exceptions, those
whose works have not been translated into English.
From among the many who have lately increased
and illustrated our modern Italian literature, he has
selected but three prose-writers, namely, Silvio Pel
lico, F. D. Guerrazzi, and Vincenzo Gioberti.
The editor has chosen these authors not as ranking
them above other moderns, but because they repre
sent three different styles. The first is calm and
chaste, subdued to mildness by the gentle and blessed
spirit of Christianity. The second is passionate,
imaginative ; a " good hater " of oppression in every
(vii)
PREPACE.

form, he often adopts the style as well as the senti


ment of
" Poets, a race long unconfined and free,
Still fond and proud of savage liberty."

The third writer is deep, synthetical, and philosophic.


He writes to the reason, but always from the heart.
With such aids, the student may gradually ad
vance from the simple and easy to the loftier and
the deeper style. Having made himself familiar with
these, he will be competent to read, and in some
degree to appreciate the beauties of Manzoni, Fos
colo, Leopardi, Nota, Grossi, Azeglio1, Niccolini, and
many others, as well as our old classics.
In the poetical selections a similar plan has been
adopted, only more limited, ascending gradually
from our contemporaries to Metastasio.
After him, the student may be ready to enter into
the appreciation of Alfieri, Parini, Tasso, Ariosto,
Petrarca, Dante.
The first part of this collection, namely, all the
extracts from Silvio Pellico has been entirely ac
cented. The rest is accented only in words of more
than three syllables. Words of three syllables have
been accented whenever the accent does not fall
upon the second, and words of two syllables when
ever the accent does not fall upon the first.
English notes are appended, translating most of
PREFACE. IX

the idiomatic expressions, and explaining some of


the irregularities of the verbs. But in the latter case,
references are made to the Grammar of the editor,
in which will be found the conjugation of every
irregular verb. Other references to the Grammar
pertain to some particular form of speech, grammati
cal construction, etc. etc.
The editor has adopted this plan with the advice
of some of his best friends, who are interested equally
with himself in spreading and continuing the knowl
edge of a beautiful language which ought to survive
its commercial and its political importance out of
regard to its historical and actual relation to letters
— to English literature, and especially to English
poesy.
He hopes to have succeeded in facilitating this
useful and elegant study. If his collection meet with
little approbation, he will content himself with one
more word from Azeglio, that "even to do badly
costs some labor."
/
LIST OF CONTENTS.

PROSE.
PiO»
LE MIE PRIGIONI. — (Silvio Pellico.) 1

LA BATTAGLIA DI BENEVENTO.— (F. D. Guerrazzi.)


Il Cielo d' Italia 32
Le tre ore del giorno 34
L' Oceano 37
La Donna 40
L' Amicizia 41
Le Alpi 42
Il Re vinto 44

ISABELLA ORSINI. — (F. D. Guerrazzi.)


Marforio e Pasquino 47
Caterina di Francia 50

L' ASSEDIO DI FIRENZE. — (F. D. Guerrazzi.)


Clemente VII. e Carlo V 54
Cornelio Agrippa 74
Coronazione di parlo V 82
Andrea Doria . 94
Fine della Coronazione 101
L' Italia e Firenze 112
Francesco Carduccio 117
Michelangiolo Buonarroti 121
Amor Patrio di Michelangiolo 126
I Mcrcadanti 135
(ri)
XU LIST OF CONTENTS.

Ritomo di Michelangiolo 138


Le Stelle 146
L' Orgoglio 147
Morte di Fra Benedetto da Foiano 148
I Sepolcri di Michelangiolo 153
La Speranza 158

EINNOVAMENTO CIVILE D' ITALIA. — (Vincenzo


Gioberti.)
Giuseppe Mazzini . . . . . . . . .164
Pio Nono 174

POESIE SCELTE.
Il Prigioniero. — (Pietro Maroncelli) 197
Ode Italica. Sulla creduta morte di Silvio Pellico. —
(Anonimo) 193
All'Italia. — (Giacomo Leopardi) 202
Sopra il Monumento di Dante. — ( Giacomo Leopardi) , . 206
Il Primo Amore. — ( Giacomo Leopardi) .... 212
Scherzo. — (Giacomo Leopardi) 215
Il Cinque Maggio. — (Alessandro Manzoni) .... 216
La Guerra Fraticida. — (Alessandro Manzoni) . . . 220
Li due Sventurati. — (F. D. Guerrazzi) .... 224
Canzone del Menestrello. — (Tommaso Grossi) . . . 227
La Rondinella. — ( Tommaso Grossi) 228
Serventese Folchetto di Provenza. — ( Tommaso Grossi) . 230
Serventese in Morte di Marco Visconti. — (Anonimo) 238
Roma. Sonetto. — ( Girolamo Prati) 242
Sulla morte di Giuda. Quattro Sonetti. — (Vincenzo Monti) 243
Artaserse. Dramma. — (Pietro Mctastasio) . . : 245
ITALIAN READER.

LE MIE PRIGIONI. — SHew PeUieo.


ESTRATTI.

Il venerdì 13 ottóbre 1820 fui arrestato a Milano, e


condótto a Santa Margherita. E'rano le tre pomeridiane.1
Mi si fèce 2 un lungo interrogatório per tutto quel giórno e
per altri ancóra. Ma di ciò non dirò nulla. Simile ad un
amante maltrattato dalla sua bélla, e dignitosamente risoluto
di tenérle bróncio,8 lascio la politica ov'élla sta, e parlo
d' altro.
Alle nóve délla séra di quel póvero venerdì, 1'attuario
mi consegnò al custóde, e quésti condóttomi nélla stanza a
me destinata, si fèce da me riméttere con gentile invito, per
restituirmeli 4 a témpo débito, orológio, denaro, e ógni altra
cósa ch' io avessi in tasca, e m' augurò rispettosamente la
buóna nótte
La stanza éra a pian terréno,5 e mettéva sul cortile.
Carceri di qua, carceri di là, carceri di sópra, carceri dirim
pétto. M' appoggiai alla finèstra, e stétti 6 qualche témpo ad
ascoltare 1' andare e venire dei carceriéri ed il frenético
canto di parécchi de' rinchiusi. . . . Tristi pensiéri mi
straziavano 1' anima. Chiusi la finéstra, passeggiai7 un' óra
credéndo di non avér réquie tutta la nótte. Mi pósi8 a létto,
e la stanchézza m' addormentò.
1
2 ITALIAN READER.

A mezzanótte, due secondini* erano venùti a visitarmi, e


m' avéano trovato di pessimo umóre. Al1' alba tornarono,
e mi trovarono seréno e cordialmente scherzóso.
— Stanótte, signóre, ella10 aveva una faccia da basilisco,
disse 11 il Tiróla ; óra è tutt' altro, e ne gódo,12 ségno che non
è 13 — perdóni Y espressióne — un birbante : perchè i birbanti
(io sóno vecchio del mestiére, e le mie osservazióni hanno
qualche péso) i birbanti sóno più arrabbiati il secóndo
giórno del lóro arrésto, che il primo. Prende tabacco? —
Non ne sóglio 14 préndere ; ma non vo' 15 ricusare le vóstre
grazie. Quanto w alla vóstra osservazióne, scusatemi, non è
da quel sapiénte che sembrate. Se stamane non ho più fac
cia da basilisco, non potrebb' égli éssere17 che il mutaménto
fòsse próva d' insensatézza, di facilità ad illudermi, a sognar
próssima la mia libertà ?
— Ne dubiteréi,18 signóre, s' élla fòsse in prigióne per
altri motivi ; ma per quéste cóse di stato,19 al giórno d' óggi,
non è possibil di crédere che finiscano20 così su dùe piédi.21
Ed élla non è siffattaménte gónzo da immaginarselo. Per
dóni sa:22 vuóle un' altra présa? — Date qua.28 . . . .
Io lo guardava in faccia fissaménte, con un sorriso malizi
óso, che voléva24 dire : " Porterésti tu un mio viglietto ad un
altro infelice, al mio amico Piéro ? " \_Maroncélli\. Ed égli
mi rispóse con un altro sorriso, che voléva dire : " No,
signóre ; e se vi dirigéte ad alcuno de' miéi compagni, il
quale vi dica25 di sì, badate che vi tradira." Non sóno vera-
ménte cérto, ch' égli mi capisse,26 ne ch' io capissi lui. So "
bensì, che io fui diéci vólte sul punto di dimandargli un péz
zo di carta, ed ùna matita, e non ardii,28 perchè v' éra alcun
che négli ócchi suói che sembrava avvertirmi di non fidarmi
di alcuno, e méno d' altri che di lui.

Se Tiróla, cólla sùa espressióne di bontà, non avésse


anche avuto quégli sguardi così furbi, se fòsse stata ùna fiso-
nomia più nóbile, io avréi ceduto alla tentazióne di farlo
I LE MIE PRIGIONI. 3

mio ambasciatóre, e fòrse .un mio viglietto giunto a témpo


al1' amico gli avrebbe dato la fòrza di riparare qualche sba
glio, e fòrse ciò salvava, non lui poverétto, che già tróppo
éra scopérto, ma parécchi altri e me !
Paziénza, dovéva andar così.29
^v Fui chiamato alla continuazióne del1' interrogatório, e
ciò durò tutto quel giórno, e parécchi altri, con nessun altro
intervallo che quéllo de' pranzi. . . . Un giórno due sec
ondini véngono80 a préndermi. — Si cangia81 allóggio, sig
nóre. — Che intendéte82 dire ! — C è88 comandato di traspor
tarla in un altra camera; — Perchè ? — Qualche altro grósso
uccéllo è stato préso,84 e quésta esséndo la migliór camera. . . .
capisce béne.86 ... — Capisco : è la prima pósa de' nuóvi
arrivati. E mi trasportarono alla parte del cortile oppó
sta
Stétti86 in quélla stanza un mése e qualche dì. La nótte
déi 18 ai 19 di febraio (1821) sóno svegliato da rumóre di
catenacci e di chiavi ; védo entrare parécchi uómini con lan
térna : la prima idéa che mi si presentò,87 fu che venissero a
scannarmi. Ma méntre io guardava perplésso quélle figure,
écco avanzarsi gentilménte il cónte Balza, il qual mi dice
ch' io abbia88 la compiacénza di vestirmi présto per partire.
Quest' annùnzio mi sorprése,89 ed ébbi la follia di sperare
che mi si conducésse40 ai confini del Piemónte. — Possibile
che sì gran tempésta si dileguasse41 così ? I'o racquisteréi42
ancóra la dólce libertà? I'o rivedréi43 i miéi carissimi
genitóri, i fratélli, le sorélle? — Quésti lusinghévoli pensiéri
m' agitarono brévi istanti. Mi vestii 44 con grande celerità, e
seguii 45 i miéi accompagnatóri. — Dóve si va ? 48 dissi al
cónte, montando in carrózza con lui, e con un uffiziale di
gendarmeria.
— Non pósso significarglielo,47 finchè non siamo un miglio
al di là 4S di Milano. —
Vidi 49 che la carrózza non andava vérso pórta Vercellina,
e le mie speranze furono svanite ! . . . .
4 ITALIAN READER.

Lasciai passare più d' un miglio, pói dissi al cónte Bólza :


— Suppóngo 60 che si vada a Veróna.
— Si va più in là,61 rispóse ; andiamo a Venezia, óve
débbo82 consegnarla ad una commissióne speciale.
Viaggiammo per pósta, senza fermarci, e giungemmo il
20 febraio a Venezia
Salimmo al palazzo dei tribunali ; ivi il cónte Boba parlò
co' giudici, indi mi consegnò al carceriere, e congedandosi
da me, m' abbracciò intenerito.
Seguii in silénzio il carceriére. Dópo avér traversato
parécchi anditi e parécchie sale, arrivammo ad ùna scaletta
che ci condusse sótto i Piómbi, famóse prigióni di stato fin
dal témpo délla Repùblica Véneta.
Ivi il carceriére prése53 registro del nóme, indi mi chiu
se 54 nélla stanza destinatami
In quésta stanza vedéndo di rado creature umane, diédi65
rétta ad alcune formiche che venivano sulla mia finéstra, le
cibai sontuosaménte, quélle andavano a chiamare un esército
di compagne, e la finéstra fu piéna di siffatti animali. Diédi
pariménti rétta ad un bel ragno che tapezzava una délle mie
paréti. Cibai quésto con moscherini e zanzare, e mi si
amicò,56 sino a venirmi sul létto e sùlla mano, e préndere la
préda dalle mie dita.
Fóssero quélli stati i sóli insétti che mi avéssero visitato !
Eravamo ancóra in primavéra, e già le zanzare si multipli-
cavano spaventosaménte. L' Invérno éra stato di una stra
ordinaria dolcézza, e, dópo póchi vénti in marzo, seguì il
caldo. E' cósa indicibile, cóme s' infocò 1' aria del covile
ch' io abitava. Situato a prétto mezzogiórno, sótto un tétto
di piómbo, e cólla finéstra sul tétto di San Marco, pure di
piómbo, il cui rivérbero éra treméndo, io soffocava. I'o non
avéa mai avuto idéa d' un calóre sì oppriménte. A tanto
supplizio s' aggiungéano le zanzare in tal moltitudine, che
per quanto io m' agitassi67 e ne struggéssi, io n'éra copérto;
il létto, il tavolino, la sédia, il suólo, le paréti, la vólta, tutto
LE MIE PRIGIONI. 0

n' era coperto ; e 1' ambiénte ne conteneva infinite, sempre


andanti e veniénti per la finestra, e facienti un ronzio infer
nale. Le punture di quégli animali sóno doloróse, e quando
se ne ricéve68 da mattina, a séra e da séra a mattina, e si
dée69 avére la perénne moléstia di pensare a diminuirne il
numero, si soffre60 veramente assai e di corpo e di spirito.
Allorchè veduto simile flagéllo, ne conóbbi el la gravézza,
e non potéi conseguire che mi mutassero il carcere, qualche
tentazióne di suicidio mi prése,62 e talvólta teméi d' impaz
zare. Ma, grazie al ciélo, érano smanie non- durévoli, e la
religióne continuava a sostenérmi. Essa mi persuadéva che
1' uómo dée patire, e patire con fòrza ; mi facéa,63 sentire una
cérta voluttà del dolóre, la compiacénza di non soggiacére, di
vincer tutto
Finì la state ; nel1' ultima metà di settémbre, il caldo sce
mava. Ottóbre vénne ; io m' allegrava allóra d' avére una
stanza che nel vérno dovéva ésser buóna. Ecco una mattina
il custóde che mi dice, avére órdine di mutarmi di carcere.
— E dóve si va ?
— A póchi passi, in una camera più frésca.
— E perchè non pensarci quand' io moriva dal caldo, e
1' aria éra tutta zanzare, ed il létto éra tutto cimici ?
— Il comando non è venuto prima.
— Paziénza, andiamo. — ....
Il luógo óve mi pósero éra pur sótto i Piómbi, ma a tra
montana e ponénte, con due finéstre, una di qua64 1' altra
di là ; soggiórno di perpétui raffreddóri, e d' orribile ghiaccio
ne' mési rigidi. La finéstra a ponénte éra grandissima,
quélla a tramontana éra piccola ed alta, al di sópra del mio
lètto
Addì 66 24 novémbre, uno de' nóstri compagni, il dottór
Forésti,66 fu tólto dal carcere de' Piómbi, e trasportato non
sapevam67 dóve. Il custóde ed i secondini érano atterriti ;
niùno di lóro volea darmi Iùce su quésto mistéro.
— E che cósa vuól élla sapére, dicéami Tremeréllo, se
1*
6 ITALIAN READER.

nulla v' è 6S di buono a sapere ? Le ho détto già troppo, le


ho détto già troppo.
— Su via, che sérve il tacére ? w gridai raccapricciando
non v' ho io capito ? Égli è dunque condannato a mórte ?
— Chi ?.. . égli ? ... il dottór Forésti ? . . . —
Tremeréllo esitava ; ma la véglia di chiacchierare non
éra 1' infima délle sue virtù.
— Non dica 70 pói che sén ciarlóne ; io non voléva próprio
aprir bécca su quéste cóse. Si ricórdi che m' ha cos
trétto.71
— Sì, sì, v' ho costrétto ; ma, animo ! ditémi tutto. Che
n' è del povero Forésti ?
— Ah, signóre ! gli fècero passare il pónte de' Sospiri,
égli è nélle carceri criminali ! La senténza di mórte è stata
létta a lui e a due altri.
— E si eseguirà ? quando ? Oh miseri ! E chi sóno gli
altri due ?
— Non so72 altro, non so altro. Le senténze non sóno an
córa publicate. Si dice78 per Venézia che vi saranno paréc
chie commutazióni di péna. Dio volésse che la mórte non
seguisse per nessuno di lóro ! Dio volésse, che, se non son
tutti salvi da mórte, élla alméno lo fòsse ! I'o ho mésso a
léi tale affezióne . . . perdóni la libertà . . . cóme se fòsse un
mio fratéllo ! —
E se ne andò commósso. Il lettóre può74 pensare in
qual agitazióne io mi trovassi tutto quel dì, e la nótte seg
uénte, e tanti altri giórni, che nùlla di più potéi sapére.
Durò 1' incertézza un mése : finalménte le senténze rela
tive al primo processo furono publicate. Colpivano75 mólte
persóne, nóve délle quali érano condannate a mórte, e pór
per grazia a carcere duro ; quali per vent' anni, quali per
quindici (e néi due casi dovéano76 scontar la péna nélla for
tézza di Spielberg, présso la città di Briinn in Moravia),
quali per diéci anni o méno (ed allóra andavano nélla for
tézza di Lubiana).
LE MIE PRIGIONI. 7

L' éssere77 stata commutata la péna a tutti quelli del pri


mo processo, éra égli argoménto che la morte dovésse 7S ris
parmiarsi dnche a quélli del secóndo ? Ovvéro 1' indulgénza
sarébbesi ,9 usata a' sóli primi, perchè arrestati prima délle
notificazióni che si publicarono cóntro le società secréte, e
tutto il rigóre cadrébbe 80 sùi secóndi ?
— La soluzióne del dùbbio non può ésser lontana, dis-
s' io ; sia ringraziato il Ciélo, che ho témpo di prevedére la
mórte, e apparecchiarmivi 81
Addì 11 gennaro (1822), vérso le 9 del mattino, Treme-
réllo cóglie un' occasióne per venire da me, e tutto agitato
mi dice :
— Sa M ella che nel1' isola di San Michéle di Murano, quì
póco lontano da Venézia, v' è una prigióne dóve sóno fòrse
più di cénto carbonari88?
— Me 1' avéte già détto altre vólte. Ebbene . . . che
voléte dire? . . . Su, parlate. Havvene84 fòrse di con
dannati ?
— Appunto.
— Quali ?
— Non so.
— Vi sarébbe mai il mio infelice Maroncélli ?
— Ah signóre ! non so, non so chi vi sia. —
Ed andóssene 86 turbato, e guardandomi con atti di com
passióne.
Póco apprésso viéne il custóde, accompagnato da' secon
dini e da un uómo ch' io non avéva mai veduto. Il custóde
paréa confuso. L' uómo nuóvo prése la paróla :
— Signóre, la Commissióne ha ordinato ch' élla vénga
con me.
— Andiamo, dissi ; e voi dunque chi siéte ?
— Sóno il custóde délle carceri di San Michéle, dov' élla
dev* éssere tradótta. —
Il custóde de' Piómbi consegnò a quésto i danari miéi,
ch' égli avéa nélle mani. Dimandai, ed ottènni86 la permis
8 ITALIAN READER.

sióne di far qualche regalo a' secondini. Misi87 in órdine la


mia róba, prési 88 la Bibbia sótto il braccio, é partii 89. Scen
dendo quelle infinite scale, Tremeréllo mi strinse furtiva
mente90 la mano ; paréa voler dirmi: — Sciagurato! tu séi
V. perduto.
Uscimmo da una pórta che mettéa91 sulla laguna ; e quivi
era ùna góndola con due secondini del nuóvo custóde.
Entrai in góndola, ed oppósti sentiménti mi commovéano :
— un rincresciménto d' abbandonare il soggiórno de' Piómbi,
óve mólto avéa patito ; ma óve pure io mi era affezionato
ad alcuno, ed alcuno érasi affezionato a me ; il piacére di tro
varmi, dópo tanto témpo di reclusióne, al1' aria apérta, di
vedére il ciélo e la città e le acque, sénza 1' infausta quadra
tura délle inferriate ; il ricordare la liéta góndola che in
témpo tanto miglióre mi portava per quélla laguna medé
sima, e le góndole del lago di Cómo e quélle del lago Mag
gióre, e le barchétte del Po, e quélle del Ródano e délla
Sónna ! . . . O ridénti anni svaniti ! E chi éra stato al
móndo felice al pari di me ?
Nato da' più amorévoli parénti in quélla condizióne che
non è povertà, e che avvicinandoti92 quasi egualménte al
póvero ed al ricco t' agévola il véro conosciménto de' due
stati, — condizióne ch' io réputo la più vantaggiósa per colti
vare gli affètti ; — io, dópo un' infànzia consolata da dolcis
sime cùre doméstiche, éra passato a Lióne présso un véc
chio cugino matérno, ricchissimo, degnissimo délle sue ric
chézze, óve tutto ciò che può ésservi d' incanto per un cuóre
bisognóso d' eleganza e d' amóre, avéa deliziato il primo fer
vóre délla mia gioventù : di lì tornato in Italia, e domiciliato
co' genitóri a Milano, avéa proseguito a studiare ed amare
la società ed i libri, non trovando che amici egrégj, e lusin
ghévole plauso. Mónti e Fóscolo, sebbéne avversar) fra lóro
m' érano benévoli egualménte. M' affezionai più a que-
st' ultimo ; e siffatto iracóndo uómo, che cólle sùe asprézze
provocava tanti a disamarlo, éra per me tutto dolcézza e cor
LE MIE PRIGIONI. 9

dialità, ed io lo riveriva teneraménte. Gli altri letterati di


onóre m' amavano anch' éssi, com' io li riamava. Niuna
invidia, niuna calunnia m' assalì, od alméno érano di gente
sì screditata, che non potéa nuocere. Alla caduta del régno
d' Italia, mio padre avéa riportato il suo domicilio a Torino,
col resto délla famiglia, ed io procrastinando di raggiungere
sì care persóne, avéa finito per rimanérmi a Milano, óve
tanta felicità mi circondava, da non sapérmi93 indurre ad
abbandonarla.
Fra altri óttimi amici, tre, in Milano, predominavano sul
mio cuóre. Don Pietro Borsieri, Monsignór Ludovico di
Bréme, ed il cónte Luigi Pórro Lamberténghi. Vi s' aggiun
se94 in apprésso il cónte Federico Gonfaloniéri. Fattomi
educatóre di due bambini di Pórro, io éra a quélli cóme un
padre, ed al padre cóme un fratéllo. In quélla casa afflui
va95 tutto ciò non sólo, che avéa di più cólto la città, ma
cópia di ragguardévoli viaggiatóri. I'vi conóbbi96 la Stacl,
Schlegel, Davis, Byron, Hobhouse, Brougham, e mólti altri
illustri di varie parti d' Európa. Oh quanto rallégra, e
quanto stimola ad ingentilirsi, la conoscénza dégli uómini di
mérito ! Sì, io éra felice ! io non avréi97 mutata la mia
sórte con quélla d' un principe ! — E da sórte sì giocónda
balzare tra sghérri, passare di carcere in carcere, e finire per
éssere strozzato, e perire néi céppi ! . . . Volgéndo tai pen
siéri, giunsi98 a San Michéle, e fui chiuso in una stanza che
avéa la vista d' un cortile, délla laguna, e délla bélla isola di
Murano
Ai 21 febraio (1822), il custóde viene a préndermi ;
érano le diéci antimeridiane. ... Mi conduce " nélla sala
délla Commissióne e si ritira. Stavano seduti, e si alzarono,
il presidénte, 1' inquisitóre e i due giudici assisténti.
Il presidénte, con atto di nóbile commiserazióne, mi disse
che la senténza éra venuta, e che il giudizio éra stato terri
bile, ma già 1'Imperatóre 1' avéva mitigato.
L' inquisitóre mi lésse 100 la senténza : — Condannato a
10 ITALIAN READER.

mórte. — Pói lésse il rescritto imperiale : la péna e commu


tata in quindici anni di carcere duro, da scontarsi nella for
tézza di Spielberg. —
Rispósi : Sia fatta la volontà di Dio ! — ....
— Dimani, disse 1' inquisitóre, ci rincrésce 101 di dovérle
annunziare la sentenza in pùblico ; ma è formalità impre
teribile.
— Sia pure, dissi 102.
— Da quest' istante le concediamo, soggiunse,103 la com
pagnia del suo amico.
E chiamato il custóde, mi consegnarono di nuovo a lui,
dicéndogli che fòssi mésso con Maroncélli
Il mattino seguénte alle 9 antimeridiane, Maroncélli ed io
fummo fatti entrare in góndola, e ci condussero in città. Ap
prodammo al palazzo del dóge, e salimmo alle carceri. Ci
misero 104 in una stanza, óve nove o diéci sbirri sedéano a
farci guardia, e nói passegiando aspettavamo 1'istante d'esser
tratti in piazza. L' aspettazióne fu lunga. Comparve105
soltanto a mezzodì 1'inquisitóre, ad annunciarci che biso
gnava andare. Il médico si presentò, suggeréndoci di bére un
bicchierino d' acqua di ménta ; accettammo, e fummo grati,
non tanto di quésta, quanto délla profònda compassióne che
il buón vécchio ci dimostrava. Era il dottór Dósmo.
S' avanzò quindi il capo-sbirro, e ci póse 106 le manétte. Se
guimmo lui, accompagnati dagli altri sbirri.
Scendémmo la magnifica scala de' Giganti, ci ricordammo
del dóge Marin Faliero, ivi decapitato ; entrammo nel gran
portóne che dal cortile del palazzo métte 107 sulla piazzétta, e
quì giunti voltammo a sinistra vérso la laguna. A mézzo
délla piazzétta éra il palco óve dovémmo salire. Dalla
scala de' Giganti fino a quel palco stavano due file di soldati
tedéschi ; passammo in mézzo ad ésse.
Montati là sópra, guardammo intórno, e vedémmo in quel-
1' imménso pópolo il terróre. Per varie parti in lontananza
schieravansi 108 altri armati. Ci fu détto, ésservi i cannóni
cólle micce accése dappertutto
LE MIE PRIGIONI. 11

Il capitano tedésco gridò, che ci volgessimo verso il pa


lazzo e guardassimo in alto. Obbedimmo, e vedémmo sulla
loggia un curiale con ùna carta in mano. Era la sentenza.
La lesse 1M con vóce elevata.
Regnò profòndo silénzio sino al1' espressióne : condannati
a mórte. Allóra s' alzò 11o un generale mormorio di com
passióne. Succésse nuóvo silénzio per udire il resto délla
lettura. Nuóvo mormorio s' alzó al1' espressióne: condan
nati a carcere duro, Maroncélli per vénti anni, e Pellico per
quindici.
Il capitano ci fé' m cenno di scéndere. Gettammo un
altra vólta lo sguardo intórno, e scendémmo. Rientrammo
nel cortile, risalimmo lo scalóne, tornammo nella stanza
dónde eravamo stati tratti, ci tólsero m le manétte, indi fum
mo ricondótti a San Michéle.

Quélli ch' érano stati condannati avanti nói, érano giù


partiti per Lubiana e per lo Spielberg, accompagnati da un
commissario di polizia. Ora aspettavasi il ritórno del medé
simo commissario, perchè conducésse nói al destino nóstro.
Quésto intervallo durò un mése
Il commissàrio giunse 113 alfine di Germania, e vénne 114
a dirci, che fra due giórni partiremmo.
— Ho il piacére, soggiunse, di potér dar lóro una conso
lazióne. Tornando dallo Spielberg, vidi a Viénna Sua
Maestà 1' Imperatóre, la quale mi disse che i giorni di lor
signóri, vuól115 valutarli, non di 24 óre, ma di 12. Con
quésta espressióne inténde significare, che la péna è dimez
zata.
Quésto dimezzaménto non ci vénne 116 pói mai annunziato
officialménte, ma non v' éra alcuna probabilità che il com
missario mentisse ; tanto più che non ci diéde 117 già quélla
nuóva in segréto, ma cónscia118 la Commissióne.
I'o non seppi 119 neppur rallegrarmene. Nélla mia ménte
érano póco méno orribili sett' anni e mézzo di fèrri, che
12 ITALIAN READER.

quindici anni. Mi pareva impossibile di vivere sì lunga-


ménte.
La mia salute era assai misera. Pativa dolóri di petto
gravi, con tósse ; e credéa lesi i polmóni. Mangiava póco,
e quel póco nol 120 digeriva.
La parténza fu nella nótte, tra il 25 ed il 26 marzo. Ci
fu permésso d' abbracciare il dottór Cesare Afmari nóstro
amico. Uno sbirro e' incatenò trasversalménte la mano
déstra ed il piéde sinistro, affinchè ci fòsse impossibile fug
gire. Scendémmo in góndola, e le guardie remigarono
verso Fusina.
l'vi giunti, trovammo allestiti due légni. Montarono Rézia
e Canóva nell* uno ; Maroncélli ed io nel1' altro. In uno de'
légni éra co' due prigióni il commissario, nel1' altro un sótto
commissàrio cógli altri due. Compivano il convóglio sei o
sètte guardie di polizia, armate di schióppo e sciabola, dis
tribuite parte déntro i legni, parte sulla cassétta del vettu
rino.
Essere costrétto da sventura ad abbandonare la patria è
sémpre doloróso, ma abbandonarla incatenato, condótto in
climi orréndi, destinato a languire per anni fra sghérri,
è cósa sì straziante che non v' ha términi per accen
narla ! . . . .
Ci fermammo un giórno a Lubiana, óve Canóva e Rézia
furono divisi da nói, e condótti nel castéllo ; è facile imma
ginarsi quanto quésta separazióne fòsse dolorósa per tutti
quattro
Arrivammo al luógo délla nóstra destinazióne il 10
d' aprile.
La città di Briinn, è capitale délla Moravia, ed ivi risiéde
il governatóre délle dùe provincie di Moravia e Silesia.
E' situata in una valle ridénte, ed ha un cérto aspétto di ric
chézza. Mólte manifatture di panni prosperavano ivi allóra,
le quali póscia decaddero 121 ; la popolazióne éra di circa 30
mila anime. .<
LE MIE PRIGIONI. 13

Accósto alle sue mura, a ponente, s' alza un monticéllo, e


eovr' esso siede 1' infàusta rócca di Spielberg, altre vólte
réggia de' signóri di Moravia, oggi il più sevéro ergastolo
della monarchia austriaca. Era cittadélla assai fòrte, ma i
Francési la bombardarono e presero 122 a' témpi délla famósa
battaglia d' Austerliz (il villaggio d' Austerliz è a póca dis
tanza). Non fu più ristaurata da potér servire di fortézza,
ma si rifèce 1M una parte délla cinta, eh' éra diroccata. Cir
ca trecénto condannati, per lo più ladri ed assassini, sóno ivi
custoditi, quali a carcere duro quali a durissimo.
Il carcere duro significa éssere obligati al lavóro, portare
la caténa a' piédi, dormire su nudi tavolacci V2i e mangiare il
più póvero cibo immaginabile. Il durissimo significa éssere
incatenati più orribilménte, con una cérchia di fèrro intórno
a' fianchi, e la caténa infitta nel muro, in guisa che appéna
si póssa125 camminare rasénte il tavolaccio che sérve di
létto : il cibo è lo stésso, quantunque la legge dica : péne ed
acqua.
Nói prigioniéri di stato, eravamo condannati al carcere
duro.
Salendo per 1'érta di quel monticéllo, volgevamo gli ócchi
indiétro per dire addio al móndo, incérti se il baratro che
vivi e' ingoiava, si sarébbe più schiuso 126 per nói. I'o éra
pacato esteriorménte, ma déntro di me ruggiva. Indarno
volea ricórrere alla filosofia per acquietarmi ; la filosofia non
avéa ragióni sufficiénti per me.
Partito da Venézia in cattiva salute, il viaggio m' avéva
stancato miseraménte. La tésta e tutto il córpo mi doléva
no m : ardéa délla fèbbre. Il male fisico contribuiva a tenér
mi iracóndo ; probabilménte 1' ira aggravava il mille fisico.
Fummo consegnati al soprintendénte déllo Spielberg, ed i
nóstri nómi vénnero 128 da quésto iscritti fra i nómi de' la
dróni. Il commissario imperiale riparténdo ci abbracciò, ed
èra intenerito : — Raccomando a lor signóri particolarménte
la docilità, diss' égli ; la minima infrazióne alla disciplina
2
14 ITALIAN READER.

può 129 venir punita dal signór soprintendénte con péne


severe.
Fatta la conségna, Maroncélli ed io fummo condótti in un
corridóio sotterraneo, dóve ci s' apérsero180 due tenebróse
stanze non contigue. Ciascùno di nói fu chiuso nel sùo
covile.

Acerbissima cósa, dópo avér già détto addio a tanti og


gétti, quando non si è più che in dùe amici, egualménte
sventurati ; ah ! sì ! acerbissima cósa è il dividersi ? Ma
roncélli nel lasciarmi, vedéami infèrmo, e compiangéva in
me un uómo ch' éi probabilménte non vedrébbe131 mai più;
io compiangéva in lui un fióre spléndido di salute, rapito
fòrse per sémpre alla luce vitale del sóle. E quel fióre in
fatti oh cóme appassì ! Kivide un giórno la luce, ma oh in
quale stato !
Allorchè mi trovai sólo in quel1' órrido antro, e intési ser
rarsi i catenacci, e distinsi 132 al barlume che discendéva da
alto finestruólo, il nudo pancóne datomi per létto, ed un
enórme caténa al muro, ni' assisi 133 freménte su quel létto, e
présa quélla caténa, ne misurai la lunghézza, pensando fòsse
destinata per me.
Mezz' óra dappói écco stridere le chiavi ; la pórta s' apre :
il capo-carceriére mi portava una brócca d' acqua.
— Quésto é per bére, disse con vóce burbera ; e domat
tina porterò la pagnótta.
— Grazie, buón uómo.
— Non sóno buóno, rispóse 184.
— Péggio per vói, gli dissi sdegnato. — E quésta caténa,
soggiunsi, è fòrse per me ?
— Sì signóre, se mai élla non fòsse quiéta, se ingiuriasse,
se dicesse insolénze. Ma se sarà ragionévole, non le por
remo135 altro, che una caténa a' piédi. Il fabbro la sta
apparecchiando.
Éi passeggiava lentaménte su e giù, agitando quel villano
LE MIE PRIGIONI. 15

mazzo di grosse chiavi, ed io con ócchio irato mirava la stia


gigantésca, magra, vecchia persóna; e, ad ónta de' linea
ménti non volgari del suo vólto, tutto in lui mi sembrava
1' espressióne odiosissima d' un brutale rigóre
Noiato délla sua presenza, e più délla sùa aria da padró
ne, stimai opportuno d' umiliarlo, dicéndogli imperiosa
mente, quasi a servitóre. — Datemi da bére. —
Éi mi guardò, e paréa significare : — Arrogante ! quì bisó
gna136 divezzarsi dal comandare.
Ma tacque 137 chinò la sua lunga schiéna, prése in térra la
brócca, e me la pórse. ... Mi avvidi 138 pigliandola ch' éi
tremava, e attribuéndo quel trémito alla sua vecchiezza, un
misto di pietà e di riverénza temperò il mio orgóglio.
— Quanti anni avéte ? gli dissi con vóce amorévole.
— Settantaquattro, signóre : ho già veduto mólte sven
ture e mie ed altrui. —
Quésto cénno sulle sventure sùe ed altrui, fu accompa
gnato da nuóvo trémito, nel1' atto ch' éi ripigliava la brócca,
e dubitai fòsse effètto, non délla sóla età, ma di un cérto
nóbile perturbaménto. Siffatto dùbbio cancellò dal1' anima
mia 1' ódio che il silo primo aspétto m' aveva imprésso.
— Cóme vi chiamate ? gli dissi.
— La fortuna, signóre, si burlò di me, dandomi il nóme
d' un grand' uómo. Mi chiamo Schiller. —
I'ndi in póche paróle mi narrò qual fòsse il suo paése,
quale 1' origine, quali le guérre vedute, e le ferite riportate.
Era Svizzero, di famiglia contadina : avéa militato cóntro
a' Turchi sótto il general Landon, a' témpi di Maria Terésa
e di Giuséppe II., indi in tutte le guérre del1' Austria cóntro
alla Francia, sino alla caduta di Napoleóne

Mi supplicò quindi d' éssere quiéto, di non andare in


furóre, cóme fanno spésso i condannati, di non costringerlo a
trattarmi duraménte.
Prése 139 póscia un accénto nivido, quasi per celarmi ùna
parte délla sua pietà, e disse :
16 ITALIAN READER.

>— Or bisógna ch' io me ne vada 140.


Poi tornò indiétro, chiedéndomi da quanto témpo io tos
sissi così miseraménte cóme io faceva, e scagliò ùna gróssa
maledizióne cóntro il medico, perchè non veniva in quella
séra stéssa a visitarmi.
— Élla ha ùna cattivissima fèbbre, soggiunse ; io me ne
inténdo. Avrébbe d' uópo alméno d' un pagliericcio, ma
finchè il médico non 1' ha ordinato, non possiamo darglielo ia.
Uscì, richiuse 142 la pórta, ed io mi sdraiai sulle dure
tavole, febbricitante sì, e con fòrte dolóre di pétto, ma méno
freménte, méno nemico dégli uómini, méno lantano da Dio.

A séra vénne il soprintendénte, accompagnato da Schiller,


da un altro caporale e da due soldati, per fare ùna perquisi
zióne.
Tre perquisizióni quotidiane érano prescritte : una a mat
tina, ùna a séra, una a mezzanótte. Visitavano ógni angolo
délla prigióne, ógni minuzia ; indi g1' inferióri uscivano, ed
il soprintendénte (che mattina e séra non mancava mai) si
fermava a conversare alquanto con me. ... La mattina del
giovedì, dópo una péssima nótte, indebolito, rótte le óssa
dalle tavole, fui préso d' abbondante sudóre. Vénne la visita.
Il soprintendénte non vi éra ; siccóme quel1' óra gli éra in
cómoda, éi veniva pói alquanto più tardi
Circa dùe óre più tardi Schiller mi portò un tózzo di pan
néro.
— Quésta, disse, è la porzióne per dùe giórni
Alle óre ùndici mi fu portato il pranzo da un condannato,
accompagnato da Schiller. Componevano il pranzo due
pentolini di fèrro, 1' uno contenénte una péssima minéstra,
1' altro legumi conditi con salsa tale, che il sólo odóre met
téva schifo.
Provai d' ingoiare qualche cucchiaio di minéstra : non mi
fu possibile.
Schiller mi ripetéva : — Si fàccia animo ; 143 procuri d' av
LE MIE PRIGIONI. 17

vezzarsi a quésti cibi ; altriménti le accadrà, cóme è giti


accaduto ad altri, di non mangiucchiare se non 144 un po' di
pane, e di morir quindi di languóre. —
Il venerdì mattina vénne finalménte il dottór Bayer.
Mi trovò fèbbre, m' ordinò un pagliericcio, ed insistè per
di' io fòssi tratto di quel sotterraneo e trasportato al piano
superióre. Non si potéva, non v' era luógo. Ma fattane
relazióne al cónte Mitrowsky, governatóre délle dùe Provin
cie, Moravia e Silesia, residénte in Briinn, quésti rispóse
che, stante la gravézza del mio male, 1' inténto del medico
fòsse eseguito.
Nélla stanza che mi diédero, penetrava alquanto di luce ;
ed arrampicandomi alle sbarre del1' angusto finestruólo, io
vedéva la sottopósta valle, un pezzo délla città di Briinn, un
sobbórgo con mólti orticélli, il cimitéro, il laghétto délla Cer
tósa, ed i selvósi cólli che ci dividéano da' famósi campi
d' Austerlitz.
Quélla vista m' incantava. Oh quanto sarei stato liéto, se
avéssi potuto dividerla con Maroncélli !

Ci si facéano intanto i vestiti da prigioniéro. Di lì a


cinque giórni, mi portarono il mio.
Consistéva in un paio di pantalóni di ruvido panno, a dé
stra colór grigio, e a sinistra colór cappuccino 145 un giusta
cuóre di dùe colóri egualménte collocati, ed un giubbettino
di simile due colóri, ma collocati oppostaménte, cioè il cap
puccino a déstra ed il grigio a sinistra. Le calze érano di
gróssa lana ; la camicia di stóppa piéna di pungénti stécchi,
— un véro cilicio : al cóllo ùna pezzuóla di téla pari a
quélla délla camicia. Gli stivaletti érano di cuóio non tinto,
allacciati. Il cappéllo éra bianco.
Compivano quésta divisa i fèrri a' piédi, cioè ùna caténa
da ùna gamba al1' altra, i céppi délla quale furono fermati
con chiódi che si ribadirono sópra un' incudine. Il fabbro
che mi fèce quésta operazióne, disse ad una guardia, cre-
2*
18 ITALIAN READER.

déndo ch' io non capissi il tedésco : — Malato com' égli è, si


potéva risparmiargli quésto giuoco ; non passano due mési,
che 1' angelo délla morte viene a liberarlo.
— Mòchte es seyn ! (fòsse pure !) gli diss' io, batténdogli
cólla mano sulla spalla. —
Il póver' uómo strabalzò e si confuse 146 ; pói disse :
Spéro che non sarò profèta, e desidero ch' élla sia liberata
da tutt' altro angelo.
— Piuttósto che vivere così, non vi pare, gli rispósi, che
sia benvenuto anche quéllo délla mórte? —
Féce cénno di sì col capo, e se n' andò compassionan
domi
Il comando del soprintendénte e la vigilanza délle guardie
avean tenuto fino allóra tutte le vicine carceri in silénzio.
v Un giórno, vérso séra (ógni vólta che ci pénso, mi si rin
nóvano i palpiti che allóra mi si destarono) le sentinélle, per
felice caso, furono méno atténte, ed intési spiegarsi147 e pro
seguirsi con vóce alquanto somméssa ma chiara, una canti-
lena, nélla prigióne contigua alla mia.
.<
Oh qual gióia, qual commozióne m' invase !
M' alzai dal pagliericcio, tési148 1' orécchio, e quando ta
cque 149 proruppi in irresistibile pianto.
— Chi séi, sventurato ? gridai, chi séi ? Dimmi il tuo
nóme. I'o sóno Silvio Péllico.
— Oh Silvio ! gridò il vicino, io non ti conósco di per
sóna, ma t' amo da gran témpo. Accóstati 150 alla finéstra,
e parliamoci a dispétto dégli sghérri.
M' aggrappai alla finéstra, égli mi disse il suo nóme, e
scambiammo qualche paróla di tenerézza.
Era il cónte Orobóni, nativo di Fratta présso Rovigo, gió
vane di ventinóve anni

Il médico vedéndo che nessuno di nói potéa mangiare


quélla qualità di cibi che ci avéano dato ne' primi giórni, ci
mise tutti a quéllo che chiamano quarto di porzióne, cioè il
LE MTE PRIGIONI. 19

vitto del1' ospedale. Erano tre minestrine leggerissime al


giórno, un pezzettino d' arrosto d' agnello da ingoiarsi in un
boccóne, e fòrse tre ónce di pan bianco. Siccóme la mia
salute s' andava facendo 151 miglióre, 1' appetito cresceva, e
quel quarto era veramente tróppo póco. Provai di tornare
al cibo de' sani, ma non v' éra guadagno a fare, giacchè dis
gustava tanto ch' io non potéa mangiarlo. Convénne 152 asso
lutaménte ch' io m' attenéssi al quarto. Per più d' un anno
conóbbi153 quanto sia grande il torménto délla fame. E
quésto torménto lo patirono, con veeménza anche maggióre,
alcuni de' miéi compagni, che esséndo più robusti di me,
érano avvézzi a nutrirsi piu abbondanteménte
Ne' primi giórni fu stabilito che ciascuno di nói avésse
due vólte la settimana, un' óra di passéggio. In séguito
quésto solliévo fu dato un giórno sì, un giórno no ; e più
tardi ógni giórno tranne le fèste. Ciascuno éra condótto a
passéggio separataménte, fra due guardie avénti schióppo in
ispalla

l'o tornava un mattino dal passéggio : éra il 7 d' agósto.


La pórta del carcere d' Orobóni stava apérta, e déntro éravi
Schiller, il quale non mi avéva intéso venire. Le mie
guardie vógliono avanzare il passo, per chiudere quélla
pórta. Io le prevéngo,154 mi vi slancio, ed éccomi nélle
braccia d' Orobóni.
Schiller fu sbalordito; disse — Der teufel, der teufel! e
alzò il dito per minacciarmi. Ma gli ócchi gli s' empi
rono >55 di lagrime, e gridò singhiozzando : O mio Dio, fate
misericórdia a quésti póveri gióvani ed a me, ed a tùtti
g1' infelici, vói che fòste tanto infelice sùlla térra ! —
Le dùe guardie piangévano pure. La sentinélla del cor
ridóio, ivi accórsa, piangéva anch' éssa. Orobóni mi dicé
va : — Silvio, Silvio, quést' è ùno de' più cari giórni délla
mia vita ! — l.o non so che gli dicéssi ; éra fuór di me dalla
gioia e dalla tenerézza.
20 ITALIAN READER.

Quando Schiller ci scongiurò di separarci, e fu fòrza


obbedirgli, Orobóni proruppe 166 in pianto dirottissimo, e
disse :
— Ci rivedremo I57 nói mai più sulla terra ?
E non lo rividi mai più ! Alcuni mési dópo, la sua stanza
éra vóta, ed Orobóni giaceva in quel cimitéro eli' io avéva
dinanzi alla mia finestra !
Dacchè ci eravamo veduti quel1' istante pareva che ci
amassimo anche più dolceménte, più fortemente di prima.
Égli éra un bel gióvane, di nóbile aspétto, ma pallido e di
misera salute. I sóli ócchi érano piéni di vita. Il mio
affètto per lui veniva aumentato dalla pietà che la sua ma
grézza ed il sùo pallóre m' ispiravano.
La stéssa cósa provava égli per me. Ambi sentivamo
quanto fòsse verisimile, che ad uno di nói toccasse d' éssere
présto supérstite al1' altro.
Fra póchi giórni égli ammalò. Io non facéva altro che
gémere e pregare per lui

Parécchi mési passarono sì per lui,158 che per me, in


quéste alternative di méglio e di péggio.
Potei réggere sino al giórno undici di gennaio (1823).
La mattina in' alzai con mal di capo non fòrte, ma con dis
posizióne di deliquio. Mi tremavano le gambe, e stentava a
trarre il fiato.
Anche Orobóni, da due o tre giórni, stava male 159 e non
s' alzava.
Mi pórtano la minéstra, ne gusto appéna un cucchiaio,
pói cado160 privo di sénsi. Qualche témpo dópo, la senti
nélla del corridóio guardò per accidénte dallo sportéllo, e
vedéndomi giacénte a térra col pentolino rovesciato accanto
a me, mi credétte mórto, e chiamò Schiller.
Vénne 101 anche il soprintendénte, fu chiamato sùbito il
médico, mi misero 1G2 a létto. Rinvénni 168 a sténto.
Il médico disse ch' io éra in pericolo, e mi fèce levare i
.LK MIE PRIGIONI. 21

fèrri. Mi ordinò non so qual cordiale, ma lo stomaco non


potéva ritener nulla. Il dolór di capo crescéva terribil
ménte. ....
Peggiorai per tutta una settimana, e delirava giórno e
notte.
Kral e Krubitzky mi furono dati per infermiéri ; ambi
mi servivano con amóre.
O'gni vólta ch' io éra alquanto in sénno, Kral mi ripetéva :
— Abbia 164 fiducia in Dio ; Dio sólo è buono.
— Pregate per me, dicévagli io ; non che mi risani, ma
che accétti le mie sventure e la mia mórte in espiazióne
de' miéi peccati. —
Mi suggerì di chiédere i sacraménti.
— Se non li chiési 165 rispósi, attribuitelo alla debolezza
délla mia tésta : ma sarà per me gran confòrto il ricé
verli. —
Kral riferì le mie paróle al soprintendénte, e fu fatto
venire il cappellano délle carceri.
Mi confessai, comunicai, e prési 166 1' ólio santo.

Lo sfòrzo d' attenzióne che fèci per ricévere i sacraménti,


sembrò esaurire la mia vitalità, ma invéce giovómmi gettan
domi in un letargo di parécchie óre che mi riposò.
Mi destai alquanto sollevato, e vedéndo Schiller e Kral
vicini a me, prési le lor mani, e li ringraziai délle lor cure.
Schiller mi disse : — L' ócchio mio è esercitato a vedér
malati: scommetteréi che élla non muóre167.
— Non parvi168 di farmi un cattivo pronóstico? diss' io.
No, rispóse ; le misérie délla vita sóno grandi, è véro, ma
chi le soppórta con nobiltà d' animo e con umiltà, ci gua
dagna sémpre vivéndo. —
Pói soggiunse : — S' élla vive, spéro che avrà fra qualche
giórno una gran consolazióne. Ella ha dimandato di vedére
il signór Maroncélli ?
— Tante vólte ho ciò dimandato, ed invano ; non ardi
sco169 più sperarlo.
22 ITALIAN READER.

— Spéri, spéri, signóre! e ripéta la dimanda. La ripetei


infatti quel giórno
Verso la fine délla secónda settimana, la mia malattia
ébbe una crisi, ed il pericolo sì dileguò.
Cominciava ad alzarmi, quando un mattino s' apre170 la
pórta, e védo entrar festivo il soprintendénte, Schiller ed il
médico. Il primo córre171 a me, e mi dice. — Abbiamo il
permésso di darle per compagno Maroncélli, e di lasciarle
scrivere una léttera ai parénti. La gióia mi tólse172 il
respiro, ed il póvero soprintendénte, che per impeto di buón
cuóre, avéa mancato di prudénza, mi credétte perduto.
Quando racquistai i sénsi, e mi sovvénne173 del1' annunzio
udito pregai che non mi si ritardasse un tanto béne174. Il
médico consentì, e Maroncélli fu condótto nélle mie braccia.
Oh qual moménto fu quello ? — Tu vivi ? sclamavamo a
vicénda. Oh amico ! oh fratéllo ! che giórno felice e' è
ancór taccato di vedére ! 175 Dio ne sia benedétto !
Ma la nóstra gióia ch' éra imménsa, congiungéasi 176 ad un
immensa compassióne. Maroncélli dovéa ésser méno colpito
di me, trovandomi così deperito com' io éra : éi sapéa qual
grave malattia avéssi fatto 177. Ma io anche pensando che
avésse patito, non me lo immaginava così divérso da quel di
prima. Egli éra appéna riconoscibile. Quélle sembianze,
già sì bélle sì flóride, erano consumate dal dolóre, dalla fame,
dal1' aria cattiva, del tenebróso carcere

Orobóni, dópo aver mólto dolorato nelT invérno e nélla


primavéra, si trovò assai péggio la state. Sputò sangue, e
andò in idropisia.
Lascio pensare178 qual fòsse la nóstra afflizióne, quand' éi
si stava estinguéndo sì presso di nói, sénza che potéssimo
rómper quélla crudéle paréte che e' impediva di vedérlo, e
di prestargli i nóstri amichévoli servigj :
Schiller ci portava le sue nuóve. L' infelice gióvane patì
atroceménto, ma 1' animo suo non si avvilì mai. Ebbe i soc
LE MIE PRIGIONI. 23

córsi spirituali dal cappellano (il quale, per buóna sórte,


sapeva il francése).
Morì nel dì onomastico, il 13 giugno 1823. Qualche óra
prima di spirare, parlò del1' ottagenario suo padre, s' inte
nerì 179 e pianse. Pói riprese, dicendo : — Ma perchè piango
il più fortunato de' miei cari, poich' égli è alla vigilia di rag
giungermi al1' etérna pace ? —
Le sue ultime paróle furono : — I'o perdóno di cuóre
a' miéi nemici. —
Gli chiuse180 gli ócchi Don Marco Fortini, suo amico dal
1' infanzia, uómo tutto religióne e carità.
Póvero Orobóni ! qual gélo ci córse 181 per le véne, quando
ci fu détto ch' éi non éra più ! — Ed udimmo le vóci ed i
passi di chi 182 vénne a préndere il cadavere ! E vedémmo
dalla finéstra il carro in cùi veniva portato al cimitéro !
Traévano quel carro due condannati comuni ; lo seguivano
quattro guardie. Accompagnammo cógli ócchi il tristo con
vóglio fino al cimitéro. Entrò nélla città. Si fermò in un
angolo : la éra la fossa ! . . . .
I cresciuti rigóri rendévano sémpre più monótona la nó
stra vita. Tutto il 1824, tutto il 25, tutto il 2G, tutto il 27,
in che si passarono per nói ? Ci fu tólto quel1' ùso de' nóstri
libri che per interim ci éra stato conceduto dal governatóre.
Il carcere divénneci 183 una véra tómba, nélla quale neppure
la tranquillità délla tómba e' éra lasciata

Nel carcere contiguo, già d' Orobóni stavano óra Don


Marco Fortini ed il signór António Villa. Quest' ultimo,
altre vólte robusto cóme un Ercole, patì184 mólto la fame il
primo anno, e quando ébbe più cibo, si trovò sénza fòrze per
digerire. Languì lungaménte, e pói ridótto quasi al1' estre
mità, otténne che gli déssero 185 un carcere più arióso.
L'atmosfèra mefitica d' un angusto sepólcro gli éra, sénza
dùbbio, nocivissima, siccóme lo éra a tutti gli altri. Ma il
rimédio da lui invocato non fu sufficiénte. In quélla stanza
24 ITALIAN READER.

grande, campò qualche mése ancóra, pói dópo varj sbócchi


di sangue morì.
Fu assistito dal concaptivo D. Fortini e dal1' abate Paulo-
wich.
Bench' io non mi fòssi vincolato con lui così strettamente
cóme con Orobóni, pur la sua mórte mi afflisse l86 mólto. Io
sapéva ch' égli éra amato cólla più viva tenerézza da' geni-
tóri e da ùna spósa ! Per lui, éra più da invidiarsi che da
compiangersi ; ma que' supérstiti ! . . . .
Egli éra anche stato mio vicino sótto i Piómbi ; Treme-
réllo m' avéa portato parécchi vérsi di lui, e gli avéa portati
de' miéi. Talvólta regnava in que' suói vérsi un profòndo
sentiménto
Alla fine di quel1' anno (éra il 182G) 1' avvocato Soléra,
ed il sacerdóte Fortini furono graziati1"1
Era la liberazióne di qué' due compagni, sénza alcuna
conseguénza per nói? Cóme uscivano éssi, i quali érano
stati condannati al pari di nói, uno a 20 anni, 1' altro a 15, e
su nói e su molt' altri non risplendéva gnizia ?
Cóntro i non liberati esistévano dunque prevenzióni più
ostili? Ovvéro sarébbevi la disposizióne di graziarci tutti,
ma a brévi intervalli di distanza, due alla vólta ? fòrse ógni
mése ? fòrse ógni due o tre mési ?
Così per alcun témpo dubbiammo. E più di tre mési
vólsero, nè altra liberazióne facéasi188. Vérso la fine del
1827, pensammo che il dicémbre potésse éssere determinato
per anniversario délle grazie. Ma il dicémbre passò, e
nulla accadde 189.
Protraémmo 1' aspettativa sino silla state del 1828, termi
nando allóra per me i sétte anni e mézzo di péna, equivalénti,
secóndo il détto del1' Imperatóre, ai quindici. Però tutti i
términi calcolabili passarono, e grazia non rifulse M0
Intanto, già prima del1' uscita di Solera e Fortini, éra
venuto al mio póvero Maroncélli un tumóre al ginócchio
sinistro. In principio il dolóre éra mite e lo costringéa sol
LE MIE PRIGIONI. 25

tanto a zoppicare. Pói stentava a trascinare i fèrri, e di


rado usciva a passéggio. Un mattino d' autunno, gli pia
cque191 d' uscir méco per respirar un póco di aria : v' era già
néve, ed in un fatale moménto eh,' io nol sosteneva, inciampò
e cadde192. La percóssa fece immantinénte divenire acuto
il dolóre del ginócchio. Lo portammo sul suo letto ; éi non
éra più in grado di réggersi. Quando il médico lo vide, si
decise198 finalménte a fargli levare i fèrri. Il tumóre peg
giorò di giórno in giórno, e divénne194 enórme, e sémpre più
doloróso. Tali érano i martirj del póvero infèrmo, che non
potéa avér réquie ne in létto, ne fuór di létto
Ciò eh' égli patì per nóve mési non è descrivibile. Final
ménte fu conceduto che si tenésse un consulto. Vénne il
protomédico, approvò tutto quéllo che il médico avéa tentato,
e sénza pronunciare la sua opinióne sul1' infermità e su ciò
che restasse a fare, se ne andò195.
Un moménto apprésso, viéne196 il sottintendénte, e dice a
Maroncélli : — Il protomédico non s' è avventurato di spie
garsi quì in sua presenza ; temeva ch' élla non avésse la
fòrza d' udirsi annunziare ùna dura necessità. I'o 1' ho assi
curato che a léi non manca il coraggio.
— Spéro, disse Maroncélli, d' avérne dato qualche próva,
in soffrire sénza urli quésti strazj. Mi si proporrébbe
mai197? ....
— Sì, signóre, 1' amputazióne. Se non che il protomédico
vedéndo un córpo così emunto, ésita a consigliarla. In tanta
debolezza, si sentirà élla capace di sostenére 1' amputazióne ?
Vuól élla espórsi al pericolo ? . . . .
— Di morire ? E non morréi in bréve egualménte se
non si métte 198 términe a quésto male ?
— Dunque farémo sùbito relazióne a Viénna d' ógni cósa,
ed appéna venuto il permésso di amputarla
— Che ? ci vuóle un permésso ?
— Sì, signóre. —
Di lì ad ótto giórni 19° 1' aspettato consentiménto giunse.
3
26 ITALIAN READER.

H malato fu portato in una stanza più grande ; éi dimandò


ch' io lo seguissi.
— Potréi spirare sótto 1' operazióne, diss' égli ; ch' io mi
tróvi alméno fra le braccia del1' amico. —
La mia compagnia gli fu conceduta.
L' abate Wrba, nóstro confessóre vénne200 ad ammini
strare i sacraménti al1' infelice. Adempiuto quésto atto di
religióne, aspettavamo i chirurgi, e non comparivano. Ma-
roncélli si mise 201 ancóra a cantare un inno.*
I chirurghi vénnero alfine : érano due. U'no, quéllo ordi
nario délla casa, cioè il nóstro barbiére, ed égli, quando
occorrévano operazióni, avéva il diritto di farle di sua mano,
e non volea céderne 1' onóre ad altri. L' altro éra un gióvane
chirurgo, alliévo délla scuóla di Viénna, e già godénte fama
di mólta abilità. Quésti, mandato dal governatóre per
assistere al1' operazióne e dirigerla, avrébbe voluto farla
égli stésso, ma gli convénne 202 contenérsi di vegliare al1' ese
cuzióne
Maroncélli non mise203 un grido. Quando vide che gli
portavano via la gamba tagliata, le diéde un' occhiata di
compassióne, pói vóltosi 204 al chirurgo operatóre, gli disse.
— Élla m' ha liberato d' un nemico, e non ho módo di
rimuneramela205. —
V éra in un bicchiére sópra la finéstra ùna rósa.
— Ti prégo di portarmi quélla rósa, mi disse.
Gliéla portai. Ed éi 1' offèrse al vécchio chirurgo, dicén
dogli : — Non ho altro a presentarle in testimonianza délla
mia gratitudine. —
Quégli prése 20S la rósa, e pianse

La guarigióne si operò in quaranta giórni. Dópo i quali


fummo ricondótti nel nóstro carcere, quésto peraltro207 ci
vénne ampliato, facéndo cioè un' apertura al muro ed unéndo

* See this hymn among the poetical selections.


LE MIE PRIGIONI. 27

la nostr' antica tana a quélla già abitata da Orobóni, e pói


da Villa.
I'o trasportai il mio letto al luogo medésimo, ov' era stato
quello d' Orobóni, óve égli éra mórto. Quest' identità di
luógo m' era cara ; paréami di éssermi avvicinato a lui.
Sognava spésso a lui, e paréami che il suo spirito veraménte
mi visitasse e mi rasserenasse con celésti consolazióni

Voléndo computare la mia péna, non dal1' época del1' arré


sto, ma da quélla délla condanna, i sétte anni e mézzo finivano
nel 1829 ai primi di luglio, secóndo la firma imperiale délla
senténza, ovvéro ai 22 d' agósto, secóndo la publicazióne.
Ma anche quésto términe passò, e morì ógni speranza.
Fino allóra Maroncélli ed io facevamo talvólta la sup
posizióne di rivedére ancóra il móndo, la nóstra Italia, i
nóstri congiunti ; e ciò éra matèria di ragionaménti piéni di
desidério, di pietà, e di amóre.
Passato 1' agósto e pói il settémbre, e pói tutto quel-
1' anno, ci avvezzammo a non isperare più nulla sópra la
térra, tranne 1' inalterabile continuazióne délla reciproca
nóstra amicizia, e 1' assisténza di Dio, per consumare degna
ménte il résto del nóstro lungo sacrifizio.
Ah 1' amicizia, e la religióne sóno due béni inestimabili !
Abbelliscono anche le óre de' prigioniéri, a cui più non ri-
splénde verisimiglianza di grazia ! Dio è veraménte cógli
sventurati ; — cógli sventurati che amano ! . . . .

Spuntò il 1° d' agósto del 1830. Volgéano208 diéci anni,


eh' io avéa perduta la libertà ; ott' anni e mézzo ch' io scon
tava il carcere duro.
fi
Era giórno di doménica. Andammo, cóme le altre fèste,
nel sólito recinto. Guardammo ancóra dal muricciuólo la sot
topósta valle ed il cimitéro, óve giacéano Orobóni e Villa :
parlammo ancóra del ripóso, che un dì v' avrébbero le nóstre
ossa. Oi assedémmo209 ancóra sulla sólita panca ad aspet
28 ITALIAN READER.

tare che le povere condannate venissero alla méssa, che si


dicéva prima délla nostra
Alle óre dieci le dónne si ritirarono, e andammo alla
méssa nói. Vidi ancóra quélli déi miéi compagni di sven
tura, che udivano la méssa sulla tribuna del1' órgano, dai
quali una sóla grata ci separava, tutti pallidi, smunti, traénti
con fatica i lóro fèrri !
Dópo la méssa tornammo ne' nóstri covili. Un quarto
d' óra dópo, ci portarono il pranzo. Apparecchiavamo la
nóstra tavola, il che consisteva nel méttere un assicélla sul
tavolaccio, e préndere i nóstri cucchiai di legno ; quando il
signór Wegrath, sottintendénte, entrò nel carcere.
— M' incrésce ao di disturbare il lóro pranzo, disse, ma si "
compiacciano di seguirmi, v' è di là il signór direttóre di
polizia. —
Siccóme quésti soléva venire per cóse moléste, cóme per
quisizióni od inquisizióni, seguimmo assai di mal umóre il
buón sottintendénte, fino alla camera d' udiénza.
Là trovammo il direttóre di polizia ed il soprintendénte ;
ed il primo ci fèce un inchino, gentile più del consuéto.
Prése 2U ùna carta in mano, e disse con vóci trónche, fòrse
teméndo di produrci tróppo fòrte sorprésa, se si espriméva212
più nettaménte :
— Signóri ... ho il piacére ... ho 1' onóre ... di
significar lóro che S. M. 1' Imperatóre ha fatto ancóra . . .
ùna grazia ... —
Ed esitava a dirci qual grazia fòsse. Nói pensavamo che
fòsse qualche minoraménto di péna, cóme d' éssere esénti
délla nóia del lavóro, d' aver qualche libro di più, d' avére
aliménti men disgustósi.
— Ma non capiscono ? disse.
— No, signóre. Abbia la bontà di spiegarci quale spécie
di grazia sia quésta.
— E la libertà per lóro due, e per un térzo che fra póco
abbracceranno. —
LE MIE PRIGIONI. TJ

Parrebbe213 che quest' annuncio avesse dovuto farci pro


rómpere in giùbilo. Il nostro pensiero córse214 sùbito ai
parénti, de' quali da tanto témpo non avevamo notizia, ed il
dùbbio che fórse nón li avremmo più trovati sulla terra ci
accorò tanto, che annullò il piacére suscitatole dal1' annùn
cio délla libertà.
— Ammutoliscono ? disse il direttóre di polizia, l.o
m' aspettava di vedérli esultanti.
— La prégo, rispósi, di far nóta al1' Imperatóre la nóstra
gratitudine ; ma se non abbiamo notizia délle nóstre fami
glie, non ci è possibile di non paventare che a nói siano
mancate persóne carissime. Quésta incertézza ci opprime,
anche in un istante che dovrébbe esser quéllo della massima
gióia.
Diede allóra a Maroncélli ùna léttera di sùo fratéllo che
lo consolò. A me disse che nulla e' éra délla mia famiglia ;
e ciò mi fèce vieppiù temere che qualche disgrazia fòsse in
éssa avvenuta.
— Vadano, proseguì, nélla lóro stanza, e fra póco man
derò lóro quel térzo, che pur è stato graziato. —
Andammo ed aspettammo con ansietà quel térzo. A-
vrémmo voluto che fòssero tutti, eppure non potéva éssere
che ùno. — Fósse il póvero vécchio Munari ! fòsse quéllo !
fòsse quel1' altro ! Niùno éra per cui non facéssimo vóti.
Finalménte la pórta s' apre, e vediamo quel compagno
éssere il signór Andréa Tonélli, da Bréscia.
Ci abbracciammo. Non potevamo più pranzare.
Favellammo sino a séra, compiangéndo gli amici che
restavano.
Al tramónto ritornò il direttóre di polizia per trarci 215 di
quéllo sciagurato soggiórno. I nóstri cuóri gemévano, pas
sando innanzi alle carceri de' tanti amati, e non poténdo con
durli con nói ! Chi sa quanto témpo vi languirébbero an
córa ? chi sa quanti di éssi dovéano quivi ésser préda lénta
di mórte ?
3*
30 ITALIAN READER.

Fu mésso 216 a ciascuno di nói un tabarro da soldato sùlle


spalle ed un berrétto in capo, e così, cói medésimi vestiti da
galeótto, ma scatenati, scendémmo il funésto mónte, e fum
mo condótti in città, nélle carceri délla pulizia.
Era un bellissimo lume di luna. Le strade, le case, la
gente che incontravamo, tutto mi paréa sì gradévole e sì
strano, dópo tanti anni che non avéa più veduto simile spet
tacolo !

Aspettammo nelle carceri di polizia un commissario im


periale che dovéa venire da Viénna per accompagnarci sino
ai confini. Intanto ci provvedémmo di biancheria e vestiti,
e deponémmo la divisa carceraria.
Dópo cinque giórni il commissario arrivò, ed il direttóre
di polizia ci consegnò a lui, rimetténdogli néllo stésso témpo
il danaro che avevamo portato sullo Spiélberg ; danaro che
pói ci vénne 21T a' confini restituito.
La spésa del nóstro viaggio fu fatta dal1' Imperatóre, e
sénza risparmio
. . . Mantova éra il punto di separazióne per Maroncélli
e per me. Vi pernottammo tristissimi entrambi. Io éra
agitato cóme un uómo alla vigilia di udire la sùa condanna.
La mattina mi lavai la faccia, e guardai néllo spécchio se
si conoscésse ancóra ch' io avéssi pianto. Prési,218 quanto
méglio potéi, 1' aria tranquilla e sorridénte, dissi a Dio ùna
picciola preghiéra, ma per verità mólto distratto ; ed udéndo
che già Maroncélli movéa219 le sue grucce e parlava col
cameriére, andai ad abbracciarlo. Tutti due sembravamo
piéni di coraggio per quésta separazióne ; ci parlavamo un
po' commóssi, ma con vóce fèrma. L' ufficiale di gendar
meria che dée220 condurlo a' confini di Romagna è giunto,
bisógna 221 partire ; non sappiamo quasi che dirci ; un am
plésso, un bacio, un applesso ancóra. Montò in carrózza, dis-
parve222; io restai cóme annichilito.
Tornai nélla mia stanza, mi gettai in ginócchio, e pregai
LE MIE PRIGIONI. 31

per quel misero mutilato, diviso dal suo unico amico, e pro
ruppi 22S in lagrime ed in singhiózzi.
Conóbbi mólti uómini egrégj, ma nessuno più affettuosa
mente socievole di Maroncélli, nessuno più educato a tutti i
riguardi délla gentilezza, più esénte da eccéssi di selvati
cume, più costanteménte mémore che la virtù si compóne 224
di continui esercizj di tolleranza, di generosità e di sénno.
Oh mio sócio di tanti anni di dolóre, il Ciélo ti benedica
ovunque tu respiri, e ti dia amici che m' agguaglino in
amóre, e mi superino in bontà !

Partimmo la stéssa mattina da Mantova per Bréscia.


Quì fu lasciato libero 1' altro concaptivo, Andréa Torélli.
Quest' infelice séppe 22S ivi d' avér perduta la madre, e le
desolate sue lagrime mi straziavano il cuóre
... Il felice giórno 17 di settémbre spuntò. Si prose
guì il viaggio. Oh cóme le vetture sóno lénte ! non si
giunge a Torino, che a sera.
Chi mai, chi mai potrébbe descrivere la consolazióne del
mio cuóre e de' cuóri a me dilétti, quando rividi e riab
bracciai padre, madre, fratélli ! . . . Non v' éra la mia cara
sorélla Giuseppina, che il dovér suo tenéva a Chieri ; ma
udita la mia felicità, s' affrettò a venire per alcuni giórni,
in famiglia. Renduto a que' cinque carissimi oggétti délla
mia tenerézza, io éra, io sóno il piu invidiabile de' mortali !
Ah ! délle passate sciagure e délla contentézza presénte ;
cóme di tutto il béne ed il male che mi sarà serbato, sfa
benedétta la Provvidénza, délla quale gli uómini e le cóse,
si vóglia o non 226 si vóglia, sóno mirabili stroménti ch' élla
sa adoperare a fini dégni di sè :

Homo natus de muliere, brevi vivens tempore, repletur multis miseriis.—Job.


32 ITALIAN READER.

LA BATTAGLIA DI BENEVENTO. — F. D. Guerrazzi

ESTRATTI.

Il Cielo D' Italia. — (Capitolo Primo.)


E^ mai vissuta creatura umana, che sollevando le pupille
al cielo d' Italia abbia negato esser questo il più puro sereno
che mai rallegrasse il sorriso di Dio ? — E mai vissuta crea
tura umana, che sollevando le pupille al cielo d' Italia allor
chè il figlio primogenito della Natura lo veste della pompa
dei suoi raggi non abbia sentito suscitarsi la mente pei gran
di che non sono più, di cui il nome è rimasto nel1' anima
come armonia di arpa che cessò di ésser tocca ? — Quali
braccia non si prostésero 1 a quel1' astro di vita, mentre ab
bandonando alla notte il dominio del cielo, dai confini del
1' oceano lo saluta con gli ultimi raggi, e non implorarono che
rimanesse nella sua celeste dimora ? — Ma s' egli partì con
la sera tornò col mattino, e vide i sécoli dileguarsi nella eter
nità, le generazióni incalzarsi nella tomba, e la vicenda infi
nita delle virtù e dei delitti. Breve fu la sua luce sopra
1' onore d' Italia ; lunga sul dolore e su 1' onta. Ahimè ! io
non avrei creduto giammai che i pópoli potéssero morire
della morte deg1' individui. — E su quale occhio non ispunta
la lacrima, allorchè la mesta luce della luna e delle stelle
sogguarda dal1' alto i campi silenziósi della terra ? Voce di
celeste armonia suona dal rotearsi delle stelle pel cielo, voce
di sempitérno canto ; e quantunque per troppa distanza non
percuóta 1' orécchio del figlio della terra, pure g1' ispira un
senso secreto, una invincibile pietà, che destandogli nel1' ani
ma le rimembranze tristaménte soavi lo sforza al pianto.
Bello sei, o cielo d' Italia, sia che la notte od il giorno ti alle
gri, e veramente ópera divina. Quando la Italia sedeva
LA BATTAGLIA DI BENEVENTO. 33

regina del mondo, tu 1' eri convenévole padiglióne ; ma ora


. . . i valorósi sono morti, i monuménti dispersi, la fama
stessa dileguata ... e perchè, o cielo, a tua posta2 non
muti ? Il manto funerale della bellezza non è oscuro ; la
gente lo scéglie di lieto colore, 1' orna co' fiori della gióia, e
tenta ingannarsi sopra una vita che non è più, onde i sospiri,
e gli addii, che le si fanno 8 al suo discéndere nella fossa, non
sono come a persona morta, ma come a tale che deve lungo
tempo starsi lontana da noi. L' eterna sapiénza che gover
na il creato concesse 4 questo bel cielo alla Italia, onde le
fosse spléndido testimónio nei suoi giorni di glória, e conforto
in quelli più lunghi della sventura. Egli solo è rimasto,
perchè 1' ira degli uomini non ce 5 lo ha potuto rapire
E la terra ! — Ogni zolla contiéne la cénere del cuore di
un eroe. I nostri passi sono su la pólvere dei grandi . . . i
passi di noi più meritévoli di andare sepolti sotto la pólvere !
Solo lo straniéro conosce le nostre stórie, e pieno di reve
rénza teme ad ogni orma che muove si sollevi dalla terra
una voce che gridi : codardo, perche calpesti mi valoróso ì
Va pur franco, straniéro, che ogni avanzo di vita sia bene
spento sul limitare della morte, ne questi tramonti conóscano
crepuscolo ; ne dai sepolcri esca grido di trapassato, dove
non ve lo ponga 6 il valore o la pietà dei viventi. Agli av
viliti le tombe óffrono la stanza del cadavere sformato, piut
tosto che 1' altare dei magnanimi sensi ; la mente trascorre
al lezzo, piuttostochè alla glória : e noi siamo da gran tempo
tali, che non osiamo popolare gli avelli co' sublimi fantasmi
della grandezza. A che mai sorgerébbero le forine venerate
dei padri? Forse a vedere di qual condanna vada7 fulmi
nata la loro schiatta infelice ? Forse a conóscere che non
vive cuore italiano che palpiti per le glorie italiane ? Ris
parmiatevi, o padri, questo amaro cordóglio : risparmiateci, o
padri, la rampogna delle vostre sembianze : la morte stia 8
convenévole spazio tra noi. — Póssano 9 questi sécoli non
34 . ITALIAN READEE.

éssere rammentati nella Stória ! Póssano i posteri lasciarci


il retaggio che solo aneliamo ... 1' oblio ! . . . .
E' 1' ultimo grado del crepùscolo ; un raggio mestissimo si
diffonde lungo i lidi fiorénti di Napoli. Le vette dei monti
Tifata, Vesuvio, e degli Appennini che lo ricingono da un Ia
to, ardono di luce vermiglia, che a mano a mano degradando
nelle montagne più lontane si smarrisce 10 nel bùio della
notte sorvegnénte, come il tempo si confonde nella eternità.
Soave spira il venticéllo della sera, che ora sommuóve a fior
di ala 11 la marina, ora lambisce 12 1' alito odoróso del mela
rancio, del1' aloè, e di ogni più doviziósa pianta del1' orien
tale vegetazióne, che allegra le coste di Posilipo e di Mar-
gellina, e quasi per vaghezza ne circonda il passeggéro, e lo
sospinge al cielo come un tributo che offre la terra al suo
Creatóre. Dolce suona il canto (Iella sera col quale il vas
sallo si annunzia da lontano alla sua famiglia. Dolce s' i-
nalza 1' inno del saluto che il pescatóre volge alla luna sor
gente dai monti opposti, mentre co' remi percuóte a misura
le onde del golfo di Napoli. Bella è la tua terra, o infelice
contrada, bella quanto il paradiso terrestre nei primi giorni
della creazióne. \

Le Tre Oke del Giorno. — (Capitolo Décimo.)


Venne 1 il mattino. Spuntava il pianéta nella maestà
dei suoi raggi, e spargeva il calore e la luce sopra tutte le
cose : le acque del fiume parévano rallegrarsi di rivedére il
sole, e il sole le acque del fiume : tremolavano queste agi
tate dal vento matutfno, quello vi diffondéva i suoi raggi : e
quindi ne usciva un brillare lucido, spesso, incessante,
veloce, che gli occhi non potévano sostenére, ed era pur
vago a vedersi : — pareva la gióia di due amici, che si ab
bracciano dopo molti anni di trascòrsi pericoli, e di lonta
nanza. La campagna suonava tutta armonia di tinte variate,
LA BATTAGLIA DI BENEVENTO. 35

di canto, e di odori, — il giùbbilo della natura ! Forse vi


ha un' ora del giorno nella quale la terra ci si mostra quale
apparve 2 nei primi tempi della creazióne, avanti che i nostri
padri peccassero, e questa è certamente quella in cui il sole
ritorna ad illuminarla. Iddio nella sua sapienza la dette 8 in
premio al rassegnato, il quale sorge col1' alba per eseguire
la condanna del travaglio, che percuóte la discéndenza di
Adamo ; o più tosto in ricompénza del suo stato, perchè
1' operóso sia 4 póvero, e il suo vegliare col sorger del sole è
per colui che non lo vide 5 giammai, se non quando comincia
a declinare. Venne il mezzogiórno, — il bel mezzogiorno
nei sereni di estate. Che mai incontriamo quaggiù che
valga6 1' azzurro dei cieli? L'ócchio della bellezza, ci ha
detto un gentile poeta, addita la via che al del conduce, ma
non può assomigliarlo. — La maestà del cielo sta sola come
la onnipoténza del suo Creatóre. La stella della vita, tutta
rigogliósa di giovanézza, gode illuminare quella volta divina,
e quella volta offre un campo sterminato alla pompa dei
suoi raggi : — belle ambedue, amano parteciparsi la loro
beltà. O figlio della terra ! in cotesta ora di conforto non
abbassare il guardo a tua madre, che ti sostiéne : gli uómini
hanno spogliato i campi dei frutti del sudore per mantenére
una vita di stento, e di miséria : — non vólgere lo sguardo a
tua madre, che ti sostiene, o la illusióne svanisce 7 : — tienlo s
fisso nel firmaménto ; il Creatóre ti ha conformato per
questo.
Salute, salute, o sole, che susciti, e circoscrivi le vite ;
salute, o fonta di generazióne, e di morte ! Tu hai veduto
con questi stessi raggi il luógo del nasciménto, e la tomba dei
nostri primi parenti ; tu vedrai quella degli ultimi nepoti : le
nazióni scomparvero9 dinanzi a te come le acque del tor
rente, come 1' arena del deserto. Gli uómini ti hanno male
détto, e tu non hai cessato di spargere le benedizióni della
luce sopra di loro; ti hanno offerto incensi, e preghiére,
come a un Dio, e tu non hai aumentato i tuoi fuochi ; —
36 ITALIAN READER.

sempre grande, sempre immutabile nella tua bontà. Spesso


una nuvoletta, figlia di vapore terreno, imgombrò quelle
volte destinate a te solo, e tu la vestisti di tal candidézza, che
parve la fronte della innocénza : ma ella si annerò, come
1' ingrato, e mosse 10 guerra ai tuoi raggi ; — il sereno fu
spento,11 ma per noi ; — la procella fremè ma sopra le nostre
teste ; — il fùlmine era sotto di te, e la tua luce, sempre
bella, e pacata, rise 12 della sua tenebrósa vita di un' ora.
Saranno dunque eterni i tuoi raggi ? Donde traesti ls le
tue fiamme? Come le mantiéni? Sopravviverai al1' ulti
mo dei viventi ? Sei per te, ad una forza ti costringe ad
éssere ? No : — adoriamo : — egli è lucido, e caloróso.
Vénne il crepùscolo della aera, il quale, tuttochè screziato
con più gran nùmero di colori di quello della mattina, non
pertanto scende tristaménte mesto. Un raggio di oro e di
pórpora infiamma que' confini, dove pare che il cielo inchi
nandosi si unisca "al1' océano ; ma quel raggio è di cosa tra
passata, ed ha la impronta della sua decadénza : — sembra la
fama di un potente, che, comunque scomparso dalla faccia
del mondo, abbia depositata la sua memória nella istória, e
come può méglio si rinnuóvi con essa nei sécoli futuri.
Questa agonia tra la luce e le ténebre dura solenne quanto
quella tra la vita e la morte ; ella si unisce 15 a tutto ciò che si
agita di affettuóso nel nostro cuore : abbandóna 1' operaio il
travaglio, il filósofo la meditazióne,' per lasciare 1' anima in
balia dei suoi malincónici sentiménti. Questa ora è la prova
dei téneri cuori : se un nemico trovasse il suo nemico, e lo
domandasse di perdono, questi quantunque capace di ritor
nare nella notte ai proponiménti di vendétta, e ad eseguirli,
non potrébbe 16 ricusarlo adesso. — Infelice colui, che vede
il giorno che muore M senza sentirne pietà ! — mille volte più
infelice di quello, che può vedere il giorno che nasce senza
sentirne allegrezza !
LA BATTAGLIA DI BENEVENTO. 37

L' Oceano. — (Capitolo Decimosecondo.)


Venite, ed ammiriamo le glórie della creazióne su le ulti
me sponde del1' oceano. Ecco, egli ripósa della quiete del
lione ; nessun vento osa turbare la sua azzurra superficie,
nessuna onda gémere tra gli scogli: — sembra uno specchio,
nel quale il firmaménto goda rifléttere i suoi tesori. L' óc
chio del1' uomo si sprofònda lontano lontano in cerca di un
confine che la debolezza della sua conformazióne ha im
presso nella sua vista, ma che 1' océano non ha conosciuto
giammai : — lo sguardo si perde sopra la moltitudine delle
acque, e finalménte è costretto di abbassarsi alla terra, men
tre lo spirito freme alla idéa che la creta non sia capace
di sostenére la contemplazióne degli eleménti ; — siccome
appunto 1' anima temeraria che ardisce 1 di volere pene
trare dentro la nuvola che circonda il sóglio del1' Onnipo
tente, dopo un lungo travagliarsi di abisso in abisso nel
mondo intellettuale, sviene 2 soverchiata dalla grandézza
della immagine, lógora dalla meditazióne, vinta dalla cer
tezza che 1' Eterno non può3 esser compreso dalla forma
destinata a morire. Questo è il riposo del1' océano : e pure
il pianéta della vita e della luce pare che gli si accosti tre
mando, come il supplichévole al trono del Signore, — le
più volte pallido e senza raggio : ed egli lo assorbe nello
sterminato suo seno, non altraménte che la terra riceve la
creatura divenuta cadavere.
Ma quando il cumulo delle acque, furiando imperversato,
quasi che fosse ansióso di ricuperare 1' antico dominio (però
che la terra emerse 4 dal profondo del mare al comando di
Dio *), si precipita a flagellare i confini del mondo, dove
trova 1' insuperabile argine, e il solo degno di somméttere la

* " And God said, Let the waters under the hearen be gathered to-
gether unto onc place, and let the dry land appear : and it was so." —
Gen. chap. i. v. 9.
4
38 ITALIAN READER.

sua spaventósa potenza, — la parola del Creatóre, che lo


respinge indietro : ma quando rotolandosi per 1' ampiezza
del suo spazio travolge il naviglio che incóntra nel corso
fatale, onde il nocchiero disperato di ogni umano soccorso
guarda il cielo, ed il cielo gli si mostra minaccióso, — questi
non ha più scampo, il flutto che vede agglomerarsi da lungi
deve 6 eseguire la sentenza di morte, che la natura ha pro
nunziato contro di lui ; allora tra i pensieri della vita futura
s' insinua tristaménte la rimembranza della sua famigliuóla
che gli strazia le viscere 6 : — e i figli ? — e la moglie ? —
dorme ella ? — su lo stridore dei venti, tra il muggito del
mare parle sentire il suo nome sospirato nel delirio di una
orribile agonia, balza atterrita, corre al lido, e non iscorge
che flutti sommossi e cielo ottenebrato: — che Dio faccia7
pace al1' anima del naufrago ; ma doveva sfidare il terribile
eleménto col peso dei figliuóli sul cuore ? — Quando tutto è
sconvolto, quando tutto è paura, e terrore, — felice quel sicuro
che gode spaziare su 1' ultimo lido della terra, e sorridere di
quel sorriso col quale si accólgono 8 i più cari amici, al1' onda
che dopo avere sommerso mille navigli viene a spezzarsi tra
le scogliére della spiaggia ! — Felice chi nel fragore del
tuono, e nel1' urlo salvatico dei mostri marini può sentire
una dolce armonia, una voce di amore, simile a quella che
acquietò i dolori della sua fanciullezza ! — Ma più avventu
róso colui, che nel1' ora della procella commise9 il suo
corpo a' flutti agitati ! Lo pregavano gli spettatóri, pei
Santi 10 e per la Vérgine, a non osarlo ; ma egli, sprezzando
i consigli della paura, si compiacque u vedersi sospeso su
gli abissi, la descrizióne dèi quali fa abbrividire migliaia di
gente : certo egli sembrava un atomo vagante per la luce ;
conobbe 12 il pericolo d' éssere ad ogni momento disfatto,
mirò la faccia della morte, nè impallidì ; e in ricompénsa fu
la sua anima purificata di ben molte passióni del fango, di
ben molte umane imbecillità; apprese18 — potere dirsi felice
colui che non teme la estinzióne della vita ; — e re del do
LA BATTAGLIA DI BENEVENTO. 39

lore, scoperse 14 cose, che ne egli sa dire, ne altri potrebbe 15


comprendere, ma di cui la rimembranza gli rimase 16 nella
mente come pegno di futura grandezza : — ora quel1' ardito
sollevato su la sommità d' una ondata si scorgeva più alto
della terra, scoprendo il lido lontano, e i compagni ; ora, pre
cipitato giù nel profondo, ammirava le acque soverchiane
circondarlo a modo di muraglia, e le cime loro ripiegarsi spu
manti, sibilando come serpenti sul capo di una furia ; — ma
egli pure vinse,17 e quando gli fu a grado tornò salvo alla
riva. — A questo solo sia concesso narrare del1' oceano ;
stenda la sua mano sul mare come su 1' altare del Signore e
dica18: io sono degno di te. — Venite, e adoriamo le glórie
della creazióne sopra le sponde del1' ocèano.
Io ti amo di quel1' affetto col quale i miei fratelli di
stoltezza vagheggiano il sembiante della fémmina ; io godo
al suono dei tuoi flutti, al tuo riposo, e alla tua tempesta :
libero fino dal principio della creazióne, nessun potente
ti ha potuto dare legge, nessuno ambizióso ne per lu
singa, ne per forza sottométterti ; — la vicenda degli anni
e delle stagióni è nulla per te : quel barbaro sovrano che
volle M importi catene, sta monuménto di scherno nella
stória ; — le catene sono fatte per gli uómini.
Tu immenso, tu forte, perchè il caos era acqua, ed acqua
ritornerà." In quel punto la luce riverrà20 a spegnersi nella
sua antica dimora ; — il fuoco tuo nemico sarà superato, e
la vittória annunziata al mondo con la sua rovina: non
più stelle, ne luna, ne cielo, ne terra ; — esulterai nel trionfo
della distruzióne, nella solitudine della tua immensità : però,
mentre dura in me spirito di vita, mi dilungo su 1' estreme
tue sponde, e adoro le glórie della creazióne nella potenza
del1' oceano.
40 ITALIAN READER.

La Donna. — (Capitolo Secondo.)


Perche' una tomba prodigio di marmi peregrini e del
1' arte eopre le céneri di tale, che non si conosce essere stato
vivo, tranne pel monuménto della sua morte ? — Perchè for
me celesti, delicati contorni, leggerézza di leggiadrfssimo
corpo, véstono 1' anima della fèmmina? Perchè ci dierono*
un cuore che balza a quelle sembianze, una fibra che si rac
capriccia a questo bellissimo spettacolo della creazióne?
Nessuno animale ha potuto contribuire a formare il corpo
della fèmmina. I colori del1' uccello di paradiso, della far
falla di Casimira, non possono2 paragonarsi ai divini che im
porporano le guancie della bellezza. La gazzella non ha
1' ócchio della donna ; le pietre prezióse non brillano di
quella luce ; e i poeti, per assomigliarli a qualche cosa di
convenévole, hanno dovuto ricórrere al firmaménto. Ma
nessun réttile, quantunque schifoso, fu eccettuato dal som
ministrare parte nella composizióne del1' anima che agita
i moti delle sue membra; nessuno, meno lo scorpióne, che
circondato dal fuoco volge in se stesso il dardo velenóso, e
generosaménte si uccide. Tu sei bella, o creatura, ma la tua
bellezza porta una impronta tenebrósa ; tu nasci figlia di un
sublime pensiéro, ma come Lucifero decadésti ; i tuoi raggi
come quelli del sole che tramonta feriscono,8 non consólano
la vista ; la tua bellezza è il nostro tormento. Noi andiamo
affannósi in traccia di quella innocenza che Eva lasciava
nel1' Eden, e questo è il più fiero travaglio del cuor nostro.
Ma il tuo cuore ugualménte fu condannato a spezzarsi per
la nostra incostanza. Forse tu dovresti éssere maladétta,
perchè la prima a peccare ; ma il serpente abita nelle tue
fibre delicate: la curiosità génera la sapiénza, in te parto
riva la colpa. — Tu schiudésti la via dei delitti, noi vi ti4
LA BATTAGLIA DI BENEVENTO. 41

abbiamo superato. . . . Oh ! figli della pólvere, non vi ma-


ladite, ma abbiate misericordia tra voi !

L* Amicizia. — (Capitolo Decimosecóndo.)


Sapete voi come si sente 1' amicizia in Italia, ove tutte le
passióni téngono 1 del calore del sole che la riscalda ?
L'amore di forma femminile è nulla in paragóne di lei :
questo desio nato da vaghezza di piacére, e mantenuto dalla
fragile beltà che gli anni guastano, o distruggono, si spegne
nello stesso diletto ; la ragióne non presiede alla scelta,
spesso anzi ne adonta, e se questo non avviéne 2 in breve
ora, il tempo è infallibile ; con quello strumento medésimo
che incide la via della morte su la fronte della donna, con
suma le catene del1' anima ; lo intellétto rimane liberato
dalla vergognósa servitù, — ma tardi, e il pensiéro del1' uomo
dal1' amore trapassa alla tomba, perchè ella da lunga pezza
lo chiama ; e quantunque non abbia posto 3 mente alla chia
mata, la sua persona sta ricurva verso la terra per abbrac
ciarla di eterno abbracciaménto : questa è la turpe vicenda
di colui, che arde la sua anima in olocausto alla voluttà.
L' amicizia procede diversa : si ama per questa con furore,
ma non a cagióne di forma leggiadra, ma senza desio di
diletto ; sta con tutte le buone passióni, e tutte pel suo in
flusso, divéntano miglióri ; la donna privata di sentiménto
sublime sente amore o nulla ; lo affetto pe' genitóri, pe' fra
telli, per i parenti, non può paragonarsi con questo ; quali la
Natura, o il caso gli ha dati, sono i genitóri, e i parenti ; gli
amici, quale il cuore gli ha scelti : quando i capelli divénta
no canuti, e tutte le cose si affacciano alla mente come imma
gine di rimembranze lontane, le guance, quantunque pallide,
consérvano sempre un rossore, 1' ócchio una lacrima, al nome
dello amico assente, o defunto : ha 1' amicizia qualche cosa
di sacro, quando, perdéndosi nei misteri della infanzia, due
enti si tróvano innamorati prima che conóscano amore, pri
4*
42 ITALIAN READEK.

ma che la volontà eserciti i suoi attributi : ma la volontà


benedice quel nodo, la ragióne ne sorride. Qual cosa si
negherebbe 4 allo amico ? •— la vita è stimata il dono più
prezióso, che la Divinità faccia al1' uomo, e pure crédesi5
póvero sacrifizio al1' amicizia ; — facoltà, cómodi, pace, sa
rebbe bassezza profferire ; — 1' onore non chiede, perchè si
nudre di questo : 1' amico ti seguirà in ogni sventura, ti sos
terrà 6 cadente, ti rileverà caduto, sarà la tua pompa nella
glória, sostegno nei disastri ; piangerà al tuo pianto ! . . . .

Le Alpi. — ( Capitolo Decimoquinto.}


Ecco le Alpi. — Quanti sono i secoli che ne incorónano la
cima ? — Il tempo li confonde nei suoi misteri. — Di quelli
che i popoli conóscono, alcuni appaiono 1 luminósi quanto la
gemma sul diadéma del potente, — altri foschi di luce san
guigna, come 1'ultimo raggio del sole che muore, — altri
tenebrósi di terribile oscurità. — Da quelle rupi abbrustolate
dal fulmine 1' Aquila romana guardò le nazióni della terra,
e spiccando il volo al corso fatale precorse2 con lo spavento
di provincia in provincia, di parte di mondo in parte di
mondo, la vittória delle legióni immortali. — Gli alti destini
di Annibale le apportarono la dolorósa conoscenza, che pote
va éssere vinta ; pure, finchè le virtù patrie le compósero8 il
nido, stette col1' Alpi terrore dei pópoli. — Quando consu
mato dagli anni e dai vizii 1' Impero dei Cesari giacque4
sotto il peso della própria grandezza, abbandonò 1' Aquila
superba quel cadavere di glória, lasciando allo stormo dei
corvi settentrionali cibarsi di morte reliquie. — Venne Carlo
Magno, ma 1' Aquila era fuggita, il nido freddo, ed ei lo
disperse5. — Il genio di un fiero Capitano erra fremendo
per quegli spaventósi dirupi. Sciagurato ! a lui avevano
concesso le sorti del mondo rilevare 1' antica virtù di Roma,
a lui fare manifèsto, che gli eroi trapassati potévano ancora
oggidì, non che 6 imitarsi, superarsi in Italia : 1'
LA BATTAGLIA DI BENEVENTO. 43

posava sul suo pugno sicura quanto su 1' asta di Cesare : —


chi mai glielo avrebbe voluto conténdere, o volendo chi glielo
avrebbe potuto ? non vinse un tempo uomini, e cielo ? — E sì
che italiane furono le voci che g1' insegnarono le prime parole
di amore, italiano 1' aere che bevve7 in prima, italiano il sole
che riscaldava le sue membra infantili ! — pure nol 8 fece ;
forse ha pagato in vita amara la pena di questa colpa, ma
non è convenévole espiazióne. — Allorchè le nostre istorie
suoneranno nelle future generazióni, come il mormorio della
cascata lontana, e le imprese parranno9 simili alle tracce
dello spento vulcano, e le favelle oggetto di faticósa ricerca
pe' sapienti, certo il suo nome starà sempre grande quanto
il vertice del San Bernardo da lui superato, che sollevandosi
portentóso si smarrisce10 nel profondo delle nuvole del1' oriz
zónte ; ma la fama di questo errore, o delitto, vivrà11 eterna
ménte congiunta al suo nome, perchè egli non è tale che per
tempo possa essere obliato, nè per pentiménto rimesso. —
Ora le sue virtù, i suoi vfzii, le sue ossa dórmono nella tom
ba ; — non aggraviamo la mano sul Grande, che giacque 12 ;
— ma noi non possiamo13 finire i nostri pensiéri su lui se
non che sospirando : ahimè ! potevi éssere un Dio, e volesti
rassomigliare a un flagello. — Chi potrà reggersi sopra la
spada dopo di te ?
Che volle fare la Natura, quando con lo orrore delle nevi,
le rovine della valanga, la bufera del1' uragano, lo spavento
della solitudine, i dirupi, i torrenti, ci ricinse14 delle Alpi?
Pensava ella che fòssero sufficiénte schermo alla rabbia
degli uómini ? Non era meglio stillare nel cuore loro un
pensiéro di pace ? Avrebbe la perversità della creta supe
rato la previdénza della Natura ? Quelle nevi, quelle rupi
furono vinte da tali, che nulla curando abbandonare le care
consorti e i parenti, sgorgarono rabbiósi su queste nostre
contrade, simili a fiumi di lava infuocata : — qui oppréssero,15
— qui si strapparono dalle mani sanguinóse la preda, — qui
caddero ; 16 ora bagna la pióggia, ed agita il vento le loro ossa
44 ITALIAN READER.

insepólte, senza onore di fama, senza compianto. Miseri


ingannati, che giubbilando accorréste sotto lo stendardo del
feroce, che vi chiamò colla glória, perchè vi avrebbe allon
tanato il disprezzo, venite, e vedete qual sia glória la vostra.
Servi vergognósi di un solo, traditi in vita, come derisi in
morte, cadeste vittime innanzi 1' idolo della spada, che avete
adorato. —. Essi ci oppressero,17 essi mangiarono tra noi il
pane dell ' émpio, bévvero il vino del violénto ; adesso sono
morti, esacriamoli ... no ... le antiche ingiurie furono
vendicate. Angóscia amaro il riso dello scherno sul labbro
del vincitóre ? Assai lungamente i nostri padri fècero gus
tarlo altrui, ora gustiamolo noi ; — il tempo viene implacabile
e giusto riparatóre dei torti : — assai lungamente durammo
scellerati ; se avéssimo continuato ad éssere forti, lo saremmo
tuttora ; ci mancò 1' anima e la forza, altri ha prevalso ; —
che giova il lamento ? In nome di Dio, non mormoriamo di
nessuno, o mormoriamo di noi, che primi ad offendere ci
addormentammo sicuri sul letto della ingiuria : 1' offesa
non dormiva però, chè passava le notti a vigilare con la
vendetta, e il sonno fuggiva fremendo da quelle inesorate ;
— al nostro svegliarci le catene ci suonarono da tutte le
membra : — onta al male accorto che dormì sul pericolo ! —
Che giova mostrare il lembo lacerato ? Ogni uomo ti beffa,
nessuno ti aiuta. Anche la oppressióne ha la sua grandezza ;
sta il rispetto co' vinti, come la paura co' vincitóri ; solleva
la testa, cammina sicuro : così, se vivi senza onore, morrai l5
senza infamia, e sarai degno, che 1' Eterno trami nel1' arcano
dei secoli ai tuoi tardi nepoti un nuovo manto di glória.

Il Re vinto. — {Capitolo Ventesimottdvo.)


Impari la morte il Re che fu vinto. Il giorno destinato
per términe della glória, quel giorno medésimo, chiuda le
palpebre della sua vita mortale. Dal campo dove lo prostra
LA BATTAGLIA DI BENEVENTO. 45

la forza si guardi attorno, — qual lusinga lo affida ? Non


v' è braccio che si levi 1 per lui : — il pianto dei desolati, che
si smarrisce 2 nel1' urlo della vittória, adesso solo, insisténte,
gli si addensa su 1' anima. Se tra lo avviliménto di éssere
tratto in trionfo dietro il carro del vincitóre, e la morte, ha
scelto lo avviliménto, meno che rettili furono coloro che lo
sopportarono, e la corona cadde 8 su la sua testa come 1' ém
brice su quella di Pirro. Non si sgomenta allo insulto dei
codardi che accórrono quasi a festa per riparare al1' ombra
della grande caduta? — Non lo torméntano gli séherni dei
traditóri? — Al confine della sua meditazióne non vede una
vandetta di sangue, una giustizia sul taglio della spada
nemica ? •— Il vincitóre teme Dio, — non lo Deciderà : con
viéne al1' uomo dal quale pendévano milióni dei suoi simili
gustare 1' amarézza di anelare dubbióso per lo suo stesso
destino? — L' ora di passióne è trascórsa; — mezza eternità
non varrebbe4 a compensarla ! . . . egli vivrà;5 — ecco la
vita: — fisso sopra un diadéma, che non ornerà più le sue
témpie, ne quelle dei suoi figli, struggersi al suo fulgóre a
mano a mano che si accosta al tramonto della speranza, sì
come il fiore, che fu ninfa,6 alla vicenda quotidiana del1' astro,
che ha cessato di amarla; — avventarsi contro i ferri della
carcere, e mórderli, e insanguinarli, e stramazzare rifinito di
forza nella disperazióne della impoténza ; — i suoi pensiéri
sono 1' avvaltóio che gli divora le viscere ; — teme ogni cibo ;
— non beve liquóre se prima non lo abbia speculato traverso
la luce ; — non avventura un passo se non tenta il luogo, dove
gli è forza 7 posare il piede ; — lo spaventa la própria ombra.
. . . E i figli ? — non può vederli, né vuole. — A che am
maestrarli? A maledire? — Più della sua voce li farà
germogliare nel1' ódio il cigolio delle catene. — Mostrerà
loro la sua miséria? — Non basta quella che soppórtano? —
Ascolterà rinfacciarsi la vita, — la truce rampogna di averli
generati ? — Egli non vuol vedere, nè udire anima viva ;
feroce gli è diventata la mente, 1' intellétto selvatico : — nes
46 ITALIAN READER.

suno gli parla, e pure tende ¥ orécchio a voci sconosciùte, e


risponde. Sovente una rimembranza di vittoria g1' infiamma
lo sguardo : allo improvviso lo abbassa, e mira un oggetto
tanto miserabile, che la stessa pietà non ha lagrime per
compiangerlo ; gli si chiude lo sguardo, e il cuore con quello,
così stretto, che non lascia sfuggire un sospiro. — Sempre
esalta la vittória, quantunque talvolta la disfatta non avvi
lisca8; ma 1' anima di bronzo che può sopravviverle ha
pagato pena maggióre del premio della corona.
Io non impreco alcuno, e se una cénere si commuóve entro
la sua cella di morte, e mandasse un singulto ... oh ! io
non ho voluto aggravare la mano sul Grande che dorme. —
Stanno oltre il sepolcro nel giudizio di Dio il prémio e la
pena, nè la pólvere ardisce 9 usurpare 1' attributo del1' Onni
poténte. — Quali occhi però seguiranno il Fatale fino alla
tomba senza versare lagrime di sangue? — Circondato di
fastidii che avvelénano la esisténza e non danno il conforto
delle grandi sventure, — di gémere senza vergogna, — tra
fitto di minutissime piaghe dalle quali a góccia a goccia
distilla la vita, — costretto a limosinare il pane presso
coloro che pel battésimo di fuoco érano della sua religióne *
. . . che il cielo sia pio di riposo alla cénere del guerriéro !
dovea egli, — lo immenso, che aveva riguardato 1' univérso
da tale una altezza, che appena a mente umana è concesso
immaginare, — lasciarsi cadere si basso? A lui stava morire
per la spada dei valorósi, o per la perfidia della paura. —
Non si aspettava a questo ? f E che ? colui che indagava
schernendo i vizii degli uómini, e li togliéva a fondaménto
della própria potenza, doveva affidarsi alla virtù? Nell' I'so-
la, dove, nuovo Prométeo, lo incatenava un ódio profondo,
ogni giorno lo infiammato pianéta g1' insegnava come doveva

* l'irai demander la soupe a ecs braves : quiconque a recu le ba-


ptème de feu est de ma religion. — (Parole di Napoleone.)
t Parole di Napoleone nel lasciare il Bellerofónte.
LA BATTAGLIA DI BENEVENTO. 47

morire 1' uomo, che non aveva conosciuto pari sopra la terra,
però che quivi il sole, non come nei nostri climi sia ,0 ac
compagnato dal mesto crepuscolo, ma comparisca improvviso
nella pienézza dei raggi sul firmaménto, ed improvviso lo
abbandóni allo impero del1' ombre. — Chi sa quante volte lo
austéro contemplando 1' esémpio solenne piegò vinto la
faccia, e mormorò parole di dolore su la perduta occasióne ! —
Oh ! se, cadendo, in lui non fosse scomparso 1' eroe ! Oh !
s' egli stesso non avesse svelato il segreto che il suo cuore
era composto di creta come negli altri figliuóli d' Adamo !
Se la curva della sua vita non impallidisse al tramónto, e
sfolgorante di luce si perdesse nel silénzio dei sécoli, —
qual nato di donna potremmo noi assomigliargli ? — La
Sapiénza che governa- il creato forse volle mostrare con la
vicenda solenne gli estremi dove può suscitare e deprimere
un' anima immortale ? Se così è, mi spavento, perchè 1' ul
tima azióne di Colui, che poteva numerare con le vittórie i
suoi anni, la gente maravigliata non distingue ancora se
deve attribuirla a costanza, o a viltà.*

ISABELLA ORSINI. — (Lo stesso Autore.)

ESTRATTI.

Makforio e Pasquino. — (Cajntolo Quinto.)


. . . Cosi percorréndo la città di contrada in contrada,
giunse 1 la cavalcata al canto del palazzo Caracciolo Santo-

* To die a priuce — or live a slave —


Thy choicc is most ignobly brave !
(Bgron's Ode to Napoleon Bonaparte.)
48 ITALIAN READER.

buono, sopra le rovine del quale nei moderni tempi fabrica-


rono il palazzo Braschi. Quivi stanziavano allora Marfòrio
e Pasquino.
Che cosa è Marfório ? Che cosa è Pasquino ?
Martorio è una statua colossale del1' Oceano giacente
trovata nel Fòro di Marte ; donde le venne il nome. Cle
mente XII la fece trasportare nel Campidóglio, e quivi
adesso si mostra orgogliósa ai passaggieri. Pasquino è una
statua plebea. Un plebeo buon umore,2 davanti la bottega
del quale fu scavata, le dette 3 il nome : è mutilata, è incerta ;
adesso pare che si siano trovati di accordo 4 a battezzarla per
un frammento di Ajace : ad ogni modo umana cosa, ne Dio, nè
Semidéo ; e quantunque i meriti suoi di gran lunga superino
quelli di Martorio, troppo le corse 5 diversa la fortuna, im
perciocchè invece degli onori del Campidóglio, per poco
stette 6 che nel Tevere non la precipitassero. Adriano VI
fu quegli che le mosse17 tanto dura persecuzióne; e se nol
fece, deve attribuirsi allo arguto cortigiano che lo persuase,
da quel tronco sepolto in mezzo al limo sarébbero uscite più
voci che da un pópolo intero di ranócchie. Ed ecco come la
ingiustizia degli uómini si manifèsti negli stessi tronchi, e nei
marmi : Martorio in Campidóglio come un capitano trion
fante ; Pasquino per poco non capitò 8 nel Tevere, e passata
così fiera burrasca, felice lui se sta murato nel canto del pa
lazzo Braschi. Martorio secondo il costume dei felici, che
fortuna qualunque estolle il tuffa prima in Lete, non ricorda
più i tempi passati: diventato9 signore, albergato splendida
mente, si è fatto cortigiano, e tace, o se talvolta parla, va10
cauto, va circospétto, e sebbene colosso marmóreo, cammina
leggiero come se temesse calcare uova ; adula quasi : ma
Pasquino, senza capo, senza braccia, e senza gambe, esposto
ai venti e alla pióggia, si conservò popolano ; e sempre
parla, e sempre morde, e non finisce mai di dire la sua,11
nasca quello che ne può nascere ; tanto, peggio di pérdere
testa, braccia e gambe, non gli può andare12. Martorio
ISABELLA ORSINI. 49

però abbandonava la fama ; al1' opposto Pasquino non conob


be 13 mai decadiménto di bella rinomanza. Marforio è un
disertóre, Pasquino gettò via le gambe per non mai fuggire,
quindi il pópolo ha dimenticato Marforio, e crebbe" a
mille dóppii 1' amore al suo Pasquino. Marforio in Campi
doglio nel fondo della corte del Museo Capitolino, accom
pagnato dai Satiri di bronzo trovati nel teatro di Pompeo, re
della fontana a cui è soprapósto, si annóia, e se fosse dato ad
un Oceano di marmo sbadigliare, egli sbadiglierébbe. Per
lo contrario, Pasquino palpita, e vive, ha simpatia col pópolo,
e comunque acéfalo, senténzia, ragióna, e rivede i conti mé
glio di quelli che hanno capo. Già per vivere in questo
mondo non è provato punto che vi abbisógni il capo ; testi
mónio Plinio, che afferma trovarsi un popolo di acéfali da
lui chiamati blémmii, la quale cosa se poteva parere ai tempi
di cotesto scrittore stupenda, per noi cessò da lunga stagió
ne 15 di maravigliare le genti.
Pasquino spesso è Némesi 16 perseguitata, che vibra nel
bùio un colpo contro I' uomo che beve le lacrime del pópolo,
e questo colpo lo giunge nella fronte preciso come il sasso
lanciato dalla fionda di David; — è Nemesi che raccóglie
1' acqua amara che sgorga nelle contrade della oppressióne,
e ne témpera il vino spumoso della supérbia ; — è Némesi
che mesce i vermi tra i fiori della felicità spietata; — è Né
mesi che fa traboccare il feroce negli aperti sepolcri mentre
gli freme tuttora la voce di minaccia sopra la bocca : — ella
mesce di terrore le ténebre, popola di fantasime i sogni, ém
pie il capezzale di rimorsi, dà voci alla zolla che cela il de
litto ignorato, e perséguita con gli affanni le vite, con le dis
perazióni le morti. — Ma troppo spesso Pasquino nasce
dalla perfidia umana ; conciossiachè siavi una gente a cui la
natura disse : — ódia, — come al1' aquila disse : — vola ; — e
1' uomo ódia, come 1' aquila vola. O Signore Dio, perchè
creasti il serpente che avveléna, la fiera che divora, 1' upas
che uccide, e 1' uomo che ódia ? Ecco, il cielo sereno è
5
50 ITALIAST READER.

un' angoscia per lui, il sole spléndido una ingiuria, il lago


limpido uno scherno, 1' anima tranquilla una offesa : egli
vorrebbe17 possedére lo sguardo del basilisco, i fiati del cho-
lera, i bitumi dello asfaltide, la disperazióne di Giuda, per
contristare quella serenità di azzurro, di linfe, e di anima in
nocente.
La verità è il sole più sfolgorante del diadéma di Dio.
Nei giorni della creazióne egli avrebbe dovuto appenderla
come unico luminare alla volta dei cieli. La verità deve18
uscire palese dalle labbra del1' uomo, come g1' incenzi reli
giósi dai turiboli di oro. La ópera delle tenebre desidera
consumarsi nelle tenebre. La verità non deve prendere la
larva della mensogna. Perchè mai la verità assumerebbe il
sembiante della calunnia ? Il cuore del codardo può diven
tare luogo accóncio per un nido di vipere, non mai il témpio
della verità. La verità deve predicarsi alla faccia del
giorno dai luoghi eccelsi, dalle vette dei colli, dalle aperte
sponde dei mari ; la verità deve confermarsi davanti gli uó
mini che la detéstano, e davanti ai giudici che la condan
nano a modo di Sócrate innocentissimo. La verità ai-se 19
sopra i roghi, ma ecco rinacque w dalle sue céneri a guisa di
fenice ; la verità saliva sopra i patiboli, e tornò a palpitare
nei suoi lacerti, come 1' animale che rivive negli scissi fram
menti. La verità non ingannava, nè lusingava persona, im
perciocchè ella abbia detto : " Io mi chiamo martirio sopra
questa terra, e glória in cielo 21 : chi mi vuole seguire mi
segua ; io sono una dura compagna della vita."
Chi ha orécchie da ascoltare ascolti : . . . .

Caterina di Francia. — (Capitolo Sesto.)


Caterina di Francia ! — Moglie di re, madre di re ... e
non pertanto quale più trista fèmmina che mai abbia vissuto
o viva nel mondo, accetterébbe col reame di Francia i dolori
della sua vita, o la sua fama dopo la morte ! Nata da
ISABELLA ORSINI. 51

principe aborrito, fanciullata, derelitta, e sola, venne in po


testà di republicani inferociti che volevano vendicare in lei
le ingiurie del suo sangue, ed esporla sopra i bastióni alle
artiglierie dei suoi parenti, i quali per certo non si sarieno 1
rimasti dal trarre ... ! E nonostante, alacre e animósa,
punto curando il pericolo presentissimo, ella congiurava per
la grandezza della sua casa. In lei pósero 2 i cieli lo istinto
e la capacità del regno. — Móglie giovanòtta di Enrico II,
si vide posposta a Diana di Poitiers ; e tacque,8 e chiuse in
cuore la offesa alla donna, alla móglie e alla regina, ed ella
si rimase 4 come un fuoco nascosto per comparire improvviso
a* illuminare o a spaventare il mondo. — Madre di Fran
cesco II, alla esperienza e gravità sua vide preferite le
frivolezze di Maria Stuarda, moglie quasi infante di re
fanciullo ; e tacque, e blandì col riso sopra le labbra le follie
dei reali giovanétti, mentre guardava addensarsi sul capo il
turbine fatale ai gigli di Francia. — Alla perfine, éccola
regina vera, e regna. — Come Niobe ella ripara sotto il suo
manto una testa pargola di re. Non dubitate, ella saprà
molto meglio difènderla dalla ira delle fazióni, che la Niobe
antica non facesse 5 dagli strali dei figli di Latona. Che
cosa appariva il regno ? Che cosa il re ? — Carlo IX era
un uccello, — un sinistro uccello se vi piace, — che si con
tendévano gli artigli di un falco e di un avvoltóio. I Guisa
si dichiaravano suoi difensóri : ma comprendéte voi un re
che abbisógni di un suddito che lo protegga ? Gli Ugonótti
anch' essi lo volevano protéggere, come un padrone lo schia
vo ; e gli uni e gli altri erano più potenti di Caterina. I
primi si dicévano amici della religióne e del trono, e commi
sero 6 atti che la religione avrebbe desiderato éssere cieca
per non vedere : amici del trono, essi compósero una genea
logia che gli faceva discéndere da Carlo Magno per cacciare
dal regno i Capetingi, come Capeto ne cacciava i Carlovingi ;
e per ultimo si fècero 7 demagóghi, e si spensero. — I se
condi, avversi ai riti cattólici, consentirono che Enrico IV
52 ITALIAN READER.

scambiasse Parigi con una messa : avversi al trono, termi


narono col dare un re alla Francia. Non pel re dunque si
combattéva, ma pel regno. Caterina non doveva dubitare
soltanto della corona, ma del capo : deposta la clamide reale,
lei e i suoi figli aspettava la veste di terra e di verdura che
la morte concede ai cadaveri. Fiero retaggio apparecchiato
dalle insidie di Luigi XI dalle sventure di Luigi XII, dalle
insanie di Francesco I, e fatto più arduo per le dottrine di
Lutero e degli altri settarii che lo seguitarono. Lo equili
brio non poteva allora come adesso mantenérsi con 1' oro
sparso, e col gettare dei voti nella urna; — qui bisognava
un fiume di sangue; — qui invece di voti era forza8 gettare
teste nella urna del destino : — e Caterina accettò quel
retaggio con tutte le sue conseguenze, — tutte ! — Certo,
coteste non sono virtù di donna, ma neanche di uomini :
pure gli enti che la Provvidénza pose 9 al governo dei po
poli in questi casi estremi apparténgono 10 appena alla umana
natura; anime di bronzo create là dove si generano il
fulmine, 1' uragano, e gli altri flagelli di Dio. Caterina
impedì che andasse disperso in brani il reame di Francia
nella maggióre stretta ll che prima o poi egli abbia dovuto
patire.
Lodano Luigi XI, perchè tagliando le teste alla idra
feudale instituiva la grandezza del regno ; e plaudéndo il
fine, ai mezzi non badano. — Lodano il cardinale di Riche-
lieu, che ridusse 12 per ultimo i baroni servi dorati di Corte.
.— Lódano ancora i Convenzionali ; quando col sangue dei
Girondini scrissero ls essere la Repùblica una e indivisibile.
Ma lasciando di questi ultimi, erano poi così savii i primi
come prédica il mondo ? Trasportati anche essi dallo ardore
del disegno, ogni estrema forza essi adóperano ad abbattere
una muraglia, senza conóscere quello che dietro di cotesta
muraglia potesse loro . apparire ; e dietro il muro abbattuto
trovarono una fiera dai u denti acuti, dagli occhi infiammati,
avida anch' essa di mórdere, cupida di avere, affamata dalla
ISABELLA ORSINI. 53

necessità, sitibónda di sangue, — il popolo flagellato insomma.


— I due principii invasóri, senza un principio tra mezzo che
o li disgiungésse, o li temperasse, certo giorno si avventa
rono addosso, e il secondo divorò il primo ; ma trangugiato
che 1' ebbe,15 sentì risuscitarlo dentro le próprie viscere, e
da quel1' ora giace infèrmo, e giacerà . . . fino a quando ?
— I destini del mondo stanno chiusi 16 nel pugno di Dio.
Però a me sembra, cosa strana a pensarsi, che Luigi XI e
Richelieu, i più assoluti dei dominatóri, sieno stati padri
delle rivoluzióni dei pópoli. Caterina dei Medici, fèmmina,
con re bambini sopra le braccia, con forze più déboli delle
loro, anzi pure senza forze, fece per la Francia assai più
ch' essi non fècero: ne i casi le consentirono éssere più
mite, ne fu di costume niente più trista dei suoi tempi ; ed io
vorrei 17 che mi dicéssero se Luigi XI, se Richelieu, se
Francesco, ed Enrico di Guisa, se lo stesso Coligny, sieno
stati miglióri di lei? Eppure una perpétua infamia si rin-
nuóva in Francia sopra la memória di Caterina dei Medici :
non vi è generazióne che in passando non la maledica, e
non le imprechi grave sul capo il marmo del sepolcro, e la
vendetta di Dio ! — Quello poi che riuscirébbe inverosimile
a crédersi, se non fosse vero, a lei regina sepolta in tomba
reale con la corona e il manto dei re, mancò una bocca —
bocca comunque comprata.'-i-chet^rohun'z'itUse l£ laude
venale sopra il suo fèretro.. 'Tre 'giorni' dopala sua morte,
il predicatóre Lincestre -così dal1'.altc- del- pergamo la rac
comandava agli astanti': ""La' Jiegitfa madre. "è nvwtft, la
quale, vivendo, fece molto bene e molto male, e per me
credo molto più male che bene. In quest 'oggi si presenta
una difficoltà, che consiste in sapere se la Chiesa cattólica
deva ls pregare per lei che visse 19 tanto male, e così spesso
sostenne la eresia, quantunque si dica20 che in ultimo sia
stata con noi, e non abbia acconsentito alla morte dei nostri
principi. Su di che io devo dirvi, che se volete recitarle un
5*
54 ITALIAN READER.

pater ed ave così a casaccio,21 fate voi ; varrà per quello che
può valere : e lo rimetto nella vostra libertà ! "
Basta : — dal giudizio degli uomini si appella a quello di
un giudice che non può fallare. — Intanto, per questo giu
dizio terreno giovi pensare che è giudizio di tali che può
dubitarsi perfino se abbiano veraménte giudizio, e che Cate
rina come Italiana non deve sperare giustizia da un popolo
presuntuóso, un tempo grande a caso,22 perche vi spruzzò
sopra gli efflùvii del suo genio una immensa anima italiana.

L' ASSEDIO DI FIRENZE. — (Lo stesso Autore.)

Clemente VII, e Carlo V. — (Capitolo Terzo.)


Adesso dórmono pólvere; forse ne anche pólvere: ma
allora érano due fra i più potenti della terra, un papa, ed
uno imperatóre.
Enfino \ quel punto ai "odio" 'mortalissimo si abborrirono.
Il più lieto pe.n3iéro' in "cui si assopissero la notte : la imma
gine p'ù'efnt, '3hé alle .dimane sur guanciale del riposo ritro
vassero <?lrela DÓrgèva1 .la. speranza d: potér un giorno 1' un
1' altro incontrare giacénte sui gradini del próprio palazzo,
nudo, assiderato dal freddo, supplicante una elemósina, che
1' imperatóre nella mente superba esultava concédere larga
ed amara, e il papa invece si compiaceva negare, via proce
dendo in sembianza di non accórgersi di quel caduto. Im
perciocchè quantunque il cardinale di Richelieu non lo
avesse ancora insegnato, il cuore di Clemente VII aveva
L* ASSEDIO DI FIRENZE. 55

per istinto sentito, le donne e i sacerdóti non dovere per


donare giammai2.
E non pertanto adesso stavano intesi a comporre gli anti
chi rancori, a discutere cosa avrébbero guadagnato a mutare
F odio in amicizia, a stringersi le mani per quindi insiéme
aggravarle più pese sopra il collo dei popoli.
Raccolti dentro una sala magnifica, di seta spléndida
e d' oro, con la volta dipinta da uno dei più valenti ar
téfici che résero8 quel secolo singolare nella stória del
1' arte.
E il dipinto della vòlta rappresentava il concilio dei Numi,
il convito degli immortali, che pure erano morti, Giove 1' an
tico onnipoténte, che adesso non poteva più nulla, e le altre
Divinità bandite dalle dimore dei cieli. Eppure cotesta
religióne ebbe una volta adoratóri, martiri, voti, preghiere,
superstiziósi, dileggiatóri, olocausti di béstie, olocausti di
uomini e sacerdóti crudeli ; ora poi non se ne rinviéne 4
memória in nessun cuore, ed è forza cercarla su i libri, re
ligióne da eruditi, religióne da pittori per decorarne le vòlte
o le pareti delle sale.
Cotesta religióne doveva dileguarsi davanti un' altra re
ligióne di amore e di pace, che gli uómini predicò fratelli,
e maledì 1' uomo, il quale tormentava, faceva piangere la
creatura di Dio. Ma il tristo seme d' Adamo, sfidata la
maledizióne celeste, contaminò 1'ópera del1' Eterno, la nuova
religióne circondò di terrori, di superstizióni, di scherni, di
vittime umane, di sacerdóti crudeli, e per aggiunta dei papi,
re e sacerdóti, i quali si cingono con tre corone la testa, come
per simbolo, che pésano funesti alla terra tre volte più dei
re, somiglievoli in tutto al1' antica chimera, congérie mos
truósa di drago, di capra e di Mone : però non, come la chi
mera, favolósi, ma vivi pur troppo e palpitanti indle sedi del
Vaticano.
Clemente VII e Carlo V insiéme ristretti s' ingegnavano
a ordire un patto, che vaglia a costringere le generazióni per
56 ITALIAN READER.

sempre dentro un cerchio fatato, dentro una rete di dia


mante ; si affaticavano a rinnuovare 1' esémpio di Prométeo,
apparecchiando al1' umano intendiménto catene eterne e
1' avvoltóio divoratóre. Stolti ! Se gli occhi declinavano al
fuoco, che ardendo loro davanti nel marmóreo cammino
aveva ridotto in cenere cópia di legna, se verso la vòlta li
rialzavano, dove erano effigiate le immagini degli Dei, come
caratteri di una lingua che più non s' intende, avrébbero
compreso :
" Le nostre cose tutte hanno lor morte,
Siccome noi "5

e 1' ala infatigabile del tempo rómpere le trame orgoglióse


degli uómini, non altriménti che fòssero veli di ragno.
Seduti entrambi, Clemente da un lato, Carlo dal1' altro
di una lunga tavola coperta di velluto cremesino a frange
d' oro, con le insegne della Chiesa ricamate in oro e sovr' essa
carte e pergamene di ogni maniera, brevi, trattati e capitoli
quivi spiegati, quasi in satira delle scambievoli loro insidie,
quali col suggello di Spagna, quali colle armi del1' Impero,
parte con le palle dei Medici, parte ancora con 1' immagine
di S. Pietro che pesca,6 e invano rammenta al superbo pon
téfice la povertà della chiesa primitiva di Cristo.
Con benigne sembianze si contemplavano; ma 1' anima
di Clemente nel suo segreto si struggeva d' invidia per
Gregorio VII, a cui fu tanto la fortuna cortese, che gli
trasse7 davanti nella rócca di Canossa 1' imperatóre Arrigo
IV con i pie nudi e il capestro al collo ad implorare tutto
umiliato misericordia per Dio ; Carlo poi forte gemeva di
desidério nel cuore rammentando la felicità di Filippo il
Bello, il quale non pure potè méttere le mani addosso a
Bonifazio VIlI in Alagna, ma fare anche in modo, che
siccome era vissuto da volpe, aveva regnato da lione, così
morisse da cane.8
Egli era potente di giovanézza e di forza, sicchè le im
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 57

prese delle varie sue armi potévano denotare in quel tempo


gli attributi diversi del1' animo e del corpo di lui ; in esso la
vigoria del lione, in esso la tenace immobilità delle torri di
Spagna, in esso finalménte lo sguardo del1' aquila austriaca,
sguardo di preda, sguardo di cupidigia insaziabile. Quanto
gli acutissimi suoi occhi sopra le carte geografiche del mondo
potévano contemplare, tanto bramando il suo pensiéro ab
bracciava. Se il Creatore aveva dato alla terra una cin
tura di mari, egli la corona del suo capo dilatando intendéva
racchiùdervi dentro la terra e 1' océano ; a guisa di eterni
confini disegnava porre le punte del suo imperiale diadéma
là dove il creato termina e 1' abisso incomincia ; avesse an
cora dovuto abbattere la croce dal globo, insegna della sua
dignità, per sostituirvi la corona !
Fronte ampia, dove i pensieri incalzavano del continuo
altri pensieri, come fanno 9 le onde del mare. Al1' improv
viso però cotesta fronte di rugosa diventava piana, i concetti
vi si aggiravano sconnessi nel modo appunto, ch' è fama vo
lassero con sùbita vertigine per 1' antro della sibilla le fòglie,
ove stavano scritti gli oracoli del Dio. Cotesta vicenda
istantanea rammentava il metallo, il quale, prorompendo
infiammato dalla fornace per fòndere, la statua di un eroe,
spezza talora la forma e si disperde nelle viscere della terra.
Aveva con i regni eredato i vizii del sangue dei suoi mag
gióri. Il padre Filippo gli trasfuse 10 nelle vene 1' anelito
perpétuo di dominio dei principi austriaci, e 1' ardiménto
dei duchi di Borgogna. La madre, Giovanna gli dava
la cupa penetrazióne dei sovrani di Spagna, e il germe
della infelicità che oppresse la vita di quella infelice re
gina.
Esaltino i pópoli ! Il dolore si posa anche sulla corona
dei re, anzi più sovente sopra le sublimi, che non sopra le
teste dimesse, in quella guisa che 1' uccello di sinistro augu
rio scéglie per sua dimora la torre del barone a preferénza
del tetto della capanna del povero ; il dolore si spande sopra
58 ITALIAN READER.

le gemme dei diadémi, e fa parerle lacrime, o góccie di


sudore affannóso ; il dolore corrode internamente il cerchio
d' oro, e stringe inosservato le témpie, come la striscia di
ferro della corona lombarda.11
Esultino i popoli ! perchè i potenti gémono, ed essi pos
sono 12 rifiutare 1' elemósina della compassióne, o rispóndervi
con un eco di scherno.
Giovanna figlia di Ferdinando e d' Isabélla, móglie del
1' erede di Massimiliano imperatóre, signora delle Spagne,
del1' Indie, dei Paesi-Bassi, forse di mezza Europa, non ha
chi la uguagli in miseria. Almeno Niobe fu convertita in
pietra, e cessò a un punto le lacrime e la vita: ella poi deve
durare lungamente in tale uno stato, che non può dirsi vita,
e non è morte, a piangere la sua ultima lacrima, a bévere
1' ultima stilla di un calice senza fine amaro. Delirava
d' amore per Filippo, e Filippo la fuggiva, ed in breve con
sunto da amplessi non suoi sul primo fiore di giovanézza le
morì 13 tra le braccia. Le tolse u la mente 1' angóscia : stet
te 15 muta : ordinò prima si seppellisse il cadavere, poi cam
biato consiglio volle16 s' imbalsamasse lo vestì di abiti mag
nifici, lo stese 17 sopra un letto di broccato, e quindi si pose 18
ad aspettare che si svegliasse, imperciocchè aveva sentito
dire di un re, il quale era resuscitato dopo quattórdici anni
dalla sua morte, presa da geloso furore non consentiva che
donna alcuna si accostasse a quel letto ; se ministro, o con
sigliére andava per consultarla, il dito gli ponendo sui labbri,
bisbigliava sommessa-:
— Aspettate che il mio signore si svegli ! 19 —
Tale fu la madre di Carlo, e tale fu egli stesso quando
dalle infermità domato e dagli anni mutò la porpora imperia
le in una cocolla da frate, e rotta la corona sopra i gradini
del1' altare si compose dei frammenti un rosario per nume
rare i suoi pater ed ave. Dopo tanto sorso bevuto alla
coppa del potere la gettò lontana da sé, quasi lo avesse
inebriato di fiele. Miserabile ! Che quando a Laredo in
L ASSEDIO DI FIRENZE. 59

Biscaglia baciò la terra dicendo : — O madre comune degli


uomini, nudo sono uscito dal seno di mia madre, e nudo
ritornerò nel tuo ** : — cotesto grido non mosse 21 da una
forte anima contristata, ma fu lamento neghittóso di pelle
grino, il quale si lascia cadere sul1' argine della via, e quivi
aspetta piangendo la morte. Nè quando volle inalzarsi il
fèretro, e assistere vivo alle sue esequie 22 lo vinse ira, o
disprezzo, o fastidio degli uómini, come Silla e Diocleziano,
sibbene la paura del1' inferno. Prima che lo cancellasse la
morte dal libro dei viventi il demonio dello scherno aveva
spento di un sóffio la fiamma di quello spirito superbo, e
sopra la fronte nuda di capelli, di corona, e di pensiero
ridendo scriveva: Qui dentro giace sepolto l'intelletto di
Carlo V imperatóre !
Però da questo tempo a quello, in cui si era ristretto a
parlaménto con Clemente VII, ci correranno trent' anni ;
adesso egli gode meditando, che nei suoi regni non tramonta
mai il sole ; anela portare il mondo sul pugno, come paggio
il falcone : due soli potenti intende che abbiano a temere i
mortali nel creato, lui in terra, Dio nel cielo.
Clemente papa, scuoti la pólvere del tuo sepolcro, rompi
la lapide e móstrati qual eri allora, quali disegni concepivi :
mostrati in somma quale apparirai nella valle Giosafat. Ri
cusi forse svegliarti dal tuo sonno di marmo ? Dirai, che al
cospetto del1' Eterno soltanto vuoi comparire il giorno del
giudizio ? Esci,23 la storia apparécchia il giudizio di Dio, e
rimuóve dalle tombe deg1' iniqui la dimenticanza, onde vi
cada intera la maledizióne delle schiatte succedéntisi nei se
coli. Vorrai u forse minacciare me de' tuoi fulmini ? Ben
altri fulmini che non furono i tuoi, stanno spenti a San-
t' Elena. I nostri pargoli getterébbero via le tue scomuni
che, come vieti trastulli ; i giullari non vorrebbero ram
mentarle nè anche come facezie. 0 San Pietro glorióso,
sarebbe il mondo diventato luterano ! No, no, confòrtati,
papa Clemente ; te, Lutero, Calvino, quanti vi hanno pre
60 ITALIAN READER.

ceduto, quanti vi hanno seguito, mitre, corone, porpore, cap


pucci, Numa, le leggi delle XII tavole, Sant Ignazio da
Lojola, Leopoldo I, San Doménico, e tutto quello che fu,
il Destino ripose B in una vasta urna ; e 1' agita, 1' agita,
finche la sorte o la ragióne non venga 26 ad estrarne 1' ar
cano della umana felicità. Esci dunque, Clemente ; secondo
il costume dei papi e dei re, tu vesti un manto vermiglio.
A quanti oppressóri vissero di sangue talentò sempre il
colore rosso, certo perchè non vi si distinguesse sopra quel
sangue ! 0 sciagurati ! Dio discerne il sangue del pópolo dal
sangue della pórpora. La tua barba diventò bianca per gli
anni, il tuo volto rugoso, le pupille ti tremano sotto le ciglia,
come alla lepre, il corpo hai irrequiéto, ogni rumore ti mette
spavento. Nessuno ti sta alle spalle, chiudesti di tua mano
le porte, e non pertanto ti volgi improvviso dubitando che
sopraggiunga Alarcene,27 il quale ti riconduca28 in castello
Sant' Angiolo, o il più fiero, Giorgio Frandesperg, che
adempiendo al suo giuraménto ti getti al collo il capestro
d' oro M. La fama di prudente conseguita in tanti anni di
ministro di Leone X, ti sei divorato in un giorno di papa,30
su la cima delle umane grandezze la vertigine ti ha preso ;
la tua mente è una sabbia, dove il pensiéro fabbrica, la pau
ra rovina. Tu giaci siil1' orlo di un avello, ma i tuoi con
cetti non apparténgono31 alla pace eterna; se innalzi un
braccio lo fai per percuótere, se stendi una mano lo fai per
rapire. Dal naufragio del tuo pensiéro avanzò sola una
idea, e tu la tieni82 afferrata come una tavola di salute. Tu
ami il tuo bastardo, e tu pure, Clemente, sei tale 33 ; papa
Leone ti concesse la dispensa, sicchè tu potesti arrampicarti
per tutta la scala della gerarchia ecclesiastica ; però in fàc
cia al mondo non v' ha cosa che vaglia 34 a salvarti dal1' on
ta degli illegittimi natali. Il tuo bastardo è camuso, ha i
capelli crespi, le labbra tumide, brutto di corpo, di anima
più brutto . . . beatissimo padre, ti saresti per avventura
mescolato in amore^on una schiava africana 35 ? Ah ! quan
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 61

tunque illegittimo figlio di Giuliano dei Medici, io mi aspet


tava da te gusto miglióre pel bello ; pure sei padre, e lo ami.
Dura condizióne dei potenti, che buoni sieno o tristi i loro
affetti tornino del pari funesti ai propri simili ! Stravolto
adesso da cotesto amore, cosa g1' importa il giusto e 1' one
sto ? Ad ogni costo egli vuole deporre una corona su quel
capo di moro. Se lo poteva, avrebbe per lui convertito la
tiara di pontéfice in diadéma da re ; non riuscéndogli, si
volse as altrove a lacerare il manto d' Italia per girargliene un
brano sopra le spalle ; gli si offerse 37 la patria libera, bella
e innocente, o se pure delitto alcuno era in lei, colpévole di
avergli dato la vita.
Non importa ; quand* anche del metallo della croce che
soprasta la cupola del Duomo di Firenze ; quando anche dei
merli del Palazzo Vécchio ; quando anche delle ossa dei
suoi concittadini dovéssero formargli la corona, basta che sia
coronato ! Fra brevi anni di lui rimarra 38 un pugno di
pólvere ; i presenti lo malediranno e i futuri, che importa ?
Lo esécrino, purchè lo témano, diventi pólvere, purchè coro-
nato.
— Gloria in excelsis Deo, et in terra pax ! — riprese *
Carlo V, come continuando un discorso interrótto, e si alzò
accostandosi al fuoco. — La pace è fatta. Vi pare egli, che
quanto promisi 40 al1' arcivéscovo di Capua in Barcellóna vi
confermi adesso, beatissimo padre ? Sebbene nella impresa
di vostra casa occórrano i gigli di Francia,41 i Medici domi
neranno Fiorenza
— Ma fin qui io non veggo . . . — interruppe42 il Pon
téfice ; e poi si rimase iS esitante a librare se il concetto, che
stava per esprimere, potesse riuscire di troppo sgradito
al1' imperatóre ; pure esséndogli forza aprire manifestaménte
1' animo suo, con voce un poco più dimessa soggiunse 44 :
— Ma fin qui io non veggo 45 che promesse di promesse
mentre per me si dévono 46 di presente adempire 1« condi
zióni del trattato.
6
62 ITALIAN READER.

— L' esperienza lunga che avete, beatissimo padre, degli


umani negózii vi farà di leggiéri compréndere non derivare
da mala volontà 1' inadempiménto momentaneo delle mie
promesse ; ciò avviene,47 perchè di natura loro riguardano al
tempo successivo. Onde preporre,48 la vostra famiglia alla
suprema autorità di Fiorenza bisogna adoperarvi le armi ;
onde restituire alla Chiesa Ravenna, Ferrara e gli altri
Stati perduti bisogna ancora adoperarvi le armi ; perchè il
ducato di Milano prenda il sale dai vostri dominii, e' bisogna
che il tempo glie ne apparécchi la necessità.
— Si, ma finalmente le guarentigie non guastano nulla
... e 1' arcivéscovo di Capua ve ne dovrebbe avere tenuto
proposito a Barcellóna ... e la Maestà vostra dava il suo
imperiale consenso ....
— Non basta forse a papa Clemente la promessa di Carlo
imperatóre?
— Promesse ! trattati ! — replicò il Pontefice con impeto
maggióre di quello di cui altri lo avrebbe creduto capace e
che non avrebbe voluto egli stesso, alzandosi in piedi, ed ac
cennando sdegnoso varie carte spiegate sopra la tavola ; —
ecco nel 1525, prima della battaglia di Pavia mi dichiarai
neutrale tra la Maestà vostra e il Cristianissimo : padre
comune de' fedeli mi pareva, ed era il partito da praticarsi
miglióre tra due principi cristiani, dei quali non mi era riusci
to prevenire le sanguinóse contese ; la battaglia avvenuta,
Lanója vostro stipula meco questo trattato di pace, riceve
centocinquantamila fiorini d' oro, e la maestà vostra nè rati
fica il trattato, ne restituisce 49 il danaro ; nel 27 Lanója vostro
mi sottoscrive quest' altro trattato, col quale si óbbliga allon
tanare il contestabile di Borbone da Roma, quando io gli
paghi ottantamila fiorini ; ritirato il danaro il Borbone non
pure si accosta a Roma, ma con barbarie inusitata la manda
a sacco 60 . . . ora lascio a voi giudicare se le promesse e i
trattati mi affidino. —
E qui i suoi negli occhi di Carlo V fissava, il quale im
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 63

perturbato se ne sta con le spalle volte al cammino, con una


mano si liscia il mento, forse per nascóndere un sorriso sot
tilissimo che suo malgrado gli scomponéva i peli dei labbri.
Poichè rimasero 61 per uno spazio di tempo non breve in
silenzio, Carlo con lente parole riprese 52 :
— Santità, appunto perchè ricusai ratificare i trattati, mal
vi dolete di fede rotta. Il vicerè di Napoli Lanoja i limiti
del suo mandato eccedéndo non poteva obbligarmi ; dove
per me fòssero stati approvati, ora non vi dorreste 63 voi di
averli veduti inadempiti. Del sacco di Roma io rigetto lon
tano da me 1' accusa. Borbone il fece, e Borbone forse ne
pagava la pena cadendo ucciso sotto le mura della sacra
città. Qual cuore fosse il mio alla dolorósa notizia, pensa
telo voi, beatissimo padre ! Per tutti i miei regni ordinai
pùbbliche preghiére per ottenére dal Cielo la vostra libera
zióne
— Ma poichè stava in potere della vostra Maestà, méglio
delle preghiere, a parer mio, valeva un órdine a D. Ferdi
nando d' Alarcon, mio carceriére, di liberare il vicario di
Cristo, e
— Or via riconduciamo la questióne al suo primo ele
ménto, dacchè in modo diverso procedéndo noi verremo M
a smarrire del tutto la diritta via. Intende la Beatitudine
vostra abbattere la libertà di Fiórenza, me commette alla
impresa e da me chiede sicurézza. Santo padre, vi sareste
per avventùra dimenticato éssere io 1' imperatóre Carlo V ?
Ad assolùto signore domandate voi guarentigia per abbattere
una repùbblica? Già troppo le nostre contese han fatto
créscere le petulanze dei popoli, ed io vi dico 55 in verità, che,
dove non ci stringiamo in lega salda e potente, non andranno
sécoli che noi rimarrémo 56 divorati da cotesta fiera da mille
capi.
— Carlo imperatóre, ora io dalle vostre parole comprendo,
come vi abbiano finalménte toccato lo spirito i consigli della
Santa Sede. Le cose stesse che adesso vi sfuggono dai
64 ITALIAN READER.

labbri non vi diceva Leon X ? Non il vostro maestro An-


driano VI ? Non io medésimo ve le ripetéva le mille volte ?
E' tempo che il trono e Y altare si abbraccino per sostenérsi ;
è tempo che noi ci diamo 67 un bacio diverso da quello di
Giuda, da quello che ci diemmo fin qui. Finchè i popoli
guelfi si manténnero,68 o ghibellini, nè credérono potere altri
ménti vivere che parteggiando per lo Impero o per Roma,
allora la nostra lite fu contesa tra i pastori pel gregge ; ora
poi cotesto gregge comincia a conóscere che può fare a
meno della vostra aquila e delle mie chiavi ; si tramuta in
una torma di lupi, la quale non pure brama divorare, ma
intende divorare sola. Quando Lamagna tolse 69 a difèndere
quel figlio di perdizióne, Martino Lutero, io bene conobbi,60
ed altri uómini gravissimi lo conóbbero meco, la querela non
già, come sembrava, consistere nelle indulgènze compartite,
nella comunióne del1' óstia e del calice, e negli altri punti di
dissidénza contenuti nelle tesi di quel maledétto ; no : i
cervelli tedeschi ansiósi di libertà, vaghi di mostrare una
energia da lungo tempo compressa, intésero 61 scuótere il
dolce freno di Roma, come primo anello di una soggezióne
qualunque fosse, per loro insopportabile ; rotto questo, vorran
no62 rómperne un altro. . . . E della catena, Carlo, pensate
che voi ed io tenghiamo i capi. La riforma religiósa è una
palestra, dove diségnano esercitare le loro forze per quindi
vólgersi alla riforma della potenza imperiale. Il giorno
della morte dei papi sarà il giorno del1' agonia pei re. Ben
previde 63 la gloriósa memória del1' imperatóre Massimiliano
la importanza dei casi presenti, e se la morte non lo rapiva
li riparava per certo. Voi, Carlo, le ammonizióni del Vati
cano dal vostro spirito rigettaste, come si scuote dai sandali
la pólvere di una terra maledétta ; voi la Chiesa santissima
affliggéste, voi la sposa di Cristo ne' suoi vicari avviliste ;
ma più della sua Roma saccheggiata, più del suo pontéfice
ridotto in ceppi, ella piange a cagióne del decreto della
Maestà vostra promosso alla Dieta di Spira nel 1526, che
l' ASSEDIO DI FIRENZE. 65

sanzionò la tolleranza della setta diabólica del1' empio Lu


tero sino alla convocazióne del concilio generale ; nè per sè
sola ella piange, ma ed anche per voi, Carlo ; e dì e notte
si addolóra, e nel santuario si raccomanda al divino suo
sposo Gesù, che illumini 1' intellétto vostro, e sensi v' ispiri
di pietà e di prudenza per la scambievole nostra conserva
zióne. I perversi settatóri, nella ignoranza del cuore loro,
fidenti che la Chiesa stia M per esalare 1' ultimo fiato, con
tinuano nel cammino preveduto, e minacciano il vostro trono
imperiale. Ditemi, Carlo, la lega di Smalkalda testè for
mata tra loro 65 vi ha turbato mai il sonno ? I principi Lu
terani si uniscono 66 in un sol corpo, ed implórano contro voi
1' aiuto di Francesco di Francia. Se li muovésse amore di
setta soltanto, vi pare egli che ricorrerebbero a Francesco
vostro emulo eterno e della Santa Sede apostólica figliuólo
amantissimo ? Già spento nel folle loro pensiero il lione di
Giuda si avventano al1' aquila di Costantino.67 Ah ! Carlo,
avete seminato il vento, adesso raccogliéte la tempesta. —
Carlo ascoltava attentissimo il discorso di Clemente, col
collo teso e gli occhi fissi, nella guisa che il mendico guata
per vedere qual moneta e quanta esca 68 dalla mano del suo
benefattóre ; quindi, altamente commosso da quei raziocinii,
prese 69 a mormorare :
— Egli ha favellato da quel valentuómo che il mondo
conosce essere. Ne Aristótile mai, nè S. Tommaso di
Aquino potevano argomentare in più accóncia maniera.
— Ma se le vostre parole suónano sincere, Carlo, voi siete
uno di quelli che il méglio védono e appróvano, mentre al
peggio si appigliano. Se quanto ne stringa bisogno d' im
porre un freno ai popoli conoscéte, se alle mie sentenze
applaudite, se la tolleranza vostra della setta scellerata con
dannate, e perchè dunque, non ha guari, al Dória concedéste
facoltà di réndere Génova libera ? O tra i principii vostri
ed i fatti manca concórdia, o commetteste un errore politico.
Comunque sia, non giungo a compréndervi, nè, considerate
6*
66 ITALIAN READER.

queste cose tutte, io posso 70 nella vostra sola condizióne


imperiale fidarmi abbastanza per vedere spenta la libertà di
Fiorenza.
— La barca di San Pietro si governa con poche vele,
beatissimo padre, ma ben altra si vuole industria a condurre
le faccende del mondo. Se nella Germania poco mi valse 71
la tolleranza dei Riformati, cotesto era un consiglio meditato
lungaménte e molte volte discusso tra i miei più savi mini
stri ; e i tempi che corrévano ne furono per la massima
parte cagióne, e infine il fulmine del1' impero non diventò
ancora per pazienza contennendo, quanto il fulmine del Vati
cano. Voi biasimate troppo. Intorno a Genova rammenta
tevi com' ella non si governi a popolare reggiménto; vedete
quivi la somma delle cose 72 ristretta in mano agli ottimati, e
credete, Clemente, che i pópoli preferiranno sempre la si
gnoria di un solo a quella di molti. Fiorénza invece non
affatto aristocratica mai, ogni dì più tende alla democrazia.
In lei soltanto contemplo, e temo lo spirito di conquista ; ella
cadrà.73 Che mi parlate voi di messere Andrea Doria ?
Purchè abbandonasse le parti di Francia gli avrei, non che
altro, quasi donato la mia parte di paradiso ! L' avventu
rato genovése ha reciso 1' ale alla vittória, e se 1' è fatta
serva. Ma se al Doria concéssero 74 i Cieli la facoltà di
vincere, non gli compartirono del pari 1' arte di governare ;
egli cede al mio génio. Sembra a voi ch' io gli abbia posto
nelle mani una palma, e v' ingannate : io ho fatto come gli
incantatóri, i quali affascinando ti dónano cénere per oro.
Deluso dalle mie parole, gli porsi 75 a stringere una spada
per la punta, non per 1' elsa, sicchè egli vi si taglia la destra,
nè se ne accorge ancora. Può egli il Doria ritornare pri
vato ? Il cittadino che di tanto prevalse 76 nella sua patria
da rivendicarla in libertà, onde ella si mantenga libera dav
vero deve " come Licurgo salire un rogo, e ordinare che la
sua cénere sia data ai quattro venti della terra : messere
Andrea invece vive e governa nella sua città. Gli umori
l' ASSEDIO DI FIRENZE. 67

dei nóbili Genovési non quieteranno mai ; io già vi scorgo


invidie, (Sdii e rancori di sangue. I Fieschi le ire apparec
chiano e le armi ; lasciamo che il furore di cotesta famiglia
si accresca: allora le fazióni cittadine dureranno più funeste
alla città, si turberanno gli órdini, andrà sottosópra lo Stato,
e póvero di averi, vuoto di sangue, implorerà come elemósina
un braccio potente, che possa 7S farlo morire in pace. Nò
il desidério mi trasporta a immaginare cose vane ; altre
volte i Genovési ne hanno somministrato 1' esémpio abban
donandosi nelle braccia dei duchi di Milano e dei re di
Francia ; inoltre Andrea Doria percorse 79 gran parte del
suo cammino vitale ; la sua famiglia procede diversaménte
da lui; la sua virtù rimarrà80 sepolta seco. Io vedo tempo
in cui la repùbblica di Génova viene, come un ruscello, a
portar il tributo delle sue acque nel fiume maestóso della
mia potenza. Ordisco 81 una gran trama col pensiéro, ne
segno con costanza le tracce, ne appetto con paziénza 1' ésito
avventuróso. —
Clemente papa col mento sollevato guardava Carlo V, e
ad ora ad ora crollava la testa tra contento e sdegnoso nel
conóscere 1' intimo concetto di lui, contento per averlo pre
veduto da gran tempo, e poi offeso da quella série di pensiéri
di glória ; come un tristo fanciullo gode scompigliare con una
pietra le limpide e quiete onde di un lago, vi lanciò maligna
ménte tra mezzo la domanda :
— E alla morte ha mai pensato vostra Maestà ? —
L' imperatóre, quantunque per natura cupidissimo, nondi
méno a cagione della stessa intensità dei suoi pensiéri la
sciava vincersi talvolta dalla passióne ; ed esaltato non sapeva
così di leggiéri reprimere la favella, sicchè continuava di
cendo 82 :
— La Francia è un giglio fragile, e la mia aquila lo ha
già sfrondato ; se non m' ingannava un mal génio, tu a
quest' ora saresti, o Francesco, uno scudiéro nella mia corte
imperiale ; la mezza luna non tanto scintilla sublime nei
68 ITALIAN READER.

cieli, che non vaglia 83 a raggiungerla il volo della mia aqui


la ; leopardo inglese, dacché lasciasti comprarti le branche,
apparecchiati a darmi la tua corona in cambio dei miei du
cati ; e tu San Pietro sappi,81 che la mia testa è capace di
portare ancora la tua tiara . . . perché no ? Massimiliano
imperatóre voleva farsi papa ....
— La morte ! la morte !
— La morte ! — proruppe 86 Carlo V, — che fa a me la
morte ? I codardi soccómbono a questo pensiéro, gli ani
mósi lo pórtano come una corona di fiori. E' méglio
lasciare 1' ópera interrótta che non incominciata ... I mo
numénti più grandi che il mondo conosca, si devono al pen
siéro della morte ; parlo delle Piramidi. La morte sta nelle
mani di Dio : 1' uso della vita in quelle del1' uomo. La mia
anima abbisógna che la testa del suo corpo si posi nella véc
chia Europa, il tronco in Africa e in Asia, i piedi in Améri
ca. Io non ancora percorsi 86 la curva ascendénte della mia
vita, non giungo ancora a trent' anni, e se in questo punto
mi toccasse la morte, come Cesare Augusto potrei doman
dare ai miei amici, ai miei nemici, a voi stesso : " Parvi
ch' io abbia ben sostenùto la mia parte nel mondo ? " " Le
imprese da me fino a questo punto operate, se non póssono 87
la mia fama a quella di Alessandro Magno antepórre, basta
no ad avvilupparmi in un sudario che mi salvi dal verme
del1' oblio. Se adesso io morissi, il cuore mi assicùra che
gli uómini direbbero : " Meritava vivere di più." Papa Cle
mente, se voi moriste adesso, cosa pensate il mondo direbbe
di voi ? Egli è vissuto troppo poco, od è vissuto anche
troppo.
.— Ve lo dirò quando sarò morto — rispose 88 il Pontéfice,
continuando a muóvere le labbra in un cotal riso amaro che
ben dava a conóscere quanto lo avesse penetrato addentro
quella acerba puntura; — però fino da questo momento mi
dispongo a lasciarli novellare : dove poi mutassi pensiéro,
ordinerò, come Diógene che mi póngano 89 al fianco una
l' ASSEDIO DI FIRENZE. 69

verga. Ora vediamo di concludere, Maestà ; quando pure


io possa 90 confidare in voi intorno al sopprimere la libertà
di Fiorenza, non devo 91 del pari fidarmi in voi per ciò che
spetta 1' ingrandiménto della mia famiglia. Di ciò pertanto
domando guarentigia. Niccolò della Magna dovrebbe pure
avervi fatto motto92 di sponsali da contrarsi in fade ecclesiae
tra madama Margherita vostra figlia ed Alessandro duca di
Civita di Penna; ve ne sareste per avventura dimenti
cato ? . . . .
— Io non diméntico nulla : ma non la reputava condizióne
necessaria per la pace, e se le mie preghiere tróvano grazia
al vostro cospetto, vi supplico umilmente, padre santo ....
— No, maestà, avete mal creduto : ella è una condi
zióne sine qua noti ; condizióne, senza la quale tornerébbe
scomposta ogni cosa, andrebbe tutto in peggióre stato di
prima ....
— Ma perchè a cimentare la pace tra noi vogliamo im
porre un destino ad un cuore che palpita appena di vita ?
Le labbra di nostra figlia non anche per elezióne proferi
scono93 il nome di padre, e noi vorremo94 costringerla a pro
nunziare quello di marito, come una necessità? Perchè le
ópere nostre, di qualunque natura elle siano, dovranno riu
scire sempre a qualchedùno fatali ?
— Se la fanciulla non intende amore, più di leggieri potrà 95
ispirarglielo il mio Alessandro ; il cuore vergine, quando
prima si schiude al raggio della passióne, ama il cielo, ama
le acque, le piante, e tutto ama . . . pensate or voi, Maestà,
se la vostra figlia si volgerà con affetto a gióvane di cortese
sembiante, il quale le starà attorno studiosaménte con ogni
ossequióso ufficio dovuto al sesso, alla età, al grado di lei ?
E poi, Carlo, il mio sole tramonta, il vostro ascende nella
pienezza della sua luce ; la morte mi ha chiamato, e la sua
voce mi ha conturbato lo spirito. Quando io tra poco gia
cerò cadavere, chi prenderà cura della mia famiglia? Chi
sosterrà99 la sua causa? Se vivo appena potrei difèndere
70 ITALIAN READER.

me stesso non dirò già da' vostri esèrciti invitti, ma da un


solo principe romano, da un Pompeo Colonna, pensate se il
mio nome me morto, potrà difèndere altrui ? Voi, Carlo,
disegnate dominare sul mondo ; la vostra aquila intende
volando fare il giro del globo ; il cielo ha una stella per voi,
e da quanto apparisce 97 sembra questo universale dominio
decretato nel1' alto, dacchè non valse 98 fino ad ora argo
ménto umano a deviarlo o impedirlo. Unite dunque la
vostra famiglia alla mia, ond' ella abbia riparo sotto le grandi
ale della gloriósa aquila vostra.
— Santo Padre, in che mai vi affidate ? La ragióne di
stato non conosce figli» Il re non ha cuore ; perciò che
riguarda 1' affetto tanto è ch' ei palpiti vivo nella sua reggia,
o giaccia " scolpito di marmo sopra la sua tomba. Più fab
bricate in alto, e più correte pericolo di precipitósa rovina ;
piu accostate il fragile edifi.zio della potenza della vostra
famiglia alla mia aquila, e più vi sovrasta il caso che un suo
batter d' ala la cancelli dalla memória degli uómini. Forse
la róndine per costruire che fa il nido alle volte del Colosseo,
gliene partécipa la immobilità ? Si leva la bufera, e il nido
va100 disperso nei turbini, mentre rimane immóbile quel1' eter
no edifì.zio.
— No, Carlo, non favellate così : io conosco il vostro
cuore méglio di voi stesso. Se la vostra figlia avrà freddo,
voi le getteréte addosso, per cuoprirla, un lembo del vostro
manto imperiale, s' ella avrà fame, dal vostro convito di
popoli le mandaréte una provincia per saziarla. Nessun
padre della vostra famiglia fin qui pose 101 le mani nel sangue
dei suoi figliuóli.
— Ma un nepote le ha poste in quello dello zio ! —
esclamò 1' imperatóre traendo un sospiro, — e i tempi futuri
stanno 102 chiusi nella mano di Dio. —
Dipoi simulando risólversi con gran pena a quello a cui si
era disposto molto tempo avanti, soggiunse los :
— Si unisca 10i la mia casa alla vostra e possa 105 il presente
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 71

trattato mantenérsi indissolùbile, come il sacraménto, che


statuiamo adesso tra i nostri figli . . . Però mi è corsa una
voce106 intorno a cotesto vostro duca di Civita di Penna, e
me lo hanno detto camuso, di sembiante osceno, rotto ad
ogni génere di libidine . . . figlio di schiava africana ... —
E qui piegando la persona susurra 1' estreme parole
nel1' orécchio del Papa.
— Chi ve lo ha detto ? — proruppe 107 impetuosaménte il
Pontéfice. — Non lo credete ! e' v' ingannano, egli è buono,
prudente e cortesissimo gióvane ; egli vi amerà come padre
. . . dopo Dio primo. Voi lo avrete, Maestà, ministro
pronto dei vostri voleri, figliuólo ossequentissimo e servitóre.
Certo egli non si cura acconciarsi i capelli nè si mostra
pieno di grazie, o cascante di vezzi 108 ; le fogge abborre e i
costumi di cinedo ; per lo contrario valido di membra non
depone mai il giaco, e di corpo prestante non cede a nes
suno negli esercizii che si addicono 109 a perfetto cava
liere —
E continuava tutto accesso nel volto, con gesti sdegnosi,
quando si accorse 110 che Carlo lo fissava con tale uno sguardo
indagatóre e maligno, ch' egli temè éssersi troppo lasciato
scuoprire. Si rimase lu in tronco pertanto senz' aggiungere
altre parole.
— Io non avrei mai creduto che tanto vi stesse a cuore m
il vostro nepote Alessandro, beatissimo padre — riprese 118
Carlo con ostentata ingenuità ; — ma dacchè voi volete che
sia così, e così sia. A tempo debito Alessandro condurrà in
móglie la nostra figlia Margherita. In questo modo vi
piace ? Rimane adesso nul1' altro da discutere o statuire tra
noi? —
Clemente, guardata prima con molta diligénza una carta
spiegata sopra la tavola, rispose 114 :
— Più nulla.
— A quando 1' incoronaménto ?
72 ITALIA N BEADER.

— I vostri ufficiali di ceremónie possono 115 concertarne il


tempo e le forme col maestro del sacro palazzo.
— Addio dunque, beatissimo padre.
— Anche un istante, dilettissimo figlio, anche un istante
— soggiunse 116_ Clemente accostandosi a Carlo V, e tóltasi 117
dal collo una croce d' oro, ne alzò la lamina superióre, ed
esponendo scoperte le reliquie quivi dentro incastonate,
riprese così :
— Quando g1' infedéli che ósano adesso insultando asse
diare la vostra Vienna imperiale, avevano tutti tremanti
sgombrato il sepolcro di Cristo, un principe di Gerusalémme,
un Lusignano presentò alla Santa Sede questo frammento
preziosissimo del vero legno della croce dove moriva il nostro
divino Redentóre. Se i giuraménti che vi si fanno sopra,
non si manténgono,118 il cielo e la terra non accólgono :l9 più
cosa sacra che basti a vincolare gli uomini tra loro. Carlo,
giuriamo su questo legno, bagnato dal sangue di Gesù, di
conservare inalterabile la pace statuita tra noi.
— Santità — riprese 1' imperatóre commosso, ed altrove
volgendo la faccia allontanava con la destra la santa reliquia,
— non vogliamo,120 di grazia, porre la colpa traverso una
via ch' ella poi non e' impedirebbe percórrere, quando la
necessità ne stringesse, o 1' utile ne invitasse ; e inoltre noi
non saremmo a condizióni pari, imperciocchè voi tenete le
chiavi di San Pietro e con esse la potestà di legare e di
sciógliere, mentre io non troveréi in nessuna parte del mondo
un altro papa Clemente che me sciógliesse dal trattato di
Bologna, come voi sciogliéste Francesco di Francia dal
trattato di Madrid.121 Non giuriamo pertanto ; facciamo
méglio ; industriamoci di mantenére perenne 1' utile che
adesso troviamo nella scambievole unióne. In ogni caso io
sono fermo di non giurare. —
Il Pontéfice turbato si tacque 122.
Carlo agita un campanéllo d' argento. Le porte della
L ASSEDIO DI FIRENZE. 73

sala si aprono strepitóse, e quindi si védono in due ale lun


ghissime disposti in ginócchio da una parte gli ufficiali
del1' imperatóre, dal1' altra del Papa, in fondo di faccia un
prelato in piedi con la triplice croce, insegna della presenza
del vicario di Cristo.
Carlo medésimo si prostrò davanti a Clemente, e in atto
di reverenza divota supplicò :
— Beatissimo padre, vogliate compartirci la vostra apo
stólica benedizióne. —
E il Papa, sollevata la destra, susurrò la benedizióne.
Quali pensieri gli si avvolgessero per la mente Dio li sa 1M
che li vede, ma anche noi possiamo 124 dichiarare, che cer
tamente non furono di amore. Però dei circostanti taluno
ne rimase 125 intenerito fino alle lacrime ; tal altro ne sor
rise 126 come di scena rappresentata valenteménte da attori
famosi : tutti poi si accordarono nel crédere che quei due
potenti avévano trovato utile bastévole per diventare amici.
E Carlo disparve la ; le porte si chiusero m : Clemente
si trovò solo nella stanza ; allora declinato il capo sul cam
mino meditò ; meditò per lunghissima ora : al1' improvviso
si muove, e si pone davanti alla sédia occupata dal1' impe
ratóre durante il collóquio.
— Carlo d' Austria ! — cominciò a dire alzando il dito, e
compriméndolo sopra 1' singolo della témpia destra, — le
libertà dei comuni di Spagna, i privilégi delle città dei
Paesi Bassi, le prerogative degli Stati germanici ti avvilup
pano dentro una rete validissima. Tu ti sforzi con ogni
ingegno per divorarli ; bada, Maestà, il tarlo rodendo si
scava la tomba. La tua potenza non uguaglia il tuo orgó
glio, i vasti concetti della tua mente non posano sopra
un' anima in proporzióne vigorósa ; se pieno di forza ras
somiglia al sole di estate, come quel sole ogni giorno il tuo
spirito tramonta. Maestà, tu mi hai supplicato per ottenére
dalle mie mani una corona ; ah sémplice che fosti ! io sarei
venuto in capo al mondo per offrirtela ; próstrati, Maestà,
7
74 ITALIAN READEIt.

umiliati, perchè mi tarda importi questa corona sul capo ;


io la circonderò di punte invisibili, angoscióse, le quali ti
penetreranno nel cranio scompigliandoti il pensiéro, turban
doti del continuo la coscienza. Io ti adatterò una corona
sul capo, come un collare al collo dello schiavo ; che importa
a me di cingertene il collo, la mano, il piede, o la testa, non
per questo tu diventi meno servo della Chiesa Romana !
Affréttati a prostrarti, Maestà : io m' innalzerò tanto, quanto
tu t' abbasserai, e allorchè Maestà,129 avrai baciato la pólvere
dei miei calzari, ti travaglierai indarno per dominarmi sul
capo. Rendimi grande' con la tua viltà, e in processo di
tempo se vorrai 130 abbattere 1' idolo che tu stesso avrai fatto
grande, o non vi riuscirai, o rimarrai wl infranto sotto la sua
rovina. —

Cornelio Agrippa. — {Capitolo Quarto.)


Voi lo vedete ! I potenti della terra si cingono una corona
di punte per avvertire i pópoli ch' eglino intendono lacerare
e ferire. Alcuni di loro, non so bene se io mi dica * meno
perfidi o più cauti, cuoprirono ipocritamente queste punte,
chi con perle, come i conti, chi con gigli, come i re, chi con
fronde di alloro, come gli imperatóri, ed altri non pochi.
Però badate, per esser coperte le punte non cambiano natu
ra : la tigre ha facoltà di rendere la sua branca gentile,
quanto la mano di una vérgine. Ma se un giorno le punte
volgendosi nella testa di chi cinge corona, restituissero a
costoro il male che fecero altrui, se condizióne di chi anela
portarla fosse di averne le punte confitte nel cranio ; credete
voi che si troverébbe pur uno il quale volesse sostenére ap
partenérgli per diritto divino ? E non pertanto, se a siffatti
martirii non fòssero serbati dalla eterna giustizia i tormenta
tóri dei pópoli, gli uómini lancerébbero contro il firmaménto
tale un grido, che farebbe impallidire le stelle, tremare gli
angioli nei loro sogli dorati, sospéndere la ineffabile armonia
l' ASSEDIO DI FIRENZE. 75

delle sfere . . . , gli uomini urlerebbero : — Il creatóre è


un tiranno ! —
Io per me penso esistere nel mondo enti di così strana
natura, i quali invidiano il trono a Lucifero, quantunque di
fuoco, i quali con animo lieto stringerebbero per scettro
anche uno stinco della própria madre, e perchè no ? Fu
ambito il regno, dove i principi si cingévano le témpia con
una corona di spine, e i discendénti di Goffredo Buglione
non abbandonarono Gerusalémme se prima non vennero 2
cacciati dalla lancia ottomana.
Corona di ferro! poichè a guisa di Olla ed Oliva, le in
fami donne vedute dal profeta Ezechiello, ti lasciasti con
taminare da contatto straniero ; possi un giorno, priva di
gemme, sozza di fango, essere adattata per collare al collo
di uno schiavo ! Tu sei stata infedéle alle teste italiane ; tu
hai volato di capo in capo, ti sei data a chi ti ha voluto
prendere . . . però quando i popoli italiani risorgeranno
alla vita di glória, nessuno vorrà8 del tuo ferro per fabbri
carsene un pugnale, tutti rifiuteranno il tuo oro per compór-
sene 1' elsa della spada.
Ah sacerdóti ! E voi che la promettéste allo straniero, e
voi che faceste innanzi al1' ócchio di lui corruscare il lume
delle sue gemme, come un sorriso di donna ; e voi che gliela
poneste sul capo . . . come vi chiameréte voi? La mia
favella ha un nome per voi, ma le mie labbra non ósano pro
ferire 1' oltraggio che avete le mille volte meritato.
Da Desidério perduta, voi la donaste a Carlomagno fran
cese, poi agli Ottoni alemanni, poi ai Bavari, poi a casa
Lucembùrgo, poi a casa HohenstaurTen ; quindi la proferiste
a Inglesi ! di nuovo a Francesi, poi a casa Hapsbourg, poco
prima se la contésero 4 Francesco di Francia, Carlo di Spag
na: Federigo di Sassónia la ricusò, e tu adesso aneli, o
Carlo di Gand, un diadéma, che altri raccolse 6 un momento,
e subito dopo gittò via come cosa indegna di occupare il suo
76 ITALIAN READER.

pensiero. Egli ebbe dai pósteri il nome di sapiénte ; per te


quello di stolto è troppo poco.
E la stella della tua casa ricambiò con le gemme di quella
corona un sorriso di luce per un tempo assai lungo ; poi la
fortuna stese 6 la mano, e disse : — Basta. —
Comparve7 nel cielo un' altra stella, che vinse8 la tua;
venne sulla terra un fatale destinato a far 1' ultima prova se
la tirannide potesse durare tra gli uómini splendida di glória
e di potenza, con 1' ale del gènio alle spalle ; la tirannide di
Napoleóne : i pópoli hanno divelto 9 la terra dagli artigli
della sua aquila vittoriósa : quale altra tirannide può adesso
aver vita nel mondo ! Se il leone non ha potuto regnare,
domineranno i lupi? Egli cacciò le mani nelle chiome agli
antichi tiranni, e tolse 10 a un punto il sonno dagli occhi e la
corona dalle teste di loro : oh ! com' è miserabile cosa un re
senza corona! meno lo sarebbe senza senno: in questo modo
muoverebbe la nostra compassióne, in quel1' altro eccita il
nostro riso : egli tolse loro le corone, e le gettò dai balconi
della sua reggia ai parenti, ai compagni della sua fortuna, in
quella guisa che un cavaliere novello sparge pugni di mo
nete alla plebe in segno di larghezza.
Te poi, o corona di ferro, non volle donare il fatale,11 e
chiamò il sacerdóte a impórgliela sul capo. Il sacerdóte si
mosse12 a dargliela, imperciocchè egli potesse préndersela,
ma quando si accostò al1' altare, e il sacerdóte cominciò le
sue preghiere, egli impaziente vi stese 13 sopra le mani pode
róse, e da sè stesso se ne cinse le témpie ; allora il sacer
dózio ebbe uno sfrégio nella faccia, il quale ormai non var
ranno14 a cuoprire nè benda di tiara, nè lembo di manto
pontificio, sfrégio che sembra una sentenza di morte incisa
con un ferro rovente sopra la carne ; e tu saresti già morto,
o sacerdózio, se alzando un grido di terrore altri non veniva
a soccórrerti. Qual soccorso però ! Per impedire la tua
caduta essi ti hanno posto ai fianchi due lance per puntelli.
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 77

Ora che cosa hai tu fatto ? Ti sei procurato una lunga e


dolorósa agonia, tu hai voluto funestare le genti con lo spet
tacolo schifoso della tua decrepitézza.
Ma se il sacerdóte, quando il guerriero fatale oltraggiò
1' altare, avesse avuta la convinzióne del sublime suo ufficio,
dove bene avesse sentito se éssere vicario di Dio in questa
terra, gli avrebbe ritolto la corona rapita, e la rompendo
sopra i gradini del1' altare avrebbe detto : — Ecco io la spez
zo, perchè tu la cingi alla tirannide dei popoli, umiliati,
pugno di pólvere, davanti al Dio che cancella le intere
generazióni col cenno del sopracciglio, che solleva alitando
un turbine di mondi; — e dov' egli ti avesse resistito15 tu
avresti levata al cielo la destra, e Dio 1' avrebbe armata dei
suoi fulmini.
Adesso il cielo 1' ha ridonata alla tuo casa, Carlo di Gand ;
ma per quanto? Poichè nel libro del destino non è dato
penetrare, come nel libro della speranza, io abbandóno il
presente e il futuro, e ritorno nel tempo passato.
Già ve 1' ho detto : un giorno si apparécchia negli anni
che Carlo vorrà 16 liberarsi il capo da quel dolore di corona ;
ora 1' anélito del1' amante, che per la prima volta aspetta la
fuccia desiata della sua donna, è troppo poca passióne per
paragonare a quella che agita Carlo.
Contemplatelo nella sala del suo palazzo, corre più che
non cammina da un lato al1' altro, facendo sibilare per 1' aria
violentemente commossa la veste grave di oro tessuto e di
gemme ; talvolta si ferma devanti uno specchio d' argento, e
la mano ponendo sopra le chiome sospira:
— Oh ! quanto mi tarda 17 averle coronate . . . Ferdi
nando mi aspetta ; Lutero e Maométto minacciano la mia
stella .... —
E al1' improvviso volgendosi verso un cavaliere, il quale-
presso al balcone con un telescópio alla mano pareva specu
lasse il firmaménto, gridava :
7*
78 italiÀn eeader.

— Or dunque, Cornélio, il tempo buono viene o non


viene ?
— Divo Cesare, non è anche 1' ora. —
E Carlo riprendéva a passeggiare agitato, e mormorava :
— Che questo sia il giorno più fàusto della mia vita, non
può revocarsi in dubbio : in questo nacqui 18 ... in questo
vinsi a Pavia ... in questo prenderò le corone reale e
imperiale. Apóstolo S. Matteo, tra tutti i santi del paradiso
un buon consiglio concepisti davvero, quando prendesti a
protéggere 1' augusta mia vita . . . tosto ch' io abbia danari
ti farò cisellare un altare e sei candelabri d' oro —
E così continuava,
Cornelio Enrico Agrippa esercitava presso di Carlo 1' uf
ficio di astrólogo ; ed egli ora lo aveva caro, ora lo rampo
gnava e scherniva, ma 1' astrólogo, il quale troppo bene
sapeva prendere il destro,19 nei giorni di favore gli estorcéva
in sì gran copia dignità e danari da consolarsi negli altri
del1' oblio ; e i modi di lui verso il suo reale padrone senti
vano 20 a un punto dello schiavo e del tiranno ; se ruggiva
il leone, ed egli blando, di parole carezzevoli, curvo col
dorso ; se invece esitava, ed egli superbo, rigido di persona,
con la voce tuonante. Non vestiva già zimarra bruna, nè
intorno ai fianchi stringeva una cintura rabescata con i segni
dello zodiaco, squallida la barba, i capelli scomposti, come
gli altri suoi fratelli, al contrario, abbigliate le membra di
bei drappi di seta alla fòggia di Spagna, col collarino bian
chissimo, arme e croce da cavaliere ; a vedersi leggiadro.
L' età sua o giungeva appena ai quarant' anni, o di poco li
passava, di sembianze argute, di colore ulivigno, i capelli
lucidi e neri, gli occhi più neri, e del continuo agitati, le
labbra tumide e accese tremanti in un perpétuo sorriso, il
quale di leggiéri si convertiva in un altissimo riso, ed allora
gli si scuoprivano i denti e gran parte delle gengive, sic
come avviene a tutti gli animali che apparténgono21 alla
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 79

spécie delle scimmie, quando viene lor fatto di schiudere la


bocca.
Tal fu Cornelio Agrippa ; e di natura maligno, si com
piaceva adesso di fare scontare a Carlo con le torture
del1' ambizióne il disprezzo di cui lo avviliva sovente.
Appena nel1' inquiéto suo moto gli volgeva le spalle, egli
staccando 1' occhio dal telescopio guardava dietro il divo
Cesare, e scrollando il capo diceva :
— Póvera creta !
— Cornelio, fa che si operi presto la congiunzióne dei
pianéti — proruppe Carlo percuoténdo dei piedi il pavi
ménto.
— Sacra Maestà, io contemplo non muovo le sfere. Però
1' ora si avvicina : i miei occhi sono abbagliati dal1' osser
vare lo splendore della vostra stella ; io non ne posso più,
sul1' anima del mio cane figlinolo.22
— Non bestemmiare, marrano, o ti consegno mani e piedi
legati al Papa nostro signore. . . . Perchè deponi il tele
scópio ! Vieni qua, non temere, mio buon Cornelio ; torna
a guardare . . . esamina bene . . . nota la congiunzióne,
la casa, e il sembiante dei pianeti
— O Zoroastro glorióso ! — rispose 1' Agrippa, lasciandosi
andare sopra una sédia a braccia aperte, — o come ho io da
fare ? Voi mi volete cieco ad ogni modo.
— Cavaliére Agrippa, accettate di presente questi cento
ducati per comperarvi del taffettà verde da asciugarvi gli
occhi : fin qui noi siamo re soltanto ; domani diventati impe
ratóre, avrete dono imperiale.
— Méglio è perder la luce nel contemplare la vostra stella,
che acquistarla nel guardarne alcun' altra ... io mi ripongo
al1' ópera.
— Cornelio, dimmi, ma dov' è questa stella che tu affermi
mia ? Io ci credo senz' averla mai veduta
— E che importa vedere per aver fede ? Dio vedeste voi
mai?
80 ITALIAN READER.

— Non lo vidi, sibbene lo sento.


— E g1' influssi della stella non sentite voi ? Chi vi fece
eléggere re dei Romani a preferenza del Cristianissimo ?
Chi rese 23 le armi fortunate ? Chi vi mena davanti un
pontéfice umiliato ?
— Ma móstrami la stella : io vóglio vederla
— Accostatevi, Maestà, guardate alla direzióne del mio
fndice sopra la croce del campanile di S. Francesco ; alzate
gli occhi, piegateli a destra in quella plaga del cielo
— Non vedo . . . non vedo nulla.
— Aguzzate lo sguardo . . . tendete le ciglia ... là
. . . colà ... la vedete voi ?
— Ahimè ! — esclamò Carlo con ambe le mani cuoprén
dosi gli occhi, — io vedo ... io ho sentito il dolore di mille
spade che mi pungéssero le pupille, un milióne di atomi
luminósi, una vertigine di fuoco
— Or dunque pensate, se io possa 2i o no sostenére il lume
della vostra stella
— Non importa . . . guarda . . . non istancarti di con
templare ; io ti darò una duchea ... un principato . . .
ma guarda.
E tuttavia le mani soprapponéndo agli occhi tornò a cam
minare di su e di giù per 1' aula reale.
Cornelio Agrippa fissandolo dietro, e con quelle sue labbra
aperte malignaménte sorridéndo, mormorò :
— Vedi ve' 25 che teste da portar corona ! Un' accensióne
di sangue cagionata dallo sforzo degli órgani visivi egli
scambiava in isplendóre di stelle ... ah !
— Agrippa ! — esclama Carlo, calmata che fu la dóglia
delle sue pupille, — io vóglio 20 anche una volta vedér la
mia stella. Additamela ; io vóglio
— Silénzio! Ecco, la mirifica congiunzióne succede;
adesso si opera il portento dei cieli ; il ciclo della stella
austriaca è compito : dapprima lambiva rasentando Saturno
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 81

. . . apportatóre, per éssere frigido e uliginóso, d' infermità


corpóree, come chiragra, podagra e idropisia .... —
Qui Carlo trasse 2* un gemito, perocchè una crudele po
dagra spesso lo tormentasse, e gli facesse risovvenire che
appartenéva alla terra.
Possano28 i re non avere mai col mondo vincolo meno
doloróso di questo !
— Poi si spiccò — continuava Agrippa — dal pianéta di
Saturno, e a modo di ninfa che corre co' capelli sparsi lungo
la riviera, trapassò gran parte del cielo spandendo lontano il
fulgóre dei suoi raggi : si fermò alquanto nella casa di Marte,
iltjuale 1'accolse29 nella guisa che si ricévono gli óspiti
augusti, quinci si rimosse 80 tendendo alla stella di Giove,
1' assunse,81 si ricambiarono un bacio di luce, ed ecco quella
parte del firmaménto ormai apparirà più cara agli occhi
mortali pei due astri fratelli. O Cesare augusto, divo, for
tunatissimo, concedi ch' io primo mi prostri ai tuoi piedi.
Dopo Dio chi più potente di te ? Il mio cuore, come una
tazza di sovérchio piena, non può contenére la sua gióia ; i
miei occhi sono costretti a piangere lacrime dolcissime di
tenerézza —
E prostrato abbracciava le ginócchia di Carlo.
Stava per proferire più parole' assai, quando Carlo
prese S2 ad esclamare :
— Sento 1' influsso della mia stella. Che in paradiso un
apóstolo avesse cura speciale della nostra sacra persona
sapevamo ; che nel cielo girassero pianéti a noi propizii,
non ignoravamo; grandi cose abbiam fatto, più grandi ne
faremo in séguito. Conquistato che avremo il mondo, chi
e' insegnerà la via di arrivare agli astri del firmaménto ? —
Cornelio Agrippa steso ai piedi di lui pensava :
— Sta lieto, Carlo, con due dita di lama di Cordova tu
potrai fare un assai lungo viaggio.
— Che indugio è questo ? I miei momenti sono sécoli
per gli altri : ogni istante della imperiale nostra vita con
82 ITALIAN READER.

tiene il destino di cento generazióni. Che fa egli questo


neghittóso di Papa ? s' egli non istà pronto ai nostri cenni noi
lo rimanderémo, come un servo diventato vécchio —
E così favellando alzò i piedi per balzare, sicchè forte
percosse 83 con uno nella bocca al1' Agrippa, e poi correndo
ad afferrare un campanello lo scosse 84 violentemente a più
riprese.
Cornelio sorgendo, e con la mano tentandosi le labbra per
vedere se lo avesse ferito, mormorava rabbióso :
— Cane di Fiammingo, tu paghi le verità da re, impic
cando chi te le dice, e le menzogne da sacerdóte, con le pro
messe ! Un giorno o 1' altro tu inventerai le indulgente
imperiali. Superbo e misero io ti avrei lasciato, e ti
lascierò tra poco pel tuo emulo Francesco di Francia ; un
imbecille coronato al pari di te, ma più pródigo di quello
che rapisce85 ai suoi pópoli; trattanto io mi compiaccio di
tormentarti ... ho qui in tasca sei congiunzióni di stelle
tutte fatali per te . . . per ora va lieto a préndere la corona,
per oggi il tuo demónio ti scióglie la catena, ungiti del cris
ma, poi unto o no, con la corona o senza, tu non sarai meno
il trastullo dei miei ózii fantastici. —

Coronazione di Caulo V.
Comparve alla subita chiamata il signore di Rodi mag
giordómo maggióre, il quale, semiaperta la porta, sporgeva
il capo e parte del petto, non osando penetrare più oltre.
Tosto che Carlo lo vide lo interrogò dicendo :
— Sire di Croy, qual ora è ella ?
— L' ora che piace a vostra Maestà.
— No, Adriano ; il sole non tramonta mai nei nostri regni,
ma egli si mantiene per sempre il re delle ore ; se gli emi-
nentissimi cardinali vénnero, come spero, ad incontrarci, dite
loro che noi li aspettiamo .... —
I cardinali Ridolfl e Salviati non istéttero 1 molto a pre-
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 83

sentarsi splendidi di cappe vermiglie ; e tolto ambedue


Carlo sotto le braccia, con molta solennità lo condussero ì
al1' aula reale del primo piano del palazzo.
Quivi, parte delle pareti atterrando, avévano praticato
una capace apertura, dove metteva capo3 un ponte magnifico,
ornato di alloro, di mirto, e con fronde verdissime di ogni
ragióne, decoroso per fasciature d' oro e per le armi alter-
nate del1' Imperatóre e del Pontéfice, il quale percorrendo
méglio che duecento braccia di cammino conducéva al tém
pio di S. Petrónio insensibilmente digradando; a mezzo il
ponte parata di splendidi arazzi, illuminata da mille torchi
sorgeva una cappella dedicata alla B. Vergine fra le Torri.
Uscendo dalla reggia per la indicata apertura, primo a
toccare il ponte fu un drappello numerosissimo di giovanétti
nóbili, i quali e per la dovizia delle vesti, e per la bellezza
dei volti mettevano in tutti maraviglia e contento.
Succedévano ai giovanétti, gentiluómini e cavalieri di
vari órdini equestri, ognuno vestito alla sua fòggia, e deco
rato delle varie insegne del1' órdine a cui appartenéva ; poi
venivano baroni, conti, marchesi, duchi, principi del sacro
romano impero, e i primari ufficiali della Corte di Carlo.
Poco dopo, singolare a vedersi ! compariva una immensa
caterva di araldi abbigliati con fogge svariatissime, spediti
per assistere alla solennità della incoronazióne, non pure dai
regni di Aragóna, Navarra, Napoli, Sicilia, Granata, dalla
Borgogna, dalla Germania, e da molte principali provincie e
castelli appartenénti a Carlo, ma ed anche da re e principi
straniéri, come di Francia, Inghiltérra, Scózia, Portogallo,
Ungheria, Polónia, Boémia, Austria, Savoia, ed altri in
finiti. Passati questi sopravvénnero4 i maggiordómi della
Corte di Carlo portanti la mazza d' argento in segno della
própria dignità; ai quali teneva5 dietro Adriano sire di
Croy, signore di Rodi, maggiordómo maggióre, tenendo
alzata la sua mazza di mole assai più grande delle altre.
Immediatamente subentrano col1' órdine che sarà per noi
84 ITALIAN READER.

riferito, i principi, cui incombéva 1' ufficio di recare gli ar


nesi al1' incoronaménto necessarii. Primo di tutti 1' illustris
simo principe Bonifazio Paleologo, marchese di Monferrato ;
veste una cappa di seta di color vermiglio, sovr' essa un
manto di pórpora ; gran parte delle spalle e del petto gli
cuopre una pelliccia di candidissimi armellini. Lasciamo
senza descriverli i molti ornaménti d' oro e di gemme che
davano baglióre in chiunque li contemplava ; ma non pos
siamo ° trattenérci dal rammentare la corona marchesale con
ingegno maraviglióso lavorata, insigne per gemme d' inesti
mabile valore. Nella mano destra egli porta lo scettro
d' oro. Viene secondo lo stremassimo e magnificentissimo
Francesco Maria della Róvere, duca di Urbino, non meno
di gemme spléndido e d' oro, del Paleologo, che porta levato
lo stocco imperiale d' infinita ricchezza. Séguita terzo il
valoróso principe Filippo dei duchi palatini, del Reno e di
Baviéra, doviziosamente ornato della corona e della pórpora
ducali, il quale sostiéne il mondo dorato. Finalménte suc
cede il potentissimo Carlo, duca di Savóia, anch' egli vestito
della pórpora ducale, e incoronato di una corona che fu pre
giata meglio di centomila ducati ; a lui spettava portare con
ambe le mani le due corone reale e imperiale.
Ecco Carlo : la gióia sovérchia lo tinge co' colori medésimi
della paura ; ha il volto pallido, le labbra pavonazze, gli
occhi spenti, e' sembra un condannato tratto a giustiziarsi.
I cardinali diaconi avvolti di un ampio piviale, col capo
coperto di mitria gli stanno a' fianchi, il conte Enrico di
Nassau gli sorregge dietro la coda del reale paludaménto.
Secondo 1' órdine e prerogative loro séguono gli oratóri di
Francia, Inghiltérra, Scózia, Portogallo, Ungheria, Boémia,
Polónia, del duca di Ferrara, Veneziani, Genovési, Sanesi,
Lucchesi, Fiorentini, e di altri non pochi. In ultimo luogo i
consigliéri, i segretarii del consiglio di Césare, separati dalle
altre turbe sorvegnénti, da una mano di cavaliéri armati di
corazze d' oro e di mazze d' arme dal 7 manico d' argento.
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 85

Giunto 8 Carlo nella sacra cappella, il cardinale di Tor-


tosa, commesso a tale ufficio mediante un breve del sommo
Pontéfice, letto dal vescovo di Malta, cominciò a salmeggiare
le preci opportune alla solennità: concluse9 le orazióni,
g1' illustri conti di Nassau e di Lanója custodi del corpo di
Cesare, presero 10 a spogliarlo nel petto e per le spalle di
ogni sua veste, sicchè gli nudarono tutto il braccio destro e
gran parte del seno. Allora il cardinale di Tortosa, non
senza aggiungere altre efficacissime preghiére, gli unse 11 le
coste e tutto il braccio col1' ólio sacrosanto dei catecùmeni.
Il reverendo padre Gugliélmo Vandanésse, véscovo di Leon,
le parti unte con un candido bisso gli asciuga. Ciò fatto,
tornano a vestirlo con una cappa reale di teletta di argento,
con un manto velloso di pórpora svariata di oro, e finalménte
con una stola lunghissima, o vogliamo dire sarrocchino di
bianchi ermellini. Condotto ai gradini del1' altare dai cardi
nali Salviati e Ridolfi, il cardinale di Tortosa prima gli
cinse 12 la spada, la quale avendo Cesare tratta, tre volte
vibrò nel1' aria, e tre declinò a terra, poi riposatala alquanto
sul braccio sinistro tornò ad acconciarla nel fodero. Siffatta
cerimonia mandata a fine, Carlo si prostra davanti 1' altare,
e il cardinale di Tortosa sempre recitando orazióni adattate
al1' uopo, ora gli consegna lo scettro, ora il globo, ora final
ménte g1' impone sul capo la corona di ferro, ad alta voce
proclamandolo re di Lombardia.
— Re di Lombardia ! — gridarono i vicini. — Re di Lom
bardia ! — rispósero la i lontani.
E tanto e siffatto urlo riempì Y aere, che pareva andas
sero subbissati il cielo e la terra.
I pópoli alle parole aggiunsero ". il batter forte dei piedi,
onde si levò un denso nùvolo di pólvere, e la terra prese 15
sembianza di un vulcano che fuma : dai terrazzi, dai bal
coni, di sopra i tetti si vedévano donne, cavaliéri, popolani,
gente in somma di ogni maniera, sventolare pennoncélli di
colore, fazzolétti bianchi, rami d' alloro o di mirto : lungo i
8
86 ITALIAN READER.

muri dei palazzi, dagli architravi delle porte e finestre, in


torno ai fusti, su per i capitélli delle colonne si spiccavano
figure a guisa di cariatidi viventi, le quali agitavano le
braccia in segno di allegrézza.
Uno spirito gentile, tra tanta congérie di uómini, i desidé-
rii, la speranza e 1' alito della vita aveva posto nel1' immagi
nare la tribolata sua patria potente e felice : contemplando
adesso tanto consenso di universale esultanza, dubitò di se ;
per un momento i suoi terrori ebbe vani, onde di nuovo sol
levò lo sguardo per ben conóscere se straniéro veraménte o
Italiano fosse 1' avventuróso coronato a re di Lombardia : e
lo considerando pur troppo staniéro, pensò tra se :
— Ecco, come gli Abderitani, oggi un pópolo intero è
diventato pazzo furióso ; quando egli avrà ricuperato il bene
del1' intellétto, si troverà schiavo. La mano che un' ora
prima applaudiva al signore straniéro, un' ora dopo sarà
grave di catene. —
E gemendo si coperse16 il .volto per piangere lacrime
solitarie sopra i destini della sua patria.
O Luigi Alamanni, se tu ai tempi nostri avessi vissuto,
sapresti che ben altramente i pópoli applaudono alla morte
dei re ! La fiera del pópolo non ha lacrima ; ella urla, sia
che traggano 17 in alto Carlo Magno a coronargli la testa, sia
che vi traggano Luigi Capeto per mozzargliela dal busto !
Gli archibusiéri alemanni e spagnuóli in numero di otto
mila spararono gli archibùsi, i bombardiéra quanto potérono
rinvenire a Bologna e trasportar di fuori sagri, falconétti,
colubrine, smerigli e simili artiglierie costumate a quei
tempi ; onde, secondo che narra Cornelio Agrippa in quel
suo stile ampollóso, parve 18 che : " Giove avesse dato la
via a ciò che di più fragoróso custodiva nei suoi tesori di
fulmini e di tuoni." Le campane frementi si lanciavano
per 1' aria come cavalli inferociti ; da un punto al1' altro
temévano di vedere scaturire la fiamma dai legni e dal ferro
confricati in quella portentósa oscillazióne : hai ! bronzi un
l' assedio di fikenze. 87

tempo chiamati sacri, dacchè il vostro ufficio dimenticaste di


laudare Dio, convocare il popolo al tempio, raccogliere il
clero, piangere i morti, cacciare la pestilenza, onorare le
feste dei santi,19 dacchè, dico,20 il vostro ufficio dimenticaste,
o spregiaste, la vostra voce si spande pei piani e per le valli
solitaria, come la voce di S. Giovanni nel deserto, chiama,
ma nessuno risponde, imperciocchè la voce che ha celebrato
1' esaltazióne del tiranno e le sue stragi, non può glorificare
il nome del Signore, il Santo dei Santi; e non pertanto
anche voi potreste 2l rigenerarvi ; in questa lunga giornata
di tenebre e di servitù abbiamo tutti peccato, uomini e cose,
compiangiamoci dunque e pentiamoci tutti : scendete dalle
vostre torri, fondetevi in cannoni, portate nel vostro seno la
morte allo straniero ; allora, purificate da questo battésimo
di fuoco, quando tornerete a squillare i pópoli correranno,
siccome consapévoli che voi li chiamate per esaltare la glória
di un Dio che protegge i liberatóri della patria.
Intanto per altra parte il Pontéfice s' indirizzava con
la sua compagnia al témpio di S. Petrónio. Precedévano
a due a due i camerari, gli ostiari, i segretari apostólici ;
seguivano dódici dottori del1' antica università di Bologna,
or dianzi da Cesare insigniti con órdine cavalleresco e con
la dignità di conti palatini. Quindi otto patrizi della città
in abito senatório, e poco appresso il rettore della Università
decoroso per vesti purpuree. E gli uni dopo gli altri
seguitavano il Potestà avviluppato in un lucco di teletta di
oro, i giudici di Pota, e cinquantatre tra véscovi e arcivé
scovi venerabili pei loro manti pontificali. Secondo 1' órdine
delle speciali prerogative venivano i cardinali Médici, Gri
maldi, Caddi, di Mantova, Pisani, Santa Croce, Cornaro,
Grimani, di Perugia, di Ravenna, Campéggio, Anconitano,
di Santiquattro, di Siena, e Farnese, ognuno dei quali
portava la mitra, e procedéva ornato di piviali doviziosissimi.
Subentravano i magnifici conti Ludovico Rangone, e il
88 ITALIAN READER.

signor Lorenzo Cibo, entrambi gonfaloniéri di santa Chiesa,


armati di tutte armi. Finalménte assistito dagli eminentis-
simi cardinali Cesarini, Cesi e Cibo, compariva Clemente
VII nello splendore della sua pompa pontificia, avvolte le
membra nel famoso piviale, di cui i lembi si congiùngono sul
petto mediante il bottone, non so se io mi dica 22 più cehbre
a cagióne del lavoro di Benvenuto Cellini, o del diamante
una volta appartenùto a Carlo il Temerario duca di Bor
gogna.
Guardate il vicario di Cristo ! Al successóre di chi an
dava a piedi e le più volte scalzo, ora per poca magnificénza
cavalcare o mula o palafréno, facéndosi trasportare sopra un
pulpito sulle spalle di otto servitóri a guisa di somiéri,
dimostra come da gran tempo il padre dei fedeli tenga gli
uómini in concetto di béstie. Egli non può sostenére il
pallido raggio del sole di febbraio, e con un ampio baldac
chino di seta il capo difende e la persona. I santi, dei
quali egli si dice ministro, non temérono riarsa M dal sole
di Siria la fronte per predicare alle turbe ed annunziare
vicino il regno dei Cieli.
Dietro alla cattedra pontificia si affollava una torma di
abbati, protonotari, prelati, gentiluómini, i quali il più delle
volte non sono uómini gentili, e gente altra infinita di simil
ragióne. Penetrati nel témpio ognuno si dispose,24 conser
vando il grado che gli spettava, nel coro, o davanti 1' altare
maggióre, e diédero salmeggiando immediataménte principio
al1' ufficio da loro chiamato terza ; conchiuso il quale i car
dinali cominciando dal senióre Alessandro Farnese, che poi
fu papa col nome di Paolo III, ossequiarono a Clemente la
consuéta obbediénza baciandogli le mani ; gli arcivéscovi e
i véscovi fecero lo stesso, se non che il Papa, invece di
pórgere al bacio loro la destra, presentava i piedi. Orgo
gliósa impudénza da un lato, di cui non abbiamo esémpio,
tranne nelle oscene cerimónie del sabato, dove la favola
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 89

narra convenire le streghe a fare omaggio al demonio in


forma di becco ; umiliazióne dal1' altro della quale pur troppo
occórrono ricordanze nelle stórie degli uómini.
Ma torniamo al1' altro, dico a Carlo di Gand. Per tutti
i santi del paradiso, ch' è questo mai? Quale strana fan
tasia lo ha preso ? 25 Ella è una cosa a concitare a riso, non
che altri, S. Bartolomméo, quando lo scorticavano vivo.
Carlo il re della Spagna, delle Indie, di Germania, d' Italia,
Carlo adesso comparisce vestito da canónico ; così è : gli
significarono non potere essere eletto imperatóre dei Romani,
dove prima non avesse consentito ad ascriversi tra i canónici
di S. Pietro ! Egli dubitò un momento non lo togliessero a
scherno, e fu per dire a monsignóre Ariosto véscovo di
Berutti, che glie ne esponéva la necessità : — Va via, mar
rano,26 o ti faccio precipitare dal ponte ! — Ma poichè il
véscovo sostenéva senza mutare sembiante quella sua bieca
guardatura, póvero di consiglio, stretto dal tempo, si lasciò
vincere, sicchè in un punto spogliato dei regali abbigliaménti,
fu rivestito della toga, del rocchetto e della mozzetta secondo
il costume dei canónici.
O Roma, le tue percosse sia che il mondo offendéssero o
il pensiéro, érano pur gravi una volta !
In questo stato, non so se io mi dica più compassionévole
o ridicolo, lo condussero " nel témpio di S. Petrónio i due
mentovati cardinali, ai quali se ne aggiunsero 28 altri due, i
senióri fra 1' órdine dei véscovi cioè di Santiquattro, Lorenzo
dei Pucci, il quale sostenéva tutte le cose, comunque ini-
quissime, non disdire al Pontéfice,29 e 1' Anconitano. Ap
pena ebbe posto piede nel témpio con terribile fragore
precipitò il ponte per la lunghezza di forse venti passi ; la
gente ammucchiata forte percosse 80 sul terreno ; alcuni ne
riportarono sconce ferite ; altri col sangue vi lasciarono la
vita.
Spesso mi avvenne considerare, come in queste feste che
i principi danno ai pópoli, vi si méscoli dentro un mal génio,
8*
90 ITALIAN READER.

e le faccia pagare a questi ultimi a prezzo di sangue, sia per


rammentar loro che non dévono ridere, sia piuttosto, come
credo, che la gióia la quale muove dai re, non possa com
parire vermiglia, se non si tinge col rosso del sangue.
I cardinali tenendo in mezzo Carlo, come fiera in guinza
glio, lo menarono a piè dei gradini della cattedra del Ponté
fice, e quivi stettero M. Clemente gli abbassò uno sguardo
dal1' alto, e non potè reprimere un moto dei labbri in con
templando 1' Augusto Césare in veste da canónico ; il quale
sguardo e il quale moto di labbri avendo troppo bene com
preso Carlo V, sentì ribollirsi dentro 1' orgóglio del sangue
spagnuólo ; gli occhi mandarono faville, e una idea gli tra
versò trucissima 1' intellétto, di afferrare cioè per le gambe
il Pontéfice, rovesciarlo dal trono, dalle chiome strappargli
il triregno, ed imponéndolo sopra il suo capo gridare : — Io
sono il re dei re. —
Ma sollevando di nuovo la faccia vide,82 o gli parve 88 ve
dere il sembiante del Papa così pieno della divinità da lui
rappresentata, che sentì sconfortarsi dentro dal rimorso quasi
avesse meditato un parricidio.
Di subito lo trassero 34 nella cappella dedicata a S. Gre
gório, dove lo avvólsero 85 nel1' ammitto, nel camice e nella
dalmatica, e sopra gli pósero 36 il manto imperiale di ricami
e di gemme gravissimo, sicchè non avrebbe potuto di leg
gieri sostenérlo, se il conte di Nassau da tergo, i véscovi di
Bari, del Palatinato, di Brescia, e di Caria, nel regno di
Leon, dai lati non ne avéssero sorretto i lembi ; in questo
modo abbigliato lo fècero andare fino a mezzo del témpio,
dov' è la rota di pórfido, quivi tre volte benedétto si accostò
al1' altare maggióre costruito ad immagine del1' altare di S.
Pietro in Roma. Prostrato sopra un pulvinare dorato, colà
rimase,37 finchè non ebbero cantate le litanie dei santi ; allo
ra due nuovi cardinali,- cioè Campéggio, primo dei preti, e
Cibo, primo dei diaconi, lo condussero in un' altra cappella
consacrata a S. Maurizio.
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 91

Qui dal cardinale Alessandro Farnese, primo dei cardinali


véscovi e decano del sacro collegio, gli furono rinnuovate le
unzióni per le coste, per le spalle e pel braccio destro col-
1' olio del crisma, e il vescovo di Caria lo asciugò. La quale
cerimónia essendo condotta a fine, i cardinali Salviati e Ri-
dolfi lo tólsero 88 di nuovo, e lo menarono a far riverénza al
Pontéfice. Questi allora scendendo dalla cattedra sublime,
si accostò agli altari, e diede cominciaménto alla messa so
lenne : poichè egli ebbe ad alta voce intuonato per Cesare
1' intróito, Carlo si fece presso agli altari, dove abbracciò e
baciò Clemente su la guancia e sul petto. Gli tennero89
dietro i principi commessi al1' ufficio di portare le insegne
del1' impero, e con varie cerimonie le depositarono sopra la
santa mensa. Ciò eseguito, Césare e i principi tórnano ai
seggi loro apparecchiati nel coro, imperciocchè il trono im
periale, in cui doveva egli sedersi dopo la incoronazióne,
sorgeva a destra della cattedra pontificia in cornu epistidae
del1' altare maggióre. Avanzata che fu la messa fino alla
lettura della epistola canónica, la quale Giovanni Alberini
suddiacono apostólico cantò in latino, e Braccio Martelli ca
merario di S. Santità in greco, i cardinali Ridolfi e Salviati
addussero per la terza volta Carlo al cospetto del Papa.
Qui si rinnuovarono presso a poco le medésime solennità di
sopra descritte. Il vescovo di Pistóia prese * dal1' altare la
spada e la porse al cardinale diacono, questi al Pontéfice, il
quale trattala fuori del fòdero, la benedisse prima, e poi la
depose 41 nella mani di Cesare, trasferéndogli i diritti della
guerra con queste parole da lui latinaménte proferite :
— Prendi la spada santa, dono di Dio, adóprala a dis
pérdere i nemici del pópolo del Dio d' Israéle ! —
Se un membro del pópolo miserabile d' Israele, un Ebreo,
3i fosse adesso presentato al1' Imperatóre, e gli avesse detto :
— Difèndimi, perchè questo Pontéfice mi ha ridotto in con
dizióne peggióre dei cani, e tra me e lui non esiste altro vin
colo, tranne quello del porre 42 ch' ei fa una volta 1' anno il
92 ITALIAN READEK.

piede sul collo 43 ai miei rabbini — certo il figlio del Dio


d' Israel sarebbe stato ridotto in così minuti brani, che nis-
suno poi avrebbe potuto, non che altro, rinvenirne la traccia.
Il Dio d' Israel non è più il Dio di Palestina, neppure il
Dio degli Apóstoli ; il Dio d' Israel ha ripiegato le tende
dalle sue antiche dimore, e le piantò in Roma presso il pa
lazzo del Vaticano; egli è il Dio dei preti. I Fiorentini,
da cui nacque Michelangiolo, che dopo tanto spazio di tempo
sentì ed effigiò quel terribile legislatóre degli Ebrei, Moisè ;
i Fiorentini, che per pubblico partito si eléssero44 Cristo
principe della repùbblica, érano i nemici del pópolo d' Israel,
gli avversarii, per 1' esterminio dei quali il Padre dei fedeli
dava la spada santa al1' Imperatóre. O sacerdóti, quanto
fareste ridere se non aveste fatto piangere cotanto !
E Cesare nudò il ferro, e tre volte ne percosse 45 1' aria
ed altrettante ne declinò la punta verso il suolo, forse per
dimostrare eh' egli intendéva sulla terra dominare e nel
cielo. Strinse 46 lo scettro, pegno di fede e di una virtù che
non aveva, nella mano destra, nella manca il Papa gli pose 47
il mondo in simbolo della facoltà ch' egli gli dava per gover
narlo.
Queste consegne di tutto o parte del mondo operate dai
sommi pontéfici, siccome efficacissime nel diritto, non furono
sempre, o quasi mai, praticabili in fatto. Chi può contén
derne loro la facoltà ? Dio esiste signore del creato, il
Papa vive in Roma vicario di Dio nel mondo, dunque il
Papa può disporre di quanto in esso si comprende. Questo
sillogismo ha la sua premessa, la sua minore, la sua conse-
quénza ; a me pare tutto, e in ogni sua parte perfetto. La
luna, il sole, le stelle, le comete, poichè non sono contenute
in questa terra, rimangono escluse ; le altre cose tutte senza
eccezióne di sorte stanno sottopóste al Papa, tanto il Lap
pone, come il Patagano, 1' abitante del Kamciatka, come
quello della Terra del Fuoco : ma questi non udirono mai
favellare di lui, nessuno annunziava loro il regno dei Cieli,
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 93

non conóscono il Dio del Papa di Roma. E che importa se


non lo conóscono ? Peggio per loro, andranno dannati nel-
1' inferno, ma non per questo rimarranno 48 men fermi i diritti
della S. Sede Romana. Se così non fosse si chiamerebbe
ella cattólica, che significa universale ? Dove la cosa non
istesse 49 per 1' appunto, come io la diceva, avrebbe potuto
Martino V, concedere ai re del Portogallo tutte le terre che
loro riuscisse di scuoprire dal capo Boiador alle I'ndie?
Ed Alessandro VI, il Papa di santa memória, avrebbe potu
to con la famosa sua bolla tirare la linea da un polo al1' al
tro, e concedere ogni paese scoperto dalla parte di occidénte
agli Spagnuóli, 1' altro da oriente ai Portoghési ? Uno scrit
tore eretico osserva come non occorresse alla mente del
santo Pontéfice il pensiéro, che ciascuno seguitando dal suo
lato la continuazióne delle scoperte, potévano un giorno ri
trovarsi a contatto, a rinnuovare agli antipodi la questióne di
proprietà. L' erético ha torto, perchè non sa 60 éssere i som
mi Pontéfici, siccome ispirati dallo Spirito Santo, infallibili.
Finalménte il santo padre gli cinse 61 le chiome della co
rona imperiale. Carlo allora, giusta le formalità, si pro
strava curvandosi al bacio dei piedi santi. Era però con
venuto che il Papa non gli lascerébbe compir 1' atto, e
rilevatolo a mezzo lo avrebbe stretto tra le braccia e baciato
nel volto. Ma come resistere alla compiacénza di vedersi
innanzi prostrato un signore di tante provincie ? Non tutti
i giorni si trovano imperatóri da rinnuóvare cotesto osséquio ;
e poi Clemente, lo aveva già detto, si sarebbe rialzato il
sacerdózio, quanto abbassato 1' impero. Si dimenticava
pertanto del convenuto ; il coronato stette lunga pezza nel1' at
titudine dello schiavo : in quel punto la corona gli pesò sul
capo non altriménti che fosse una montagna ; allora gli
parve 52 che il mondo, poc' anzi da lui sorretto nella mano,
adesso di tutto il suo peso gli gravitasse sul corpo ; come il
serpente della Scrittura si nudrì di cenere, e la sentì amara,
senza misura amara, sicchè il suo cervello compresso dal
94 ITALIAN READEE.

pentiménto, dalla umiliazióne e dalla rabbia stillò una góc


cia di sudore, la quale, come quella del1' anima dannata
dello scolare apparsa al suo maestro di filosofia, secondo che
racconta frate Jacopo Passavanti nello specchio della vera
Peniténza, avrebbe da una parte al1' altra traforato con in
sanabile piaga i piedi del Pontéfice, se per avventura vi
fosse sopra caduta 63.
Ciò che riferiscono intorno alla proprietà letifera dello
sguardo di alcuni animali, e' vuolsi M tenere per favola, im'
perciocchè il basilisco non abbia guardato mai in maniera
più truce di quello che facesse Carlo al Pontéfice, quando si
fu rialzato ; ma non gli concéssero 65 tempo di proferire
parola ; le reti dei successóri di S. Pietro avvilùppano con
tanto prepoténte vigore, quando uomo v' incappa, che nè
impeto d' ira, o profondità di consiglio vagliono 66 a rómperle :
lo tólsero in mezzo, lo salutarono imperatóre con tanta luce
di ceri ardenti, con tanto fumo d' incenso ; con tanto fragore
di voci lo confusero,67 che egli stordito, immemore di se, per
poco stette che non cadesse sul paviménto; sentiva suo
malgrado strascinarsi ; soffriva le angóscie del1' uomo vicino
ad annegare, che vede approssimare la morte, e non può
aiutarsi.

Andrea Doria.
O signore e signori, qui convenuti per farmi il piacére di
sentir questa stória, che non oso chiamare la bella, perchè
spesso fa piangere me che la racconto, o ridere di un riso
tristo, il quale mi ha guastato il cuore e la bocca, non so se
io v' abbia detto, e se nol dissi,1 ve lo dico adesso, la cattedra
del Pontéfice, e il trono imperiale per velluti cremesini, per
frange d' oro, per pulvinari, per baldacchini mirabilissimi
éssere stati eretti alla destra del1' altare in cornu epistola.
Ora avvenne,2 mentre queste cose succedévano, che un
personaggio di alto affare del séguito del1' imperatóre si
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 95

accostasse a certa colonna sostenénte 1' arco della cappella.


Dalla parte interna rasentavano la colonna i balaùstri che
racchiudévano il recinto dove si celebrava la funzióne ; dalla
parte esterna scendeva alquanto, e si posava nella sua base.
Il personaggio, gli usi di corte non sapesse o non curasse, o
qualche forte pensiéro gli tenesse occupata la mente, con le
braccia sotto le ascelle, una gamba sopramméssa al1' altra
toccava con 1' ómero sinistro la colonna ; érano le sue mem
bra per robustézza singolari, quadre le spalle, il collo rigido
e grosso, sicchè a vederlo pareva 1' Ercole Farnese appog
giato alla sua clava. Gli anni di lui giungévano forse ai
sessanta ; vestiva un abito schietto di velluto nero, spartito a
strisce di seta celeste, con manto, calze e scarpe del medé
simo colore : nella sua gioventù la bellezza si era compiaciuta
per certo di ornargli il sembiante ; le cure, gli anni e le
fatiche adesso glielo avévano reso severo. Foltissima la
capigliatura gli cuopriva la testa; dalle témpie però era
calvo, e quivi la pelle compariva più pallida per via della
continua pressióne del1' elmo. I suoi capelli non rassomi
gliavano al1' argento per la bianchézza soltanto, sibbene
ancora per una certa consisténza metallica di cui sembravano
dotati ; e le masse della barba eziandio giù per le mascelle
e pel mento gli scendévano come scolpite. I venti delle
tempeste, il sole ardente, le pióggie avévano percosso quel
volto ; ne avéndolo potuto vincere, gli erano ormai diventate
amiche : teneva il labbro inferióre non poco sporgente in
fuori, atto che suole s imprimere 1' abitudine dal1' impero.
Adesso quel suo volto accennava il conato dello spirito, il
quale tenta richiamare una memória smarrita, o si sforza di
rómpere il velo del tempo per léggere nei futuri destini.
Aveva in somma 1' espressióne del poeta che invoca dalla
sua musa un concetto, che varra 4 poi a scuótere le anime
di maraviglia e di terrore ; 1' espressióne del guerriéro che
dal1' alto della montagna dardéggia lo sguardo sulla pianura
per afferrare il momento della vittória. I suoi occhi sta
96 ITALIAN READER.

vano fissi nei troni imperiale e pontificio, e il raggio na


scente dagli ori e dalle gemme si riverberava per modo nelle
sue pupille profonde, che un fuoco interno, ardente in mezzo
al cervello pareva che le accendésse.
Al1' improvviso una voce gli percuóte le orécchie :
— Ardisci ! 5 Muovi un passo, ed óccupa quei seggi
vuoti. —
A lui parve 6 il suo genio avergli bisbigliato coteste pa
role ; e come se fosse stato il concetto di cui andava in
traccia, senza mutare attitudine si rimase * a considerare se
ciò potesse riuscirgli, e il come e il quando.
Poichè si fu trattenuto alquanto in cosiffatta disamina, la
voce stessa più forte mormorò :
— Ardisci ! O'ccupa i seggi vuoti : un passo, e ba
sta. —
Si scosse al1' avvertiménto, si guardò attorno a guisa di
leone, non vide nessuno ; uno sgomento ineffabile lo trava
gliava, quando volgendo la testa dalla parte opposta della
colonna vide di contro a se nella medesima posa atteggiato
un uomo da lui singolarménte riverito e avuto in pregio.
— Sei tu Alamanni ?
— Messere Dória, sono io
— Dimmi, Luigi, come vanno le cose della patria ?
— Il mal la preme, e la spaventa il péggio
— Ostinati che siete ! ma perchè non accordaste con
Césare, quando ve lo consigliai a Barcellóna ? Perchè non
aderiste ai miei conforti a Genova ? Avreste allora conser
vata parte della libertà, la quale adesso avrete a piangere
interaménte perduta
— Prima, perchè, se le cose van 8 male, non sono già
disperate per questo ; ne abbiamo deposto tutta speranza
di vincere. Un' altra volta un imperatóre vide 9 le mura di
Fiorenza, le vide, ma non 1' espugnò.? V".*v. -- -
— Oh ! allora non adoperavano come ora le artiglierie,
che in un tempo determinato disfanno le più sólide torti :
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 97

ogni più arduo impediménto rendono piano agli arditi assa


litóri
— Sì, ma ora, come allora, dietro le mura diroccate stanno
altri muri, più gagliardi, i petti dei cittadini
— Dio vi protegga, Luigi, così vi conceda le sorti favoré
voli, com' io ve le temo contrarie.
— Ad ogni modo i padri hanno creduto migliór partito
éssere tirannide intera, che non la mezza servitù ; impercioc
chè a questa a mano a mano si adattino le anime degli
uomini: ed essendo della nostra natura abituarci a tutto
quanto nun riesce 10 insopportabile, la mezza libertà di biso
gno si converte in desidério, poi in languida speranza,
finalménte ogni vigore si spegne, e la patria si addormenta
al suono delle catene ; nella tirannide intera v' ha un
frémito implacabile, una guerra a morte tra 1' oppressóre
e 1' oppresso ; tra il tiranno e lo schiavo patto ùnico la
morte ; il tradiménto virtù ; studio la strage ; un pópolo
incatenato può u con le lacrime del1' ira, con i ruggiti della
rabbia consumare le catene, comunque di ferro ; un pópolo
assonato non romperà i suoi ceppi, communque di rose
— La tirannide, Luigi, può far piangere ai pópoli un tal
pianto, che gli anni non vagliano 12 ad asciugarlo, può di tal
piaga ferirlo, che gli anni si consumino invano a sanarla.
La tirannide sémina il deserto e la morte. Sentisti tu mai
muóvere rumore nei campi santi ?
— Io ho udito fremer 1' ossa negli avelli ; e i Greci a
Maratóna
— Tu se' poeta ; io poi educato nella esperiénza delle
armi e dei governi, conosco a prova gli Stati non réggersi
con siffatti entusiasmi ; alle armi conviéne opporre le armi ;
le parole, quando inferociscono 13 i soldati, buone ; senza i
soldati, siccome sempre infelici, le più volte ancora ridicole.
Io quando dal ponte della mia galera, il guardo teso sul
mare, scorgo da lontano le vele nemiche, già non conforto i
miei compagni rammentando la virtù latina, le glórie liguri ;
9
y» ITALIAN READER.

e' non m' intenderébbero; addito loro le galere, e dico:


" Prodi uomini, voi lo vedete, il nemico ci stringe ; il vento
ha in fil di rota,14 e a noi riesce impossibile la fuga ; ne voi
d' altronde avete fuggito fin qui. L' armata avversa supera
di un terzo la nostra, ma la nostra è munita senza pari, go
vernata da voi, capitanata da me Andrea Doria sopranno
minato buona fortuna. Su via, apparecchiate le armi : vin
cendo, nostre diventeranno le ricche spóglie, nostri i riscatti
dei prigióni, la glória nostra ; perdendo, diventerémo poveri,
e infami per aggiunta." Ella è più agevol cosa al1' uomo
che se ne sta a sedere, di rizzarsi in piedi ; che non al1' al
tro, il quale giace supino. Male fece la tua città ad avven
turare così grossa posta; io per me penso che ne vada15
della morte o della vita
— Ormai, messer Andrea, cosa fatta capo ha,16 come
disse Mosca Lamberti ; e voi in ogni modo potreste prov
vedére . . .
— E come, Luigi, come ?
— Francia è vuota di sangue e di danari. L' Impera
tóre stringono la riforma e il Turco. Il Papa si assomiglia
agli antichi cadaveri conservati nei sotterranei, i quali si
sciólgono 17 in pólvere, tostochè li abbia tocchi la luce. Ita
lia ! Italia ! La regina dei pópoli : la donna coronata di
torri, ora di spine . . . Ardisci ... ti stanno presso i due
seggi vuoti ; un passo, e basta.
— E' pare un passo, ma egli è un abisso : io ho molto
bene considerata la bisogna, ed ho meco stesso disaminato,
se le mie gambe erano potenti a sì gran salto ; non venne
anche il tempo. Adesso vi periréi, e meco perirébbero le
speranze. Per un passo mosso invano davanti, conviéne 18
darne cento al1' indiétro ....
— Se voi soccombéte, nessun uomo potrà pareggiarvi
nella fama ; se vincete, la terra non contiéne creatùra da
paragonarsi con voi.
— A me non piacciono w queste virtù di sacrifizio ; mia
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 99

divisa è il trionfo. Altri si contenti uscire dal mondo bello


di fama e di sciagùra : io vóglio m vincere. Ne mi conso
lerebbe della caduta, dovessi pure, precipitando, imporre il
mio nome ad un mare.
.— A voi, come ad Icaro, non giungono nuove le vie del
firmaménto ; i venti vi hanno mille volte trasportato il nome
di Andrea Doria.
— Quindi io di tanto più temo la fortuna avversa, quanto
fin qui mi si mostrava favorévole. La fortuna, siccome
donna, ama i gióvani ; ed io son vécchio, Luigi. Agli anni
miei ben póssono 21 concepirsi gli alti concetti, ma il tempo e
il vigore per condurli a fine ....
— Cominciate, Andrea : non è poi così póvera questa
nostra patria di anime generóse, da rimanére insensibili ai
nóbili esémpii ....
— Non oso, repugno dal mettere in avventura 1' ultima
spanna di terra, dove la Speranza può gettare la sua ancora :
non mi parrà serva affatto 1' Italia, finchè io lasci Génova,
come una porta aperta alla libertà. Finche 1' uomo libero
trovi da posare il piede per aggiustare il suo dardo contro la
tirannide, ogni momento della sua vita potrebbe essere 1' ul
timo ....
— Messere Andrea, i poeti hanno nel1' anima gran parte
di Dio ... .
— Lo dicono 2Ì.
— Prova ne sia che io adesso leggo i pensiéri più riposti
del vostro cuore, ne la carne che lo fascia m' impedisce M
più di quello che fosse acqua limpidissima di una fonte o di
un lago.
— E che cosa vi leggi ?
— Vi leggo che a te piace parere più ch' esser grande ;
che il misero pensiéro di famiglia s' insinua tra i concepi
ménti magnanimi di cittadino, e 1' impedisce M di spandersi.
La patria, piuttósto che amare, non ódii ; la desideri grande,
perchè Gianettino e gli altri tuoi riepoti della sua grandezza
100 ITALIAN READEK.

partécipino ; non ardisci avventurare il bene acquistato, per


chè te lo sei fatto tuo ....
— Per Dio ! se non fòssimo qui dinanzi gli altari ....
— Mi uccideresti, e non per questo avresti ragióne ....
— Luigi, io non vóglio sdegnarmi con te. Le tue parole
non mi recano oltraggio ; il tuo cervello perdona al tuo
cuore ; mi conoscerai, quando il tempo avrà umiliata o spenta
la fronte che adesso si corona.
— Péssimo è, a parer mio, quel consiglio che conta la
morte altrui, non la vita própria. Questo desidério di morte
è come una palla che gli uómini si rimandano dal1' uno
al1' altro tra loro : chi le darà 1' ultimo colpo ? No, lasciami,
io ti dirò tutta intera la verità ....
— Va via, importuno : i pópoli mi hanno innalzato una
statua, come a liberatóre della patria ....
— Quei pópoli stessi la ridurranno in mortai per pestarvi
il sale ; forse un giorno il popolo la getterà a terra, e la
tirannide che ti conoscerà traverso il manto dei sécoli, la
riporrà 25 sulla base, come simulacro consacrato ad un pa
rente. Tu hai desiderato la statua, piuttostochè desiderato
di meritarla. Attila ordinò si gettasse sul fuoco un poema, e
per poco stette non vi facesse gettare il poeta Marullo per
chè lo aveva eguagliato ai numi immortali. Tu bevi 1' adu
lazióne a grandi sorsi, come tazze di vino, e come il vino ti
ha tolto il senno. Un cittadino che amasse la patria libera
davvero, noa avrebbe consentito che i suoi concittadini si
prostituissero ad atti conveniénti soltanto fra schiavi e fra
re ... .
— Alamanni !
— Silénzio ! Tu hai cessato d' esser grande, e la tua
voce non ha più potenza di ricercarmi il cuore. Addio :
1' estreme parole furono favellate tra noi ; la medésima plaga
del cielo non cuoprirà più le teste del1' Alamanni e del
Doria. L' ultima stella è caduta, 1' ultima corda si è rotta.
Io gemerò, finche abbia vita, sulla perduta tua fama. Dopo
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 101

Cammillo Romano a nessuno fu dato éssere più grande di


te. Vorrei 26 lasciarti, e non posso 27. Ah ! Doria, salva la
patria. Addio : io ti getto in pegno di un' amicizia che
spira, la scelta di farti il più grande o il più infame deg1' Ita
liani. Abbatti la statua, e sii contento che la tua memoria
viva nella nostra anima ; rendi alla patria le navi con le
quali la salvasti, e con le quali, volendo, potresti nuova-
ménte ridurla schiava ; o se pur vuoi 28 continuare a gover
narle, dirigine il corso contro ai barbari : barbari io chiamo
tutti gli stranieri in Italia. Le Alpi passate e il mare, tor
nerò ad appellarli Cristiani ....
— E la fede giurata al1' Imperatóre ?
— La devi M prima di tutti al tuo paese. E al Cristia
nissimo non 1' avevi giurata ? E non per questo ti tratte-
névi dal1' abbandonarlo. Se il re Francesco scambiavi con
Carlo, ti guadagnasti il nome di traditóre ... se 1' uno e
1' altro per la patria tu lasci, o felice o infelice, gli uómini
altari t' innalzeranno e preghiére .... —
E fu fatto silénzio.
— Luigi ! — dopo un breve spazio di tempo esclamò il
Doria, ma non ottenne risposta. — Luigi! Luigi! — replicò
frettolóso, come se forte gli premesse di comunicargli un
arcano.
Luigi si era pianaménte di colà rimosso, lasciandogli la
tremenda alternativa di éssere grande od infame.
Andrea Doria fu egli grande od infame ? Io non posso 30
giudicarlo. Dirò soltanto che la profezia del1' Alamanni
si avverava. Il pópolo rovesciò la sua statua, il tiranno
sopra 1' antica base la restituiva 81. Ne si conobbe M 1' Ala
manni, in questo solo, profeta.

Fine della Coronazione.


— Viva Carlo V imperatóre dei Romani, signor del
mondo ! Viva Augusto ! Viva Césare ! —
9*
102 ITALIAN READER.

Queste grida discordi ed assordanti tólsero1 il Doria


dalla sua preoccupazióne : guardò di nuovo gli scanni pon
tificio e imperiale, e vide Carlo e Clemente starvi nel1' or
góglio della potenza loro intronizzati.
L' ufficio della messa continuando cantano preghiere, con
le quali invece di supplicare Iddio e i suoi santi per tutte le
creature, li supplicano per un uomo solo, per Carlo di Gand.
Agli angioli, ai troni, agli arcangioli, alle potenze, ai cheru
bini, alle vérgini, ai martiri, ed alla rimanénte corte celeste
non si dice 2 più : Orate prò nobis : sibbene : Vos adiuvate
illum. E' sarebbe stata una cosa giocónda vedere come in
quel punto, Dio esclusivamente occupato per Carlo, il mondo
si governasse senza di lui. E se, come pare, il nosìro globo
continuò a vivere in pace con gli altri, il sole non cessò di
scaldare, la terra di produrre, il mare di vólgere 1' eterne
sue onde . . . uno scrupolo comincia a penetrarmi nello
spirito, che mi farò chiarire dal reveréndo mio padre con
fessóre ... un sant' uomo in verità.
Recitato 1' Evangelo, cantato il simbolo Niceno della fede
cristiana, pervennero 8 al1' offertório. L' imperatóre le vesti
imperiali depositando, rimasto con la tonacélla dalmatica si
accostò al1' altare, e depositò la sua offerta ai piedi del ponté
fice : trenta monete d' oro del valore di scudi dieci 1' una ;
trecento ducati ! Veramente questa donazióne non giunse
alla dovizia di quelle di Constantino e di Carlomagno ! Il
Papa lo guardò sorridéndo. I ricchi prelati della corte
romana tórsero 4 la bocca in segno di disprezzo ; a Carlo
avarissimo, siccome rapacissimo sembrò aver dato anche
troppo. I suoi cortegiani per onestare la miséria del1' atto
inventarono avere egli il costume di offrire ogni anno tante
monete di dieci ducati 1' una, quanti si fòssero gli anni della
sua vita, ed in quel giorno appunto annoverarne trenta.
Al1' Agnus Dei e' fu mestieri che egli si accostasse al
Pontéfice, e di nuovo lo baciasse sopra la destra guancia e
sul petto. Almeno Giuda, con tutto che Giuda, baciò una
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 103

volta sola, e si appiccò per disperazióne ; ora anche la sua


fama si oscura.
Carlo e Clemente adesso genuflessi 5 aspéttano il sacra
ménto della Eucaristia. Il cardinal Cibo (quel desso a cui
Filippo Strozzi lasciò il suo sangue, perchè se ne saziasse 6),
sollevando la paténa, mostra al pópolo il santo corpo di
Cristo : il cardinal di Cesi, présolo 7 dalle mani di lui, lo
porta al Pontéfice, e questi si ciba in cópia del pane sacra
mentato ; 1' anima, e più le viscere conforta col vino gene
róso che il sangue gli rappresénta del suo Redentóre, il quale
nessuna vita sagrificò tranne la sua. Tra pochi mesi il vica
rio di questo Dio, egli medésimo, Clemente, comanderà che
ogni giorno il pane si estremi 8 e 1' acqua a frate Benedétto
da Foiano, e a lui agonizzante contenderà la breve particola
del mistico pane, per paura che vaglia 9 anche di un minuto
a prolungargli la vita. Oli ! come è degno témpio della
Divinila il seno di cosiffatto papa!
E poi si accinse 10 a comunicare 1' Imperatóre ; il conte
di Nassau, e il sire di Croy tenendo i lembi di un pannolino
magnificaménte ricamato lo sténdono davanti il suo volto.
Il Pontéfice sorge, e aspetta che gli porgano 1' óstia. Carlo
solleva inquiéto gli sguardi e accena al véscovo di Caria del
regno di Leon: questi pure gli rispose11 col guardo, ed egli
allora apre la bocca per cibare il corpo di Cristo. Qual
cosa mai significava quel cenno ? Significava che Césare
stesse sicuro ; avere il véscovo, suo fidato, assistito alla com
posizióne del1' óstia per vedere che nessuna altra matéria'vi
si mescolasse dalla farina in fuori ; imperciocchè, Carlo
sapesse Roberto re di Sicilia éssere stato avvelenato nel-
1' óstia, e di pari morte rimasto spento 1' imperatóre Enrico
VII per le mani del reveréndo Bernardo da Montepulciano,
frate di S. Doménico Guzman, di cui Iddio riposi le ossa
secondo i suoi mériti !
Ne altro adesso mi occorre descrivere di questa messa,
tranne la fine. Carlo dai suoi ceremoniéri ammaestrato
104 ITALIAN READER.

doversi in simili bisogne mostrare, anche non avendola, lar


ghezza ; combattuto da un lato dal1' orgóglio spagnuólo,
dal1' altro dalla miseria tedesca pensò un bel tratto,12 e fu di
versare a piene mani titoli, e onori tra i suoi familiari ;
pióvvero 18 a un tratto baroni, conti, marchesi e duchi, che
tante forse non furono le cavallétte mandate da Moisè a di
sertare 1' Egitto. Oh ! la bella cosa sarebbe, se anche noi
potéssimo pagare a titoli coloro i quali ci rendono servigio :
io per me non dubiterei di conferire una croce di santo Ste
fano papa e martire il mese per salario al mio servo ; potrei
dargli di meno ?
Il Papa però non volle 14 rimaner vinto, ed in quel punto
s' istituiva tra loro una gara di beneficenze ; sicchè quando
asceso sui gradini più sublimi del1' altare si volse 15 al pópolo,
e lo benedisse, aggiunse le parole :
— Concediamo a tutti intera remissióne di tutti i peccati,
e indulgenza plenaria per quattrocento anni!
Se i pópoli rimanéssero tolti fuori di se 18 per 1' allegrézza
non è da raccontarsi ; ed io, che dopo tanta distanza e tempo
m' immagino quanto gaudio nei cuori loro dovesse emanare
dal1' aspetto imperiale, e dalla indulgénza di quattrocénto
anni, non posso 17 trattenére dolcissime lacrime di tenerézza.
Potessi almeno render partécipi i miei nóbili lettori, in bene
merenza del1' avermi seguitato fin qui, dei tesori inestima
bili profusi18 dal sommo Pontéfice a chi sa19 quanti palto
niéri e plebei !
Fuori del témpio il pópolo urlava, insaniva, fremeva a
guisa di baccante scapigliata. Perchè nessuna scintilla di
intellétto gli balenasse su 1' anima, qui è pane, qui cópia di
vino, camangiari, e giullari. Sopra una colonna di marmo
stava 1' aquila imperiale,
" Che per più divorar due becchi porta,"
come un giorno cantò 1' Alamanni, la quale da uno dei suoi
becchi versava vino rosso, dal1' altro vin bianco, e giù intor
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 105

no alla base della colonna vedevi prostesi uómini deturpati


da oscena ubbriachézza. Sicchè 1' Alamanni a cotesto spet
tacolo ebbe a dire : " Ecco 1' aquila imperiale rende in un
giorno ai popoli italiani il sangue che loro bevve 20 in tanti
anni, le lacrime che fece loro versare ; ma gliele rende stem
perate nel veleno della stupidità.
Ahi ! popolo, io, che ho viscere 21 di umanità, e sono parte,
di te conosco le tue misérie, e le compiango. Bevi, procii-
rati un sonno uguale alla morte ; le tue gióie consistono nel
non sentire i tuoi dolori. Ora tu sei condotto in piazza,
come un orso ammansito per dilettare i tuoi sovrani padroni.
Dalle finestre, dai terrazzi órdina ti sieno 22 gittati pani e
vivande. Potessi cibarti per un anno, e approvvigionarti lo
stómaco, come una cittadélla che teme 1' assedio, saresti
mezzo infelice, ma domani 1' insolito cibo ti recherà moléstia,
forse anche la morte. Feste, forni e forche, ecco la somma
dei paterni argoménti, con i quali ti governano i tuoi signori.
Domani tornerai a logorarti nelle consuéte officine, a ba
gnare di sudori i solchi dei campi ; quivi travagliati da mat
tina a sera, e 1' opera delle tue mani, il sudore della tua
fronte devotaménte consegna ai re e sacerdoti tuoi. Questi
ti lascieranno la vita, ti lascieranno un pane, il cielo che ti
cuopre, il sole che ti scalda . . . non basta ? Via, ti lascie
ranno tanto spazio di terra da riporvi dentro le tue ossa,
perchè non le ródano i cani. Bada, non ti esca " di mente
che ora ingombri la piazza meno per sollazzar te, che per
divertire i tuoi principi. Rallégrati, ma non ispaventarli :
nella tua esultanza empi talora 1' aere con tale un grido di
frenesia, che agghiaccia il cuore al tiranno, ond' egli battén
dosi la fronte accorre tutto pallido al balcone, per vedere se
balli o se fai strage delle sue lance spezzate 24. Anche le
Ménadi armate di faci, trascorréndo pei boschi sacri, metté
vano spavento : però furono distrutte, i misteri loro aboliti.
Non obliare, uomini armati, delatóri ed armi ricingere i
luoghi, dove i tuoi principi ti chiamano a festa in quella
106 ITALIAN READER.

guisa, ch' è fama, ai capi delle mense dei re di Babilónia stés


sero sagittari con archi tesi a trafìggere chiunque osasse di
levare la faccia. Infatti Antonio da Leva armato di tut-
t' arme siede M in luogo sublime per farti al bisogno fulmi
nare da venti bombarde, e da ottomila archibusieri pronti ad
un moto della sua mano. Ahi ! popolo, quel tuo riso mi an
gustia il cuore ; e' mi pare il riso convulso del1' uomo, il quale,
posata la testa sul ceppo, aspetta la mannaia che cada ....
In ristoro di ciò, il re del1' armi chiamato Borgogna getta
pugni di monete con 1' effigie del1' imperatóre da un lato, e
le colonne col motto plus ultra dal1' altro. Prendi quella
moneta: domani, o popolo, quando il tuo padrone te ne
chiederà due, tu potrai rendere in questa maniéra meno
grave il tuo danno.28
Intanto Carlo si affretta con presti passi alle porte del
tèmpio ; la ma1' aria ch' emana dai sacerdóti, gli aveva
messa adosso la quartana della superstizióne ; sperava dis
siperebbe il cielo aperto quel fàscino : il Papa temeva, ed
aborriva ; gli avrebbe in cuor suo fatto mozzare la testa, e
non osava sostenérne lo sguardo ; le prime idee di venera
zióne al capo della Chiesa, al padre dei fedeli, al vicario di
Cristo gli ritornavano alla mente angustiandolo: così gli
sorgévano nel1' anima altissimi concetti, i quali poi non sa
pendo svilupparsi dalla caligine del1' antica ignoranza, g1' im
pedirono di riuscire, come altramente sarebbe stato, 1' uomo
più grande del suo sécolo.
Il subdolo sacerdóte presentì le ire di quello spirito orgo
glióso, e vi aveva posta opportuna avverténza. Finche
ambedue stavano agli altari, poteva dubitarsi 1' imperatóre
avesse reso omaggio al vicario di Cristo, non già a Clemente
dei Médici. Fuori degli altari gli osséquii sarébbero stati
più, che al vicario di Cristo, resi 27 a Clemente. Però el-
P era cosa disagévole ottenérli ; si provvide 28 al1' inganno.
Varcate di pochi passi le porte del témpio di S. Petrónio,
uno scudiéro armato raffrena per le rédini un bianco cavallo,
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 107

inquieto, ardente, dovizióso di gualdrappa, di frontale, e di


ogni altro arnese consueto ; cotesta non pareva cavalcatura
del Pontéfice, solito a procédere in lettiga, o montato sopra
mula o palafréno. Carlo di aria impaziénte e di luce, desi
deróso di rinfrescarsi il sangue nel bello aspetto del ciel
sereno, perochè un ciel sereno d' Italia, in qualunque stagió
ne sia di per se stesso una festa, e infonda un conforto nel
cuore, che indarno speri da gióie terrene. Carlo stese29
pronte le mani per acconciare alquanto, siccome avviéne 80
ai cavaliéri, la gualdrappa e le staffe, e quandi balzare in
arcióne.
Ma lo fermava pel braccio il Pontéfice, e in suono di
umiltà gli diceva :
— Non farlo, figliuól mio, e imperatóre invitto, mi basta
la umanità che fin qui mi hai dimostrato —
Carlo lo guardava attónito ; al1' improvviso non compren
déva ; poi si accorse 81 esser quello il cavallo del Pontéfice,
ed egli avere per errore umiliata la dignità imperiale fino a
far mostra di volergli tenere la staffa ; vinto da ineffabile
angóscia, aperse S2 le labbra tremanti, e favellò :
— Veramente alla persona vostra
— La nostra persona — interruppe "8 il Pontéfice — di
per sè stessa è nulla, ma poichè ella rappresénta il Creatóre
di tutte le cose, forza è che le creature ci si curvino di
nanzi —
E con giovami leggerézza salito sul destriéro, salutava
della mano Y Imperatóre, e da lui con lo immenso suo séguito
si dipartiva.
I partigiani di Roma, i quali videro 84 da lontano quel1' atto,
esultarono immaginando rinnovarsi i bei tempi di papa Gre
gorio e di papa Innocénzo. Tanto vero è, che spesse volte
1' ódio e 1' amore, più che d' altro, dipéndono dal modo di
guardare alla lontana.
Carlo punge il suo nobil corsiéro, la corona imperiale sì lo
molesta che talora gli prorómpono le lacrime dagli occhi.
108 ITALIAN READER.

Una mano£5 di Bolognési, Angelo Raminzio, Giulio Cesarfno,


il marchese del1' Anguillara, il Rangone, il Cibo, ed altri
infiniti pórtano bandiere e gonfalóni con le chiavi, 1' aquila,
rossi, bianchi, gialli, e neri, e li sventolano al cospetto del
1' Imperatóre. Alla fantasia accesa di Carlo sembravano
un turbine di spettri dei suoi antenati, che gli s' avvolgessero
intorno alla testa, e 1' onta fatta alla memória loro lamentas
sero, la viltà sua gli rampognassero. Il trambusto delle
voci e dei gridi, il frastuóno deg1' istruménti ed il suo nome
ricorrente tra mezzo, urlato in tutti i suoni, lo atterrivano,
come se 1' inferno si fosse scatenato per dirgli vituperio.
Allora aborrì i campi aperti, il sole, la glória terrena, e
sospirò un asilo tranquillo, comunque ignorato ; allora
desiderò la cocolla di frate scambiare col suo manto im
periale. La sua dimora vide avvicinarglisi coll' anélito
del marinaro, il quale dopo un viaggio pieno di tempeste e
di pericoli saluta la riva ; vi pose S6 appena il piede, che
senza aspettare la sólita accompagnatura, ogni qualunque
cerimónia mettendo da parte, salì veloce, e licenziati gli altri,
si chiuse 37 nella sua sala privata insiéme con 1' astrólogo
Agrippa.
Qui, libero da ogni sguardo molesto, spogliò le vesti im
periali e le sacerdotali, di cui lo avevano inviluppato, e tem
pestando le gittò in questo e in quel lato, e :
— Al corpo di Dio ! — diceva in suono di lamento, —
come la camicia di Nesso hanno stillato il sangue nelle mie
vene. —
Quindi le mani cacciando alla corona se la tolse 8S impetuo
samente, e la balestrò di contro alla parete ; molti capelli
essendo attorti per le punte e pel cérchio, egli se li strappò
con acuto dolore, e prorompéndo in un urlo disperato, ambe
le mani portò di nuovo alla testa, esclamando :
— Ah ! mi ha portato via il cranio e il cervello ! Agrippa,
vieni qua, guarda diligenteménte, per certo avvelenarono la
corona —
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 109

Agrippa guardò, e vide che la corona gravissima gli aveva


intorno alla fronte inciso un solco profondo, in mezzo di
color di piombo, digradante ai lati in vermiglio acceso.
— Stia pur lieta la Maestà vostra ; io 1' assicuro che non
è veleno.
— Per Santo Jacopo di Galizia ! — esclama 1' Impera
tóre, sentendo forte bussare alle porte, — chi è che osa
sturbarmi ?
— Maestà! — con tale una voce che più che ad altro si
assomigliava per la paura al belare della pecora, rispose "
il sire di Croy, novellamente promosso al 'grado di conte, —
il banchetto è apprestato ; non manca che la sacra Maestà
vostra per dare acqua alle mani
— Aspéttino ! io non ho fame. —
E poi di nuovo volgéndosi al1' Agrippa continuava.
— O dunque che cosa è ella ?
— Il sangue acceso ; 1' anima esaltata dal1' insólito giu
bilo
— Giubilo ! Hai tu mai incontrato uomo di plebe più
avvilito di me ? Hai tu veduto quali modi ostenti meco,
imperatóre e re, cotesta schiatta di mercanti ? Avevamo
tra noi convenùto ch' io facessi 1' atto del prostrarmi, ed egli
mi avrebbe rilevato a mezzo . . . invece mi ha dimenticato
ai suoi piedi ... ha bevuto un lungo sorso di gióia del
suo trionfo, e della mia stupidità. Ora tutta 1' acqua del
1' Oceano non varrà a lavarmi dalla fronte macchia siffatta.
Dammi 1' elmetto, Agrippa : cuopri la mia vergogna sotto il
ferro del guerriéro : mi abbisógna vincere almeno dieci bat
taglie per diventare soffribile a me stesso : io, vedi, mi dis
prezzo, e dispero ormai questa mia testa possa contenére il
disegno di dominare sul mondo, dacchè ha toccato i piedi
d' un uomo. E tu Agrippa, mi hai dunque deluso, quando
traevi 1' oróscopo ? Così si avvérano i tuoi presagi ? Se' tu
1' ingannatóre, o la tua scienza è bugiarda ? . . . .
— Non proseguite, sacra Corona, o le stelle si vestiranno
10
110 ITALIAN READER.

a lutto per angoscia. Se volete dominare sul mondo, co


minciate a dominare sopra voi stesso, ne consentite che 1' ira
vi tragga 40 a maledire la scienza del re Salomóne, la scienza
divina. A dovere era tratto Y oróscopo ; i cieli non menti
scono41; la vostra carriera luminósa è tutta descritta lassù
nel cospetto Eterno : noi per avventura male lo applicammo,
e questo punto che noi reputavamo rappresentato dalla
congiunzióne della vostra stella con Giove, forse lo rappre
sentava il breve scontro col tardo pianéta di Saturno. E
poi voi stesso non contemplaste la vostra stella ?
— Sì certo : io la vidi . . . ma adesso più dei miei con
quisti futuri, più assai dei miei trionfi passati forte mi stringe
un desidério intenso . . . un' agonia
— Di che cosa, Maestà ? Non istanno nelle vostre mani
il bene e il male? Ad ogni vostro pensiero non potete
aggiungere il fùlmine della vostra potenza per volerlo
eseguito ?
— Potente come sono, in questo non posso 42 nulla, perchè
io faccio impediménto a me stesso. Se quando tenni43
questo papa .prigióne, lo avessi fatto rinchiudere in una
gabbia, ed esporlo in ludibrio ai pópoli . . . ma ora io 1' ho
innalzato, alla faccia del mondo ho sancito la sua autorità
... gli posi 44 in mano le verghe per flagellarmi.
— Io conosco il mezzo alla vendetta.
— Ah ! io ti darei un ducato — riprese Césare, e per
poco non gli gettava le braccia al collo ; — in qual parte di
cielo lo leggevi ? Spiégalo ... io ti ascolterò senza curare
nè di fame, ne di sonno.
— Non 1' ho letto nel cielo : sibbene nelT inferno.
— Nel1' inferno, Agrippa ?
— Non vi atterrite, Maestà, voleva dire45 nel cuore del
1' uomo. Sapete voi, che Clemente prima di esser papa fu
Giulio figlio bastardo di Giuliano dei Médici trucidato nella
congiùra dei Pazzi ?
— Pur troppo lo so
L' ASSEDIO DI FIRENZE. Ili

— Sapete voi come Leone X su i primi mesi del suo


pontificato lo eleggesse cardinale ?
— Anche questo sapevamo.
— Ma voi non saprete i canoni della Chiesa sotto pena
di nullità impedire che i figli nati da illegittimo connùbio
sieno 46 promossi alla dignità del1' episcopato ; voi non sa
prete come per ovviare a siffatto impediménto s' inducéssero
falsi testimóni, i quali la grazia umana alla verità prepo
nendo, depósero, la madre della qual era stato generato,
avere avuto dal padre Giuliano fede segreta di diventarle
marito47
— Prosegui.
— E, non saprete neppure, come al pontificato ascendésse
con manifèsta simonia, perocchè suoni universale la fama
ch' ei lo comperasse mediante una cédola segretissimaménte
firmata di sua mano, con la quale si obbligava di conferire
al cardinale Colonna la vice cancelleria e il sontuóso palazzo
fabbricato dal cardinale di S. Giorgio 48
— Dunque ?
— Ed alla Maestà vostra importa ancora moltissimo com
porre le differénze dei Luterani, le quali, come offèndono il
papato, così un giorno potrébbero 49 offèndere anche voi.
Io penso che non vogliate andare tanto pel sottile50 intorno
alle tesi di Fra Martino, la bisogna sta di porre un calcio in
gola 61 a Giovanfederigo duca di Sassónia, al landgravio
Filippo e a papa Clemente ; tutto ciò conseguiréte in un
punto.
— E in qual modo ? spacciati : come S. Lorenzo mi pare
di starmi sopra la brace
— Convocando un concilio ecuménico. Quivi sarà de
posto Clemente come bastardo e simoniaco, esoso al1' uni
versale ; quivi perderanno la reputazióne Giovanfederigo e
Filippo, alcune pretensióni concedéndo, alcuni pretendénti
guadagnando 62. Che ve ne sembra, sacra Corona ? —
112 ITALIAN READER.

Carlo non lo ascoltava più ; accostandosi alla porta chiamò


Andriano di Croy, e gli disse:
— Sire conte ! mandate ad annunziare la presenza della
nostra augusta persona: voi accompagnateci con le débite
cerimónie al convito.
— Sacra Maestà ! Sacra Maestà ! — correndogli dietro
gridava Cornelio Agrippa.
— A che chiamate, cavaliére ?
— E il ducato ?
.— Oh ! un ducato non si ha mica per le mani,68 come un
consiglio. Abbiamo promesso conferirvelo e lo avrete :
però non ci siamo prescritti spazio determinato di tempo
. . . sperate ... lo avrete . . . sarete consolato. —
Cesare incamminandosi al banchetto, queste diverse parole
si facévano a mano a mano più languide e meno distinte,
come la gratitudine dei re al1' avvenante M che si dilunga
dal benefizio.

1/ Italia e Firenze. — (Capitolo Ottavo.)


Se la tua mano non si contaminò giammai effigiando im
magine di tiranno ; se nel tuo petto arde la fiamma del genio
italiano, gióvane fabbro che avesti dal Cielo potenza d' im
porre alla pietra sembiante umano, vieni e scolpiscimi1
Italia. Prima di volgere la mente a concepirne il pensiéro
contempla il suo cielo azzurro e sereno, le cerulee marine, i
campi flóridi, i colli ridenti : poi guarda il Colosseo, i ruderi
del Foro romano, le Basiliche del medio evo, il Tempio di
Michelangiolo ; rammenta i fieri giuóchi dei gladiatóri, le
solenni ecatómbi, il muggito dei bovi percossi2 dalla bipenne
empire le volte del Panteon di Agrippa ; Giùlio Césare
pontéfice massimo ; ancora, il mémore intellétto diffondi sui
trionfi dei re della terra incatenati al Campidóglio, sopra la
lega lombarda, su Federico Barbaróssa, il Serse superbo dei
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 113

bassi tempi disfatto. Al1' improvviso chiudi la porta del


passato, e guarda un gregge di frati brulicanti pei capelli e
per le membra di una donna estenuata, una generazióne
genufléssa davanti a mille idoli dipinti di rosso, svolgere col
volto compunto una serie di globi di legno o di pietra. . . .
Questo è il rosario !
Domenico di Guzman fondatóre della inquisizióne, carné
fice degli Albigési, inventava il rosario. . . . Oh ! la pre
ghiera di colui che natura vergogna chiamare col nome di
uomo, e la Chiesa salutò come santo, giungerà gradita al Dio
delle misericórdie ?
Sopra il trono di Augusto contempla un vecchio che non
sa regnare, e pure non cessa dalle libidini dì regno, e stende
la mano tremante a tutti i suoi nemici limosinando un giorno,
un' ora, un minuto di regno. Gióvane scultore, fingi quanto
ha di più superbo la grandezza, di più abbietto la miséria,
fingi una fortuna che superi la maraviglia, una sventura a
cui non bastino lacrime, una dimostrazióne infinitamente
estesa di bene e di male, una vita che rinasce sotto gli arti
gli che la lacerano, sotto i denti che la divórano ; tutte
queste cose immagina, ed altre più assai, perchè, vedi la mia
favella manca a narrartele intere ; ponmi 8 qui la mano sul
petto, io tenterò trasfònderti nel sangue le vibrazióni del
mio cuore ; poi scolpiscimi Italia. Fa eh' ella posi il fian
co sopra un lione addormentato ; abbia la corona di torri :
Dio la creò regina, ne mano di uomo può 4 rapirle il dono dei
Cieli, ma la più parte ricoperte di édera, e per lunga stagió
ne scrollate ; le stieno intorno al braccio sinistro avvolti otto
aspidi dal 6 veleno narcótico . . . hai tu bene compreso otto
aspidi ? Se tu non indovini cosa significhino questi aspidi,
vatti 6 con Dio, non sei lo scultore che cerco. Otto aspidi
che le instillano nelle vene il sonno e la morte. Il volto di
lei sia sollenne d' immortale bellezza, e di sventura, come
di persona che abbia inteso una voce dal1' alto, un comando
di risorgiménto. Sopra la fronte attónita apparisca la con
io *
114 ITALIAN KEADER.

tesa tra il sopore del veleno e la vergogna, la memoria di


quello che fu e la coscienza di quello che al presente ella è.
Ricérchi con la destra brancolando la spada da sécoli e
secoli abbandonata ai suoi piedi.
Perchè no?
Cola di Rienzo tribuno strappò un giorno lacrime di rab
bia al pópolo romano con la pittura della Italia combattuta
nelle procelle7. . . .
Io innalzerei un témpio consacrandolo alla Italia sconso
lata, e poi chiamerei i suoi figli gridando : — Venite a con
fortare vostra madre che piange un pianto di secoli ! —
Custode del témpio noterei i nomi dei pellegrini, farei
tesoro delle ire dei pópoli, e quando avessi contato ventimila
volte cento mila, salirei sul giogo estremo delle Alpi medie.
. . . Angioli del giorno finale datemi voi la voce che risvé
glia i defunti ! Ed urleréi con tutta la forza delle mie vi
scere ai quattro venti della terra : — Figliuóli d' Italia, avete
pianto tutti ! O Calabrése, tu hai giurato davanti al simu
lacro, come 1' Alpigiano giurò: abitatóri delle tre sponde
Italiche, te vostre ire qui fremérono uguali ai vostri flutti in
torno alle vostre marine; qui pari suono mandarono le ca
tene di tutti. . . . Sorgete dunque una volta nel nome santo
di Dio! —

Salute, o Firenze la bella ! Fabbricata su campi lieti di


fiori, appellata dal nome dei fiori, essi ti concedévano eterna
la facoltà di piacére, e tu pure sei un fiore caduto dai giar
dini celesti ; in testimónio delle magnificénze del paradiso
germogliato sopra la terra. Una corona di colli ridenti ti
circonda, bella a vedersi come la cintura di Vénere. Colà
sagrificava Lorenzo dei Médici alle grazie e alle furie ; in
quella parte meditò li suoi scritti Francesco Guicciardini
istórico sommo, péssimo cittadino ; in quel1' altra Galiléo,
Colombo dei cieli, quantunque volte lanciò lo sguardo al fir
maménto, altrettanti mondi vi discopérse,8 sicchè forse gelosa
L* ASSEDIO DI FIRENZE. 115

dei suoi arcani natura, è da crédersi,9 gli chiudésse nelle téne


bre 1' audacissimo sguardo. A vederti su 1' ora del meriggio,
quando il sole ti scintilla nella pienézza dei suoi raggi sul
capo, quando il cielo che di te s' innamorava ti cinge limpido
e diafano, e per le tue vie si sparge un fragore di gente e di
ópere, tu rassomigli a una Ménade stanca di córrere per le
balze riposarsi palpitante, e bagnare le lunghe trecce nelle
onde del1' Arno, e vagheggiarsi come consapévole della sua
leggiadria nello spécchio delle acque. Verso sera poi neh" ora
mesta del1' Ave Maria, se il sole declinante ti manda da lon
tano un addio di foco, ed infiamma il vapore di che il tuo
fiume diletto ti cinge la fronte, quasi nembo radiato, col
quale incorónano i cristiani la testa ai loro santi, allora tu
sembri una vérgine di Raffaéllo ; divina per espressióne di
affetto materno, per luce celeste che discende dal1' alto, pe'"
glória di angioli esultanti. Ma di',10 Firenze, cosa hai tu
fatto dei tuoi giorni di glória ? Dove i tuoi lioni coronati ?
Dove gli uómini grandi ? Ahimè ! Nessuna fra le tue
sorelle italiche più di te comprende nel seno illustri defunti.
Glórie di sepolcro ! Superbia di avelli ! Miserabile vanto !
Certo un pugno della cénere di quei morti vai méglio di
mille tuoi vivi . . . non pertanto ella è cénere. O Firenze !
dove sono i tuoi grandi ? Tu ridi . . . veraménte così
com' è quel tuo sorriso par cosa creata in cielo, però una
volta assai diversa ridevi. In capo 1' elmo, impugnata la
lancia, vergine e diva ti mostravi alle genti quale apparve
Minerva uscita dalla testa di Giove ; poi 1' elmo t' increbbe,11
deponésti la lancia, facile sorridésti a chiunque passò per le
tue vie ; lo straniéro ti vide, si accese 12 di te, e un giorno
che te ne stavi immémore, la man ti pose M sul corpo deli
cato. . . . Ah ! da quel giorno i tuoi occhi furono gravi di
lascivia, il tuo sorriso si uguagliò a quello della Odalisca
che suo malgrado sorride al feroce Sultano, perchè non
V offenda con le battiture
116 ITALIAN READER.

Amore. — (Capitolo Oliavo.)


— Conoscéte la Italia? ella è terra di delizie e di vul
cano ; conoscete il cuore dei suoi figli ? due sole passióni se
ne dividono il regno, amore e ódio. . . . L' amore talvolta
diventa ódio, 1' odio non muta mai ; dei due ódii poi terribilis
simo il primo, entrambi fuoco d' inferno, ma il primo fatto
più intenso dalla gelosia, dalla vanità offesa, dalla ricordan
za dei piacéri goduti, dei piacéri perduti . . . ólio e bitume
sopra una fiamma di per se stessa tremenda. Dio mi creò
per amare ; io mi ricordo di un fanciullo sensitivo, vago di
solitudine, abbandonare il trambusto della città, e lontano nei
campi voltarsi, indiétro a contemplarla, come 1' Alighieri
descrive il naufrago che uscito fuori dal pélago alla riva, si
volge al1' acqua perigliósa, e la guata ; egli si avvalgéva pei
boschi, udiva la voce arcana che par1 che mandi la natura al
suo Creatóre, ascoltava commosso 1' armonia degli uccelli, ed
invidiava la voce loro per cantare anch' egli un inno di gló
ria, e le ali per accostarsi al firmaménto, perchè gli avévano
detto il Padre del creato abitare nei cieli : quanto tesoro di
affetto era nel1' anima di quel fanciullo ! Appena la cam
pana della sera indicava 1' ora dei morti, prosternato davanti
alla immagine di Gesù Cristo non senza lacrime la suppli
cava per le anime dei suoi defunti . . . per tutti quelli che
purgandosi aspéttano di sollevarsi alle gióie divine : egli
aveva una parola di conforto per qualunque sconsolato, un
voto per ogni afflitto, un soccorso per ogni bisognóso, e
quando incontrava sventure che non potévano consolarsi,
bisogni che non potévano sovvenirsi . . . piangéva. Ah !
quel fanciullo fui io
Noi altri Italiani2 e' innamoriamo in chiesa; colà la
mezza luce che nelle ampie navate si diffonde traverso i
vetri coloriti, le melodie degli órgani, il profumo deg1' in
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 117

censi, le voci angéliche di fanciulli invisibili esiliano i sensi


e ti dispóngono 8 ad amore ; in quel punto, se i tuoi occhi
lassi di vagheggiare una Madonna creata da Raffaello
abbassandosi incóntrano tipo di cotesta Madonna . . . spa
ventato ritorni a sollevare gli occhi alla immagine, dubbióso
che discesa dal quadro siasi fatta viva. ... La immagine
però non si mosse,4 ma ormai i tuoi occhi non si alzeranno
più alla immagine per adorare Dio. Lui adorerai nella
vérgine che piange e che ride ; la vérgine che muovendo lo
sguardo affretta o arresta le pulsazióni del tuo cuore. Fi
nalménte Raffaello non infuse 5 la vita nei suoi dipinti !
Allora il cielo si confonde alla terra : il Creatóre adori nella
creatura: al1' impeto naturale della passióne tu aggiungi
1' impeto della passióne religiósa ; la febbre acuta t' invade
le fibre e 1' ossa ; le arterie delle témpie ti pulsano quasi
voléssero rómpersi ; vertigini di fuoco ti si avvólgono dinanzi
gli occhi . . . odi frequente un tintinnio negli orecchi che
ti tormenta, e non vorresti cessato ... il petto si gónfia in
spessi sospiri . . . uno sguardo ti ha mutato tutto ; nulla è
più tuo ; ogni cosa più ùmile ti par superba ; se il piede
della donna che ami ti calpestasse . . . sarebbe il sommo
del tuo paradiso : questo è amore italiano ... ed io 1' ho
provato ! — ....

Francesco Carduccio. — (Capitolo Nono.)


Suonavano le due ore di notte, quando Dante da Casti
glióne, armato come soleva di corazza, di bracciali, e di
spada, salutato il buon uomo 1 che vi stava di guardia, entrò
nel palazzo della Signoria : 2 siccome lo conoscévano svi-
sceratissimo di quel reggiménto lo lasciarono andare non gli
dicendo altre parole, se non queste une : — Dio vi mandi la
buona notte, messer Dante : — quantunque portasse sotto il
mantello cosa, che tentava occultare.
Penetrato nelle più secrete stanze bussò pianaménte ad
118 ITALIAN READER.

una porticciuóla, e gli fu sùbito risposto : — Avanti ! — Oh !


siete voi, Dante. Io vi aspettava ... mi avete portato le
vesti ?
— Mai sì, Messere : eccovi il tocco e la cappa spagnuóla,
col cappuccio di dietro, ch' è una meraviglia ; se vi avvisate
portarla di giorno sareste riputato il maggior sbricco 8 di
Fiorenza.
— Orsù aiutatemi a svólgermi il becchetto del cappùccio
dal collo : bene ; or tienmi 4 la manica del lucco : gran mercè ;
porgi la cappa . . . qua il tocco ; ti pare egli che póssano
riconóscermi ?
— Ne anche màmmata . . . direbbe messer Franco Sac
chetti.
— Andiamo. —
Uscirono ; il magistrato chiuse 5 con diligénza la porta
delle sue camere, e scese 6 guardingo ; già egli non tenne '
per uscire, le scale comuni, sibbene ne prese 8 certe segrete
per le quali giunse 9 alla postierla del palazzo, che metteva
capo 10 in via della Ninna ; svoltarono sùbito in via dei Leoni
procedéndo in silenzio, e giunti che furono sul canto del
Borgo dei Greci, il magistrato si ferma, e piegatosi al1' orec
chio del Castiglióne gli comanda :
— Dividiamoci, andate per esso e conducétele a me
— Dove? —
— Non ve lo aveva io detto ? Al cimitéro di S. Egidio.
— Dante tornò sopra i suoi passi : rifece la via dei Leoni,
passò vicino Baldracca, e per la piazza dei Castellani venne
lungo Arno, dove camminando fino al ponte alle Grazie lo
valicò in fretta, e si condusse 11 al poggio S. Miniato ; quello
che andasse a cercare costà vedremo poi, adesso seguitiamo
il magistrato nel suo cammino notturno
Ingombro di tristi pensieri s' incamminò al luogo del con
vegno, al Camposanto di S. Egidio, noto eziandio col nome
di cimitero delle ossa ; di questo luogo di morte adesso non
esiste vestigio ; giaceva sul lato di ponente dello spedale di
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 119

S. Maria Nuova ; empiva chiunque si facesse a visitarlo di


riverénza e di terrore. Sopra la porta era scritto : Dies
nostri quasi umbra, e in minore cartello la sentenza del di
vino Alighieri :

Le nostre cose tutte hanno lur morte


Siccome noi ; ma celasi in alcuna,
Che dura molto, e le vite son corte 12.

In fondo dirimpetto alla porta il Frate e 1' Albertélli ac


cumulavano, secondo lo stile della nostra religióne, a larga
mano ls immagini di spavento, con le dipinture delle severità
del giudizio finale, e gli strazii crudeli del1' inferno ; intorno
alle mura e ai colonnati con fiero órdine vedevi accatastate
ossa e téschii, e talvolta far di se orrenda mostra scheletri
interi ; per ogni dove trofei di distruzióne e motti dolenti,
iscrizióni sepolcrali, parole di universale o di particolare
dolore. In quei tempi, nei quali la superstizióne forte agi
tava le menti del popolo, non è da dirsi, se durante la notte
aborrissero vólgere i passi da cotesta parte, e il magistrato la
sceglieva appunto per essere sicuro di non rimanére stur
bato nel suo misterióso collóquio.
A passi lenti il nostro personaggio percorse 14 due o tre
volte il ricinto ; a mano a mano i suoi passi diventarono più
celeri; i pensieri gli sorgevano, gli roteavano turbinósi in
mezzo del capo ; umana favella non avrebbe potuto signi
ficare i suoi affetti ; in un baleno scorreva tempi remoti e
recenti, immaginava i futuri; si sdegnava, s' inteneriva,
esaltato dalla contemplazióne di qualche alto disegno in re
gióni men triste della terra che calpestiamo, si sublimava, o
al1' improvviso, morso 15 dal dùbbio, gli cadévano le forze e
piangeva ; finalmente gli proruppero 16 dal1' intimo seno
queste parole slegate. — Io cammino su le ossa di due
cento e più mila 17 uómini ! Qual fiamma uscì da costoro,
prima che si facessero tanto mucchio di cénere ? Nulla ; e
si, che tutti sortirono un cuore per sentire, una mente per
120 ITALIAN READER.

pensare, un braccio per percuótere ; nulla ! e si, che 1' anima


loro oscillava continua, come quella degli altri viventi, tra
1' ódio e 1' amore. La notte m' impedisce léggerne le iscri
zióni ; se il sole colla pienézza dei suoi raggi le illuminasse
tornerebbe lo stesso, perocchè il tempo abbia la sua notte
profonda, e 1' oblio sia la sua tenebra. Eppure tante anime
non possono 18 avere vissuto invano ! Chi sa quanti Ali
ghieri dal divino intellétto, quanti Micheli Lando, quanti
Pieri Capponi, quanti Giacomini Tebalducci dórmono qui
sotto i miei piedi ! La lampada arse M sotto lo staio, non
scintillò gloriósa sul candelabro. Consumati forse dal pró
prio fuoco si spensero20. Ed ora, che i fati apparecchiano
eventi a manifestare la virtù che 1' uomo ebbe in parte dai
cieli . . . ora giacciono21 pólvere inanimata, le generazióni
mancano ai tempi, più spesso i tempi mancano alle genera
zióni
Centinaia di migliaia d' uómini che dormite qui sotto,
dov' io potessi evocarvi e costringervi a rispóndere a questa
mia domanda : " Ogni uno di voi annóveri il tempo della
sua vita dai giorni che ha vissuto felice ; " quanti, che giun
geste agli ottanta anni, direste : " Noi non vivemmo mai ! "
. . . Ecco questa mia patria innocente non ha difesa ; chiama
dal Cielo soccorso, e il Cielo le sorride sopra un sorriso di
scémpio e non 1' aiuta. Le repùbliche Italiane ad una ad
una saettate dalla tirannide rinnuóvano la stória dolorósa
della famiglia di Niobe. Fiorenza sola rimane ultima, e
sopra il suo cuore si accumula il pianto di tutte ; ella eredò
un tristo retaggio di glória e d' infortunio. . . . Cadrà!
. . . Oh ! . . . cadrà, e noi non avremo pianto, e alle nostre
ossa oltraggeranno ingrati nipoti ; già noi vituperano vivi !
Possa 22 almeno esser grande la sua caduta, quale conviéne a
un astro che contese solo alla tenebra di errore e di tiran
nide, la quale si addensa sopra 1' universa Italia; si spenga28
come la fiaccola al1' impeto della bufera. . . . Dio, che ci
neghi più efficace conforto, sovviéni 24 almeno 1' anima nostra
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 121

in questi ultimi aneliti ; ci manda dal1' alto una virtù che


vaglia ^ a far sì, che un giorno la nostra bella morte sia
argoménto d' invidia a quelli stessi che vivono.

Michelangiolo Buonarroti. — (Capitolo Nono.)


Dante da Castiglione era giunto ai bastióni di S. Miniato
con ammirabile arte condotti per industria del divino Miche-
langiolo Buonarróti, il quale non vécchio ancora, che di poco
altrepassava il cinquantacinquésimo anno, di membra vigo
róse e spigliate, con quel suo impeto terribile si vedeva tra
scórrere veloce da un punto al1' altro senza posare un
momento ; pareva la mente agitatrice di tutto il pópolo quivi
raccolto ; lo avreste detto per quel suo roteare fantastico il
genio custode della città :
Dante, comunque robustissimo, indarno si affaticava a
raggiungerlo ; ora se lo vedeva comparire sopra la testa,
ora sotto i piedi, ora lontano sui lari, sicchè quasi stava per
disperarsi. Da qualsivóglia parte Michelangiolo si volgesse
lasciava utili insegnamenti, e esémpii buoni, o parole che
poi diventavano sentenze tra quei popolani innamorati della
sua virtù.
Giunto presso a un parapétto non anche terminato, pa
rendogli che troppo tardassero a compirlo :
— O neghittósi ! — favellò, — non sapete voi che da questo
lato domani potrebbe entrare la palla mortale per la nostra
amorosissima patria. —
E gli operai :
— L' uomo fa quello che può, noi non abbiamo cento
braccia.
— Cento braccia — riprende Michelangiolo — non bastano
là dove basta un solo fermo volere. —
E gli operai di nuovo :
— Non ci garrite, Michelangiolo, noi stiamo dietro a co-
11
122 ITALIAN READER.

test' altri, pure hanno cominciato il compito quattro ore


prima di noi.
— Guai a quello — replica tosto il Buonarroti — che
cerca difesa al próprio fallo nel male operato altrui ; chi va
dietro ad altri non gli passa mai avanti.
— Con voi, maestro, non si vince, né s' impatta ; tra due
ore ve lo daremo finito.
— Questo si chiama parlare : a rivedérci fra due ore. —
Di là balza a un fosso ; gli scavatóri s' erano addentrati un
braccio più della persona nel terreno, e attendevano a pene
trare più oltre : la voce di Michelangiolo passando gli am
monisce 1 :
— Figliuóli, la terra su i poggi è più solla che al piano ;
badate, che smottando non vi seppellisca2; ponete due assi
lungo le pareti, e puntellatele con una trave per traverso a
contrasto, allora siete sicuri come in casa vostra. —
Ed altronde volgendosi incontra un gruppo di uómini i
quali si sfòrzano a portare su in cima al póggio una grossis-
sima lastra di pietra ; vi sottopóngono 8 tutte le mani ; poi
riunéndo i conati tentano di pure una volta rotolarla; i
mùscoli dei bracci risaltavano nella maggióre loro tenzióne,
protuberanti erano le vene delle témpie, gli occhi quasi
scoppiati fuori del1' órbita.
Michelangiolo si 'compiacque 4 alquanto nel considerare
quelli arditi contorni ; vagheggiò quella parte del1' orditura
del corpo umano, poi soddisfatta la vóglia di artista lo prese 6
amore di cotesti maleaccórti :
— Indietro ! — grida entrando improvviso in mezzo di loro,
— porgétemi dei travicelli, qui, spingételi qui dentro ; or vi
adattate sotto una pietra; notate, quanto più il punto di
appóggio si accosta al punto di contrasto maggiór forza
acquista la leva ; ora da questa parte, uniti insiéme pieghia
mo la leva verso la terra ... su ... su ... su .. . ecco
voltato il lastrone . . . continuate, in questa maniera, e fra
mezz' ora lo avrete posto in cima. —
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 123

Di lì si stacca, e arriva ai fossi che si scavano sopra


un' altra parte del monte ; i manovali barellano la terra, e
gettandola lungo i baluardi s' ingegnano a renderli sempre
più stabili : un vécchio di bella apparénza, e di sembianza
degna di meno umile occupazióne rimasto solo si sforza di
recarsi in capo la barella, e senza aiuto far solo e vecchio,
quello che gli altri in due e gióvani fanno ; però la facoltà
non rispondéva al proponiménto, sicchè nel volto gli si legge
1' ostinazióne che manca e lo sconforto che comincia.
Michelangiolo gli è sopra, lo considera alquanto, e poi :
— Padre — gli dice — e' parini,8 che voi non siate fatto
per cosi basse ópere.
— Bassa ópera ! — risponde il vecchio : — quando torni in
utilità della repùblica io non so7 come possa chiamarsi bassa.
— Ma tra zappare, barellare la terra — soggiunse 8 il
Buonarróti — e dettar leggi ci corre una certa differénza. —
E il vecchio :
— Quando tutti i Romani zappavano vinsero 9 tutti. —
Michelangiolo soprastétte 10 alquanto pensoso, quindi ri
prese 11 :
Però le forze vi . mancano ... e per troppi anni siete
male atto a coteste fatiche.
— Ah poco pietóso cittadino perchè mi fai sentire con le
tue parole 1' amarézza di non poter giovar méglio alla mia
patria ? Era pure più degno di te, invece di consumare il
tempo in vane novelle, stender le braccia e pórgermi aiuto a
trasportare la terra.
— In fé' di Dio, hai ragióne. —
E qui Michelangiolo presa 12 la barella dalle stanghe di
dietro, perchè salendo il monte minór peso sentisse il vécchio,
gli dava aiuto a portare.
Costretto Michelangiolo a procédere a lenti passi con
cedéva agio aLCastiglióne raggiungerlo ; come infatti ane
lante, bagnato tu sudore il raggiunse,18 e tostochè gli venne
occanto con voce ansósa lo chiamò :
124 ITALIAN READER.

, — Messer Michelangiolo !
— Che ci è egli,14 mio bel garzone ? —
E Dante vie più accostandosegli sommessaménte gli dice :
— Il Gonfaloniere manda per voi.
— Ora non posso 15 ; bisogna prima che porti questa ba
rella ; sùbito dopo sarò con esso voi. —
Quando la terra fu scaricata, Michelangiolo con amorévole
piglio si volse 16 al vecchio cosi interrogandolo :
— Padre, vorreste voi dirmi il vostro nome in cortesia ?
— Nacqui 1T nel contado di Fiorenza, ho lavorato i suoi
campi, ho combattuto le sue battaglie, ho pianto alle sue
tribolazióni ; il nome nulla aggiunge o diminuisce 18 alla mia
vita : io mi chiamo uomo. —
E toltasi 19 la barella sopra le spalle se ne ritornava Ih
donde si era dipartito.
— Costui — esclama Michelangiolo lo accennando col dito
al Castiglióne — dev' essere un uom fatto grande dalla sven
tura o dalla pazzia. —
Era cotesto vecchio il padre di Annalena ; se Michelan
giolo indovinasse giusto, a suo luogo e tempo saprete.
— Or via ditemi, messer Dante, a che mi chiama il Car
dùccio ?
— Per cosa al certo di gravissimo momento ; con molto
arcano vi aspetta nel cimitero di S. Egidio.
— Sta bene ! obbedisco,20 seguitemi un istante. —
Ciò detto, riprende quel terribile uomo i suoi presti passi ;
rifacendosi dalle falde del monte si dirige alla cima visitando
le opere, lasciando órdini, e tuttavia ammonéndo, rampo
gnando e lodando ; venuto al sommo del poggio si volta
al1' improvviso ad una forma, che così al barlume Dante su
le prime non ravvisò se fosse, o no animata, e con affettuose
parole le dice :
— Dch ! in guiderdóne al tuo fattore, o Vittória, finche io
ritorni non partirti da questi baluardi.
— Che cosa è ella Michelangiolo ? — domanda Dante.
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 125

— Vedi! —
E presa una torcia di mano a un marraiuólo che passava,
svela allo sguardo del Castiglióne stupefatto, una statua
colossale rappresentante la Glória militare, o la Vittória
scolpita in un masso di pietra serena. Ella era in atto, che
volgendo il capo dal1' altra parte non curava mirare la città
di Firenze, che appunto le veniva a mano sinistra ; aveva
1' ale ; in capo 1' elmo, ed armi e simboli altri diversi sparsi
sul monte che le serviva di base M. »
— Che te ne pare ?
— Mi pare divina.
— La è poca cosa ... io 1' ho condotta così senza mo
dello, e di notte 22.
— Di notte ?
— Certo di notte . . . perchè dormendo non mi riposo ; il
sonno, vedi, mi addolóra la testa e mi fa cattivo stómaco 2S ;
io mi sono fatto una celata di cartoni, ci adatto in cima una
tórcia, e in questo modo ho lavorato la Vittoria M. —
Dante si sentiva oppresso da tanta grandezza accompa
gnata da così alta modestia ; se in quel punto Michelangiolo
gli avesse imposto : " curvati adórami," egli lo avrebbe
adorato, imperciocchè le anime generóse, comechè sviscera-
tissime della libertà, tocca profondaménte la religióne del
genio ; dopo un breve silenzio quasi supplichévole gli do
manda :
— Divino intellétto, ditemi, perchè la vostra Vittória il
capo torce dalla vista di Fiorenza ? —
E Michelangiolo dopo un lungo sospiro :
— Perchè! o Castiglióne, che so25 che accogli un cuore
sdegnoso dentro al tuo seno, mi domandi il perchè ? Mi
risparmia 1' amarézza di palesartelo ... tu dovresti averlo
già indovinato.
— Pur troppo ! Ogni antico valore nei fiorentini petti è
affatto spento
— Lo hai detto.
11*
126 ITALIAN READER.

— E allora voi scolpiste in dileggio questa Vittoria ?


— Io non ho schernito mai . . . spesso rampogno ; io le
scolpiva 1' ale di pietra, perchè il suo volo fosse lento ; i
Fiorentini, se vogliono, possono 26 raggiungerla. Se molto
temo che fugga, più molto spero rinvenirla al suo posto ; ne
mai 1' amore si scompagnò dal timore. Adesso andiamo. —
E qui con la man destra si fregava la manica sinistra, e
con la mano manca la manica destra, poi con ambedue scuo
teva i lembi del saio per cacciarne la pólvere ; ciò fatto ri
peteva :
.— Andiamo. —

Amor Patrio di Michelangiolo.

— Buona notte, messer Carduccio ; eccomi ai vostri co


mandi.
— Benvenuto, Michelangelo, Dante, andate a vigilare su
la porta, e per cosa che accada non lasciate penetrare anima
viva qua dentro. —
Il Castiglione silenzióso pone la sua persona colossale tra
verso la . porta del cimitero ; una sbarra di pietra non ne
avrebbe meglio impedita la entrata.
Il Carduccio con man tremante impalma il Buonarroti, e
poi comincia in suono, che profonda commozióne rendeva
fioco :
— Michelangiolo, se, comunque alto il sagrificio che or vi
propongo,1 pur fosse a cuore umano possibile, già non vi chie
deréi io fin dove la patria può 2 fidare su voi : avvegnachè a
chiara prova conosca il vostro nome suonare quanto di
grande si comprende e di magnanimo nel mondo. Però il
caso presente è tale ch' io mi veggo 8 forzato a dirvi prima :
Michelangiolo potete voi nulla rifiutare alla patria ?
— Nulla.
— Michelangiolo, avete voi bene compresa la domanda ?
Avete misurato intera la estensióne della vostra risposta ?
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 127

— Carduccio mio, quando architétto o scolpisco,4 io misu


ro ; quando mi affatico in pro di Fiorenza, io sento ; il cuore
che delibera, è già freddo, e dai carboni spenti avrai fumo,
non fiamma. In somma, siccome voi non mi domanderéste
cosa, che voi stesso non foste apparecchiato a fare, così an
cora io mi chiamo pronto a farla.
— Michelangiolo, io non la farei.
— Non la fareste !
— Io con queste mie mani chiunque me la proponesse
ucciderei ... il mio sangue a góccia a góccia, e tra i più
acerbi tormenti versato, la vita dei miei figli, le mie case
alle fiamme . . . tutto questo darei . . . ma non mi baste
rebbe 1' animo, oh ! non mi basterebbe pel sacrificio che do
mando da voi.
— Allora, Carduccio, voi avete dimenticato essere Michel-
angiolo un uomo, in me i terrori e i dolori, in me i consigli
incerti, la costanza poca, le passióni del cuore, le imbecillità
della mente, come in qualunque altro mio fratello di morte :
perchè mi dimanderéste cose superióri alla umana natura ?
Chi vi dava diritto a supporrai angélica creazióne ? Se voi
poteste vedermi le sette rughe impresse sopra la mia fronte,
comprenderéste di leggieri starmi ancor io in potestà del
tempo, ed essere caduco e mortale.
— Eppure quanto io domando, o da voi solo, o da nes
sun' altra creatura nel mondo si può 6
— A Dio non piaccia,6 ch' io mi senta men grande di
quello che altri s' immagina, o il bene della mia patria abbi
sógna. Magnifico Gonfaloniere parlate.
— Da una parte v' è tale una glória che gli angioli stessi
potrebbero desiderare nei cieli ; evvi 7 una corona splendida
più che se fosse di stelle; un' altezza, quale gli uómini pós
sono invidiare, non vincere od aggiunger giammai ; una
rinomanza, presso cui i più famosi dei tempi andati o recenti
impallidiscono 8 superati dalla nuova luce ; nessuna favella
basterebbe a cantarne le lodi, qualunque nome conosciuto fin
128 ITALIAN READER.

qui sarebbe poco alla sua virtù ... nè liberatóre, ne salvató


re, nè ottimo massimo troveremo sufficiénti, se gli uomini non
lo chiamassero Dio, certo come Dio lo adorerebbero e terreb
bero 9 in pregio. E dal1' altra parte un' infàmia perenne, un
nome irrevocabilmente accompagnato a quello di Giuda,
una scusa eterna ai codardi che rinnégano la virtù, una rovina
senza fine e senza riparo. L' aquila delle Alpi rade con
ala potente il margine del precipizio e le rupi scoscese ; ella
può giunta sulla vetta del monte più alto posarsi alquanto
a librare nuovo volo e confòndersi eccelsa pei cieli . . . qual
che mortale rassomiglia al1' aquila.
— Messer Carducci, apritemi il vostro pensiero.
— Ecco, io vi parlerò come al cospetto di Dio, da cuore a
cuore, senza celarvi nessuno dei più riposti arcani. Michel-
angiolo, la patria è in pericolo ed io dispero salvarla.
— Oh! dolore!
— Una speranza rimane, e consiste nei soccorsi dei princi
pati d' Italia. Il popol nostro di per se solo opererebbe pro-
digii, ma il popolo crede ai suoi profeti, e molti tra questi io
ne conosco falsi ; voi ben sapete i Medici essere stati ban
diti non in benefizio del pópolo, sibbene in pro degli Otti
mati i quali intendévano governare invece di loro ; la parte
del Cappone pertanto, non che guadagnare con la cacciata
dei Médici ha perduto, e adesso desidera restituiti gli antichi
signori per ricuperare in parte quanto si vide 10 portar via
dalle mani. Ella non perdona la mia promozióne al1' ufficio
supremo ; già ella medita gli accordi, e non conosce, incauta !
che vuol presentarsi di suo moto spontaneo al carnéfice con
la corda al collo. Qualsivóglia atto del governo calùnniano,
ogni via impediscono11 inosservati gli segano le vene e gli
tólgono 12 le reliquie estreme del suo vigore ; il pópolo amico
sempre del bene, ma ingannato dalle apparenze, nella fiducia
di comméttere ópera pia lapiderà i suoi veri difensóri, e
prima che abbia tempo di ravvisarsi, avvinto nelle mani, col
frenello alla bocca, non gli sarà concesso il dire o 1' operare ;
L* ASSEDIO DI FIRENZE. 129

sógliono 1S poi i tiranni lasciare liberi gli occhi per piangere.


Manca la pecunia, perchè nascosta nelle viscere della terra, e
il governo mal può adoperare gli argoménti usati dai principi
per farla ricomparire. Mi turba il sonno lo scaltrito Ba-
glióni, non mi assicura il Colonna, vedo gli altri capitani dis
cordi tra loro. A noi abbisógnano per vincere esterni sussi-
dii, sieno pur pochi, sieno misteriósi, anzi giova, che sieno ;
tanto varrà,14 perchè la parte del Cappone dubbiósa e tre
mante sospetti noi non sostener soli la prova ; malgrado le
mostre diverse molti potenti aiutare copertamente Fiorenza,
le scemerà 1' ardire. Allora vorrà 15 farsi un merito di
quello che teme di non potere ovviare ; il danaro, che ora-
mai più non possiamo avere per leggi, conseguiremo per via
di doni, di imprestiti, per sovvenzióni spontanee; conviéne16
ravvivare il credito dello stato presente. Due soli governi
in Italia, se 1' antica prudenza da loro non si scompagna,
hanno 1' óbbligo d' aiutarci, il duca di Ferrara, e i Venezia
ni ; il rimanénte paese divorò la fortuna di Cesare ; il papa
acciecato dal1' ira strinse v lega col suo implacabile nemico ;
egli pensa tenere la sua nella destra di Carlo in segno di
amicizia ; questi invece gliela tiene imprigionata e gli sor
ride in volto. Il regno è in potestà del1' imperatóre, il du
cato di Milano sta per ésserlo, il Doria strascina Genova,
come un' ancella, dietro il carro della sua fortuna ; tralascio
gli altri ; e fermo le mie speranze sopra Alfonso di Ferrara
e Andrea Gritti di Venezia.
— Datemi incarico di ambasciatóre, e corro in poste fin
là; ambedue mille volte mi si dissero18 amici; cosa signi
fichi amicizia dei grandi veraménte non so, lo proverémo
adesso.
Michelangiolo, amicizia è moneta che non corre tra gli
stati ; il principe amico, quando non trova vantaggio in
aiutarti, ti piange e ti lascia morire.
— In ogni modo proviamo.
— Se voi vi presenteréte nelle loro città con pùbblico
130 ITALIAN READER.

ufficio, non che non ottenghiate M i soccorsi vi caccieranno


senza ascoltarvi.
— O come può esser questo ?
— Alfonso odia Cesare, ma più che odiarlo il teme ; già
di nemico diventato servo a grave prezzo corrompe i suoi
consigliéri, egli s' ingegna a fargli obliare le vécchie offese, e
molto più si affatica ad ottenére nuovo favore, imperciocché
egli abbia insiéme con Clemente papa compromésso in mano
a Cesare le controversie su Modena, Réggio e la giurisdi
zióne di Ferrara. Tra Cesare poi e i Viniziani non si è per
anco asciugato 1' inchióstro del trattato di Bologna pel quale
formarono lega offensiva e difensiva
— Dunque ogni speranza è perduta ?
•— Oh ! no. I Viniziani inoltre ci consérvano rancore,
perchè quando calò negli stati loro il duca Arrigo di Bruns-
wich non gli soccorrémmo ; noi accusano di tradiménto, come
quelli che mandammo primi oratóri a Cesare per accor
dare
— E più s' intristisce * la bisogna.
— Ma voi sappiate, che o non furono falli, o rimessi da
loro, perchè anche dopo più volte promisero21 non avrébbero
fatto pace senza inchiùdervi i Fiorentini, e il doge Gritti
richiésto dal1'oratóre Gualterótto rispose : la repùblica vini-
ziana non aver mai commesso cose brutte, nè avrebbe co
minciato adesso a commétterne ; ciò non pertanto si accordano
con Cesare e noi non ramméntano. Il duca Alfonso ci
prese 22 tremila cinquecénto ducati, non mandò D. Ercole,
come si era obligato per la capitolazióne ; invece presta al
Papa le artiglierie e duemila guastatóri contro Fiorenza.
Di qui argomentate non già la fede poca, sibbene la servitù
alla quale si tróvano ridotti i principi italiani.
— Carduccio mio, come per me si possa rimediare a tanta
piena di sciagure io non saprei
— I Viniziani e il duca dévono mandarci soccorsi, voi
andare a chiéderglieli.
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 131

— Ma se mi avete poc' anzi assicurato che mi caccieranno


via senza ascoltarmi ?
— E vi ho detto il vero, quando vi presentaste a loro in
aspetto di ambasciatóre ; bisogna pertanto penetrare nelle
loro città inosservati, come la góccia del cielo si confonde
col mare, in modo che il Papa, Cesare, uomini entrambi, se
mai ne nacquero 2S al mondo scaltrissimo non sospéttino
nulla ; bisogna eziandio che le paure del duca e dei Viniziani
non si déstino, ed è questa difficilissima ópera ; si vuole M
ancora, ottenendo il soccorso, arcano impenetrabile in celare
da cui muova, e quindi spedire a costoro persona, nella quale
confidino; si vuole finalménte il segreto medésimo non li
ottenéndo, perchè se la città sapesse che noi abbiamo riputato
insufficiénti i nostri mezzi, ne ci è stato dato aumentarli,
deporrebbe 26 1' animo, ed ogni cosa anderébbe perduta, onde
io per un mio giudizio non voglio M sperdere questa tavola
estrema di salute.
— Io mi offerisco " andare, ma il modo da praticarsi per
la partenza, e il ritorno non vedo agévole
— Conviéne 2S che Michelangiolo ad un tratto di-animóso
diventi codardo, ed abbandóni la patria nel suo maggióre
bisogno ; conviéne che si lasci sopraffare dalla paura e fugga
dalla patria nel suo estremo pericolo ; così in sembianza
turpe finga ricoverarsi in Ferrara ; avrà danaro per guada
gnare i consigli del principe ; péssima condizióne degli
uómini presenti, dai quali è forza comprare il delitto e la
virtù, e i quali indifferénti 1' una o 1' allfo ti véndono ! In
namorato della bellezza del fine non volere atténdere agli
espediénti; bisogna préndere la società pei manichi che ti
presenta. I Romani avrieno * lapidato Morone, la gente di
oggi reputerébbe folle Catone. Così appianate le vie entra
dal Signore e digli80: "Alfonso, tu pensi tenere sul capo
una corona di duca, e noi invece di corona contempliamo un
artiglio del1' aquila imperiale ; impróvvido ! non sai 8l che
luogo aspetta, e tempo a stringerti sì, che tu ne muóia di
132 ITALIAN READER.

aflPanno ? Tu ci rammenti 1' antico Damocle seduto a mensa


con la spada sospesa sopra la testa." Poi va 82 a trovare il
doge Gritti e il senato viniziano, e seco loro adópera queste
parole : " Cittadini, quando una repùbblica esulta ai danni
d' una sorella, segno è certo che Dio 1' ha colpita di cecità ;
voi avete smarrito 1' antico senno ; rammentatevi i tempi
passati ; Fiorenza aveva guerra con Filippo Visconti duca
di Melano ; la fortuna procedéva avversa ai Fiorentini. I
padri vostri richiesti di aiuti negavano. Messere Lorenzo
di Antonio Ridolfi oratóre per la nostra città, vedute riu
scire le preghiere invano presso il vostro senato proruppe 3i
così : Viniziàni, nell' anno scorso i Genovési da noi ab
bandonati Filippo crearono principe; noi nelle presenti
strettezze da voi non soccorsi lo faremo re, e voi quando
sarete rimasti soli, noi vinti, e che nessuno, ancora che il
vàglia, potrà recarvi aiuto, lo farete imperatóre. I vostri
padri ci sovvennero,84 Filippo non vinse,35 stéttero le li
bertà italiane." Consiglia il duca e il doge a licenziare
parte delle loro milizie, e ciò potranno con tanto minore
sospetto eseguire, in quanto che fermarono pace ; mediante i
nostri banchi di Venezia ci somministrino cópia di danaro,
lo renderemo alla pace ; noi con quella pecunia condurrémo86
agli stipéndii nostri le milizie licenziate, e nelle nostre mura
difenderemo la causa d' Italia. —
Qui tacque,87 ma la parola Italia scorrendo lungo le mura
di quel recinto silenzióso parve,88 come framezzo un sospiro,
ripetuta da labbri invisibili ; forse le nude ossa quivi dentro
raccolte trovarono una reliquia di spirito per susurrare il
nome della patria, che vivendo avevano amata cotanto.
Michelangiolo tiene m fitta la faccia al suolo, e in questo
modo atteggiato risponde basso :
— Grave cosa mi chiedi
— E tale, ch' io te ne faccio ressa.
— Prendere un nome fin qui intemerato, e strascinarlo
nel fango ! . . . .
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 133

— V hanno matérie, che il fango non contamina, ma


forbisce 40.
— Tu chiudévi una mente altiera, o Michelangelo ; no
vello Titano intendévi imporre monte a monte, e salito su
1' ultima vetta maravigliare con la tua glória le genti ; nè
per te solo ambivi, sibbene per la tua patria diletta, perchè
non ti saresti stancato mai di gridare : " Contemplate, o
popoli, il figlio di Fiorenza ; " ed ora precipitare da così
superba altezza, morire infame, desiderare 1' oblio e non
potere ottenérlo, che il vitupério porrebbe 41 un segno eterno
alla tua tomba, presentire le contumelie e gli oltraggi che
sopra vi lancierébbero anche i più tristi ! ... oh ! è grave
una lapide di maladizióni ... è troppo pesa, Carduc
cio! . . . . —
Il Carduccio traendo un sospiro lungo volge le spalle, e
lentamente muta due o tre passi per andare.
Michelangiolo al1' improvviso scuote la testa, e risoluta-
ménte alzando la faccia esclama :
— Su ... su, le ispirazióni véngono dal cielo . . . dalla
terra emana il cattivo consiglio —
E non si vedendo più davanti il Gonfaloniére :
— Messer Francesco, dove andate voi ?
— Voi mi avete fatto compréndere che domandava troppo
... io me ne vado al mio posto e a morire
— Rimanéte, per Dio, egli era il lamento di una ambizióne
che muore ; ecco ella è già morta ; io ho levato al cielo il
pensiéro e lo sguardo e non invano, che dal cielo mi è scesa
una virtù che sublima ; io mi sono innalzato faccia a faccia
col1' Eterno ; la vita, il tempo passarono ; mi sento immor
tale. La religióne di Cristo ebbe i suoi martiri ; perchè non
li avrebbe la patria ? E' una religióne la patria. Il padre
delle misericórdle forse non vorrà 42 che il mio sepolcro sia
grave di tanto vitupério ; svelerà, prima che i secoli céssino,
1' arcano, e raccogliéndo il raggio più puro del quale rese 4S
lieta la prima stella creata, lo circonderà di luce, lo conver
12
134 ITALIAN READER.

tira in monuménto durévole del più immenso, del più dolo


róso sagrifi.cio che umano intelletto abbia mai potuto im
maginare ; o se nei cieli è destinato che la mia apparente
vergogna viva, quanto il moto, lontana, io lo pregherò in
mercede della infinita amarézza sofferta, che la mia anima
ponga 44 alle porte del paradiso ; quivi aspetterò le anime di
quelli che maggiormente mi avranno maladétto, le bacierò
in fronte, le chiamerò sorelle, e scortandole al trono di Dio,
io gli dirò : " Signore, fa che i tuoi angioli cantino osanna a
questa anima bennata, perchè mi ha odiato con ogni sua
potenza." Ora però, o Creatóre, sovvieni45 alla tua crea
tùra, tu fa in modo, che come mi esaltasti lo intellétto a scé
gliere, così il cuore mi basti a condurre a fine 1' alto propo
niménto : in te ripongo ardentissima fede ; senza fede di Dio
non si sagrifica 1' uomo ; e se tanto póssono 4a le mie sup
plicazióni, o Signore, ti plachi il mio sagrificio, e salva la
patria. —
Dietro i nuvoli nerissimi che il firmaménto ingombravano
era sorta 1' amica dei cuori dolenti e dei sepolcri, la luna ;
quasi vogliósa di contemplare anch' essa lo spettacolo di
virtù che in quel1' ora si operava sopra la terra, penetrò
co' suoi raggi traverso due lembi di nuvoli e ne vestì la
faccia di Michelangiolo. Quel volto terribile di grandezza e
di génio apparve sublime, sembrò che Dio gli mandasse una
benedizióne di luce. Così il Battista battezzando Gesù con
le acque del Giordano, si apérsero 47 i cieli, lo spirito del
1' Eterno discese,48 ed una voce fu udita nel1' alto che disse :
Ecco il mio diletto figliuólo, nel quale io prendo il mio com
piaciménto."
Dante da Castiglione udendo forte proferire, patria ed
Italia, si commosse 49 a coteste parole, non altriménti che un
destriéro di battaglia al suono della tromba ; non potè starsi
fermo al posto assegnato, sì accostò pianaménte ; e raccolto
1' ultimo discorso del Buonarroti, percosso dal1' improvvisa
apparènza del volto di lui, piegò involontario un ginocchio
L* ASSEDIO DI FIRENZE. 135

sul suolo, e recatosi in mano il lembo delle sue vesti lo baciò


con quella devozióne con la quale sógliono 60 i fedeli baciare
le reliquie dei santi.
Francesco Carducci preso da irresistibile impeto gettò
ambe le braccia intorno ai fianchi di Michelangiolo, e forte
stringendolo esclamò :
— Tu sei 1' onore della spécie umana ! 61 —

I Mercadanti. — (Capitolo Decimoquinio.)

" Se a Roma io fossi uscito dagli Scipióni, o in Firenze


dai Capponi, già non mi sarei gittato dalle finestre per que
sto. Adesso corre 1' andazzo di tenere in nonnulla i padri
e gli avi ; a me sembra spregiare troppo i maggióri, ostenta
zióne uguale a quella di pregiarli troppo. Chi più si sbrac
cia a maledire una cosa più si avvicina a desiderarla ; sen
tenza antica, e perciò appunto vera.
" Il conte Alfieri próssimo a conchiudere la vita scriveva
una léttera a certo altro Alfieri di Sostegno, nella quale seco
lui rallegrandosi per la nascita del suo primogénito, termina
va con queste parole : — E tanto più me ne congratulo in
quanto che ho potuto a chiara prova comprendere come per
quanti sforzi che le plebe faccia, non riesce 2 mai a conse
guire 1' altezza dei sentiménti, retaggio esclusivo di noi gene
rati da nóbile sangue. — Voi potrete trovare questa léttera
stampata nel giornale V Amico a" Italia. (Iddio ci liberi da
amici siffatti !) E non pertanto questo conte Alfieri è quel
desso che in altri tempi ci flagellò con quel verso : or superbi,
or umili, infami sempre. L' Alighieri sentiva della nobiltà
da profondo intellétto, quando cantò :

" O poca nostra nobiltà di sangue,


Se gloriar di te la gente fai
Quaggiù, dove 1' affetto nostro langue,
Mirabil cosa non mi sarà mai :
136 ITALIAN READER.

Che là, dove appettito non si torce,


Dico nel cielo, io me ne gloriai.
Ben se' tu manto, che tosto raccorce ;
Si che, se non s' appon di die in die,
Lo tempo va dintorno con le force s."

" Una serie di personaggi famosi nella medésima fami


glia induce maggióre óbbligo nel póstero di continuare la
spléndida via tracciata da quelli. La condizióne apposta dal
Dante è necessaria, onde la gentile prosapia si abbia a tenere
in pregio appresso la gente. In nessuna epoca come nella
nostra, vedemmo il poco conto si debba fare delle ingiurie
lanciate dalla plebe contro la nobiltà. Finche durò 1' impero
di Napoleone seguì per via dei matrimónii un cambio con
tinuo tra nobiltà e danaro, ed anzi egli ne fece argoménto
della sua politica governativa. Quante fraudi di mercante
non ricopérse 4 un mantello di duca ! Ai giorni presenti voi
conoscete 1' aristocrazia dei mercanti ; ditemi di che cosa vi
seppe 6 cotesta aristocrazia ? . Più che innamorato alle sem
bianze della donna desiata, il mercante si strugge " dietro
alla frazióne di una moneta. Delle cose cattive la péssima
è 1' uomo cambiale ; arido quanto una cifra nulla aborre,
purchè possa moltiplicarsi ; calcolatóre di fame, di peste e di
sangue, egli senza scelta comprende i tre flagelli del profeta
Natan. L' anima del mercante, méglio che quella dello
stóico, non ha manichi ; tu non sai da qual parte afferrarla.
I nóbili di sangue fatui, se vuoi e ridicoli e nulli, pur ti ver
rà fatto esaltarli con gli esempi paterni. Or via immagina
tevi un po' un gentiluómo e un mercante, entrambi accomo
dati nel próprio gabinétto ; entrambi se ne stanno seduti
davanti al fuoco, entrambi pósero7 sopra il eamino la imma
gine del defunto genitóre. Un infelice stretto dal bisogno
ecco picchia alle porte, che il Parini chiamò àrdue, e do
manda soccorso. Il gentiluómo (mi pare udirlo !) di sùbito
dirà: — Dio 1' aiuti — (modo civile, che significa, móia8 di
fame). Ma il vécchio servo nato in casa, che ha tenuto su
l' ASSEDIO DI FIRENZE. 137

le ginócchia il padrone, che si reputa affisso irremuovibile


del palazzo a un dipresso come gli arpióni della porta mae
stra, alzerà gli occhi al ritratto dalla 9 parrucca impolverata,
vestito di stoffa a rose, con lettera alla mano diretta alla
nobil donna la contessa sua móglie, ed esclamerà : — Il conte
Alamanno buona anima non rimandava i poveri con Dio, ma
con un bel scudo nuovo di zecca. — E il gentiluómo guar
dando il ritratto gli parrà 10 come vederlo assentire a quella
lode póstuma, e cinque volte sopra dieci porrà 11 mano alla
borsa, e darà lo scudo. Forse lo muoverà supérbia, imita
zióne o che altro ; sarà come volete, ma darà lo scudo. Il
mercante invece non darà nujla : il servo preso ieri, pauróso
di essere cacciato oggi non dirà nulla ; se alzerà gli occhi al
ritratto contemplerà un volto affilato, come un conto di ritor
no, piacévole quanto una cambiale protestata. Nella casa
del mercante si assomigliano tutti, le generazióni paiono
canne aggiuntate ; meno la legatura che forma il passaggio
dal1' una al1' altra, sono tutte eguali. L' avo fu uomo che
di quattro diventò sei, il padre di sei si moltiplicò in dódici,
e via discorréndo. Qualunque azióne del mercante va sot
topósta a calcolo. La troppa virtù nuoce, perchè gli uómini
se ne prevarrébbero 12 a danno del rispettabile mercante ; la
punta virtù nuoce eziandio come quella che mena in luogo
dove si guadagna pel pùbblico ; però lascierà scritto il padre
mercante al figlio mercante nei suoi ricordi mercantili : abbi
virtù quanto basta per non traboccare nel bagno ls. Ogni cosa
stimata a prezzo ; un mercadante, udendo favellare intorno
alle maraviglióse conseguenze del sistema di gravitazióne
scoperto dal Newton, interrogava quanto rendesse per cento !
Dei governi i mercanti reputeranno óttimo quello non già
che maggióre somma di libertà concede, sibbene quello che
minór somma di danaro domanda ; delle religióni, suprema
quella che g1' idoli ha d'oro, e i sacerdóti celebrano la messa
gratis ; tra quanti miracoli operò Gesù Cristo, uno solo li
12*
138 ITALIAN READER.

rapisce u in estasi ; la moltiplicazióne dei pani e dei pesci.


Dunque delle due aristocrazie panni meno fatale quella
del sangue ; molto più che questa puoi 15 spegnere, e 1' altra
del danaro non sai come provvedére."
Con maravigliósa volubilità di parole tutte le riferite cose
mi favellava il marchese di Penna, mia conoscenza antica,
in proposito della lettura ch' io gli feci ieri del seguente capi
tolo, e concludéndo interrogava :
" Che ve ne pare ? Non è egli vero ? "
Ed io, che fin lì mi dilettava a tracciare col dito dei nù
meri sopra la tavola, alzai il capo, e risposi 16 :
" Ma . . . non saprei B . ... io per me non sono nóbile
ne mercante .... ne consulterò quanto prima il presidénte
della Camera di Commercio di questa città."
E lo farò : intanto ricopiando oggi mi è piaciuto metter
qui le parole del marchese, come per via d' introduzione al
capitolo.

Ritorno di Michelangiolo. — Capìtolo Decimoquinto.


— Michelangiolo, che nuove ? — tutto anelante domanda
il Carduccio traendo in disparte il Buonarroti.
— Cristo morendo ci lasciò in eredità i chiodi e le spine ;
io nulla ho ottenuto . . . nulla ... e pensare che la sa
lute della patria pendeva dalla riuscita del1' ópera mia ! Io
rientro nella mia patria, come uno spettro al1' apparire del
1' auróra —
E poichè il Carduccio le mani incrociate sul petto, il capo
a terra chino, pareva come sopraffatto dal1' angóscia, Miche
langiolo lo scosse 1 con impeto, e gli domandò :
— Dunque è ben morta ogni speranza, o Francesco ? —
Il Carduccio crollò la testa quasi per iscuóterne i molesti
pensiéri, vestì la faccia di un sorriso, e rispose :
— La speranza rinasce dalle sue céneri, perchè questo
pópolo è grande — e così favellando gli accenna la moltitu
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 139

dine brulicante nella distruzióne ; — ma in breve narrami i


casi tuoi.
— Io me ne andai a Ferrara
— Parla sommesso : qualchedùno, parmi, ci si avvolge
d' intorno per oregliare le nostre parole.
— Egli é Andrea del Sarto ; forse desidera darmi il ben
tornato ; dilunghiamoci qua oltre e fingiamo non ravvisarlo :
Dio non lo ha creato tristo, ma fiévole di animo così, ch' io
volentieri gli torrei3 lo ingegno del1' arte. Or dunque me
ne andai a Ferrara, riducéndomi, quanto più secretatnénte
potei, ad abitare al1' osteria ; il duca però il quale pei suoi
nuovi sospetti si fa mandare ogni sera la lista degli osti,
seppe 4 sùbito la mia venuta, mi mandò a levare di su 1' oste
ria e mi usò ogni maniera di amorevolezza ; buon principio
era questo ; intanto presi 5 a spander fiorini fra i suoi corti
giani ; oh ! la gran devozióne che portano al nostro Battista6
cotesta gente tutta quanta. In ogni sguardo io vedeva un
uncino, in ogni mano il ronciglio, sicchè presto mi ridussi7
al verde ; bisognava concludere presto, altriménti mi divora
vano carne e ossa. Aveva con ogni modo studiato rendermi
benévolo Alfonso, e perchè nulla sapesse rifiutare a me, io
nulla ricusai a lui, fino a prométtergli dipinto di mia mano
un quadro rappresentante Leda col cigno ; adesso mi pento
averlo promesso, ma dacchè non nacqui principe manterrò la
parola8. Alfine un giorno gli scopersi9 pienaménte 1' animo
mio con tutte quelle ragióni che voi sapeste dimostrarmi ; al
quale ragionaménto egli rispose : " Prima che tu parlassi, ti
aveva letto nel cuore : " e poi si alzò, aperse 10 uno stipo, ne
trasse fuori una léttera, e soggiunse : " Leggi." Egli era un
comandaménto del1' Imperatóre di non soccórrere ne aperta-
ménte, ne celataménte i Fiorentini, per quanto amore por
tava alle cose sue 11 ; in questo modo operando si obbligava
solenneménte a lodare in suo favore nelle controversie con la
Chiesa ; in caso diverso avrebbe dichiarato Ferrara devoluta
alla Sédia Apostólica. Quando ebbi letto, alzai la faccia ad
140 ITALIAN READEH.

Alfonso che ripiegata la lettera e méssala 12 di nuovo nello


stipo, tornò alla mia volta proferendo queste poche parole :
"Mors tua vita mea." Non perciò pretermétto arte a per
suadérlo, gli rappresento essere agévole sovvenirci con tanta
segretézza che neppure il diavolo potesse darsene per in
teso 18. " Il demónio forse, non già i preti ; per ora io
dormo, ma quando mi sveglierò, partirà dai miei sguardi
una favilla che incendierà il Vaticano." Cosi disse, poi, come
pentito di éssersi lasciato troppo scuoprire, si richiuse u nelle
sue ambagi, e da quel sasso non iscaturì più vena di acqua ;
riescirébbe 15 prima al1' uomo di tagliare il pórfido con le
ùnghia che rimuovere quel cupo principe da un proponi
ménto già preso.
— E come incendierà il Vaticano ? Questi sottili artifizii
rovineranno sempre i principi Italiani ; la forza aperta è più
generósa ed anche più sincera.
— Per quanto mi occorse w intendere da uómini prudenti,
le dottrine degli erétici di Alemagna tróvano favorévole
accogliénza alla corte di Ferrara ; le principésse, dicono,1"
avere appreso i nuovi dogmi da un eresiarca tedesco venuto
espressaménte a convertirle.
— Alfonso di Ferrara poteva vincere la Chiesa con le
sue artiglierie ; non lo avendo voluto, nelle argomentazióni
egli perderà di certo ... E a Vinezia?
— Vinezia invécchia ; ama il riposo, rinunzia alla magna
nimità, alla gratitudine, alle virtù, senza le quali le repùb
bliche muóiono ; ella pesa tutte le vicende dei pericoli alla
bilancia, dove i suoi mercanti riscóntrano il peso delle mo
nete d' oro ; in lei è spento ogni estremo di grandezza ; altro
non le rimane che diventare decrépita e morire. Il Gritti
col dorso voltato degli anni verso la terra, vede la fossa e
dubita ; i suoi pensiéri téndono ad abbellire la bara dove un
giorno sarà composta la patria ; io lo pregava di avere a
cuore la libertà italiana, ed egli mi pregava a volergli fare
un disegno pel ponte di Rialto 18. Nissuna parola da voi
" l' ASSEDIO DI FIRENZE. 141

suggerita dimenticai ; non tacqui 19 un esémpio, e poichè


guardando sopra la tavola mi occorse un libro manoscritto *
che di fuori diceva : Historie di Niccolo Machiavélli : cercai
al libro quinto, dove racconta che i Viniziani stavano sul
punto di abbandonarsi, se i Fiorentini con presentissimo
pericolo mandando loro il conte Sforza non li sovvenivano ;
e gli notai col dito le parole dello stórico, con le quali dimo
stra quale e quanto effetto partorisse 1' orazióne di Neri
Capponi al senato viniziano : promettévano che mai per
alcun tempo, non che dai cuori loro, ma di quelli dei dis
cendénti loro, non si cancellerébbe, e che quella patria
aveva ad essere comune a' Fiorentini e a loro. Messere
Andrea mi toccò su la spalla e mi favellò le seguenti parole :
" La ragióne degli stati procede diversa assai da quella
degli individui : i posteri biasimerébbero in me doge della
repubblica viniziana ciò che tu loderesti in me Andrea
Gritti." Ed io, che a stento mi potea frenare, gli risposi :
"Messere Andrea, io di queste sottigliézze non intendo, ma
più di piacére ai pósteri m' importerébbe piacére a Dio, e
inoltre se un tal fatto reca vergogna a un uomo, non so
vedere come non sia pure di onta ad un pópolo, il qual si
compone di una moltitudine di uómini, no : nè voi, nè altri
sapranno 21 convincermi mai, che o individui o pópoli non
débbano22 pagare la colpa di riconoscenza, di lealta, di gran
dezza tradite, e male argoménta colui, che la durata della
patria circoscrive al brevissimo spazio della sua vita." E me
ne andai fremendo. Vinezia! Vinezia! le genti ti contémplano
colorita dal sole, rigogliósa di vita, ma il verme inosservato
ti penetrò nelle viscere. Quando decrepita e moribónda
chiamerai le tue sorelle d' Italia a consolarti nella sventura,
vedrai intorno di te i principi, ai quali ti affidasti, irridere
alla tua agonia ed imprecarti la morte, come eredi impazienti
di raccógliere il tuo retaggio. E nondiméno ne Alfonso di
Ferrara, nè Andrea di Vinezia furono quelli che più mi
fecero vergognare di appartenére alla stirpe umana ; 1' ira e
142 ITALIAN READER.

il ribrezzo di esser nato mi venne dai nostri concittadini,


Carduccio, dai mercanti di Fiorenza dimoranti a Vinezia.
— E come ti avvenne questo ?
— Io mi trovai a Vinezia, allorchè giunse,23 mandato da
Lorenzo Carnesécchi nostro commessario a Castrocaro,
Borghini, il quale accolti quanti mercadanti Fiorentini
téngono ragióne 24 in cotesta città, riferì a costoro le imprese
maraviglióse di quel valentuomo di Lorenzo ; narrò come
spesso era venuto alle mani con Leonello da Carpi presi
dénte ecclesiastico nella Romagna, e sempre con suo vantag
gio ; e di Marradi ribellato prima, e tosto da lui ridotto
al1' antica devozióne ; del1' assedio di Castiglióne sciolto ;
del1' assalto di cinquemila e più fanti ributtato da Castrocaro ;
della taglia posta da papa Clemente sopra il suo capo, e
della taglia da lui posta sul capo del Papa : tutte queste
cose disse, ed altre ne aggiunse 25 non meno stupende e
degne di memória, ed infine egli aggiunse éssere il commes
sario deliberato di fare un servizio rilevantissimo in pro
della pàtria quando loro bastasse il cuore di fornirlo di
danaro, e per assicurargli avrebbe loro obbligato i suoi beni
e quelli di Giorgio Ugolini tenerissimo della libertà; Capi
dei mercadanti adunati érano Matteo Strozzi, Luigi Ghe-
rardi, Ludovico Nóbili, Filippo del Bene, Giovanni Bor-
gherini e Tommaso Giunta, ricchi tutti, comecché avari, usi
a sprecare in vizii o in giuóchi le magliaia di ducati, e non
pertanto, il sangue mi tóglie il vedere nel rammentarlo,
nessuno ebbe cuore di sovvenire di un sol fiorino il com
messario Carnesécchi. Matteo Strozzi allegò che la sicu
rézza offerta su i beni di Lorenzo e del1' Ugolini, in tanta
distanza era come nulla, potendo quei beni andar gravati di
débiti sconosciuti; il Borgherini si scusò, perchè aveva
fòndaco a Roma e temeva la vendetta del Papa ; più turpe
degli altri, se in tanta turpitudine possono26 darsi gradi,
Tommaso Giunta, il quale disse non éssergli patria Fiorenza,
ma Vinezia; imperocchè a Vinezia avesse accumulato i
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 143

danari che il vero sangue compóngono " e la vera anima


del1' uomo ; poco importargli che la libertà della repùbblica
Fiorentina stesse in piedi, purchè la sua libreria non cadesse.
Io rimasi 2S esitante se devessi rispóndergli a parole, o nel
modo, con che mi favellò nella mia fanciullezza il Torrigia-
no,29 quando di un pugno mi sfasciò il naso ; pur mi rattenni
e parlai : " Stampatóre Giunta, quando il Papa e 1' impera
tóre ti avranno strozzata la patria, pensi tu che non potranno
farti smettere la stampa delle ópere avverse al1' Impero e a
Roma, e con le quali tu ti sei arricchito ? " Ed egli a me :
"Allora stamperò quelle che argomenteranno a loro van
taggio." " Ma, ripresi 80 io, ciò non basterà loro ; si sfor
zeranno, affinchè gli uómini non imparino a leggere." Lo
svergognato concluse 81 : " Di qui a quel tempo ci corre un
gran tratto, prima che i fanciulli diventino uómini io sarò
morto, e morto io morto il mondo ; buona notte a chi resta."
Fuggiva ; tornato a casa mi spogliai di tutte le vesti e le
gettai sul fuoco, abborréndo di più oltre portarle siccome
appestate da quei fiati velenósi. Apersi S2 il mio Dante, e
sopra i margini del trentesimo quarto del1' Inferno vi segnai
la brutta sembianza di quei mercanti come traditóri tormen
tati nella giudécca ; il Giunta posi ss in una delle bocche di
Lucifero, perocchè io non convenga col poeta, che mette
Giuda, Cassio e Bruto a maciullare tra i denti di lui ; lasciai
Giuda, vi posi il Giunta: la terza bocca rimane tuttavia
vuota, e aspetto a riempirla col Malatésta. Udiva in casa
uuo di mia famiglia avere già esercitato il commercio di
panni franceschi ; or ora cercherò la sua immagine, e la ve
lerò di un panno nero, come ho veduto in Vinezia che pra
ticarono col ritratto del doge Marino Faliero. Di due cose,
o Signore, principalmente io ti ringrazio, la prima per esser
nato Italiano, la seconda per non aver sortito ingegno da
mercadante.
— Michelangiolo, ciò che tu parli il Carduccio magistrato
non riferirà al Carduccio mercadante ; parla sommesso ; ai
144 ITALIAN READER.

soli mercanti è dato adesso sovvenire in tanto estremo la


patria. Non tutti, come quei di Vinezia, si mostrarono ini
qui al luogo dov' ebbero la vita ; quei di Fiandra, d' Inghil
terra e di Lione mandarono grosse somme di peculia. Le
consorterie di per sè non hanno vizii, sibbene tu li trovi negli
uòmini, e questi sono più infelici che stolti, più stolti che
scellerati. Il danaro tutto può a4
— Il danaro nulla può : raccogliéte quanto vi pare 85 fio
rini, e ditemi un poco, s' essi vi scolpiranno un altro David-
de davanti il palazzo della Signoria.
— No, ma pagheranno 1' artéfice che lo scolpirà ; perchè
tu non hai condotto la sepoltura di Giulio II, come prima
intendévi? forse non perchè gli avari .nipoti di Della Eóvere
eredarono le ricchezze del Papa, non già il suo cuore di
spenderle nelle magnificénze ?
— Quando i Fiorentini diventarono mercadanti pósero 86
la prima pietra della servitù.
— I Fiorentini dovevano adunare danari e non deporre le
armi ; li danari soli e la virtù sola poco tratto camminano :
1' ingegno solo è 1' anima senza corpo, li danari soli mi paio
no87 il corpo senz'anima. Se ti viene fatto88 di trovarti
vicino alla chiesa di S. Brancazio, Michelangiolo mio, entra
nel chiostro e vedrai sopra la sepoltura degli Arcangeli,
effigiato il simbolo della mia dottrina ; tu troverai una cassa
con due ale tese sotto in atto di volare 89. Virtù e pecunia, e
convertirai il mondo in paradiso.
— Quant' è vero ch' io sono figliuólo di Ludovico Buonar
roti cancellerò cotesta immagine : e' mi sembra uno sfrégio
fatto dalla morte su la faccia dei viventi ; per Bacco la can
cellerò, dovessi sopportare la pena di violato sepolcro ; no,
voi non giungeréte a farmi inténdere cotali novelle, Carduc
cio
— Ed io supplico Dio che tu non le intenda mai ; forse
altriménti non saresti divino. . . . Adesso separiamoci ; tu
vienmi 40 con diligénza a trovare in palazzo ; colà mi espor
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 145

rai41 più distesamente la tua commessióne ; per avventura


ciò che a te pare repulsa in sostanza non è tale ; gli uómini
spesso, e i capi degli stati quasi sempre, e' son tali libri che
bisogna inténdere alla rovescia. Addio.
— Messer Carduccio, uditemi ; la mia parola risponde al
palpito del mio cuore ; perchè esiterei davanti a voi ! Voi
mi parete meno assai sconfortato di quando v' incontrai nel
cimitero di S. Egidio. Le condizióni della patria mutarono,
o le vostre ? —
Il Carduccio sorridéndo mostrò di non si accorgere del
fiele contenuto in cotesta domanda, e pacato rispose :
— Quelle della patria : il pópolo oggi mi ha levato in
isperanza ; ieri due uómini mi tólsero 42 dalla disperazióne.
— E come si chiamano eglino questi due uómini? lo
to' conóscerli.
— Uno ben lo conosci, perchè sei tu ; 1' altro si chiama
Francesco Ferruccio. Cristo non ci lasciò soltanto eredità
di spine e di chiodi ; egli ha staccato dalla croce la lancia
della sua passióne, la pose 48 in mano al Ferruccio, e nel
dargliela disse : " Tu vincerai." Conosci il Ferruccio ? In
lui giurerei, si agita puro il sangue romano senza miscùglio
di barbari.
— Ferruccio — ripete pensando Michelangelo, tenendo
fisso lo sguardo sul terreno, e il braccio destro distende col
pugno chiuso ad eccezióne del póllice, il quale muove a
quel1' atto che gli scultori fanno allorchè plasticano le figure
in creta, e poi all improvviso prorompe : — Ferruccio ! Sì
lo rammento, egli deve essere grande, egli è grande dav
vero : lo riconósco al pensiero sublime di audacia e di dolore,
che distingue le anime divine rinchiuse dentro un corpo di
terra; il pénsiero che ho scolpito sopra la fronte del mio
Moisè ; la forza che ci solleva sopra la natura umana, e non
ci vale per conseguire la celeste ; la intelligenza che per
cuóte sempre alle porte del1' infinito ; non importa ... co
testo pénsiero fascia come un ferro rovente il cranio che lo
13
146 ITALIAN READER.

contiene . . . ma luce sparge e salute agli uomini, in mezzo


ai quali egli nacque 44 . . . ravviso il segno .... —

Le Stelle. — (Capitolo Decimottdco.)


Belle luci di amore siete sublimi, quando 1' aere si dis
tende sereno, 1' orizzónte azzurro. Vi saluterò io fiori
immortali della eterna primavéra dei cieli ? O piuttósto
ninfe divine che venite a rinnuovare i vostri cuori per le
vólte etéree del firmaménto ? Perchè se ai nostri occhi è
dato contemplare i vostri moti, non póssiamo 1 ancora deli
ziarci nei vostri suoni ? Ah ! forse le nostre fibre destinate
a morire mal potrebbero 2 sostenére le vibrazióni della lira
celeste. Voi non foste create per guardare la terra ; cosa
ella è mai questa piccola massa di fango insanguinato verso
di voi tanto maestóse, tanto raggianti di próprio splendore ?
No voi non guardate la terra, altriménti le vostre palpebre
sarébbero adesso ottenebrate nel pianto, e quel vostro lim
pido tremolio sarebbe diventato vermiglio, come il pianéta
di Marte. Poichè da voi emana luce, non lacrime, voi non
guardate la terra, ne vi curate guardarla, ella si avvolge
dentro un manto di nuvole, ella sovente ai vostri castissimi
raggi maledice. Caino invocò perenni le ombre e 1' abisso
sopra il suo capo fulminato. Voi non morrete,8 figlie primo
génite del pensiéro di Dio : nel giorno della distruzióne egli
vi radunerà con amore e se ne comporrà 4 un diadéma per
la sua fronte immortale ; e quando il suo spirito come nei
secoli precedénti alla creazióne si trasporterà sopra le acque,
se lo prenderà fastidio della sua immensa esisténza, si guar
derà nello spécchio del1' Océano mostruóso e dirà : —Io mi
sono fatto un magnifico diadéma ! —
Modeste come vérgini, leggiadre come angioli, la mia ani
ma vi séguita, o stelle, nei vostri notturni pellegrinaggi con
un sacro raccogliménto; voi avete potenza di sollevarla
dalle misérie e dalle infamie della vita ; da voi in lei scende
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 147

virtù che la consola ; voi placate i suoi mille dolori ; confor


tata da voi ella si affretta a compire il suo pellegrinaggio,
quasi un esule alla patria diletta.
Ah ! se veraménte composto di spirito e di corpo potrà il
mio spirito sciolto avvólgersi volando tra voi, immérgersi nei
tesori della luce e del1' armonia, allora fingete la morte con
le sembianze del1' Ebe del Canova, coronatela di rose, le po
nete nella manca un nappo gemmato, nella destra un vaso
pieno di un liquore composto di obblio e di speranza, ambró
sia divina che addorménta la vita.
Ma se invano pietóse sogguardando il mio sepolcro, quan
to era di me rimase coperto dalla terra, se il mio occhio non
potrà vagheggiarvi, il mio labbro benedirvi, allora io mi con
tristo su la vita che manca come di un amico che mi abban
dóna, di un fiore che mi si appassisce tra le mani ; come
del1' amore che mi si disperse in un sospiro per 1' aria.

L' ORGOGLIO. — (Capitolo Ventesimosecóndo.)

Quanti superbi disegni si porta via la vecchiézza ! Quanti


orgogliósi proponiménti al1' appressarsi della morte impalli
discono 1 ! Gli anni pénetrano nel sangue come il mercurio
e lo irrigidiscono2; la stupidità caccia 1' ódio e 1' .amore dal
cuore umano, e se ne compone quasi un sepolcro di pietra ;
1' uomo è signore del momento presente, e tosto che conosce
ésserne il signore, il momento è passato, e quello che segue
rimane fuori della sua potestà.
Me quando assale un pensiéro di orgóglio, o turba la invi
dia, m' incammino là dove sopra lieve eminénza giace il
cimitéro della mia città: quivi appoggiando la spalla alla
sóglia della porta mi volgo a contemplare la città che abban
donai, e immaginando essere convertito nel tempo, esclamo :
— O città dei vivi, tu sei grande, ma questa città dei morti
già ti contiéne 8 dieci volte, e ti conterrà venti, cento, quante
parrà * a me, perchè il sepolcro è una delle cose nel mondo
148 ITALIAN READER.

che non dice mai : " Basta ! " Io compendio tutto, uómini e
cose ; io solo posso 5 comporre in pace nella medésima fossa
1' oppressóre e 1' oppresso ; per me il conquistatóre si contenta
di tre braccia di terra e se gli pongo 6 al fianco un cadavere, ve
lo sopporta senza dirgli : " Fatti in là 7 " : egli ve lo sopporta,
mentre vivo imponeva a' pópoli interi sgombrassero le Pro
vincie per lasciargli libero il passo ; ordinava al mondo es
tendésse i suoi confini, ai cieli si allontanassero per respirare
più aperto : io riduco in essenza gli enti creati ; degli anó
mali mi basta la cenere, delle città la pólvere, nel cavo della
mano porto 1' esercito di Cambise ; su le mie spalle in un
sacco Sodoma e Persépoli. Un giorno verrà,8 ch' io mi
volgerò al sole, e gli dirò : " Chiudi le palpebre e dormi ; tu
hai vigilato assai " ; e poi soffierò su le stelle e le spegnerò
come fiaccole rimaste accese dopo la fine del festino ... e
perdio no? Forse non ho cacciato dai cieli una moltitudine
dr Numi, come il castaldo, terminati i lavori dei campi, licen
zia le ópere ? Forse non ho lasciato appesa alle volte del
firmaménto una série di Dii, quasi schéletri di condannati al
patibolo . . . spettacolo di miseria o di scherno ? Un gior
no stanco di distruggere creatóri e creature, cause ed effetti,
io staccherò dai cieli il manto azzurro, e me ne comporrò un
sudario -fùnebre per addormentarmi nel seno della eternità.
. . . Eternità! — Io me ne torno alle doméstiche mura salu
tando umilmente per via anche il mendico che mi domanda
1' elemósina per amore di Dio.

Morte di Fba Benedetto da Foiano. — (Capitolo


Trentesimo.)
Frate Benedétto da Foiano udendo che cercavano di lui
per farlo morire, non gli occoréndo partito altro miglióre, si
fidò ad un soldato perugino il quale promise di mettere in
salvo lui e le sue robe ; ma egli che della natura del suo
capitano partecipava pur troppo, tolte 1 per se le robe,
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 149

consegnò il malarrivato frate al Malatésta, e il Malatésta


alla trista derrata del tradiménto aggiungendo, come bene
avverte uno stórico, una pessima giunta, con le mani e
co' piedi incatenati lo mandò a Roma.
Papa Clemente ordinò lo carcerassero in Sant' Angiolo,
e nel consegnarlo a Guido dei Médici, che v' era per castel
lano, fece avvertirlo ne avesse cura secondo i suoi meriti ;
badasse a questo ch' egli con la sua lingua gli aveva di più
aspre trafitte inacerbito 1' animo che non le picche degli altri
suoi nemici.
Guido di fàcile natura, innamorato delle virtù del Foiano,
e pensando la sua molta dottrina potesse avvantaggiare la
Chiesa in quei tempi calamitósi, molto più che gli aveva
promesso, se Dio gli .concedésse vita, volere scrivere un' opera,
dove co' passi della Scrittura intendéva confutare 1' eresie
luterane, ne prese 3 buona cura, e attese 8 a provvedérlo di
quanto è al vivere necessario.
Così procedérono per non breve spazio di tempo le cose,
finche udendo, che il Papa veniva a visitare il castello,
fidando placare il suo sdegno, gli pose 4 su la via il frate, il
quale prosteso, col capo chino al paviménto, le mani atteg
giate a misericórdia, lo supplicava pel sangue preziosissimo
di Gesù Cristo a compartirgli il perdono.
I piedi del Papa pestarono la barba del frate, il volume
delle sue vesti pontificali s' intricò alle membra di lui, ma
egli continuò il suo commino senza badarlo, senza pur fare
sembiante di vederlo, senza muóvere parola di lui.
Terminata la visita del castello, e pervenuto sopra la
sóglia della porta, sul punto di préndere commiato da Guido,
accostandogli le labbra al1' orécchio gli susurrò :
— Benedétto da Foiano è passato a vita migliòre : mon
signór véscovo, di qui a cinque giorni voi gli direte, o ferete
celebrare 1' ufficio dei morti.
— Mai no, Santità — riprese Guido, — che il Foiano
13*
150 ITALIAN READER.

vive, ed io ve 1' ho posto sul vostro cammino, perchè lo


vedeste e gli usaste misericordia 6. . . .
— Tacete ; io vi dico, ch' è morto, e voi procurate di cele
brargli 1' ufficio.
E siccome il véscovo di Civita se ne stava a guisa di
smemorato, papa Clemente scuoténdogli il braccio con gio
vanile gagliardia replicò cupaménte:
— Non intendi, stolto ? egli deve morire. —
Venne 1' ora consuéta in cui solévano apportare al Foiano
il cibo e la bevanda, ma egli attese 6 invano gli aliménti ;
pensò se ne fòssero dimenticati, e si pose pazienteménte ad
aspettare.
Intanto il digiuno si prolungava e lo stimolo della fame
cominciava e tormentarlo ; si affacciò alle ferrate guatando
bramoso, se gli occorrésse anima viva ; alla fine vide un
soldato, e lo scongiurò andasse da monsignor Guido ad av
visarlo che non gli avévano portato il pane, e che si sentiva
fame : il soldato scosse 7 la testa e si allontanò silenzióso.
Dopo lungo tempo ne comparve 8 un altro, ed egli :
— Fratello, in carità — si pose a gridare — porgimi un
poco di acqua ; le mie viscere ardono. —
E il soldato :
— Raccomandatevi a Dio : se io ve la porgessi, perderei
la testa. —
Allora si rimase9 stupidito ; poi dopo tanta ira lo assalse10
per la disonésta morte, a cui si vedeva condannato, che a
capo basso corse 11 contro la parete per ispezzarvelo dentro ;
e lo faceva, ma il pensiéro della eterna salute lo trattenne.
Adesso 1' istinto potentissimo della própria conservazióne,
1' acerbità del fine 1' óccupano intero per tentare mezzo
alcuno di scampo ; abbranca con ambe le mani la ferrata, e
la scuote cento e più volte, e sempre invano ; allora col
medésimo impeto si volge alla porta squassandola, scrollan
dola con quanto aveva di forza nei bracci, e non consegue
intento miglióre.
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 151

Le sbarre di ferro sono macchiate di sangue ; brani di


pelle rimasero attaccati agli arpióni della porta ; le mani -ha
impiagate, piene di schéggie ; le unghie rovesciate, e pure
non si arresta : poi alla furia successe 12 la quiete, e si pose
sottilmente a investigare se vi fosse modo di venirne a capo
con la industria.
La pacatézza considerata inutile tornò a crucciarsi, quindi
di nuovo alle tranquille indagini, finche mancata affatto la
lena gli si spense 13 a un punto la speranza, e si tenne spac
ciato 14 ; si trasse verso il letto, e vi cadde sopra bocconi
gridando con voce di pianto :
— Ahimè! questa non è una morte da cristiani ... e
me la dà il Papa ! . . . Nei tempi andati un arcivéscovo vi
condannò il conte Ugolino . ma io non gli ho ucciso i
nepoti ... La pena eterna del1' arcivéscovo non ispavénta
dunque papa Clemente ? Oh ! possa,15 prima di morire, il
pentiménto ottenérgli la pace del paradiso ! —
Questo pensiéro di perdono volse w lo spirito del1' Eterno
in solliévo del derelitto, ond' egli drizzando gli occhi in
alto non vide17 più le vólte della prigióne, sibbene la glória
degli angioli, il tripudio delle creature celesti intorno al
trono del Rimuneratóre, mentre gli apprestavano la palma
dei martiri.
Il frate si compose 18 sul letto, come un morto sopra la
bara, e si rimase w con intenti sguardi a contemplare la vi
sióne di tanta beatitudine ; 1' angiolo della consolazióne gli
si pose a canto del letto, e col ventilare del1' ale temperava
1' ardore della fronte febbricitante : assorte tutte le sue fa
coltà nel divino cospetto non sente i dolori, mediante i quali
il corpo si avvicina alla estinzióne, non lo travagliano paros
sismi convulsi, i precordi non gli si straziano alle trafitte
della fame ; egli davvero a poco a poco manca, come una
lampada a cui venga meno 1' aliménto.
L'anima pregustando le celesti dolcezze non si curava
affrettarsi ad abbandonare la sua terrestre dimora, imper
152 ITALIAN READER.

ciocchè dopo cinque giorni andando per trasportarlo al cam


posanto, non lo trovarono, come credévano, cadavere, ma vivo
e col volto pieno di una quiete stanca, della soavità dei
santi.
— Figli miei — egli favellò con piccola voce ai sorve-
gnénti, — andate in carità da monsignór Guido, e ditegli da
parte mia, eh' io sono, come vedete, in procinto del1' eterno
viaggio, e che io perdono a lui e agli altri il difetto del pane
corporale, sol che non mi privi del pane degli angioli, del
santissimo viatico .... —
Monsignor Guido, temendo il Papa non si crucciasse,
mandò in fretta il suo cappellano a Clemente per sapere se
dovesse concedergli i sacraménti.
Il Pontéfice recitava il suo breviario quando giunse M il
cappellano : udito che 1' ebbe, rispose :
— Dunque non è anche morto colui ? Quanto tarda a
morire !
— Pochi altri momenti gli rimangono n di vita : sicchè se
la Santità vostra vuól considerare quel1' anima, non può M
fare troppo presto a rimandarmi . . . pochi momenti, io vi
ripeto, ha da vivere
— Quanti pochi ?
— Forse due ore.
— Alla favella voi mi parete di Como ?
— Santità, sono Cremasco.
— E come state a prebenda M ?
— Santità, se non mi date commiato, io non giungo a
tempo pel Foiano
— Voi mi parete un dabben uomo ; s' io vi creassi prelato
di camera, vi piacerébbe egli?
— Piacerébbemi ; ma adesso nulla più mi talenterébbe,
che giungere a tempo per consolare il frate.
— Andate dunque — proruppe Clemente, — dacchè questo
frate vi preme cotanto ; non gli si amministri il viatico ; noi
lo assolviamo da ogni peccato in articulo mortis. —
l' ASSEDIO DI FIRENZE. 153

Il cappellano, appena simulando 1' orrore che sentiva, in


chinata la persona si allontanava.
Il Papa, svolgendo le pagine del breviario, mórmora tra
i denti :
— L' assoluzióne plenaria anche dei casi riservati a noi,
deve bastargli : 1' attrizióne 24 è sufficiente a salvarsi ; s' ei
non si pente davvero, la colpa è sua : per me non lo im
pedisco * di andare in paradiso, anzi ci ho gusto 26 ; vada
pur dove vuole, purchè non si trattenga27 in questo mondo.
La eucaristia non importa poi assolutaménte ... la parti
cola . . . ella è poca cosa ... un pugillo di farina, e non
pertanto basterebbe a mantenérlo in vita anche un' ora : che
cosa è mai un' ora ? Quando il tempo si misura col terrore
e con la sete della vendetta un' ora è una eternità ... ed
io mi sento vécchio ... e ragión vuole ch' io mi tolga 28
affatto d' intorno le cure, © non potendo levarmele, le ab
brevi. Ricevi in pace, o Signore, 1' anima di frate Bene
détto da Foiano .... —
Frate Benedétto morì pertanto senza il pane eucaristico :
non mi fa cuore a tornare col pensiéro intorno al letto di lui.
Intanto si ramméntino i cristiani, che tre frati, Arnaldo da
Brescia, Girólamo Savonarola e Benedétto da Foiano furo
no, il primo per comandaménto di papa Adriano IV, arso
vivo ; il secondo, papa Alessandro VI ordinandolo, impicca
to e abbrucciato ; il terzo, papa Clemente VII imponén
dolo, fatto morire di fame. Oh Pontéfici ! cosa sarà di voi,
quando Cristo vi domanderà ragióne del sangue dei suoi
martiri 80 ?

I Sepolcri di Michelangiolo. — ( Capitolo Trentesimo.)


Pareva alla nuova tirannide, ed era vero, che sarebbe
sembrata al mondo sempre bella ed egrégia la impresa per
la quale aveva combattuto Michelangiolo Buonarroti, e
poichè troppo bene sapeva, avrebbe gittata 1' òpera invano,
154 ITALIA» READER.

tentando guadagnare quello austero intellétto, così deliberò


méttergli in ogni modo le mani adosso e spégnerlo. In ciò
sopra gli altri si mostrava ardentissimo Francesco Guicciar
dini, lo stórico, che fu a bella posta mandato da papa Cle
mente, conoscendolo di aspra natura, e capace di fare più e
meglio di quello non gli fosse comandato
Michelangiolo, in buon tempo avvertito, si cansò ricovràn-
dosi nella casa di un suo fidato, né poi paréndogli cotesto
asilo sicuro, si nascose1 entro il campanile di S. Niccolò.
Ben gli valse 2 esser pronto, che il bargello e i famigli si con
dussero 8 nelle sue case, e su pei cammini e nelle cantine,
esaminarono minutamente ogni luogo.
Il bargello e i famigli che adesso si assottigliavano 1' in
gegno per arrestare i partigiani della repdbblica, érano quei
dessi che or dianzi si sbracciavano a legare gli amorévoli del
principato.
Alfonso re di Castiglia, costumava dire che se il Creatóre
lo avesse avuto per consigliére nella settimana della crea
zióne, gli avrebbe suggerito di far certe cose assai méglio di
quello eh' egli abbia creato : io, che non sono re, gliene avrei
proposta sol una, e gli avrei detto: Signore, un giorno do
vremmo4. per colpa degli uómini, o per effetto della tua male
dizióne, esistere nel mondo commissari di polizia, bargelli,
sbirri ed altri simili che mi prende vergogna a rammentare ;
del peggiór limo fàbbrica una specie di animali, tra il rospo,
lo scorpióne e il serpente a sonagli, o piuttósto un miscuglio
di tutti questi réttili). e fin d' ora destinali ed esercitare cotesti
uffici nel mondo ; distruggi quando vuoi, la umana stirpe, ma
non la degradare poi tanto; e fallo5 ancora per onor tuo,
dacchè 1' uomo sosterrà,6 lui essere creato ad immagine tua:
e il pensiéro che un commissario di polizia possa 7 vantarsi
simile a te, non ti fa drizzare le chiome immortali sul divino
tuo capo ? —
Il bargello non lo trovò, e si morse 8 le dita.
Intanto Clemente, sia per supérbia di principe, sia per
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 155

mantenére alla casa Médici 1' antica fama di proteggitrice


munificentissima delle arti, o perchè sentisse che la morte di
Michelangelo gli avrebbe concitato contro la indignazióne
del1' univérso, sia finalménte, come altra volta (Niccola Ma
chiavélli insegnandolo) lo avvertiva, nessuno scellerato si
trova così pienaménte pérfido, che in sè non abbia parte
alcuna di meno tristo ; Clemente in somma spedì da Roma
un cavallaro a posta a Firenze con ampio salvocondótto per
Michelangiolo, ed órdine espresso di non tógliergli pure un
capello.
Michelàngiolo assecurato uscì dal suo nascondiglio, e salì
al poggio di S. Miniato per contemplare pure una volta la
sua diletta Fiorenza ; la fissò lunga pezza, e valse 9 quella
visióne a stampargli sul volto i segni di dieci anni di vita
consumata.
Scese 10 chiuso nel1' ira e nel dolore ; e giunto a mezza
costa, percorse11 correndo e tempestando 1' altra mezza,
spesso mormorando tra i denti :
— Io la vendicherò ; — e guardandosi le mani aggiun
géva : — voi sole mi basteréte allo intento. —
Da quel momento non lasciò più vedersi ; si chiuse 12 nella
sua officina co' marmi, co' ferri e coi furori suoi ; disse volore
scolpire la tomba a due Médici, Lorenzo duca di Urbino e
Giuliano duca di Nemours : cominciò il suo lavoro senz' al
tro modello che la idea che ne aveva concepita nella mente,
e con quel1' impeto per cui, secondo narra il Vasari, pareva
che in breve ora dovesse sfasciare in minutissime schéggie e
in frantumi masse enormi di marmo.
Scolpì su quei sepolcri i crepuscoli, quasi per denotare
che i giorni nostri passano come ombra, e non pertanto
quelli del tiranno, comunque brevi, si pósano monumentali e
solenni sopra una eternità d' infamia ; scolpì Lorenzo pro
fondaménte pensieróso presso il sepolcro, perchè i pensiéri
del tiranno vicino alla tomba sono rimorsi.
Cosi illustrava questi avelli Giovanni Battista Nic
156 ITALIAN READER.

colini, e quando egli non avesse scritto altro in onore della


patria, meriterébbe che il suo nome durasse immortale,
quanto quei marmi ; e poichè egli sortiva un' anima dai
cieli capace di sentire Michelangiolo, gli fu dato ancora
ascoltare la morte, che da quel1' arche aperte si volgeva
al tiranno pieno ancora di vita, e gli gridava : — Scendi,
ove comincia dei potenti la giustizia degli uómini e quella di
Dio.—
Benedétto Varchi, storico di volgare intellétto, scrive, che
Michelangiolo più per bella paura che per voglia ch' egli
avesse di lavorare, si pose a scolpire questi monuménti 1S.
La musa negava al Varchi mente arguta e cuor gentile onde
potè impréndere la storia d' una repùbblica pei comandi
del principe : quindi non gli era dato inténdere Michelan
giolo. Bene al1' opposto lo intese 14 Niccolini nostro ; per la
qual cosa egli aggiunse : " Ma fra gli esilii e le morti dei
suoi, vendicare tentava col1' ingegno quella patria, che non
potea più difèndere colle armi, e fare in quel marmo la sua
vendetta immortale 15."
Il qual concetto di Michelangiolo si ricava non mica da
induzióni immaginóse, sibbene pienamente dagli alti versi
ch' ei scrisse16 in risposta a quelli di Alfonso Strozzi, che
nulla indovinando del pensiéro di Michelangiolo, e solo ba
dando a lodarne 1' ingegno, dettò la seguente quartina :
" La notte, che tu vedi in si dolci atti
Dormire, fu da un angiolo scolpita
In questo sasso, e perchè dorme ha vita :
Destala, se non eredi, e parleratti."

E quel magnanimo aborréndo la lode, cruccióso che altri


non sapesse indagare la riposta sua idea, sprezzato il pericolo,
generosaménte proruppe,17 e i suoi marmi dimostrò in questo
modo:
" Mi è grato il sonno, e più 1' esser di sasso,
Infin che il danno, e la vergogna dura ;
Non udir, non veder mi è gran ventura :
Però non mi destar, deh ! parla basso."
jJ ASSEDIO DI FIRENZE. 157

Alessandro dei Médici tentando avvilirlo, allorchè divisò


costruire in Firenze la fortezza di S. Giovanni, la quale
fosse come di un freno in bocca ai cittadini vaghi di cose
nuove, ordinó al Buonarroti seco lui cavalcasse per iscégliere
il luogo accóncio. H Buonarroti rispose, che ciò poteva
molto ben fare da sè solo e non volle andare.
Biasimano molti questa azióne di Michelangiolo, come
quella che senza provvedére a nessun benefizio della patria,
a se apportava danno : biasimatóri codardi ! imperciocchè
troppo bene 1' uomo giova alla patria, quando le lascia un
retaggio di esempi magnanimi che inciteranno i figliuóli, o
che in ogni evento diletta la renderanno e onorata, finchè la
virtù abbia altare nel cuore degli uómini.
Venutagli meno la speranza di vedere la libertà restau
rata in patria con ordinari argoménti, si ridusse 18 a Roma, e
quivi attese 19 a por fine al più magnifico témpio che abbiano
le creature innalzato al Creatóre
Cosimo I desideróso di fregiare la tirannide lo richiamò da
Roma, gli proferse * onori e ricchezze, adoperò preghiére, e
di ogni ragióne lusinghe ; nulla potérono sopra di lui siffatte
istanze, nè la pressa amichévole che ogni giorno gli muovéva
maggióre dintorno Giórgio Vasari. Stette incontaminato e
fermo nel proponiménto di non piegare mai il dorso alla
tirannide. Ritornò il suo spirito al bacio di Dio così puro,
come già se n' era dipartito. Cosimo I allora s' impadronì
del suo cadavere facéndolo 21 dentro una balla di mercanzie
rapire da Roma, e quanto più seppe 22 lo deturpò con onori
principéschi ; però comunque s' ingegnasse non giunse 28 a
profanare quella glória solenne, imperciocchè lo spirito di lui
ormai si era fatto cittadino del cielo, e la sua fama aveva
già messo ale poderóse da attingere, col1' avvicendarsi delle
generazióni, la fine dei sécoli.

14
158 ITALIAN READER.

La Speranza. — (Conclusióne.)
Il mio poema è finito.
Ed ora che ho composto nel sepolcro le glórie del mio
popolo, chiuso la lapide, ed inciso sopra la iscrizióne, a che
più oltre lo spirito della vita si trattiene 1 quaggiù ?
Vorrò 3 préfica incresciósa sedermi sopra gli avelli a em
pire di singulti le ténebre ? O come vaso di étere lasciato
aperto consumare, spandendólo, il dolore ?
No : nel modo stesso che la terra nasconde nelle sue
viscere la gemma preziósa, io vóglio s conservarmi dentro il
seno il mio dolore. : perchè non dovrei prenderne cura del
pari diligente ? Le fòglie che compóngono 4 la corona della
libertà sono nudrite col dolore : le rugiade che 1' alimentano,
emanano dalle lagrime che la tirannide ha fatto piangere
agli oppressi.
Io nascondo pertanto la lampada sotto il móggio, Quando
apparirà 1' auróra da ben tre secoli 6 desiderata, allora la
riporrò 6 a splendere sul candelabro ; dove le fosse venuto
meno 7 1' umore, io la riempirò «ol mio sangue.
Oh speranza ! Oh speranza ! Nel delirio del mio affanno,
nella febbre dei sinistri pensieri io ti oltraggiai col nome di
ingannatrice della vita. Talvolta mi apparisti simile a quei
fuochi maligni, i quali quando la notte è nera e la tempesta
furiósa, si móstrano al pellegrino smarrito e lo conducono 8
al precipizio ; tal altra mi sembrasti fata lusinghiéra e fal
lace, che si unisce9 .ai passi del1' uomo, come 1' ombra,
quando il sole tramonta e il suo cammino volge al1' oriénte,
e lo mena lontano a insanguinarsi le piante nel1' arduo sen
tiéro della vita.
Spesso 1' uomo sconfortato si abbandóna a mezzo della
via, e tu allora stacchi dalla tua corona un fiore stillante di
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 159

rugiada, e gufandoglielo in volto gli rinfreschi la fronte


ardente di febbre, e sorridéndo un sorriso di sirena lo inviti
a continuare di tribolo in tribolo, di illusióne in illusióne fino
alla fossa, dove intuóni una canzone di scherno, a cui gli
angioli piangono 10 e le bocche dei demoni divampano fiam
me di allegrézza.
Leggendo del giuoco sanguinóso che tanto piace allo
Spagnuólo, allorchè il perfido uccisóre si accosta insidiante
col mantel rosso al re della foresta, e glielo para davanti
gli occhi, e lo conduce a piegare il collo per cacciargli tra le
vertebre la spada, gemei e dissi : — Così la Speranza ! —
Siede 11 intera la umanità al convito di Tantalo ; la sete
la torméntano e la fame, tra sorgenti di dolci acque che
rifuggono 12 dalle labbra inaridite, e tra frutti che si allonta
nano dalla mano bramosa.
Te salutai Speranza, come il più tristo dei pensiéri che
nacque 13 in mente a lucifero, quando col cuore pieno di
rabbia precipitava dal cielo al1' inferno.
In cielo, in terra, in mare, tra uómini e tra belve, quanto
mi occorse 14 di perfidaménte iniquo, io osai assomigliartelo,
Speranza.
Io ti calunniava.
Figlia alata del desidério, secondo che tuo padre ti génera
turpe o generósa, tu ritorni a rallegrare la mente donde sei
uscita ; come la colomba del1' arca con ¥ olivo in bocca in
segno di più felice avvenire, o come il corvo ti svii15 a divo
rare i cadaveri.
Tu nasci dal fuoco, perchè *il desidério è una fiamma, e
s' egli arde fosco e colpévole, tu ti diffondi per 1' orizzónte
della vita, come fumo di bitume che i venti dispérdono e gli
uómini maledicono le ; se invece è sacra la fiamma che ti
produce, te accóglie il firmaménto candidissima nuvola, che
la luce ama tingere nei colori della conca marina, e gli aliti
della sera ondulare soavi, quasi una perla sul seno della
vérgine che palpita.
160 ITALIAK READER.

Gli uómini desiósi téngono lr dietro al tuo volo, perchè tu


rassomigli uno spirito eletto che muove alle dimore celesti,
un voto di cuore generóso, una preghiera di anima innamo
rata, e appresso te sospirano, perocché pensano che quel
gemito a te affidato possa toccare le sóglie del paradiso.
Tu, Dea, conosci, se i miei desidérii furono per me, se
spuntarono dalla mia testa truci, come i serpenti da quella
della Gorgone, o se piuttósto come raggi di splendóre capaci
a decorare le chiome dei santi : tu sai,18 se io mai ho desi-"
derato pervenire, salendo le tre scale della ipocrisia, del
1' abiezióne e della infàmia, alla reggia del vituperio ; se
mai mi talentò staccare dalla massa di ferro che si aggrava
sul petto degli oppressi, una verga, onde batterne la testa al
mio fratello per fargli sapere che esisto ; se mai mi prese 19
vaghezza stendere il cavo delle mani ebbre di cupidigia allo
strettóio, ove si sprémono monete e sangue ai pópoli : ven
démmia dei re !
Il mio desiderio si volse * a tutte le nuvole pregne del
fuoco celeste, onde lanciassero il fùlmine sopra la testa ; a
tutte le pietre, perchè si scoppiassero sotto ai piedi degli
oppressóri : avrei voluto che il mare sopra ogni flutto appor
tasse loro una maladizióne ; una maladizióne cadesse sopra
di loro da ogni stilla di rugiada che emana dalle fòglie ; che
1' univérso avesse una voce di obbróbrio per quelli che fanno
piangere
Io ti chiamo in testimónio, o Speranza, se in mezzo alla
più atroce delle sventure che mai possa aggravarsi sopra un
cuore superbo, la miseria, di*cui hanno tentato avvilirmi, io
mai abbia pensato a cosa che fosse turpe, o se il mutaménto
della mia condizióne abbia preposto a quella della mia
patria.
Nel mio povero tetto educai un cipresso per tésserne una
ghirlanda alla maestósa defunta ; io venni quotidianaménte
innaffiandolo col pianto dei pópoli, e poiché mi avanzava
cópia di umore, non ho io detto eh' era pianto di pópolo ?
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 161

Spensierato vi piantai accanto un alloro, e nel rinfrescarne


le radici, spesso, quasi mio malgrado, diceva : — Forse . .
chi sa 21 ! . . . .—
Ora accadde n che la terra degli incliti trapassati è stata
potente ad alimentare ancora 1' alloro : egli è cresciuto glo
rióso accanto il cipresso. La immagine della morte e la
immagine della vita si confòndono insieme, i rami loro s' in
trecciano, e le frondi susùrrano, quasi due amici che si
ricambino un misterióso collóquio ; forse 1' uno confida al1' al
tro il secreto, per cui vediamo che un Dio e un pópolo non
póssono 28 lungamente tenersi chiusi dentro un sepolcro.
La fenice è una favola ; ma un pópolo che rinasce dalle
sue céneri, può essere una verità
O Speranza ! quando vuotata la coppa del1' ira di Dio ti
contemplai nel fondo, io volli quinci rimuóverti come la più
amara di tutte le fèccie ; ma tu mi parlasti, dicendo : — A
che mi getteresti? Io sola posso riempire questa coppa
della linfa di vita, del1' acqua che scorre dalle fontane celesti,
destinata al battésimo delle generazióni che rinascono. —
Più pietósa assai delle preghiére cantate da Omero M per
rifiùto, ne per oltraggio tu ti sdegnasti ; voce mutata e sem
bianza, non salisti al cielo ad imprecare vendetta sopra
1' inospitale, ma sotto rigido aere, per notti procellóse ti sei
posta senza lagnarti a pie della porta, pure aspettando che
ti venissero aperti i doméstici penetrali.
Chiusa ch' ebbi x la lapide di granito sopra la tomba della
patria, io vidi la speranza dal1' altra parte del tumulo sor
ridénte e serena. Poi levò il dito e descrisse nei cieli 1' iride
del1' alleanza ; poco dopo agitando le sue bellissime ale di
farfalla ne scosse una pólvere spléndida, come il raggio della
prima stella che scintillò sopra la terra: — E se vuoi un
segno — ella disse, — vólgiti alla terra e guarda il segno. —
Ed io declinai il guardo, e sul granito era cresciuta una
messe degna di lui ; aveva lo stelo di acciaro forbito, la spiga
a guisa d' impugnatura di spada.
14*
162 ITALIAN READER.

— Un angiolo — riprese26 — uscirà tra poco dal témpio


e griderà con gran voce : " Mettete dentro la vostra falce,
perchè 1' ora del miétere è venuta, perocchè la ricolta della
terra si secca Z!." —
A che dunque 1' angiolo indugia ? La ricolta non pure è
matura, ma la terra è stanca di sopportarla.
Quasi turbine di pólvere cacciato dal vento, miriadi di
giorni al sóffio del tempo passarono sopra la faccia del mon
do ; però quel giorno non cadrà di mano al secolo dentro
1' abisso : schiuse 28 appena le palpebre, la eternità gli por
gerà aliménto con le sue mammelle di bronzo ; i sette giorni
della creazióne al primo apparire lo saluteranno dicendo : —
Quantunque nato a distruggere, tu non ci sei meno fratello ;
benchè tardi venuto, ti sentiamo più grande di noi : noi sos
pendémmo alle volte del1' empireo il sole, la luna e gli altri
luminari, ma dimenticammo del1' astro, senza del quale il
sole non iscalda, non rallegra la luna, e che tu vieni adesso
per porvi,29 1' astro della libertà. —
Oh ! quanto tarda questo giorno !
Seduto sopra un colle, come i bardi di S. Ulfrido 30 vedrò
una battaglia, 1' ultima che combatteranno gli uómini tra
loro, e celebrerò una vittória, la sola forse che il poeta potrà
cantare, senza calarsi Ja ghirlanda sul volto per nascóndere
il rossore.
Certo allora il mio sangue mi scorrerà languido nelle vene,
ma un raggio di quel sole lo renderà più vivido che mai
fosse nei tempi della giovanézza ; le sfere si curveranno al
mio orécchio, e V armonia dei cieli mi sarà rivelata; lo
spirito dei profeti scenderà sul mio capo ; gli avelli stessi degli
antichi defunti manderanno un suono per rispóndere al can
tico nuovo, al1' inno della risurrezióne, e delle glórie di Dio.
E quando il cantico sarà cessato, 1'- ultimo tocco delle
corde- e 1' ultimo palpito del mio cuore splreranno insiéme,
la mia anima volerà sopra 1' estrema vibrazióne armoniósa
al principio di tutta armonia.
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 163

O figli miei, io ho molto patito per voi : io mérito un


prèmio.
Non vi chiedo una lacrima, perchè non devete più pian
gere.
Non vi chiedo un sepolcro di marmo ; egli occuperebbe
alcuni passi di terreno che voi impiegheréte meglio, semi
nandolo di frumento ; e poi a me piace la tomba dove ogni
anno la primavéra rinuóva la verdura, e fino d' ora parmi
che non morrò 81 intero, se sopra il mio capo farà germo
gliare la.natura, erbe odoróse e bei fiori.
E ne anche io vi chiedo la fama ; perchè v' ingombre
reste lo intellétto con la ricordanza delle cose che furono ?
Gittate la storia Del1' inferno, come il dragone del1' Apo
calisse, e serratelo, suggellatelo sopra di lui 82 : voi impare
réste come la colpa géneri la vendetta, e la vendetta la colpa ;
il serpe che si morde la coda, infame cérohio di misfatti e di
errori.
Abbia il tempo i suoi diritti ; divori, come Saturno, i suoi
figli ; un giorno ancora egli sarà divorato da sua madre :
il minuto sémina 1' ora e raccóglie la giornata; la giornata
sémina 1' anno e raccóglie il sécolo ; 1' eternità sémina il
tempo e raccóglie la morte ; e morte sia : perchè mi dorreb
be 83 la morte del mio nome depo quella del mio corpo ? Il
lenzuólo funerario non si consuma egli dentro il sepolcro?
Perchè non si dovrebbe M logorare la fama che è il sudario
del1' anima ?
Tutto parla di morte quaggiù. Mentre guardi il cielo,
ti si apre sotto ai piedi una fossa ; mentre vagheggi un fiore
sopra la terra, nel firmaménto impallidisce 85 una stella ; e se
il tuo capo riposi sul seno del1' amata tua donna, pensando
inebriarti di voluttà, ecco, ecco, le stesse pulsazióni del suo
cuore ti misurano la vita che manca, e il tempo in cui ti
avvicini al sepolcro.
Dove sono, o come si chiamarono gli uómini, che lottarono
con le mani ignude contro ai lioni, e rimandarono senza
164 ITALIAN READER.

denti la tigre al deserto ? In qual modo si distrussero i


giganti, la razza dei feroci cacciatóri al cospetto di Dio?
Dove giacciono 36 i ruderi dei loro enormi monuménti ? Chi
visse in Palmira, e chi regnò in Persépoli ? Chi cantò
prima di Lino e d' Orfeo ? Chi combattè prima di Agamén
none 37 ? Anche il firmaménto rimase 88 vedovato dei suoi
splendori ; le Pléiadi disparvero,89 e non pertanto quali occhi
piansero * perduti que' bei raggi del cielo ? Chi di noi può
vantarsi più forte del1' elefante, più bello del destriéro, più
maestóoo del cedro del Libano ? Eppure chi si curò ram
mentarci quando 1' alligatóre divorò 1' elefante, il cavalière
straziò degli sproni i fianchi al buon cavallo, e la scure rapì
alla foresta il suo più nóbile figlio ?
E chi dunque sono io, perchè mi debba incréscere la
dimenticanza ?
Io però mérito un prémio, e ve lo domando. Dch ! fate,
che prima di chiudersi nel sonno della morte questi miei
occhi, póssano vedervi liberi e felici sopra la terra dei
vostri padri.
E questo è il prémio ch' io domando da voi.

RINNOVAMENTO CIVILE D" ITALIA.— (Vincenzo


Gioberti.)
ESTRATTI.

Giuseppe Mazzini. — (Capitolo Undécimo.)


... I puritani1 si crédono progressivi, -perchè fautóri di
repùbblica, quando che il parteggiare pel governo di pópolo
(come per altra forma) è in se cosa indifferénte, e torna solo
a progresso, facéndolo a propósito e in modo che la cultura
RINNOVAMENTO CIVILE D' ITALIA. 165

E non solo si può éssere repubblicano,


camminando a ritroso, ma eziandio mancando di spiriti ele
vati e liberi ; come appunto avviene a costoro, i quali con
tutto il loro ódio della monarchia, hanno bisogno di adorare
un uomo e di farsi un principe proprio, mentre ribellano dal
comune. Nota è la loro idolatria per Giuseppe Mazzini ; a
cui son/ ligi e devoti, come g1' Ismaeliti e i Gesuiti al loro
capo scianto più stranamente, quanto che rifioriscono 1' ub
bidienza cieca e la svisceratézza servile con massime di
uguaglianza e grido di libertà. Ma non tutti i seguaci di
quest' uomo sono da porre nella stessa schiera. Alcuni gli
aderiscono per amor del1' insegna, senza rendersi schiavi
de' suoi voleri e giurar nelle sue parole ; e questi non déb
bono annoverarsi tra i puritani. Altri son uómini da nulla
che per valere qualcosa e fare un po' di rumore, hanno
bisogno di appartenére a una setta ; e gódono di avere un
capo che gli dispensi da ogni débito d' instruirsi, di affati
carsi, di pensare da se medésimi. Altri sono di quei mal
conténti che aspirano a ricattarsi, a pescar nel tórbido,2 e
quindi si appigliano ragionevolménte a chi professa dottrine
sorvertitrici. Altri (e sono forse i più) son cervelli déboli,
ma appassionati, che amando le idee superlative, inclinano
naturalménte verso chi le insegna, e sa méglio allettare le
lor fantasie, accéndere ed esprimere gli affetti loro. Giu
seppe Mazzini è appunto 1' uomo di cui costoro abbisognano ;
essendo un politico d' immaginativa non di ragióne ; e
avendo un idea sola ; cioè la repùbblica. E siccome chi ha
un' idea sola, non può variare (quando ogni mutazióne
importa almeno due concetti), così non è da stupire che il
Mazzini sia fisso nel suo pensiéro e abbia quella costanza?
nelle chimere che i sémplici ammirano, ma che i savi chia
mano ostinazióne. Laonde fra i suoi adoratóri non si trova
un sol uomo di conto ; anzi è da notare che i più dotti e
valorósi democratici ripugnano alle sue dottrine. Che se
qualche ingegnóso, ingannato dai romori, 1' ebbe in prégio
166 ITALIAN READER.

prima di conóscerlo ; accostatoglisi e divenutogli intrinseco,


dovette ritrarsi, stomacato da tanta presunzióne accoppiata
a tanta nullezza.
Il suo ingegno è mediócre ; e anco nelle léttere è sfor
nito d' inventiva e di forma sua própria. Tuttavia s' egli
avesse imparato dai classici antichi 1' arte difficile di ordi
nare i pensieri ed esprimer gli affetti, e dai nostrali quella
di scrivere italianaménte, egli sarebbe potuto riuscire un
letterato di qualche nome nelle ópere indirizzate a dilettare
e muóvere la fantasia ; senza però uscire dai termini del
1' imitazióne. Laddove mancando affatto di buoni studi,
e usando uno stile che non si potrebbe chiamare italiano
senza grave ingiuria d' Italia, egli non può aver lode ne
anche come scrittóre.* Ma se da natura egli tien8. del
poeta, non si può già dire, ugualmente che abbia del filósofo ;
mancando affatto, di creativa ideale ; non avendo ne acume
pellegrino d' intuito, ne polso di lógica, nè magistéro di dia
lettica speculativa. Tutti i suoi scritti sono poverissimi
d' idee, debolissimi di raziocinio ; e quando accusa gli
avversari di non esser capaci di sintesi,4 egli appone loro il
difetto che spicca più di tutti nelle sue scritture. Se già
per sintesi non s' intendono certe fòrmole astratte, che nella
loro perplessa generalità non hanno alcun valore scientifico ;
e ne anco il pregio della novità, perchè da venti o trent'
anni córrono pei giornali. Più inetto ancora apparisce come
politico, perchè inabile ad appréndere la realtà della vita ;
come quegli che squadra gli oggetti sotto il prisma ingan
névole dei propri fantasmi. Cosicchè egli non riesce nè
meno nel volgare ufficio di cospiratóre, benchè lo esérciti da
tanto tempo, mancando di arte nel conóscere gli uómini e di

* Tuttavia non pochi di qua dai monti lo chiamano grande scrittóre.


Ciò mi ricorda un forestiere dilettante di cose italiane che mi citava
il Galate.o del Gioia, come un modello di elocuzióne. I giudizi oltra
montani e oltramarini sui pregi letterari dei nostri autóri méttono
spesso a grave rischio la gravità di ehi legge o di chi ascolta.
RINNOVAMENTO CIVILE D' ITALIA. 167

cautéla nel maneggiarli ; onde diventa facil preda e ludibrio


di chi gli si accosta; e macchinando alla scoperta mérita
più titolo di sollevatóre che di congiurante. Oltre che egli
ha (come accade ai monomaniaci) una di quelle tempre
ardenti e concitate che inchinano al fanatismo, e fanno meno
a propósito delle faccende che delle opinióni. Se fosse nato
in eta superstiziósa, egli sarebbe potuto passare per santo,
venire in crédito di taumaturgo, ardere altrui come inquisi
tóre o éssere arso e adorato come martire. Non si è udito
teste proporre la creazióne di nuove credenze e di nuovi
riti? Ma laddove Massimiliano primo si contentava di
deporre la corona imperiale per assumer la tiara,6 il Maz
zini non pare accóncio ad appagarsi di un solo grado, e
vuol essere imperatóre e papa nello stesso tempo.
Smisurato è 1' orgóglio di quest' uomo nato per la rovina
dr Italia. Le adulazióni de' suoi cagnotti 1' hanno si acce
cato, ch' egli " scambia 1' amor della patria col1' amor pró
prio e vuol piuttosto veder bruciato il témpio che sacrato ad
altri 1' altar maggióre6." La vanità de' suoi tentativi per
lo spazio di quindici anni, 1' esito infausto della ridicola im
presa di Savóia, le tante carnificine inùtili, le tante mosse
riuscite a peggioraménto delle cose nostre, non bastarono a
guarirlo. Quando un indirizzo politico a cui non ebbe
altra parte che quella di contrastarlo, promettéva alla póvera
Italia giorni miglióri, s' egli avesse avuto fior di senno e di
amor patrio, sarebbe dovuto starsi ; per non turbare il moto
costituzionale con maneggi repubblicani fuor di propósito.
E in vero essendomi io abboccato seco per la prima volta in
Parigi verso il fine del qùarantasétte, egli mi dichiarò tali
éssere le sue intenzióni ; ma le parole erano così sincere che
nel tempo stesso esortava secretaménte i suoi " a giovarsi
della presente agitazióne, rivolgéndola a vantaggio della
Gióvane Italia che avversa qualsivóglia monarchia e ciò
operare gridando. Viva il duca di Toscana, viva Carlo
Alberto, viva Pio nono7." Poco tempo dopo, scoppiata la
168 ITALIAN READER.

rivoluzión di febraio e incominciata in Italia la guerra


nazionale, egli va in Lombardia e ci fonda una scuola, che
coi giornali, coi crocchi, coi conventicoli sémina la diffidénza
verso il Piemónte e attende indefessamente a screditare e
calunniare il re e 1' esercito subalpino8. Io lo rividi in
Milano ; e lo trovai aliéno non solo dal professare quei con
cetti di moderazióne che mi aveva espressi in Francia, ma
anco dal farne mostra. Ne lo giustifica il dire che poco o
nulla sperasse nel1' impresa di Carlo Alberto ; perchè o la
sua disperazióne era intera e perfetta, e in tal caso egli
avrebbe dovuto levar senza infinta la bandiéra della repùb
blica. O non era tale ; e allora quanto più 1' assunto del
re sardo era in pericolo di non riuscire, tanto più si dovea
evitare ogni andaménto, ogni trama, ogni parola che potesse
nuócergli e distornarlo. Ma come gli uomini inetti alla
vita pratica, egli stette tra il sì e il no, tenne una via dimezzo,
non seppe essere ne carne ne pesce : per debolezza d' animo
non volle usare la generósa audacia di bandir la repùbblica ;
per ambizióne non si astenne dal promuóverla occultamente.
S' egli avesse bramata la vittória sarda, non avrebbe posto
ogni studio ad impedir 1' unióne, che 1' aiutava, sino a
biasimare i registri e oppugnarli con pùbblica protesta9.
Quasi che la via più corta e spedita non fosse la miglióre ;
e che lo squittinio per iscritto non basti quando non è pur
richiésto in altro modo, correndo il caso di necessità estrema
e trattandosi di quei diritti che per natura sovrastanno al
1' arbitrio dei pópoli. Se il Mazzini è così sémplice da
crédere il contrario; la sua vita però dimostra che gli
órdini legali non lo ratténgono ; i quali, invocati in tal caso,
non érano altro che un pretesto. Non che disperasse della
riuscita dei costituzionali, egli la temeva ; perchè 1' impor
tanza del tutto non è che 1' Italia sia libera, ma che egli e i
suoi amici ne sieno procuratóri. Se questo non si può
sperare, sia ella misera e serva anzi che altri abbia la lodo
del suo riscatto. Che tal fosse 1' intenzión del Mazzini, il
RINNOVAMENTO CIVILE d' ITALIA. 169

suo procédere prima e dopo lo dimostra abbondevolménte ;


e il confèrmano le ragióni stesse da lui prodotte per provare
che la salvezza d' Italia non poteva procédere dal principa
to10. Quasi che a malgrado de' suoi errori non fosse più
che probabile che Carlo Alberto avrebbe vinto senza gli
ostacoli suscitati dai puritani, come mostrò di poterlo coi
primi triónfi. Se i costituzionali non riuscirono a mantenére
il Risorgiménto italico nella via diritta contro le arti e 1' im
peto delle fazióni, essi almeno preservarono lo statuto del
Piemonte che era loro fattura ; dove che il Mazzini e i suoi
non edificarono del próprio altro che rovine, e dispersero
miserabilménte gli acquisiti dei moderati.
Il contegno del Mazzini in Roma non fu più savio e gene
róso che in Milano. Egli rifiuta 1' unióne col regno solleci
tata da molti egregi ; e disdice ogni aiuto a Guglielmo Pepe
offeréntesi di affrancarlo11. Muove meraviglia il vedere che
il partigiano teórico del1' unità assoluta salito in seggio rifiuti
1' unióne e ritorni al concetto di Cola e del Porcari ; il che
non poténdosi in ta1' uomo riferire a riserva, nasce sospetto
che procedésse da gelosia di chiari nomi, e da paura di per
dere la preminénza. Come ciò sia, fu gran disgrazia pei
nuovi órdini che egli fosse loro preposto, avendo contribuito a
screditarli e precipitarli 12. " Senza Mazzini la repùbblica
romana non sarebbe caduta così di leggiéri e con lei non
sarebbe caduta ogni libertà13." Egli rifiutò le proposte di
Ferdinando di Lesseps che avrébbero salvato almen gli
órdini liberi e fatto sparagno di sangue, se prontaménte si
accettavano14: prolungò la resisténza quando era disperata
la difesa15: fé durare ancora otto giorni la carnificina inu
tile™ : e la sua pertinacia costò la vita fra molti prodi a due
gióvani eroi, il Manara ed il Morosini 17. Così la repùbblica
romana, nata prima che il Mazzini mettesse piede in Roma,
le fu debitóre del suo fine sanguinóso ; e il pópolo gli ha
óbligo di éssere ricaduto sotto il giogo più atroce. E an
corchè la-spedizióne francese non avesse avuto luogo, egli
15
170 ITALIAN READER.

serebbe precipitato ; perchè 1' abilità di fondare e di gover-


nare ripugna al vezzo delle congiure e dei tumulti ; e la
fama, gli usi, i portaménti del cospiratóre e sommovitóre
escludono il crédito e la sufficiénza del1' uomo di stato.
L' ingegno del Mazzini non prova che a demolire ; pre
valendosi delle altrui fatiche, non mica per compierle, ma
per guastarle 18. La sua vita politica è un continuo e fasti
dióso spettacolo di civile impoténza ; e se altri non avéssero
in pochi anni dato al1' Italia una spinta che ei non seppe
imprimerle in tre lustri, non avria pur valicate le sue fron
tiére, non che ottenutovi quella celebrità che il Machiavélli
promette ai dissipatóri dei regni e delle repubbliche19.
A udire i puritani diresti che il Mazzini abbia inventata
1' idea di repùbblica ; o almeno che sia stato il primo a re
carla in Italia. Come se da Crescenzio al Boyer20 infiniti
non 1' abbiano suggellata col coraggio e col sangue ; il che.
sinora non ha fatto il Mazzini ; e non fosse 1' Alfieri che
poco addietro con sommo ingegno la consacrava. Quanti
sono da un mezzo sécolo i gióvani di valore che leggendo i
suoi versi e le prose del Machiavelli, studiando nelle ópere
di Plutarco e di Livio non sieno stati repubblicani dalla
prima barba21? Ma a mano a mano che col créscere di
essa acquistarono scienza e sperienza, i giudiziósi si accórsero
che libertà e repùbblica sono cose diverse ; e che nei términi
correnti, questa a quella pregiudicava. Cosicchè il solo
privilègio del Mazzini si è quello di avér serbato nel1' età
matura le fantasie del1' età ténera. Io noto che nel1' an
tica rivoluzióne francese la lode di éssere il primo repubbli
cano toccò a Camillo Desmoulins, uomo ingegnóso, ma inetto
alle cose civili23. Imperocchè le mosse intempestive fanno
segno d' imperizia; e il vero modo di réndere possibile un
giorno la repùbblica italiana, se i casi volgeranno in suo
favore, si è il non méttervi mano fuori di tempo. Quando
accada che la nostra patria risorga, qual sia per éssere 1' as
setto de' suoi órdini, se ne dovrà saper grado principalménte
RINNOVAMENTO CIVILE d' ITALIA. 171

a caloro che introdussero e fondarono le franchigie costitu


zionali ; perchè siccome il progresso e 1' ésito dipéndono dai
principii, così il passato Risorgimento fu il seme, onde le
nuove sorti d' Italia germineranno.
Se duro e spiacévole mi fu di sopra 1' entrar nei biasimi
di un vécchio amico, mi è penoso ugualmente di dover
parlare contro un ésule ; e che io mi e' induca a malincuore
ciascùno può raccoglierlo dal contegno usato a suo riguardo
per molti anni. Tacqui di lui nel mio primo esilio ; benchè
la mossa di Savóia incominciasse a mutare il concetto ch' io
ne aveva, e i suoi andaménti ulterióri mirassero a distrug
gere ciò che io m' ingegnava di edificare. Anche dopo il
procédere inescusabile da lui tenuto in Milano, io non rimisi
della moderanza mia sólita : non feci atto di avversario ne
di nemico ; anzi passando per Génova pochi giorni dopo,
dove la sua madre (donna veneranda per ogni rispetto) era
ingiusto segno alle ire del pópolo, le diedi di riverénza e di
stima pùbblico testimónio. Mi sia lecito il ricordar questo
fatto, non mica per vantarmene (chè ogni uomo onorato nel
mio caso avrebbe fatto altrettanto), ma per rispóndere alle
calunnie di certi malévoli. Solo quando al1' ópera comin
ciata in Milano fu posto suggello in Roma e che. mi venne
tolto ogni modo di méttere in salvo la libertà italiana, che
vedevo precipitare, io ruppi il silénzio e non dubitai di
scrivere che " Giuseppe Mazzini era il maggiór nemico
d' Italia ; maggióre dello stesso Austriaco che senza lui
saria vinto e per lui vincerà24." Queste parole dettate ai
10 di marzo del 49, mentre 1' uomo che assaliva era nel
colmo della potenza, furono giustificate dalla disfatta di No
vara e da due anni di casi tremendi e lacrimévoli. Fallita
1' impresa di Roma, il Mazzini avrebbe almeno dovuto
ricordarsi che era stato assunto al governo di un pópolo ,
libero e generóso. Questa dignità g1' imponéva nuovi ób
blighi nelle ópere e nelle parole : g1' interdicéva di scagliare
invettive, menar folli vanti, ordir trame, suscitar turbolénze
172 ITALIAN READER.

a modo di un capopopolo e congiuratóre volgare. Giunto


era il tempo, in cui egli poteva emendar gli errori, far prova
di éssere rinsavito, mostrarsi al mondo uomo politico e savio
repubblicano ; attendéndo, senza far romori, a instruire i
suoi compatrióti e prepararli agli eventi possibili ; e imitando
il tranquillo e decoróso contegno, di cui il Pepe, il Manin e
il Montanelli, stati anch' essi nei primi gradi, gli danno
1' esémpio. S' egli si fosse governato con questo senno,
ogni buon Italiano, poste in dimenticanza le cose passate,
1' avrebbe per compagno ed amico ; giacchè 1' errare è di
tutti gli uomini e anche in politica sono lodévoli le conver
sióni.
Ma in vece egli torna al1' antico costume, recando nello
scrivere e nel1' operare quella leggerézza ed esorbitanza
medésima che solea quindici anni addiétro. Calunnia la
memória di Carlo Alberto,25 fa causa comune coi capiparte
più arrisicati di tutte le nazióni, cospira in Inghiltérra, in
Francia, in Germania, in Isvizzera, in Italia, e concita i
pópoli a moti intempestivi ; i quali non potrébbero avere
altro frutto che di avvilire la forma di stato che celebra, ac
créscere le pùbbliche sciagùre, far vittime inùtili e ritardare
il giorno della liberazióne. In vece di spargere e accredi
tare le idee democratiche con iscritti sodi e sostanziósi, egli,
le rende ridicole agli uni, formidabili agli altri con pro
clami e programmi fuor di propósito, che non insognano
perchè vuoti, non persuadono perchè eterócliti, non indiriz
zano perchè fondati in aria o sopra una capricciósa presun
zióne degli eventi, e non hanno nemmeno il prégio di ac
céndere gli animi (che è 1' utile sperabile di tali scritti) per
chè troppo frequenti e piene di promesse e di vaticini che di
giorno in giorno sono smentiti dalla speriónza. Benchè il
governo della repùbblica francese siasi portato in modo
indegnissimo verso Roma, il Mazzini non ha buon viso 20 a
querelarsene ; esséndosi egli adoperato per tanti anni colla
lingua, coi pensieri, colle ópere, a plasmare un Italia gallica,
RINNOVAMENTO CITILE D' ITALIA. 173

e perciò meritando di vedere Y ópera sua disfatta da quei


medésimi che avea tolto a modello. Tuttavia se egli avesse
protestato con dignità di ragióni come intérprete di un
pópolo oppresso da iniqua trama, le sue parole sarebbero
state autorévoli ed applaudite. Ma al1' incontro scordandosi
il decoro della carica avuta, e parlandone come ne fosse
ancora investito, egli insulta Alessio di Tocqueville : co
manda che si tronchi ogni traffico colla Francia : si sottos
crive triunviro di Roma : parla in nome d' Italia, come ne
fosse principe : suscita indegne vessazióni contro i repubbli
cani sinceri che non lo riconóscono per loro capo : impronta
danari, quasi che si fosse autorizzato dalla nazióne ; minac
ciando ridevolménte chi ne porge al nemico: il che non
sógliono ne anco gli autócrati e g1' imperatóri. In somma
egli la spaccia da pretendénte e da fondatóre di una dinastia
nuova con più prosopopéa e bória che non fanno i rampolli
borbónici di Spagna e di Francia.
I fatti recenti próvano dunque che il Mazzini non è meno
ostinato del Pinelli27; e che la conversióne dei puritani non
è più sperabile che quella dei municipali 28. Ora nel modo
che il Pinelli, benchè schietto amatóre del principato costi
tuziónale in Italia, gli nocque per imperizia e gli darebbe,
senza avvedérsene, 1' ultimo crollo, se fosse di nuovo arbitro
degli affari ; medesimaménte il Mazzini, tenerissimo della
repùbblica, ne fu sinora il maggiór nemico ; e se avvenga che
i fatti la favoriscano, egli sarà un grave ostacolo al suo sta
biliménto. Io raccomando queste considarazióni ai repub
blicani assennati e leali, perchè son sicuro di non ingan
narmi ; e perchè temo che i Cosacchi non siano> condotti
quando che sia in Italia dal1' uomo medésimo che ci chiamò
i Croati. Il crédito di una parte dipende dal capo che
elegge, come quello di un esército nuovo e non assaggiato,
dalla sua insegna. Il nome di Mazzini è esoso a molti da
gran tempo e va ogni giorno vie più scadendo per 1' inca
pacità pratica, 1' esagerazióne di certe dottrine, le ópere di
15*
174 ITALIAN READER.

molti de' suoi fautori ; e principalmente per aver prima


soprattenuto il rinasciménto italiano e poi affogatolo nella
cuna. Lungi dal1' attribuirgli alcune brutte massime e gli
eccessi di qualche suo partigiano, io credo che gli abbómini,
e consento volontieri a coloro che lo stimano irreprensibile
fuori della vita pùbblica. Ma il mondo che giudica dalle
apparenze non procede con tal riserbo ; ne ignora che
parecchi de' suoi fedeli levarono alle stelle il percussóre di
Pellegrino Rossi29. Tutti sanno che egli se 1' intende colle
sette più superlative di Europa non escluse eziandio quelle
che minacciano alla proprietà dei privati e alla pùbblica
sicurézza ; e pogniamo che non si accordi intorno al modo
di edificare, cospira con essi loro a distruggere. Il che fa
spavento in un uomo che a guisa dei monarchi costituzionali
regna e non governa ; e lasciandosi aggirare dai tristi, è
più tosto coda per tal rispetto che capo della sua fazióne.
A tutti in fine è conto ch' egli non è amico agli órdini
cattólici, e vorrebbe alterarli o mutarli ; il che lo rende
odióso non solo al clero, ma ad una parte notabile delle
popolazióni. E non piace ne anco a chi screde, ma è a
bastanza oculato da conóscere che 1' abolir le credenze non
è mai utile, e il trasmutarle oggidì impossibile. Aiuti il
Mazzini la causa italica, ma non ne sia il capitano, ne 1' ar
bitro, nè il bandieraio ; che la democrazia non dee adorare
un uomo, e meno di tutti quel1' uomo, a cui 1' Italia dee la
pérdita di tante speranze, e quindici milióni de' suoi figli le
loro sciagure

Pio Nono. — ( Capitolo Decimotérzo.)


Riandati gli errori e i falli delle sette, passiamo a quelli
dei principi. Il che faremo liberamente, senza temere che
ce lo vieti la loro inviolabilità civile ; la quale gli franca
bensì dal politico, non dal morale e stórico sindacato. Oltre
che questa prerogativa, essendo nata dal Risorgiménto itali
RINNOVAMENTO CIVILE d' ITALIA. 175

ano, non può stendersi ai fatti che lo riguardano ; e la parte


che i principi vi ébbero così nel dargli principio come nel-
1' indirizzarlo, sovrastando agli órdini che ne provénnero, ed
essendo eslege e dittatória, soggiace naturalménte al giudizio
degli scrittori. Si aggiunga che i sovrani di temperato
dominio pérdono il privilegio di non essere sindacabili,
quando ne abùsano, alterando o manomettendo g1' instituti
che lo partoriscono. E per comune consenso è lecito il bia
simo anco verso di essi quando cessa 1' una o 1' altra delle
due condizióni, in cui si fonda 1' immunità loro ; cioè la vita
materiale o la civile. Carlo Alberto non è più tra i vivi :
Pio IX, Leopoldo di Toscana, Ferdinando di Nàpoli,
avendo spenta la libertà e stretto lega co' suoi nemici, sono
morti alle patria, e come principi costituzionali non appar
téngono più al sécolo, ma al1' istória.
Il mio tema però non richiéde ch' io discorra partitaménte
di tutti. Le colpe del Borbone sono così manifèste, enormi
ed atroci, che sarebbe tempo perduto il farne parola ; e io
debbo, scartato il supérfluo, ristringermi al necessario. Ed
è quasi più ingiurióso in alcuni casi al1' umanità del sécolo
il muover processo alla tirannide che il giustificarla ; perchè
questo può parere un' ironia arguta (come fu stimato dal
Machiavelli), quello non passa talora senza scandalo ; quasi
che Y abuso più mostruóso della potenza non si condanni da
se medésimo. Ne Ferdinando, a dir próprio, appartiéne al
nóvero di coloro che incominciarono il riscatto italiano,
avéndolo contrastato sin da principio; e pogniamo che ad
arte o per forza lo favorisse per un certo tempo, non si può
crédere che mai lo abbracciasse di cuore e spontaneaménte.
Troppo ripugnano le idee nóbili e grandi allo sterpone bor
bónico, che aduna in sé peggiorato tutto il male della sua
razza ; alla quale intervénne come a certi animali ed arbusti
maléfici, che trasferiti sotto un cielo fèrvido, divéntano più
velenósi. Egli porge un esémpio quasi ùnico alla nostra
età, in cui la mansuetudine dei costumi ha mitigato il dispo
176 ITALIAN READER.

tismo medésimo ; tanto che per trovargli un parallelo, bisogna


risalire ai tempi che precedéttero il Cristianésimo ; quando
Catone maggióre diceva che il re per natura è un animale
carnivoro1. Il Casa fu tassato di esagerazióne, allorchè
per descrivere la fiera immàgine e lo spaventévole viso della
monarchia, chiamólla " una péssima e crudelissima fiera, che
superba in vista e negli atti crudele, il morso ha ingordo e
tenace, e le mani ha rapaci e sanguinóse ; ed essendo il suo
intendiménto di comandare, di sforzare, di uccidere, di occu
pare e di rapire, conviene che ella sia amica del ferro della
violénza e del sangue ; alla qual sua intenzióne recare a fine
ella chiama in aiuto gli eserciti di barbare genti e senza
leggi, la crudeltà, la bugia, il tradiménto, le eresie, la scisma,
le invidie, le minacce e lo spavento, e oltre a ciò le false e
infedéli inimicizie, e le paci simulate, e i crudeli parentadi, e
le pestifere infinite lusinghe2." Ma questi colori non son
troppo vivi per dipingere il governo truce ed ipócrita, che
perséguita, spóglia, sbandéggia, incarcera, ammazza, infama
non solo i buoni, ma eziandio coloro che non sono abba
stanza tristi : fa della patria 1' ergastolo e il martoro dei gene
rósi : tradisce i suoi partigiani medésimi : stringe amistà e
alleanza con ogni barbarie interna e forestiéra : corrompe i
cittadini : assolda e onora i libellisti : cólloca nelle spie, nei
birri, nei pretoriani, nei Gesuiti il suo presidio e le sue spe
ranze ; e accoppiando Belial a Cristo, porge la mano sinistra
al papa legittimo e la destra al1' antipapa. I suoi ministri e
satélliti per lo più gli somigliano ; alzando egli alle cariche
più cospicue uómini fangosi e ribaldi che altrove si porréb
bero in mostra sulla gogna o il patibolo.
I pestiferi influssi del Borbone non si ristrinsero al Regno ;
perchè a' suoi péssimi consigli e a quelli de' suoi creati
1' Italia va in parte debitrice se il granduca e il pontéfice le
divénnero avversi e micidiali della própria fama. E qual
misfatto può agguagliarsi a quello di aver convertito la più
splendida e deliziósa regióne d' Italia nel paese più sfortu
RINNOVAMENTO CIVILE D' ITALIA. 177

nato? Napoli concorde al Piemonte avrebbe redenta la


nazióne e posto se stesso in cielo ; e ben può dirsi che
trascurando un' occasióne sì bella di potenza e di glória,
quel misero re si chiarisse non meno stolto che iniquo. E in
vero la sua politica non ha pure quel tristo pregio che si
rinviene talvolta in quella dei déspoti, poichè inetta al1' ele
zióne dei mezzi e senza unità di pensiéro, si è chiusa ogni
via di scampo e corre fatalménte alla sua rovina. Tornare
al bene dopo tanti eccessi è per poco impossibile ; e 1' andare
innanzi sulle stesse orme a che può riuscire ? Eccovi che
lo sciagurato principe già paga il fio delle sue colpe ; co
stretto a réndersi quasi inaccessibile, assieparsi di guardie, e
intanarsi nella sua réggia come in un serraglio ; ma serra
glio più duro (malgrado le delizie e le pompe) di ogni
carcere, perchè infestato dai fantasmi della rea coscienza e
dal terrore8. ,
Tacerò pure di Leopoldo toscano ; principe senza polso e
senza pensieri ; non però senza astuzie ; colle quali gli
animi deboli cercano di supplire al1' ingegno : mite per
fievolezza non meno che per virtù ; e anche pel genio privi
legiato del paese : governato in casa dai famigliari, in piazza
dai municipali4 o dai Tedeschi, secondo le occorrenze. Per
alcune di queste doti egli somiglia al regnante pontéfice ; se
non che questi e per 1' altezza spirituale del grado e per
essere entrato il primo nelle vie del Risorgiménto, gli fu
assai più pregiudiziale quando prese a combatterlo ; laddove
senza il cattivo esémpio di Roma, le arti di Napoli e gli
errori del Piemonte, il granduca non sarebbe uscito del
segno o saria stato fàcile il ricondùrvelo. Perciò il mio
discorso dei principi si ristringerà a Pio IX e a Carlo
Alberto ; i quali, come ebbero le prime parti nel moviménto,
così contribuirono a sviarlo, benchè in modo e in grado
molto diverso ; non mica per malizia, come Ferdinando, ma
per imperizia, e per non esser pari di mente e d' animo a
un impresa di tanta mole. Vero è che ad alcuni io parrò
178 ITALIAN READEK.

temerario a notare gli errori e i difetti di tali due principi.


Ma non mi è difficile il giustificarmi ; imperocchè per ciò che
riguarda il primo, io conosco quanto altri la riverenza
dovuta alla sacra persona e autorità del pontéfice ; e credo di
averne fatto prova nelle varie mie ópere. Ma 1' osservanza
del grado e la piacenteria verso 1' uomo sono cose differen-
tissime : la prima è prescritta al cattólico, la seconda è vie
tata al cristiano : e se 1' una è débito di religióne, 1' altra è
offesa del vero e della giustizia. So che non vi è sempre
1' obbligo di dire la verità ; ma so pure che il silénzio è
colpévole, quando ha fàccia di bugia e di adulazióne : il che
avviéne ogni volta che ammuténdo ai trascorsi di una per
sona da te lodata, può parere che tu gli approvi, o almeno
che li reputi men degni di biasimo, che non i mériti anterióri
di plauso e di lode. Io celebrai Roma e Pio nono, quando
i lor portaménti onoravano la religióne ; non posso adunque
tacere adesso che son divenuti oggetti di dolore e pietra di
scandalo
Pio IX è senza alcun dùbbio il principe più singolare.
Il suo regno si può distinguere in due epoque distinte e
contrarie ; la seconda delle quali consiste nel distruggere
le ópere della prima. Come Clodoveo di Francia, egli bru
cia ciò che adorava e adora ciò che dava alle fiamme ;
e a guisa di Penelope disfà nella notte la tela intessuta
nei dì sereni della sua potenza. Per modo che si può dire
aver egli adunato nel breve corso di questa ogni sorta di
contraddizióni politiche e dissonanze. Benedice e consacra
1' indipendénza d' Italia, e chiama nel seno di essa ogni
generazióne di stranieri e di barbari. Dà a' suoi pópoli un
civile statuto e lo ritóglie. Biasima i tempi gregoriani 5 e
peggiorati li rinnovólla. Partéggia pei pópoli contro le
avanie dei principi e si collega coi principi a sterminio dei
pópoli. Loda 1' insegna patria di Carlo Alberto e applaude
alla tirannide di Ferdinando. Abbandóna e scaccia i Ges
uiti, poi li richiama e dà loro in pugno il manéggio delle
RINNOVAMENTO CIVILE D' ITALIA. 179

cose sacre e civili. Abbraccia António Bosmini e gli pro


mette la pórpora ; poi lo tradisce in mano degli sgherri di
Napoli e lascia che i suoi libri si censurino, la sua dottrina
si calùnnii, il suo nome si laceri. Concede al Parmense e
al Barbone napolitano6 di violare i chiostri illibati, al1' im
peratore tedesco di scacciare i preti della carità cristiana, di
esautorare, sbandire, incarce*are, straziare, uccidere il fior
del clero ungherése non reo di altro che di avere amata e
servita la patria ; e nel tempo stesso inveisce contro i sovrani
dei Belgi e dei Sardi, perchè con leggi eque e mansuete
abah.scono gli abusi e frenano le prepoténze dei chierici.
Vieta a' suoi figli il combattere a difesa d' Italia gli Au
striaci, e invita gli Austriaci a pugnare contro 1' Italia e i
suoi figli. Chiama i Francesi a Roma per difènderlo e li
ringrazia come liberatóri ; poi li prende a sospetto e vor
rebbe rimandarli come nemici. Rende caro e venerando il
nome ortodósso anco agli eretici e ag1' infedéli in Europa, in
América, in Oriente ; e poi lo fa odiare ai cattolici nelle
terre italiane e in Boma medésima. Il suo regno mirabile
e funesto acchiude nel corto giro di un' olimpiade lo spazio
di molti lustri. Nel primo periodo giovò più egli solo a
riméttere la fede in onore e preparare la ribenedizióne dei
pópoli che non i suoi precessóri da tre sécoli ; laddove nel
secondo più valse a partorir 1' effetto contrario che una gene
razióne di erétici e una sequenza di antipapi.
Queste ripugnanze parranno tanto più strane, quanto che
in Pio come uomo e come sacerdóte non vi ha che riprén
dere. Anzi tutto nel privato è degno di lode : costumi
innocénti, aspetto venerando ed amabile, contegno grave e
irreprensibile, animo benévolo e inclinato alla mansuetudine,
coscienza timoratissima, zelo sincero e ardente di religióne,
cuore intrépido ai pericoli della persecuzióne e del marti
rio. Egli sarebbe buono e gran principe, se a tal effetto
bastasse 1' esser pio di fatto come di nome, e se la santità
annullasse quella legge di natura, per cui il valere in politica
180 ITALIAN READER.

e proporzionato al sapere. Ma nel manéggio degli affari


prova assai meglio una virtù mezzana accompagnata da
sufficienza, che una virtù eróica, ma imperita ; perchè 1' ac
cortézza pratica e non mica la bontà del1' intenzióne fa conó
scere gli uómini e le cose loro. Dedicatosi fin da principio
al nóbile e faticóso ufficio delle missióni, e poi assunto a un
grado elevato di amministraeióne ecclesiastica, Giovanni
Mastai 7 non ebbe tempo ne agio di vacare agli studi ; cosicchè
eziandio nelle matérie sacre egli è costretto di ricórrere al
giudizio degli altri, che facilménte ne abusano. Quindi è
che alcune sette sono oggi più potenti che sotto papa Gre
gório ; nuovo anch' egli nelle cose del sécolo, ma versato
nelle teológiche ; cattivo principe, ma pontéfice dotto e pru
dente, che seppe resistere a chi volea servirsi di Eoma per
violare la libertà cattólica e proscrivere gli scritti che non
piacciono ai faziósi8. La fermezza del Capellari9 non passò
nel successóre ; il quale ha una di quelle nature buone,
candide, amorévoli, ma déboli e irresolute, che non sapendo
deliberare da sè medésime, sono ludibrio dei raggiri altrui
e preda dei falsi consigli. Benchè forte e inflessibile nel-
1' osservanza del dovere, egli varia nella sua estimazióne ;
perchè dipendéndo questa dai giudizi pratici, egli è nel for
marli facilménte ingannato dagli astuti che s' impadroniscono
del1' animo suo j come si narra di Claudio Césare10. "Ag
giungi che non avendo ferma la salute e patendo di nervosa
passióne, reliquia del suo male antico, più soffre quanto più
ha 1' animo mosso ed inquiéto ; ragióne per questa di osci
tanze e di mobilità11." Laonde per tali parti non meno che
per la rettitudine del1' animo e la santità della vita, egli
somiglia a Celestino quinto ; ma più di esso infelice ; perchè
continuando a regnare, in vece di fare il gran rifiuto, egli
spense i suoi principii gloriósi coll ésito più miserando. Caso
degno>,di eterne lacrime, presso che unico nella stória ; ma
imputabile a quei soli che con arte infernale convertirono
in lutto tanta gióia e tante speranze.
RINNOVAMENTO CIVILE D' ITALIA. 181

Si dirà che anch' io mi contraddico, parlando in tal forma


di un pontéfice, del quale a principio celebrai il valore.
Ma io posso fare una girata dello sbaglio a' miei onorandi
compatrióti ; perchè essendo allora lontano e non conoscendo
altriménti il nuovo papa, io fui sémplice ripetitóre in Parigi
di quanto si diceva, si scrivéva, si acclamava in Roma e per
tutta Italia. Chi non si ricorda le lodi straordinarie che con
voce unanime si davano al1' eletto? Ma sin dallo scórcio
del quarantasétte io cominciai a riméttere della mia fiducia.
Se non che, era senno il fare ogni sforzo per tenere in
crédito il nome e in sesto i consigli del1' uomo necessario a
cómpiere 1' incominciato ; e per impedire che il promotóre
diventasse nemico. Nè vuolsi condannare 1' universale, se
passò il segno negli applausi ; trattandosi di un fatto così
inaudito e insperato come 1' avvéniménto di un papa libera
tóre. I principii di Pio nono furono in vero maravigliósi e
palesarono quanto un uomo eziandio mediócre si possa innal
zare, allorchè segue g1' impulsi di un cuore benévolo e della
pùblica opinióne. La lettura di alcuni scritti gli avea per
suasa fin da che era cardinale la necessità di una riforma
negli órdini civili pel ristoro delle credenze. Fatto papa,
pose mano al1' ópera ; e in quella tristizia del mondo grego
riano fu solo a volere il bene : da ciò la sua grandezza.
Ma il buon volere senza il buon giudizio vale bensì a
cominciare le imprese, non a condurle saviaménte ed a
cómpierle. Il primo débito di un riformatóre è di fermar
sin dove le innovazióni si debbono stèndere, secondo la qualità
dei luoghi e dei tempi ; e di ovviare ai rischi che porta seco
nei pópoli novizi ogni sorta di cambiaménto. Pio nono ebbe
appena un' idea del1' assunto che intraprendéva : non antivide
alcun pericolo : non usò veruna cautéla : credendo bona-
ménte che si sarebbe potuto arrestare al segno che avrebbe
voluto. Dalle riforme passò allo statuto senza saper che
fòssero gli órdini costituzionali, ne conóscere i primi elementi
della politica ; il che era un impaccio e una tribolazióne non
16
182 ITALIAN READER.

piccola pe' suoi ministri. Pellegrino Rossi fu talvolta


presso a disperare di cavarne qualche costrutto ; e ad un
altro valentuomo non riuscì mai di fargli intendere che
1' Italia fosse una nazióne. Così andando innanzi, portato
dal voto pùblico anzi che dai propri consigli, e vedendo sor
gere da ogni lato e moltiplicare i contrasti del ceto clericale,
cominciarono a nascere nel1' animo suo mille dubbi sulla
opportunità del1' ópera che imprendéva; i quali nudriti
artataménte dai tristi, gli pósero alla fine in ódio le idee che
aveva proseguite con tanto amore. Il suo regresso infelice
nacque adunque da quella stessa bontà di cuore che gli
avea suggeriti i primi progressi ; la quale avendolo indotto
come principe ad abbracciare la patria, lo mosse ad abban
donarla come pontéfice, quando . i suoi nemici gli ebbero
persuaso che il riscatto d' Italia danneggiava la religióne.
Ma laddove egli fu quasi solo a volere il bene, e a ope
rarlo; ai mali che sottentrarono diede il nome più spesso
che il concorso. Imperocchè dai 29 di aprile in poi il go
verno effettivo di Roma cominciò a passare dalle sue mani
a quelle dei cardinali. Il che sotto un papa débole era in
evitabile ; e sarebbe avvenuto più tardi in qualunque modo,
stante che il corpo di quelli è sovrano negl' interrégni. Per
assicurare i nuovi órdini, uopo era rinnovare il sacro collé
gio ; e rinforzare i pochi buoni che ci sono col1' aggiunta di
molti óttimi. Ma il consiglio non piacque14; e d' allora in
poi il disórdine è sempre cresciuto. Oggi si può dire che
1' interrégno ha preso il luogo del regno ; perchè Pio co
manda in nome, i cardinali in effetto ; e quantunque il papa
sia vivo, la sede, a dir próprio, è vacante. Laonde 1' Ali
ghiéri potrebbe ora scrivere con verità non minore, benchè
per altro rispetto, che vaca il luogo di Pietro nella presenza
del figliuól di Dio 15 e in quella deg1' uómini ; intendéndo
degli órdini temporali. E come in ogni oligarchia usurpa
trice è naturale che i peggióri prevalgano, così nel sacro
colleggio sono esclusi dal potere e ridotti al1' ufficio di
RINNOVAMENTO CIVILE D' ITALIA. 183

opponénti non solo i benèvoli e i virtuósi, ma eziandio quelli


che sotto papa Gregorio erano in voce di tristi. Nè i pés
simi che sovrastanno, come esperti e mediócri che sono,
hanno il primo indirizzo delle cose ; il quale è ricaduto alla
triplice setta dei sanfedisti, degli Austrorùssi e dei Gesuiti,
come ai tempi del Capellari
. . . Gli uómini virtuósi e zelanti d' Italia si consoleranno
dello spirare del tristo regno ; ma sóffrono a vedere che i
suoi ultimi aneliti cóstino troppo alla religióne. Alcuni sena
tóri sardi, perorando la causa di questa, si dólsero publica-
ménte che ella fosse continuo bersaglio agl' insulti di certi
fogli16. Non so se la querela fosse fondata; so bene che
quando Roma vitupera sè stessa coi fatti, ella non può
rammaricarsi se altri 1' offende colle parole. Allorchè il
padre dà pessimi esempi, è egli da stupire che i figliuóli gli
manchino di riverénza? I maggióri oltraggi che a Roma si
facciano sono i portaménti di Roma : corregétela, se volete
che il mondo véneri i suoi oracoli. Ella fu già adorata e
potente quando stimava suo ufficio " spégnere le tirannidi,
opprimere i cattivi, esaltare i buoni ; le quali cose debbe
con ogni opportuno rimédio fare ; " come disse uno de' suoi
pontéfici17. Oggi avviéne il contrario, e il male è tanto più
scandalóso, quanto meno aspettato, procedéndo dal1' uomo
che ebbe princfpii così diversi. Che se le rette intenzióni
di lui sono conte e la debolezza scusata; chi è che possa
dire allrettanto de' suoi consigliéri e ministri ? Quando
(per usare le parole del Guicciardini in somigliante propó
sito), "a ciascuno apparisce gli autori muóversi da fini am
biziósi e involti nelle cupidità delle cose temporali, e sotto
colore del bene universale conténdersi deg1' interéssi partico
lari ; e i pópoli hanno in orrore che sotto pietósi titoli di
cose spirituali si procurino per mezzo delle guerre e degli
scandali le cose temporali18." Se i prelati oligarchi amas
sero davvero 1' indipendénza della chiesa e il bene della reli
gióne, darébbero forse in preda 1' una e 1' altra alle armi stra
184 ITALIAN READER.

niere e ai Gesuiti ? Le stringerébbero in lega con Napoli,


col1' Austria, colla Prussia ? Le macchierébbero colle vio- •
lénze e col sangue ? Ma quei pochi che girano il tutto vo
gliono conservare i benefizi, i privilegi, le cariche, le ricchezze,
le delizie, le pompe ; e rifuggono di ritornare alla semplicità
e santità della vita apostólica. Che la fede ne scapiti, 1' ere
sia si sparga, 1' empietà imperversi, poco loro importa ; e
tale anteporrebbe per salvare il grado i riti del1' alcorano a
quelli del1' evangélio. E facendolo, sarebbe forse peggióre ?
" Come ! " esclamava il gesuita Ségneri, parlando del1' estre
mo giudizio, " un Cristiano rimproverato da un Tartaro ?
Un Cristiano accusato da un Turco ? Un Cristiano condan
nato da un infedéle ? Oh che grave smacco19 ! " Il Turco,
il Tartaro, 1' infedéle sórgono oggi in giudizio contro Roma,
poichè la vincono di umanità, di giustizia, e si portano assai
più cristianamente. Non si creda che io esageri, quando i
fatti gridano più che io non dico. Il gran signore20 ricusa
di tradire gli Ungheri fuggiaschi in mano al nemico minac
ciante e potentissimo ; e pure egli è laico e maomettano.
Roma cristiana e sacerdotale non si appaga di scacciare,
incarcerare, spogliare, uccidere i suoi figliuóli, ma vorrebbe
dannati eziandio quelli che lo straniéro assolve21. Non li
consegna veramente al1' Austria, ma la invita a pigliarseli
nel grembo suo. L' invita al macello non di straniéri e di
uómini di altra fede, ma d' Italiani cattólici e suoi propri
sudditi, chiari per vita innocénte, venerabili per professióne
di chiostro e dignità di sacerdózio ; e le armi assassine di
Ugo Bassi a sono benedétte dalla destra di Pio.
Quattro anni sono, beatissimo padre, io v' indirizzava
poche parole per celebrare 1' alto presagio che porgevate di
voi. Oro debbo adémpiere di nuovo lo stesso ufficio ; ma
quanto diversaménte ! Che divario da quei giorni al dì
d' oggi ! Voi siete ancora il capo supremo della chiesa, e il
vicario di Cristo pei buoni cattólici ; ma tutto il resto è
mutato. Oimè, santo padre ! in che abisso siete caduto !
RINNOVAMENTO CIVILE D' ITALIA. 185

Com' è oscurato il vostro nome ! Com' è avvilita la vostra


riputazióne ! Che dolore a paragonar ciò che siete con
quello che foste e che potreste essere ! Io debbo perciò
parlarvi tanto più sinceramente. So che son solo e che
porgo un esémpio ùnico. Ma la solitudine, non che spaven
tarmi, mi anima e mi conforta. Le parole di verità sone
ranno vie più autorévoli fra il silénzio dei falsi prudenti e il
romore delle adulazióni. Che se io apréndovi con riverénza
certi veri spiacévoli non ho compagni, mi giova il ricordare
che non ne ebbi pure quando alcuni anni sono esortavo il
ponteficato al1' impresa che fu poscia assunta da voi. Perciò
al mio nuovo discorso arrogerà qualche peso il suo raggua
glio col1' antico. Così potessi sperare che sia per giungere
al cospetto vostro, e che trovi il vostro animo abbastanza
libero da fare equa stima de' miei sentiménti.
Niuno riconósce più che io mi faccia23 la santità esem
plare della vostra vita e la bontà delle vostre intenzióni.
So che parlando ai pochi buoni, i quali per un caso straor
dinario póssono penetrar sino a voi, vi mostrate tuttavia
benévolo alla libertà e alla causa italica. Ma come va che
le vostre opere sieno tanto discordi dalle parole ? Se si
trattasse di altri, si direbbe che queste non sono sincere ;
ma un tal sospetto non può cader su di voi. Dunque la
vostra volontà e impedita : non siete libero, ne signore, ma
servo dei servi di coloro che ci opprimono. In voi si veri
fica il divino pronóstico fatto al primo dei vostri precessóri :
"In verità, in verità ti dico: quando eri gióvane, ti cingevi
la veste e andavi dove ti pareva ; ma quando sarai vécchio
stenderai le tue mani, e un altro ti cingerà e ti condurrà
dove non vuoi 24." Per qual fato, beatissimo padre, voi vi
levate i buoni e i valenti d' attorno, e date solo accesso e
fidùcia ai dappochi e ai cattivi ? Fra i cardinali, fra i pre
lati, fra i laici, lasciate gli óttimi che pur vi sono, e scegliéte
i péssimi ? Uómini chiari, prudenti, leali, che vi diédero
tante prove di affetto e di devozióne, e pospósero al vostro
16*
186 ITALIAN READER.

servigio la grazia popolare, il grado, la sicurézza, esulano


dagli stati vostri. E chi sono coloro che preferite ? Arros
sirei a nominarli ; quando non si trova pure nei più di loro
quella pietà e costumatézza che nel concetto di certi spiri
tuali può supplire alla sufficiénza. Il cielo vi aveva messo
innanzi un uomo, in cui la virtù è pari alla dottrina e al1' in
gegno ; uno di quei pochi che di rado si trovano nelle corti
e nelle réggie. Un altro pontéfice gli avrebbe dato il primo
luogo ne' suoi consigli ; e voi permettéte che i suoi nemici
lo strappino dal vostro seno e manométtano la sua persona ;
che falsi chierici lo spaccino per erético, e vili sgherri lo
trattino da malfattóre. Il vostro servigio e le vostre camere,
secure ai tristi, sono infide e di periglio solo ai virtuósi. In
ogni elezióne particolare ehe fate (singolare infortunio) vi
appigliate al péggio. Per ministro assortite 1' Antonélli :
per alleato 1' Austria : per rifugio Gaeta. Mentre togliéte
Ferrante Aporti alla chiesa di Génova, tutti sanno a cui sia
permessa la balia del1' universale. Fra i chiostri prediligéte
i Gesuiti : fra i principi accarezzate i nemici del nome ita
lico. E mentre astiate in Cario Alberto il compióne del
1' indipendénza e nel suo erede il mantenitóre dello statuto,
levate a cielo Ferdinando di Napoli, e chiamate piissimo un
principe ladro, spergiuro e tiranno. Che avrébbero detto i
Cristiani del primo sécolo, vedendo Pietro abbracciar Ne
rone ?
Il male che il vostro regno fece al1' Italia non ha più
rimédio ; ma almén si salvi quella religióne che siede in
cima del vostro cuore. Ora a che stato ella sia ridotta
ciascun sel vede. Grave errore è il crédere che i potentati
ne sieno solleciti, perchè alcuni di essi córsero a rilevare il
vostro trono. Non tanto che abbiate a rallegrarvi del loro
aiuto, ma dovreste dolervene ; chè essi inténdono a valersi
di voi, come di scudo ai propri interéssi e di puntello alla
loro potenza. Non zelo di fede nè divozióne alla chiesa gli
adduce ai pie vostri, ma codardia di cuore e spavento dei
RINNOVAMENTO CIVILE D' ITALIA. 187

demagóghi. Nei pericoli adórano voi, come adorerebbero il


Turco, se volesse aiutarli ; come adorerébbero 1' anticristo
ed il diavolo, se fòssero conservatóri. Ma passata la paura,
vi sprezzeranno, vi derideranno, v' insulteranno, e useranno
ogni termine per ischiacciarvi, come spesso fècero in addié
tro. E che amore di religióne può trovarsi in uómini cupidi,
ambiziósi, dissoluti, oppressóri del popolo, sommersi in ogni
corruttéla, la cui vita è una continua bestémmia del1' evan
gélio? Credete forse, santissimo padre, che il Borbone,
ingolfato nei supplizi, vi sia devoto ed amico ? Quando
molti sanno che dopo avervi baciati i piedi in Gaeta egli
soleva deridervi in Napoli. Credete che 1' antipapa cosacco
e il successóre del Barbaróssa, nemici di ogni umanità, sieno
téneri25 dei fatti vostri? Che i burberi politici di Parigi
usati da venti o trent' anni a sfatare ogni credenza, sien
divenuti ad un tratto téneri della santa sede ? Potete argo
mentare ciò che si pensa in Francia dai fatti di Roma ; dove
assai de' soldati che vi rimisero in séggio non osano fregiare
il petto dei vostri doni. Fino gli uómini e i paesi che os
téntano più zelo non dovrébbero nutrire la vostra fiducia ;
poichè quanto son larghi di parole, tanto riéscono vuoti o
scarsi di effetti. Il barcheréccio che salpò verso Roma non
somiglia al1' invincibile armata ; e ci tóglie ogni meraviglia
se anche nella Spagna cattolicissima voi non trovate oggi a
raccorre uno scudo o un manipolo. Ne al male rimédiano
coloro che rimpiangono i tempi di Filippo secondo, e aspi
rano a farli rivivere ; anzi lo aggravano notabilménte.
Tali sono in universale quei giornalisti e oratóri sacri e
civili, che prédicano in Francia e in Italia una religióne
mitissima coi senzi feroci delle età barbare ; e sotto larva
gesuitica cómpiono ¥ ópera dei Volteriani. Tal è in par
ticolare quel Carlo di Montalembert che teste visitava Roma
straziata a sua indotta dalle palle francesi, per pascer gli
occhi nei vestigi recenti della vittoria26; al quale e a' suoi
compagni Cristo, in vece di lode, avrebbe gridata la tre
188 ITALIAN READEH.

menda parola: Nescitis cujus spiriius estis^. Vedete


adunque a che la fede sia ridotta, poichè le si torce contro
lo zelo de' suoi difensori. Voi la faceste rinverdire per un
istante, piissimo padre, ritornandola qual era, quando nutriva
co' suoi frutti e consolava colla sua ombra i poveri e g1' in
felici ; giacchè la divina pianta non cresce al1' uggia dei
potenti e traligna se non mette nel popolo le sue radici.
L' error di Roma da tre secoli è appunto 1' aver fatto
divórzio dal popolo e posto il suo fondaménto in quelle
classi privilegiate, che Cristo fulminava sotto il nome di
mondo, come nidi ed artéfici di ogni corruzióne.
Ma voi non potrete, santo padre, aver 1' alleanza e 1' affe
zióne dei pópoli, se i vostri ministri non rinunziano a quella
del mondo e non ritórnano alla perfezióne dei tempi apos
tólici. Gli apóstoli non si curavano che di carità, di giusti
zia, di buone ópere, e delle dottrine vitali del Cristianésimo ;
laddove i vostri ministri procacciano sopra ogni cosa di
mantenére ed accréscere le curiali e politiche giurisdizióni.
Per un pollice di território che si tolga alla chiesa, méttono
1' Europa a romore ; ma non hanno una parola di dolore e
di sdegno per lo strazio dei pópoli e il traffico delle nazióne.
Se i liberali tóccano loro i latifòndi e le prebende, e se un
governo cattólico ricóvera i suoi diritti con qualche piccolo
danno temporale della romana curia, gridano alle stelle, e
ùsano uno stile pieno di orgóglio e di rabbia che sùpera il
raca minacciato dal1' evangélio28. Non dico che ai minori
interessi si manchi ; ma troppo scandalóso è il recare nella
lor tutela un' enfasi furibónda, mentre si tóllera che dai
faziósi si guasti 1' ética e si laceri 1' innocénza, purchè difèn
dano Roma. Strano procédere è questo nei seguaci e nel
luogotenénte di chi pose nella rinunzia dei beni temporali la
cima della perfezióne ; volle póveri i suoi discépoli, e fu
póvero egli stesso ; nè ebbe durante il suo benéfico peregri-
naggio29 dove posare il divino suo capo.
La cima della religióne è la morale ; alla quale lo stesso
RINNOVAMENTO CIVILE I>' ITALIA. 189

dogma (benchè di sommo rilievo) sottostà, di peso in órdine


alla salute ; laonde nella fòrmola del supremo giudizio
Cristo non parla di riti e di credenze, ma di amore e di
misericordia. La carità similménte alla fede sovrasta ;
perchè " sebbene io parlassi il linguaggio degli uomini e
degli angeli, se non ho carità sono come un bronzo che
suona e un cembalo squillante. E quando pure io fossi
profeta e intendessi tutti i misteri e tutto lo scibile, e avessi
tutta la fede in modo da traslocare i monti ; se non ho carità,
io sono un bel nulla80." La città santa, beatissimo padre,
non può aver per male che di lei si dica quanto afferma di
se stesso il vaso di elezióne 81 ; cosicchè se ella non ha carità,
non ostante le sue ùniche prerogative, viene a essere come
un bronzo che suona e un cémbalo squillante. E in effetto
non mancano a Roma esemplari cultori delle virtù più
insigni ; ma questi non sono per ordinario assortiti a reggerla
civilménte. Che carità e mansuetudine risplende in coloro
che oggi ne giran le sorti? Anzi che giustizia? Erano
forse giusti e caritévoli quei giudici, che condannarono a
morte senza dibattiménto, senza appello, senza revisióne sei
infelici tirati dal1' altrui furore a barbara rappresaglia?
Uno dei quali fu giustiziato sopra la fede di un solo testimó
nio e un sémplice indizio. Son forse umani quegli uffiziali
che rinnóvano 1' uso infame del cavallétto82? Ne parlo di
casi straordinari ; chè il foro iniquo creato da papa Gregório
sotto il nome di sacra consulta (orribile antifrasi) fu ancora
aggravato da chi regge in nome vostro ; e la giustizia som
maria che vi si pratica è così sprovveduta di ogni guaren
tigia, che i Barbaréschi e i Turchi ne perdono. E chi sono
i giudici ? Uómini per lo più diffamati per viltà di costumi
e reità di opere, che in vece della sédia tribunale meriteréb
bero il remo o il patibolo. L' eminentissimo Antonélli
non solo v' impone cotal giustizia, ma vi tóglie persino
quella prerogativa che preme più di tutte ai buoni principi ;
interdicéndo a voi, vicario di Cristo, il perdono e la clemenza.
190 ITALIAN READER.

E quando andaste a Napoli, vi lasciò forse seguire g1' impulsi


del vostro cuore ? Il mondo stava ad occhi aperti e sperava
che avreste consolata con qualche tratto paterno la città
infelice. Ma il cardinale non vel permise : onde il vostro
soggiórno non fu abbellito e consacrato da alcun' ópera
benéfica : la vostra lingua non ebbe voci di benedizióne che
pel re omicida e pe' suoi satélliti. Oh santo padre ! Forse
il Dio Uomo, di cui fate le veci, encomiava Erode e i per
cussóri deg1' innocénti ? Non doletevi adunque se i pópoli
che tanto vi amarono ora vi abbandónano ; se i Romani
tacciono fremendo al cospetto vostro, e se foste solo accla
mato in Napoli da poche labbra immonde e prezzolate.
Quando teste, padre santo, sfolgoravate, col1' autorévole
vostra parola quelle utopie false e pericolóse che minacciano
la proprietà e la famiglia, e sotto nome di rimédio promét
tono lo sterminio, tutti i buoni se ne rallegrarono, e i póveri
non meno dei ricchi ve ne furono riconoscénti84. Ma dolse
a tutti il vedere che i sapiénti consigli sieno stati accompa
gnati da certe frasi che póssono pregiudicare alla loro effica
cia. Imperocchè taluno le interpretò in guisa come se con
dannaste in universale tutte le riforme económiche, non lasci
ando ag1' infelici altra fiducia che i beni del cielo e la pietà
dei doviziósi. Ma voi non potete ignorare che i compensi
futuri non suppliscono ai bisogni ne cancéllano i diritti pre
senti ; e che le speranze del paradiso non sono una buona
ragióne per che il nostro mondo sia ai miseri un inferno.
La misericórdia privata fu rimédio scarso e insufficiénte
anche nei sécoli religiósi e fèrvidi ; quanto più oggi che la
fede è spenta nei cuori, e i fortunati del sécolo méttono in
deriso i terrori e i guiderdóni del1' altra vita. Oltre che
mal si provvede alla necessità della plebe con iscapito del
suo decoro ; come accade per lo più quando la beneficénza
ha forma di aiuto individuale e non di comune e pùbblica
retribuzióne. La limósina fu e sarà sempre un suppleménto
necessario ai mancaménti della carità civile ; ma ella non
RINNOVAMENTO CIVILE D' ITALIA. 191

proscióglie i governi dagli oblighi della medésima. L' igno


ranza che impediva alle età rozze di esercitarla, non iscusa
la nostra ; onde sono tanto più da lodare quei savi che
ricórdano a chi regge il suo débito, e i modi miglióri di
adémpierlo gli suggeriscono. Che se taluno di loro per
eccesso di zelo trasmoda e propone spedienti non acconci o
anche pericolósi, perchè inveire contro di esso, in vece di
correggerlo paternamente ? Perchè accusarne le intenzióni ?
Perchè buttargli addosso un torrente d' ingiurie, che a niuno
tanto si disdicono quanto al padre supremo dei Cristiani ?
" La sapiénza del pontéfice," scrivéva un grande e pio Ita
liano " non dee sdegnarsi con quelli che sono in qualche
errore, ma piuttósto benignaménte illustrarli35." Sfortunata
ménte Roma non ricorda sempre questa massima evangélica
ne' suoi brevi e nelle sue bolle. Ma ciò che muove ancór
più a dolore si è che mentre voi vi mostrate singolarménte
sollecito degli agiati per assicurare il godiménto dei beni che
Iddio diede loro,m il vostro governo accresce la miséria
deg1' indigénti, mantenéndo il giuóco del lotto ; e v'ha chi
osa difènderlo pubblicaménte in Roma, tassando chi lo
biasima di licenzióso37. L' immoralità intrinseca e i danni
di questo giuóco non han più oggi mestiéri di éssere dimo
strati ; ben è da stupire che i suoi difensóri non si avvég
gano di professare il peggiór génere di comunismo. Im
perocchè laddove i comunisti ordinari vógliono spogliar gli
opulenti del loro supérfluo a benefizio dei póveri, essi tólgono
ai póveri il necessario a vantaggio dei ricchi, e ciò che è
péggio ancora, estinguono nella plebe col seducénte e ingan
névole attrattivo quelle abitudini di previdénza, di risparmio,
di aggiustatézza, che sono la guardia più efficace delle sue
virtù e il migliór solliévo delle sue misérie.
Già scandalo immenso e dolore a tutti i buoni cattólici si è
il vedere che infelicissimo di tutti i pópoli della terra sia
quello che dal cielo è commesso alla vostra custódia. Ma
quasi che ciò ancora non basti, i vostri ministri, sotto colore
192 ITALIAN READER.

dello spirituale, cércano d' imporre un giogo importabile alle


altre nazióni, e di far loro gustare un saggio di quella felicità
che privilégia gli stati ecclesiastici. Tacerò del Belgio,
dove da voi non istette che si rivocasse una legge savia sul
pùbblico insegnaménto, perchè non accomoda a una setta.
Tacerò della Inghiltérra, dove un vostro órdine dettato da
pio e óttimo intendiménto, ma biasimatovi eziandio dai cat
tólici più giudiziósi come inopportuno,88 diede origine a
deplorabile profanazióni in Londra e a sanguinósi tumulti
nelle province 89 : ridestò le ire e le rabbie religióse estinte
o almeno sopite da lungo tempo ; e fece in pochi mesi più
scapitare il cattolicismo che non aveva acquistato in molti
anni addiétro. Che divario, beatissimo padre, da quei giorni,
in cui il vostro nome era applaudito nella maggiór Bretagna
non meno che in Roma ; e la vostra venerata effìgie, tratta
poco dianzi alle gemonie da un volgo infuriato, pendeva
in segno di omaggio da tutte le pareti ! Se avreste prose
guito nella stessa via, la metà del1' Inghiltérra sarebbe ora
ribenedétta ; dovechè coi nuovi spedienti, la terrete al dogma
anglicano- per renderla razionale. Ma non posso passare
in silénzio il procédere dei vostri riguardo al Piemónte.
Questa póvera provincia dopo le passate tempeste avea biso
gno almeno di éssere lasciata in pace per potere atténdere
alla tutela de' suoi órdini liberi mal veduti e minacciati da
tutta Europa. I vostri al1' incontro fècero ogni ópera per
agitarla, e da lor non rimase che il paese non arda di guerra
civile, perchè con legge equissima e santissima il governo ha
sciolto i chierici da una profana ingerénza e ripigliati i suoi
doni. La plebe subalpina per buona sorte fu più assennata
dei vostri ministri ; e gli sforzi sediziósi fatti per abbottinarla
non riuscirono ad altro che a smacco deg1' indócili e a crédito
di chi regge il Piemonte. Così Roma, in vece di accréscere
la sua potenza e riputazióne, va rimetténdo ogni giorno
del1' una e del1' altra ; e ciò succede, perchè si consiglia coi
Gesuiti atti solo a rovinare ogni causa che abbracciano. E'
RINNOVAMENTO CIVILE D ITALIA. 193

gran tempo, padre beatissimo, che uómini leali e zelanti del


bene vi rappresentano gli errori, gli eccessi, le corruttele
del1' órdine famoso, visibili a tutto il mondo; ma voi, in
vece di aprir gli occhi, chiudete loro la bocca. E non
dovrebbe bastare a disingannarvi la smisurata ambizióne di
quei claustrali; e 1' uso costante che hanno di perseguitare
colle invettive, le maldicénze, le calunnie, gli uómini inteme
rati che non gli appróvano o g1' ingelosiscono ? Le quali
enormità non sono già licenza di pochi, ma institùto del1' ór
dine ; poichè le rimostranze non valgono a correggerle ;
anzi ogni giorno si moltiplicano col1' approvazióne e la lode
del generale. Credete forse che póssano essere colonne
della chiesa coloro che spiantano e calpéstano ogni giorno i
precetti del1' evangélio ? Ma che maraviglia se Roma tóllera
ed abbraccia i calunniatóri, poiché il suo governo non si
vergogna di spargere e accreditare i libelli più infami 40 ?
Sapete, padre santo, qual sia per éssere 1' ultimo esito di
tanti scandali? Bisogna pure che riverentemente io vel
dica ; giacchè in tanto pericolo sarebbe colpévole ogni dis
simulazióne. L' ésito finale sarà la ruina della fede cattólica
in Italia ; e 1' Italia forse troverà chi la segua. I pópoli
diranno : a che pro un' instituzióne che rende infelice la
patria nostra ? A che pro 1'império di un uomo che ci
toglie autonomia, libertà, unióne, ricchezza, cultura, potenza,
glória ; e fa sì che la prima sia 1' ultima delle nazióni ? A
che pro una corte, la quale mentre insegna la morale in
parole, ci strazia colle ópere e ci corrompe con péssimi
esempi ? I nostri antichi ben fècero ad aver cara un' insti
tuzióne che, se non sempre, sovente almeno, predicava coi
fatti la carità e la giustizia, e abbracciava animosaménte la
causa degli oppressi. Ma il papato moderno è in lega per
pétua cogli oppressóri e oppressóre egli stesso : attende di
continuo a cure profane e mondane di privilégi, d' interéssi,
di giurisdizióni : trasanda la legge evangélica : permette che
la religióne di Cristo traligna in farisaismo : presta facile
17
194 ITALIAN READER.

orécchio ai faziósi che abusano 1' autorità sua a danno e


discrédito deg1' innocénti ; e quel poco che fa di sacro, versa
per lo più intorno a certi accessórii di astruserie teológiche
e di divozioncélle, che fruttano assai meno alle anime che ai
Gesuiti. Ora non è verosimile che un tale instituto sia
ópera divina ? Perchè non imiterémo quei pópoli di oltre
monte e di oltremare che da sécoli scóssero 1' indegno giogo ;
e specialménte queg1' Inglesi, la cui flórida grandezza co
minciò col divórzio da Roma? Io ricordo senza scrùpolo
tali bestémmie ; perchè se grave duolo ne arreca 1' udirle, a
maggiór danno tornerebbe il trascurarle. Le quali già suó
nano sulle labbra di molti : già per noi ricominciano gli anni
anterióri alle riforme del Tridentino, quando uómini gene
rosi e illibati, che uno sdegno Serissimo spingeva lungi dalla
patria loro, scambiavano colle credenze di Vittembérga e di
Ginevra i riti augusti di Roma. Non passa quasi giorno
che tali esempi non si rinnóvino in qualche parte della
penisola ; e ciò che ora si fa dag1' individui, col tempo si
farà dai pópoli. Che se i buoni cattólici hanno in orrore tali
discorsi ; quanti sono al dì d' oggi i buoni cattólici ? Certo
la virtù vera, come ho già detto, non è spenta in Roma, e il
papato non è sindacabile delle colpe degli uómini e della
tristizia dei governi. Ma il volgo misura le cose dalle
apparenze ; e gli enormi disórdini di Roma temporale
dando negli occhi41 a ciascuno, oscùrano ogni mérito e avvili
scono ogni pregio. Il cattolicismo non verrà meno, perchè
le divine promesse sono immortali. Ma non vi ha parola
che ne assicuri il possesso perpétuo al1' Italia ; e questa può
pérderlo, può rigettarlo, come altre nazióni nobilissime.
Perciò sarebbe tentare Iddio il chiédergli un miracolo ; qual
faria di mestiéri, se in questa civiltà crescente, in questo
corso incessante di tutti i pópoli verso la libertà e la nazio
nalità loro, il primo di tutti dovesse rinunziarci in grazia
della santa sede. La Providénza lascia per ordinario che i
mortali ricòlgano il frutto dei loro errori. Quattro séco!?
RINNOVAMENTO CIVILE D' ITALIA. 195

fa, un uomo intemerato,42 pio, dotto, eloquentissimo tonava


in Firenze contro i disórdini della corte di Roma, annunzi
ava i mali e gli scismi sovrastanti, e chiedéva la riforma del
capo e delle membra ecclesiastiche. Il papa di allora, in
vece di dargli retta, g1' impone silenzio, lo condanna, lo
scomùnica, lo fa cógliere come un erético, digradare, senten
ziare alle fiamme. Or chi si appóse ? Il frate o il ponté
fice ? Le céneri del martire erano ancor calde quando
Martino Lutero ribellava da Roma la metà di Europa.
Noi abbiamo in voi, padre santo, un papa degno per le sue
virtù dei tempi apostólici ; tuttavia il male dura, perchè i
ribaldi régnano in nome vostro. Se non ci ponete rimédio
le calamità future della religióne e della chiesa saranno più
gravi e terribili delle passate ; e le mie parole, oggi forse
derise, verranno ampiaménte giustificate dal1' avvenire.
POESIE SCELTE.

IL PRIGIONIERO.

INNO DI MARONCELLI '.

Primaverili aurette
Che Italia sorvolate,
Voi quì non mai spirate
SuU' egro prigionier.

Quanto d' aprile e maggio


Chiamata ho la reddita !
Venner . . . ma non han vita
Per 1' egro prigionier.

Sotto moravo cielo


Bella natura langue,
Ne ricomporre il sangue
Può al1' egro prigionier.

Quanto durai di spasimi ?


Quanto a durarne ho ancora
Sin che una dolce aurora
Disciolga il prigionier ?

Surga ! e che alfine io senta


Madre, fratello e suore
17 * (1W)
198 ITALIAN READER.

Sanar col loro amore


Lo sciolto prigionier.

Ahimè ! — speranze tante


Vidi voltarsi in guai,
Che più speranza ornai
Non ride al prigionier.

ODE ITALICA.

SOLLA CREDUTA MORTE DI SILVIO PELLICO.

Luna, romito, aereo,


Tranquillo astro d' argento,
Come una vela candida
Navighi il firmamento ;
Come una dolce amica
In tua carriera antica
Siegui la terra in ciel.

La terra a cui se il limpido


Tuo disco s' avvicina
Ti sente, e con un palpito
Gonfia la sua marina :
Forse è gentile affetto
Qual desta in uman petto
La vista d' un fedel.

Simile al fior di Clizia


(Fiso del sol nel raggio
L' occhio), il pensier del misero
Ti segue in tuo viaggio,
E la tua luce pura
Sembra su la sventura
Un raggio di pietà !
POESIE SCELTE. 199

Ahi misero tra miseri,


Tolto al gioir del mondo
Geme 1' afflitto Silvio
Dello Spielbergo in fondo !
Speme non ha d' aita ;
Vive, ma d' una vita
Di chi doman morrà.

Batte il tuo raggio tremulo


Al rio castello, o luna,
E scintillando penetra
Sotto la volta bruna,
E trova il viso bianco
Del giovinetto stanco,
Il viso del dolor.

Sol quella faccia pallida


In campo nero appare
Come languente cereo
Sul mortuario altare,
O qual da mano cara
Sul panno della bara
Deposto un bianco fior.

Sol tra catene, — (libero


Nel1' agonia cresciuto), —
Sovra la fronte squallida
Discende e va perduto
Sul1' affannoso petto,
Sul doloroso letto,
In mezzo al1' ombra, il crin.

Scarso è '1 cangiar del1' aere


Che in petto egli respira,
Attorno al fianco un duplice
200 ITALIAN READER.

Cerchio di ferro il gira,


In ceppi è la sua mano,
Ne alcun consorzio umano
Lenisce il suo dolor.

Ma questa notte è 1' ultima


Notte, per lui, di duolo ;
Il travagliato spirito
Sta per levarsi a volo ;
E in sì fatal momento,
In torbo avvolgimento
Nuotano i suoi pensier !

« — Quando 1' inesorabile


Parola udii vent' anni !
Non io credei sorvivere
A tanta ora d' affanni ;
E il duol che m' ha consunto,
Il termine raggiunto
Del mio soffrire ha già.

" Ecco, redento ai palpiti


Del sen materno io sono
Le nostre piaghe il balsamo
Asterga del perdono,
Or che la man pietosa
Soavemente posa
Qui del tuo figlio in sen.

" Tu mel dicevi, — (trepida


Del mio volente ingegno), —
Di chi e piìi forte, o Silvio,
Non provocar lo sdegno !
Ma bella e splendid' era
Come le nubi a sera
La mia speranza allor.
POESIE SCELTE. 201

" Credetti un brando a Italia


Ridar, novello Bruto ;
Tornare alla sua gloria
Credei 1' augel caduto :
Svegliar la neghittosa
Che il capo in Alpi posa
E stende al1' Etna il pie.

" Ma tu, chi sei, che barbaro


Insulti al mio dolore,
Ed osi il sogno irridere
Che mi mentia nel core ?
Coprimi, o madre, il viso
E quel superbo riso
Non veggasi per me. —"

Pace o morente ! — ag1' Itali


La tua memoria è pianto.
Caggia quel dì dai secoli,
Quel dì che Italia al santo
Cenere tuo non plori,
Nè la memoria onori
Di chi per lei morì.

Ma già la luna in candido


Mattin, lene si svolve ;
(E mentre lene il misero
Già in morte si dissolve),
Bella del suo martiro,
In placido deliro
Ultimo al giusto uscì.

Vennero allor . . . disciolsero


L' inanimata spoglia ;
Del carcer la deposero
202 ITALIAN READER.

Sotto 1' ignuda soglia ;


Nefando monumento,
Della catena il lento —
— Nodo ... vi posa su.

E alcun nol seppe!1. . . — e Silvio


E1 d' ogni giorno e d' ogni
Ora il pensiero ! . . . — e Silvio
Son d' ogni notte i sogni ! . . . —
E ancor s' attende il canto
Che piacque a Italia tanto ! . . . -
Ma Silvio non è più ! ! !

ALL' ITALIA. — ( Giacomo Leopardi. )

O patria mia, vedo le mura e gli archi


E le colonne e i simulacri e 1' erme
Torri degli avi nostri,
Ma la gloria non vedo,
Non vedo il lauro e il ferro ond' eran carchi
I nostri padri antichi. Or fatta inerme,
Nuda la fronte e nudo il petto mostri.
Oimè quante ferite,
Che lividor, che sangue ! oh qual ti veggio,
Formosissima donna ! Io chiedo al cielo
E al mondo : dite dite ;
Chi la ridusse a tale ? E questo è peggio,
Che di catene ha carche ambe le braccia ;
Sì che sparte le chiome e senza velo
Siede in terra neglétta e sconsolata,
Nascondendo la faccia
Tra le ginocchia, e piange.
Piangi, che ben hai donde, Italia mia,
POESIE SCELTE. 203

Le genti a vincer nata


E nella fausta sorte e nella ria.
Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
Mai non potrebbe il pianto
Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno ;
Che fosti donna, or sei povera ancella.
Chi di te parla o scrive,
Che, rimembrando il tuo passato vanto,
Non dica : già fu grande, or non è quella ?
Perchè, perchè ? dov' è la forza antica,
Dove 1' armi e il valore e la costanza ?
Chi ti discinse il brando ?
Chi ti tradì ? qual arte o qual fatica
0 qual tanta possanza
Valse a spogliarti il manto e 1' auree bende ?
Come cadesti o quando
Da tanta altezza in così basso loco ?
Nessun pugna per te ? non ti difende
Nessun de' tuoi ? L' armi, qua 1' armi : io solo
Combatterò, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco
Ag1' Italici petti il sangue mio.
Dove sono i tuoi figli ? odo suon d' armi
E di carri e di voci e di timballi :
In estranie contrade
Pugnano i tuoi figliuoli.
Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi,
Un fluttuar di fanti e di cavalli,
E fumo e polve, e luccicar di spade
Come tra nebbia lampi.
Ne ti conforti Pei tremebondi lumi
Piegar non soffri al dubitoso evento?
A che pugna in quei campi
L' Itala gioventude ? O numi, o numi :
Pugnan per altra terra itali acciari.
204 ITALIAN READER.

Oh misero colui che in guerra è spento,


Non per li patrii lidi e per la pia
Consorte e i figli cari,
Ma da nemici altrui
Per altra gente, e non può dir morendo :
Alma terra natia,
La vita che mi desti ecco ti rendo.
Oh venturose e care e benedette
L' antiche età, che a morte
Per la patria correan le genti a squadre ;
E voi sempre onorate e gloriose,
O tessaliche strette,
Dove la Persia e il fato assai men forte
Pu di poch' alme franche e generose !
Io credo che le piante e i sassi e 1' onda
E le montagne vostre al passeggiere
Con indistinta voce
Narrin siccome tutta quella sponda
Coprir le invitte schiere
De' corpi ch' alla Grecia eran devoti.
Allor, vile e feroce,
Serse per 1' Ellesponto si fuggia,
Fatto ludibrio agli ultimi nepoti ;
E sul colle d' Antela, ove morendo
Si sottrasse da morte il santo stuolo,
Simonide1 salia,
Guardando 1' etra e la marina e il suolo.
E di lacrime sparso ambe le guance,
E il petto ansante, e vacillante il piede,
Toglieasi in man la lira :
Beatissimi voi,
Ch' offriste il petto alle nemiche lance
Per amor di costei ch' al Sol vi diede ;
Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira.
Nel1' armi e ne' perigli
POESIE SCELTE. 205

Qual tanto amor le giovanette menti,


Qual nel1' acerbo fato amor vi trasse ?
Come si lieta, o figli,
L' ora estrema vi parve, onde ridenti
Correste al passo lacrimoso e duro ?
Parea ch' a danza e non a morte andasse
Ciascun de' vostri, o a splendido convito ;
Ma v' attendea lo scuro
Tartaro, e 1' onda morta ;
Ne le spose vi foro o i figli accanto
Quando su 1' aspro lito
Senza baci moriste e senza pianto.
Ma non senza de' Persi orrida pena
Ed immortale angoscia.
Come lion di tori entro una mandra
Or salta a quello in tergo e sì gli scava
Con le zanne la schiena,
Or questo fianco addenta or quella coscia ;
Tal fra le Perse torme infuriava
L' ira de' greci petti e la virtù te.
Ve' cavalli supini e cavalieri ;
Vedi intralciare ai vinti
La fuga i carri e le tende cadute,
E correr fra' primieri
Pallido e scapigliato esso2 tiranno;
Vè come infusi3 e tinti
Del barbarico sangue i greci eroi,
Cagione ai Persi d' infinito affanno,
A poco a poco vinti dalle piaghe,
L' un sopra 1' altro cade. Oh viva, oh viva :
Beatissimi voi
Mentre nel mondo si favelli o scriva.
Prima divelte, in mar precipitando,
Spente nel1' imo strideran le stelle,
Che la memoria e il vostro
18
206 ITALIAN READER.

Amor trascorra o scemi.


La vostra tomba è uà' ara ; e qua mostrando
Verran le madri ai parvoli le belle
Orme del vostro sangue. Ecco io mi prostro,
O benedetti, al suolo,
E bacio questi sassi e queste zolle,
Che fien lodate e chiare eternamente
Dall uno al1' altro polo.
Deh foss' io pur con voi qui sotto, e molle
Fosse del sangue mio quest' alma terra :
Che se il fato è diverso, e non consente
Ch' io per la Grecia i moribondi lumi
Chiuda prostrato in guerra,
Così la vereconda
Fama del vostro vate appo i futuri
Possa, volendo i numi,
Tanto durar quanto la vostra duri.

SOPRA IL MONUMENTO DI DANTE.

OHE SI PREPARAVA IN FIRENZE. — (Lo SteSSO autore.)

Perchè le nostre genti


Pace sotto le bianche ali raccolga,
Non fien da' lacci sciolte
Del1' antico sopor 1' itale menti
S' ai patrii esempi della prisca etade
Questa terra fatal non si rivolga.
0 Italia, a cor ti stia
Far ai passati onor ; che d' altrettali
Oggi vedove son le tue contrade,
Ne v' è chi d' anorar ti si convegna.
POESIE SCELTE. 207

Volgiti indietro, e guarda, o patria mia,


Quella schiera infinita d' immortali,
E piangi e di te stessa ti disdegna ;
Che senza sdegno ornai la doglia è stolta :
Volgiti e ti vergogna e ti riscuoti,
E ti punga una volta
Pensier degli avi nostri e de' nepoti.
D' aria e d' ingegno e di parlar diverso
Per lo toscano suol cercando gia
L' ospite desioso
Dove giaccia colui per lo cui verso
Il meonio cantar non è più solo '.
Ed, oh vergogna ! udia
Che non che il cener freddo e 1' ossa nude
Giaccian esuli ancora
Dopo il funereo dì sott' altro suolo,
Ma non sorgea dentro a tue mura un sasso,
Firenze, a quello per la cui virtude
Tutto il mondo t' onora.
Oh voi pietosi, onde sì tristo e basso
Obbrobrio laverà nostro paese !
Bel1' opra hai tolta e di che amor ti rende,
Schiera prode e cortese,
Qualunque petto amor d' Italia accende.
Amor d' Italia, o cari,
Amor di questa misera vi sproni,
Ver cui pielade è morta
In ogni petto ornai, perciò che amari
Giorni dopo il seren dato n' ha il cielo.
Spirti v' aggiunga e vostra opra coroni
Misericordia, o figli,
E duolo e sdegno di cotanto affanno
Onde bagna costei le guance e il velo.
Ma voi di quale ornar parola o canto
Si debbe, a cui non pur cure o consigli,
208 ITALIAN READER.

Ma del1' ingegno e della man daranno


I sensi e le virtudi eterno vanto
Oprate e mostre nella dolce impresa ?
Quali a voi note invio, sì che nel core,
Sì che nel1' alma accesa
Nova favilla indurre abbian valore ?
Voi spirerà2 1' altissimo subbietto,
Ed acri punte premeravvi al seno.
Chi dirà 1' onda e il turbo
Del furor vostro e del1' immenso affetto ?
Chi pingerà 1' attonito sembiante ?
Chi degli occhi il baleno ?
Qual può voce mortal celeste cosa
Agguagliar figurando ?
Lunge sia, lunge alma profana. Oh quante
Lacrime al nobil sasso Italia serba !
Come cadra ? come dal tempo rosa
Fia vostra gloria o quando ?
Voi, di che il nostro mal si disacerba
Sempre vivete, o care arti divine,
Conforto a nostra sventurata gente,
Fra 1' itale ruine
G1' Itali pregi a celebrare intente.
Ecco voglioso anch' io
Ad onorar nostra dolente madre
Porto quel che mi lice,
E mesco al1' opra vostra il canto mio,
Sedendo u' vostro ferro i marmi avviva.
O del1' etrusco metro inclito padre,
Se di cosa terrena,
Se di costei che tanto alto locasti
Qualche novella ai vostri lidi arriva,
Io so ben che per te gioia non senti,
Che saldi men che cera e men ch' arena,
Verso la fama che di te lasciasti,
POESIE SCELTE. 209

Son branzi e marmi ; e dalle nostre menti


Se mai cadesti ancor, s' unqua cadrai,
Cresca, se crescer può, nostra sciaura,
E in sempiterni guai
Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura.
Ma non per te ; per questa ti rallegri
Povera patria tua, s' unqua 1' esempio
Degli avi e de' parenti
Ponga ne' figli sonnacchiosi ed egri
Tanto valor che un tratto alzino il viso.
Ahi, da che lungo scempio
Vedi offlitta costei, che sì meschina
Te salutava allora
Che di novo salisti al paradiso !
Oggi ridotta sì che a quel che vedi,
Fu fortunata allor donna e reina.
Tal miseria 1' accora
Qual tu forse mirando a te non credi.
Taccio gli altri nemici e 1' altre doglie,*
Ma non la più recente e la più fera,
Per cui presso alle soglie
Vide la patria tua 1' ultima sera.
Beato te che il fato
A viver non dannò fra tanto orrore ;
Che non vedesti in braccio
L' itala moglie a barbaro soldato ;
Non predar, non guastar cittadi e colti
L' asta inimica e il peregrin furore ;
Non deg1' itali ingegni
Tratte 1' opre divine a miseranda
Schiavitude oltre 1' alpe, e non de' folti
Carri impedita la dolente via ;
Non gli aspri cenni ed i superbi regni ;
Non udisti gli oltraggi e la nefanda
Voce di libertà che ne schernia
18*
210 ITAI.IAN READER.

Tra il suon delle catene e de' flagelli.


Chi non si duol? che non soffrimmo? intatto
Che lasciaron quei felli ?
Qual tempio, quale altare o qual misfatto ?
Perchè venimmo a sì perversi tempi ?
Perchè il nascer ne desti o perchè prima
Non ne desti il morire,
Acerbo fato ? onde a stranieri ed empi
Nostra patria vedendo ancella e schiava,
E da mordace lima
Roder la sua virtù, di nul1' aita
E di nullo conforto
Lo spietato dolor che la stracciava
Ammollir ne fu dato in parte alcuna.
Ahi non il sangue nostro e non la vita
Avesti, o cara ; e morto
Io non son per la tua cruda fortuna.
Qui 1' ira al cor, qui la pietade abbonda :
Pugnò, cadde gran parte anche di noi :
Ma per la moribonda
Italia no ; per li tiranni suoi.
Padre, se non ti sdegni,
Mutato sei da quel che fosti in terra.
Morian per le rutene
Squallide piagge, ahi d' altra morte degni,
G1' itali prodi ; e lor fea 1' aere e il cielo
E gli uomini e le belve immensa guerra.
Cadeano a squadre a squadre
Semivestiti, maceri e cruenti,
Ed era letto agli egri corpi il gelo.
Allor, quando traean 1' ultime pene,
Membrando questa desiata madre,
Diceano : oh non le nubi e non i venti,
Ma ne spegnesse il ferro, e per tuo bene,
0 patria nostra. Ecco da te rimoti,
POESIE SCELTE. 211

Quando più bella a noi 1' età sorride,


A tutto il mondo ignoti,
Moriam per quella gente che t' uccide.
Di lor querela il boreal deserto
E conscie fur le sibilanti selve.
Così vennero al passo,
E i negletti cadaveri al1' aperto
Su per quello di neve orrido mare
Dilacerar le belve ;
E sarà il nome degli egregi e forti
Pari mai sempre ed uno
Con quel de' tardi e vili. Anime care,
Bench' infinita sia vostra sciagura,
Datevi pace ; e questo vi conforti
Che conforto nessuno
Avrete in questa o nel1' età futura.
In seno al vostro smisurato affanno
Posate, o di costei veraci figli,
Al cui supremo danno
Il vostro solo è tal che s' assomigli.
Di voi già non si lagna
La patria vostra, ma di chi vi spinse
A pugnar contra lei,
Sì ch' ella sempre amaramente piagna
E il suo col vostro lacrimar confonda.
0 di costei ch' ogni altra gloria vinse
Pietà nascesse in core
A tal de' suoi ch' affaticata e lenta
Di sì buia vorago e sì profonda
La ritraesse ! O glorioso spirto,
Dimmi : d' Italia tua morto è 1' amore ?
Dì : quella fiamma che t' accese, è spenta ?
Dì : ne più mai rinverdirà quel mirto
Ch' alleggiò per gran tempo il nostro male ?
Nostre corone al suol fien tutte sparte ?
212 ITALIAN READER.

Ne sorgerà mai tale


Che ti rassembri in qualsivoglia parte ?
In eterno perimmo ? e il nostro scorno
Non ha verun confine ?
Io mentre viva andrò sclamando intorno :
Volgiti agli avi tuoi, guasto legnaggio ;
Mira queste ruine
E le carte e le tele e i marmi e i templi ;
Pensa qual terra premi ; e se destarti
Non può la luce di cotanti esempli,
Che4 stai? levati e parti.
Non si conviene a sì corrotta usanza
Questa d' animi eccelsi altrice5 e scola:
Se di codardi è stunza,
Meglio 1' è rimaner vedova e sola6.

IL PRIMO AMORE. — (£o stesso autore.)

Tornami a mente il dì che la battaglia


D' amor sentii la prima volta, e dissi :
Oimè, se quest' è amor, com' ei travaglia !
Che gli occhi al suol tuttora intenti e fissi,
Io mirava colei eh' a questo core
Primiera il varco ed innocente aprissi.
Ahi come mal mi governasti, amore !
Perchè seco dovea sì dolce affetto
Recar tanto desio, tanto dolore ?
E non sereno, e non intero e schietto,
Anzi pien di travaglio e di lamento
Al cor mi discendea tanto diletto ?
Dimmi, tenero core, or che spavento,
Che angoscia era la tua fra quel pensiero
Presso al qual t' era noia ogni contento ?
POESIE SCELTE. 213

Quel pensier che nel dì, che lusinghiero


Ti si offeriva nella notte, quando
Tutto queto parea nel1' emisfero :
Tu inquieto, e felice e miserando,
M' affaticavi in su le piume il fianco,
Ad ogni or fortemente palpitando.
E dove io tristo ed affannato e stanco
Gli occhi al sonno chiudea, come per febre
Botto e deliro il sonno venia manco.
Oh come viva in mezzo alle tenebre
Sorgea la dolce imago, e gli occhi chiusi
La contemplavan sotto alle palpebre !
Oh come soavissimi diffusi
Moti per 1' ossa mi serpeano ! oh come
Mille nel1' alma instabili, confusi
Pensieri si volgean ! qual tra le chiome
D' antica selva zefiro scorrendo,
Un lungo, incerto mormorar ne prome.
E mentre io taccio, e mentr' io non contendo,
Che dicevi o mio cor, che si partia
Quella per che penando ivi e battendo ?
Il cuocer non più tosto io mi sentia
Della vampa d' amor, che il venticello
Che 1' aleggiava, volossene via.
Senza senno io giacea sul dì novello,
E i destrier che dovean farmi deserto,
Battean la zampa sotto al patrio ostello.
Ed io timido e cheto ed inesperto.
Ver lo balcone al buio protendea
L' orecchio avido e 1' occhio indarno aperto,
La voce ad ascoltar, se ne dovea
Di quelle labbra uscir, ch' ultima fosse ;
La voce, ch' altro il cielo, ahi, mi togliea.
Quante volte plebea voce percosse
Il dubitoso orecchio, e un gel mi prese,
214 ITALIAN READER.

E il core in forse a palpitar si mosse !


E poi che finalmente mi discese
La cara voce al core, e de' cavai .
E delle rote il romorio s' intese ;
Orbo rimaso allor, mi rannicchiai
Palpitando nel letto e, chiusi gli occhi,
Strinsi il cor con la mano, e sospirai.
Poscia traendo i tremuli ginocchi
Stupidamente per la muta stanza,
Ch' altro sarà dicea, che il cor mi tocchi ?
Amarissima allor la ricordanza
Locommisi nel petto, e mi serrava
Ad ogni voce il core, a ogni sembianza.
E lunga doglia il sen mi ricercava,
Com' è quando a distesa Olimpo piove
Malinconicamente e i campi lava.
Ned io ti conoscea, garzon di nove
E nove Soli, in questo a pianger nato
Quando facevi, Amor, le prime prove.
Quando in ispregio ogni piacer, ne grato
M' era degli astri il riso, o del1' aurora
Queta il silenzio, o il verdeggiar del prato.
Anche di gloria amor taceami allora
Nel petto, cui scaldar tanto solea,
Che di beltade amor vi fea dimora
Nè gli occhi ai noti studi io rivolgea,
E quelli m' apparian vani per cui
Vano ogni altro desir creduto avea.
Dch come mai da me sì vario fui,
E tanto amor mi tolse un altro amore ?
Dch quanto, in verità, vani siam nui !
Solo il mio cor piaceami, e col mio core
In un perenne ragionar sepolto,
Alla guardia seder del mio dolore.
E 1' occhio a terra chino o in se raccolto,
POESIE SCELTE. 215

Di riscontrarsi fuggitivo e vago


Nè in leggiadro soffria ne in turpe volto :
Che la illibata, la condida imago
Turbare egli temea pinta nel seno,
Come al1' aure si turba onda di lago.
E quel di non aver goduto appieno
Pentimento, che 1' anima ci grava,
E il piacer che passò cangia in veleno,
Per li fuggiti dì mi stimolava
Tuttora il sen : che la vergogna il duro
Suo morso in questo cor già non oprava.
Al cielo, a voi, gentili anime, io giuro
Che voglia non m' entrò bassa nel petto,
Ch' arsi di foco intaminato e puro.
Vive quel foco ancor, vive 1' affetto,
Spira nel pensier mio la bella imago,
Da cui, se non celeste, altro diletto
Giammai non ebbi, e sol di lei m' appago.

«CHEKZO. — (Lo stesso autore.)

Quando fanciullo io venni


A pormi con le Muse in disciplina,
L' una di quelle mi pigliò per mano ;
E poi tutto quel giorno
La mi condusse intorno
A veder 1' officina.
Mostrommi a parte a parte
Gli strumenti del1' arte,
E i servigi diversi
A che ciascun di loro
S' adopra nel lavoro
Delle prose e de' versi.
216 ITALIAN READER.

Io mirava, e chiedea :
Musa, la lima ov' è ? Disse la Dea :
La lima è consumata ; or facciam senza.
Ed io, ma di rifarla
Non vi cal, soggiungea, quand' ella è stanca ?
Rispose : hassi a rifar, ma il tempo manca.

IL CINQUE MAGGIO.

Ode sulla morte di Napoleone. — (Manzoni.)

Ei fu ; siccome immobile,
Dato il mortal respiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro,
Così percossa, attonita,
La terra al nunzio sta.

Muta pensando al1' ultima


Ora del1' uom fatale,
Ne sa quando una simile
Orma di piè mortale
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.

Lui sfolgorante in soglio


Vide il mio genio e tacque,
Quando con vece assidua
Cadde, risorse, e giacque,
Di mille voci al sonito
Mista la sua non ha.
POESIE SCELTE. 217

Vergin di servo encomio


E di codardo oltraggio
Sorge or commosso al subito
Sparir di tanto raggio,
E scioglie al1' urna un cantico,
Che forse non morrà.

Dal1' Alpi alle Piramidi,


Dal Manzanare al Reno,
Di quel securo il fulmine
Tenea dietro il baleno ;
Scoppiò da Scilla al Tanai,
Dal1' uno al1' altro mar.

Fu vera gloria ? Ai posteri


L' ardua sentenza ; nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del creator suo spirito
Più vasta orma stampar.

La procellosa e trepida
Gioia d' un gran disegno,
L' ansia d' un cor che, indocile
Ferve pensando al regno,
E '1 giunge, e tiene un premio
Ch' era follia sperar.

Tutto ei provò ; la gloria


Maggior dopo il periglio,
La fuga e la vittoria,
La reggia e il tristo esiglio,
Due volte nella polvere,
Due volte sugli altar.
19
218 ITALIAN READER.

Ei si nomò : due secoli,


L' un contro 1' altro armato,
Sommessi a lui si volsero
Come aspettando il fato :
Ei fé' silenzio, ed arbitro
S' assise in mezzo a lor.

Ei sparve, e i dì nel1' ozio


Chiuse in sì breve sponda ;
Segno d' immensa invidia,
E di pietà profonda,
D' inestinguibil odio,
E d' indomato amor.

Come sul capo al naufrago


L' onda s' avvolge e pesa,
L' onda su cui del misero
Alta pur dianzi e tesa
Scorrea la vista e scernere
Prode remote invan.

Tal su quel1' alma il cumulo


Delle memorie scese ;
Oh ! quante volte ai posteri
Narrar se stesso imprese,
E sulle eterne pagine
Cadde la stanca man !

Oh ! quante volte al tacito


Morir d' un giorno inerte,
Chinati i rai fulminei,
Le braccia al sen conserte,
Stette, e dei dì che furono
L' assalse il sovvenir.
POESIE SCELTE. 219

Ei ripensò le mobili
Tende, e i percossi valli,
E il lampo de' manipoli,
E Y onda de' cavalli,
E il concitato imperio,
E il celere obbedir.

Ahi ! forse a tanto strazio


Cadde lo spirto anelo,
E disperò ; ma valida
Venne una man dal cielo,
E in più spirabil aere
Pietosa il trasportò.

E 1' avviò su i floridi


Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio
Che i desiderii avanza,
Ov' è silenzio e tenebre
La gloria che passò.

Bella, immortal, benefica


Fede, ai trionfi avvezza,
Scrivi ancor questo, allegrati,
Che più superba Altezza
Al disonor del Golgota
Giammai non si chinò.

Tu dalle stanche ceneri


Sperdi ogni ria parola ;
Il Dio che atterra e suscita,
Che affanna e che consola,
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.
220 ITALIAN READER.

LA GUERRA FRATICIDA. — (Lo stesso autore.)

COBO.

IL CONTE DI CARMAGNOLA. ATTO II. SCENA VI.

S' ode a destra uno squillo di tromba ;


A sinistra risponde uno squillo :
D' ambo i lati calpesto rimbomba
Da cavalli e da fanti il terren.
Quinci spunta per 1' aria un vessillo,
Quindi un' altro s' avanza spiegato :
Ecco appare un drappello schierato ;
Ecco un altro che incontro gli vien.

Già di mezzo sparito è il terreno ;


Già le spade respingon le spade ;
L' un del1' altro le immerge nel seno ;
Gronda il sangue ; raddoppia il ferir. —
Chi son essi ? Alle belle contrade
Qual ne venne straniero a far guerra ?
Qual è quei che ha giurato la terra
Dove nacque far salva, o morir ?

D' una terra son tutti : un linguaggio


Parlan tutti : fratelli li dice
Lo straniero : il comune lignaggio
A ognun d' essi dal volto traspar.
Questa terra fu a tutti nudrice,
Questa terra di sangue ora intrisa,
Che natura dal1' altre ha divisa,
E recinta col1' Alpe e col mar.
POESIE SCELTE. 221

Ahi ! qual d' essi il sacrilego brando


Trasse il primo il fratello a ferire ?
Oh terror ! Del conflitto esecrando
La cagione esecranda qua1' è ? —
Non la sanno : a dar morte, a morire
Qui senz' ira ognun d' essi è venuto ;
E venduto, ad un duce venduto,
Con lui pugna, e non chiede il perchè.

Ahi sventura ! Ma spose non hanno,


Non han madri gli stolti guerrieri ?
Perchè tutte i lor cari non vanno
Dal1' ignobile campo a strappar ?
E i vegliardi che ai casti pensieri
Della tomba già schiudon la mente
Chè non tentan la turba furente
Con prudenti parole placar?

Come assiso talvolta il villano


Sulla porta del cheto abituro,
Segna il nembo che scende lontano
Sovra i campi che arati ei non ha ;
Così udresti ciascun che sicuro
Vede lungi le armate coorti,
Raccontar le migliaia di morti,
E la pieta del1' arse città.

Là, pendenti dal labbro materno


Vedi i figli, che imparano intenti
A distinguer con nomi di scherno
Quei che andranno ad uccidere un dì ;
Qui, le donne alle veglie lucenti
Dei monili far pompa e dei cinti,
Che alle donne deserte dei vinti
Il marito o 1' amante rapì. —
19*
222 italian reader.

Ahi sventura ! sventura ! sventura !


Già la terra è coperta d' uccisi ;
Tutta è sangue la vasta pianura ;
Cresce il grido, raddoppia il furor.
Ma negli ordini manchi e divisi
Mal si regge, già cede una schiera ;
Già nel volgo, che vincer dispera,
Della vita rinasce 1' amor.

Come il grano lanciato dal pieno


Ventilabro neh' aria si spande ;
Tale intorno per 1' ampio terreno
Si sparpagliano i vinti guerrier.
Ma improvvise terribili bande
Ai fuggenti s' affaccian sul calle ;
Ma si senton più presso alle spalle
Scalpitare il temuto destrier.

Cadon trepidi a piè dei nemici,


Eendon 1' arme, si danno prigioni :
Il clamor delle turbe vittrici
Copre i lai del tapino che muor.
Un corriero è salito in arcioni;
Prende un foglio, il ripone, s' avvia,
Sferza, sprona, divora la via ;
Ogni villa si desta al romor.

Perchè tutti sul pesto cammino


Dalle case, dai campi accorrete ?
Ognun chiede con ansia al vicino,
Che gioconda novella recò ?
Donde ei venga, infelici, il sapete,
E sperate che gioia favelli ?
I fratelli hanno ucciso i fratelli :
Questa orrenda novella vi do.
.POESIE SCELTE. 223

Odo intorno festevoli gridi ;


S' orna il tempio, e risuona del canto;
Già s' innalzan dai cuori omicidi
Grazie ed inni che abbomina il ciel. —
Giù dal cerchio del1' Alpi frattanto
Lo straniero gli sguardi rivolve ;
Vede i forti che mordon la polve,
E li conta con gioia crudel. —:

Affrettatevi, empite le schiere,


Sospendete i trionfi ed.i giuochi,
Ritornate alle vostre bandiere ;
Lo straniero discende ; egli è qui.
Vincitor ! Siete deboli e pochi?
Ma per questo a sfidarvi ei discende ;
E voglioso a quei campi v' attende
Ove il vostro fratello perì. —

Tu che angusta a' tuoi figli parevi ;


Tu che in pace nutrirli non sai,
Fatal terra, gli estrani ricevi :
Tal giudizio comincia per te.
Un nemico che offeso non hai,
A tue mense insultando s' asside ;
Degli stolti le spoglie divide ;
Toglie il brando di mano a' tuoi re.

Stolto anch' esso ! Beata fu mai


Gente alcuna per sangue ed altraggio ?
Solo al vinto non toccano i guai ;
Torna in pianto del1' empio il gioir.
Ben talor nel superbo viaggio
Non 1' abbatte V eterna vendetta ;
Ma lo segna ; ma veglia ed aspetta ;
Ma lo coglie al1' estremo sospir.
224 ITALIAN READER.

Tutti fatti a sembianza d' un Solo ;


Figli tutti d' un solo riscatto,
In qual ora, in qual parte del suolo
Trascorriamo quest' aura vital,
Siam fratelli ; siam stretti ad un patto :
Maladetto colui che lo infrange,
Che s' innalza sul fiacco che piange,
Che contrista uno spirto immortal !

LI DUE SVENTURATI. — (F. D. Guerrazzi.)

LAMENTO.

(I Bianchi e i Neri. Dramma. Atto I, Scena II.)

Torna il verno. — Le fronde alla foresta


Svelle e mena feroce in giro il vento ;
È triste il colle, la pianura è mesta ;
Del1' usignolo il melodiare è spento :
Il veltro par la notte alza la testa
Esterrefatto, e prorompe in lamento;
Orrore spira ogni cosa e paura,
Sembra che gema Dio su la Natura.

Dai campi seminati di umane ossa


Torna la squadra, e il trepido sospiro
Cessa la sposa amata che si è mòssa
Al caro amplesso, ed il padre deliro
Di abbracciare il figliuol pria che alla fossa
Lasci la carne e a Dio 1' eterno spiro.
Securo che nel dì di morte santo
Ei glieli chiuda, or terge agli occhi il pianto.
POESIE SCELTE. 22Ó

Gino non torna a Oretta. Sventurata !


La mano della madre il bianco velo
Avea trapunto, e i fior di fidanzata
Esultante reciso dallo stelo.
Quella mano per morte ora è ghiacciata !
Rigido stringe quei fioretti il gelo !
La squilla i prodi alle difese affretta ;
Gino partiva e non tornò più a Oretta.

Ei non reddiva più. La disiosa,


— Come colei che il suo mal teme, e spera, —
Ne fea dimanda : — Il cavalier riposa
• Nella morte, risposerle ; — sua schiera
Combattendo perì da valorosa, —
Che co' forti quel giorno Iddio non era. —
Volse al ciel gli occhi Oretta, e dolce in atto
Disse : — Signore, il tuo voler sia fatto.

Buio d' Inferno per lo cielo assembra


Notte, e sul mondo per silenzio tetro
Solennemente spiegalo, e rassembra
Manto di trapassato in sul feretro ;
E il cupo mugghio del mare rimembra
Gente che pianga in lamentoso metro,
Nè tutt' uom dentro le paterne porte
Donne il sonno fratello della morte.

Per questa notte dubitante e lento


Move Gino alla casa del suo amore;
Chè giacque offeso e non rimase spento
Nel giorno maladetto del furore.
La casa è vuota, e sol vi stride il vento ;
Ond' egli grida in voce di dolore : —
Oretta, — Oretta, non ti vedrò più !
L' eco dei monti gli risponde — più1.
226 ITALIAN READER.

Sorge un dì senza sole. Il cavaliere


Pallido in faccia e con occhi compunti,
Mesto mesto incamminasi al piviere
Co' bracci in croce sul petto congiunti,
Giunge, — e : Oretta dov' è ? domanda al Sere
Quei cela il volto, e il campo dei defunti
Gli accenna. Ei corre. — Novamente smossa
Comparisce la terra di una fossa.

E la tomba di Oretta. — Eterno pianto


Con la rugiada spargevi natura . . .
Cessa la umana lagrima col canto
Che accompagna gli estinti in sepoltura.
Ahi ! 1' anima quantunque sotto il manto
Di Dio ripari, e in lui si faccia pura,
Se un pio ricordo 1' Angiolo le porta,
D' alto gaudio anco in cielo si conforta.

Fioria modesto su la tomba un giglio


Alla infelice vergine : — lo colse : —
Tal tu passasti un dì ; — qual mai consiglio
Riporrà il fiore ove mia man lo tolse ?
Chi a rianimare Oretta trarrà il figlio
Del soffio eterno ove disio lo volse ?
Qui Gino tacque : ora riposan 1' ossa
Di quei due travagliati in una fossa.
POESIE SCELTE. 227

CANZONE DEL MENESTRELLO — (Tommaso Grossi.)

per liberarsi BAI ladri. — (Marco Visconti Capitolo IV.)

Se al tuo prego non sia sorda


La più bella boscaiola,
Se dai birri e dalla corda
Ti difenda San Nicola :
Il liuto ed il fardello
Non toccar del menestrello.

Senza terra e senza tetto,


Di valsente sprovveduto,
Va ramingo il poveretto
Col fardello e col liuto :
Il liuto ed il fardello
Non toccar del menestrello.

Quante volte alla foresta


L' usignol non 1' ha destato
Col fardel sotto alla testa,
Col liuto al manco lato :
Il liuto ed il fardello
Non toccar del menestrello.

Sul fardel ponsi a sedere


Quand' ei tocca delle corde :
Desta il riso per le fiere,
Per le Corti i ricchi morde :
Il liuto ed il fardello
Non toccar del menestrello.
22S ITALIAN READER.

Di Giudea trascorse illeso


Ogni monte ed ogni valle
Col liuto al collo appeso,
Col fardello in su le spalle :
Il liuto ed il fardello
Non toccar del menestrello.

Pellegrin mendico e lasso,


Al Sepolcro pervenuto,
Sciolse il voto e toccò il sasso
Col fardello e col liuto :
Il liuto ed il fardello
Non toccar del menestrello.

Se al tuo prego non sia sorda


La più bella boscaiola,
Se dai birri e dalla corda
Ti difenda San Nicola :
Il liuto ed il fardello
Non toccar del menestrello.

LA RONDINELLA. — [Lo stesso autore.)

(Marco Visconti Capitolo XXVI.)

Rondinella pellegrina
Che ti posi in sul verone,
Ricantando ogni mattina
Quella flebile canzone.
Che vuoi dirmi in tua favella,
Pellegrina rondinella ?

Solitaria nel1' oblio,


Dal tuo sposo abbandonata,
POESIE SCELTE. 229

Piangi forse al pianto mio


Vedovetta sconsolata ?
Piangi, piangi in tua favella,
Pellegrina rondinella.

Pur di me manco infelice


Tu alle penne almen t' affidi,
Scorri il lago e la pendice,
Empi 1' aria de' tuoi gridi,
Tutto il giorno in tua favella
Lui chiamando, o rondinella.

Oh se anch' io !.. . Ma lo contende


Questa bassa angusta vòlta,
Dove sole non risplende,
Dove 1' aria ancor m' è tolta,
Donde a te la mia favella
Giunge appenna, o rondinella.

Il settembre innanzi viene,


E a lasciarmi ti prepari :
Tu vedrai lontane arene ;
Nuovi monti, nuovi mari
Salutando in tua favella,
Pellegrina Rondinella.

Ed io tutte le mattine
Riaprendo gli occhi al pianto,
Fra le nevi e fra le brine
Crederò d' udir quel canto,
Onde par che in tua favella
Mi compianga, o rondinella.

Una croce a primavera


Troverai su questo suolo :
Rondinella, in su la sera
20
230 ITALIAN READER.

Sovra lei raccogli il volo :


Dimmi pace in tua favella,
Pellegrina rondinella.

FOLCHETTO DI PROVENZA. — (Lo stesso autore.)

(Marco Visconti Capitolo XVI.)

SERVENTESE.

Bello al pari d' una rosa


Che si schiude al sol di maggio
È Folchetto, un giovin paggio
Di Raimondo di Tolosa :
Prode in armi, ardito e destro,
Trovator di lai maestro.

Chi lo vede ai dì di festa


Su un leardo pomellato
Fulminar per lo steccato
Con la salda lancia in resta,
A San Giorgio lo ragguaglia
Che il dragon vince in battaglia.

Se al tenor di meste note


Sciorre il canto poi 1' intende,
Quando il biondo crin gli scende
In anella per le gote,
Tocco il cor di maraviglia
Ad un angiol 1' assomiglia.

In sua corte lo desia


Qual signor più in armi vale,
Non è bella provenzale
POESIE SCELTE. 231

Che il sospiro ei non ne sia ;


Ma il fedel paggio non ama
Che il suo sire, e la sua dama.

D' un baron di Salamanca


Essa è figlia, e Nelda ha nome :
Nero ciglio, nere chiome,
Guancia al par d' avorio bianca ;
Non è vergine in Tolosa
Più leggiadra o più sdegnosa.

Al1' amor del giovinetto


La superba non s' inchina.
" Sente ancor della fucina "
Fra se dice con dispetto :
" No, sì basso il cor non pone
La figliuola d' un barone."

Piange il paggio e si lamenta


Notte e dì sulla mandóla ;
Di lei canta, di lei sola,
La sua cobla e la sirventa :
La quintana corre a prova,
Lance spezza, e nulla giova.

Ond' ei langue come fiore


In sul cespite appassito :
Smunto il viso, n' è smarrito
Delle fragole il colore ;
E si spegne a poco a poco
Ne' cerulei sguardi il foco.

Ne moria, ma gli fur pronte


Le larghezze del suo sere :
Ei lo cinse cavaliere,
232 ITAI.IAN READER.

Di Narbona lo fé' Conte ;


E in un giorno gli die sposa
La leggiadra disdegnosa.

Forte d' armi apparecchio s' aduna


Di Tolosa pei campi e pel vallo,
Che far triste un ribelle vassallo
Il signor di Provenza giurò.
Non vi manca bandiera nessuna
Di baron, di cittade soggetta :
Verso Antibo già il campo s' affretta,
Ne' suoi piani le tende piantò.

A Folchetto che a par gli cavalca


Dolcemente Raimondo favella :
" Perchè sempre sì mesto ? la bella
Che sospiri, fra poco verrà.
Di Narbona il cammino già calca
Un corrier che a chiamarla ho spacciato :
Troppo presto da lei t' ho strappato,
Del tuo duolo mi strinse pietà."

Ecco il giorno in che Nelda s' attende,


Ecco un altro, ed un altro succede,
Passa il quarto, ed il messo non riede,
E la bella aspettata non vien.
La città combattuta s' arrende,
Già caduto è il ribelle stendardo :
Vien Folchetto al suo fido leardo,
Chè più nullo rispetto lo tien.

Alla volta del grato castello


Tutto un giorno viaggia soletto
Poi sviandosi verso un borghetto,
Che di mezzo agli ulivi traspar,
POESIE SCELTE. 233

Leva gli occhi al veron d' un ostello


Al cui pie 1' onda irata si frange,
E vi scorge una donna che piange
Intendendo gli sguardi nel mar.

Al portar della bella persona,


Al sembiante, al vestir gli par dessa :
Palpitando al verone s' appressa :
Ella è Nelda, più dubbio non v' è.
Sulla strada il cavallo abbandona,
Di sospetto tremante a lei vola :
u Tu, mia sposa — le grida — qui sola ?
E piangente ? . . . dì, come ? perchè ? "

Sciolta le chiome, pallida,


E pur secura in viso,
Schiudendo dalle trepide
Labbra un superbo riso,
La bella a lui rivolta
" Scostati — disse — e ascolta.

In me un' antica, ingenua


Schiatta macchiasti, o vile ;
Che ti levò dal trivio,
Ma non ti fea gentile
Quel tuo signor villano
Che mi ti diede in mano.

Non io patir 1' ingiuria


Potei del sangue e il danno,
E concedetti, ahi misera !
A un cavalier britanno,
Prezzo di mia vendetta,
Questa beltà negletta.
20*
234 ITALIAN READER.

Ei m' ha tradita : al subito


Romoreggiar ch' io sento
Balzo fra il sonno, e tacite
Veggio spiegate al vento
Di quel fellon crudele
Ratte fuggir le vele.

Cader due volte, sorgere


Due volte il sole io vidi,
Soletta errando in lacrime
Su questi ignoti lidi :
Spettacol, mostra a dito
Dal volgo impietosito.

Or che mi resta ? supplice


L' onta del tuo perdono
Implorerò, spregiandoti ?
Sì abbietta ancor non sono :
Quanto vedesti, al mio
Padre tu annunzia : Addio."

Dice, e al terrazzo avventasi,


E ratto dalla sponda
D' un salto si precipita
Col capo in giù nel1' onda :
Sonar pel curvo lido
S' intese un tonfo e un grido.

Fra i ciechi scogli infrantasi


Il delicato fianco,
Sparì ; ma tosto emergere
Fu visto un velo bianco ;
E 1' acque in cerchi mosse
Farsi di sangue rosse.
POESIE SCELTE. 235

Non die una lacrima


Il cavaliere,
Qual è di nere
Armi vestito ;
Soletto e tacito
Lunghesso il lito
Si dileguò.

I venti muggono,
Biancheggia 1' onda ;
Ei dalla sponda
D' una barchetta
Guarda la florida
Terra diletta
Che abbandonò.

In fra le nordiche
Nebbie viaggia;
Già sulla spiaggia
E d' Albione ;
Ed ecco affrontasi
Con quel barone
Che lo tradì

Le lance abbassano,
Piglian del campo ;
Ratti qual lampo
I due giannetti
Con tanta furia
S' urtar coi petti,
Ch' un ne morì.

A un punto snudano
Entrambi il brando,
E fulminando
236 ITALIAJT READER.

Di colpi crudi
Con vece assidua
Elmetti e scudi
Fan risonar.

Ma il grave anelito
Frenando in petto,
Ecco Falchetto
Al traditore,
Con fero giubilo,
In mezzo al core
Pianta 1' acciar.

Pallida, pallida
Divien la faccia
Che la minaccia
Spira pur anco.
La destra il misero
Si preme al fianco,
Vacilla e muor.

Allor nel fodero


L' acciar ripone ;
Guarda il barone
Che giace ucciso,
Ne rasserenasi
Pertanto il viso
Del vincitor.

Al1' estremo confin della Spagna,


Sulla vetta scoscesa d' un monte,
Che dal piede nel1' onde si bagna
Alla verde Provenza di fronte,
Sorge un chiostro che Bruno fondò.
Pochi eletti lassuso raccolti
POESIE SCELTE. 237

Vivon d' erbe e di strane radici,


Coi cappucci calati sui volti,
Cinto ognun di penosi cilici,
Che depor finch' ei vive non può.

Sonar gli archi d' un portico acuti


Fa una squilla a rintocchi percossa :
L' un con 1' altro guardandosi muti
Stanno i monaci intorno a una fossa
Atteggiati di cupo dolor.
— Chi è quel vecchio che in terra si giace
Colle braccia incrociate sul petto ? —
Il tremante chiaror d' una face
Gli erra incerto sul volto. — E Folchetto,
Il baron di Narbona che muor. —

Bianca bianca la barba fluente


Della tunica il cinto gli passa ;
E al1' alterno respir, mollemente
Ondeggiando, or si leva, or s' abbassa,
Come fanno le spume del mar.
Ma fra i casti pensieri di morte
Nella mente del vecchio serena,
Di quel1' ora solenne più forte
Un' immagin ribelle balena,
Cui non valser tant' anni a domar.

Qual la vide nel1' ultimo giorno


Col crin nero per gli omeri sciolto,
Vagolarsi ancor vede d' intorno
Tutta in lagrime, pallida il volto,
E pur bella, la sposa infedel.
— Santo vecchio ! e ti spunta morendo
Una stilla secreta di pianto ?
Che t' affanna ? — Ah t' intendo, t' intendo :
238 ITALIAN READER.

Riveder lei che amasti già tanto


Non potrai fra gli eletti nel Ciel. —

SERVENTESE.

IN MORTE DI MARCO VISCONTI.

(Marco Visconti Capitolo XXXII.)

Sangue ! sangue ! rosseggian fumanti


D' un turrito palagio le soglie ;
D' ogni parte, smarrita i sembianti,
Una plebe a furor vi s' accoglie ;
Si rimescolan ; brulica il suol.

Sventurati ! chi siete ? . . . Ben parmi . . .


O m' inganno? . . . Non più: vi ravviso
Al biscion che vi splende sul1' armi,
AH' onesta baldanza del viso :
Milanesi, e perchè, si gran duol ?

Ecco s' apre la calca atterrita :


Un soldato sugli occhi si pone
La man destra, e con 1' altra m' addita
Nella polve riverso boccone .
Un trafitto, che palpita ancor.

Egli è Marco ! quel turbin di guerra,


Quella luce d' eccelso consiglio,
Che de' Guelfi per 1' itala terra
Rintuzzò tante volte 1' artiglio :
De' Lombardi la gloria e 1' amor.
POESIE SCELTE.

Ali ! piangete quel fervido raggio


Che si spense sul volto del forte,
Su quel volto che spira il coraggio
Pur di sotto alla nube di morte !
Sì, piangete il reciso suo dì !.. .

Ma qual suon di terribili note


Dalla folla s' eleva e si spande ?
Oh delitto ! i fratelli, il nipote
L' empia mano levar su quel Grande ?
Dunque il sangue il suo sangue tradì ?

— Mi ti accosta ; distinto favella,


Tu che amico gli fosti : — E fu vero
Ch' ei piegasse al1' amor di donzella
Il superbo, domato pensiero,
Come il grido d' intorno sonò ? —

Non risponde : — Di mezzo alla calca


Seco in groppa piangendo m' ha tolto,
Per ritorti sentier si cavalca,
Galoppiam d' una selva pel folto :
A un castello il corsier s' arrestò.

Si spalancan le porte, si scote


D' alto il ponte, tentenna, e giù viene ;
Stridon cardini, cigolan rote,
Sonan sbarre, chiavacci e catene,
Ma ne un' anima nata compar.

Per le corti, pei portici in giro,


Per le logge nel1' alto correnti,
Pur un ombra non vedi ; un respiro,
Un romor di pedata non senti,
Anco 1' aria qui morta ti par.
240 ITALIAN READER.

Ma un lume languido
In sulla sera
Fra gli archi pingesi
D' una vetriera
In fondo ai portici,
Lontan, lontan.

Vien da una fiaccola,


La qual rischiara
D' illustre vergine
L' ignota bara,
Pei sotterranei
Accesa invan !

China, sul rigido


Guancial riposa
La faccia pallida
E rugiadosa,
In atto placido,
Quasi d' amor.

Pel collo eburneo,


Pel sen di neve,
Fino al piè stendesi
La chioma lieve,
Rendendo immagine
D' un velo d' òr.

A un riso etereo
Schiusa è la bocca.
Nascosta mammola
Ancor non tocca
Il grembo rorido
Apre così.
POESIE SCELTE. 2dl

L' occhio virgineo


Mezzo velato,
Come d' un angelo
Addormentato,
Par che desideri
Ancora il dì.

Eletto spirito !
Se pur dal cielo
Amando visiti
Il tuo bel velo,

Ma qual sorge in lontananza


Mesto suon di sacre note,
Tremolante per le immote
Aure, lungo il vasto pian ?

Sempre, sempre più s' avanza :


Cupo il ponte sonar senti
Sotto i piè d' ignote genti :
Passan, passan ; vanno e van.

Si rischiaran 1' ombre intanto :


Ecco i frati in cappe nere,
Che in due lunghe uguale schiere
Lenti incedono del par :
21
242 ITALIAN READÈR.

Sei baroni in ricco ammanto


Seguon sotto al sacro incarco
Del cadavere di Marco
Tutto chiuso nel1' acciar.
Nella stessa oscura cella —
Entro un sol letto di morte
La più bella — ed il più forte
Poser taciti a giacer.
Lampeggiar parve d' un riso —
Al levar della celata
Presso il viso — del1' amata
Il sembiante del guerrier.

ROMA. — ( Girolamo Preti.)

SONETTO.

Quì fu quella d' impero antica sede,


Temuta in pace, e trionfante in guerra :
Fu ; perchè altro che il loco non si vede :
Quella che Roma fu, giace sotterra.

Queste, cui 1' erba copre, e calca il piede ;


Fur mole al ciel vicine, ed or son terra ;
Roma che il mondo vinse, al tempo or cede
Che i piani innalza, e che le altezze atterra.

Roma in Roma non è : Vulcano e Marte


La grandezza di Roma a Roma han tolta,
Struggendo 1' opre di natura ed arte.

A'olto sossopra ha il mondo, e in polve è volta ;


E fra queste rovine a terra sparte,
In se stessa cadeo morta e sepolta.
POESIE SCELTE. 243

SULLA MORTE DI GIUDA. — ( Vincenzo Monti.)


BOSETTI.

I.
Gittò 1' infame prezzo, e disperato
L' albero ascese il venditor di Cristo ;
Strinse il laccio, e col corpo abbandonato
Dal1' irto ramo pensolar fu visto.
Cigolava lo spirito serrato
Dentro la strozza in suon rabbioso e tristo,
E Gesù bestemmiava, e il suo peccato
Ch' empiea 1' Averno di cotanto acquisto.
Sboccò dal varco al fin con un ruggito,
Allor Giustizia 1' afferrò, e sul monte
Nel sangue di Gesù tingendo il dito,
Scrisse con quello al maledetto in fronte
Sentenza d' immortal pianto infinito,
E lo piombò sdegnosa in Acheronte.

IL
Piombò quel1' alma al1' infernal riviera,
E si fé' gran tremuoto in quel momento,
Balzava il monte, ed ondeggiava al vento,
La salma in alto strangolata e nera.
Gli angeli del Calvario in su la sera
Partendo a volo taciturno e lento,
La videro da lunge, e per spavento
Si fèr del1' ale agli occhi una visiera.
I demoni frattanto a 1' aer tetro
Calar 1' appeso, e 1' infocate spalle
Al1' esecrato incarco eran feretro.
Così ululando e bestemmiando, il calle
244 ITALIAN READER.

Preser di Stige, e al vagabondo spetro


Reser il corpo nella morta valle.

III.
Poichè ripresa avea 1' alma digiuna
L' antica gravità di polpe e d' ossa,
La gran sentenza su la fronte bruna
In riga apparve trasparente e rossa.
A quella vista di terror percossa
Va la gente perduta; altri s' aduna
Dietro le piante che Oocito ingrossa,
Altri si tuffa nella rea laguna.
Vergognoso egli pur del suo delitto
Fuggfa quel crudo, e stretta la mascella,
Forte graffiava con la man lo scritto.
Ma più terso il rendea 1' anima fella
Dio fra le tempie glie1' avea confitto,
Ne sillaba di Dio mai si cancella.

IV.
Uno strepito intanto si sentia,
Che Dite introna in suon profondo e rotto ;
Era Gesù, che in suo poter condotto
D' Averno i regni a debellar venia.
Il bieco peccator per quella via
Lo scontrò, lo guatò senza far motto :
Pianse al fine, e da' cavi occhi dirotto
Come lava di foco il pianto uscia.
Folgoreggiò sul nero corpo osceno
L' eterea luce, e d' infernal rugiada
Fumarono le membra in quel baleno.
Tra il fuma allor la rubiconda spada
Interpose Giustizia: E il Nazareno
Volse lo sguardo ; e seguitò la strada.
ARTASERSE,

DRAMMA

PIETRO METASTASIO J
(245)

21*
INTERLOCUTORI.

ARTASERSE, Principe, e poi Re di Persia, amico d' Arbace, ed amante


di Semira.
MANDANE, sorella d' Artaserse, ed amante d' Arbace.
ART ABANO, Prefetto delle Guardie reali, padre d' Arbace, e di Semira.
ARBACE, amico d' Artaserse, ed amante di Mandane.
SEMIRA, sorella d' Arbace, ed amante d' Artaserse.
MEGABISE, Generale dell' armi, e confidente d' Artabano.

V Azione si rappresenta netta cilià di Susa, Reggia de1 Monarchi


Persiani.
(240)
ARTASERSE.

ATTO PRIMO.— SCENA I.

( Giardino interno nel palazzo del Re di Persia, corrispon


dente a vari appartamenti — Vista della Reggia — Notte
con Luna.)
Arbace, Mandane.

Arbace.
Addio.
Mandane.
Sentimi, Arbace.
Arbace.
Ah che 1' aurora,
Adorata Mandane, è già vicina :
E se mai npto a Serse
Fosse ch' io venni in questa reggia ad onta
Del barbaro suo cenno, in mia difesa
A me non basterebbe
Un trasporto d' amor, che mi consiglia ;
Non basterebbe a te d' essergli figlia.
Mandane.
Saggio è il timor. Questo real soggiorno
Periglioso è per te. Ma puoi di Susa
Fra le mura restar. Serse ti vuole
Esule dalla reggia,
(247)
248 ITALIAN READER.

Ma non dalla città. Non è perduta


Ogni speranza ancor. Sai che Artabano,
Il tuo gran genitore,
Regola a voglia sua di Serse il core :
Che a lui di penetrar sempre è permesso
Ogn' interno recesso
Del1' albergo real: che '1 mio germano
Artaserse si vanta
Del1' amicizia tua. Cresceste insieme
Di fama, e di virtù. Voi sempre uniti
Vide la Persia alle più dubbie imprese ;
E 1' un dal1' altro ad emularsi apprese.
Ti ammirano le schiere,
Il popolo t' adora ; e nel tuo braccio
Il più saldo riparo aspetta il regno:
Avrai fra tanti amici alcun sostegno.

Arbace.
Ci lusinghiamo, o cara. Il tuo germano
Vorrà giovarmi invano: ove si tratta
La difesa d' Arbace, egli è sospetto
Non men del padre mio : qualunque scusa
Rende dubbiosa alla credenza altrui
Nel padre il sangue, e 1' amicizia in lui.
L' altra turba incostante
Manca de' falsi amici, allor che manca
Il favor del Monarca. Oh quanti sguardi,
Che mirai rispettosi, or soffro alteri !
Onde che vuoi eh' io speri ? Il mio soggiorno
Serve a te dì periglio, a me di pena:
A te, perchè di Serse
I sospetti fomenta ; a me, chè deggio
Vicino a' tuoi bei rai
Trovarmi sempre, e non vederti mai.
Giacchè il nascer vassallo
ARTASERSE, ATTO I. SCENA I. 249

Colpevole mi fa, voglio, ben mio,


Voglio morire, o meritarti. Addio.
(In atto dipartire).
Mandane.
Crudel ! Come hai costanza
Di lasciarmi cosi ? .
Arbace.
Non sono, o cara,
Il crudel non son io. Serse è il tiranno ;
L' ingiusto è il padre tuo.
, Mandane.
Di qualche scusa
Egli è degno però, quando ti niega
Le richieste mie nozze. Il grado ... il mondo . . .
La distanza fra noi . . . Chi sa che a forza
Non simuli fierezza, e che in segreto
Pietoso il genitore
Forse non disapprovi il suo rigore.
Arbace.
Potea senza oltraggiarmi
Negarti a me ; ma non dovea da lui
Discacciarmi così, come s' io fossi
Un rifiuto del volgo, e dirmi vile,
Temerario chiamarmi. Ah Principessa,
Questo disprezzo io sento
Nel più vivo del cor ! Se gli avi miei
Non distinse un diadema, in fronte almeno
Lo sostennero a' suoi. Se in queste vene
Non scorre un regio sangue, ebbi valore
Di serbarlo al suo figlio. I suoi produca,
Non i merti degli avi. Il nascer grande
E' caso, e non virtù ; che se ragione
Regolasse i natali, e desse i regni
250 ITALIAN READER.

Solo a colui, ch' è di regnar capace,


Forse Arbace era Serse, e Serse Arbace.
Mandane.
Con più rispetto, in faccia a chi t' adora,
Parla del genitor.
Arbace.
Ma quando soffro
Un' ingiuria sì grande, e che m' è tolta
La libertà d' un innocente affetto,
Se non fo che lagnarmi, ho gran rispetto.
Mandane.
Perdonami: io comincio
A dubitar del1' amor tuo. Tant' ira
Mi desta meraviglia.
Non spero che il tuo core,
Odiando il genitore, ami la figlia.
Arbace.
Ma quest' odio, o Mandane,
E' argomento d' amor : troppo mi sdegno,
Perchè troppo t' adoro, e perchè penso
Che, costretto a lasciarti,
Forse mai più ti rivedrò ; che questa
Fors' è 1' ultima volta. . . . Oh Dio, tu piangi !
Ah non pianger, ben mio ; senza quel pianto
Son debole abbastanza : in questo caso
Io ti voglio crudel ; soffri ch' io parta :
La crudeltà del genitore imita.
(In aito di partire.)
Mandane.
Ferma, aspetta : ah ! mia vita,
Io non ho cor, che basti
A vedermi lasciar : partir vog1' io :
Addio, mio ben.
AKTASERSE, ATTO I. SCENA II. 251

Arbace.
Mia Principessa, addio.
Mandane.
Conservati fedele ;
Pensa ch' io resto, e peno ;
E qualche volta almeno
Ricordati di me.
Ch' io per virtù d' amore,
Parlando col mio core,
Ragionerò con te.
(Parte).

SCENA IL

Arbace, {poi) Artabano (con ispada nuda insanguinata).

Arbace, solo.
Oh comando ! Oh partenza !
Oh momento crudel, che mi divide
Da colei per cui vivo, e non m' uccide !
Artabano, entrando.
Figlio, Arbace.
Arbace.
Signor.
Artabano.
Dammi il tuo ferro.
Arbace.
Eccolo.
Artabano.
Prendi il mio ; fuggi, nascondi
Quel sangue ad ogni sguardo.
252 ITAI.IAN READER.

Arba.ce, guardando la spada.


Oh Dei ! Qual seno
Questo sangue verso ?
Artabano.
Parti ; saprai
Tutto da me.
Arbace.
Ma quel pallore, o padre,
Quei sospettosi sguardi
M' empiono di terror. Gelo in udirti
Così con pena articolar gli accenti :
Parla ; dimmi, che fu ?
Artabano.
Sei vendicato :
Serse morì per questa man.
Arbace.
Che dici !
Che sento ! Che facesti !
t ; , ,. '.". '"" Artabano.
Amato figlio,
L' ingiuria tua mi punse ;
Son reo per te.
Arbace.
Per me sei reo ? Mancava
Questa alle mie sventure. Ed or che speri ?
Artabano.
Una gran tela ordisco :
Forse tu regnerai. . Parti ; al disegno
Necessario è ch' io resti.
Arbace.
Io mi confondo in questi
Orribili momenti.
ARTASEBSE, ATTO I. SCENA III. 253

Artabano.
E tardi ancora?
Arbace.
Oh Dio!
Artabano.
Parti ; non più ; lasciami in pace.
Arbace.
Che giorno è questo, o disperato Arbace !
(Mentre Arbace canta P aria seguente, Artabano, che
rum V ode, va sospettoso spiando intorno, ed ascoltando
per poter regolarsi a seconda di quello, che veda, o
senta).
Fra cento affanni e cento,
Palpito, tremo, e sento
Che freddo dalle vene
Fugge il mio sangue al cor.
Prevedo del mio bene
Il barbaro marti ro,
E la virtù sospiro,
Che perde il genitor.
(Parte).

scena m
Artabano, (poi) Artaserse (e) Megabise (con Guardie).

Artabano, solo.
Coraggio, o miei pensieri. Il primo passo
V obbliga agli altri. Il trattener la mano
Su la metà del colpo
E' un farsi reo senza sperarne il frutto.
Tutto si versi, tutto
Fino al1' ultima stilla, il regio sangue.
Ne vi sgomenti un vano
i 22
254 ITALIAN READER.

Stimolo di virtù. Di lode indegno


Non è, come altri crede, un grande eccesso :
Contrastar con sè stesso,
Resistere a' rimorsi, in mezzo a tanti
Oggetti di timor serbarsi invitto,
Son virtù necessarie a un gran delitto. —
(vedendo venire Arlaserse)
Ecco il Principe : al1'- arte. —
Quali insolite voci !
(ad Artaserse)
Qual tumulto ! . .. . Ah, Signor, tu in questo luogo
Prima del dì ? Chi ti destò nel seno
Quel1' ira, che lampeggia in mezzo al pianto ?
Artaserse.
Caro Artabano, oh quanto
Necessario mi sei ! Consiglio, aiuto,
Vendetta, fedeltà.
Artabano.
Principe, io tremo
Al confuso comando :
Spiegati meglio.
Artaserse.
Oh Dio!
Svenato il padre mio
Giace colà su le tradite piume.
Artabano.
Come!
Artaserse.
Nol so. Di questa
Notte funesta infra i silenzi, e 1' ombre
Assicurò la colpa un' alma ingrata.
Artabano.
Oh insana, oh scellerata
Sete di regno ! E qual pietà, qual santo
ARTASERSE, ATTO I. SCENA III. 255

Vincolo di natura è mai bastante


A frenar le tue furie ?
Artaserse.
Amico, intendo.
E' 1' infedel germano,
E' Dario il reo.
Artabano.
Chi mai potea la reggia
Notturno penetrar ? Chi avvicinarsi
Al talamo real ? Gli antichi sdegni,
Il suo torbido genio, avido tanto
Dello scettro paterno . . . Ah, ch' io prevedo
In periglio i tuoi giorni :
Guardati per pietà. Serve di grado .
Un eccesso tal volta a un altro eccesso.
Vendica il padre tuo, salva te stesso.
Artaserse.
Ah ! se v' è alcun che senta
Pietà di un re trafitto,
Orror del gran delitto,
Amicizia per me, vada, punisca
Il parricida, il traditor.
Artabano, alle Guardie.
Custodi,
Vi parla in Artaserse
Un Prence, un figlio, e, se volete, in lui
Vi parla il vostro Re. Compite il cenno :
Punite il reo. Son vostro duce ; io stesso
Reggerò 1' ire vostre, i vostri sdegni.
(da se)
(Favorisce fortuna i miei disegni.)
Artaserse.
Ferma, ove corri ? Ascolta :
Chi sa che la vendetta
256 ITALIAN READER.

Non turbi il genitor più che 1' offesa ?


Dario è figlio di Serse.
Artabano.
Empio sarebbe
Un pietoso consiglio :
Chi uccise il genitor non è più figlio.
Su le sponde del torbido Lete,
Mentre aspetta
Riposo, e vendetta,
Freme 1' ombra d' un padre, e d' un re.
Fiera in volto
La miro, 1' ascollo,
Che t' addita
L' aperta ferita
In quel seno, che vita ti die.
(Porte.)

SCENA IV.

Artaserse, Megabise.

Artaserse.
Qual vittima si svena ! Ah Megabise . . .
Megabise.
Sgombra le tue dubbiezze. Un colpo solo
Punisce un empio, e t' assicura il regno.
Artaserse.
Ma potrebbe il mio sdegno
Al mondo comparir desio d' impero.
Questo, questo pensiero
Saria bastante a funestar la pace
Di tutt' i giorni miei. No, no ; si vada
Il cenno a rivocar. . . .
(In atto dipartire.)
ARTASERSE, ATTO I. SCENA V. 257

Megabise.
Signor, che fai ?
E' tempo, è tempo ormai
Di rammentar le tue private offese.
Il barbaro germano
Ad essere inumano
Più volte t' insegnò.
Artaserse.
Ma non degg' io
Imitarlo ne' falli. Il suo delitto
Non giustifica il mio. Qual colpa al mondo
Un esempio non ha? Nessuno è reo,
Se basta a' falli sui
Per difesa portar 1' esempio altrui.
Megabise.
Ma ragion di natura
E' il difender se stesso. Egli t' uccide,
Se non 1' uccidi.
Artaserse.
Il mio periglio appunto
Impegnerà tutto il favor di Giove
Del reo germano ad involarmi al1' ira.
(In allo dipartire.)

SCENA V.

Semira, Artaserse, Megabise.

Semira.
Dove, Principe, dove ?
Artaserse.
Addio, Semira.
22*
258 ITALIAN READER.

Semira.
Tu mi fuggi, Artaserse ?
Sentimi, non partir.
Artaserse.
Lascia ch' io vada :
Non arrestarmi.
Semira.
In questa guisa accogli
Chi sospira per te?
Artaserse.
Se più t' ascolto,
Troppo, o Semira, il mio dovere offendo.
Semira.
Va pure, ingrato ; il tuo disprezzo intendo.
Artaserse.
Per pietà, bel1' idol mio,
Non mi dir ch' io sono ingrato :
Infelice, e sventurato
Abbastanza il ciel mi fa.
Se fedele a te son io,
Se mi struggo a' tuoi bei lumi,
Sallo Amor, lo sanno i Numi,
Il mio core, il tuo lo sa.
(Parte.)

SCENA VI.

Semira, Megabise.

Semira, da parte.
Gran cose io temo. Il mio germano Arbace
Parte pria del1' aurora. Il padre armato
ARTASERSE, ATTO I. SCENA VI. 259

Incontro, e non mi parla. Accusa il cielo


Agitato Artaserse, e m' abbandona. —
(a Megabise)
Megabise, che fu ? Se tu lo sai,
Determina il mio core
Fra tanti suoi timori a un sol timore.
Megabise.
E tu sola non sai che Serse ucciso
Fu poc' anzi nel sonno ?
Che Dario è 1' uccisore ? E che la reggia
Fra le gare fraterne arde divisa ?
Semira.
Che ascolto ! — Or tutto intendo. —
Miseri noi ! Misera Persia !
Megabise.
Eh lascia
D' affliggerti, o Semira. Hai forse parte
Fra 1' ire ambiziose, e fra i delitti
Della stirpe real ? Forse paventi
Che un re manchi alla Persia ? Avremo, avremo
Pur troppo a chi servir. Si versi il sangue
De' rivali germani, inondi il trono ;
Qualunque vinca, indifferente io sono.
Semira.
Ne' disastri d' un regno
Ciascuno ha parte, e nel fedel vassallo
L' indifferenza è rea. Sento che immondo
E' del sangue paterno un empio figlio ;
Che Artaserse è in periglio ; e vuoi ch' io miri
Questa vera tragedia,
Spettatrice indolente, e senza pena,
Come i casi d' Oreste in finta scena ?
Megabise.
So che parla in Semira
260 ITALIAN READER.

D' Artaserse 1' amor ; ma senti : o questo


Del germano trionfa, e asceso in trono
Di te non avrà cura ; o resta oppresso,
E 1' oppressor vorrà vederlo estinto :
Onde lo perdi, o vincitore, o vinto.
Vuoi d' un labbro fedele
Il consiglio ascoltar ? Scegli un amante
Uguale al grado tuo. Sai che 1' amore
D' uguaglianza si nutre. E se mai porre
Volessi in opra il mio consiglio, allora
Ricordati, ben mio, di chi t' adora.
Semira.
Veramente il consiglio
Degno è di te : ma voglio
Renderne un altro in ricompensa, e parmi
Più opportuno del tuo : lascia d' amarmi.
Megabise.
E" impossibile, o cara,
Vederti, e non amarti.
Semira.
E chi ti sforza
Il mio volto a mirar? Fuggimi, e un' altra
Di me più grata al1' amor tuo ritrova.
MegaMse.
Ah ! che '1 fuggir non giova. Io porto in seno
L' immagine di te : quest' alma avvezza
D' appresso a vagheggiarti, ancor da lungi
Ti vagheggia, ben mio. Quando il costume
Si converte in natura,
L' alma quel, che non ha, sogna, e figura.
Sogna il guerrier le schiere,
Le selve il cacciatoi- ;
E sogna il pescator
Le reti, e 1' amo.
ARTASERSE, ATTO I. SCENA VII. 261

Sopito in dolce obblio,


Sogno pur io così
Colei, che tutto il dì
Sospiro, e chiamo.
(Parte).

SCENA vn.

Semira, sola.
Voi della Persia, voi
Deità protettrici, a questo impero
Conservate Artaserse. Ah, ch' io lo perdo,
Se trionfa di Dario ! Ei questa mano
Bramò vassallo, e sdegnerà sovrano.
Ma che ? Sì degna vita
Forse non vale il mio dolor ? Si perda,
Purchè regni il mio bene, e purchè viva.
Per non esserne priva,
Se lo bramassi estinto, empia sarei :
No, del mio voto io non mi pento, o Dei.
Bramar di perdere
Per troppo affetto
Parte del1' anima
Nel caro oggetto
E' il duol più barbaro
D' ogni dolor.
Pur fra le pene
Sarò felice,
Se il caro bene
Sospira,
E dice :
" Troppo a Semira
Fu ingrato amor."
(Parte).
262 ITALI AN READER.

SCENA VILI.

(reggia.)

Mandane, (poi) Artaserse.

Mandane, sola.
Dove fuggo ? Ove corro ? E chi da questa
Empia reggia funesta
M' invola per pietà? Chi mi consiglia?
Germana, amante, e figlia,
Misera ! in un istante
Perdo i germani, il genitor, 1' amante.
Artaserse, entrando.
Ah, Mandane. . . .
Mandane.
Artaserse,
Dario respira ? O nel fraterno sangue
Cominciasti tu ancora a farti reo ?
Artaserse.
Io bramo, o Principessa,
Di serbarmi innocente. Il zelo, oh Dio !
Mi svelse dalle labbra
Un comando crudel ; ma dato appena
M' inorridì. Per impedirlo io scorro
Sollecito la reggia, e cerco invano
D' Artabano, e di Dario.
Mandane, vedendo venire Artabano.
Ecco Artabano.
ARTASERSE, ATTO I. SCENA IX. 263

SCENA IX.

Artabano, Artaserse, Mandane.

Artabano.
Signore.
Artaserse.
Amico.
Artabano.
Io di te cerco.
Artaserse.
Edio
Vengo in traccia di te.
Artabano.
Forse paventi ?
Artaserse.
Si, temo. . . .
Artabano.
Eh, non temer : tutto è compito.
Artaserse è il mio Re, Dario è punito.
Artaserse.
Numi !
Mandane.
O sventura!
Artabano.
Il parricida offerse
Incauto il petto alle ferite.
Artaserse.
Oh Dio !
Artabano.
Tu sospiri? Ubbidito
Fu il cenno tuo.
264 ITALIAN READER.

Artaserse.
Ma tu dovevi il cenno
Più saggiamente interpetrar.
Mandane.
L' orrore,
Il pentimento suo
Dovevi preveder.
Artaserse.
Dovevi al fine
Compatire in un figlio,
Che perde il genitore,
De' primi moti un violento ardore.
Artabano.
Inutile accortezza
Sarebbe stata in me. Furo i custodi
Sì pronti ad ubbidir, che Dario estinto
Vidi pria, che assalito.
Artaserse.
Ah ! questi indegni
Non avranno macchiato
Del regio sangue impunemente il brando.
Artabano.
Signor, ma il tuo comando
Li rese audaci, e sei 1' autor primiero
Tu sol di questo colpo.
Artaserse.
E' vero, è vero :
Conosco il fallo mio ;
Lo confesso, Artabano, il reo son io.
Artabano.
Sei reo ! Di che ? D' una giustizia illustre,
Che un eccesso punì ? D' una vendetta
Dovuta a Serse ? Eh, ti consola, e pensa
ARTASEKSE, ATTO I. SCENA X. 265

Che nel fraterno scempio


Punisti alfine un parricida, un empio.

SCENA X.

Semira, Artaserse, Mandane, Artabano.

Semira.
Artaserse, respira.
Artaserse.
Qual mai ragion, Semira,
In sì lieto sembiante a noi ti guida ?
Semira.
Dario non è di Serse il parricida.
Mandane.
Che sento !
Artaserse.
E donde il sai ?
Semira.
Certo è 1' arresto
Del1' indegno uccisor. Presso alle mura
Del giardino real fra le tue squadre
Rimase prigionier. Reo lo scoperse
La fuga, il loco, il ragionar confuso,
Il pallido sembiante,
E '1 suo ferro di sangue ancor fumante.
Artabano.
Ma il nome ?
Semira.
Ognun lo tace,
Abbassa ognuno a mie richieste il ciglio.
Mandane, da so.
(Ah forse è Arbace !)
23
266 ITALIAN READER.

Artabano, da sé.
(E' prigioniero il figlio !)
Artaserse.
Dunque un empio son io ? Dunque Artaserse
Salir dovrà sul trono
D' un innocente sangue ancora immondo,
Orribile alla Persia, in odio al mondo !
Semira.
Forse Dario morì ?
Artaserse.
Morì, Semira.
Lo scellerato cenno
Uscì da' labbri miei. Fin ch' io respiri,
Più pace non avrò. Del mio rimorso
La voce ognor mi sonerà nel core.
Vedrò del genitore,
Del germano vedrò 1' ombre sdegnate
I miei torbidi giorni, i sonni miei
Funestar minacciando ; e 1' inquiete
Furie vendicatrici in ogni loco
Agitarmi su gli occhi,
In pena, o Dio ! della fraterna offesa,
La nera face in Flegetonte accesa.
Mandane.
Troppo eccede, Artaserse, il tuo dolore :
L' involontario errore
0 non è colpa, o è lieve.
Semira.
Abbia il tuo sdegno
Un oggetto più giusto: in faccia al mondo
Giustifica te stesso
Colla strage del reo.
Artaserse.
Dov' è 1' indegno ?
Conducetelo a me.
ARTASERSE, ATTO I. SCENA XI. 267

Artabano.
Del prigioniero
Vado 1' arrivo ad affrettar.
(In aito di partire.)
Artaserse.
T' arresta :
Artabano, Semira,
Mandane, per pietà nessun mi lasci :
Assistetemi adesso ; adesso intorno
Tutti vorrei gli amici. Il caro Arbace,
Artabano, dov' è ? Quest' è 1' amore,
Che mi giurò fin dalla cuna ? Ei solo
M' abbandona così ?
Mandane.
Non sai ch' escluso
Fu dalla reggia in pena
Del richiesto imeneo ?
Artaserse.
Venga Arbace, io 1' assolvo.

SCENA XI.

Megabise, Artaserse, Artabano, Semira, Mandane,


(poi) Arbace (disarmalo fra le Guardie).

Megabise, uscendo.
Arbace è il reo.
Artaserse.
Come!
Megabise, accennando Arbace, eh' esce confuso.
Osserva il delitto in quel sembiante.
Artaserse.
L' amico !
268 ITALIAN READER.

Artabano.
Il figlio !
Semira.
Il mio german !
Mandane.
L' amante !
Artaserse.
In questa guisa, Arbace,
Mi torni innanzi ? Ed hai potuto in mente
Tanta colpa nudrir ?
Arbace.
Sono innocente.
Mandane, da sé.
(Volesse il ciel !)
Artaserse.
Ma se innocente sei,
Difenditi, dilegua
I sospetti, g1' indizi ; e la ragione
Della innocenza tua sia manifesta.
Arbace.
Io non son reo ; la mia difesa è questa.
Artabano, da sé.
(Seguitasse a tacer !)
Mandane.
Pure i tuoi sdegni
Contro Serse?
Arbace.
Eran giusti.
Artaserse.
La tua fuga ? .
Arbace.
Fu vera.
Mandane.
Il tuo silenzio? . .
ARTASERSE, ATTO I. SCENA XI. 269

Arbace.
E" necessario.
Artaserse.
Il tuo confuso aspetto ? . . .
Arbace.
Lo merita il mio stato.
Mandane.
E '1 ferro asperso
Di caldo sangue ? . . .
Arbace.
Era in mia mano, è vero.
Artaserse.
E non sei delinquente ?
Mandane.
E 1' uccisor non sei ?
Arbace.
Sono innocente.
Artaserse.
Ma 1' apparenza, o Arbace,
T' accusa, ti condanna.
Arbace.
Lo veggo anch' io ; ma 1' apparenza inganna.
Artaserse.
Tu non parli, o Semira?
Semira.
Io son confusa.
Artaserse.
Parli Artabano.
Artabano.
OH Dio!
Mi perdo anch' io nel meditar la scusa.
Artaserse, da parte.
Misero ! Che farò ? Punire io deggio
Nel1' amico più caro il più crudele
24*
270 JTALIAN READER.

(ad Aròace.)
Orribile nemico, — A che mostrarmi
Così gran fedeltà, barbaro Arbace ?
Quei soavi costumi,
Quel1' amor, quelle prove
D' incorrotta virtude erano inganni
Dunque d' un alma rea ? Potessi almeno
Quel momento obbliar, che in mezzo al1' armi
Me da' nemici oppresso
Cadente sollevasti, e col tuo sangue
Generoso serbasti i giorni miei ;
Che adesso non avrei,
Del padre mio nel vendicare il fato,
La pena, oh Dio ! di divenirti ingrato.
Arbace.
I primi affetti tui,
Signor, non perda un innocente oppresso :
Se mai degno ne fui, lo sono adesso.
Artabano.
Audace, e con qual fronte'
Puoi domandargli amor ? Perfido figlio,
II mio rossor, la pena mia tu sei.
Arbace.
Anche il padre congiura a' danni miei !
Artabano.
Che vorresti da me ? Ch' io fossi a parte
(ad Artaterse.)
De' falli tuoi nel compatirti ? — Eh, provi,
Provi, o Signor, la tua giustizia. Io stesso
Sollecito la pena. In sua difesa
Non gli giovi Artabano aver per padre.
Scordati la mia fede, obblia quel sangue,
Di cui, per questo regno
Tante volte pugnando, i campi aspersi :
Col1' altro, ch' io versai, questo si versi.
ARTASERSE, ATTO I. SCENA XII. 271

Artaserse.
Oh fedeltà!
Artabano.
Risolvi, e qualche affetto,
Se ti resta per lui, vada in obblio.
Artaserse.
Risolverò, ma con qual core . . . Oh Dio !
Dch respirar lasciatemi
Qualche momento in pace !
Capace
Di risolvere
La mia ragion non è.
Mi trovo in un istante
Giudice, amico, amante,
E delinquente, e re.
(Parte.)

SCENA XII.

Arbace, Megabise, Semira, Mandane, Artabano,


{Guardie).

Arbace, da sé.
(E innocente dovrai
Tanti oltraggi soffrir, misero Arbace ?)
Megabise, da sé.
(Che avvenne mai ?)
Semira, da sé.
(Quante sventure io temo !)
Mandane, da sé.
(Io non spero più pace.)
Artabano, da sé.
(Io fingo, e tremo.)
272 ITALIAN READER.

Arbace, ad Artabano.
Tu non mi guardi, o padre ? Ogni altro avrei
Sofferto aceusator senza lagnarmi ;
Ma che possa accusarmi,
Che chieder possa il mio morir colui,
Che il viver mi donò, m' empie d' orrore
Il cor tremante, e me 1' agghiaccia in seno :
Senta pietà del figlio il padre almeno.
Artabano.
Non ti son padre,
Non mi sei figlio ;
Pietà non sento
D' un traditor.
Tu sei cagione
Del tuo periglio ;
Tu sei tormento
Del genitor.
(Parte.)

scena xm.
Arbace, Semira, Megabise, Mandane, (Guardie).

Arbace.
Ma per qual fallo mai
Tanto, o barbari Dei, vi sono in ira ? —
(a Semira.)
M' ascolti, mi compianga almen Semira.
Semira.
Torna innocente, e poi
T' ascolterò, se vuoi ;
Tutto per te farò.
Ma finchè reo ti veggio,
Compiangerti non deggio,
Difenderti non so.
(Parte.)
ARTASEUSE,ATTO I. SCENA XIV. 273

SCENA XIV.

Arbace, Megabise, Mandane, (Guardie.)

Arbace.
E non v' è chi m' uccida ? — Ah Megabise !
S' hai pietà. . . .
Megabise.
Non parlarmi.
Arbace, a Mandane.
Ah Principessa!
Mandane.
Involati da me.
Arbace, a Megabise.
Ma senti, amico.
Megabise.
Non odo un traditore.
(Parte.)
Arbace.
Oda un momento
Mandane almeno.
Mandane, in atto di partire.
Un traditor non sento.
Arbace, trattenendola.
Mio ben, mia vita. . . .
Mandane.
Ah scellerato ! Ardisci
Di chiamarmi tuo bene ?
Quella man mi trattiene,
Che uccise il genitor ?
Arbace.
Io non 1' uccisi.
274 ITALIAN READER.

Mandane.
Dunque chi fu ? Parla.
Arbace.
Non posso. Il labbro. . .
Mandane.
Il labbro è menzognero.
Arbace. •
Il core. . . .
Mandane.
Il core,
No che del suo delitto orror non sente.
Arbace.
Son io. . . .
Mandane.
Sei traditor.
Arbace.
Sono innocente.
Mandane.
Innocente t
Arbace.
Io lo giuro.
Mandane.
Alma infedele !
Arbace, da sé.
(Quanto mi costa un genitor crudele !)
(a Mandane)
Cara, se tu sapessi. . . .
Mandane.
Eh, che mi sono
Gli odii tuoi contro Serse assai palesi.
Arbace.
Ma non intendi. . . .
Mandane.
Intesi
Le tue minacce.
ARTASERSE, ATTO I. SCENA XIV. 275

Arbace.
E pur t' inganni.
Mandane.
Allora,
Perfido, m' ingannai,
Che fedel mi sembrasti, e ch' io t' amai.
Arbace.
Dunque adesso. . . .
Mandane.
T abbono.
Arbace.
E sei. . . .
Mandane.
La tua nemica.
Arbace.
E vuoi. . . .
Mandane.
La morte tua.
Arbace.
Quel primo affetto. . . .
Mandane.
Tutto è cangiato in sdegno.
Arbace.
E non mi credi ?
Mandane.
E non ti credo, indegno.
Dimmi che un empio sei,
Ch' hai di macigno il core,
Perfido traditore,
E allor ti crederò.
(da se)
(Vorrei di lui scordarmi,
Odiarlo, oh Dio ! vorrei ;
276 ITALIAN READER.

Ma sento che sdegnarmi,


Quanto dovrei, non so.)
(ad Arbace)
Dimmi che un empio sei,
E allor ti crederò.
(da se)
(Odiarlo, oh Dio ! vorrei,
Ma odiarlo, oh Dio ! non so.)
(Parte.)

SCENA XV.
Arbace, Guardie.
No che non ha la sorte
Più sventure per me. Tutte in un giorno,
Tutte, oh Dio ! le provai. Perdo 1' amico,
M' insulta la germana,
M' accusa il genitor, piange il mio bene ;
E tacer mi conviene,
E non posso parlar ! Dove si trova
Un' anima, che sia
Tormentata così come la mia?
Ma, giusti Dei, pietà ! Se a questo passo
Lo sdegno vostro a danno mio s' avanza,
Pretendete da me troppa costanza.
Vo solcando un mar crudele
Senza vele,
E senza sarte ;
Freme 1' onda, il ciel s' imbruna,
Cresce il vento, e manca 1' arte ;
E il voler della fortuna
Son costretto a seguitar.
Infelice ! in questo stato
Son da tutti abbandonato :
Meco sola è 1' innocenza,
Che mi porta a naufragar.
(Parte con le Guardie.)
ARTASERSE, ATTO II. SCENA I. 277

ATTO SECONDO. — SCENA I.

{Appartamenti Reali.)

Artaserse, Artabano.
Artaserse, alle Guardie, nell' uscire verso la scena.
Dal carcere, o custodi,
(ad Artabano)
Quì si conduca Arbace. — Ecco adempite
Le tue richieste. Ah, voglia il Ciel che giovi
Questo incontro a salvarlo !
Artabano.
Io non vorrei
Che credessi, o Signor, la mia domanda
Pietà di padre, o mal fondata speme
Di trovarlo innocente. E' troppo chiara
La colpa sua ; deve morir. Non altro
Mi muove a rivederlo
Che la tua sicurezza. Ancor del fallo
E' ignota la cagione,
Sono i complici ignoti : ogni segrete
Tenterò di scoprir.
Artaserse.
La tua fortezza
Quanto invidio, Artabano ! Io mi sgomento
D' un amico al periglio ;
Tu non ti perdi, e si condanna il figlio.
Artabano.
La fermezza del volto
Quanto costa al mio core ! Intesi anch' io
Le voci di natura. Anch' io provai
Le comuni di padre
24
278 ITAXIAN READER.

Deboli tenerezze :
Ma fra le mie dubbiezze
Il dover trionfò. Non è mio figlio
Chi mi porta il rossor di sì gran fallo :
Prima ch' io fossi padre, era vassallo.
Artaserse.
La tua virtude istessa
Mi parla per Arbace. Io più ti deggio,
Quanto meno il difendi. Ah ! renderei
Troppo ingrata mercede a' merti tui,
Se senza affanno io ti punissi in lui.
Dch cerchiamo, Artabano,
Una via di salvarlo, una ragione
Ch' io possa dubitar del suo delitto.
Unisci, io te ne priego,
Le tue cure alle mie.
Artabano.
Che far poss' io,
S' ogni evento 1' accusa, e intanto Arbace
Si vede reo, non si difende, e tace ?
Artaserse.
Ma innocente si chiama. I labbri suoi
Non son usi a mentir. Come in un punto
Cangiò natura ! Ah, 1' infelice ha forse
Qualche ragion del suo silenzio ! A lui
Parli Artabano ; ei svelerà col padre
Quanto al giudice tace. Io m' allontano :
In libertà seco ragiona ; osserva,
Esamina il suo cor. Trova, se puoi,
Un' ombra di difesa. Accorda insieme
La salvezza del figlio,
La pace del tuo re, 1' onor del trono.
Ingannami, se puoi, ch' io ti perdono.
Rendimi il caro amico,
ARTASERSE, ATTO II. SCENA II. 279

Parte del1' alma mia ;


Fa che innocente sia,
Come 1' amai fin or.
Compagni dalla cuna
Tu ci vedesti, e sai
Che in ogni mia fortuna
Seco fin or provai
Ogni piacer diviso,
Diviso ogni dolor.
(Parte.)

SCENA II.
Artabano, (poi) Arbace (con alcune Guardie).
Artabano.
(da se) (ad Arbace)
(Son quasi in porto.) Arbace,
(alle Guardie)
Avvicinati. — E voi
Nelle prossime stanze
Pronti attendete ogni mio cenno.
(le Guardie partono.)
Arbace, da sé.
(Il padre
Solo con me !)
Artabano, ad Arbace.
Pur mi riesce, o figlio,
Di salvar la tua vita. Io chiesi ad arte
Al1' incauto Artaserse
La libertà di favellarti. Andiamo :
Per una via, che ignota
Sempre gli fu, scorgendo i passi tui,
Deluder posso i suoi custodi, e lui.
Arbace.
Mi proponi una fuga,
Che saria prova al mio delitto ?
280 ITALIAN READER.

Artabano.
Eh, vieni
Folle che sei. La libertà ti rendo :
T" involo al regio sdegno ;
Agli applausi ti guido, e forse al regno.
Arbace.
Che dici? Al regno !
Artabano.
E da gran tempo, il sai,
A tutti in odio il regio sangue. Andiamo :
Alle commosse squadre
Basta mostrarti. Ho già la fede in pegno
De' primi Duci.
Arbace.
Io divenir ribelle ?
Solo in pensarlo inorridisco. Ah padre,
Lasciami 1' innocenza !
Artabano.
E' già perduta
Nella credenza altrui. Sei prigioniero,
E comparisci reo.
Arbace.
Ma non è vero.
Artabano.
Questo non giova. E' 1' innocenza, Arbace,
Un pregio, che consiste
Nel credulo consenso
Di chi 1' ammira ; e se le togli questo,
In nulla si risolve. Il giusto è solo,
Chi sa fingerlo meglio, e chi nasconde
Con più destro artifizio i sensi sui
Nel teatro del mondo agli occhi altrui.
Arbace.
T" inganni. Un' alma grande
ARTASERSE, ATTO II. SCENA II. 281

E' teatro a se stessa. Ella in segreto


S' approva, e si condanna,
E placida, e sicura
Del volgo spettator 1' aura non cura.
Artabano.
Sia ver, ma 1' innocenza
Si dovrà preferir forse alla vita ?
Arbace.
E questa vita, o padre,
Che mai la credi ?
Artabano.
Il maggior dono, o figlio,
Che far possan gli Dei.
Arbace.
La vita è un bene,
Che usandone si scema. Ogni momento,
Ch' altri ne gode, è un passo,
Che al termine avvicina, e dalle fasce
Si comincia a morir, quando si nasce.
Artabano.
E dovrò per salvarti.
Contender teco ? Altra ragion per ora
Non ricercar, che il cenno mio. T' affretta.
Arbace.
No, perdona ; sia questo
Il tuo cenno primiero
Trasgredito da me.
Artabano.
Vinca la forza
Le resistenze tue. Sieguimi.
( Va a prenderla.)
Arbace, scostandosi.
In pace
Lasciami, o padre. A troppo gran cimento
24*
282 ITALIAN READER.

Riduci il mio rispetto. Ah, se mi sforzi,


Farò. . . .
Artabano.
Minacci, ingrato ?
Parla, di', che farai ?
Arbace.
Nol so ; ma tutto
Farò per non seguirti.
Artabano.
E ben vediamo
( h prende per mano)
Chi di noi vincerà. Sieguimi, andiamo.
Arbace, alle Guardie, forte.
Custodi, olà.
Artabano, ad Arbace.
T' accheta.
Arbace, alle Guardie.
Olà, custodi,
Rendetemi i miei lacci. Al carcer mio
Guidatemi di nuovo.
(Artabano lascia Arbace vedendo le Guardie.)
Artabano, da sé.
(Ardo di sdegno.)
Arbace, ad Artabano.
Padre, un addio.
Artabano.
Va, non t' ascolto, indegno.
Arbace.
Mi scacci sdegnato,
Mi sgridi severo ;
Pietoso, placato
Vederti non spero,
Se in questi momenti
Non senti
Pietà.
ARTASERSE, ATTO II. SCENA III. 283

Che ingiusto rigore !


Che fiero consiglio !
Scordarsi 1' amore
D' un misero figlio,
D' un figlio infelice,
Che colpa non ha.
(Parte con le Guardie.)

SCENA III.
Artabano, {poi) Megabise.
Artabano, solo.
I tuoi deboli affetti
Vinci, Artabano. Un temerario figlio
S' abbandoni al suo fato. Ah, che nel core
Condannarlo non posso ! Io 1' amo appunto,
Perchè non mi somiglia. A un tempo istesso
E mi sdegno, e 1' ammiro,
E d' ira, e di pietà fremo, e sospiro.
Megabise, entrando.
Che fai ? Che pensi ? Irresoluto, e lento,
Signor, così ti stai ? Non è più tempo
Di meditar, ma d' eseguir. Si aduna
De' Satrapi il consiglio : ecco raccolte
Molte vittime insieme. I tuoi rivali
Là troveremo uniti. Uccisi questi,
Piana è per te la via del trono. Arbace
A liberar si voli.
Artabano.
Ah, Megabise,
Che sventura è la mia ! Ricusa il figlio
E regno, e libertà. De' giorni suoi
Cura non ha ; perde se stesso, e noi.
284 ITALIAN READER.

Megabise.
Che dici?
Artabano.
Invan fin ora
Con lui contesi.
MegaMse.
A liberarlo a forza
Al corcere corriamo.
Artabano.
Il tempo istesso,
Che perderemo in superar la fede,
E il valor de' custodi, agio bastante
Al re darà di preparar difese.
Megabise.
•E' ver. Dunque Artaserse
Prima si sveni, e poi si salvi Arbace.
Artabano.
Ma rimane in ostaggio
La vita del mio figlio.
Megabise.
Ecco il riparo :
Dividiamo i seguaci. Assaliremo
Nel1' istesso momento
Tu il carcere, io la reggia.
Artabano.
Ah, che divisi
Siamo deboli entrambi !
Megabise.
Ad un partito
Convien pure appigliarsi.
Artabano.
Il più sicuro
E' 1' non prenderne alcuno. Agio bisogna
ARTASERSE, ATTO II. SCENA III. "285

A ricompor-le sconcertate fila


Della trama impedita.
MegaMse.
E se frattanto
Arbace si condanna ?
Artabano.
Il caso estremo
Al più pronto rimedio
Risolver ne farà. Basta per ora
Che a simular tu siegua, e che de' tuoi
Mi conservi la fede. Io cauto intanto
A sedurre i custodi
M' applicherò. Non m' avvisai fin ora
D' abbisognarne ; e reputai follia
Moltiplicare i rischi
Senza necessità.
Megabise.
Di me disponi,
Come più vuoi.
Artabano.
Dch, non tradirmi, amico.
Megabise.
Io tradirti ! Ah Signor, che mai dicesti ?
Tanto ingrato mi credi ? Io mi rammento
De' miei bassi principj. Alla tua mano
Deggio quanto possiedo : a' primi gradi
Dal fango popolar tu mi traesti.
Io tradirti ! Ah Signor, che mai dicesti ?
Artabano.
E' poco, o Megabìse,
Quanto feci per te. Vedrai s' io t' amo,
Se m' arride il destin. So per Semira
Gli affetti tuoi ; non li condanno, e penso. . . .
(vedendo Semira)
Eccola. Un mio comando
28G ITALIAN KEADER. .

L' amor suo t' assicuri, e noi congiunga


Con più saldi legami.
Megabise.
Oh qual contento !

SCENA IV.

Artabano, Semira, Megabìse.

Artabano, a Semira.
Figlia, è questi il tuo sposo.
(Accennando Megabise.)
Semira, da sé.
(Aimè, che sento !)
(ad Artabano)
E ti par tempo, o padre,
Di stringere imenei, quando il germano. . . .
Artabano.
Non più. Può la tua mano
Molto giovargli.
Semira.
Il sagrifizio è grande :
Signor, meglio rifletti. Io son. . . .
Artabano.
Tu sei
Folle, se mi contrasti.
(accennando Megabise)
Ecco il tuo sposo ; io così voglio, e basti.
Amalo, e se al tuo sguardo
Amabile non è,
La man, che te lo diè,
Rispetta, e taci.
Poi nel1' amar men tardo
Forse il tuo cor sarà,
Quando fumar vedrà
Le sacre faci.
(Parte.)
ARTASERSE, ATTO II. SCENA V. 287

SCENA V.
Semira, Megabise.
Semira.
Ascolta, o Megabise. Io mi lusingo
Al fin del1' amor tuo. Posso una prova
Sperarne a mio favor ?
Megabise.
Che non farei,
Cara, per ubbidirti ?
Semira.
E pure io temo
Le ripugnanze tue.
Megabise.
Questo timore
Dilegui un tuo comando.
Semira.
Ah, se tu m' ami,
Questi imenei disciogli.
Megabise.
Io?
Semira.
Sì: salvarmi
Del genitor così potrai dal1' ira.
Megabise
T' ubbidirei, ma parmi
Ch' ora meco scherzar voglia Semira.
Semira.
Io non parlo da scherzo.
Megabise.
Eh, non ti credo :
Vuoi cosi tormentarmi, io me n' avvedo.
288 ITALIAN READER.

Semira.
Tu mi deridi. Io ti credei fin ora
Più generoso amante.
Megabise.
Ed io più saggia
Fin ora ti credei.
Semira.
D' un' alma grande
Che bella prova è questa !
Megabise.
Che discreta richiesta
Da farsi a un amator !
Semira.
T* apersi un campo,
Ove potevi esercitar con lode
La tua virtù, senz' essermi molesto.
Megabise.
La voglio esercitar, ma non in questo.
Semira.
Dunque in vano sperai ?
Megabise.
Sperasti in vano.
Semira.
Dunque il pianto? . . .
Megabise.
Non giova.
Semira.
Questa preghiere mie ? . . .
Megabise.
Son sparse a' venti.
Semira.
E bene, al padre ubbidirò, ma senti :
Non lusingarti mai

,
ARTASERSE, ATTO II. SCENA VI. 289

Ch' io voglia amarti. Abbonirò costante


Quel funesto legame,
Che a te mi stringerà. Sarai, lo giuro,
Oggetto agli occhi miei sempre d' orrore :
La mano avrai, ma non sperare il core.
Megabise.
Non lo chiedo, o Semira. Io mi contento
Di vederti mia sposa. E per vendetta,
Se ti basta d' odiarmi,
Odiami pur, eh' io non saprò lagnarmi.
Non temer ch' io mai ti dica
Alma infida, ingrato core :
Possederti ancor nemica
Chiamerò felicità.
Io detesto la follia
D' nn incomodo amatore,
Che a' pensieri ancor vorria
Limitar la libertà.
(Parte.)

SCENA VI.
Semira, Mandane.
Semira.
Qual serie di sventure un giorno solo
Unisce a' danni miei ! — Mandane, ah senti !
Mandane.
Non m' arrestar, Semira.
Semira.
Ove t'affretti?
Mandane.
Vado al real consiglio.
Semira.
Io tua seguace
Sarò, se giova al1' infelice Arbace.
25
290 ITALIAN READER.

Mandane.
L' interesse è distinto :
Tu salvo il brami, ed io lo voglio estinto.
Semira.
E un' amante d' Arbace
Parla così ?
Mandane.
Parla così, Semira,
Una figlia di Serse.
Semira.
Il mio germano
0 non ha colpa, o per tua colpa è reo,
Perchè troppo t' amò.
Mandane.
Questo è il maggiore
De' falli suoi. Col suo morir degg' io
Giustificar me stessa, e vendicarmi
Di quel rossor, che soffre
Il mio genio real, che a lui donato
Dovea destarlo a generose imprese,
E per mia pena un traditor lo rese.
Semira.
E non basta a punirlo
Delle leggi il rigor, che a lui sovrasta,
Senza g1' impulsi tuoi ?
Mandane.
No, che non basta.
Io temo in Artaserse
La tenera amistà : temo 1' affetto
Ne' Satrapi, e ne' Grandi ; e temo in lui
Quel1' ignoto poter, quel1' astro amico,
Che in fronte gli risplende,
Che degli animi altrui signor lo rende.
ARTASERSE, ATTO II. SCENA VI. 291

Semira.
Va, sollecita il colpo,
Accusalo, spietata,
Riducilo a morir ; però misura
Prima la tua costanza. Hai da scordarti
Le speranze, gli affetti,
La data fé, le tenerezze, i primi
Scambievoli sospiri, i primi sguardi,
E 1' idea di quel volto,
Dove apprese il tuo core
La prima volta a sospirar d' amore.
Mandane.
Ah, barbara Semira !
Io che ti feci mai ? Perchè risvegli
Quella al dover ribelle,
Colpevole pietà, che opprimo in seno
A forza di virtù ? Perchè ritorni
Con quest' idea, che '1 mio coraggio atterra,
Fra miei pensieri a rinnovar la guerra ?
Se d' un amor tiranno
Credi di trionfar,
Lasciami nel1' inganno,
Lasciami lusingar
Che più non amo.
Se 1' odio è il mio dover,
Barbara, e tu lo sai,
Perchè avveder mi fai,
Che in van lo bramo ?
(Parte.)
292 ITALIAN READER.

SCENA VII.
Semira, sola.
A qual di tanti mali
Prima oppormi degg' io ? Mandane, Arbace,
Megabise, Artaserse, il genitore,
Tutti son miei nemici. Ognun m' assale
In alcuna del cor tenera parte :
Mentre ad uno m' oppongo, io resto agli altri
Senza difesa esposta, ed il contrasto
Sola di tutti a sostener non basto.
Se del fiume altera 1' onda
Tenta uscir dal letto usato,
Corre a questa, a quella sponda
L' affannato
Agricoltor.
Ma disperde in su 1' arene
Il sudor, le cure, e 1' arti ;
Che se in una ei lo trattiene,
Si fa strada in cento parti
Il torrente vincitor.
(Parte.)

SCENA VIlI.
(Gran Sala del Real Consiglio con Trono da un lato, e
sedili dall' altro per li Grandi del regno — Tavolino, e
sedia alla destra del suddetto Trono.)
Artaserse, {preceduto da una parte delle Guardie, e
da' Grandi del regno, e seguito dal restante delle
Guardie ; poi) Megabise.
Artaserse, a' Grandi del regno.
Eccomi, o della Persia
Fidi sostegni, del paterno soglio
ARTASERSE, ATTO II. SCENA IX. 293

Le cure a tollerar. Son del mio regno


Sì torbidi i principj, e sì funesti,
Che 1' inesperta mano
Teme di questo avvicinarsi al freno.
Voi, che nudrite in seno
Zelo, valore, esperienza, e fede,
Del1' affetto in mercede,
Che '1 mio gran genitor vi diede in dono,
Siatemi scorta in su le vie del trono.
Megabise, uscendo.
Mio re, chiedono a gara
E Mandane, e Semira a te 1' ingresso.
Artaserse.
(daparte) (a Megabise) (daparte)
Oh Dei ! — Vengano. — Io vedo
( Megabise parte. )
Qual diversa cagione entrambe affretta.

SCENA IX.
Semira, Mandane, Artaserse, Megabise, (Grandi,
Guardie).
Semira.
Artaserse, pietà.
Mandane.
Signor, vendetta.
D' un reo chiedo la morte.
Semira.
Ed io la vita
D' un innocente imploro.
Mandane.
Il fallo è certo.
Semira.
Incerto è il traditor.
25*
294 ITALIAN READER.

Mandane.
Condanna Arbace
Ogni apparenza.
Semira.
Assolve
Arbace ogni ragione.
Mandane.
Il sangue sparso
Dalle vene del padre
Chiede un castigo.
Semira.
E il conservato sangue
Nelle vene del figlio un premio chiede.
Mandane.
Ricordati. ...
Semira.
Rammenta. . . .
Mandane.
Che sostegno del trono
Solo è il rigor.
Semira.
Che la clemenza è base.
Mandane.
D' una misera figlia
Dch t' irriti il dolor.
Semira.
Ti plachi il pianto
D' un' afflitta germana.
Mandane.
Ognun, che vedi,
Fuor che Semira, il sacrifizio aspetta.
Semira.
Artaserse, pietà.
(S' inginocchia.)
ARTASERSE, ATTO II. SCENA X. 295

Mandane.
Signor, vendetta.
(£' ingiiiocchia.)
Artaserse.
Sorgete, oh Dio ! sorgete. Il vostro affanno
Quanto è minor del mio ! Teme Semira
Il mio rigor ; Mandane
Teme la mia clemenza. E amico, e figlio
Artaserse sospira
Nel timor di Mandane, e di Semira.
( Vad&ndo Artàbano.)
Solo d' entrambe io così provo. ... — Ah vieni !
Consolami, Artabano. Hai per Arbace
Difesa alcuna ? Ei si discolpa ?

SCENA X.
Artabano, Artaserse, Semira, Mandane, Megabise,
(Grandi Guardie).
Artabano.
E' vana
La tua, la mia pietà. La sua salvezza
O non cura, o dispera.
Artaserse.
E vuol ridurmi
L' ingrato a condannarlo ?
Semira.
Condannarlo ? Ah crudel ! Dunque vedrassi
Sotto un' infame scure
Di Semira il germano,
Della Persia 1' onore,
L' amico d' Artaserse, il difensore? —
Misero Arbace ! Inutile mio pianto !
Vilipeso dolor !
29 G ITALIAN READER.

Artaserse.
Semira, a torto
M' accusi di crudel. Che far poss' io,
Se difesa non ha ? Tu che faresti ?
(alle Guardie.)
Che farebbe Artabano? — Olà, custodi,
Arbace a me si guidi. — Il padre istesso
(fe Guardie partcmo)
Sia giudice del figlio. Egli 1' ascolti :
Ei 1' assolva se può. Tutta in sua mano
La mia depongo autorità reale.
Artabano.
Come!
Mandane, ad Artaserse.
E tanto prevale
L' amicizia al dover? Punir nol vuoi,
Se la pena del reo commetti al padre.
Artaserse.
A un padre io la commetto,
Di cui nota è la fé ; che un figlio accusa,
Ch' io difender vorrei ; che di punirlo
Ha più ragion di me.
Mandane.
Ma sempre è padre.
Artaserse.
Perciò doppia ragione
Ha di punirlo. Io vendicar di Serse
La morte sol deggio in Arbace. Ei deve
Nel figlio vendicar con più rigore
E di Serse la morte, e '1 suo rossore.
Mandane.
Dunque così. . . .
Artaserse.
Così, se Arbace è il reo,
La vittima assicuro al re svenato,
ARTASERSE, ATTO II. SCENA XI. 297

Ed al mio difensor non sono ingrato.


Artabano.
Ah Signor ! qual cimento. . . .
Artaserse.
Degno di tua virtù.
Artabano.
Di questa scelta
Che si dirà ?
Artaserse.
(a' Grandi)
Che si può dir? — Parlate,
Se v' è ragion che a dubitar vi muova.
tegabise.
Il silenzio d' ognun la scelta approva.
Semira, vedendo venire Arbace.
Ecco il germano.
Mandane, da sé.
(Aimè !)
Artaserse, andando in trono.
S' ascolti.
(i Grandi siedono.)
Artabano, da sé nelT andare a sedere al tavolino.
(Affetti,
. Ah tollerate il freno !)
Mandane, da sé.
(Povero cor, non palpitarmi in seno !)

SCENA XI.

Arbace (con catene fra alcune Guardie) Artaserse,


Artabano, Mandane, Semira, Megabise,
(Grandi, Guardie).

Arbace.
Tanto in odio alla Persia
Dunque son io, che di mia rea fortuna
298 ITALIAN BEADER.

L' ingiustizie a mirar tutta s' aduna ? —


Mio re. . . .
Artasersc.
Chiamami amico. In fin ch' io possa
Dubitar del tuo fallo, esser lo voglio :
E perchè sì bel nome
In un giudice è colpa, ad Artabano
Il giudizio è commesso.
Arbace.
Al padre !
Artaserse.
A lui.
Arbace, da sé.
(Gelo d' orror!)
Artabano.
Che pensi ? Ammiri forse
La mia costanza ?
Arbace.
Inorridisco, o padre,
Nel mirarti in quel luogo, e ripensando
Qual io son, qual tu sei. Come potesti
Farti giudice mio? Come conservi
Così intrepido il volto, e non ti senti
L' anima lacerar ?
Artabano.
Quai moti interni
Io provi in me tu ricercar non devi,
Ne quale intelligenza
Abbia col volto il cor. Qualunque io sia,
Lo son per colpa tua. Se a' miei consigli
Tu davi orecchio, e seguitar sapevi
L' orme d' un padre amante, in faccia a questi
Giudice non sarei, reo non saresti.
Artaserse, da parte.
Misero genitor !
ARTASERSE, ATTO II. SCENA XI. 299

Mandane, ad Artabano.
Quì non si venne
I vostri ad ascoltar privati affanni.
0 Arbace si difenda, o si condanni.
Arbace, da sé.
(Quanto rigor!)
Artabano.
Dunque alle mie richieste
Risponda il reo. Tu comparisci, Arbace,
Di Serse 1' uccisor. Ne sei convinto :
Ecco le prove. Un temerario amore,
Uno sdegno ribelle. . . .
Arbace.
Il ferro, il sangue,
II tempo, il luogo, il mio timor, la fuga
So che la colpa mia fanno evidente,
E pur vera non è ; sono innocente.
Artabano.
Dimostralo, se puoi: placa lo sdegno
Del1' offesa Mandane.
Arbace.
Ah ! se mi vuoi
Costante nel soffrir, non assalirmi
In sì tenera parte. Al nome amato,
Barbaro genitor. . . .
Artabano.
Taci : non vedi,
Nella tua cieca intolleranza e stolta,
Dove sei, con chi parli, e chi t' ascolta ?
Arbace.
Ma, padre. . . .
Artabano, da sé.
(Affetti, ah tollerate il freno !)
300 ITALIAN READER.

Mandane, da sé.
(Povero cor, non palpitarmi in seno !)
Artabano, ad Arbace.
Chiede pur la tua colpa
Difesa, o pentimento.
Artaserse, ad Arbace.
Ah porgi aita
Alla nostra pietà !
Arbace.
Mio re, non trovo
Ne colpa, nè difesa,
Ne motivo a pentirmi ; e se mi chiedi
Mille volte ragion di questo eccesso,
Tornerò mille volte a dir 1' istesso.
Artabano, da sé.
(Oh amor di figlio !)
Mandane.
Egli ugualmente è reo,
(ad Artabano)
O se parla, o se tace. — Or che si pensa ?
(ad Artaserse)
Il giudice che fa? — Questo è quel padre,
Che vendicar doveva un doppio oltraggio?
Arbace.
Mi vuoi morto, o Mandane ?
Mondane, da sé.
(Alma, coraggio.)
Artabano.
Principessa, è il tuo sdegno
Sprone alla mia virtù. — Resti alla Persia
Nel rigor d' Artabano un grand' esempio
Di giustizia, e di tè non visto ancora, —
Io condanno il mio figlio : " Arbace mora."
(Sottoscrive ilfoglio.)
Mandane, da sé.
(Oh Dio !)
ARTASERSE, ATTO II. SCENA XI. 301

Artaserse, ad Artabano.
Sospendi, amico,
Il decreto fatal.
Artabano.
Segnato è il foglio :
Ho compito il dover.
(S' alza, e dà ilfoglia a Megabise.)
Artaserse, da sé.
(Barbaro vanto !)
(Scende dal trono, ed i Grandi si levano da sedere.)
Semira, da so.
(Padre inumano !)
Mandane, da sé.
(Ah, mi tradisce il pianto !)
Arbace, a Mandane.
Piange Mandane ! E pur sentisti al fine
Qualche pietà del mio destin tiranno ?
Mandane.
Si piange di piacer, come d' affanno.
Artabano, ad Artaserse.
Di giudice severo
Adempite ho le parti. Ah, si permetta
Agli affetti di padre
(ad Arbace)
Uno sfogo, o Signor ! — Piglio, perdona
Alla barbara legge
D' un tiranno dover. Soffri, che poco
Ti rimane a soffrir. Non ti spaventi
L' aspetto della pena : il mal peggiore
E de' mali il timor.
Arbace.
Vacilla, o padre,
La sofferenza mia. Trovarmi esposto
In faccia al mondo intero
In sembianza di reo : veder recise
26
302 ITALIAN READER.

Sul verdeggiar le mie speranze ; estinti


Su 1' aurora i miei dì ; vedermi in odio
Alla Persia, al1' amico, a lei che adoro :
Saper che '1 padre mio. . . .
(da se)
Barbaro padre. . . . (Ah, ch' io mi perdo !) . . . Addio.
(In atto dipartire, poi siferma.)
Artdbano, da sé.
(Io gelo !)
Mandane, da sé.
(Io moro !)
Arbace, da parte.
Oh temerario Arbace !
(ad Artabano)
Dove trascorri ? — Ah genitor ! Perdona :
Eccomi a' piedi tuoi. Scusa i trasporti
D' un insano dolor. Tutto il mio sangue
Si versi pur, non me ne lagno ; e in vece
Di chiamarla tiranna,
Io bacio quella man, che mi condanna.
Artabano.
Basta, sorgi ; pur troppo
Hai ragion di lagnarti :
(da se)
Ma sappi. . . . (Oh Dio !) . . . Prendi un abbraccio, e
parti.
Arbace.
Per quel paterno amplesso,
Per questo estremo addio,
Conservami te stesso,
Placami 1' idol mio,
Difendimi il mio re.
Vado a morir beato,
Se della Persia il fato
Tutto si sfoga in me.
(Parte fra le Guardie seguito da
Megabise — / Grandipartono.)
ARTASERSE, ATTO II. SCENA XII. 303

scena xn.
Mandane, Artabano, Aktaserse, Semira.
Mandane, da sé.
(Ah, che al partir d' Arbace
Io comincio a provar che sia la morte !)
Artabano.
A prezzo del mio sangue ecco, o Mandane,
Soddisfatto il tuo sdegno.
Mandane.
Ah scellerato !
Fuggi degli occhi miei ; fuggi la luce
Delle stelle, e del sol : celati, indegno,
Nelle più cupe, e cieche
Viscere della terra ;
Se pur la terra istessa a un empio padre,
Così d' umanità privo, e d' affetto,
Nelle viscere sue darà ricetto.
Artabano.
Dunque la mia virtù. . . .
Mandane.
Taci, inumano.
Di qual virtù ti vanti ?
Ha questa i suoi confini, e quando eccede,
Cangiata in vizio ogni virtù si vede.
Artabano.
Ma non sei quell' istessa,
Che finor m' irritò ?
Mandane.
Son quella, e sono
Degna di lode. E se dovesse Arbace
Giudicarsi di nuovo, io la sua morte
Di nuovo chiederei. Dovea Mandane
304 ITALIAN REABER.

Un padre vendicar: salvare un figlio


Artabano doveva. A te 1' affetto,
L' odio a me conveniva. Io 1' interesse
D' una tenera amante
Non doveva ascoltar ; ma tu dovevi
Di giudice il rigor porre in obblio :
Questo era il tuo dover, quello era il mio.
Va tra le selve Ircane,
Barbaro genitore ;
Fiera di te peggiore,
Mostro peggior non v' è.
Quanto di reo produce
L' Africa al sol vicina,
L' inospita marina,
Tutto s' aduna in te.
(Parte.)

SCENA XIII.
Artaseuse, Semira, Artabaxo.
Artaserse.
Quanto, amata Semira,
Congiura il ciel del nostro Arbace a danno !
Semira.
Inumano ! tiranno !
Così presto ti cangi ?
Prima uccidi 1' amico, e poi lo piangi ?
Artaserse.
Al1' arbitrio del padre
La sua vita commisi,
Ed io sono il tiranno, ed io 1' uccisi ?
Semira.
Questa è la più ingegnosa
Barbara crudeltà. Giudice il padre
ARTA9ERSE, ATTO II. SCENA XIII. 305

Era servo alla legge. A te Sovrano


La legge era vassalla. Ei non poteva
Esser pietoso, e tu dovevi. Eh, dimmi
Che godi di veder svenato un figlio
Per man del genitore,
Che amicizia non hai, non senti amore.
Artaserse.
Parli la Persia, e dica,
Se ad Arbace son grato,
Se ho pietà del tuo duol, se t' amo ancora.
Semira.
Ben ti credei fin ora,
Lusingata ancor io dal genio antico,
Pietoso amante, e generoso amico :
Ma ti scopre un istante
Perfido amico, e dispietato amante.
Per quel1' affetto,
Che 1' incatena,
L' ira depone
La tigre Armena,
Lascia il leone
La crudeltà.
Tu, delle fiere
Più fiero ancora,
Alle preghiere
Di chi t' adora
Spogli il tuo petto
D' ogni pietà.
(Parte.)

26*
306 ITAI.IAN READER.

SCENA XIV.
Artaserse, Artabano.
Artaserse.
Del1' ingrata Semira
I rimproveri udisti?
Artabano.
Odi gli sdegni
Del1' ingiusta Mandane ?
Artaserse.
Io son pietoso,
E tiranno mi chiama.
Artabano.
Io giusto sono,
E mi chiama crudel.
Artaserse.
Di mia clemenza
E' questo il prezzo ?
Artabano.
La mercede è questa
D' un' austera virtù ?
Artaserse.
Quanto in un giorno,
Quanto perdo, Artabano !
Artabano.
Ah non lagnarti !
Lascia a me le querele. Oggi d' ogni altro
Più misero son io.
Artaserse.
Grande è il tuo duol, ma non è lieve il mio.
Non conosco in tal momento
Se 1' amico, o il genitore
Sia più degno di pietà.
ARTASERSE, ATTO III. SCENA I. 307

So però per mio tormento


Ch' era scelta in me 1' amore,
Ch' era in te necessità.
(Parte.)

SCENA XV.
Artabano, solo.
Son pur solo una volta, e dal1' affanno
Respiro in libertà. Quasi mi persi
Nel sentirmi d' Arbace
Giudice nominar. Ma, superato,
Non si pensi al periglio.
Salvai me stesso, or si difenda il figlio.
Così stupisce, e cade
Pallido, e smorto in viso
Al fulmine improvviso
L' attonito pastor.
Ma quando poi s' avvede
Del vano suo spavento,
Sorge, respira, e riede
A numerar 1' armento
Disperso dal timor.
(Parte.) -

ATTO TERZO.— SCENA I.


(Porte interna della Fortezza, nella quale e ritenuto prigione
Arbace — Cancelli in prospetto — Picciola porta a mano
destra, che comunica alla Reggia.)
Arbace, (poi) Artaserse.
Arbace, solo.
Perche tarda è mai la morte,
Quando è termine al martir ?
308 ITALIAN READER.

A chi vive in lieta sorte,


E' sollecito il morir.
Artaserse, uscendo dalla porta a mano destra.
Arbace? . . .
Arbace.
Oh Dei, che miro ! In questo albergo
Di mestizia e d' orror chi mai ti guida ?
Artaserse.
La pietà, 1' amicizia.
Arbace.
A funestarti
Perchè vieni, o Signor ?
Artaserse.
Vengo a salvarti.
Arbace.
A salvarmi !
Artaserse, ritornando verso la porta.
Non più. Per questa via,
Che in solitaria parte
Termina della reggia, i passi affretta :
Fuggi cauto da questo
In altro regno, e quivi
Rammentati Artaserse, amalo, e vivi.
Arbace.
Mio re, se reo mi credi,
Perchè vieni a salvarmi? E se innocente,
Perchè debbo fuggir ?
Artaserse.
Se reo tu sei,
Io ti rendo una vita,
Che a me donasti : e se innocente, io t' offro
Quello scampo, che solo
Puoi tacendo ottener. Fuggi, risparmia
D' un amico al1' affetto
ARTASERSE, ATTO III. SCENA I. 309

D' ucciderti il dolor. Placa i tumulti


Di quest' alma agitata. O sia che cieco
L' amicizia mi renda, o sia che un Nume
Protegga.1' innocenza, io non ho pace,
Se tu salvo non sei. Farmi nel seno
Una voce ascoltar, che ognor mi dica,
Qualor bilancio e la tua colpa, e '1 merto,
Che " il fallo è dubbio, il benefizio è certo."
Arbace.
Signor, lascia ch' io mora. In faccia al mondo
Colpevole apparisco, ed a punirmi
T" obbliga 1' onor tuo. Morrò felice,
Se al1' amico conservo, e al mio Signore
Una volta la vita, una 1' onore.
Artaserse, da i^irtc.
Sensi non anco intesi
(ad Arbace)
Su le labbra d' un reo ! — Diletto Arbace,
Non perdiamo i momenti. Al1' onor mio 9
Basterà che si sparga
Che un segreto castigo
Già ti punì ; che funestar non volli
Di questo dì la pompa, in cui mirarmi
L' Asia dovrà la prima volta in trono.
Arbace.
Ma potrebbe il tuo dono
Un giorno esser palese. E allora. . . .
Artaserse.
Ah parti,
Amico io te ne priego : e se pregando
Nulla ottener poss' io, Re tel comando.
Arbace.
Ubbidisco al mio re. Possa una volta
Esserti grato Arbace. Ascolti intanto
310 ITALIAN READER.

Il cielo i voti miei :


" Regni Artaserse, e gli anni
" Del suo regno felice
" Distinguano i trionfi : allori, e palme
"Tutto il mondo vassallo a lui raccolga:
" Lentamente ravvolga
" I suoi giorni la Parca ; e resti a lui
" Quella pace, eh' io perdo,
" Che non spero trovar fino a quel giorno,
" Che alla patria, e al1' amico io non ritorno.
L' onda dal mar divisa
Bagna la valle e '1 monte,
Va passeggiera
In fiume,
Va prigioniera
In fonte,
Mormora sempre, e geme,
Fin che non torna al mar :
Al mar, dov' ella nacque,
Dove acquistò gli umori,
Dove da' lunghi errori
Spera di riposar.
(Parte.)

SCENA II.
Artaserse, solo.
Quella fronte sicura, e quel sembiante
Non 1' accusano reo. L' esterna spoglia
Tutta d' un' alma grande
La luce non ricopre,
E in gran parte dal volto il cor si scopre.
Nuvoletta opposta al sole
Spesso il giorno adombra, e vela,
Ma non cela
ARTASERSE, ATTO III. SCENA III. oli

Il suo splendor.
Copre invan le basse arene
Piceiol rio col velo ondoso,
Che rivela il fondo algoso
La chiarezza del1' umor.
(Parte.)

SCENA III.

Artabano, (con seguito di Congiurati, poi) Megabise :


(tutti da' Cancelli, a guardia de' quali restano i Congiurati).

Artabano.
(chiamando) (daparte.
Figlio . . . Arbace . . . ove sei? — Dovrebbe pure
(chiama) (daparte)
Ascoltar le mie voci. — Arbace? — Oh stelle !
(a' Congiurati)
Dove mai si celò ? — Compagni, intanto
Ch' io ritrovo il mio figlio,
Custodite 1' ingresso.
(Entra fra le scene a mano destra.)
Megabise, co' Congiurati.
E ancor si tarda ?
Ormai tempo saria. . . . Ma quì non vedo
Nè Artabano, ne Arbace. . . .
Che si fa ? Che si pensa ? In tanta impresa
Che lentezza è mai questa ?
(chiama entrandofra le scene a mano sinistra)
Artabano. . . . Signore?
Artabano, uscendo dall' istesso lato, per lo quale entrò,
ma da strada diversa.
Oh me perduto !
Non trovo il figlio mio. Gelar mi sento :
Temo. . . . Dubito. . . . Ascoso. . . .
Forse in quest' altra parte io non in vano. . . .
(incontrandosi in Megabise, che esce daW istesso lato, per
lo quale entrò, ma da strada diversa)
Megabise !
312 ITALIA»* READER.

Megabise.
Artabano !
Artabano.
Trovasti Arbace?
Megabise.
E non è teco?
Artabano, da parte.
Oh Dei !
Crescono i dubbj miei.
Megabise.
Spiegati, parla,
Che fu d' Arbace ?
Artabano.
E chi può dirlo ? Ondeggio
Fra mille affanni, e mille
Orribili sospetti. Il mio timore
Quante funeste idee forma, e descrive !
Chi sa che fu di lui ! Chi sa se vive !
Megabise.
Troppo presto al1' estremo
Precipiti i sospetti. E non potrebbe
Artaserse, Mandane, amico, amante
Aver del prigioniero
Procurata la fuga ? Ecco la via,
Che alla reggia conduce.
(Accennando laporta a mano destra.)
Artabano.
E per qual fine
La sua fuga celarmi ? Ah Megabise,
No, più non vive Arbace ;
E ognun pietoso al genitor lo tace.
Megabise.
Cessin gli Dei 1' augurio. Ah, ricomponi
I tumulti del cor. Sia la tua mente
ARTASERSE, ATTO III. SCENA III. 313

Men torbida, e più pronta,


Che 1' impresa il richiede.
Artabano.
E quale impresa
Vuoi ch' io pensi a compir perduto il figlio ?
Megabise.
Signor, che dici ? Avrem sedotti in vano,
Tu i reali custodi, ed io le schiere ?
Risolviti: a momenti
Va del regno le leggi
Artaserse a giurar. La sacra tazza
Già per tuo cenno avvelenai. Vogliamo
Perder così vilmente
Tanto sudor, cure sì grandi ?
Artabano.
Amico,
Se Arbace io non ritrovo,
Per chi deggio affannarmi ? Era il mio figlio
La tenerezza mia. Per dargli un regno
Divenni traditor : per lui mi resi
Orribile a me stesso ; e, lui perduto,
Tutto dispero, e tutto
Veggio de' falli miei rapirmi il frutto.
Megabise.
Arbace estinto, o vivo
Dalla tua mano aspetta
Il regno, o la vendetta.
Artabano.
Ah ! questa sola
In vita mi trattien. Sì, Megabise,
Guidami dove vuoi ; di te mi fido.
Megabise.
Fidati pur, che a trionfar ti guido.
27
31 t ITALIAN REA.DER.

Ardito ti renda,
T accenda
Di sdegno
D' un figlio
Il periglio,
D' un regno
L' amor.
E' dolce ad un' alma^
Che aspetta
Vendetta,
Il perder la calma
Fra 1' ire del cor.
(Parte.)

SCENA IV.
Artabano, solo.
Trovaste, avversi, Dei,
L' unica via d' indebolirmi. Al solo
Dubbio che più non viva il figlio amato,
Timido, disperato
Vincer non posso il turbamento interno,
Che a me stesso di me toglie il governo.
Figlio, se più non vivi,
Morrò ; ma del mio fato
Farò che un re svenato
Preceda messaggier.
In fin che il padre arrivi,
Fa che sospenda il remo
Colà sul guado estremo
Il pallido nocchier.
(Parte.)
ARTASERSE, ATTO III. SCENA V. 315

SCENA V.
( Gabinetto negli Appartamenti di Mandane?)
Mandane, {poi) Sestiga.
Mandane, sola.
0 che al1' uso de' mali
Istupidisca il senso, o ch' abbian 1' alme
Qualche parte di luce,
Che presaghe le renda, io per Arbace,
Quanto dovrei, non so dolermi. Ancora
L' infelice vivrà. Se fosse estinto,
Già pur troppo il saprei. Porta i disastri
Sollecita la fama.
Semira, uscendo.
Al fin potrai
Consolarti, Mandane. Il ciel t' arrise.
Mandane.
Forse il re sciolse Arbace ?
Semira.
Anzi, 1' uccise.
Mandane.
Come !
Semira.
E' noto a ciascun, benchè in segreto,
Ei terminò la sua dolente sorte.
Mandane, da sé.
(Oh presagi fallaci ! Oh giorno ! 0 morte !)
Semira.
Eccoti vendicata, occo adempito
Il tuo genio crudel. — Ti basta ? o vuoi
Altre vittime ancor ? — Parla.
316 ITAI.IAN READER.

Mandane.
Ah Semira !
Soglion le cure lievi esser loquaci,
Ma stupide le grandi.
Semira.
Alma non vidi
Della tua più inumana. Al caso atroce,
Non v' è ciglio, che sappia
Serbarsi asciutto, e tu non piangi intanto !
Mandane.
Picciolo è il duol, quando permette il pianto.
Semira.
Va, se paga non sei, pasci i tuoi sguardi
Su la trafìtta spoglia
Del mio caro germano ; osserva il seno,
Numera le ferite ; e lieta in faccia. . . .
Mandane.
Taci, parti da me.
Semira.
Ch' io parta, e taccia ?
Fin che vita ti resta,
Sempre intorno m' avrai. Sempre importuna
Rendere i giorni tuoi voglio infelici.
Mandane, da sé.
(E quando io meritai tanti nemici ?)
(a Semira.)
Mi credi spietata ?
Mi chiami crudele ?
Non tanto furore,
Non tante querele,
Chè basta il dolore
Per farmi morir.
Quel!' odio, quel1' ira
D' un' alma sdegnata,
ARTASERSE, ATTO III. SCENA VII. 317

Ingrata Semira,
Non posso soffrir.
(Parte.)

SCENA VI.
Semira, sola.
Forsennata, che feci ? Io mi -credei
Con divider 1' affanno
A me scemarlo, e pur 1' accrebbi. Allora
Che insultando Mandane
Qualche ristoro a questo cor desio,
11 suo trafiggo, e non risano il mio.
Non è ver che sia contento
Il veder nel suo tormento
Più d' un ciglio lagrimar :
Chè 1' esempio del dolore
E' uno stimolo maggiore,
Che richiama a sospirar.
(Parte.)

SCENA VII.
Arbace, (poi) Mandane.
Arbace, solo.
Nè pur quì la ritrovo. — Almen vorrei
Del1' amata Mandane
Calmar gli sdegni, e 1' ire,
Rivederla una volta, e poi partire.
In più segreta parte
Forse potrò. ... — Ma dove,
(vedendo Mandane)
Temerario, m' inoltro ? — Eccola, o Dei !
Ardir non ho di presentarmi a lei.
(Si ritira in disparte inosservato.)
27*
318 ITALIA N READER.

Mandane, ad un l'aggio, il quale ricevuto 1' ordine rientra


per la scena, donde è uscito Arbace.
Olà, non si permetta in queste stanze
(sola)
A veruno 1' ingresso. —. Eccovi al fine,
Miei disperati affetti,
Eccovi in libertà. Del caro amante
Versai barbara il sangue. Il sangue mio
E' tempo di versar.
(Impugna uno stile in alto aV uccidersi.)
Arbace, uscendo.
. . . Fermati !
Mandane.
Oh Dio !
( Vedendo Arbace le cade lo stile.)
Arbace.
Quale ingiusto furor? . . .
Mandane.
Tu in questo luogo !
Tu libero ! Tu vivo !
Arbace.
Amica destra
I miei lacci disciolse.
Mandane.
Ah fuggi, ah parti !
Misera me ! che si dirà, se alcuno
Qui ti ritrova? Ingrato,
Lasciami la mia gloria.
Arbace.
E chi poteva,
Mio ben, senza vederti
La patria abbandonar ?
Mandane.
Da me che vuoi,
Perfido traditor ?
ARTASERSE, ATTO III. SCENA VII. 319

Arbace.
No, Principessa,
Non dir così. So ch' hai più bello il core
Di quel che vuoi mostrarmi : è a me palese ;
Tu parlasti, o Mandane, e Arbace intese.
Mandane.
0 mentisci, o t' inganni, o questo labbro
Senza il voto del1' alma
Per uso favellò.
Arbace.
Ma pur son io
Ancor la fiamma tua.
Mandane.
Sei 1' odio mio.
Arbace.
Dunque, crudel, t' appaga : —
(presentandole la spada nuda)
Ecco il ferro, ecco il seri ; prendi, e mi svena.
Mandane.
Saria la morte tua premio, e non pena.
Arbace.
E' ver, perdona, errai ;
Ma questa mano emenderà. . . .
(In alto d' uccidersi.)
Mandane.
Che fai?
Credi forse che basti
Il sangue tuo per appagarmi ? Io voglio
Che pubblica, che infame
Sia la tua morte, e che non abbia un segno, ;
Un' ombra di valor.
Arbace.
Barbara, ingrata,
Morrò, come a te piace : —
(getta la spada)
Torno al carcere mio.
(In atto dipartire.)
<>20 ITALIAN READER.

Mandane.
Sentimi, Arbace.
Arbace.
Che vuoi dirmi?
Mandane.
Ah ! Nol so.
Arbace.
Sarebbe mai
Quello, che ti trattiene,
Qualche resto d' amor ?
Mandane.
Crucici, che brami ?
Vuoi vedermi arrossir ? Salvati, fuggi,
Non affliggermi più.
Arbace.
Tu m' ami ancora,
Se a questo segno a compatirmi arrivi.
Mandane.
No, non crederlo amor ; ma fuggi, e vivi.
Arbace.
Tu vuoi ch' io viva, o cara ;
Ma se mi nieghi amore,
Cara, mi fai morir.
Mandane.
Oh Dio, che pena amara !
Ti basti il mio rossore ;
Più non ti posso dir.
Arbace.
Sentimi.
Mandane.
No.
Arbace.
Tu sei. . . .
ARTASERSE, ATTO III. SCENA Vili. 321

Mandane.
Parti dagli occhi miei ;
Lasciami pei- pietà.
(A due.)
Quando finisce, o Dei,
La vostra crudeltà?
Se in così gran dolore
D' affanno non si muore,
Qual pena ucciderà ?
(Partono.)

SCENA VIlI.

(Luogo magnifico destinato per la coronazione di Artaserse


— Trono da un lato, con sopra scettro e corona — Ara
nel mezzo, accesa, con simxdacro del Sole.)

Artaserse, (con numeroso Seguito,) Artabaxo, (Guardie,


Popolo.)

Artaserse, al Popolo.
A voi, popoli, io m' offro
Non raen padre, che re. Siatemi voi
Più figli, che vassalli. Il vostro sangue,
La gloria vostra, e quanto
E' di guerra, o di pace acquisto, o dono
Vi serberò ; voi mi serbate il trono :
E faccia il nostro core
Questo di fedeltà cambio, e d' amore.
Sarà del regno mio
Soave il freno. Esecutor geloso
Delle leggi io sarò. Perchè sicuro
Ne sia ciascun, solennemente il giuro.
( Una Comparsa reca una sottocoppa con tazza.)
Artabano, porgendo la tazza ad Artaserse.
Ecco la sacra tazza. Il giuramento
Abbia nodo più forte :
322 ITALIAN READER.

(da se)
Compisci il rito. — (E beverai la morte.)
Artaserse, prestando il giuramento.
" Lucido Dio, per cui 1' April fiorisce,
" Per cui tutto nel mondo e nasce, e muore,
" Volgiti a me. — Se il labbro mio mentisce,
" Piombi sopra il mio capo il tuo furore :
" Languisca il viver mio, come languisce
" Questa fiamma al cader del sacro umore ;
(versa sul fuoco parte del liquore)
" E si cangi, or che bevo, entro il mio seno
" La bevanda vita! tutta in veleno.
(In atto di bere.)

SCENA IX.

Semira, Artaserse, Artabano, (Seguito, Guardie,


Popolo.)

Semira.
Al riparo, Signor. Cinta la reggia
Da un popolo infedel, tutta risuona
Di grida sediziose, e la tua morte
Si procura, e si chiede.
Artaserse, posando la tazza su I' ara.
Numi !
Artabano.
Qua1' alma rea mancò di fede ?
Artaserse.
Ahi ! che tardi il conosco,
Arbace è il traditore.
Semira.
Arbace estinto?
Artaserse.
Vive, vive 1' ingrato. Io lo disciolsi,
Empio con Serse, e meritai la pena,
ARTASERSE, ATTO III. SCENA X. 323

Che il cielo or mi destina :


Io stesso fabbricai la mia ruina.
Artabano.
Di che temi, o mio re ? Per tua difesa
Basta solo Artabano.
Artaserse.
Sì, corriamo a punir. . . .
(In atto dipartire.)

SCENA X.
Mandane, Artaserse, Artabano, Semira, (Seguito,
Guardie, Popolo.)
Mandane.
Ferma, o germano :
Gran novelle io ti reco :
Il tumulto svanì.
Artaserse.
Fia vero ! E come ?
Mandane.
Già la turba ribelle,
Seguendo Megabise, era trascorsa
Fino al1' atrio maggior, quando, chiamato
Dallo strepito insano, accorse Arbace.
Che non fé', che non disse in tua difesa
Quel1' anima fedel ? Mostrò 1' orrore
Del1' infame attentato : espresse i pregi
Di chi serba la fede : i merti tuoi,
Le tue glorie narrò. Molti riprese,
Molti pregò, cangiando aspetto, e voce,
Or placido, or severo, ed or feroce.
Ciascun depose 1' armi, e sol restava
L' indegno Megabise ;
Ma 1' assalì, ti vendicò, 1' uccise.
.324 ITALIAN READER.

Artabano, da sé.
(Incauto figlio !)
Artaserse.
Un Nume
M' inspirò di salvarlo. E' Megabise
D' ogni delitto autor.
Artabano, da sé.
(Felice inganno !)
Artaserse.
Il mio diletto Arbace
Dov' è ? — Si trovi, e si conduca a noi.

SCENA ULTIMA.

Arbace, Artaserse, Mandane, Artabano, Semira,


(Seguito, Guardie, Popolo.)

Arbace.
Ecco Arbace, o Monarca, a' piedi tuoi.
Artaserse.
Vieni, vieni al mio sen. Perdona, amico,
S' io dubitai di te. Troppo è palese
La tua bella innocenza. Ah, fa ch' io possa
Con franchezza premiarti. Ogni sospetto
Nel popolo dilegua, rendi a noi
Qualche ragion del sanguinoso acciaro,
Che in tua man si trovò, della tua fuga,
Del tuo tacer, di quanto
Ti fece reo.
Arbace.
S' io meritai, Signore,
Qualche premio da te, lascia ch' io taccia.
11 mio labbro non mente :
Credi a chi ti salvò : Bono innocente.
ARTASERSE, ATTO III. SCESA ULTIMA. 325

Artaserse.
Giuralo almeno, e 1' atto
Terribile, e solenne
(porge la tazza ad Arbace)
Faccia fede del vero. Ecco la tazza
Al rito necessaria. Or seguitando
Della Persia il costume,
Vindice chiama, e testimonio un Nume.
Arbace, prendendo in mano la tazza.
Son pronto.
Mandane, da sé.
(Ecco il mio ben fuor di periglio.)
Artabano, da sé.
(Che fo ? Se giura, avvelenato è il figlio.)
Arbace, che giura.
" Lucido Dio, per cui 1' April fiorisce,
" Per cui tutto nel mondo e nasce, e muore,
Artabano, da sé.
(Misero me !)
Arbace.
" Se il labbro mio mentisce,
" Si cangi entro il mio seno
(in allo di voler bere)
" La bevanda vital. . . .
Artabano, ad Arbace.
. . . Ferma ; è veleno.
Artaserse.
Che sento \
Arbace.
Oh Dei !
Artaserse.
Perchè sin or tacerlo ?
Artabano.
Perchè a te 1' apprestai.
28
326 ITAI.IAN RKADER.

Artaserse.
Ma qual furore
Contro di me ? . . .
Artabuno.
Dissimular non giova :
Già mi tradì 1' amor di padre. — Io fui
Di Serse 1' uccisore. Il regio sangue
Tutto versar voleva. E" mia la colpa,
Non è d' Arbace. Il sanguinoso acciaro
Per celarlo io gli diedi. Il suo pallore
Era orror del mio fallo. Il suo silenzio
Pietà di figlio. — Ah ! se minore in lui
La virtù fosse stata, o in me 1' amore,
Compiva il mio disegno,
E involata t' avrei la vita, è '1 regno.
Arbace, da sé.
(Che dice !)
Artaserse.
Anima rea ! m' uccidi il padre,
Della morte di Dario
Colpevole mi rendi : a quanti eccessi
T" indusse mai la scellerata speme ! —
Empio, morrai.
Artabano.
Noi moriremo insieme.
(Snuda la spada, e seco Artaserse in atto di difesa.)
Arbace, da sé.
(Stelle !)
Artabano, alle Guardie.
Amici, non resta
Che un disperato ardir. — Mora il tiranno,
(ie Guardie sedotte si pongono in atto di assalire.)
Arbace.
Padre, che fai ?
ARTASERSE, ATTO III. SCENA ULTIMA. 387

Artabano.
Voglio morir da forte.
Arbace, in atto di bere.
Deponi il ferro, o beverò la morte.
Artabano.
Folle, che dici ?
Arbace.
Se Artaserse uccidi,
No, più viver non devo.
Artabano, in atto di assalire.
Eh, lasciami compir. . . .
Arbace, in atto di bere.
Guardami, io bevo.
Artabano.
Fermati, figlio ingrato.
Confuso, disperato
Vuoi che per troppo amarti un padre cada ? —
Vincesti, ingrato figlio ; — ecco la spada.
(Getta la spada, e le Guardie sollevate si ritirane fuggendo.)
Mandane, da sé.
(Oh fede !)
Semira, da sé.
(Oh tradimento !)
Artaserse, al sno Seguito.
Olà, seguite
I fugaci ribelli, ed Artabano
A morir si conduca.
Arbace, al Seguito.
Oh Dio ! fermate. —
(ad Artaserse)
Signor, pietà.
Artaserse.
Non la sperar per lui :
Troppo enorme è il delitto. Io non confondo
328 ITALIAN READER.

Il reo col1' innocente. A te Mandane


Sarà sposa, se vuoi : sarà Seraira
A parte del mio trono ;
Ma per quel tradì tor non v' è perdono.
Arbace.
Toglimi ancor la vita. Io non la Voglio,
Se per esserti fido,
Se per salvarti, il genitore uccido.
Artaserse, da sé.
(Oh virtù che innamora !)
Arbace.
Ah ! non domando
Da te clemenza : usa rigor ; ma cambia
(8' inginocchia)
La sua nella mia morte. ÀI regio piede
Chi ti salvò, ti chiede
Di morir per un padre. In questa guisa
S' appaghi il tuo desio :
E sangue d' Artabano il sangue mio.
Artaserse.
Sorgi, non più. Rasciuga
Quel generoso pianto, anima bella.
Chi resister ti può? — Viva Artabano;
Ma viva almeno in doloroso esigllo ;
E doni il tuo sovrano
L' error d' un padre alla virtù d' un figlio.
CORO.
Giusto Re, la Persia adora
La clemenza assisa in trono,
Quando premia col perdono
D' un eroe la fedeltà.
La giustizia è bella allora,
Che compagna ha la pietà.

FINE.
NOTES.
EXPLANATIONS TO THE NOTES.

1. In these notes will be translated in English the Italian idiomatic ex


pressions.
2. The abbreviations Gr. § 91, mean, Grammar, (Monti's Grammar of
the Italian language,) Section, number of section.
3. All the irregular forms of the irregular verbs are noted with refer
ence to the section of the Grammar where the verb itself is to be found,
or a verb that has the same irregularity, and then the verb noted will be
found in the list under it, or in the Appendix.
4. After several notes the letters Gr. are not used, but only the section,
which refer also to the above-mentioned work, Monti's Grammar.
5. In every other reference to sections in the Grammar, there will be
found the rules that apply to the Italian expression, or mode of speech.
6. Whenever the note has the letter v. and a number in a parenthesis, it
indicates that the note corresponding to the number in the parenthesis,
applies equally to it, as, for example, 36 v. (6), it indicates that note 6 ap
plies also to 36.
NOTES.

Page 1. 1 Pomeridiane, P. M. Gr. § 91. *Mi si fece, they


iliade me. 3 Tenérle bróncio, to be cross. 4 Restituire-me-li, to re
stare them to me, Gr. § 127. 6 Pian terréno, ground floor. 6 Stétti,
I stood. 7 Passeggiai, I walked. 8 Mi pósi, I put myself.
2. 'Secondini, assistant jailers. w E.ila, you, Gr. § 145.
II Disse, said. uiVé godo,l am glad of it. "è, are. "Soglio, I
am accustomed. l6 IV, instead of voglio, I wish. " Quanto alla,
as to. 17 iVòn potrébb' égli, éssere, could it not be. " iVe dubiterei,
I would doubt it. u Case di stóo, political afFairs. 20 Finiscano,
subj. will end, Gr. § 333. 21 Su due piedi, at once. n Sa, you
know; expletive. ^ Date qua, give it here ; idiom, thank you.
24 Voléva dire, meant. 25 Dica di si, may say yes. * Mi capisse,
understood me. " So, I know. 28 Ardii, I dared.
3. ™ Doveva andar così; it was to happen so. » Véngono,
come. 3l Si cangia, we change, Gr. § 344. 33 C'è, to us . . . is.
84 Préso, taken. ^Capisce, you understand. Mv. (6). "Mi si
presentò, presented itself to me. M Abbia, may bave. " Sorprése,
surprised. " Mi si conducésse, they would conduct me. "Dile
guasse, from dileguare. tìFrom racquistdre. ^From rivedére.
"From vestire. 15From Seguire. 40 Va, from andare, Gr. § 216,
and § 344. " Significdre-glie-lo, Gr. § 127. 48 Al di là, beyond.
• From vedére, Gr. § 222.
4. 50From suppónere, § 253, and Appendix. milVdda . . . va,
from andare; più in là, further. '2From dovére, § 231.
MFrom préndere, § 252. "From chiudere, § 240 and App.
65 From dare, § 216. 66From amicare. 67From agitare, — struggere.
5. h" Se ne ricéve, one receives of them. M§ 231. "From sof
frire. "From conóscere^ § 258 and App. 62§ 252. M From
332 NOTES.

fare. " Una di qua, etc. one on each side. ,5§ 90. MDit. Felice
Foresti, ll. d.* " From sapere, § 228.
6. "t1 è, there is. "Su via, etc., come now, what avails to be
sileni? ™ From dire, § 273. "From costringere. "So, I know.
" v. (70). » § 230. 75 From colpire. ™ From dovére.
7. "§195. 78From dovére. '' Sarébbe-si, from E.ssere. "From
cadére, § 220. ^ ...mi ... vi, myself to it. ffl Sa élla, do you know.
83 Carbonaro, coalman, a political sect for the independence of
Italy, so called, on account of their having their meetings in eoal-
cellars, or, as some think, for wearing in their assemblies a black
mask. e* Ha-vve-ne, are there any. si Andò-sse-ne, he went thence.
85 From ottenére, § 227.
8. 8:§ 241. 88§ 252. 89 From partire. 003Ii strinse la . . . mano,
he shook my hand, § 138. 91 Mettéa su . . . lead on. "Fromatri-
cindre-ti, thee.
9. 03 Da non sapérmi indurre, as not be able to induce myself.
01 Vi s' aggiunse, there was added. 05 From affluire. M From co
noscere, § 258 and App. "From avére. "From giungere.
99 §233. lro§243.
10. m Ci rincrésce, we are sorry. lo2§ 273. 103 From soggiun
gere, § 242 and App. 1M§ 241. 106 From comparire, § 268.
106 § 253. 107 Métte su, lead to. 108 Schierdvano-si, were drawn up.
11. l09§ 243. "0 From alzare. m Fé' for fece, from/u.re,§ 216.
112 §244. luFrom giungere, § 242. "'§283. 115For vuole, § 225.
llcv. (114). 117From dare, § 216. 1" Conscia, with the knowl-
edgeof. 119§228.
12. mNol, § 363. 121 From decadére, § 220.
13. 122§ 252. 123From rifare. m Tavolaccio, bed of planks.
125 § 230. m From schiùdere. l27§138. 128 Vénnero, from venire,
were, § 341.
14. ™ Può venir, may be. "9§ 269. "1§222. l32From distin
guere, § 245. "3 From assidere, § 240 and App. m From rispón
dere, § 252 and App. "5§ 253.
15. l»§ 335 and 302. "7 § 219. "eFrom avvedére, § 222.

"9§ 252.
* This learned gentleman after fifteen years of hard imprisonment in
the fortress of Spielberg, carne to America, and has ever since occupied
the eminent position of professor of the Italian 1anguage and literature in
the University of the city of New York, and Columbia College.

\
NOTES. 333

16. "0§ 335. "l Dàre-glie-lo, it to you. "2From richiudere, §


240 and App. laSi faccia, etc., glve yourself courage, endeavor
to, etc.
1 7. "4 Se non, except : po' for poco. "5 Color of the capuchin
monk's tunic, which is a kind of maroon.
18. l"From confóndere, § 254. l" Intési, from intendere.
"8 From tendere, § 252. "9 § 219. 150 Accósta-ti, from accostare.
19. l"S" andava facéndo, was getting, § 342. IMFrom con
venire, § 283. lM From conóscere, § 258. 15t From prevenire, § 283.
155 From empire.
20. 1M From prorómpere, § 255. I57 From rivedére, § 222. 158 Sì
per Jwi c/<e, both for him and. 159 Stava male, was ill. 160 From
cadére. m § 283. 162§ 241. I83From rinvenire, § 283.
21. 164From A<ere. 105 From chièdere, § 240. 1M§252. "7From
morire. m Pare-vi, from parére. m From ardire.
22. "0 S' apre, is open. "> From córrere. 172 From tógliere, §
244. "' From sovvenire, § 283 and App. 174 Ta.n/o Sene, so much
happiness. m C è . .. toccalo etc., vouchsafed to us to see. "6 Con-
giungéa-si, from congiungere. m Avéssi fatto, had had. "8 Lascio
pensare, I let any one imagine.
23. 179 From intenerire. m From chiudere, § 240. "l § 246.
M2Z)t cA£ vénne, of those who carne, § 157. "3 Divénne-ci from
divenire, § 283. l"From paft.re. "S From «"are, § 216.
24. 1M From affligere, § 243 and App. I87 Graziati, pardoned.
"8 Vólsero, from volgere, § 242. Facéa-si, from /are. "9From
accadére, § 220. l90 From rifulgere.
25. 191 From piacére, § 2 1 9. 192 § 220. "3 From decidere, § 240.
194 From divenire, § 283 and App. 1M Se ne anrfò, went away.
19(1 § 283. m From propórre, § 253 and App. il/e», see § 336.
198 From méttere. 199§ 97.
26. **§ 283. *»§ 241. ^From convenire, § 283 and App.
*03 § 241. ""Volto-si, from vólgere. Ki Rimunerare ne la, you of
it, §130. **§252. m Per altro, however.
27. 2M From vólgere. Troni assedére.
28. n0Af incrésce, I am sorry, § 258 and App. ni§ 252.
*12 From esprimere, § 247.
29. n3§ 229. *14§256. 2l5 Trdrre-ci.
30. n0§ 241. "7§283. 2l8§252. "9§ 264. "0§231. m%Z3ó
and 302. 2" From disparire, § 268.
334: NOTES.
31. m From prorómpere, § 255. S24From coinpónere, § 253.
sFrom sapere, § 228. 2™ Si voglia, etc., willingly or no.

NOTES TO LA BATTAGLIA DI BENEVENTO.

32. l From prosténdere, § 252 and App.


33. 2 A tua posta, in thy turn. "From fare, § 216. 'From
concedere, § 239. 6 Ce, to us. 6§ 253. 7From andare, § 216.
8Fromstóre, § 216. 9 § 230.
34. l§MFrom
283. smarrire. " Idiom, on the surface. l2 From lambire.

35. 2 § 268. 3 From rfaVe, § 216. 4From essere, § 194. 6§ 222.


6 § 224. 7 From svanire. 8 tieni lo, § 227. 9 From scomparire.
36. 10§ 264. "From spegnere, § 242 and App. 12§ 240.
" §257. " From unire. u From «nfre, § 213. "§ 230. "From
morire
37. lFrom ardire. 2From svenire, § 283 and App. 3§ 230.
4 From emergere, § 242 and App.
38. s § 231. e Strazia le viscere, rend his heart. 7 From fare, §
216. 8From accogliere, § 244 and App. 9From comméttere, %
241 and App. 10 Santi, etc, for the saints and Virgin Mary.
11 From compiacére, § 219, see note to piacére. l2From conóscere,
§ 258 and App. " From appréndere, § 252.
39. "From scoprire, § 269. 15§230. I6§ 226. " § 238. "§273.
19 § 225. 20 From rivenire, § 283
40. lFrom dare, § 216. 2§ 230. 8From ferire. 4 Vi ti, thee
in them, § 133
41. l § 227. 2 From avvenire, § 283.
42. 3 From negare, § 204. 4 Crédesi, ia thought. 5From soste
nére, § 227 l§ 268. 2From precórrere, § 256 and App.
3 From compónere, § 353. 4From giacére, § 219. sFrom dispér
dere, § 240 and App. 6 § 382.
43. 7§ 218. 8§ 363. 9§ 229. l0From smarrire. "§ 267.
"From giacére, § 219. "§ 230. "From ritingere, § 242 and
App. " From opprimere, § 247 and App. u § 220.
44. "i\ (15). "From morire
notes. 335

45. lFrom levare. ' From smarrire. 3§220. 4 § 224. 5§267.


* The nymph Clizia changed into a Sun-flower. T Gli è forza,
idiom, he is obliged.
46. 8 From avvitire. ' From ardire.

NOTES TO ISABELLA ORSINI.

47. 1 From giungere, § 242.


48. 'Buon umore, witty. 3 From dare, § 216. 4 Trovati di
accordo, have agreed. 6§ 256. «From stare, § 216. 7§ 264.
3 Per poco non capitò, hardly escaped being thrown. 9 Diventalo,
having become, § 307. 10 From andare, § 216. " Di dire la sua,
to have big joke. M Non gli può andare, cannot happen to him.
49. " From conóscere, § 258 and App. " § 258. " Goddess of
Revenge.
50. "§225. M§231. " From ardere, § 240. » From rinascere
§ 253. n Tedaldi-Fores, a young poet who died in youth.
51. . . . ^or sarebbero. * 253. 3§ 219. 4§ 226. 5§ 216.
'From comméttere, § 241. 7 § 216.
52. 8 Era forza, wa9 necessary. 9§ 253. 10 From appartenére,
227, and App. " Stretta, peril. u From riducere, § 233, and App.
" From scrivere, § 267, and App. " Dai, with, § 375.
53. 15§ 314. "From chiudere, § 240, and App. " § 225.
" §231. 19§ 267. "'§273.
54. n A casaccio, at random. " A caso, by chance

NOTES TO L' ASSEDIO DI FIRENZE.


54. l gliela porgeva, oflfered it to them.
55. ' Armando Duplessis, Cardinal Richelieu, Minister ofFrance
under Louis XIII. used to say, that women and priests ought never
to forgive, for, what in others would be attribuled to virtue, in them
would be considered weakness. 3From réndere, § 252. 4 From
rinvenire, § 283.
336 NOTES.

5G. 5 Dante Paradiso' c. 16, v. 79. 9 from pescare. 7 § 257. 3 See


Villani's Hist. c. 8.
57. 9 From fare, § 216. 10 From trasfóndere, § 254.
58. " The Iron-crown, which is kept at Monza, is composed of
gold and gems on the outside ; within it though, it is encircled with a
band of iron, which is said to be a nail of the Cross. 12 § 230. " from
morire. "§ 254. 15 § 216. " § 228. "From stendere, § 252.
" § 253. u Robertson, Life of Charles V. b. 1.
59. *> Robertson, ib. b. 12. *1§ 264. » Robertson, ib. b. 12.
»§282. M§225.
60. *> From ripdnere, § 253. " § 283. r Don Ferdinando di
Alancon had in custody Francis I. after the battle of Pavia, and
Clement VII. after the sack of Rome. ^From riconducere, § 233.
29 " Giorgio Frandesperg, a Lutheran descended into Italy in 1525,
with 15,000 German Infantry, and a great quantity of Chevaliers ;
he carried in his bosom a gold rope to hang the Pope with, and
others of crimson silk fastened to his saddle to hang the Cardinals,"
Varchi, Hist. *> Sismondi, Hist, of the Ilal. Republics, c. 115 ;
Guicciardini, ffirf. b. 16. 31 From appartenére, §227. 82§ 227.
33 Nardi, Hist. b. 6. M§ 224. » " Alessandro dei Medici," writes
Lorenzino dei Medici, "was son of Lorenzo, Duke of Urbino, and
of the tvife of a carrier. She was a servant born at Colle Vecchio,
in the house of Medici; " he adds also, that " Alexander caused her
to be poisoned, for the exiled Florentines intended to take her away
from where she worked on a farm, in order to carry her to Naples,
and show her to the Emperor, so that he might see from whom was
born him whom he allowed to rule in Florence." See Apologia of
Loren. dei Medici. Scipione Ammirato, Hist b. 10, says to have
been informed by Cosimo I., that Alexander was son of Clement
VII., and an African slave ; " his dark complexion," adds Roscoe,
in the life of Lorenzo the Magnificent, v. 4, " his curly hair, his
swollen lips, increases the probability to the story as regards the
mother : and, on the part of the father, the predilection that Clem
ent had for him, rather than for the Cardinal Ippolito dei Medici."
61. " From vólgere,^ 242. 37§276. 88§226. * From riprendere,
§ 25 2. 40 From prométtere, § 24 1 . a" Louis XL, with letters patent
of 1465, grants to son amé et Féal conseiller Pierre de
Medici s, to carry in his escutcheon the fleur de lis of France."
NOTES. 337

Comines, Hist. v. 2, p. 565. 42 From interrómpere, § 255. 43§ 226.


"From soggiungere, § 242. "§ 222. " § 231.
62. "From avvenire, § 283. 48 From prepónere, § 253. 49 From
restituire. K Mandare a sacco, to sack, or plunder a town.
63. 51§ 226. MFrom riprendere, § 252. M § 223. 64§ 283.
K§ 273. M§226.
64. 57§ 216. M Froìn mantenére, § 227. »§ 244. 90From conó
scere, §259. el From intendere, § 252. K§225. * From prevedére,
§222.
65. "§ 216. aThis league was formed a little after. MF*om
unire. 07 Robertson, Life, etc. b. 5, § 50, 51, etc. 6S§ 2S.2-.
K>§ 252.
66. ,0 § 230. 71 § 224. n La somma delle cose, the highest power.
"§220. 74 From concedere, § 239. .•'- From pórgere, § 242. 76From
prevalére, § 224. "§231.
67. ,8 § 230. 79 From percórrere, § 256. M § 226. S1 From ordire.
92 §273.
68. 39§ 224. 84§ 228. 85From prorómpere, § 255. "From
percórrere, § 256. ° § 230. 88 From rispóndere, § 252-. 89 § 253.
69. 00 § 230. " § 231. " JPare moto, to speak. " From proferire.
94 § 225. tó § 230. " From sostenére, § 227.
70. B7 From apparire. 98§224. " From giacére, § 219. 100§ 216.
** § 253. 102 § 216. 103 From soggiungere, § 242. 1M From unire.
105 § 230.
71. 106Afi è corsa una voce, a report reached my ear. 107From
prorómpere, § 255. 108Cascante d'i vezzi, full of affectation. M9From
addire, § 273. "0 From accórgere, § 242. m§226. ™ Stare a
cuore, to love dearly. U3 From ripréndere, § 252. "4 From rispón
dere, § 252.
72. 1M From soggiungere, § 242. I17 Tolta-si, § 244. "8 From man
tenere, § 227. 119From accògliere, § 244. 120§ 225. 121 " This
happened in 1526, at the epoch of the holy league." Robertson,
b. 4, § 58. m% 219.
73. m§ 228. 124§ 230. *5§- 226. 126From sorridere, § 240.
127 From disparire, § 268. l28 From chiudere, § 240.
74. 1S9 Charles V. was the first sovereign who assumed in the
pride ofhis heart the title of Majesty; until that time, the mon
archi of Europe had only taken that of Highness,. or Grace.
130 § 225. "1§226
29
338 NOTES.

75. >§ 273. 2§283. 3§225. 4 From contendere, § 252. 6From


raccógliere, § 244.
76. 6From stendere, § 252. 7 From comparire, § 268. 8§ 238.
9 From divéllere, § 249. 10§ 244. " 11 fatale, the man of fate.
12 § 264. " From stendere, § 252. " § 224.
77. 15 From resistere, § 260. 18 § 225. " Quanto mi tarda, how
I long.
78. "§ 259. l9 Destro, opportunity. 20 Sentivano a un punto,
were in the same time. n From appartenére, § 227.
79. " Agrippa had a block dog whom he called Figliuolo, son ;
some said that it mas hisfamiliar demon.
80. MFrom rendere, § 252. 24§ 230. » Ve' for vedi, § 222.
33 § 225.
81. "§257. 28§230. » From accogliere, § 244. «Fromrimu»-
vere, §264. 31§ 250. "§252.
82. '"From percórrere, § 256. M § 263. "From rapire. . . .
'§216.
83. 2 § 233. 3 Mettere capo, to begin. 4 From sopravvenire,
283. 6 tenere dietro, to follow.
84. 6§ 230. 7§375.
85. 8 § 307. 9 From concludere, § 240. 10 § 252. " From ungere,
§242. " From cingere, § 242. " From rispóndere, § 252. "From
aggiungere, § 242. 15 § 252.
86. " From coprire, § 269. " § 257. " § 229.
87. " John XXII. reduces the offices of the bells to those con-
tained in the following barbarian verses,
" Laudo Deum vero, plebera voco, congrego clerum :
Defunctos ploro, pestem fugo, festa decoro."

20 §273. 21§230.
88. n Non so se io mi dica, I know not whether I should say.
23 From riardere, § 240. 2* From dispónere, § 253.
89. " Lo ha preso, has got hold of him. ■ Marrano, a Spanish
word remained in our language; it meant, originally, a Jew who pre-
tended in public to be converted to Christianity, and in secret ex-
ercised his old religion. 2T § 233. 28 From aggiungere, § 242. 20 Var
chi, Hist. b. 12. *> From percuotere, § 263.
90. 31§ 216. 32§222. 83§ 229. 34§257. » From avvólgere,
§242. 30§253. "§226.
NOTES. 339

91. 38§ 244. 39§ 227. 40 § 252. "From depónete, §253.


*>§ 253.
92. *> In the procession of Good-Friday the first Rabbi ac
companied by other Jews, awaited the Pope near the arch of Con-
stantinus, if I mistake not, where he would bend his neck under the
foot of the pontiff. 1 am ignorant whether the custom still contin
ues. They assure me that in the last century it was practised.
44 From eleggere, § 243. 45 From percuotere, § 263. 47 § 253.
93. " § 226. 49 Non istesse per V appunto, was not exactly.
60 § 228. Washington Irving, Hist, of Chris. Columbus, b. 5.
61 From cingere, § 242. 62 § 229.
94. B Passavanti, distinz, 3, c. 2. " Vuolesi tenere, ought be
held. K From concedere, § 239. 60§224. 57 From confóndere, § 254.
. . . *§ 273. 2From avvenire, § 283.
95. 3§ 293. 4§ 224.
96. 6 From ardire. 6§229. 7§226. 8 Instead of vanno, from
andare, § 216. s§222.
97. w From riuscire, § 282. " § 230. 12§224. " From inferocire.
98. " Infilai rota, prosperous. 15 Ne vada, there is danger.
16 Cosa fatta capo ha, a thing done has an end. See Dante's Infer
no, c. 28, v. 106, 107. " From sciogliere, § 244. n From convenire,
§ 283. 1S From piacére, § 219.
99. 20§225. 2I§ 230. 22§273. 23From impedire. M From im
pedire.
100. " From ripónere, § 253.
101. 2G§ 225. 2,§ 230. 28§225. 29§ 231. 30§ 230. 31 " And
they raised to him by public edict a marble statue with the following
inscription : —
Andreae. Aukae. Civi. Optimo. Felicissimo
Vindici. Atque. Abctori. Publtcae
llbertatis. s. p. l. j. posueke.
(Segni, Hist. b. 2.)

The statue of Doria was put down in 1797, by the Republicans :


Napoleon raised it again. Charles Botta, at the lid book of the
History of Italy, exclaims, "He commanded that, the statue of An
drea Doria should be restored ; this affront was wanted to Andrea,
thrown to the ground by the Giacobins, raised again by Napoleon !."
The people perhaps understood Doria better than this historian.
340 NOTES.

32 From conóscere, § 258. " Luigi Alamanni in his satire 12, sing
ing of Venice said: —
" Se non cangi pensier, V un secol solo
Non conferà sopra il millesim' anno
Tua libertà, che vafuggendo a voto."
Fortune verified the prophecy : the election of the first Doge was
made in 797. . . . Venice ceased to be free in 1796, that is one
year before the prediction expired.
102. lfi 214. 2§ 273. 3 From pervenire, § 283. 4§ 237.
103. 5From genufte'ttere, § 241, and App. 0" I request Don
Giovanni di Luna, keeper of the castle, that he should take some of
my blood after my death, and make of it a millet pudding, (migliac
cio) sending it to Cardinal Cibo, so that he may satiate himself in
my death of that which he could not satiate himself in life, for he
needs nothing else in order to arrive at the pontificate, to which he
so dishonestly aspires." Will of Filippo Strozzi. See Niccolini's
Filippo Strozzi. 7 Preso-lo. 8 From estremare. ' § 224. See
Varchi, Hist. b. 12. M From accingere, § 242. " From rispóndere,
§252.
104. 1J Bel tratto, fine artifice. " § 225. 15 From vólgere, § 242.
M Fuori di sé, crazy. » § 230. " From profóndere, § 254. 19 § 228.
105. 20§ 218. 2l Viscere di umanità, affection, a heart that feels
for. ^From essere, § 194. 23§ 282. u Lance spezzate, body
guards.
106. 25§22l. "'"Pope Clement finding himself without money
and without reputation, departed very ill contented on the thirty-
first, and left the Bolognese very ill satisfied on account of a tax
which he imposed upon them ; who, however, in iffch immense con
course of princes and prelates having sold very dearly even those
things ivhich were accustomed in other times, not only to sell cheaply,
but throw away, had filled their city with an unusual amount of
cash." See Varchi's Hilt. b. 11. " From rendere, § 252. a From
provvedére, § 222.
107. w From stendere, § 252. » From avvenire, § 283. 31 From
accórgere, § 242. » § 269. " From interrómpere, § 255. 3*" § 222.
108. 35 Una mano, a troop. 30§253. 37 From chiùdere, § 240.
38 § 244.
109. 39 From rispóndere, § 252.
NOTES. 341

110. *>§ 257. "From mentire. 42§ 230. 4S § 227. « § 253.


85 Volera dire, I meant.
111. *> From éssere. "Guicciardini's Hist, b. 12. "Guicciardini,
Ib. b. 15. 49§ 230. M Andare . . . pel sottile, be too particular.
61 Cdlcio in gola, a check. H See Varehi's Hist. b. 12.
112. ^ Non si ha mica per le mani, one has it not so ready to liis
hands. M All' avvendnte, in proportion. . . . l scolpisci-mi, froin
scolpire. 2 From percuotere.
113. 3 Pone-mi, § 138. 4 § 230. 6§ 375. « Fa-te, go thyself.
114. 7 See life of Cola di Rienzo. Tribune of the Roman people,
b. 1, c. 2. e From discoprire, § 269.
115. 'È da credersi, is to be supposed. l0 Instead of dici, § 273.
11 From increscere, § 258. l2 From accendere, § 252. " § 253
1 1 6. > Instead appare, § 229. - § 1 74.
1 1 7. 3 From dispónere, 253. 4§ 264. 6 From infóndere, § 251,
. . . l £«o« «omo, name given to the guard of the — 2 Govern-
ment's palace.
118.9 Sbricco, dandy. 4 Tieni-mi, § 227. 5 From chiùdere, § 240.
6 From scendere, § 252. 7 § 227. 9 § 252. 9 From giungere, § 242.
10 Metteva capo, lead. " § 233.
119. 12Dante Paradiso, e. 16, v. 79. u A larga mano, in great
abundance. "From percórrere, § 256. u From mordere, § 240.
19 From prorómpere, § 255. " The cemetery of S. Egidio was found-
ed in the year 1288 ; there were buried about 918 bodies every year.
120. " § 230. " From àrdere, § 240. » From spegnere, § 242,
and App. "From giacere, § 219. 22§230. 23 v. (20). 24 From
sovvenire, § 283.
121. 25§ 224
122. l From ammonire. * From seppellire. 3 From sottopónere,
§ 253. 4 From compiacere, § 219. 5 § 252.
123. 'Pare-mi. 7§228. 9 From soggiungere, § 242. 9 § 238.
10 From soprastàre. " From ripréndere, § 252. 12 § 307. l3 From
raggiungere, § 242.
124. "Che ci è egli, what is the matter. l5§ 230. "From
vólgere, § 242. "§ 259. le From diminuire. 19 Tolta-si, § 244.
20From obbedire.
125. ™ A. Condivi's Life o/ Michelangiolo, note to, § 41. ■ Con
divi ib. § 65 ; also, Vasari's Life of Michelangiolo. a Condivi and
Vasari. "Condivi. ffi§ 228.
29*
342 NOTES.

126. "§ 230. . . . l From propóllere, § 253. 2§ 230. 3§ 222.


127. 4From scolpire. 6 Si può, can be done. 6 From piacere,
§219. 7 È-vi, there is. 8From impallidire.
128. 9§ 227. 10§ 222. " From impedire. 12§244.
129. I3§ 292. "§ 224. I5§225. " From convenire, § 283.
17 From stringere, § 242. " § 273.
130. " Ottenére, § 227. 20From intristire. n From prométtere,
§241. M§252.
131. B§ 259. 24§ 225. 25 From depónere, § 253. »§ 225.
27 From offerire. 28 From convenire, § 283. 29 From avére.
*>Dici-gli, §273. 31 § 228.
132. 32§ 216. "From prorómpere, § 255. M From sovvenire,
§283. "§238. 30§233. 3, § 219. M § 220. ^ § 227.
133. w From forbire. " § 253. 42 § 224. a From rendere, § 252.
134. 44§ 253. 45 From sovvenire, § 283. *>§ 230. 47 § 269.
48 From discéndere, § 252. 47 From commuovere, § 264.
135. w§ 292. 51 This narrative of Michelangiolo's commissioni,
under pretence of a flight is entirely historical, although all the his
torians of that time make mention of it in different ways, which
clearly proves that even the contemporaries and friends of Michel-
angiolo knew not the secret cause of his leaving the city, and they
ascribed it, according to the public report, to fear : our author, how
ever, discovered a letter from the government of Florence to its min
ister at Ferrara, which shows that he teas charged with some secret
mission. See V Assedio di Firenze, chap. ix. note (14). 2From
riuscire, § 282.
136. 3 Dante, Paradiso, c. 16, v. 1. 4 From ricoprire, § 269.
5 Di che cosa vi seppe, what do you think of. ' Si strugge, pines.
7 § 253. 8 Moia, from morire, let him die.
137. 9§ 375. 10§229. "From prevalére, § 224. " Bagno, state
prison.
138. "From rapire. ls§ 230. "From rispóndere, § 252.
17 § 228. . . . J§ 263.
139. 3§ 244. 4§228. B§252. e Battista, the Florentine, Flo
rin, which had on one side the lily, and on the other, St. John the
Baptist, patron of Florence. 7From riducere, § 233. 'Condivi,
Life of Michelangiolo. The Duke did not receive this picture, for
he sent for it a cavalier, who, on seeing it, said, " Oh, this is only a
trifle" The artist at that remark, expelled him from the house, and
NOTES. 343

gave the picture to his servant Mini. 9From scoprire, § 269.


10 v. (9). "Alle cose sue, to his affairs.
140. a Messa-la. u Dare-se-ne per inteso, know any thing about
it. "From richiudere, § 240. B From riuscire, § 282. "Froin
occórrere, § 256. 17 § 273. " Vasari, Life «/"Michelangiolo.
141. 19§ 219. w The bull of Pope Clement for the printing of
Macchiavelli's works is dated 1531. 21 § 228. " § 231.
142. * From giungere, § 242. M Tengono ragióne, do business.
*5 From aggiungere, § 242. M § 230.
148. n From compónere, § 253. 27 § 226. "Note 60, to Condivi's
ii/è of Michelangiolo. w From riprendere, § 252. 31 From con-
chidere, §240. 32§269. This Baste ivith the comment of Lan
dino had a very large margin, and it was entirely filled with figures
by the hands of Michelangiolo ; it was lost near Civita-Vecchia in
the tcreck of a vessel that was carrying it to Rome. See note to the
Roman edition of Vasari, p. 163. 3" § 253.
144. 34§ 230. " Raccogliete, etc, gather as many florins as you
like. » § 253. 37 § 229. 38 Se ti viene fatto, if you happen. " Vi-
eni-mi, § 283.
145. « From espónere, § 253. 42§ 244. 4s§ 253.
146. "§ 259. . . . >§ 230. 2§ 230. 3From morire. 4 From
compónere, § 253
147. >From impallidire. 2From irrigidire. 3From contenere,
§227. 4§229.
148. 6 § 230. * § 253. 7 Fatti in là, get out of the ivay. 8 § 283.
...>§244.
149. 2 § 252. 3From attendere, § 252. 4§ 253.
150. 6 Gii usaste misericórdia, would have mercy on him. 6From
attendere, § 252. 7§ 263. 8 From comparire, § 268. 0§ 226.
10 From assalire, § 278. "§ 256.
151. I2From succedere, § 239. "From spegnere, § 242, and
App. M E si tenne spaccialo, gi ve himself up for lost. u § 230.
"From volgere, § 242. "§ 222. "From compónere, § 253.
" § 226.
152. *>From giùngere, § 242. 2I§226. ffi§ 230. 23 Prebenda,
prebend, priest's salary or beneficè.
153. 24 Attrizióne, sorrow for having ofFended God. 25From
impedire. 27 Ci ho gusto, I am glad of it. 27 From trattenére,
§227. 28§224. "JVon mi fa cuore, I have not the heart. *> To
344 NOTES.

Illese three may be added Ugo Bassi, Chaplain-in-chief of the


Roman army, shot by the Austrians, under the Pontificate of Pius
IX
154. 1 From nascóndere, 252. 2§ 224. 3§233. 4§ 231. 5Fa
to, do it. 6 From sostenere, § 227. 7 § 230. "From mórdere, § 240.
155. 9§ 224. 10From Scendere, § 252. "From percórrere,
§ 250. 12 From chiudere, § 240.
156. "Varchi's Hist. b. 12. " From inténdere, § 252. 15NiC-
COLINI, Discorso del Sublime di Micholangiolo. 16§ 265. " From
prorómpere, § 255.
157. " Si ridusse, retired himself. "From attendere, § 252.
20 From proferire, § 277. 2I Facendo-lo. 22 § 228. 23 From giun
gere, § 242
158. ^rom trattenére, § 227. 2§ 225, prefica, a mourner.
3§ 225. 4From compo.nere, § 253. s The Republic of Florence, the
last of the Italian Republics of the Middle Century except Venice,
was suppressed by a decree of Charles V., dated Augusta, October
21, 1530. Hence, three centuries since Italy has been under op
pression. ' From ripónere, § 253. T Venuto meno, failed. 8§ 233.
0 From unire.
159. 10§ 242. "§221. "From ri/«ji;iVe. "§ 259. "From
occórrere, § 256. "From sviare. 16From maledire, § 273.
160. "§ 227. l8§ 228. I9 § 252. 20 From volgere, § 242.
161. 2I§ 228. "From accadere, § 220. 23§ 230. 24 Iliad, b. 9.
M§ 314.
162. M From riprendere, § 252. "Rev. xiv. 15. ■ From
schiudere, § 240. *> Porre-vì, § 253. » St. Ulfrid, a Swiss, called
around the circle of shields that his warriors were making around
him, the three bards that followed him, and said to them, " Sland
here, and see what glorious thing I will do, so that in relating it,
you would not be obliged to hear it from other's mouth."
163. 31 From morire. 32 Rev. xx.3. 33§ 223. 3,§ 231. ^From
impallidire.
164. " From giacére, § 219. OT Vixere fortes ante Agamennona
multi. — Hot. b. 4, Od. 8. 38§ 226. «'From disparire, § 268.
Ȥ 242.
NOTES. 345

NOTES TO RINNOVAMENTO CIVILE D' ITALIA.


164. lPuritani. Gioberti calli Puritans that sect of liberals fol
lowers o/Mazzini whose idea of liberty is only the Republic, even if
it teas not to the purpose, and in detriment to gains of greater im
parlance, as also an absolute intolerance, of any other form of gov
ernment, although required by places and times, and even the repub
lican form itself if they have not the direction and monopoly of it.
165. * Pescar nel torbido, to profit by the confusion.
166. 8 Tien del poeta, he has something of the poet. 4 Mazzini
Re.publique et royauté en Italie, Paris, 1840, p. 16.
167. 6 Guicciardini's Hist. XII. 1. 9Farini's History of Rome,
Gladstone's translation, vol. ii. p. 207. Farini, lb. vol. i. p. 332.
168. 8 See Gen. Bava, Relazione delle operazioni militari, etc.
p. 51. 9Mazzini, lb. p. 89.
169. I0 Prmcipato, royalty. "Gen. Pepe L' Italia negli anni,
47, 48, e. 49, p. 248. "Dandolo, I volontarii e i bersaglieri lom
bardi, p. 171. "Bianchi Giovani, nelf Opinione di Torino,
15 dicembre, 1850. "Lesseps Op. 15 Dandolo. 76. p. 222. 10 Dan
dolo, lb. p. 225. " 76. p. 234-240. "Gioberti, Operette politiche,
v. 2, p. 343.
170. ID Machiavelli, Disc. I. 10. » Botta, Stor. a" It. dal 1789
al 1814. Lib. XI. " Dalla prima barba, from their youth. "Vil-
liaumé, Histoire de la revolution francaise, Liv. II. 17; VIlI. 1 ;
XVI. 7.
171. B Gioberti. Operette politiche, v. II. p. 343.
172. 23" Guillaume de Prusse ressnscitera Charles-Albert de
Savoie. Ce qu' il recherche, ce n' est pas une victoire qui enfan-
terait une révolution, e' est un revers qui lui conserverà un trvne."
(Proclama nelV Estafette, Parli, 21 novembre, 1850.) 2eBuon
viso, good reason.
173. a Pinelli, one of the ministers of Piedmont during the revo
lution of 1848 and 1849, belonging to a parly called by Gioberti —
28 Municipale, that is the parly of those whose liberal views are con
fined to their native place only.
1 74. ■ Minister to Pius IX. killed by a blow of a poniard while
waiting from his carriage to the stairs of the council hall in order
346 NOTES.

to open the Parliament, Nòvember 15, 1848. (See Farini, Hist.


of Rome, Gladstone.s Transl. v. II. p. 406.) ....
17C. l Plut. Cat. maj. 7. " The saying of Caio resembles the
litlgar proverò (hai, 'princes are like farmers, who every year fat
ten a hog, and then eat it.' " (Firenzuola, Animali.) " Casa.
Orazioni per la lega.
177. 3 See Two Letters to the Earl of Aberdeen on the state pros-
ecutions of the Neapolitan government, by the Right Hon. William
Evvart Gladstone, M. P., London, 1851.
178. 5 Gregoriani, of Pope Gregory the XVI. the last Pontiff.
179. 9 See (Il Risorgimento, Aprii 6, 1850,) upon the viotence
of the lcing of Naples against Montecassino.
180. 7 Name of Pius IX. 'Gregory XVI. opposed zoith Con-
stance the Jesuitical fiction, who solicited the prohibition of Ros-
mini's Trattato della coscienza, and Gioberti's Prolegomeni. * Fam
ily name of Gregory XVI. I0 " Nihil arduum videbatur in animo
principis, cui non judicium, non odiuin erat, nisi indita et jussa."
(Tac. Ann. XII. 3.) " Farini, as above, v. ii. p. 69.
182. "Gioberti. // Gesuita moderno, cap. 12. "Dante Par.
c. 27, v. 23, 24.
183. 10 In the session of November 12, 1849. 17 Sisto IV. See
Machiavelli^ Hist. 8. 1B Guicciardini^ Hist. X. 2.
184. " Segneri, Quaresimale, V. 6. "0The Sultan, nAswkh,
Enrico Cernuschi. 2i Ugo Bassi, Chaplain-in-chief of the Roman
army. »
185. 23 Piò. che lo mi faccia, more than I do. 24 John xxi. 18.
187. 2i Teneri dei fatti vostri, affectionate to your interest.
se » \restigia recentis victoriaj lustrare oculis concupivit." (Tac.
Hist. II. 70.)
188. 27 Luke ix. 55. 28 See, for example, the protest of Cardinal
Antonelli, against those who buy ecclesiastics' property, dated Febru-
ary 19, 1849. » Acts x. 38 ; Matt. viii. 20 ; Luke ix. 9.
189. "1 Cor. xiii. 1, 2. 81 Chosen vessel. St Paul. x See
upon this subject a lelter of Carlo Farina, in the Risorgimento,
Turin, February 1, 1851.
190. M Enciclica degli 8 di dicembre, 1849.
191. M Tasso della dignità. "Pope's letter to General Oudinot.
37 The same has been done in France by Mr. Romieu in his hook,
or libel entitled Le spectre rouge.
notes. 347

192. " See the speech of John Russell to the Commons, Febrvary
5, 1851, and also that o/.Comoys to the Lords, of the same date.
39 In Liverpool on the 27 th of November, 1850.
193. ^ The libel of Viscount Arlincourt entitled L' Italie rouge,
was translated and spread in Rome and province» wilh manifest
favor ofthe ecclesiastic government.
194. n Dare negli occhi, to offend.
195. ^Fra Girolamo Savonarola.

NOTES TO ALLE POESIE SCELTE.


202. l " His empty chain above it leant,
Such murder's fitting monument."
Byron, The Prisoner of ChilUm.
204. l Simonide. It is the author's opinion that the success of
Thermopyla: was celebrated truly by him who in the song is intro-
duced to poetize ; that is, Simonide. (&e Leopardi's works, v. I.
p. 139. Le Monnier's edition, 1849.)
205. Esso tiranno, even the tyrant. (See Leopardi's Studi Filo
logici, p. 220.) 'Infusi, sprinkled or wet. (See Ib.).
207. l " That poor old exile, sad and Ione,
Is Latium's other Virgil now."
T. W. Parson's Poem on a busi of Dante.
208. 2 Spirerà, inspire. (See Leopardi's Studi Filologici, p.
222.)
209. Taccio, etc. In the first and second editions, the poet had
written thus: —

Taccio gli altri nemici e 1' altre doglie ;


Ma non la Francia scelerata e nera.

But in the third and subsequent editions, he changed it as in the


text. (See Leopardi, Ib. p. 471.)
212. 4 Che for perche. (See Leopardi, Ib. p. 225.) 5 Attrice,
nurse. ' Sola, deserted. (See Ib. 227.)
A
348 NOTES.

225. l"Where is my child? and Echo answers, Where?"


Byron, Bride of Abydos. Byron confesses, though, to have taken
it from an Arabian manuscript, which says, " I came to the place
of my birth and cried, The friends of my youth, where are they ?
and Echo answered, Where are they ? "

END.
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