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LIBRARY OF THE
UNIVERSITY OF VIRGINIA
PRESENTED BY
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1WEST SPfMNGMU
I EftSI CIEVEUNO
ITALIAN READEK,
A READER
ITALIAN LANGUAGE,
WITH NOTES,
BY
LUIGI MONTI,
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INSTRUCTOR IN ITALIAN IN THE UNIT-mirr" A^ OAMJRIDGfi.
BOSTON:
LITTLE, BROWN AND COMPANY.
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C A II B. R I D G E< .
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TRANSLATOR OF DANTE,
A* (V)
PREFACE.
PROSE.
PiO»
LE MIE PRIGIONI. — (Silvio Pellico.) 1
POESIE SCELTE.
Il Prigioniero. — (Pietro Maroncelli) 197
Ode Italica. Sulla creduta morte di Silvio Pellico. —
(Anonimo) 193
All'Italia. — (Giacomo Leopardi) 202
Sopra il Monumento di Dante. — ( Giacomo Leopardi) , . 206
Il Primo Amore. — ( Giacomo Leopardi) .... 212
Scherzo. — (Giacomo Leopardi) 215
Il Cinque Maggio. — (Alessandro Manzoni) .... 216
La Guerra Fraticida. — (Alessandro Manzoni) . . . 220
Li due Sventurati. — (F. D. Guerrazzi) .... 224
Canzone del Menestrello. — (Tommaso Grossi) . . . 227
La Rondinella. — ( Tommaso Grossi) 228
Serventese Folchetto di Provenza. — ( Tommaso Grossi) . 230
Serventese in Morte di Marco Visconti. — (Anonimo) 238
Roma. Sonetto. — ( Girolamo Prati) 242
Sulla morte di Giuda. Quattro Sonetti. — (Vincenzo Monti) 243
Artaserse. Dramma. — (Pietro Mctastasio) . . : 245
ITALIAN READER.
per quel misero mutilato, diviso dal suo unico amico, e pro
ruppi 22S in lagrime ed in singhiózzi.
Conóbbi mólti uómini egrégj, ma nessuno più affettuosa
mente socievole di Maroncélli, nessuno più educato a tutti i
riguardi délla gentilezza, più esénte da eccéssi di selvati
cume, più costanteménte mémore che la virtù si compóne 224
di continui esercizj di tolleranza, di generosità e di sénno.
Oh mio sócio di tanti anni di dolóre, il Ciélo ti benedica
ovunque tu respiri, e ti dia amici che m' agguaglino in
amóre, e mi superino in bontà !
ESTRATTI.
* " And God said, Let the waters under the hearen be gathered to-
gether unto onc place, and let the dry land appear : and it was so." —
Gen. chap. i. v. 9.
4
38 ITALIAN READER.
morire 1' uomo, che non aveva conosciuto pari sopra la terra,
però che quivi il sole, non come nei nostri climi sia ,0 ac
compagnato dal mesto crepuscolo, ma comparisca improvviso
nella pienézza dei raggi sul firmaménto, ed improvviso lo
abbandóni allo impero del1' ombre. — Chi sa quante volte lo
austéro contemplando 1' esémpio solenne piegò vinto la
faccia, e mormorò parole di dolore su la perduta occasióne ! —
Oh ! se, cadendo, in lui non fosse scomparso 1' eroe ! Oh !
s' egli stesso non avesse svelato il segreto che il suo cuore
era composto di creta come negli altri figliuóli d' Adamo !
Se la curva della sua vita non impallidisse al tramónto, e
sfolgorante di luce si perdesse nel silénzio dei sécoli, —
qual nato di donna potremmo noi assomigliargli ? — La
Sapiénza che governa- il creato forse volle mostrare con la
vicenda solenne gli estremi dove può suscitare e deprimere
un' anima immortale ? Se così è, mi spavento, perchè 1' ul
tima azióne di Colui, che poteva numerare con le vittórie i
suoi anni, la gente maravigliata non distingue ancora se
deve attribuirla a costanza, o a viltà.*
ESTRATTI.
pater ed ave così a casaccio,21 fate voi ; varrà per quello che
può valere : e lo rimetto nella vostra libertà ! "
Basta : — dal giudizio degli uomini si appella a quello di
un giudice che non può fallare. — Intanto, per questo giu
dizio terreno giovi pensare che è giudizio di tali che può
dubitarsi perfino se abbiano veraménte giudizio, e che Cate
rina come Italiana non deve sperare giustizia da un popolo
presuntuóso, un tempo grande a caso,22 perche vi spruzzò
sopra gli efflùvii del suo genio una immensa anima italiana.
Coronazione di Caulo V.
Comparve alla subita chiamata il signore di Rodi mag
giordómo maggióre, il quale, semiaperta la porta, sporgeva
il capo e parte del petto, non osando penetrare più oltre.
Tosto che Carlo lo vide lo interrogò dicendo :
— Sire di Croy, qual ora è ella ?
— L' ora che piace a vostra Maestà.
— No, Adriano ; il sole non tramonta mai nei nostri regni,
ma egli si mantiene per sempre il re delle ore ; se gli emi-
nentissimi cardinali vénnero, come spero, ad incontrarci, dite
loro che noi li aspettiamo .... —
I cardinali Ridolfl e Salviati non istéttero 1 molto a pre-
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 83
Andrea Doria.
O signore e signori, qui convenuti per farmi il piacére di
sentir questa stória, che non oso chiamare la bella, perchè
spesso fa piangere me che la racconto, o ridere di un riso
tristo, il quale mi ha guastato il cuore e la bocca, non so se
io v' abbia detto, e se nol dissi,1 ve lo dico adesso, la cattedra
del Pontéfice, e il trono imperiale per velluti cremesini, per
frange d' oro, per pulvinari, per baldacchini mirabilissimi
éssere stati eretti alla destra del1' altare in cornu epistola.
Ora avvenne,2 mentre queste cose succedévano, che un
personaggio di alto affare del séguito del1' imperatóre si
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 95
, — Messer Michelangiolo !
— Che ci è egli,14 mio bel garzone ? —
E Dante vie più accostandosegli sommessaménte gli dice :
— Il Gonfaloniere manda per voi.
— Ora non posso 15 ; bisogna prima che porti questa ba
rella ; sùbito dopo sarò con esso voi. —
Quando la terra fu scaricata, Michelangiolo con amorévole
piglio si volse 16 al vecchio cosi interrogandolo :
— Padre, vorreste voi dirmi il vostro nome in cortesia ?
— Nacqui 1T nel contado di Fiorenza, ho lavorato i suoi
campi, ho combattuto le sue battaglie, ho pianto alle sue
tribolazióni ; il nome nulla aggiunge o diminuisce 18 alla mia
vita : io mi chiamo uomo. —
E toltasi 19 la barella sopra le spalle se ne ritornava Ih
donde si era dipartito.
— Costui — esclama Michelangiolo lo accennando col dito
al Castiglióne — dev' essere un uom fatto grande dalla sven
tura o dalla pazzia. —
Era cotesto vecchio il padre di Annalena ; se Michelan
giolo indovinasse giusto, a suo luogo e tempo saprete.
— Or via ditemi, messer Dante, a che mi chiama il Car
dùccio ?
— Per cosa al certo di gravissimo momento ; con molto
arcano vi aspetta nel cimitero di S. Egidio.
— Sta bene ! obbedisco,20 seguitemi un istante. —
Ciò detto, riprende quel terribile uomo i suoi presti passi ;
rifacendosi dalle falde del monte si dirige alla cima visitando
le opere, lasciando órdini, e tuttavia ammonéndo, rampo
gnando e lodando ; venuto al sommo del poggio si volta
al1' improvviso ad una forma, che così al barlume Dante su
le prime non ravvisò se fosse, o no animata, e con affettuose
parole le dice :
— Dch ! in guiderdóne al tuo fattore, o Vittória, finche io
ritorni non partirti da questi baluardi.
— Che cosa è ella Michelangiolo ? — domanda Dante.
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 125
— Vedi! —
E presa una torcia di mano a un marraiuólo che passava,
svela allo sguardo del Castiglióne stupefatto, una statua
colossale rappresentante la Glória militare, o la Vittória
scolpita in un masso di pietra serena. Ella era in atto, che
volgendo il capo dal1' altra parte non curava mirare la città
di Firenze, che appunto le veniva a mano sinistra ; aveva
1' ale ; in capo 1' elmo, ed armi e simboli altri diversi sparsi
sul monte che le serviva di base M. »
— Che te ne pare ?
— Mi pare divina.
— La è poca cosa ... io 1' ho condotta così senza mo
dello, e di notte 22.
— Di notte ?
— Certo di notte . . . perchè dormendo non mi riposo ; il
sonno, vedi, mi addolóra la testa e mi fa cattivo stómaco 2S ;
io mi sono fatto una celata di cartoni, ci adatto in cima una
tórcia, e in questo modo ho lavorato la Vittoria M. —
Dante si sentiva oppresso da tanta grandezza accompa
gnata da così alta modestia ; se in quel punto Michelangiolo
gli avesse imposto : " curvati adórami," egli lo avrebbe
adorato, imperciocchè le anime generóse, comechè sviscera-
tissime della libertà, tocca profondaménte la religióne del
genio ; dopo un breve silenzio quasi supplichévole gli do
manda :
— Divino intellétto, ditemi, perchè la vostra Vittória il
capo torce dalla vista di Fiorenza ? —
E Michelangiolo dopo un lungo sospiro :
— Perchè! o Castiglióne, che so25 che accogli un cuore
sdegnoso dentro al tuo seno, mi domandi il perchè ? Mi
risparmia 1' amarézza di palesartelo ... tu dovresti averlo
già indovinato.
— Pur troppo ! Ogni antico valore nei fiorentini petti è
affatto spento
— Lo hai detto.
11*
126 ITALIAN READER.
che non dice mai : " Basta ! " Io compendio tutto, uómini e
cose ; io solo posso 5 comporre in pace nella medésima fossa
1' oppressóre e 1' oppresso ; per me il conquistatóre si contenta
di tre braccia di terra e se gli pongo 6 al fianco un cadavere, ve
lo sopporta senza dirgli : " Fatti in là 7 " : egli ve lo sopporta,
mentre vivo imponeva a' pópoli interi sgombrassero le Pro
vincie per lasciargli libero il passo ; ordinava al mondo es
tendésse i suoi confini, ai cieli si allontanassero per respirare
più aperto : io riduco in essenza gli enti creati ; degli anó
mali mi basta la cenere, delle città la pólvere, nel cavo della
mano porto 1' esercito di Cambise ; su le mie spalle in un
sacco Sodoma e Persépoli. Un giorno verrà,8 ch' io mi
volgerò al sole, e gli dirò : " Chiudi le palpebre e dormi ; tu
hai vigilato assai " ; e poi soffierò su le stelle e le spegnerò
come fiaccole rimaste accese dopo la fine del festino ... e
perdio no? Forse non ho cacciato dai cieli una moltitudine
dr Numi, come il castaldo, terminati i lavori dei campi, licen
zia le ópere ? Forse non ho lasciato appesa alle volte del
firmaménto una série di Dii, quasi schéletri di condannati al
patibolo . . . spettacolo di miseria o di scherno ? Un gior
no stanco di distruggere creatóri e creature, cause ed effetti,
io staccherò dai cieli il manto azzurro, e me ne comporrò un
sudario -fùnebre per addormentarmi nel seno della eternità.
. . . Eternità! — Io me ne torno alle doméstiche mura salu
tando umilmente per via anche il mendico che mi domanda
1' elemósina per amore di Dio.
14
158 ITALIAN READER.
La Speranza. — (Conclusióne.)
Il mio poema è finito.
Ed ora che ho composto nel sepolcro le glórie del mio
popolo, chiuso la lapide, ed inciso sopra la iscrizióne, a che
più oltre lo spirito della vita si trattiene 1 quaggiù ?
Vorrò 3 préfica incresciósa sedermi sopra gli avelli a em
pire di singulti le ténebre ? O come vaso di étere lasciato
aperto consumare, spandendólo, il dolore ?
No : nel modo stesso che la terra nasconde nelle sue
viscere la gemma preziósa, io vóglio s conservarmi dentro il
seno il mio dolore. : perchè non dovrei prenderne cura del
pari diligente ? Le fòglie che compóngono 4 la corona della
libertà sono nudrite col dolore : le rugiade che 1' alimentano,
emanano dalle lagrime che la tirannide ha fatto piangere
agli oppressi.
Io nascondo pertanto la lampada sotto il móggio, Quando
apparirà 1' auróra da ben tre secoli 6 desiderata, allora la
riporrò 6 a splendere sul candelabro ; dove le fosse venuto
meno 7 1' umore, io la riempirò «ol mio sangue.
Oh speranza ! Oh speranza ! Nel delirio del mio affanno,
nella febbre dei sinistri pensieri io ti oltraggiai col nome di
ingannatrice della vita. Talvolta mi apparisti simile a quei
fuochi maligni, i quali quando la notte è nera e la tempesta
furiósa, si móstrano al pellegrino smarrito e lo conducono 8
al precipizio ; tal altra mi sembrasti fata lusinghiéra e fal
lace, che si unisce9 .ai passi del1' uomo, come 1' ombra,
quando il sole tramonta e il suo cammino volge al1' oriénte,
e lo mena lontano a insanguinarsi le piante nel1' arduo sen
tiéro della vita.
Spesso 1' uomo sconfortato si abbandóna a mezzo della
via, e tu allora stacchi dalla tua corona un fiore stillante di
L' ASSEDIO DI FIRENZE. 159
IL PRIGIONIERO.
Primaverili aurette
Che Italia sorvolate,
Voi quì non mai spirate
SuU' egro prigionier.
ODE ITALICA.
Io mirava, e chiedea :
Musa, la lima ov' è ? Disse la Dea :
La lima è consumata ; or facciam senza.
Ed io, ma di rifarla
Non vi cal, soggiungea, quand' ella è stanca ?
Rispose : hassi a rifar, ma il tempo manca.
IL CINQUE MAGGIO.
Ei fu ; siccome immobile,
Dato il mortal respiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro,
Così percossa, attonita,
La terra al nunzio sta.
La procellosa e trepida
Gioia d' un gran disegno,
L' ansia d' un cor che, indocile
Ferve pensando al regno,
E '1 giunge, e tiene un premio
Ch' era follia sperar.
Ei ripensò le mobili
Tende, e i percossi valli,
E il lampo de' manipoli,
E Y onda de' cavalli,
E il concitato imperio,
E il celere obbedir.
COBO.
LAMENTO.
Rondinella pellegrina
Che ti posi in sul verone,
Ricantando ogni mattina
Quella flebile canzone.
Che vuoi dirmi in tua favella,
Pellegrina rondinella ?
Ed io tutte le mattine
Riaprendo gli occhi al pianto,
Fra le nevi e fra le brine
Crederò d' udir quel canto,
Onde par che in tua favella
Mi compianga, o rondinella.
SERVENTESE.
I venti muggono,
Biancheggia 1' onda ;
Ei dalla sponda
D' una barchetta
Guarda la florida
Terra diletta
Che abbandonò.
In fra le nordiche
Nebbie viaggia;
Già sulla spiaggia
E d' Albione ;
Ed ecco affrontasi
Con quel barone
Che lo tradì
Le lance abbassano,
Piglian del campo ;
Ratti qual lampo
I due giannetti
Con tanta furia
S' urtar coi petti,
Ch' un ne morì.
A un punto snudano
Entrambi il brando,
E fulminando
236 ITALIAJT READER.
Di colpi crudi
Con vece assidua
Elmetti e scudi
Fan risonar.
Ma il grave anelito
Frenando in petto,
Ecco Falchetto
Al traditore,
Con fero giubilo,
In mezzo al core
Pianta 1' acciar.
Pallida, pallida
Divien la faccia
Che la minaccia
Spira pur anco.
La destra il misero
Si preme al fianco,
Vacilla e muor.
SERVENTESE.
Ma un lume languido
In sulla sera
Fra gli archi pingesi
D' una vetriera
In fondo ai portici,
Lontan, lontan.
A un riso etereo
Schiusa è la bocca.
Nascosta mammola
Ancor non tocca
Il grembo rorido
Apre così.
POESIE SCELTE. 2dl
Eletto spirito !
Se pur dal cielo
Amando visiti
Il tuo bel velo,
SONETTO.
I.
Gittò 1' infame prezzo, e disperato
L' albero ascese il venditor di Cristo ;
Strinse il laccio, e col corpo abbandonato
Dal1' irto ramo pensolar fu visto.
Cigolava lo spirito serrato
Dentro la strozza in suon rabbioso e tristo,
E Gesù bestemmiava, e il suo peccato
Ch' empiea 1' Averno di cotanto acquisto.
Sboccò dal varco al fin con un ruggito,
Allor Giustizia 1' afferrò, e sul monte
Nel sangue di Gesù tingendo il dito,
Scrisse con quello al maledetto in fronte
Sentenza d' immortal pianto infinito,
E lo piombò sdegnosa in Acheronte.
IL
Piombò quel1' alma al1' infernal riviera,
E si fé' gran tremuoto in quel momento,
Balzava il monte, ed ondeggiava al vento,
La salma in alto strangolata e nera.
Gli angeli del Calvario in su la sera
Partendo a volo taciturno e lento,
La videro da lunge, e per spavento
Si fèr del1' ale agli occhi una visiera.
I demoni frattanto a 1' aer tetro
Calar 1' appeso, e 1' infocate spalle
Al1' esecrato incarco eran feretro.
Così ululando e bestemmiando, il calle
244 ITALIAN READER.
III.
Poichè ripresa avea 1' alma digiuna
L' antica gravità di polpe e d' ossa,
La gran sentenza su la fronte bruna
In riga apparve trasparente e rossa.
A quella vista di terror percossa
Va la gente perduta; altri s' aduna
Dietro le piante che Oocito ingrossa,
Altri si tuffa nella rea laguna.
Vergognoso egli pur del suo delitto
Fuggfa quel crudo, e stretta la mascella,
Forte graffiava con la man lo scritto.
Ma più terso il rendea 1' anima fella
Dio fra le tempie glie1' avea confitto,
Ne sillaba di Dio mai si cancella.
IV.
Uno strepito intanto si sentia,
Che Dite introna in suon profondo e rotto ;
Era Gesù, che in suo poter condotto
D' Averno i regni a debellar venia.
Il bieco peccator per quella via
Lo scontrò, lo guatò senza far motto :
Pianse al fine, e da' cavi occhi dirotto
Come lava di foco il pianto uscia.
Folgoreggiò sul nero corpo osceno
L' eterea luce, e d' infernal rugiada
Fumarono le membra in quel baleno.
Tra il fuma allor la rubiconda spada
Interpose Giustizia: E il Nazareno
Volse lo sguardo ; e seguitò la strada.
ARTASERSE,
DRAMMA
PIETRO METASTASIO J
(245)
21*
INTERLOCUTORI.
Arbace.
Addio.
Mandane.
Sentimi, Arbace.
Arbace.
Ah che 1' aurora,
Adorata Mandane, è già vicina :
E se mai npto a Serse
Fosse ch' io venni in questa reggia ad onta
Del barbaro suo cenno, in mia difesa
A me non basterebbe
Un trasporto d' amor, che mi consiglia ;
Non basterebbe a te d' essergli figlia.
Mandane.
Saggio è il timor. Questo real soggiorno
Periglioso è per te. Ma puoi di Susa
Fra le mura restar. Serse ti vuole
Esule dalla reggia,
(247)
248 ITALIAN READER.
Arbace.
Ci lusinghiamo, o cara. Il tuo germano
Vorrà giovarmi invano: ove si tratta
La difesa d' Arbace, egli è sospetto
Non men del padre mio : qualunque scusa
Rende dubbiosa alla credenza altrui
Nel padre il sangue, e 1' amicizia in lui.
L' altra turba incostante
Manca de' falsi amici, allor che manca
Il favor del Monarca. Oh quanti sguardi,
Che mirai rispettosi, or soffro alteri !
Onde che vuoi eh' io speri ? Il mio soggiorno
Serve a te dì periglio, a me di pena:
A te, perchè di Serse
I sospetti fomenta ; a me, chè deggio
Vicino a' tuoi bei rai
Trovarmi sempre, e non vederti mai.
Giacchè il nascer vassallo
ARTASERSE, ATTO I. SCENA I. 249
Arbace.
Mia Principessa, addio.
Mandane.
Conservati fedele ;
Pensa ch' io resto, e peno ;
E qualche volta almeno
Ricordati di me.
Ch' io per virtù d' amore,
Parlando col mio core,
Ragionerò con te.
(Parte).
SCENA IL
Arbace, solo.
Oh comando ! Oh partenza !
Oh momento crudel, che mi divide
Da colei per cui vivo, e non m' uccide !
Artabano, entrando.
Figlio, Arbace.
Arbace.
Signor.
Artabano.
Dammi il tuo ferro.
Arbace.
Eccolo.
Artabano.
Prendi il mio ; fuggi, nascondi
Quel sangue ad ogni sguardo.
252 ITAI.IAN READER.
Artabano.
E tardi ancora?
Arbace.
Oh Dio!
Artabano.
Parti ; non più ; lasciami in pace.
Arbace.
Che giorno è questo, o disperato Arbace !
(Mentre Arbace canta P aria seguente, Artabano, che
rum V ode, va sospettoso spiando intorno, ed ascoltando
per poter regolarsi a seconda di quello, che veda, o
senta).
Fra cento affanni e cento,
Palpito, tremo, e sento
Che freddo dalle vene
Fugge il mio sangue al cor.
Prevedo del mio bene
Il barbaro marti ro,
E la virtù sospiro,
Che perde il genitor.
(Parte).
scena m
Artabano, (poi) Artaserse (e) Megabise (con Guardie).
Artabano, solo.
Coraggio, o miei pensieri. Il primo passo
V obbliga agli altri. Il trattener la mano
Su la metà del colpo
E' un farsi reo senza sperarne il frutto.
Tutto si versi, tutto
Fino al1' ultima stilla, il regio sangue.
Ne vi sgomenti un vano
i 22
254 ITALIAN READER.
SCENA IV.
Artaserse, Megabise.
Artaserse.
Qual vittima si svena ! Ah Megabise . . .
Megabise.
Sgombra le tue dubbiezze. Un colpo solo
Punisce un empio, e t' assicura il regno.
Artaserse.
Ma potrebbe il mio sdegno
Al mondo comparir desio d' impero.
Questo, questo pensiero
Saria bastante a funestar la pace
Di tutt' i giorni miei. No, no ; si vada
Il cenno a rivocar. . . .
(In atto dipartire.)
ARTASERSE, ATTO I. SCENA V. 257
Megabise.
Signor, che fai ?
E' tempo, è tempo ormai
Di rammentar le tue private offese.
Il barbaro germano
Ad essere inumano
Più volte t' insegnò.
Artaserse.
Ma non degg' io
Imitarlo ne' falli. Il suo delitto
Non giustifica il mio. Qual colpa al mondo
Un esempio non ha? Nessuno è reo,
Se basta a' falli sui
Per difesa portar 1' esempio altrui.
Megabise.
Ma ragion di natura
E' il difender se stesso. Egli t' uccide,
Se non 1' uccidi.
Artaserse.
Il mio periglio appunto
Impegnerà tutto il favor di Giove
Del reo germano ad involarmi al1' ira.
(In allo dipartire.)
SCENA V.
Semira.
Dove, Principe, dove ?
Artaserse.
Addio, Semira.
22*
258 ITALIAN READER.
Semira.
Tu mi fuggi, Artaserse ?
Sentimi, non partir.
Artaserse.
Lascia ch' io vada :
Non arrestarmi.
Semira.
In questa guisa accogli
Chi sospira per te?
Artaserse.
Se più t' ascolto,
Troppo, o Semira, il mio dovere offendo.
Semira.
Va pure, ingrato ; il tuo disprezzo intendo.
Artaserse.
Per pietà, bel1' idol mio,
Non mi dir ch' io sono ingrato :
Infelice, e sventurato
Abbastanza il ciel mi fa.
Se fedele a te son io,
Se mi struggo a' tuoi bei lumi,
Sallo Amor, lo sanno i Numi,
Il mio core, il tuo lo sa.
(Parte.)
SCENA VI.
Semira, Megabise.
Semira, da parte.
Gran cose io temo. Il mio germano Arbace
Parte pria del1' aurora. Il padre armato
ARTASERSE, ATTO I. SCENA VI. 259
SCENA vn.
Semira, sola.
Voi della Persia, voi
Deità protettrici, a questo impero
Conservate Artaserse. Ah, ch' io lo perdo,
Se trionfa di Dario ! Ei questa mano
Bramò vassallo, e sdegnerà sovrano.
Ma che ? Sì degna vita
Forse non vale il mio dolor ? Si perda,
Purchè regni il mio bene, e purchè viva.
Per non esserne priva,
Se lo bramassi estinto, empia sarei :
No, del mio voto io non mi pento, o Dei.
Bramar di perdere
Per troppo affetto
Parte del1' anima
Nel caro oggetto
E' il duol più barbaro
D' ogni dolor.
Pur fra le pene
Sarò felice,
Se il caro bene
Sospira,
E dice :
" Troppo a Semira
Fu ingrato amor."
(Parte).
262 ITALI AN READER.
SCENA VILI.
(reggia.)
Mandane, sola.
Dove fuggo ? Ove corro ? E chi da questa
Empia reggia funesta
M' invola per pietà? Chi mi consiglia?
Germana, amante, e figlia,
Misera ! in un istante
Perdo i germani, il genitor, 1' amante.
Artaserse, entrando.
Ah, Mandane. . . .
Mandane.
Artaserse,
Dario respira ? O nel fraterno sangue
Cominciasti tu ancora a farti reo ?
Artaserse.
Io bramo, o Principessa,
Di serbarmi innocente. Il zelo, oh Dio !
Mi svelse dalle labbra
Un comando crudel ; ma dato appena
M' inorridì. Per impedirlo io scorro
Sollecito la reggia, e cerco invano
D' Artabano, e di Dario.
Mandane, vedendo venire Artabano.
Ecco Artabano.
ARTASERSE, ATTO I. SCENA IX. 263
SCENA IX.
Artabano.
Signore.
Artaserse.
Amico.
Artabano.
Io di te cerco.
Artaserse.
Edio
Vengo in traccia di te.
Artabano.
Forse paventi ?
Artaserse.
Si, temo. . . .
Artabano.
Eh, non temer : tutto è compito.
Artaserse è il mio Re, Dario è punito.
Artaserse.
Numi !
Mandane.
O sventura!
Artabano.
Il parricida offerse
Incauto il petto alle ferite.
Artaserse.
Oh Dio !
Artabano.
Tu sospiri? Ubbidito
Fu il cenno tuo.
264 ITALIAN READER.
Artaserse.
Ma tu dovevi il cenno
Più saggiamente interpetrar.
Mandane.
L' orrore,
Il pentimento suo
Dovevi preveder.
Artaserse.
Dovevi al fine
Compatire in un figlio,
Che perde il genitore,
De' primi moti un violento ardore.
Artabano.
Inutile accortezza
Sarebbe stata in me. Furo i custodi
Sì pronti ad ubbidir, che Dario estinto
Vidi pria, che assalito.
Artaserse.
Ah ! questi indegni
Non avranno macchiato
Del regio sangue impunemente il brando.
Artabano.
Signor, ma il tuo comando
Li rese audaci, e sei 1' autor primiero
Tu sol di questo colpo.
Artaserse.
E' vero, è vero :
Conosco il fallo mio ;
Lo confesso, Artabano, il reo son io.
Artabano.
Sei reo ! Di che ? D' una giustizia illustre,
Che un eccesso punì ? D' una vendetta
Dovuta a Serse ? Eh, ti consola, e pensa
ARTASEKSE, ATTO I. SCENA X. 265
SCENA X.
Semira.
Artaserse, respira.
Artaserse.
Qual mai ragion, Semira,
In sì lieto sembiante a noi ti guida ?
Semira.
Dario non è di Serse il parricida.
Mandane.
Che sento !
Artaserse.
E donde il sai ?
Semira.
Certo è 1' arresto
Del1' indegno uccisor. Presso alle mura
Del giardino real fra le tue squadre
Rimase prigionier. Reo lo scoperse
La fuga, il loco, il ragionar confuso,
Il pallido sembiante,
E '1 suo ferro di sangue ancor fumante.
Artabano.
Ma il nome ?
Semira.
Ognun lo tace,
Abbassa ognuno a mie richieste il ciglio.
Mandane, da so.
(Ah forse è Arbace !)
23
266 ITALIAN READER.
Artabano, da sé.
(E' prigioniero il figlio !)
Artaserse.
Dunque un empio son io ? Dunque Artaserse
Salir dovrà sul trono
D' un innocente sangue ancora immondo,
Orribile alla Persia, in odio al mondo !
Semira.
Forse Dario morì ?
Artaserse.
Morì, Semira.
Lo scellerato cenno
Uscì da' labbri miei. Fin ch' io respiri,
Più pace non avrò. Del mio rimorso
La voce ognor mi sonerà nel core.
Vedrò del genitore,
Del germano vedrò 1' ombre sdegnate
I miei torbidi giorni, i sonni miei
Funestar minacciando ; e 1' inquiete
Furie vendicatrici in ogni loco
Agitarmi su gli occhi,
In pena, o Dio ! della fraterna offesa,
La nera face in Flegetonte accesa.
Mandane.
Troppo eccede, Artaserse, il tuo dolore :
L' involontario errore
0 non è colpa, o è lieve.
Semira.
Abbia il tuo sdegno
Un oggetto più giusto: in faccia al mondo
Giustifica te stesso
Colla strage del reo.
Artaserse.
Dov' è 1' indegno ?
Conducetelo a me.
ARTASERSE, ATTO I. SCENA XI. 267
Artabano.
Del prigioniero
Vado 1' arrivo ad affrettar.
(In aito di partire.)
Artaserse.
T' arresta :
Artabano, Semira,
Mandane, per pietà nessun mi lasci :
Assistetemi adesso ; adesso intorno
Tutti vorrei gli amici. Il caro Arbace,
Artabano, dov' è ? Quest' è 1' amore,
Che mi giurò fin dalla cuna ? Ei solo
M' abbandona così ?
Mandane.
Non sai ch' escluso
Fu dalla reggia in pena
Del richiesto imeneo ?
Artaserse.
Venga Arbace, io 1' assolvo.
SCENA XI.
Megabise, uscendo.
Arbace è il reo.
Artaserse.
Come!
Megabise, accennando Arbace, eh' esce confuso.
Osserva il delitto in quel sembiante.
Artaserse.
L' amico !
268 ITALIAN READER.
Artabano.
Il figlio !
Semira.
Il mio german !
Mandane.
L' amante !
Artaserse.
In questa guisa, Arbace,
Mi torni innanzi ? Ed hai potuto in mente
Tanta colpa nudrir ?
Arbace.
Sono innocente.
Mandane, da sé.
(Volesse il ciel !)
Artaserse.
Ma se innocente sei,
Difenditi, dilegua
I sospetti, g1' indizi ; e la ragione
Della innocenza tua sia manifesta.
Arbace.
Io non son reo ; la mia difesa è questa.
Artabano, da sé.
(Seguitasse a tacer !)
Mandane.
Pure i tuoi sdegni
Contro Serse?
Arbace.
Eran giusti.
Artaserse.
La tua fuga ? .
Arbace.
Fu vera.
Mandane.
Il tuo silenzio? . .
ARTASERSE, ATTO I. SCENA XI. 269
Arbace.
E" necessario.
Artaserse.
Il tuo confuso aspetto ? . . .
Arbace.
Lo merita il mio stato.
Mandane.
E '1 ferro asperso
Di caldo sangue ? . . .
Arbace.
Era in mia mano, è vero.
Artaserse.
E non sei delinquente ?
Mandane.
E 1' uccisor non sei ?
Arbace.
Sono innocente.
Artaserse.
Ma 1' apparenza, o Arbace,
T' accusa, ti condanna.
Arbace.
Lo veggo anch' io ; ma 1' apparenza inganna.
Artaserse.
Tu non parli, o Semira?
Semira.
Io son confusa.
Artaserse.
Parli Artabano.
Artabano.
OH Dio!
Mi perdo anch' io nel meditar la scusa.
Artaserse, da parte.
Misero ! Che farò ? Punire io deggio
Nel1' amico più caro il più crudele
24*
270 JTALIAN READER.
(ad Aròace.)
Orribile nemico, — A che mostrarmi
Così gran fedeltà, barbaro Arbace ?
Quei soavi costumi,
Quel1' amor, quelle prove
D' incorrotta virtude erano inganni
Dunque d' un alma rea ? Potessi almeno
Quel momento obbliar, che in mezzo al1' armi
Me da' nemici oppresso
Cadente sollevasti, e col tuo sangue
Generoso serbasti i giorni miei ;
Che adesso non avrei,
Del padre mio nel vendicare il fato,
La pena, oh Dio ! di divenirti ingrato.
Arbace.
I primi affetti tui,
Signor, non perda un innocente oppresso :
Se mai degno ne fui, lo sono adesso.
Artabano.
Audace, e con qual fronte'
Puoi domandargli amor ? Perfido figlio,
II mio rossor, la pena mia tu sei.
Arbace.
Anche il padre congiura a' danni miei !
Artabano.
Che vorresti da me ? Ch' io fossi a parte
(ad Artaterse.)
De' falli tuoi nel compatirti ? — Eh, provi,
Provi, o Signor, la tua giustizia. Io stesso
Sollecito la pena. In sua difesa
Non gli giovi Artabano aver per padre.
Scordati la mia fede, obblia quel sangue,
Di cui, per questo regno
Tante volte pugnando, i campi aspersi :
Col1' altro, ch' io versai, questo si versi.
ARTASERSE, ATTO I. SCENA XII. 271
Artaserse.
Oh fedeltà!
Artabano.
Risolvi, e qualche affetto,
Se ti resta per lui, vada in obblio.
Artaserse.
Risolverò, ma con qual core . . . Oh Dio !
Dch respirar lasciatemi
Qualche momento in pace !
Capace
Di risolvere
La mia ragion non è.
Mi trovo in un istante
Giudice, amico, amante,
E delinquente, e re.
(Parte.)
SCENA XII.
Arbace, da sé.
(E innocente dovrai
Tanti oltraggi soffrir, misero Arbace ?)
Megabise, da sé.
(Che avvenne mai ?)
Semira, da sé.
(Quante sventure io temo !)
Mandane, da sé.
(Io non spero più pace.)
Artabano, da sé.
(Io fingo, e tremo.)
272 ITALIAN READER.
Arbace, ad Artabano.
Tu non mi guardi, o padre ? Ogni altro avrei
Sofferto aceusator senza lagnarmi ;
Ma che possa accusarmi,
Che chieder possa il mio morir colui,
Che il viver mi donò, m' empie d' orrore
Il cor tremante, e me 1' agghiaccia in seno :
Senta pietà del figlio il padre almeno.
Artabano.
Non ti son padre,
Non mi sei figlio ;
Pietà non sento
D' un traditor.
Tu sei cagione
Del tuo periglio ;
Tu sei tormento
Del genitor.
(Parte.)
scena xm.
Arbace, Semira, Megabise, Mandane, (Guardie).
Arbace.
Ma per qual fallo mai
Tanto, o barbari Dei, vi sono in ira ? —
(a Semira.)
M' ascolti, mi compianga almen Semira.
Semira.
Torna innocente, e poi
T' ascolterò, se vuoi ;
Tutto per te farò.
Ma finchè reo ti veggio,
Compiangerti non deggio,
Difenderti non so.
(Parte.)
ARTASEUSE,ATTO I. SCENA XIV. 273
SCENA XIV.
Arbace.
E non v' è chi m' uccida ? — Ah Megabise !
S' hai pietà. . . .
Megabise.
Non parlarmi.
Arbace, a Mandane.
Ah Principessa!
Mandane.
Involati da me.
Arbace, a Megabise.
Ma senti, amico.
Megabise.
Non odo un traditore.
(Parte.)
Arbace.
Oda un momento
Mandane almeno.
Mandane, in atto di partire.
Un traditor non sento.
Arbace, trattenendola.
Mio ben, mia vita. . . .
Mandane.
Ah scellerato ! Ardisci
Di chiamarmi tuo bene ?
Quella man mi trattiene,
Che uccise il genitor ?
Arbace.
Io non 1' uccisi.
274 ITALIAN READER.
Mandane.
Dunque chi fu ? Parla.
Arbace.
Non posso. Il labbro. . .
Mandane.
Il labbro è menzognero.
Arbace. •
Il core. . . .
Mandane.
Il core,
No che del suo delitto orror non sente.
Arbace.
Son io. . . .
Mandane.
Sei traditor.
Arbace.
Sono innocente.
Mandane.
Innocente t
Arbace.
Io lo giuro.
Mandane.
Alma infedele !
Arbace, da sé.
(Quanto mi costa un genitor crudele !)
(a Mandane)
Cara, se tu sapessi. . . .
Mandane.
Eh, che mi sono
Gli odii tuoi contro Serse assai palesi.
Arbace.
Ma non intendi. . . .
Mandane.
Intesi
Le tue minacce.
ARTASERSE, ATTO I. SCENA XIV. 275
Arbace.
E pur t' inganni.
Mandane.
Allora,
Perfido, m' ingannai,
Che fedel mi sembrasti, e ch' io t' amai.
Arbace.
Dunque adesso. . . .
Mandane.
T abbono.
Arbace.
E sei. . . .
Mandane.
La tua nemica.
Arbace.
E vuoi. . . .
Mandane.
La morte tua.
Arbace.
Quel primo affetto. . . .
Mandane.
Tutto è cangiato in sdegno.
Arbace.
E non mi credi ?
Mandane.
E non ti credo, indegno.
Dimmi che un empio sei,
Ch' hai di macigno il core,
Perfido traditore,
E allor ti crederò.
(da se)
(Vorrei di lui scordarmi,
Odiarlo, oh Dio ! vorrei ;
276 ITALIAN READER.
SCENA XV.
Arbace, Guardie.
No che non ha la sorte
Più sventure per me. Tutte in un giorno,
Tutte, oh Dio ! le provai. Perdo 1' amico,
M' insulta la germana,
M' accusa il genitor, piange il mio bene ;
E tacer mi conviene,
E non posso parlar ! Dove si trova
Un' anima, che sia
Tormentata così come la mia?
Ma, giusti Dei, pietà ! Se a questo passo
Lo sdegno vostro a danno mio s' avanza,
Pretendete da me troppa costanza.
Vo solcando un mar crudele
Senza vele,
E senza sarte ;
Freme 1' onda, il ciel s' imbruna,
Cresce il vento, e manca 1' arte ;
E il voler della fortuna
Son costretto a seguitar.
Infelice ! in questo stato
Son da tutti abbandonato :
Meco sola è 1' innocenza,
Che mi porta a naufragar.
(Parte con le Guardie.)
ARTASERSE, ATTO II. SCENA I. 277
{Appartamenti Reali.)
Artaserse, Artabano.
Artaserse, alle Guardie, nell' uscire verso la scena.
Dal carcere, o custodi,
(ad Artabano)
Quì si conduca Arbace. — Ecco adempite
Le tue richieste. Ah, voglia il Ciel che giovi
Questo incontro a salvarlo !
Artabano.
Io non vorrei
Che credessi, o Signor, la mia domanda
Pietà di padre, o mal fondata speme
Di trovarlo innocente. E' troppo chiara
La colpa sua ; deve morir. Non altro
Mi muove a rivederlo
Che la tua sicurezza. Ancor del fallo
E' ignota la cagione,
Sono i complici ignoti : ogni segrete
Tenterò di scoprir.
Artaserse.
La tua fortezza
Quanto invidio, Artabano ! Io mi sgomento
D' un amico al periglio ;
Tu non ti perdi, e si condanna il figlio.
Artabano.
La fermezza del volto
Quanto costa al mio core ! Intesi anch' io
Le voci di natura. Anch' io provai
Le comuni di padre
24
278 ITAXIAN READER.
Deboli tenerezze :
Ma fra le mie dubbiezze
Il dover trionfò. Non è mio figlio
Chi mi porta il rossor di sì gran fallo :
Prima ch' io fossi padre, era vassallo.
Artaserse.
La tua virtude istessa
Mi parla per Arbace. Io più ti deggio,
Quanto meno il difendi. Ah ! renderei
Troppo ingrata mercede a' merti tui,
Se senza affanno io ti punissi in lui.
Dch cerchiamo, Artabano,
Una via di salvarlo, una ragione
Ch' io possa dubitar del suo delitto.
Unisci, io te ne priego,
Le tue cure alle mie.
Artabano.
Che far poss' io,
S' ogni evento 1' accusa, e intanto Arbace
Si vede reo, non si difende, e tace ?
Artaserse.
Ma innocente si chiama. I labbri suoi
Non son usi a mentir. Come in un punto
Cangiò natura ! Ah, 1' infelice ha forse
Qualche ragion del suo silenzio ! A lui
Parli Artabano ; ei svelerà col padre
Quanto al giudice tace. Io m' allontano :
In libertà seco ragiona ; osserva,
Esamina il suo cor. Trova, se puoi,
Un' ombra di difesa. Accorda insieme
La salvezza del figlio,
La pace del tuo re, 1' onor del trono.
Ingannami, se puoi, ch' io ti perdono.
Rendimi il caro amico,
ARTASERSE, ATTO II. SCENA II. 279
SCENA II.
Artabano, (poi) Arbace (con alcune Guardie).
Artabano.
(da se) (ad Arbace)
(Son quasi in porto.) Arbace,
(alle Guardie)
Avvicinati. — E voi
Nelle prossime stanze
Pronti attendete ogni mio cenno.
(le Guardie partono.)
Arbace, da sé.
(Il padre
Solo con me !)
Artabano, ad Arbace.
Pur mi riesce, o figlio,
Di salvar la tua vita. Io chiesi ad arte
Al1' incauto Artaserse
La libertà di favellarti. Andiamo :
Per una via, che ignota
Sempre gli fu, scorgendo i passi tui,
Deluder posso i suoi custodi, e lui.
Arbace.
Mi proponi una fuga,
Che saria prova al mio delitto ?
280 ITALIAN READER.
Artabano.
Eh, vieni
Folle che sei. La libertà ti rendo :
T" involo al regio sdegno ;
Agli applausi ti guido, e forse al regno.
Arbace.
Che dici? Al regno !
Artabano.
E da gran tempo, il sai,
A tutti in odio il regio sangue. Andiamo :
Alle commosse squadre
Basta mostrarti. Ho già la fede in pegno
De' primi Duci.
Arbace.
Io divenir ribelle ?
Solo in pensarlo inorridisco. Ah padre,
Lasciami 1' innocenza !
Artabano.
E' già perduta
Nella credenza altrui. Sei prigioniero,
E comparisci reo.
Arbace.
Ma non è vero.
Artabano.
Questo non giova. E' 1' innocenza, Arbace,
Un pregio, che consiste
Nel credulo consenso
Di chi 1' ammira ; e se le togli questo,
In nulla si risolve. Il giusto è solo,
Chi sa fingerlo meglio, e chi nasconde
Con più destro artifizio i sensi sui
Nel teatro del mondo agli occhi altrui.
Arbace.
T" inganni. Un' alma grande
ARTASERSE, ATTO II. SCENA II. 281
SCENA III.
Artabano, {poi) Megabise.
Artabano, solo.
I tuoi deboli affetti
Vinci, Artabano. Un temerario figlio
S' abbandoni al suo fato. Ah, che nel core
Condannarlo non posso ! Io 1' amo appunto,
Perchè non mi somiglia. A un tempo istesso
E mi sdegno, e 1' ammiro,
E d' ira, e di pietà fremo, e sospiro.
Megabise, entrando.
Che fai ? Che pensi ? Irresoluto, e lento,
Signor, così ti stai ? Non è più tempo
Di meditar, ma d' eseguir. Si aduna
De' Satrapi il consiglio : ecco raccolte
Molte vittime insieme. I tuoi rivali
Là troveremo uniti. Uccisi questi,
Piana è per te la via del trono. Arbace
A liberar si voli.
Artabano.
Ah, Megabise,
Che sventura è la mia ! Ricusa il figlio
E regno, e libertà. De' giorni suoi
Cura non ha ; perde se stesso, e noi.
284 ITALIAN READER.
Megabise.
Che dici?
Artabano.
Invan fin ora
Con lui contesi.
MegaMse.
A liberarlo a forza
Al corcere corriamo.
Artabano.
Il tempo istesso,
Che perderemo in superar la fede,
E il valor de' custodi, agio bastante
Al re darà di preparar difese.
Megabise.
•E' ver. Dunque Artaserse
Prima si sveni, e poi si salvi Arbace.
Artabano.
Ma rimane in ostaggio
La vita del mio figlio.
Megabise.
Ecco il riparo :
Dividiamo i seguaci. Assaliremo
Nel1' istesso momento
Tu il carcere, io la reggia.
Artabano.
Ah, che divisi
Siamo deboli entrambi !
Megabise.
Ad un partito
Convien pure appigliarsi.
Artabano.
Il più sicuro
E' 1' non prenderne alcuno. Agio bisogna
ARTASERSE, ATTO II. SCENA III. "285
SCENA IV.
Artabano, a Semira.
Figlia, è questi il tuo sposo.
(Accennando Megabise.)
Semira, da sé.
(Aimè, che sento !)
(ad Artabano)
E ti par tempo, o padre,
Di stringere imenei, quando il germano. . . .
Artabano.
Non più. Può la tua mano
Molto giovargli.
Semira.
Il sagrifizio è grande :
Signor, meglio rifletti. Io son. . . .
Artabano.
Tu sei
Folle, se mi contrasti.
(accennando Megabise)
Ecco il tuo sposo ; io così voglio, e basti.
Amalo, e se al tuo sguardo
Amabile non è,
La man, che te lo diè,
Rispetta, e taci.
Poi nel1' amar men tardo
Forse il tuo cor sarà,
Quando fumar vedrà
Le sacre faci.
(Parte.)
ARTASERSE, ATTO II. SCENA V. 287
SCENA V.
Semira, Megabise.
Semira.
Ascolta, o Megabise. Io mi lusingo
Al fin del1' amor tuo. Posso una prova
Sperarne a mio favor ?
Megabise.
Che non farei,
Cara, per ubbidirti ?
Semira.
E pure io temo
Le ripugnanze tue.
Megabise.
Questo timore
Dilegui un tuo comando.
Semira.
Ah, se tu m' ami,
Questi imenei disciogli.
Megabise.
Io?
Semira.
Sì: salvarmi
Del genitor così potrai dal1' ira.
Megabise
T' ubbidirei, ma parmi
Ch' ora meco scherzar voglia Semira.
Semira.
Io non parlo da scherzo.
Megabise.
Eh, non ti credo :
Vuoi cosi tormentarmi, io me n' avvedo.
288 ITALIAN READER.
Semira.
Tu mi deridi. Io ti credei fin ora
Più generoso amante.
Megabise.
Ed io più saggia
Fin ora ti credei.
Semira.
D' un' alma grande
Che bella prova è questa !
Megabise.
Che discreta richiesta
Da farsi a un amator !
Semira.
T* apersi un campo,
Ove potevi esercitar con lode
La tua virtù, senz' essermi molesto.
Megabise.
La voglio esercitar, ma non in questo.
Semira.
Dunque in vano sperai ?
Megabise.
Sperasti in vano.
Semira.
Dunque il pianto? . . .
Megabise.
Non giova.
Semira.
Questa preghiere mie ? . . .
Megabise.
Son sparse a' venti.
Semira.
E bene, al padre ubbidirò, ma senti :
Non lusingarti mai
,
ARTASERSE, ATTO II. SCENA VI. 289
SCENA VI.
Semira, Mandane.
Semira.
Qual serie di sventure un giorno solo
Unisce a' danni miei ! — Mandane, ah senti !
Mandane.
Non m' arrestar, Semira.
Semira.
Ove t'affretti?
Mandane.
Vado al real consiglio.
Semira.
Io tua seguace
Sarò, se giova al1' infelice Arbace.
25
290 ITALIAN READER.
Mandane.
L' interesse è distinto :
Tu salvo il brami, ed io lo voglio estinto.
Semira.
E un' amante d' Arbace
Parla così ?
Mandane.
Parla così, Semira,
Una figlia di Serse.
Semira.
Il mio germano
0 non ha colpa, o per tua colpa è reo,
Perchè troppo t' amò.
Mandane.
Questo è il maggiore
De' falli suoi. Col suo morir degg' io
Giustificar me stessa, e vendicarmi
Di quel rossor, che soffre
Il mio genio real, che a lui donato
Dovea destarlo a generose imprese,
E per mia pena un traditor lo rese.
Semira.
E non basta a punirlo
Delle leggi il rigor, che a lui sovrasta,
Senza g1' impulsi tuoi ?
Mandane.
No, che non basta.
Io temo in Artaserse
La tenera amistà : temo 1' affetto
Ne' Satrapi, e ne' Grandi ; e temo in lui
Quel1' ignoto poter, quel1' astro amico,
Che in fronte gli risplende,
Che degli animi altrui signor lo rende.
ARTASERSE, ATTO II. SCENA VI. 291
Semira.
Va, sollecita il colpo,
Accusalo, spietata,
Riducilo a morir ; però misura
Prima la tua costanza. Hai da scordarti
Le speranze, gli affetti,
La data fé, le tenerezze, i primi
Scambievoli sospiri, i primi sguardi,
E 1' idea di quel volto,
Dove apprese il tuo core
La prima volta a sospirar d' amore.
Mandane.
Ah, barbara Semira !
Io che ti feci mai ? Perchè risvegli
Quella al dover ribelle,
Colpevole pietà, che opprimo in seno
A forza di virtù ? Perchè ritorni
Con quest' idea, che '1 mio coraggio atterra,
Fra miei pensieri a rinnovar la guerra ?
Se d' un amor tiranno
Credi di trionfar,
Lasciami nel1' inganno,
Lasciami lusingar
Che più non amo.
Se 1' odio è il mio dover,
Barbara, e tu lo sai,
Perchè avveder mi fai,
Che in van lo bramo ?
(Parte.)
292 ITALIAN READER.
SCENA VII.
Semira, sola.
A qual di tanti mali
Prima oppormi degg' io ? Mandane, Arbace,
Megabise, Artaserse, il genitore,
Tutti son miei nemici. Ognun m' assale
In alcuna del cor tenera parte :
Mentre ad uno m' oppongo, io resto agli altri
Senza difesa esposta, ed il contrasto
Sola di tutti a sostener non basto.
Se del fiume altera 1' onda
Tenta uscir dal letto usato,
Corre a questa, a quella sponda
L' affannato
Agricoltor.
Ma disperde in su 1' arene
Il sudor, le cure, e 1' arti ;
Che se in una ei lo trattiene,
Si fa strada in cento parti
Il torrente vincitor.
(Parte.)
SCENA VIlI.
(Gran Sala del Real Consiglio con Trono da un lato, e
sedili dall' altro per li Grandi del regno — Tavolino, e
sedia alla destra del suddetto Trono.)
Artaserse, {preceduto da una parte delle Guardie, e
da' Grandi del regno, e seguito dal restante delle
Guardie ; poi) Megabise.
Artaserse, a' Grandi del regno.
Eccomi, o della Persia
Fidi sostegni, del paterno soglio
ARTASERSE, ATTO II. SCENA IX. 293
SCENA IX.
Semira, Mandane, Artaserse, Megabise, (Grandi,
Guardie).
Semira.
Artaserse, pietà.
Mandane.
Signor, vendetta.
D' un reo chiedo la morte.
Semira.
Ed io la vita
D' un innocente imploro.
Mandane.
Il fallo è certo.
Semira.
Incerto è il traditor.
25*
294 ITALIAN READER.
Mandane.
Condanna Arbace
Ogni apparenza.
Semira.
Assolve
Arbace ogni ragione.
Mandane.
Il sangue sparso
Dalle vene del padre
Chiede un castigo.
Semira.
E il conservato sangue
Nelle vene del figlio un premio chiede.
Mandane.
Ricordati. ...
Semira.
Rammenta. . . .
Mandane.
Che sostegno del trono
Solo è il rigor.
Semira.
Che la clemenza è base.
Mandane.
D' una misera figlia
Dch t' irriti il dolor.
Semira.
Ti plachi il pianto
D' un' afflitta germana.
Mandane.
Ognun, che vedi,
Fuor che Semira, il sacrifizio aspetta.
Semira.
Artaserse, pietà.
(S' inginocchia.)
ARTASERSE, ATTO II. SCENA X. 295
Mandane.
Signor, vendetta.
(£' ingiiiocchia.)
Artaserse.
Sorgete, oh Dio ! sorgete. Il vostro affanno
Quanto è minor del mio ! Teme Semira
Il mio rigor ; Mandane
Teme la mia clemenza. E amico, e figlio
Artaserse sospira
Nel timor di Mandane, e di Semira.
( Vad&ndo Artàbano.)
Solo d' entrambe io così provo. ... — Ah vieni !
Consolami, Artabano. Hai per Arbace
Difesa alcuna ? Ei si discolpa ?
SCENA X.
Artabano, Artaserse, Semira, Mandane, Megabise,
(Grandi Guardie).
Artabano.
E' vana
La tua, la mia pietà. La sua salvezza
O non cura, o dispera.
Artaserse.
E vuol ridurmi
L' ingrato a condannarlo ?
Semira.
Condannarlo ? Ah crudel ! Dunque vedrassi
Sotto un' infame scure
Di Semira il germano,
Della Persia 1' onore,
L' amico d' Artaserse, il difensore? —
Misero Arbace ! Inutile mio pianto !
Vilipeso dolor !
29 G ITALIAN READER.
Artaserse.
Semira, a torto
M' accusi di crudel. Che far poss' io,
Se difesa non ha ? Tu che faresti ?
(alle Guardie.)
Che farebbe Artabano? — Olà, custodi,
Arbace a me si guidi. — Il padre istesso
(fe Guardie partcmo)
Sia giudice del figlio. Egli 1' ascolti :
Ei 1' assolva se può. Tutta in sua mano
La mia depongo autorità reale.
Artabano.
Come!
Mandane, ad Artaserse.
E tanto prevale
L' amicizia al dover? Punir nol vuoi,
Se la pena del reo commetti al padre.
Artaserse.
A un padre io la commetto,
Di cui nota è la fé ; che un figlio accusa,
Ch' io difender vorrei ; che di punirlo
Ha più ragion di me.
Mandane.
Ma sempre è padre.
Artaserse.
Perciò doppia ragione
Ha di punirlo. Io vendicar di Serse
La morte sol deggio in Arbace. Ei deve
Nel figlio vendicar con più rigore
E di Serse la morte, e '1 suo rossore.
Mandane.
Dunque così. . . .
Artaserse.
Così, se Arbace è il reo,
La vittima assicuro al re svenato,
ARTASERSE, ATTO II. SCENA XI. 297
SCENA XI.
Arbace.
Tanto in odio alla Persia
Dunque son io, che di mia rea fortuna
298 ITALIAN BEADER.
Mandane, ad Artabano.
Quì non si venne
I vostri ad ascoltar privati affanni.
0 Arbace si difenda, o si condanni.
Arbace, da sé.
(Quanto rigor!)
Artabano.
Dunque alle mie richieste
Risponda il reo. Tu comparisci, Arbace,
Di Serse 1' uccisor. Ne sei convinto :
Ecco le prove. Un temerario amore,
Uno sdegno ribelle. . . .
Arbace.
Il ferro, il sangue,
II tempo, il luogo, il mio timor, la fuga
So che la colpa mia fanno evidente,
E pur vera non è ; sono innocente.
Artabano.
Dimostralo, se puoi: placa lo sdegno
Del1' offesa Mandane.
Arbace.
Ah ! se mi vuoi
Costante nel soffrir, non assalirmi
In sì tenera parte. Al nome amato,
Barbaro genitor. . . .
Artabano.
Taci : non vedi,
Nella tua cieca intolleranza e stolta,
Dove sei, con chi parli, e chi t' ascolta ?
Arbace.
Ma, padre. . . .
Artabano, da sé.
(Affetti, ah tollerate il freno !)
300 ITALIAN READER.
Mandane, da sé.
(Povero cor, non palpitarmi in seno !)
Artabano, ad Arbace.
Chiede pur la tua colpa
Difesa, o pentimento.
Artaserse, ad Arbace.
Ah porgi aita
Alla nostra pietà !
Arbace.
Mio re, non trovo
Ne colpa, nè difesa,
Ne motivo a pentirmi ; e se mi chiedi
Mille volte ragion di questo eccesso,
Tornerò mille volte a dir 1' istesso.
Artabano, da sé.
(Oh amor di figlio !)
Mandane.
Egli ugualmente è reo,
(ad Artabano)
O se parla, o se tace. — Or che si pensa ?
(ad Artaserse)
Il giudice che fa? — Questo è quel padre,
Che vendicar doveva un doppio oltraggio?
Arbace.
Mi vuoi morto, o Mandane ?
Mondane, da sé.
(Alma, coraggio.)
Artabano.
Principessa, è il tuo sdegno
Sprone alla mia virtù. — Resti alla Persia
Nel rigor d' Artabano un grand' esempio
Di giustizia, e di tè non visto ancora, —
Io condanno il mio figlio : " Arbace mora."
(Sottoscrive ilfoglio.)
Mandane, da sé.
(Oh Dio !)
ARTASERSE, ATTO II. SCENA XI. 301
Artaserse, ad Artabano.
Sospendi, amico,
Il decreto fatal.
Artabano.
Segnato è il foglio :
Ho compito il dover.
(S' alza, e dà ilfoglia a Megabise.)
Artaserse, da sé.
(Barbaro vanto !)
(Scende dal trono, ed i Grandi si levano da sedere.)
Semira, da so.
(Padre inumano !)
Mandane, da sé.
(Ah, mi tradisce il pianto !)
Arbace, a Mandane.
Piange Mandane ! E pur sentisti al fine
Qualche pietà del mio destin tiranno ?
Mandane.
Si piange di piacer, come d' affanno.
Artabano, ad Artaserse.
Di giudice severo
Adempite ho le parti. Ah, si permetta
Agli affetti di padre
(ad Arbace)
Uno sfogo, o Signor ! — Piglio, perdona
Alla barbara legge
D' un tiranno dover. Soffri, che poco
Ti rimane a soffrir. Non ti spaventi
L' aspetto della pena : il mal peggiore
E de' mali il timor.
Arbace.
Vacilla, o padre,
La sofferenza mia. Trovarmi esposto
In faccia al mondo intero
In sembianza di reo : veder recise
26
302 ITALIAN READER.
scena xn.
Mandane, Artabano, Aktaserse, Semira.
Mandane, da sé.
(Ah, che al partir d' Arbace
Io comincio a provar che sia la morte !)
Artabano.
A prezzo del mio sangue ecco, o Mandane,
Soddisfatto il tuo sdegno.
Mandane.
Ah scellerato !
Fuggi degli occhi miei ; fuggi la luce
Delle stelle, e del sol : celati, indegno,
Nelle più cupe, e cieche
Viscere della terra ;
Se pur la terra istessa a un empio padre,
Così d' umanità privo, e d' affetto,
Nelle viscere sue darà ricetto.
Artabano.
Dunque la mia virtù. . . .
Mandane.
Taci, inumano.
Di qual virtù ti vanti ?
Ha questa i suoi confini, e quando eccede,
Cangiata in vizio ogni virtù si vede.
Artabano.
Ma non sei quell' istessa,
Che finor m' irritò ?
Mandane.
Son quella, e sono
Degna di lode. E se dovesse Arbace
Giudicarsi di nuovo, io la sua morte
Di nuovo chiederei. Dovea Mandane
304 ITALIAN REABER.
SCENA XIII.
Artaseuse, Semira, Artabaxo.
Artaserse.
Quanto, amata Semira,
Congiura il ciel del nostro Arbace a danno !
Semira.
Inumano ! tiranno !
Così presto ti cangi ?
Prima uccidi 1' amico, e poi lo piangi ?
Artaserse.
Al1' arbitrio del padre
La sua vita commisi,
Ed io sono il tiranno, ed io 1' uccisi ?
Semira.
Questa è la più ingegnosa
Barbara crudeltà. Giudice il padre
ARTA9ERSE, ATTO II. SCENA XIII. 305
26*
306 ITAI.IAN READER.
SCENA XIV.
Artaserse, Artabano.
Artaserse.
Del1' ingrata Semira
I rimproveri udisti?
Artabano.
Odi gli sdegni
Del1' ingiusta Mandane ?
Artaserse.
Io son pietoso,
E tiranno mi chiama.
Artabano.
Io giusto sono,
E mi chiama crudel.
Artaserse.
Di mia clemenza
E' questo il prezzo ?
Artabano.
La mercede è questa
D' un' austera virtù ?
Artaserse.
Quanto in un giorno,
Quanto perdo, Artabano !
Artabano.
Ah non lagnarti !
Lascia a me le querele. Oggi d' ogni altro
Più misero son io.
Artaserse.
Grande è il tuo duol, ma non è lieve il mio.
Non conosco in tal momento
Se 1' amico, o il genitore
Sia più degno di pietà.
ARTASERSE, ATTO III. SCENA I. 307
SCENA XV.
Artabano, solo.
Son pur solo una volta, e dal1' affanno
Respiro in libertà. Quasi mi persi
Nel sentirmi d' Arbace
Giudice nominar. Ma, superato,
Non si pensi al periglio.
Salvai me stesso, or si difenda il figlio.
Così stupisce, e cade
Pallido, e smorto in viso
Al fulmine improvviso
L' attonito pastor.
Ma quando poi s' avvede
Del vano suo spavento,
Sorge, respira, e riede
A numerar 1' armento
Disperso dal timor.
(Parte.) -
SCENA II.
Artaserse, solo.
Quella fronte sicura, e quel sembiante
Non 1' accusano reo. L' esterna spoglia
Tutta d' un' alma grande
La luce non ricopre,
E in gran parte dal volto il cor si scopre.
Nuvoletta opposta al sole
Spesso il giorno adombra, e vela,
Ma non cela
ARTASERSE, ATTO III. SCENA III. oli
Il suo splendor.
Copre invan le basse arene
Piceiol rio col velo ondoso,
Che rivela il fondo algoso
La chiarezza del1' umor.
(Parte.)
SCENA III.
Artabano.
(chiamando) (daparte.
Figlio . . . Arbace . . . ove sei? — Dovrebbe pure
(chiama) (daparte)
Ascoltar le mie voci. — Arbace? — Oh stelle !
(a' Congiurati)
Dove mai si celò ? — Compagni, intanto
Ch' io ritrovo il mio figlio,
Custodite 1' ingresso.
(Entra fra le scene a mano destra.)
Megabise, co' Congiurati.
E ancor si tarda ?
Ormai tempo saria. . . . Ma quì non vedo
Nè Artabano, ne Arbace. . . .
Che si fa ? Che si pensa ? In tanta impresa
Che lentezza è mai questa ?
(chiama entrandofra le scene a mano sinistra)
Artabano. . . . Signore?
Artabano, uscendo dall' istesso lato, per lo quale entrò,
ma da strada diversa.
Oh me perduto !
Non trovo il figlio mio. Gelar mi sento :
Temo. . . . Dubito. . . . Ascoso. . . .
Forse in quest' altra parte io non in vano. . . .
(incontrandosi in Megabise, che esce daW istesso lato, per
lo quale entrò, ma da strada diversa)
Megabise !
312 ITALIA»* READER.
Megabise.
Artabano !
Artabano.
Trovasti Arbace?
Megabise.
E non è teco?
Artabano, da parte.
Oh Dei !
Crescono i dubbj miei.
Megabise.
Spiegati, parla,
Che fu d' Arbace ?
Artabano.
E chi può dirlo ? Ondeggio
Fra mille affanni, e mille
Orribili sospetti. Il mio timore
Quante funeste idee forma, e descrive !
Chi sa che fu di lui ! Chi sa se vive !
Megabise.
Troppo presto al1' estremo
Precipiti i sospetti. E non potrebbe
Artaserse, Mandane, amico, amante
Aver del prigioniero
Procurata la fuga ? Ecco la via,
Che alla reggia conduce.
(Accennando laporta a mano destra.)
Artabano.
E per qual fine
La sua fuga celarmi ? Ah Megabise,
No, più non vive Arbace ;
E ognun pietoso al genitor lo tace.
Megabise.
Cessin gli Dei 1' augurio. Ah, ricomponi
I tumulti del cor. Sia la tua mente
ARTASERSE, ATTO III. SCENA III. 313
Ardito ti renda,
T accenda
Di sdegno
D' un figlio
Il periglio,
D' un regno
L' amor.
E' dolce ad un' alma^
Che aspetta
Vendetta,
Il perder la calma
Fra 1' ire del cor.
(Parte.)
SCENA IV.
Artabano, solo.
Trovaste, avversi, Dei,
L' unica via d' indebolirmi. Al solo
Dubbio che più non viva il figlio amato,
Timido, disperato
Vincer non posso il turbamento interno,
Che a me stesso di me toglie il governo.
Figlio, se più non vivi,
Morrò ; ma del mio fato
Farò che un re svenato
Preceda messaggier.
In fin che il padre arrivi,
Fa che sospenda il remo
Colà sul guado estremo
Il pallido nocchier.
(Parte.)
ARTASERSE, ATTO III. SCENA V. 315
SCENA V.
( Gabinetto negli Appartamenti di Mandane?)
Mandane, {poi) Sestiga.
Mandane, sola.
0 che al1' uso de' mali
Istupidisca il senso, o ch' abbian 1' alme
Qualche parte di luce,
Che presaghe le renda, io per Arbace,
Quanto dovrei, non so dolermi. Ancora
L' infelice vivrà. Se fosse estinto,
Già pur troppo il saprei. Porta i disastri
Sollecita la fama.
Semira, uscendo.
Al fin potrai
Consolarti, Mandane. Il ciel t' arrise.
Mandane.
Forse il re sciolse Arbace ?
Semira.
Anzi, 1' uccise.
Mandane.
Come !
Semira.
E' noto a ciascun, benchè in segreto,
Ei terminò la sua dolente sorte.
Mandane, da sé.
(Oh presagi fallaci ! Oh giorno ! 0 morte !)
Semira.
Eccoti vendicata, occo adempito
Il tuo genio crudel. — Ti basta ? o vuoi
Altre vittime ancor ? — Parla.
316 ITAI.IAN READER.
Mandane.
Ah Semira !
Soglion le cure lievi esser loquaci,
Ma stupide le grandi.
Semira.
Alma non vidi
Della tua più inumana. Al caso atroce,
Non v' è ciglio, che sappia
Serbarsi asciutto, e tu non piangi intanto !
Mandane.
Picciolo è il duol, quando permette il pianto.
Semira.
Va, se paga non sei, pasci i tuoi sguardi
Su la trafìtta spoglia
Del mio caro germano ; osserva il seno,
Numera le ferite ; e lieta in faccia. . . .
Mandane.
Taci, parti da me.
Semira.
Ch' io parta, e taccia ?
Fin che vita ti resta,
Sempre intorno m' avrai. Sempre importuna
Rendere i giorni tuoi voglio infelici.
Mandane, da sé.
(E quando io meritai tanti nemici ?)
(a Semira.)
Mi credi spietata ?
Mi chiami crudele ?
Non tanto furore,
Non tante querele,
Chè basta il dolore
Per farmi morir.
Quel!' odio, quel1' ira
D' un' alma sdegnata,
ARTASERSE, ATTO III. SCENA VII. 317
Ingrata Semira,
Non posso soffrir.
(Parte.)
SCENA VI.
Semira, sola.
Forsennata, che feci ? Io mi -credei
Con divider 1' affanno
A me scemarlo, e pur 1' accrebbi. Allora
Che insultando Mandane
Qualche ristoro a questo cor desio,
11 suo trafiggo, e non risano il mio.
Non è ver che sia contento
Il veder nel suo tormento
Più d' un ciglio lagrimar :
Chè 1' esempio del dolore
E' uno stimolo maggiore,
Che richiama a sospirar.
(Parte.)
SCENA VII.
Arbace, (poi) Mandane.
Arbace, solo.
Nè pur quì la ritrovo. — Almen vorrei
Del1' amata Mandane
Calmar gli sdegni, e 1' ire,
Rivederla una volta, e poi partire.
In più segreta parte
Forse potrò. ... — Ma dove,
(vedendo Mandane)
Temerario, m' inoltro ? — Eccola, o Dei !
Ardir non ho di presentarmi a lei.
(Si ritira in disparte inosservato.)
27*
318 ITALIA N READER.
Arbace.
No, Principessa,
Non dir così. So ch' hai più bello il core
Di quel che vuoi mostrarmi : è a me palese ;
Tu parlasti, o Mandane, e Arbace intese.
Mandane.
0 mentisci, o t' inganni, o questo labbro
Senza il voto del1' alma
Per uso favellò.
Arbace.
Ma pur son io
Ancor la fiamma tua.
Mandane.
Sei 1' odio mio.
Arbace.
Dunque, crudel, t' appaga : —
(presentandole la spada nuda)
Ecco il ferro, ecco il seri ; prendi, e mi svena.
Mandane.
Saria la morte tua premio, e non pena.
Arbace.
E' ver, perdona, errai ;
Ma questa mano emenderà. . . .
(In alto d' uccidersi.)
Mandane.
Che fai?
Credi forse che basti
Il sangue tuo per appagarmi ? Io voglio
Che pubblica, che infame
Sia la tua morte, e che non abbia un segno, ;
Un' ombra di valor.
Arbace.
Barbara, ingrata,
Morrò, come a te piace : —
(getta la spada)
Torno al carcere mio.
(In atto dipartire.)
<>20 ITALIAN READER.
Mandane.
Sentimi, Arbace.
Arbace.
Che vuoi dirmi?
Mandane.
Ah ! Nol so.
Arbace.
Sarebbe mai
Quello, che ti trattiene,
Qualche resto d' amor ?
Mandane.
Crucici, che brami ?
Vuoi vedermi arrossir ? Salvati, fuggi,
Non affliggermi più.
Arbace.
Tu m' ami ancora,
Se a questo segno a compatirmi arrivi.
Mandane.
No, non crederlo amor ; ma fuggi, e vivi.
Arbace.
Tu vuoi ch' io viva, o cara ;
Ma se mi nieghi amore,
Cara, mi fai morir.
Mandane.
Oh Dio, che pena amara !
Ti basti il mio rossore ;
Più non ti posso dir.
Arbace.
Sentimi.
Mandane.
No.
Arbace.
Tu sei. . . .
ARTASERSE, ATTO III. SCENA Vili. 321
Mandane.
Parti dagli occhi miei ;
Lasciami pei- pietà.
(A due.)
Quando finisce, o Dei,
La vostra crudeltà?
Se in così gran dolore
D' affanno non si muore,
Qual pena ucciderà ?
(Partono.)
SCENA VIlI.
Artaserse, al Popolo.
A voi, popoli, io m' offro
Non raen padre, che re. Siatemi voi
Più figli, che vassalli. Il vostro sangue,
La gloria vostra, e quanto
E' di guerra, o di pace acquisto, o dono
Vi serberò ; voi mi serbate il trono :
E faccia il nostro core
Questo di fedeltà cambio, e d' amore.
Sarà del regno mio
Soave il freno. Esecutor geloso
Delle leggi io sarò. Perchè sicuro
Ne sia ciascun, solennemente il giuro.
( Una Comparsa reca una sottocoppa con tazza.)
Artabano, porgendo la tazza ad Artaserse.
Ecco la sacra tazza. Il giuramento
Abbia nodo più forte :
322 ITALIAN READER.
(da se)
Compisci il rito. — (E beverai la morte.)
Artaserse, prestando il giuramento.
" Lucido Dio, per cui 1' April fiorisce,
" Per cui tutto nel mondo e nasce, e muore,
" Volgiti a me. — Se il labbro mio mentisce,
" Piombi sopra il mio capo il tuo furore :
" Languisca il viver mio, come languisce
" Questa fiamma al cader del sacro umore ;
(versa sul fuoco parte del liquore)
" E si cangi, or che bevo, entro il mio seno
" La bevanda vita! tutta in veleno.
(In atto di bere.)
SCENA IX.
Semira.
Al riparo, Signor. Cinta la reggia
Da un popolo infedel, tutta risuona
Di grida sediziose, e la tua morte
Si procura, e si chiede.
Artaserse, posando la tazza su I' ara.
Numi !
Artabano.
Qua1' alma rea mancò di fede ?
Artaserse.
Ahi ! che tardi il conosco,
Arbace è il traditore.
Semira.
Arbace estinto?
Artaserse.
Vive, vive 1' ingrato. Io lo disciolsi,
Empio con Serse, e meritai la pena,
ARTASERSE, ATTO III. SCENA X. 323
SCENA X.
Mandane, Artaserse, Artabano, Semira, (Seguito,
Guardie, Popolo.)
Mandane.
Ferma, o germano :
Gran novelle io ti reco :
Il tumulto svanì.
Artaserse.
Fia vero ! E come ?
Mandane.
Già la turba ribelle,
Seguendo Megabise, era trascorsa
Fino al1' atrio maggior, quando, chiamato
Dallo strepito insano, accorse Arbace.
Che non fé', che non disse in tua difesa
Quel1' anima fedel ? Mostrò 1' orrore
Del1' infame attentato : espresse i pregi
Di chi serba la fede : i merti tuoi,
Le tue glorie narrò. Molti riprese,
Molti pregò, cangiando aspetto, e voce,
Or placido, or severo, ed or feroce.
Ciascun depose 1' armi, e sol restava
L' indegno Megabise ;
Ma 1' assalì, ti vendicò, 1' uccise.
.324 ITALIAN READER.
Artabano, da sé.
(Incauto figlio !)
Artaserse.
Un Nume
M' inspirò di salvarlo. E' Megabise
D' ogni delitto autor.
Artabano, da sé.
(Felice inganno !)
Artaserse.
Il mio diletto Arbace
Dov' è ? — Si trovi, e si conduca a noi.
SCENA ULTIMA.
Arbace.
Ecco Arbace, o Monarca, a' piedi tuoi.
Artaserse.
Vieni, vieni al mio sen. Perdona, amico,
S' io dubitai di te. Troppo è palese
La tua bella innocenza. Ah, fa ch' io possa
Con franchezza premiarti. Ogni sospetto
Nel popolo dilegua, rendi a noi
Qualche ragion del sanguinoso acciaro,
Che in tua man si trovò, della tua fuga,
Del tuo tacer, di quanto
Ti fece reo.
Arbace.
S' io meritai, Signore,
Qualche premio da te, lascia ch' io taccia.
11 mio labbro non mente :
Credi a chi ti salvò : Bono innocente.
ARTASERSE, ATTO III. SCESA ULTIMA. 325
Artaserse.
Giuralo almeno, e 1' atto
Terribile, e solenne
(porge la tazza ad Arbace)
Faccia fede del vero. Ecco la tazza
Al rito necessaria. Or seguitando
Della Persia il costume,
Vindice chiama, e testimonio un Nume.
Arbace, prendendo in mano la tazza.
Son pronto.
Mandane, da sé.
(Ecco il mio ben fuor di periglio.)
Artabano, da sé.
(Che fo ? Se giura, avvelenato è il figlio.)
Arbace, che giura.
" Lucido Dio, per cui 1' April fiorisce,
" Per cui tutto nel mondo e nasce, e muore,
Artabano, da sé.
(Misero me !)
Arbace.
" Se il labbro mio mentisce,
" Si cangi entro il mio seno
(in allo di voler bere)
" La bevanda vital. . . .
Artabano, ad Arbace.
. . . Ferma ; è veleno.
Artaserse.
Che sento \
Arbace.
Oh Dei !
Artaserse.
Perchè sin or tacerlo ?
Artabano.
Perchè a te 1' apprestai.
28
326 ITAI.IAN RKADER.
Artaserse.
Ma qual furore
Contro di me ? . . .
Artabuno.
Dissimular non giova :
Già mi tradì 1' amor di padre. — Io fui
Di Serse 1' uccisore. Il regio sangue
Tutto versar voleva. E" mia la colpa,
Non è d' Arbace. Il sanguinoso acciaro
Per celarlo io gli diedi. Il suo pallore
Era orror del mio fallo. Il suo silenzio
Pietà di figlio. — Ah ! se minore in lui
La virtù fosse stata, o in me 1' amore,
Compiva il mio disegno,
E involata t' avrei la vita, è '1 regno.
Arbace, da sé.
(Che dice !)
Artaserse.
Anima rea ! m' uccidi il padre,
Della morte di Dario
Colpevole mi rendi : a quanti eccessi
T" indusse mai la scellerata speme ! —
Empio, morrai.
Artabano.
Noi moriremo insieme.
(Snuda la spada, e seco Artaserse in atto di difesa.)
Arbace, da sé.
(Stelle !)
Artabano, alle Guardie.
Amici, non resta
Che un disperato ardir. — Mora il tiranno,
(ie Guardie sedotte si pongono in atto di assalire.)
Arbace.
Padre, che fai ?
ARTASERSE, ATTO III. SCENA ULTIMA. 387
Artabano.
Voglio morir da forte.
Arbace, in atto di bere.
Deponi il ferro, o beverò la morte.
Artabano.
Folle, che dici ?
Arbace.
Se Artaserse uccidi,
No, più viver non devo.
Artabano, in atto di assalire.
Eh, lasciami compir. . . .
Arbace, in atto di bere.
Guardami, io bevo.
Artabano.
Fermati, figlio ingrato.
Confuso, disperato
Vuoi che per troppo amarti un padre cada ? —
Vincesti, ingrato figlio ; — ecco la spada.
(Getta la spada, e le Guardie sollevate si ritirane fuggendo.)
Mandane, da sé.
(Oh fede !)
Semira, da sé.
(Oh tradimento !)
Artaserse, al sno Seguito.
Olà, seguite
I fugaci ribelli, ed Artabano
A morir si conduca.
Arbace, al Seguito.
Oh Dio ! fermate. —
(ad Artaserse)
Signor, pietà.
Artaserse.
Non la sperar per lui :
Troppo enorme è il delitto. Io non confondo
328 ITALIAN READER.
FINE.
NOTES.
EXPLANATIONS TO THE NOTES.
fare. " Una di qua, etc. one on each side. ,5§ 90. MDit. Felice
Foresti, ll. d.* " From sapere, § 228.
6. "t1 è, there is. "Su via, etc., come now, what avails to be
sileni? ™ From dire, § 273. "From costringere. "So, I know.
" v. (70). » § 230. 75 From colpire. ™ From dovére.
7. "§195. 78From dovére. '' Sarébbe-si, from E.ssere. "From
cadére, § 220. ^ ...mi ... vi, myself to it. ffl Sa élla, do you know.
83 Carbonaro, coalman, a political sect for the independence of
Italy, so called, on account of their having their meetings in eoal-
cellars, or, as some think, for wearing in their assemblies a black
mask. e* Ha-vve-ne, are there any. si Andò-sse-ne, he went thence.
85 From ottenére, § 227.
8. 8:§ 241. 88§ 252. 89 From partire. 003Ii strinse la . . . mano,
he shook my hand, § 138. 91 Mettéa su . . . lead on. "Fromatri-
cindre-ti, thee.
9. 03 Da non sapérmi indurre, as not be able to induce myself.
01 Vi s' aggiunse, there was added. 05 From affluire. M From co
noscere, § 258 and App. "From avére. "From giungere.
99 §233. lro§243.
10. m Ci rincrésce, we are sorry. lo2§ 273. 103 From soggiun
gere, § 242 and App. 1M§ 241. 106 From comparire, § 268.
106 § 253. 107 Métte su, lead to. 108 Schierdvano-si, were drawn up.
11. l09§ 243. "0 From alzare. m Fé' for fece, from/u.re,§ 216.
112 §244. luFrom giungere, § 242. "'§283. 115For vuole, § 225.
llcv. (114). 117From dare, § 216. 1" Conscia, with the knowl-
edgeof. 119§228.
12. mNol, § 363. 121 From decadére, § 220.
13. 122§ 252. 123From rifare. m Tavolaccio, bed of planks.
125 § 230. m From schiùdere. l27§138. 128 Vénnero, from venire,
were, § 341.
14. ™ Può venir, may be. "9§ 269. "1§222. l32From distin
guere, § 245. "3 From assidere, § 240 and App. m From rispón
dere, § 252 and App. "5§ 253.
15. l»§ 335 and 302. "7 § 219. "eFrom avvedére, § 222.
"9§ 252.
* This learned gentleman after fifteen years of hard imprisonment in
the fortress of Spielberg, carne to America, and has ever since occupied
the eminent position of professor of the Italian 1anguage and literature in
the University of the city of New York, and Columbia College.
\
NOTES. 333
20 §273. 21§230.
88. n Non so se io mi dica, I know not whether I should say.
23 From riardere, § 240. 2* From dispónere, § 253.
89. " Lo ha preso, has got hold of him. ■ Marrano, a Spanish
word remained in our language; it meant, originally, a Jew who pre-
tended in public to be converted to Christianity, and in secret ex-
ercised his old religion. 2T § 233. 28 From aggiungere, § 242. 20 Var
chi, Hist. b. 12. *> From percuotere, § 263.
90. 31§ 216. 32§222. 83§ 229. 34§257. » From avvólgere,
§242. 30§253. "§226.
NOTES. 339
32 From conóscere, § 258. " Luigi Alamanni in his satire 12, sing
ing of Venice said: —
" Se non cangi pensier, V un secol solo
Non conferà sopra il millesim' anno
Tua libertà, che vafuggendo a voto."
Fortune verified the prophecy : the election of the first Doge was
made in 797. . . . Venice ceased to be free in 1796, that is one
year before the prediction expired.
102. lfi 214. 2§ 273. 3 From pervenire, § 283. 4§ 237.
103. 5From genufte'ttere, § 241, and App. 0" I request Don
Giovanni di Luna, keeper of the castle, that he should take some of
my blood after my death, and make of it a millet pudding, (migliac
cio) sending it to Cardinal Cibo, so that he may satiate himself in
my death of that which he could not satiate himself in life, for he
needs nothing else in order to arrive at the pontificate, to which he
so dishonestly aspires." Will of Filippo Strozzi. See Niccolini's
Filippo Strozzi. 7 Preso-lo. 8 From estremare. ' § 224. See
Varchi, Hist. b. 12. M From accingere, § 242. " From rispóndere,
§252.
104. 1J Bel tratto, fine artifice. " § 225. 15 From vólgere, § 242.
M Fuori di sé, crazy. » § 230. " From profóndere, § 254. 19 § 228.
105. 20§ 218. 2l Viscere di umanità, affection, a heart that feels
for. ^From essere, § 194. 23§ 282. u Lance spezzate, body
guards.
106. 25§22l. "'"Pope Clement finding himself without money
and without reputation, departed very ill contented on the thirty-
first, and left the Bolognese very ill satisfied on account of a tax
which he imposed upon them ; who, however, in iffch immense con
course of princes and prelates having sold very dearly even those
things ivhich were accustomed in other times, not only to sell cheaply,
but throw away, had filled their city with an unusual amount of
cash." See Varchi's Hilt. b. 11. " From rendere, § 252. a From
provvedére, § 222.
107. w From stendere, § 252. » From avvenire, § 283. 31 From
accórgere, § 242. » § 269. " From interrómpere, § 255. 3*" § 222.
108. 35 Una mano, a troop. 30§253. 37 From chiùdere, § 240.
38 § 244.
109. 39 From rispóndere, § 252.
NOTES. 341
192. " See the speech of John Russell to the Commons, Febrvary
5, 1851, and also that o/.Comoys to the Lords, of the same date.
39 In Liverpool on the 27 th of November, 1850.
193. ^ The libel of Viscount Arlincourt entitled L' Italie rouge,
was translated and spread in Rome and province» wilh manifest
favor ofthe ecclesiastic government.
194. n Dare negli occhi, to offend.
195. ^Fra Girolamo Savonarola.
END.
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