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ANNO VII RINASCENZA NM, ENTINA ORGANO vetia R.DEPUTAZIONE pi STORIA PATRIA PER LE PUGLIE NOTE CRITICHE AL CARTARIO DI S. PIETRO IN INSULA MAGNA DI TARANTO Nel diploma che Costanza, regis Francorum Philippi filia do- minique Boamundi principis Antiocheni quondam coniux, € il figlio Boemondo, eiusdem domini Boamundi filias, avrebbero rilasciato nell’ottobre 1118 (1119 stile bizantino) in favore del monastero di S. Pietro in insula magna di Taranto, risalta in modo patti- colare il Signum manus Willelmi filii_ magni comestabilis_ principis domini Boamundi “, Questa signatio s'impone invero all’esame dello studioso, e perché attribuisce a Boemondo II il titolo di princeps escluso dagli altri documenti a noi pervenuti, e perché delinea in via del tutto eccezionale I’esistenza di un magnus comestabilis alle dipendenze del principe stesso. Per quanto riguarda il primo rilievo osservo che nel diploma del marzo del 1115, conservato in originale nell’archivio vescovile di Nardd, ricorre la manufirmatio seguente: + Signum manus domni Boamundi filii domni Boamundi quondam Antiocheni prin- cipis 2); e che nel diploma del dicembre 1116 Boemondo II, che ne fu autore, cosi si sottoscrisse: + Signum crucis manu Boa- (1) Questo diploma fu pubblicato, senza alcuna indicazione, da G, F. TANZI, L’Ar- chivio di Stato in Lecce, 1902, pag. 136 seg.. Ne chiesi notizie al dott. G. Cota, succes- sore del Tanzi, e mi fu risposto che il detto diploma non si trova nell’Archivio di Lecce, né in originale n& in copia. Per un incitamento a ricerche pit diligenti riporto da Gli lr- chivi della Storia d’htalia del Mazzatinti (II, 1899, pag. 8) quanto al proposito fu co- municato da G. Guerrieri sull'Archivio provinciale di Lecce: « Le copie dei diplomi normanni © svevi nei protocolli notarili sono: ... due donazioni di Costanza moglie di Boe- mondo e principessa di Taranto del 1118 ¢ 1119 a favore dei monasteri di S. Bartolomeo e di S. Andrea in Insula di Taranto... ». (2) G. Guerrieri I conti normanni di Nardd e Brindisi, este. dall'Arch. stor. prov. napol., XXVI, 1901, pag. 33. 2 Rinascenza Salentina mundi magni Boamundi Antiocheni principis filii (), Non Boe- mondo II, ma il padre Boemondo | ebbe dunque il titolo di prin- ceps col predicato di Antiochenus, di principe di Antiochia e soltanto di Antiochia @). Per quanto riguarda il secondo rilievo osservo che il diploma dell’ottobre 1125 (1126 stile bizantino) presenta questa _sottoscri- scrizione: Signum manus mee Guidi Caprioli domini Boamundi comistabulus qui suprascripta firmo @; e che il successivo diplo- ma del gennaio 1126 ha: Signum crucis feci ego Rogerius de Montibus domini Boamundi comestabulus propria manu ad con- firmationem prescriptorum (4), Non un gran connestabile, ma un con- nestabile fu dunque alle dipendenze di Boemondo II. Ma cid non & tutto. La rilevata signatio ricorda in certo qual modo la sottoscrizione apposta nel diploma col quale Boemondo II avrebbe concesso nel 1092 al monastero di Aversa la chiesa di S. Pietro. in Bevagna, ecclesiam sancti Petri de Babaneo, nonché il casale di Figline, casale Fillini cum omnibus suis pertinentiis. Tale diploma @ giunto a noi in duplice copia. Nella prima si legge: + Signum manus [mee Guillelmi filii David] comestabuli domini Antiocheni principis ©); nella seconda invece: *» Signum manus meae Gulielmus filius David comestabile domini Boamundi hic pro- bo ©, Ma questo diploma é 'indiscutibilinente falso, come falso & V'altro diploma del 1100 attribuito pure a Boemondo II (che non (1) Ughelli, Malia sacra, Vil, 615. (2) Nell'ottobre del 1087 Boemondo I, gid signore di Taranto, largi una donazione al monastero di S. Pietro Imperiale; nella carta redatta in greco egli si qualificd semplicemente : figlio dell’llustrissimo Duca. F. Trinchera, Syllabus graccarum membranarum, n. 50. E. pertanto si erta quando i attribuisce a Boemondo | il titolo di principe di Taranto, Per Boe- mondo Il ricordo la nota di Romualdo Salernitano: nel settembre del 1126 Boamundus iuvenis transfretavit in Antiochiam, et factus est princeps in loco patris sui. 3) G. Robinson, History and Carlulary of St. Elias of Carbone, pag. 256. (4) Ughelli, op. cit., IX. 128. (3) R. Neapol. Arch. Monumenta, V, n. 459. (©) P. Coco. Il Santuario di S. Pietro in Bevagna, 1915, pag. 68. G. Antonucci - Note critiche al cartario 3 era ancor nato), e segnalante questa sottoscrizione: “ Signum ma- nus mee Guillelmi filii David comestabuli domini Boamundi qui hoc probo ('), Tale corrispondenza non pud non sorprendere: ma la sorpresa deve rimanere... sorpresa, deve costituire cioé un invito ad accen- tuare l'indagine, ma non a subito concludere. Ed accentuando Yin- dagine c’imbattiamo nel diploma, finora insospettato, del maggio 1126, e nel quale si legge: Signum manus mee Guilielmi filii dudum (sic; David?) comestabuli domini Boamundi qui hoc probo. ?) Ed allora? Una prima conclusione @ possibile: la signatio ri- corrente nel diploma dell’ottobre 1118, pur sollevando qualche so- spetto sull’autenticita del documento, va quanto meno ritenuta scor- retta, e va precisata con l’esclusione dell’uno e dell'altro rilievo su riferiti, negando cioé a Boemondo II il titolo di princeps e un di- pendente magnus comestabilis, * ee I limiti posti alla tracciata conclusione delineano un problema che merita di essere subito chiarito e possibilmente risolto. Il so- spetto sollevato sull’autenticita del diploma dell’ottobre 1118 dalla signatio di Guglielmo connestabile perché ricorrente nelle due false donazioni del 1092 e del 1100, ha fondato motivo di permanenza di fronte all’insospettato diploma del maggio 1126 rivelante una eguale signatio del connestabile Guglielmo? In altri termini, altri e ancora pit semplici: i] diploma del maggio 1126, se é insospettato, & anche insospettabile ? Faccio anzitutto presente che detto diploma é dichiarato manu notarii Beringarii scriptum, che & lo stesso notaio dei due falsi diplomi del 1092 e del 1100; non solo, ma come in questi due, (1) R. Neapol. Arch. Monumenta, V, n. 502. (2) R. Neapol. Arch. Monumenta, V, n. 591. 4 » Rinascenza Salentina cost in quello figura il Signum manus mee Uberti domini Boa- mundi protocamerarit qui hoc firmo, che non si riscontra negli altri diplomi. . Ora, quale il significato, quale la portata di questa nuova coincidenza ? Col diploma del maggio 1126 Boemondo II dond alla chiesa di S. Pietro in Bevagna un villano, Griso nomine, che egli aveva in Fellino casali eiusdem ecclesiae. Ma tanto la chiesa di S. Pietro quanto il casale di Felline erano da tempo una dipendenza ed una pertinenza del monastero di S. Lorenzo d’Aversa. Nel diploma ri- lasciato al nominato cenobio dal duca Ruggero nel maggio 1092 e confermato da Federico II nel marzo del 1223 @ detto: Conce- dimus... sanctum Petrum in Balbaneo cum casali suo, quod co- gnominatur Fellinum (); e in un altro diploma rilasciato nell’ aprile 1102 dallo stesso duca Ruggero allo stesso monastero d’Aversa si legge: Confirmamus... sanctum Petrum de Babagnia et unum ca- salem qui vocatur Filina \). Evidente @ il contrasto fra queste donazioni di Ruggero e quella di Boemondo: nell’ultima invero la chiesa di S. Pietro, destinataria della concessione, @ dimostrata prov- vista di un’autonomia, che nelle prime @ recisamente esclusa. Che si tratti di un falso, costruito per convalidare una pre- tesa indipendenza della chiesa di S. Pietro dal monastero di Aversa, e quindi per combattere Laltro falso diploma del 1092, pure di Boemondo II? Tutto conduce a dare una risposta affermativa e a far ritenere il diploma del maggio 1126 non solo una falsificazione diplomatica, ma anche una falsificazione storica. Questo giudizio conclusivo non pud non riflettersi_ sul diploma dell’ottobre 1118, € quindi non pud non sollecitare lesame storico dello stesso. ()) Huillard-Braholles, Historia diplomatica Frideric I, Ml, 1, pag. 323 seg. (2) R. Neap. Arch. AConum., V, n, 508. G. Antonucci - Note critiche al cartario 5 Col diploma dell’ottobre 1118 il monastero di S. Pietro in insula magna avrebbe ottenuto in conferma il possesso dell’intera isola, nonché di vari beni siti in territorio di Massafra, ed in dono una terra presso S. Nicola di Vetraniolo per edificarvi una domus, un luogo imprecisato sul fiume Tara per costruirvi un molendinum, un fondo denominato Jnsula con alcune adiacenze, e parte della lama di Salete. Per quanto riguarda le quattro donazioni ci manca ogni ele- mento di controllo: e un tale silenzio non pud non aprire l’adito alle ipotesi pitt contraddittorie. Meglio quindi tacere, in attesa che ulteriori ricerche conducano al ritrovamento di dati documentali ri- spondenti allo scopo. Le due conferme suggeriscono invece particolari_considerazioni sopratutto perché una saliente differenza intercede tra la prima e la seconda. Ecco la prima: « Concedimus et confirmamus... prenominatam insulam sicut antea concessit predicto sancto monasterio bone me- morie Rogerius dux Roberti Guiscardi filius, ita tamen ut nullus homo contrarietatem vel molestiam aliquam tibi faciat, nec ulla omnia sine nostra nostrorumque successorum licentia et voluntate im- ponat; quin etiam donamus, confirmamus, annuimus predicto sancto monasterio ut si aliquis ex hominibus eiusdem sancti monasterii curie nostre pro aliqua appellatione in culpam inciderit integram medie- tatem redemptionis predictus abbas suique successores habeant ». Cosicché l’insula magna Tarenti era stata gid concessa al monastero di S. Pietro dal duca Ruggero; ma quando e come non & detto. La conferma di Costanza e Boemondo fu accompagnata con una garanzia generica contro ogni violenza e con una limitata esenzione da ogni aggravio; non solo ma fu susseguita dalla dispo- sizione per la quale la redemplio, dovuta dagli uomini del mona- stero risultati in colpa presso la curia signorile pro aliqua appel- é Rinascenza Salentina latione, andava assegnata per met& all’abbate del monastero me- desimo. Ed ecco la seconda: « Preterea concedimus ¢t confirmamus... tibi_venerabili abbati tuisque successoribus ad habendum tenendum et quiete possidendum omnia illa quecumque in privilegio beate Marie que dicitur de Casale nostre obedientie a Rinaldo Siniscalco facto continentur et ea et alia que habentur in territorio Massafre vel pro utilitate predicti sancti monasterii adquisiturus esset, secura et absque ulla nostra nostrorumque heredum et successorum contra- rietate vel requisitione >. Fu confermato dunque quanto compreso nella donazione di S. Maria del Casale largita da Rinaldo (o Riccardo?) Siniscalco, e quanto il monastero possedeva o era per possedere in territorio di Massafra: ¢ tutto questo fu esplicitamente assicurato contro ogni azione contraria ed esentato da ogni pubblico aggravio. E. qui sorgono spontanee alcune domande. Come mai non fu estesa all’insula magna, direttamente legata al monastero, Vimmunita largita alle altre dipendenze ? come mai si preferl per queste una incondizionata esenzione, mentre per la prima Vimpositio fu dichia- rata possibile solo se consentita dall’autorita erile? come mai gli homines monasterii furono dichiarati direttamente sottoposti alla juris- dictio del signore? Evidentemente perché si volle col diploma in esame affermare e far ritenere il monastero di S. Pietro sub defensione, in obedientia del signore feudale. Ed a qual fine? Per combattere la contraria pretesa dell’ar- civescovo di Taranto, resa chiara dal diploma 15 settembre 1131 attribuito a Ruggero II. Questo diploma & cosi registrato in un in- ventario del 1662: « Roggiero re di Sicilia conferma al monastero di santo Pietro in insula magna tutti li privileggi > ; ma ci & giunto in una tardissima copia, eseguita a Taranto il 20 marzo 1736. G. Antonucci - Note critiche al cartario 7 La riproduco seguendo la trascrizione curatane dal Blandamura. (!) In nomine sanctissime et individue trinitatis. Anno incarnationis do- mini nostri lesu Christi millesimo centesimo trigesimo primo, indictione nona. Ego Rogerius dei gratia Sicilie et Italie rex, christianorum adiutor et clipeus, Rogerii magni pii comitis haeres et filius. Si iuste postulatio voluntatis omnibus dei cultoribus locisque venerabilibus studio debet prose- quente compleri illis precipue, qui pro peccatis nostris assidue vigiliis et orationibus dei clementiam mereantur pie postulationis effectu iugiter de- bemus impendere. Tuis ergo tuorum, frater loannes monasterii sancti Petri de insula maiori que est ante Tarentum abbas reverende, petitionibus cle- mentius annuentes pro salute anime patris gloriose memorie Rogerii co- mitis matrisque nostre Adelaide regine, et nostra nostrorumque parentum, concedimus predicto monasterio sancti Petri et tibi tuisque successoribus habendum tenendum et quiete possidendum omnia illa quecumque in pri- vilegio, a Constantia regis Philippi Francorum filia et Boamundi Roberti Guiscardi filii coniuge facto, contineantur, ut ea et alia, que hodie tenes vel pro utilitate supranominati monasterii adquisiturus es, secure absque ulla nostra nostrorumque heredum vel successorum contrarietate vel requi- sitione, servata tamen Tarentine ecclesie reverentia et dignitate, et alia sicut in privilegio tibi et prefato monasterio a Rinaldo eiusdem ecclesie facto describitur et continetur teneas atque quiete tu tuique successores possideas. Si quis vero, quod absit, huius nostre concessionis privilegium teme- rario ausu aliquo in tempore violare presumpserit, mille solidos aureos curie nostre et totidem prefato monasterio componat, et hec carta firma et stabilis omni tempore permaneat et presens decretum pristinum robur ob- tineat. Ad huius autem nostre concessionis iudicium per manus Guidonis nostri notarii scribi, et nostro typario ac bulla plumbea insigniri precipimus. Facta Troie XV mensis septembris. Locus +} signi. In questo diploma non @ ricordata la concessione del duca Ruggero, ma é@ richiamata invece quella di Costanza (e perché non anche del figlio Boemondo?); non si accenna a conferma, ma si (1) G. Blandamura, Choerades Insulae 1915, pag. 265, se - Cir. per Ia data F.Chalandon, Histoir, de la domin. norm. en Halie, II, pag. 13. 8 Rinascenza Salentina parla di concessio, e si da a questa una portata pili vasta e non corrispondente a quella contenuta nel privilegio del 1118 rilasciato da Costanza unitamente al figlio Boemondo: difatti I'esenzione da ogni requisitio erile non é pitt limitata ai beni siti in Massafra, ma estesa a tutti i possessi, e quindi anche all’insula magna; correla- tivamente si fa salva la reverentia dovuta dal monastero alla sede arcivescovile. Ora, che il diploma di Ruggero II sia da. considerare falso non cade dubbio: lo prova in modo pitt che sicuro la datatio in quanto nel settembre 1131 il re trovavasi in Sicilia e non in Puglia. N& salvezza alcuna pud ricavarsi riferendo la data all’indizione bi- zantina: nel settembre 1130 Ruggero II non aveva ancora il titolo di re, stato da lui assunto il giorno 25 del dicembre successivo. Quale la conclusione? Che ci troviamo di fronte a due _ atti diplomaticamente falsi, che si combattono a vicenda per difendere contrarie pretese: l'indipendenza posseduta dal monastero basiliano di S. Pietro, la soggezione di questo all’arcivescovo voluta dalla chiesa di Taranto. Nell’Archivio Capitolare di Taranto si trova, in cattivo stato di conservazione, un atto del settembre 1125 (1126 stile bizan- tino), proveniente senza dubbio dal cenobio insulare di S. Pietro. Eccone la lezione, lacunosa per le non poche lacerazioni e cor- rosioni ("), [Quoniam] quicquid in sanctis dei ecclesiis ab hominibus impenditur a deo centumplicate restauratur [sic; corr. restituitur]. Ideo ego Riccardus napolitanus [.....] miles recompensationem consequi non ambigens offero (1) La lettura di questo documento mi fu resa possibile dalla squisita cortesia dell'a- mico Dott. Cosimo Acquaviva, che mi procurd vari saggi fotografici della danneggiata perga- mena, - G. Antonucci - Note critiche al cartario 9 deo ac ecclesie sancti Petri maioris Tarentine insule et tibi domino Iohanni eiusdem abbati ecclesie quicquid mihi pertinet a parte patris mei Villelmi in Massafre pertinentiis de terris ac olivis pro salute animarum meorum parentum et mea. Offero itaque cunctas terras [et olivas mihi] pertinentes vobis ac prefate ecclesie ad semper habendas et possidendas, et ut quicquid de eis exinde [facere] libuerit fatiant sine omni mea meorumque parentum contradictione et requisitione [et contrarietate]. Ut autem melius propaletur quod sancte offero ecclesie fines enumerare curavi. Ab oriente [. parte casilia ecclesie sancti Mar.|.......] clausura sancti Angeli. Has igi- tur fines terras et olivas [. offero potestatem tribuens tibi tuisque successoribus [alienandi donandi] ] meorumque parentum adyersitate. Si autem, quod absit, divine vindicte J, ab occidente via Patemiscum descendens, a boree |] preces deo ac ecclesie tibi eiusdem abbati vicariandi et omne aliud fatiendi quod vobis placuerit sine mea [. immemor temerario ausu [eidem ecclesie] quod offero auferre temptavero, breve quoque concessionis evacuare voluero, aut ab omni humana persona vos inde noluero defendere et tutari ab [omni] contradictione iram dei sanctorumque patrum et sancti Petri incurram [udeque particeps centum aureos [vestre] parti totidemque componam in publico. Hoc idem persol- vant mei eredes aut si auferre voluerint aut si non defenderint. Carta hac firma manente, quam a Beringario Benedicti clerici filio notario scribi ro- gavi. Anno ab incarnatione [domini] millesimo centesimo vicesimo sexto, indictione quarta, mense septembris. + Signum manus Boamundi domini Boamundi filii huius brevis factoris et concessoris. + Signum manus domini Alexandri Cupersanensi comiti. + Signum manus Riccardi napolitanus miles. + Signum manus domini Ugo Talabotti miles. + Signum manus domini Tristeni filii Asgot. <> Signum Rogerii camerarii domini Boamundi. Trattasi dunque di una donazione di terre in’ Massafra, ope- Tata in favore del nostro cenobio di S. Pietro dal miles Riccardus napolitanus e rogata dal notaio Berengario, che deve essere lo stesso notaio dei falsi diplomi di Boemondo II. Ma cid che veramente sorprende nel riferito atto é la sottoscri- zione di Boemondo Il, che dicesi factor ef concessor del bene. Come mai un tale sospetto intervento ed una tale sospetta dichia- io Rinascenza Salentina razione? L’unica ipotesi esplicativa che appare possibile & questa: che il documento fu costruito per comprovare i rapporti di obedientia fra il signore feudale e il monastero basiliano, delineati dal falso diploma dell’ottobre 1118. * Se il breve del settembre 1125 @ strettamente connesso al falso diploma di Costanza e Boemondo Il, dell’ottobre 1118, in eguale rapporto col falso diploma di Ruggero Il, del settembre 1131, & la bolla di Clemente Ill del dicembre 1188, giunta a noi in una copia molto tarda (del 15 agosto 1719) e poco corretta. Ne do qui il testo integrale, collazionatomi con estrema cortesia dal dott. Egildo Gentile dell’Archivio di Stato di Napoli). Clemens episcopus servus servorum dei, dilectis filiis abbati S. Petri de insula maiori civitatis Tarenti etc. in perpetuam memoriam quotiescum- que postulatur a nobis, quod religioni et honestati convenire dinoscitur animo nos decet libenti concedere, et petentium desideriis congruum suf fragium impartiri. Ea propter dilecti in domino fii vestris justis postula- tionibus clementer annuimus, et prefatum monasterium S. Petri de insula maiori in quo divino estis obsequio mancipati sub b. Petri et nostra pro- tectione suscipimus, et presentis scripti privilegio communimus. In primis si quidem statuentes ut ordo monasticus qui secundum Deum et b. Be- nedicti regulam jnstitutus esse dinoscitur perpetuis ibidem temporibus in- violabiliter observetur. Praeterea quascumque possessiones quaecumque bona idem monasterium inpresentiarum juste et canonice possidet, aut in futurum concessione pontificum, largitione regum vel principum, oblatione etiam fidelium seu aliis iustis modis praestante domino poteritis adipisci firma vobis vestrisque successoribus et illibata permaneant, in quibus haec pro- priis duximus exprimenda vocabulis: ecclesiam S. Petri. cum magna in- sula in Tarento; ecclesiam S. Nicolai de Abbate sancto cum domi[bus] et furno, et molendinis intus in Tarento; ecclesiam S. Nicolai de Balneo cum hospitali et domibus; in locum Tarae potestatem construendi molen- (1) Ci. G. Blandamura, op. cit, pag. 268 seg. G. Aantonucci - Note critiche al cartario il dini, quam a bonae memoriae nobili muliere uxore quondam Boamundi vobis concessam; et terram vacuam quae vocatur Insula; in locum Sa- letae medietatem lamae cum tota macchia, quae est a parte Boreae, et aliam medietatem lamae, quae in oblatione ab aliis hominibus est con- cessa; terram in Gualdo Tarenti pro duobus paris bovum ad seminan- dum et novalia faciendum; et insuper in parvo mari Tarenti homines praedictae ecclesiae capiant pisces cum duabus barchellis et duobus_ lin- tribus, et si ipsi homines piscantur cum aliis barchellis tribuant monasterio tertiam partem piscium, sicut a praedicta nobili muliere est vobis conces- sum; insuper praedictam ecclesiam {S. Nicolai, quam venerabilis frater noster episcopus Tarentinus ad censum trium cannatarum olei, trium li- brarum cerae et unius ungiae auri vobis concessit; ecclesiam S. Aegidii de Lisia cum terris Ojuli et aliis terris; ecclesiam S. Sosti intus cum olivis, terris et vineis; ecclesiam S. Mariae de Tridio cum olivis et de- cima, quam habet in terra Massafrae; ecclesiam S. Mariae de Casali, ec- clesiam S. Mennae, ecclesiam S. Ioannis, ecclesiam S, Angeli cum olivis, terris, vineis, a nobili viro Riccardo Senescalco vobis concessam; in terra lu- venacii ecclesiam S. Caterinae cum olivis, domibus a praefata nobili_ muliere vobis concessam; in terra Policolis ecclesiam S. luliani cum terris et vineis a nobili muliere Alberda vobis concessam; in terra S. Archangeli ecclesiam S. Angeli de Lu cum vineis, terris et aliis pertinentis suis. Sane nova- lium vestrorum quae propriis manibus aut sumptibus colitis nullus a vobis decimas exigere vel extorquere praesumat. Sepulturam quoque loci ipsius liberam esse sancimus, ut eorum extremae voluntati et devotioni, qui illic sepeliri deliberaverunt nullus obsistat, nisi forte excommunicati vel inter- dicti sint: chrisma vero, oleum sanctum, consecrationes altarium seu basi- licarum, ordinationes clericorum et caetera ecclesiastica sacramenta a dio- cesano recipietis episcopo; siquidem catholicus fuerit et gratiam atque communionem apostolicae sedis habuerit, et ea vobis absque pravitate im- pendere voluerit, alioquin quemqumque malueritis adeatis antistitem, qui nostra fultus auctoritate quod postulatur impendat. Obeunte vero te nunc ejusdem loci abbate vel tuorum quolibet successorum, nullus ibi subrep- tionis astutia seu violentia praeponatur, nisi quem fratres communi con- sensu vel fratrum pars consilii sanioris secundum deum et b. Benedicti regulam providerint eligendum. Decernimus ergo ut nulli omnimo homi- num liceat praefatum monasterium temere perturbare aut eius possessiones auferre, vel ablata retinere, minuere seu quibuslibet variationibus fatigare, sed omnia integra conserventur eorum pro quorum gubernatione ac su- stentatione concessa sunt usibus omnimodis profutura. Salva sedis aposto- 12 Rinascenza Salentina licae auctoritate, et diocesani episcopi canonica justitia, si qua igitur in futurum ecclesiastica secularisve persona hanc nostrae constitutionis pagi- nam scienter contra eam temere venire tentaverit, secundo tertiove com- monita, nisi reatum suum congrua satisfactione correxerit potestatis hono- risque sui, dignitate careat, reamque se divino judicio existere de perpa- trata iniquitate cognoscat, et a sacratissimo corpore et sanguine dei et domini redemptoris nostri lesu Christi aliena fiat, atque in extremo exa- mine districtae ultioni subiciat, cunctis autem eidem loco sua iura ser- vantibus sit pars domini nostri Iesu Christi quatenus et hic fructum bonae actionis percipiant, et apud strictum judicium praemia aeternae pacis in- veniant.-Ego Clemens catholicae ecclesiae episcopus. Ego loannes_presbiter cardinalis de S. Marci. Ego Pandulfus presbiter cardinalis basilicae XII Apostolorum. Ego Albinus ecclesiae S. Crucis in Hjerusalem_presbiter cardinalis. Ego Radulfus ecclesiae S. Praxedi presbiter cardinalis. Ego loan- nes ecclesiae S. Anastasiae presbiter cardinalis. Ego lacobus diaconus car- dinalis S. Mariae in Cosmedin. Ego Gratianus SS. Cosmae et Damiani dia- conus cardinalis. Ego Bernardus S. Mariae Novae diaconus cardinalis. Loco +> plumbi, Datum literarum per manum Moysi S. R. E. subdiaconi vicem agentis cancellarii tertio nonas decembris anno incarnationis dominicae MCLXXXIll (sic). Pontificatus vero domini Clementis PP. II] anno primo. Nella bolla di Clemente III, che ripetendo il formulario del tempo trascura il titolo di archiepiscopus ormai riconosciuto all’or- dinario di Taranto, trova eco significativa il falso diploma dell’ot- tobre 1118, attribuito anche qui, come nel falso diploma di Rug- gero Il, alla sola Costanza e non anche al figlio Boemondo. E trattasi di un’eco significativa, perch? richiamando nel documento pontificio quella concessione, si combatteva con esso ogni ragion di autonomia da quella derivabile; I’autonomia negata dal falso di- ploma di Ruggero II con I’inciso che manteneva ferma la reverentia dovuta dal cenobio di S. Pietro alla chiesa di Taranto. A tale inciso corrisponde appieno la clausola del documento pontificio riaf- fermante sul cenobio medesimo la canonica iustitia diocesani epi- scopi. Ed & appunto per questo collegamento che la bolla di Cle- mente III non pud non seguire le sorti del falso diploma di Rug- gero Il. GIOVANNI ANTONUCCI Francavilla, toponimo scomparso in quel di Maglie, equivocato con Francavilla Fontana Nei primordi del sec. XIV sorgeva nella parte nord-est della Foresta Oritana, dai diruti. casali di Pazzano, Altavilla, Casalino, Le Caselle, S. Giovanni Gerosolimitano e Casivetere il nuovo centro di Francavilla. Ma un altro centro abitato, con lo stesso nome, esisteva sin dai tempi nor- manni nel tertitorio di Maglie e propriamente nelle vicinanze di Scor- rano. Questo pit antico Casale scomparso, @ stato da taluni scambiato col nuovo. La notizia pit antica che parla dell’esistenza di un toponimo detto Francavilla, confuso dal Giustiniani (') coll’altro casale omonimo sorto in diocesi di Oria, @ tratta dal Catalogo dai Baroni di Terra d’Otranto pubblicato dal Borrelli. In esso leggesi: Sotto i Normanni si ha_notizia che tra i militi di Taranto un cittadino di nome Goffredo oriundo di Francavilla (certamente vicino Maglie) possedeva un feudo nel tarantino per cui pagava la meti di un milite e per I'aumento egli si era offerto alla difesa delle vicine sponde marittime (2), [| Giustiniani, che ha inav- vertitamente messo Goffredo tra i primi feudatari di Francavilla Fontana, perch’ possedeva un feudo nel tarantino, parlando in seguito di Scorrano, precisa l'altro toponimo omonimo, dicendo: « Voglio notare: nello stesso anno 1605 si ha notizia di Girolamo Martinegro, marchese di Marigliano che vendea a Paolo Marigallo di Lecce il feudo di Francavilla in Otranto, vicino al feudo di Maglie, al feudo di Peture e al feudo di Melpignano vicino al territorio della terra di Scorrano » Il Giustiniani quindi chiama (3) feudo di Francavilla il su accennato territorio, essendo stato il casale ab- (1) Dizionario Geografico ragionato del regno di Napoli, Napoli, 1804, Vol. IV, p. 357. (2) Ecco le precise parole del Giustiniani; « Groffridus de Francavilla, sicut inventu est in Quinternionibus Curiae, tenet in Tarento feudum dimidii militis et’ cum augumento obtulit seipsum ad custodiam maritimae ». Queste parole fecero dire”al Palumbo: « Di maggiore me- raviglia & Topinione del Giustiniani, il quale nel suo dizionario fa esistere Francavilla ai tempi normanni > cid perché ignorava I’esistenza del toponimo omonimo nel leccese, (Storia di Fran- cavilla Fontana. Noci, Cressati, 1901 1. volume, p. 33). (3) Ediz. Napol. v. VIII, p. 370. 14 Rinascenza Salentina bandonato sin dalla seconda meta del secolo XV, se non prima, ed era certamente attribuendo a Goffredo la feudalita dell’omonimo vicino Oria. Dal diploma del re Carlo Il d’Angid del 1323 di cui si conoscevano poche parole e da noi rintracciato per intero nell'Archivio di Stato di Napoli, quando Francavilla Fontana era sorta da pochi anni o soltanto da qualche anno, leggesi che il re concedeva al feudatario Guglielmo di Nohe i casali di Noha (vicino Galatina), di Francavilla edi Gaballino e il teni- mento di Crucis Aschi, esistenti nella Contea di Lecce in terra d’Otranto (!) Che nel citato documento trattisi_ di Francavilla vicino Maglie, si rileva dal contesto parlandosi in esso di casali dipendenti dalla contea di Lecce, della quale mai ha fatto parte il tenimento feudale di Oria in cui sorse Francavilla Fontana. Di questa affermazione fanno fede tutti gli storici locali e per primo l’Albanese, che parlando di Oria ¢ del vasto feudo dal tempo della dominazione Angioina agli Aragonesi, accenna alla dipendenza dal principato di Taranto ¢ non mai dalla contea di Lec- ce (2), Cosi narra I'Errico 3) ed altri. Il Palumbo conobbe questo documento, almeno in parte, come ri- ferisce, e dubitd se veramente il Di Nohe fosse stato feudatario di Francavilla Fontana, soggiungendo: « Poco si sa di costui e s‘ignora se veramente ebbe dritti sui casali accennati e se riscosse decime special- mente in Francavilla che si diceva immune > (4). Questo documento, che ha dato luogo a molteplici interpretazioni € che ha fatto equivocare Fran- cavilla Fontana coll’omonimo nel leccese, & di grande importanza per la toponomastica salentina e anche per la conoscenza dei feudatari che hanno posseduto gli omonimi casali e precisa che Francavilla Fontana non ha mai fatto parte della contea di Lecce n@ fu ceduto a Gualtiero di Brienne per il matrimonio contratto colla principessa Margherita, figlia di Filippo d’Angid ©). Di queste nozze che si celebrarono con pompa ¢ solennita, in Brin- disi dove i Brienne possedevano un magnifico palazzo, ora scomparso, ma che nel 1700 esisteva ancora in tutto lo splendore dello stile medioevale, si parla nei documenti. Anche le cordiali relazioni degli Angioini coi Brienne e specialmente con Gualtiero che visse la maggior parte del (1) Riportiamo il documento per intero in Appendice N. 1. (2) Historia della citta di Oria, ms., parte Hc. DX (3) Cenni storici sulla citta di Oria, Napoli 1906, Parte I, c. XVII, p. 62. (4) Storia di Francavilla cit., Volume 1, p. 37. (5) ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI, Registro Angioine 1322, n, 1244. F. A. Primaldo Coco - Francavilla, toponimo scomparso 15 tempo presso la corte di Napoli e che acquist grande influenza sull'a~ nimo di Roberto e del figlio Carlo, duca di Calabria, sono rilevate da quasi tutti gli storici regionali ‘). Questi ci parlano anche della degenza che ebbe per anni e pro- priamente sin dal 1311, Giovanna duchessa di Acaia, vedova di Gual- tiero V, e che, dopo sconfitto sul Cefiso essa per non cadere nelle mani dei Catalani, fuggi a Napoli presso la Corte Angioina (2). Nell‘incantevole Partenope essa, quale tutrice del piccolo Duca di Atene, godevasi le rendite dei feudi d'Italia e agitavasi_ per vendicare con le armi i possedimenti di Grecia. Aggiungasi che, nel 1314, la Du- chessa, proprio con I'aiuto del Re Roberto e del Papa Clemente V, fece una spedizione di parecchie migliaia di soldati; ma per quanto spe- ravasi una vittoria, le sue milizie furono sconfitte (3). . Questi semplici ‘rapporti di amicizia tra gli Angioini e i Duchi di Brienne, che ebbero inizio con Ugo, capitano fedelissimo ai re Carlo I ¢ Carlo Il nella guerra del Vespro del 1282, divennero dopo pit stabili e cordiali per il matrimonio contratto da Gualtiero VI con la principessa Margherita, nipote, come si & detto, del Re Roberto e figlia del _prin- cipe di Taranto. Non & qui il caso d’interessarci circa la data del ma- trimonio che si ritiene del 1322, mentre altri lo dicono avvenuto nel 1324, o nel 1325; né circa il nome che alcuni dicono sia Beatrice o Marghe- rita; e altri ambidue. Parecchi si sono occupati di queste cose che ormai sono stabilite dai documenti (4), Quel che a noi riguarda, & conoscere la dote che ebbe Margherita quando si sposd. Il documento che ne parla di proposito & il diploma del 23 luglio 1322, quando fu stipulato il contratto matrimoniale, da cui, oltre i tanti doni, rilevasi quello che Filippo Principe di Taranto assegnd alla figliuola, sposa di Gualterio, cio& quattromila once d’oro, quae princeps (1) MARTIN BRIGGS. Nel tallone d'Italia, Lecce, 1913, p. 158. PALUMBO, Storia di Lecce, Lecce, 1910, p. 75. (2) GULDENKRONE, L’Achaie Feodale, Paris, 1886, p. 241. (3) BOUCHON, Richerches historiqaes sur la principaute francaise de Moree, Paris, 1885, 1, 268, (4) HOPS CARLO, Chroniques Greco-Romaines, Berlin, 1874, p. 546, DE SASSENAY, Les Brienne de Lecce et d’Athénes, Paris, 1869; _ DER HERZOG VON ATHEN in « Historische Teitschrift heransgegeben von Heiuerih von Sibél Miinchén 1871. Gualtiero VI dé Brienne, Napoli 18%, p. 24. 16 Rinascenza Salentina tenetur dare in quattuor annos, quingentas super redditibus passuum Aprutii et reliquas quingentas super proventibus Woctulae, Casalis Palesine, Ca- stellanetae et Gennusii. Di pit promette aiutare Gualtiero per ricuperare il Ducato di Atene che aveva perduto. Gualtiero si obliga poi di dare in dono alla moglie la terza parte della Contea di Lecce e delle terre che avea nel Regno di Sicilia, meta delle rendite del Ducato di Atene e di quelle del Regno di Cipro. Questo documento & sufficiente per persuadere alcuni che Fran- cavilla Fontana non fece in nessun modo parte della dote di Margherita ), La questione poi dell’eta del Duca che fu pure oggetto di vive discussioni, fu risoluta dal Cambrego in base a documenti (2), Dai riferiti documenti 8 chiaro che Francavilla Fontana non ha mai fatto parte della Contea leccese e, neppure per ragione di parentela, di- pese mai dai Brienne di Lecce. Precisato cid, bisogna ritenere senz’altro, che nel primo documento riportato in fine, si parla solo ed esclusivamente del Casale di Francavilla, vicino Maglie, di cui si trovano anche altri documenti posteriori. Dei pit importanti pervenutici tra mano, ne citiamo due: uno del 1464 e V'altro del 1494. Il primo, il cui originale @ in pergamena, si con- serva da Nicola Vacca; e parla di diritti caminantici @'. (1) Arch. di Stato di Napoli, Reg. Ang. N. 248., ¢. 91. 2) FORTUNATO CAMBREGO: Il Matrimonio del Duca di Alene con Beatrice Principessa di Taranto, Napoli, 1903, Nell’interessante monografia con documenti dell’Ar- chivio di Stato di Napoli, Reg. Ang. n. 235 c. 104 dimostra il suo asserto. In questo leg- gesi: « Pilippus concessit ipsi Gualterio, ad aetatem legitimam iam pervento, Dominam Bea- tricem filiam suam in futuram sponam » ¢ nell'altro diploma del 7 nov. 1321 dicesi che la madre «solvit pro se et pro parte nobilis iuvenis Gualterié pupilli, filii sui Brenne et Lici. Comitis, pecuniam feudalis servicit ». Dunque se nel 1322 il Duca era maggiorenne ¢ nel 1321 era ancora pupillo, cioé nel 18° anno contratiamente a quanto dicono Le Gallerie di Versailles, era nato nel 1303 e non nel 1305. Sapendo che secondo il diritto privato napo- letano il pupillo usciva dalla tutela a 18 anni compiti. JOSEPH BASTA, Institutiones Juris Privati Neapol. Neapoli 1792, p. 127. Il Documento riferito per intero @ del 1322 luglio 23. Napoli Rep. Ang. N. 239, f. 60. (3) Ringrazio il dott. Vacca della notizia fornitami dell’Inventarium Casalis Belvedere ‘et Turricella et eorum terrilorio. Ecco quanto ci riguarda : «Ttem ius caminantici: quicumque coxerit lateres in Caminis Curie sistentibus in ter- fitorio predictorum Casalium (Belvedere et Torricellae et pro quolibet camino tarenum unum et si quis coxerit lateres in caminis Butrunei, Sancti Cassiani, Nociliae et Casalis Francavillae et Casalis Specle de Litio accipiens lignamina a nemore pro coquendis dictis lateribus tenetur Curiae pro quolibet camino modo quo supra, exceptis hominibus Scurrani coquentibus late- res in caminis Casalis Francavillae qui tenetur curie pro quolibet camino grana decem >. F. A. Primaldo Coco - Francavilla, toponimo scomparso 17 Il secondo, rintracciato in copia tra i manoscritti della biblioteca Pa- padia di Maylie, e confermante la riscossione di alcune decime dovute al- T’Arcivescovo di Otranto, @ stato pubblicato dal Maggiulli(!) e rilevato dall’Aar (2) e ancor prima dal Tasselli @). Checché ne sia dell’autenticita, abbiamo riportato il documento in nota per convalidare sempre pitt 'esistenza dell'altro toponimo Francavilla. Il cennato Casale di Francavilla, sorgeva, come si & detto, poco di- scosto da Scorrano e ai margini del bosco Belvedere in territorio di Ma- lie; da non confondersi perd con Belvedere vicino S. Giorgio Jonico (4). Nel secolo XV esisteva ancora. E poi & ricordato dal Pacelli nel secolo XVIII-XIX nella mappa della Grecta Sallentina del suo Atlante, come casale diruto (5), Di questo toponimo, dopo se ne perdette la tradizione, perd il po- polo continua a denominare due fattorie in territorio di Maglie tra Scor- rano e Muro Leccese Fragnite, Francavite, Frangavite e Fraganite grande e piccola (6) ; localita dal Prof. De Giorgi cosi descritta e ubicata : « Uscendo da Maglie, lungo la via che mena al Capo di Leuca, (1) Documenti storici municipali che riguardano Maglie. Lecce 1876, p. 34. Ecco qui il breve documento : « Alphonsus II dei gratia Rex Siciliae et Jerusalem etc. « Antonello de Mera, Comerario Terrae Idrunti, salutem et dilectionem. « Seraphinus, Venerabilis et fidelis Archiepiscopus Hydruntinus mayestati nostra exsposuit quod ipse integcam decimam suam, ex Mallia (Maglie) in agro dicto Francavilla, non potest habere, sicut secundum continentiam privilegii sui, eam habere debet,’ factam Ecclesiae Archie- piscopali Hydruntinae a D.no gloriosissimo et invictissimo rege Ferdinando quodam patre nostro sancte recordationis. Unde tibi mandamus et firmiter praecipimus, ut is licteris receptis, privile- gium suum videas, et justa tenorem ipsius privilegii, sibi in integrum et sine diminutione, facis decima assignare; In primis de vino et oleo, de melle et cera, de tritico et fabis, coeterisque, leguminibus. In quorum fidem, presentes fieri fecimus, magno nostro pendenti si Datum in Castello Novo, fidelissime Civitatis nostre Neapolis per magnificum virum et Con- siliarum nostrum Antonium De Alexandro. Die sexta mai 1494 regnorum nostrorum anno primo. Rex Alphonsus. (2) Glé studé storici in Cerra d’Otranto, Firenze, 1888, p. 59. (3) Antichita di Leuca, Lecce, Eredi Micheli, 1693, p. 145. (4) P. PRIMALDO COCO, Casali Albanesi nel Tarentino. Studio storico con docu- menti inediti, Grottaferrata, Scuola Tipogr. Italo Orientate « S. Nilo » 1921, p. 61. (5) NICOLA VACCA, La Grecla e I’ Albania Sallentine nell’ ‘* Atlante ’’ del Pa- celli, in Rinascenza Salentina, Ml, p. 143. (6) Foglio 214 della Carta d'Italia del Touring - Maglie. 18 Rinascenza Salentina troveremo prima dei giardini, poi campi semensabili e quindi l'uliveto: la solita e uniforme monotonia della provincia di Lecce. A sinistra ne- reggiano le quercie gigantesche del bosco delle Fragnite o Fraganite dei Signori Garzia, luogo di caccia e di delizia. Dopo circa tre chilometri incontreremo Scorrano, che resta a destra della via provinciale ed in po- sizione pitt elevata ¢ pitt igienica di Maglie > (), Da quanto si @ detto risulta chiara l'esistenza di un altro casale diruto in Puglia, anzi nel leccese, denominato Francavilla, toponimo, oggi scom- parso, che non ha nulla a che vedere coll’omonimo, sorto pitt tardi, nel Principato di Taranto. Le prime notizie archivistiche di quest’ultimo, oggi importante centro popolato, non vanno oltre il 1336 ¢ si riannodano ad una concessione fatta dal Re Roberto a Filippo De Nantolio. Da esso rilevasi che il Ca- sale di Francavilla nel principato di Taranto, verso il 1330, se non prima, era stato concesso dal principe di Taranto, Filippo d’Angid, a Data di Adimari per le singolari benemenze che il marito Guglielmo de Nantolio si era acquistato presso detto Principe. Ora questi se ne mori nel 1332, se non prima, e Francavilla, avente un nucleo di abitanti da formare un casale, ebbe prima feudataria la suddetta Data di Adimari. Dai documenti si ricava anche che Filippo era figlio legittimo di quel Guglielmo, Barone di Terra d’Otranto, che nel 1305, trovavasi in possesso dei Casali di Ruffano e di Ortazano, concedutigli dal Principe Filippo di Taranto. Rimasti detti Casali quasi disabitati, egli aveva ot- tenuto dal Re Carlo Il di poter costringere con prudenza gli angari e parangari, dei quali sono riportati nel documento tutti i nomi, per farli tornare ai loro focolari, anche per i servizi che erano tenuti prestare al Principe d’Angid (2). Ai primordi del secolo XIV, molti altri casali si trovano disabitati, specialmente nel Principato di Taranto, per le incursioni barbariche e per la tirannide dei feudatari, « qui tenebant in capile et immediate vel me- diate a Regia Curia » citta, casali e feudi col diritto di obbligare i co- loni e gli abitanti al lavoro, con mercede o senza. Avveniva spesso che le pretese dei feudatari erano esorbitanti e allora quei che potevano slog- (1) C. DE GIORGI, La Provincia dé Lecce, Bozzetti dé viaggio. Lecce Spacciante, MDCCCLXXXIV, U, p. 76. (2) In fine Docum. N. 2. F. A. Primaldo Coco - Francavilla, toponimo scomparso 19 giare se ne andavano altrove, i poveri rimanevano per necessiti, ma an- ch’essi alle volte in comitive abkandonavano i loro paeselli e si ritiravano, nelle campagne da cui spesso < armata mano > venivano ricondotti agli abbandonati focolari. E quando a cid non riuscivano, stabilivano nel mezzo delle campagne, come luoghi di rifugio, apposite terre, promettendo li- bert& a tutti quelli che andavano ad abitarle, terre che si domandarono « Borghi Franchi > (1), Sorsero cosi le citta di Francavilla e di Martina Franca per opera di Guglielmo De Nantolio, che, dopo aver fatto riabitare nel 1305 Ruf- fano e Ortazano, se ne venne nel tarentino e fece popolare e formare nuovi centri per raccogliere profughi e sbandati che vivevano indipen- ~denti' nelle aperte campagne con danno ingente dei feudatari e dei go- vernanti. Per quest’opera altamente sociale e benefica e per gli aiuti prestati nella guerra di Sicilia contro gli Aragonesi, morto Guglielmo, il Principe di Taranto dond alla moglie, Di Adimari, il nuovo Casale di Franca- villa che per pid di un secolo e mezzo con Ruffano e Ortazano fu alla dipendenza della famiglia Antoglietta. Quindi Francavilla, pervenuto a Fi- lippo per successione materna, questi pregd il Re Roberto che glielo con- fermasse. E il Sovrano senz’altro annui per i sentimenti di gratitudine che verso di lui nutriva suo fratello il principe di Taranto e per un senso di affetto verso di esso (2), Cosi si spiega anche I'altra concessione fatta dallo stesso Re a Fi- lippo De Nantolio dopo circa due mesi, cioe il 16 luglio dello stesso anno 1336, di poter cioé costituire la dote alla moglie, Tomasina Ripa di Brindisi, sui possedimenti che egli, nel Principato di Taranto, teneva more nobilium francorum. In essa concessione Francavilla non @ nominato, ma @ sottinteso (3), Sorto cost Francavilla non @ stato possibile rintracciare nell’Archivio di Stato di Napoli altri documenti dei primi decenni del secolo XIV. Infatti non & notata nelle cedole del 1316 e del 1320, né nella (4) « Col- (1) TITO CANEVALI, Il Comune. Nuovi studi, Torino Fratelli Bocca, 1908, p. 14. (2) In fine Docum. N. 3. (3) In fine Docum. N. 4. (4) Reg. Ang. 1316, A, f. 158 t. ss. Cedula generalis subventionts impositae terris el locis Iustitiarialues Terrae Idrontt pro anno 1320 quarta Indict. 20 Rinascenza Salentina lectoria Terra Idronti> del 1325, come il vicino Casivetere OQ. Si trova solamente menzione di esso nelle cedole del 1372 @). Non fa percid meraviglia se gli storici locali del secolo XVI ¢ XVII non convengono nel precisare l'anno quando sorse Francavilla per cui chi lo pone nel 1308, chi nel 1310, chi nel 1318, chi nel 1322. Dal documento pubblicato si pud ritenere che verso il 1330, se non prima, era casale abitato. Quindi l'origine deve ricercarsi alcuni anni in- nanzi e pare che non sia del tutto da ripudiarsi, ma invece, da confer- marsi, la data tenuta da tutti i voluti tradizionalisti, corrispondente al 14 settembre 1310. F. A. PRIMALDO COCO o. m. (1) Reg. Ang. n. 373, de anno 1378, Cedul. Terre Idronti. Dominus Joannes de Nan- folio pro Casalibus Francavillae, Rossani et Orleczani unc. 2, t. 24. APPENDICE Documento N. 1 Arch. di Stato di Napoli Registro Angioino N. 244. (1322 F. Carolus illustris etc.) fol. 52. Pro Gofftide de Nohe. Karolus etc. universis presentes licteras inspecturis tam presentibus quam futuris subiectorum nostrorum compendis ex effectu benigne caritatis accedimus quo fit ut ipsorum peticionibus gra Joris assensum facilem benignus prebeamus. Sane Goffridus de Nohe terciogenitus quondam Guil- lelmi de Nohe baronis terre Ydronti genitor efus francus et iure francorum vivens subscriptam terram feudalem dum sitam in comitato Licii de dicta provincia terre Ydronti sub spectabili iuvene Gualterio Athenarum duce ac Brenne et Licii comitis affine nostro dilecto enuit et possedit num ac tenimentum quod vulgariter dicitur videlicet casalia Nohe, Francaville et casale Cabs Crucis Aschibrudetti (cost & nel documento) ceriis suis finibus limitate cum hominibus vacsallis iuri- bus racionibus et pertinenciis omnibus terre feudalis eiusdem sub feudali servicio teu adhomento (sic) tunciarum auri duarum et tarenorum viginti prestando prestando (sic) ** * comiti supradicto quodque dictus pater exponentis ipsius eidem filio suo ex paterne caritatis affectu de necessaris pro vita cius atque milite volens prospicere oportune casale Caballum prefatum cum vassals et juribus ais adillud spectentibus exponenti prefato, recipere pro se ac cius heredibus in perpetuum dedit donavit atque tradidit et concessit donacionis titulo inter vivos sub onere quarte partis adhoamenti predicti quod |. Adiecit quoque dicti exponentis astertio quod Raho ad summam tarenorum viginti conscen: de Noe primogenitus frater-exponentis ipsius ex fraterne dilectionis institu qua eum prosequitur F.. A. Primaldo Coco - Francavilla, toponimo scomparso 21 paternam donationem et concessionem hujusmodi ratificavit ac etiam acceptavit assensu dicti comitis sub quo ut predicitur dictum casale tenetur ad hoc patrimonium subsecuto prout de hiis omnibus constare clarius ponitur per documenta publica confecta exinde pro cautela et patentes pariter licteras comitis memorati, propter quod memoratus exponens excellentie nostre supplicavit atten- cius ut oportunum nostrum de premissis assensum qui orta hee maioris dominii inesse requiritur de autoritatis nostre presidio adhibere benignius dignaremur. Nos itaque supplicatione huiusmodi ob devocionis et fidei merita supplicantis ¢ iusdem benigne deflexi dagioni, donationi, traditioni et concessioni predictis veris exinstentibus prenarratis quatenus alie proinde facte sunt non ob- stante quod super feudalibus bonis praemisse noscuntur vicariatus potestate qua fungimur de certa nostra scientia et speciali gratia tenore presentium astentimus illasque pro expedientis cautele suf- fragio roboramus ita quidem quod adchamentum prefatum tarenorum viginti debitum ut prescri- bitur pro casale prefatum per supplicantem eundem ac heredes et successores stios eidem primo- genito fratri suo suisque heredibus suis vicibus integre persolvatur fidelitate quippe paterna regia atque nostra feudali quoque servitio tam pro comitatu predicto sub quo bona ipsa consistunt Regie Curie debito quam quod predicitur debeatur, regiis aliis et cuiuslibet alterius juribus semper salvis, In cuius rei testimonium presentes licteras fieri et pendenti sigillo vicariatus quo utimur iussimus communiti. Data Neapoli per Johannem Grillum de Salerno etc. Anno Domini MeCCCXXIII° die Ile Marti: VI indictionis regnorum dicti domini patris nostri anno XIIIl°. Documento N. 2. Arch. di Stato di Napoli Registro Angioino 142 "Carolus Il, 1304-1305", fol. 17 t " (Pro) Guillelmo de (N) antolio (m) lite. Scriptum est iustitiario Terre Jdronti, fideli suo et. Pro parte Guillelmi de Nantolio, militis, fidelis nostri, fuit nobis humiliter supplicatum ut, cum nonnulli de hominibus et vassallis suis casalium Rufiani et Ortezani, de decreta tibi pro- vincia, qui sunt angararii et perangararii sui sibique ad personalia servitia obligati, ad alias terras decrete tibi provincie, in dimivutione servitii quod exinde facere tenentur Philippo tarentino prin- cipi nato nostro, a quo casalia ipsa tenet, suum transtulerint incolatum, compelli eos redire ad habitagionem pristinam dictorum casalium benignius mandaremus. Quocitca fidelitati tue preci- pimus quatenus, vocatis qui fuerint evocandi, de premissis diligenter inquiras, et quos inveneris de hiusmodi angarariis et perangarariis ipsius militis, sibique ad personalia servitia obligatis abinde tecessisse, quod ad habitationem pristinam revertantur, qua expedit cohercitione, compellas, cautus quod ad illos qui ad terras nostri demanii accesserint et in ipsis per decennium sunt morati manus tuas aliquatenus non estendas, Nomina vero illorum quos dicit esse vassallos suos agarios et perangarios ac sibi persona- libus serviciis obligatos, ad terras alias decrete tibi provinvie accessisse, esse dicuntur videlicet: Presbiter Michael de dompno Antonio her (edes) presbiteri Nicolai de dompo Antonio An- _ telus de Joanne de Guillelmo, Petrus de Blasio, Nicolaus de dompno Luca, Petrus de dompna (sic) Luca, Guillelmus de Presbitero, Joannes Agatus, Heredes Guillelmi Russi, Presbiter Ni- colaus de Polite, Nicolaus de Heacatanina, Heredes Joannis de Epifanio, Peregrinus presbiteri ‘Therius filius eius, Jonnes frater eius, Bloscus frater eius Bartholomeus de Joanne, Nicolaus de 22 Rinascenza_Salentina Joanne de Bruno, Geregius Spanus, Foca Valenatus, Nicolaus Fortenatus Pascalis Padulanus, Nicolaus Ricius, Christoforus Arditus, Johannes Miliacius, Johannes de Ray(mundo), Johannes de Gaudis, servitor Peregrinus Funicel, Cosma filia eius, Johannes Vaccarius, Basilius Spina in pede, Georgius Meus, Servitor, Pontus de Bisianisio, Vincentius filius eius, Perroctus de Pascali, Petrus frater eius, Johannes Ferrarius, Georgius Ricius, Servitor, presbiter Athenasius, Johannes Pusturellus, Nicolaus de Stephano, Georgius frater cius, Futus de Pascali, Gualterius frater cius, Martucius Grassus, Rufiageres Lombardus, filius Johannis Furerte, Urso de Cesario, Leo Mus Helie, (sic). Stephanus frater eius, Athanasius frater eius, Georgius frater eius, Ursilio de Gre~ gorio, Georgius de publico Leonis, Magister Leo, Vitalis de Ricio, Johannes Recrusus, Christo- forus Ricius, Carastansa cum filiis, Leo Menatus, Magister Johannes Sparatius, Johannes Spe- nella, Incilius de Guardo, et presbiter Michael. Datum Neapooli per Bartholomeum de Capua etc. die XV iunii, Ille. inditionis (a. 1305). Documento N. 3. Arch. di Stato di Napoli Registro Angioino, n. 299 « Robertus », 1335, D" fol. 155t-15 v. " Pro Filippo De Antolio. Robertus etc. Universis presentes litteras inspecturis, tam presentibus quam futuris. Confima- tionis auctoritas frequenter ius exhibet, interdum cautelam habundantioris firmitatis indulget, que dum benevolum animum conferentis ostendit, ipsum ex quodam premissi debito ad observan sue approbationis astringit, Sane pro parte Philippi de Antolio, baronis Terre Ydromi, filii le- gitimi et naturalis, ut ponitur, quondam Guillelmi de Antolio, militis, fidelis nostri, fuit maie- jimus frater noster, dum viveret, dedit, donavit atque concessit quondam spectabilis Philippus Date de Aldomaris, eiusdem Guillelmi consorti ac exponentis eius tam ma stati nostre nuper expositum quod quondam spectabilis Philipps Tarenti princeps, cari , et heretibus suis, ex suo et dicti quondam Guillelmi viri sui corpore legitime deseendentibus, casale Francaville, situm in principatu Tarenti, cum hominibus, vassallis, juribus et pertinentiis suis omnibus, in feudum nobile ac sub servicio unius militis prefato principi fratri nostro et heredibus et successoribus ius prestando, prout in patentibus litteris eiusdem principis sue caut , factis exinde, ponuntur hee et alia atius contineri: sicque Philippus idem casale ipsum, cum tenimentis, juribus et per- tinentiis suis omnibus, tenens et possidens, ex eadem (sie) successione materna, maiestati nostre supplicavit actente ut dationi, donationi et traditioni premissis assentire pro expedientis cautele suffragio illisque confirmationis et ratificationis nostre robur adicere de speciali gratia dignaremur. Nos ‘igitur eiusdem principis fratris nostri actiones laudabiles gratis affectibus prosequentes, ut nostre serenitatis affectus erga exponentem ipsum se patenter exhibeat et grata principis predicti concessio per huius nostre confirmationis assensum inconcussa semper et stabili firmitate persi- stat, eiusdem Philippi porrectis nobis in hac parte supplicationibus inclinati, dationem, donationem, traditionemque premissas, factas de predicto casali Francaville cum tenimentis, iuribus et perti- nent suis omnibus antedictis, memorate quondam Date, supplicantis eiusdem matris, ac suis et predicti quondam Guillelmi viri sui legitimis heretibus, ut prefertur, per principem antefatum, quatenus alie facte sunt proinde, veris quidem existentibus prenarratis, non obstente quod super feudalibus precesserunt, horum serie, de certa nostra scentia et speciali gratia, ratificamus et con- F. A. Primaldo Coco - Francavilla, toponimo scomparso 23 firmationis nostre assensum et robur delectabiliter impartimur. Volentes quod huiusmodi nostri assensus et confirmatio supplicanti iamdicto et eius heredibus perpetuo stabilis et incommutabiliter sint reales, fidelitate nostra ac heredum et successorum principis antedicti, feudali quoque servicio eis pro predicto casali debito, nosteis aliis et cuiuslibet alterius iuribus semper salvis, In cuius rei testimonium et cautelam presentes litteras exinde fieri et pendenti sigillo maiestatis nostre iussimus communiri, Datum Neapoli, per Johannem Grillum de Salerno etc., anno domini MeCCC°XXXVI, die V° maii, Illle inditionis, regnorum nostrum anno XXVIII, Documento N. 4. Arch, di Stato di Napoli Registro 299, " Rubertus 1335, D', fol. 92a, tergo. " Pro Philippo de Nantolio. Robertus etc. Universis presentes licteras inspecturis tam presentibus quam futuris iustis pe- tentium votis libenter annuimus qui gratiosis et placidis cum se casus habilitat assentimus. Sane Philippus de Nantoliis fidelis noster maiestati nostre nuper exposuit quod contracto dudum legitime matrimonio inter eum ex una parte et Thomasiam filiam Johanais de Ripa de Brundusio ex altera dictus Philippus tenens et possidens sub viro Spectabili Roberto Achaye et Tarenti principe nepote nostro carissimo bona feudalia pro quibus servitium trium militum Principi prefato debetur promisit atque convenit constituere ipsi consorti ejus dodarium seu terci- ariam super omnibus feudalibus bonis suis que tam in aliis partibus quam in iustitiariato Terre Jdronti idem Philippus tenet a ipso principe iuxta morem Regni nobilium francorum jure viventium nostro et dicti principis ad hoc beneplacito reservate propter quod idem Philippus maiestati nostre supplicavit attencius ut ibidictum constituendi dodarium prefate consorti sue, cum ad id prefati principis assensus accesserit, idque sibi liceat vigore constitucionis Regni in talibus edite potestatem atque licentiam concedere benignius dignaremur nos igitur fidelium nostrorum comoda que maxime bonum respiciunt federis coniugalis benevolo prosequentes affectu huiusmodi supplica- tionibus inclinati prefato Philippo quod diete consorti sue iamdictum dodarium constituere valeat super dictis bonis modo premisso, dummodo ipsa constitutio fiat provide et modum legitime non excedat nec fiat in ‘capite baroni et alias veritas suffragetur assertis non obstante quod ipsa con- stitutio erit super bonis feudalibus processura auctoritate presentium de cesta nostra scientia pote- statem plenam concedimus et facultatem libera impartimur constitucioni prefate ex nunc. prout ex tune assentientes de ipse certe nostre scientie illamque gratiosius confirmantes, dolentes et de- cernentes expresse de ipsa certa nostra scentia quod huiusmodi nostre maiestatis concesso ac nostri assensus et confirmatio eidem Philippo dicteque sue consorti efficaciter et incomutabiliter sint teales fidelitate nostra feudali quoque servitio pro omnibus sopradictis bonis feudalibus prefato Principi debito et maiori si maius exinde debeatur nostris illis et cuiuslibet alterius iuribus semper salvis. In cuius rei testimonium presentes licteras fieri et pendenti maiestatis nostre sigillo ius- sinius communiri. Datum Neapoli per Iohannem Grillum de Salerno etc. Anno domini M°CCCXXXVI die XVI julii IIII° indictionis regnorum nostrorum anno XXVIII, Antonio De Ferrariis detto il Galateo (Continuazione e fine) Cap. VIII. Il Galateo Poeta Fra le lettere e i trattati del Galateo, ecco far capolino — «rari nantes in gurgite vasto » — diciotto epigrammi e una breve ode (1), Qualche altro carme @ certamente andato perduto — egli medesimo c’informa di una saffica in lode di Santa Oesarea @) —ma, ad ogni modo, la sua produzione poetica fu tuttaltro che copiosa, — Tu vuoi ch’io scriva versi ? — chiedeva all’Ac- quaviva, stringendosi nelle spalle « Non omnia possumus om- nes: negavit natura » (3), Terra @Otranto aveva gia offerto alla cultura italiana giuristi, teologi, medici, filosofi: non le aveva ancora dato un vero poeta — il poema di Guglielmo Pugliese sulle gesta dei Normanni e « Lo Balzino » di Ruggero di Pa- zienza sono cronache in versi— nd glielo dette col Galateo. inutile chiedere ai suoi distici duretti e un po’ stecchiti la spi- gliata eleganza del Pontano o la soavitd idillica del Sannaz- zaro. La poesia del Galateo non 6 qui: 6 in alcune sue belle pagine di prosa, dove il geniale pensiero e supratutto il caldo sentimento forgiano a loro volonta il limpido docilissimo latino. Pure, non bisogna gettar via senz’altro, arricciando il nuso, que- sto povero mazzetto di fiori colti sull’Blicona, Lo seandire sul ritmo — ahimé, troppo poche volte armonioso! — dei dattili e degli spondei questo centinaio e mezzo di versi, getter& ancora (1) M. Tarurr. Le opere di Angelo ece., pp. 174-179. (2) Coll. II, p. 34, e IV, p. 141. (8) Coll. III, p. 92. Dina Colucci - Antonio De Ferrariis detto il Galateo 25 un po’ di simpatica Juce sulla figura del nostro umanista. Quali epigrammi possiedono sincerité @ispirazione 6 sono meglio riusciti ? Non certo i quattro « In obitum Joannis Joviani Pontani ». Chi ricordi Parmonioso fluire della serena poesia dei « Tumuli», avvertira qui un certo che di sforzato e di manierato. L’ultimo verso di ciascuno vorrebbe essere affettuoso e invece riesce quasi spiritoso, anticipando quei « concetti » cosi cari al 600. Sulla tomba del Pontano si sarebbero dovute evocare le ridenti visioni di giovinezza, che un giorno avevano popolato i suoi carmi, ma il Galateo non seppe e forse non volle. Desi- deriamo che la rigidezza déi suoi versi diventi classica sempli- cit& scultorea? Offriamogli un argomento di alta idealita reli- giosa e civile, Allora i suoi esametri prenderanno un sapore en- niano. Eeco gli Ottocento di Otranto che si accostano al sup- plizio: « Una fuit cunctis mens, voluisse mori » (0. ¢., p. 176, X); ecco la bella figura di Giulio Antonio Acquaviva, cinta dall’au- reola di uu eroismo di leggenda: durante laspra battaglia, un colpo di scimitarra turca gli mozza di netto il capo: Non cadit ille tamen, stat equo erectus abitque ceu victor, stringens fervidus arma manu. Non aliter pro Rege mori, pro Numine Julus debuit; haud moritur, si quis ita emoritur (ivi, XI. Non le liete divinit& pagane allettano il Galateo: egli pre- ferisce fermarsi a meditare sul sepolero di Cristo (LX), stil sui- cidio di Giuda (XIII), sulla pietd dei cani che lambiscono le Piaghe.di Lazzaro (« mores — dediscunt homines, quos didicere ferae >». — XIV), sulle lacrime purificatrici di Maddalena (XTX); condanna Popera immorale di un poeta (XVI), celebra inge- gnosamente un pittore salentino (XVII e XVIID. Ritroviamo la sua spigliata vena leccese nello scherzo arguto degli epi- grammi «In Vitum Mullum»> (VQ) e «In Nifim Callipolita- nam » (VII). Un alito di armonia oraziana passa nei distici a Gabriele Setario, velati di malinconia: «Sic esty 0 Gabriel, volat inrevocabile tempus... > (XII), ma essi non si chindono con un ammonimento epicureo, bensi con un anelito alleternita. Anche nei suoi tentativi di poesia, il Galateo ha serbato quella linea di diritta morale che nobilitd i suoi studi e tutta 26 Rinascenza Salentina la sua vita. Possiamo dunque prender le mosse da questi versi per una considerazione finale. Con la sua pratica della mo- rale legata alle eredenze positive, il Galateo si riallaccia alla grande tradizione nostra, che attraverso Dante risale a S, Tom- maso, squisitamente italiano. La profonda sanitd morale crea in Ini — come aveva gid creato nell’Alighieri — un appassionato interesse per il mondo della realt& storica, ed é proprio questo vivo senso morale della storia che lo aiuta a superare il dissi- dio tra il sogno e la vita — eterno martirio dell’anima umani- stica — nella superiore armonia di una fede serena nella Vo- lonta& che regge Parmonico sviluppo dei destini degli individui e delle Nazioni. ATPPENDIOE. 1, Antonius Galateus Gelasio suo salutem. De nobilitate. (Barb. lat. 1902 - inedita). (Codice cartaceo, rigato, cc. 22, corsiva del secolo XVI, eon correzioni di altra mano, cm, 20><251/,, rilegato in perga- mena, recaute lo stemma dei Barberini in oro; taglio dorato). Non putabam, Gelasi vir optime, adeo me offendisse ani- mos istorum nobilium, qui nos audiunt, qui plus virtate, quam inani et ridendo nobilitatis nomine praediti sunt, cum inter lo quendum excidit mihi ex ore, ut Homerus ait de Minerva Tovis filia, illa sententia: eorum qui clara sunt stirpe, aut patria, aut ex divitibus parentibus nati sunt, aut nullos fuisse philosophos, hoe est probos viros, aut quam paucissimos. Divini Platonis, non mea sententia est: Regum potentiumque virorum filii phi- losophi nascituri non sunt. Nam potentes, ut ait Aristoteles, qui ab iveunte aetate aeducati() in magnis excessibus secundae fortunae divitiarum et amicorum, nesciunt obedire praeceptori- bus, neque bene suadentibus ohtemperare; ideo ait Plato: Puerum vel auri vel cuiusvis possessionis ditissimum neque facile capi posse, neqne si captus fuerit detineri, et alibi: Potentum viro- (1) Qui andrebbe inserito un « sunt». Dina Colucci - Antonio De Ferrariis detto il Galateo at rum filii primi disciplinarum scholas ingressi novissimi exeunt, hoe est aliorum inerudi mi. Idem inquit: Aeducandi sunt filii nt optimi non ut ditissimi fiant; idem alibi: Plures potentum im- probi, et alibi: Principes mali, et alibi: Principes sunt cousump- tores, quemadmodum fuei, qui comedunt labores aliornw. Nec dissentiunt hagiographi; scriptum est: Principes tui infideles, socii furum; omnes diligunt munera; secuuntur retributiones; et alibi: Nolite confidere in Principibus, in filiis hominum, in quibns non est salns; et alibi: qui comedunt plebem meam, sicut escam panis. Vide, ut Deus plebem suam non principes suos appellaverit, Alius Propheta quasi impatiens clamabat dicens: facies hominis, quasi pisces maris; quoram maiores et poten- tiores devorant minores. Certe, aut ex humili, aut ex medio genere nascuntur viri optimi. Magnatum plurimi tyrannorum mores imitantur. De veteribus loquimur; nam omnes saeculi no- stri Principes continentes sunt, abstinentes et iustissimi, Ii, qui illustrium virorum vitas seripsere, testantur; exemplo sunt nobis omnes propheiae, omnes Apostoli, omnes philosophi, omnes poe- tae, qui in parvis oppidulis, aut obscuro, aut non niimis claro, honesto tamen genere nati sunt; non mihi obijeiatis Isaiam, qui, regio ortus genere, nobilitatem iam exuerat; nec Ioseph virum Mariae qui fabrilem artem exercuit, in quo iam exoleverat no- bilitas, quamvis illorum nobilitatis auctor pastor ovium fuerit et pastoris filius; quin etiam, et prisei gentis Iudaicae sancti Patres, rustici fuere, et omuium mortalium iustissi mi, ub et no- stri quoque de quibus poeta ait: hance olim veteres vitam co- luere Sabini. Nee Boetium afferatis virum patritium (quem ego, et doctrina et moribus et studio sapientiae latinis omaibus an- tepono) aut si quem alium habetis; nam ideo dixi aut nullos aut quam paucissimos, quia quae raro accedunt non naturae aut arti, sed fortunae adscribenda sunt. Lu proverbio est apud Aristotelem: Una hirundo von facit ver neque una dies calida, Difficultatem tamquam calcar virtutis ego notavi, non impossi- bilitatem; suasi, ut cauti essent, ne nobilitatem suam tanquam filiolam amplexarentur, ne tanti facerent rem apud scriptores levem et inanem; non reipsa, sed nomine tantum et opinione vulgi admirandam: ne ambitioni studeant, sed virtuti quae sola est atque unica nobilitas. Mihi ut et tibi, non Gallia aut Ger- mania, hoe est barbarica origo est, sed (bonorum Deorum nu- 28 Rinascenza Salentina mine) Greca, et Italica: avus et proavus meus graeci sacer- dotes fuere, graecarum et latinarum litteraruam minime ignari; pater etiam meus et graecis et latinis litteris satis instructus, vir instus et innocens, non praedator, non foenerator, non alie- nis laboribus saginatus. Hane ego nobilitatem pluris facio quam faciunt snam Tarquinii, aut Clandii, aut Fabii, aut Cu |, ant Sci- piones, aut Coriolani, aut Sullae, ant Catilinae: stultis et ignaris non suadebo, docti et sapientibus persuadebo, Ait Thomas, du- plicem esse nobilitatem, alteram simplicem et veram, alteram secundum quid; illa ubique et semper adesi, ubi virtus est; haec est secundum genus et patriam; immo et saepe adest ubi non adest virtus licet absit fortitudo; nam si virtutes disiungere cui- piam libuerit, nou valgi, aut triviali et militari, sed magnoram philosophorum sententia fateatur necesse est, fortitudinem in- ter ceteras virtutes infimum tenere locum; itaque primae partes prudentiae debentur, secundae et tertiae aut institiae aut tem- perantiae, quartae fortitudini. Nobiliores igitur concedendum est esse sapientes, iustos ac temperantes quam fortes: unde apud omnes fere nationes orta est nobilitas. Vera nobilitas non alta tecta, non aurata laquearia, non fasces, non secures, non vestes auro rigentes non dapes diligenti arte compositas amat, sed hu- miles casas et tuguriola, silentia nemora, et arentes nitriae trac- tus, pannosas vestes, faciles quaesitu cibos; non casae, non tu- guria noverunt tragica scelera, sed domus marmoreae et au- rata cubicula, uam ubi venena comparantur? Ubi doli? Ubi per- fidiae? Ubi inconcessi et puellaruu et puerorum amores? Ubi provinciarum rapinae, ubi omne genus luxuriae et nequitiae ? Praeterquam sub aliis tectis? Falluntur igitur qui laudant illam Poetae sententiam: haud facile emergunt, quorum virtutibus obstat res angusta domi, Qui dubitat nimias opes et ignaviae et vitiorum omnium esse genitrices et nutrices? Melius sapit, qui dicit foecunda viroram paupertas. Phocion ille vir justus, et frogi, cum ab hostibus illi vis auri magna afferretur, inquit haud sibi opus esse multa peennia, frugaliter et sine cupiditate viventi, At illis suadentibus, ut saltem consuleret filiis, qui for- tasse non erunt similes patri, nec tanta virtute praediti, respon- dit: Nolo retinquere filiis meis materiam, unde possint loxu- riari et turpiter vivere: praecipue ne, ut plerique ignari solent contempta virtute et omni animi cultu, nobilitatem ostentent Dina Colucci - Antonio De Ferrariis detto il Galateo 29 suam et avorum seriem: nam aliena laudat qui genus suum lau- dat. Platonis sententia est: Viro aliquid esse se existimanti nihili turpius posse accidere, quam seipsum honorandum praeferre non ob virtutem propriam, sed ob gloriam superiorum. Inquit Ovi- dius: Non census non clarum nomen avorum sed probitas ma gnos ingeniumque facit. Recte inquit Cicero, optimates non esse nationem. At si verum esset quod vulgo dicitur, nobilitatem esse eX fate natam, nunguam ego vidi natam matri infe- stiorem, Habet enim matrem summo despectui immo odio. Ne- mini dubium est nobilitatem et invidere et summo odio habere novos, ut dicunt, homines, eos scilicet qui egressi fines generis sui propria non aliena virtute sine avoruam stemmate clari et illustres fiunt; Livius auctor est, nullam gentem esse magis invidiae expositam, quam eos, qui maiores suos virtnte et ani- mis non aequant, cum suscipiunt novos homines. Vereor, Ge- lasi, ne istis (ut ait Hieronymus inxta Apostoli sententiam) inimicus fiam, veritatem dicens, aut id quod Socrati dictum est, in me retorqueant. An non vides nos invenes esse? Si nos obiurgaveris, in te impetum faciemus; rogo ne mihi succenseant vera dicenti, nam ut ait idem Socrates: Nihil est familiarius sapien- tiae, quam veritas, cui aut irasci, aut non assentiri nefas esse putavit, Omnis fere nobilitas, aut ex scelere, aut impudentia, aut caedibus et: rapinis, turpi ‘lucro, fraudibus, proditionibus, perfidiis habuit initium. Nam praeterea quae pro iniuria pu- blica propulsanda, aut bella pro salute Patriae contra barbaros hostes Cristiani nominis iuste ae pie geruntur, quid aliud bella sunt, quam caedes rapinae, stupra, furta, sacrilegia, hovestarum matronarum ac virginum et templorum pollutiones et ferrum, ignes, funera, doli, quae honesto vomine stratagemata appellant, quae a virtute seiuuxisse Virgilius videtur, cum dixit: Dolus an virtus quis in hoste requirat? Saepe in bello plus valet dolus et vis quam ius et virtus, In proverbio est: Ius est in armis. Senones aiebant ius in cuspide se gerere: nec recen- tiores Galli ab illis dissentiunt, Idem de divitiis intelligendum est, quae cognatae sunt nobilitati; ideo Augustinus ait: Omnes dives aut iniquus aut iniqui haeres. Divites autem valde si- mulque probos esse impossihile, auctor est Plato. Quid dicam Plato? Dominus et Deus noster: Difficilius est, inquit, divitem intrare in regnum coelorum, quam camelum per foramen acus, 30 Rinascenza Salentina Nomen tacebo; non praeteribo sententiolas hominis non indocti, neque ineruditi, sed rapacis et fomeratoris eximii. Habebat quidem litteras, sed in impuro vasculo collocatas; ut qui pro uno obolo neque amicis neque cognatis neque Diis ipsis peper- cisset. [lle non tantnm obscuro sed sordido genere natus, alienis laboribus, immo et alieno sanguine saginatus, nobilem duxit uxorem. Monitus est ab amico, et eo probo viro et innocente et non nimis illitterato aut inerndito ut saucte ac inste viveret, Deos timeret ub hostes et indices et tandem ultores. Respondit: Si iuste vixissem, si Deos, quorum benignitatem et indnigentiam, nondum iram expertus sum, timuissem, non stares mihi talis domus, neque nobilis soccer et superba socrus mihi filiam ma- trimonio supplices iunxissent. Tum ille: Cur igitur nobilitatem, cui propter uxorem adactus es, labefactas? O stulte, inquit, ignorare videris, quod his artibus acquiruntar et aluntur no- bilitas et divitias; audi inquit, o vir bonae fidei (nec id minus fortasse vere quam fatetur) quo pacto ego paucis abiectis et mutatis litteris, emendaverim illam Aristotelis sententiam: no- bilitas est virtus et antiquae divitiae; audi, inquit, o vir, men- dosi evant antehac codices; error fuit non tanti viri sed indoc- torum librariorum: nam meo iudicio sic dicendum est: nobilit: est vis et iniquae divitiae; nam nonnullae ne dicam omnes il- lustres domus, aut vi aut rapinis aut scelere aut violato inure, aut mendaciis aut perfidia fiunt, quare dictum fait illud: Aude aliquid brevibus Gyaris, et carcere dignum Si vis esse aliquid; probitas laudatur et alget. Sic etiam inquit, invertit ille, nescio quis fuerit, sed sa- piens omnino fuit, proferens illam definitionem (sic etiam Ba- rones, B littera in L mutabat, adiciebat etiam 'T.) orator est vir malus dicendi imperitus; et per oratorem intelligere licet quemvis causidicum: similiter etiam ii, qui utiles domini dicun- tur, meo iudicio inutiles domini appellandi sunt aliis, utiles sibi; quoniam ea, quae illis iure debentur, minima par est eorum quae asubditis extorquent. Dicam quia verum est; quidam eorum sub- ditos habent loco servorum; ad haee, attulit non pauca exempla non vetusta modo et peregrina, sed recenti, et ante oculos posita, quae se imitari fatebatur; quando enim, ait, ingentes accumu- detto il Galateo 31 Dina Colucci - Antonio De Ferrari lavero opes, villas, lata praedia, nummorum quoque magnam vim, filios suscepero ex matre generosa: non deerunt illis ho- norata magnatum connubia: nemo illis obiciiet ignobilitatem ; nam qualis sis, aut unde habeas quaerit nemo, sed oportet ha- bere, At post mortem, ait ille amicus, reddes rationem ante actae vitae, Tune ille ridens, ut saepe solebat de Diis homi- busque iocari. O ineptissime, inquit, qnaomodo ego reddam cum non ero solvendo? Aut timeam turpe restitutionis bonorum apud inferos indicium, cam omnes illuc nudi proficiscantur? Reddant haeredes: me vero aut tartarei indices aut creditores nutriant, Puto, si diutius ille vixisset, ad magnas, immo in- gentes opes, et honores et magistratus pervenisset: sed imma- tura mors illam magna molientem rapuit. et nune apud inferos Init poenas rapacitatis, et ex humanis ita radicitus evulsus est, ut eb Nomen et proles prorsus extincta sit: ub cum divino Propheta dicere possimus: « Periit memoria eorum cum sonitu: exibit spiritus eius es revertetur in terram suam: in una die peribunt omnes cogitationes eorum. Vidi impium superexal- tatum et elevatum sicut cedros Libani: et transivi, ct ecce non erat, et non est inventus ». Talis solet esse exitus rapinarum ; profecto cvisdem artibus quibus genitae sunt, aluntur atque augentur nobilitas et divitiae, quae dum novas quotidie s tutes, nova ct intolerabilia veutigalia excogitant, et graves inopum oppressiones foenera, extorsiones, expilationes in im- mensum coalescunt, adeo ut non solum infimae conditionis ho- mines, qui suis laboribus vivant, sed ii qui medii sunt et quos imperare debere censet Aristoteles servi procerum videantur, eorumque bona ii qui plus possunt sui inris esse existiment; certe inopes praeda sunt potentiornm, quoniam (si verum non hegamus) idem sunt apud eos hae res natura et lege disiune- tissimae, ius et vis: ideo cum ab Aetruscis antiquis posses- soribus agrus finitimi Galli poscebant, legatis Romanis de iniuria querentibus responderunt se ius in cuspide gerere; non recte dictum est, ius esse in armis, immo in armis esse omnem iniu- ram, omnem nequitiam certnm est. Nulla fides pietasque viris qui castra secuuntur. Tales sunt et nostrorum temporum mores, quamvis dissimulamus Gallorumque illam inhumanam senten- eee non factis detestamur: ita fit, duae sunt pernicies generis, non minus quam meum et tuum, libertas et 32 Rinascenza Salentina servitus cum modum excedunt: sed illa secundum naturam esse videtur, haee contra; nam liberos omnes nos Natura genuit: servitutem sibi ipsi peperit mortalitas. Mos ominum est, aut humiliter servire aut superbe dominari; hac via, ut dixi, per vim, per arma, per caedes et scelera et frandes et dolos, malos astus, proditiones, simulationes et mendacia, orta sunt regna, imperia, divitiae et omnis, quae sic appellari gaudet, nobilitas. Pereurramus ex multis et innumerabilibus pauca, quae a con- dito aevo ad nostra usque tempora acta sunt; satis sunt nobis pauca exempla ad ostendendam rem manifestissimam, Ninus Rex Assiriorum vir astutns et callidus rudes et liberos ho- mines, et qui ingum et superbum dominorum impotentiam nondum noverant, servire coegit. Semiramis deinde mualier prava et impudica omni scelere et incestis amoribus et tenuit et labefactavit imperium; magnum est exemplum humanae stultitiae et miseriae, O deducus humani generis! Quae mon- stra patiuntur homines? Una mulier, et ea impura et scelesta, tot gentibus, si vera narrant, tot viris tot ducibus dominata est, Nec mirum si regnum eorum incoatum Sardanapalis vir (si virum appellari licet) omni femina nequior turpissime fi- nierit; nec non, et in eadem Asia, ub Caesar ad exeusandam suam apud Nicomeden impudentiam dicere solebat, multis gen- tibus imperitaverunt foeminae: ii qui Reges regum appella- bantur, notum est, quibus (1) adepti sunt regnum; Oyrus avum Astiagem regno spoliavit; Darius astutia et dolo hinnitu equi in tantum regnum quod Magi fraude occupaverunt assumptus est. Lydorum regnum Gyges per scelera adeptus est annulo illo hoe est dolo, et oceultis insidiis Regem interemit suum, et Reginae thorum simul cum reguo invasit proditor sceleratus et adulter. Pisistratus, quamvis tyrannorum mitissimus, dolo tamen et astu tyrannidem aggressus est. Transeo Cypselidas, Polycrates Solosontes (2) Thrasibulos Phalarides, Agathocles, Hie- tones. Gelones, Dionysios et quos Cyclopes appellant, per quos tyrannos intellegimus qui, ub ait Virgilius, vescuntur visceribus et atro sanguine miserorum; quot sunt nostra tempestate Oy- (1) E’ da aggiungere un «modis» o un «artibus >. (2) Sic. Dina Colucci - Antonio De Ferrariis detto il Galateo 33 clopes? Dicamus ergo cum Virgilio: Dii, talem terris avertite pestem. Philippi ed Alexandri principatus a scelere ortum la- buit, quem si vis scire, lege Archelai horum Regum (1) flagitia apud Platonem. Alexander ille, qui se orbis Regem et Iovis filinm appellari iussit et divinos honores sibi ut Hereuli et Li- bero patri praeberi, adversante Callisthene philosopho et omni exercitu, poposcit, vini minime abstinens, gloriae avidissimus, irae impatientissimus, qui pro uno verbo carissimos interemit, Callisthenem recta suadentem turpissima morte necavit; ex ma- cedonica disciplina in persicam victor simul et victus transiit, quas ob res tantum odii apud suos sibi conflavit, ub eum, pro quo tantum sanguinis fuderant, totiens se morti exposuerant, tot ignoratas et barbaras terras peragraverant non dubitarent veneno extinguere, quamvis nonnullas alias coniurationes eva- serat; multum in illo fuit audaciae et animorum et virtutis, plus fortunae et potentiae sed plurimum vitiorum. Hannibal Poeuus, qui tot Romanos exercitus stravit, cuius nomen tamdiu durabit quamdiu erunt graecae et latinae litterae, audax fuit, fortis, intrepidus, strenuus, callidus, astutus, vafer, subdolus, fallax, magnanimus: ‘inediae vigiliarum laborum et pericolorum, caloris et frigoris patientissimus; sed haec ad bellum pertinen quae autem ad pacem et ad bonum et iustum virum spectant, minime novit; vam in illo nulla religio, nullus Dei metus, nul- lum ius iurandum, nulla fides, nullum foedus; sed crudelitas inhumana et versutia et perfidia plusquam punica; illius in- gentes virtutes ingentia vitia aequabant, immo forte superabant. Vide quibus artibus ad summum pervenitur nobilitatis et gloriae, immo potius famae et divitiaram. De Scipione si quid dicam, multos a me laesum iri haud ignoro. Sanctissimus fuit, fateor ; fortis pius, verax magnanimus, beneficus, pudicus, alieni ab- Stivens, modestus, verecundus; sed qui eum Tove simulabat hocturna colloquia; mea sententia nemo simulator, ut etiam dicunt, nemo hypocrita bonus, vel si Apollinis sit oraculo op- timus indicatus; sicut vestes tegunt mendas et cicatrices et turpitudinem humani corporis, sic divitiae, genus, honores, si- mulatio et dissimulatio, fama et gloria rerum gestarum celant (1) Bisogna aggiungere qualche cosa come «avi». B4 Rinascenza Salentina profunda animi vitia excoecantque oculos vulgi non sapientum ; cedat igitur veritati fama et rumor vulgi stolidi; quod ut Ho- ratius ait « Honores saepe dantur indignis », Pinm sanctumque esse ait Aristoteles venerari et colere veritatem atque prae- ferre eam et patriae et parentibus et amicis omnibus. Dominus noster dixit: Ego sum veritas. Non praetermittam hoc in loco illam Ciceronis sententiam notatu dignissimam: In poematibus, inquit, et picturis usuvenit, in aliisque compluribus, ut delec- tentur imperiti, laudentque ea quae laudanda non sunt ob eam credo causam quod insit. Sunt quidam nobilitatis defensores et patroni, qui tribunos plebis seditiosos loquaces mendaces nobi- lium et Patrum gloriae invidentes, appellant: aliquis illos defenso- res publicae libertatis fuisse existimat et contra nobilium fuaro- rem et contra Patrum impotentiam ne dicam tyrannidem unicum fuisse praesidium ; qui his verbis non adhibet fidem, legat totum volumen De bello Iugurthino, cuius auctor non ex plebe, sed nobi- lis fuit; videtur ille non historiam scribere, sed dicere vobilitati diem. Non esse in ea urbe libertatem censet Plato, in qua multi serviunt, pauci dominantur; hic mos erat apud Persas, hic etiam fuit quondam apnd veteres Gallos; eundem quoque esse audio apud eosdem Francos. Nollem dicere, sed dicam quia verum est; utar verbis illius, qui Iob consolabatur: Si coepero loqui, forsan moleste accipies, sed conceptum sermonem tenere quis poterit? Post adventum Francorum et exitialia bella, nonnulli huius miseri Regni Principes adeo superbe atque avare ad libitum domi- nantur, ut singuli non reguli, sed Reges videantur; rebus enim et personis subditorum tamquam servorum utuntur. Profecto ante tribuniciam potestatem, quae frenum erat superbiae ava- ritiae et luxuriae nobilium et potentum, ut in Virginio visum est, pruceres Romani plebem servorum loco habebant, vexabant foenore, et omni iniuria in nervis ob gravissima tributa et foenera torquebant; unde illud arrogantissimum verbum: de- bitor est servus creditoris, et illud: qui non habet quod reddat Inat in corpore. Hoc ex romana lege est, divina antem hoc prohibet et abominatur. Patres plebem romanam gravi militia, continuis et quandoque etiam non necessariis bellis fatigabant. Ille, qui tyrannidem exercere voluit, sustulit tribuniciam po- testatem. Mirum est: antequam plebeii adirent consulatum, si historiis credimus, nunquam Romanum Imperium quintum de- Dina Colucci - Antonio De. Ferrariis detto il Galateo 35 cimum lapidem trangressum est; postquam autem promiscue ex patribus et plebe consules optimates creari coeperunt, ad tan- tum fastigium Res Romana porvenit; et ad maius pervenisset, nisi nobiles suis ambitionibus, seditionibus, coniurationibus, superbia et avaritia funditus eam evertissent atque ex optima Repubblica tyrannidem pessimam fecissent. Quid significant illa Livii verba: Indignabantur cives Romani quod sub onius viri umbra lateret tanta urbs, nisi quod ad illius nutum omnia fie- bant? Tales sunt ii, quos Aristoteles demagogos nuncupat, ex quibus tyrannos saepe fieri dixit. Ille etiam societatem civium Romanorum paene dissolvit, quod a patribus ignominiose se- paravit plebis consensum quod Romanis quiritibus molestis- simum fuit; idem rei gestae rationem ponere, malo quidem exemplo, recusavit, simulatione- sacrorum, patriam deseruit quando suo arbitrio omnia agitare, hoc est quando dominari amplius non potuit, prohibitus gravitate tribunorum; ideo at puto latere maluit. Sapienter mihi fecisse Athenienses visi sunt quando civis aliquis ex re, quamvis bene gesta, favorem sibi et magnos honores apud populum comparaverat, exulare ali- quamdiu iubebatur, donec deffervesceret ille favor et plausus popoli, ne conciliatis hominum avimis regnum affectaret. Sic Pisistratus tyrannidem occupavit. Sic Phalaris. Sic Dyonisius. Non aliam ob causam puto Manlium illum qui rem romanam servavit e tarpeia rupe deiectum; hoc etiam quamvis fortasse non satis recte attamen.e republica factitasse video quasdam liberas urbes Italiae, quae seditionibus nostra et avorum no- strorum aetate vastabantur; invenies non infimae conditionis homines neque eorum qui medii dicuntur, sed proceres et po- tentes dissentionum, discordiarum, intestinorum bellorum et omnium malorum causam extitisse. Exempla ante oculos ha- bemus. Brundusium, Tranum et Baretum divites et ii qui no- biles appellantur, vastaverunt; Scipio libens potius exulare vo- luit, quam invitus et coactus. Solon, Lycurgus, Dion siculus, Pau- sanias, Anaxagoras, Themistocles, Alcibiades, Aristoteles, Dyo- nisius, Demetrius Phalerius, Demosthenes et ex nostris Camil- lus, Coriolanus et hic quem diximus Scipio, Cicero, C. Marius, Boetius, Symmachus, Dantes et plerique alii illustres viri aut necati sunt aut exules fuere. Eixili in quibusdam fortasse ho- nesta sed plerisque causa fuit turpissima; quin etiam domina 36 Rinascenza Salentina Roma Imperatornm tempestate non latrones non sicarios non seditiosos et causidicos, non luxuriae magistros, non lenones et farmacopolas, non denique tyrannos, sed philosopbos et me- dicos eiecit, hoc est curatores animarum et corporum; Cicero qui suum Laelium et Scipionem admiratnr: In ©. Laelio, in- quit, multa charitas, in eius familiari Scipione ambitio maior, vita tristior; sed plerumque rerum scriptores vulgo et favori howinum serviunt, et magnitudini rerum gestarum. At ii, qui vivorum vitas scripsere, ut Plutarchus ait, minutissima quaeque perquirunt et mores hominum examinant, non domitas gentes et triumphos; ideo in iis, quae ad mores pertinent, geografis potius quam historicis credendum est. De hoe satis. Aegypto et tota Syria liberi serviunt, servi dominantur, O rem ante actis saeculis inauditam! Qui fieri poterit hoc, nisi fraude et scelere servorum et liberorum ignavia et superstitioso Mahometti dog- mate? Ii sunt nobiles, ii tyranni, verbenones, mastigiae,. si- gnati stigmate, qui plebeios et antiquos Aegyptios habent loco servorum, Apud Phoenices, quia trucidatis dominis, raptis vir- ginibus et matronis, direptis bonis, ubi dominati sunt (), Sed cur peregrina exempla quaerimus? Graeci et Itali qaondam rerum domini, quibus instituta vitae, quibus leges, litteras et bonos mores, quibus humanitatem (si qua in illis est) dedimus, bar- baris servimus et hoe gratia et benignitate principam nostro- rum et magnatum, qui ob discordias suas et odia irreparabilia, Italiam externis nationibus subiecere. O rerum vicissitudinem ! Qui inopes, ignoti, degeneres, ignobiles, proedones, sicarii vo- lones aut stipendiari milites et ut Aristoteles ait, vitam pro vili mereedula, non pro gloria ant salute patriae exponentes, sed ob rapiendi cupiditatem ad nos venerunt; nos ignobiles, nos villanos appellant; quamvis haee non foeda, tt ipsi pu- tant, appellatio est, sed satis honesta. Franci enim apud quos natura (2) fuisse hoc vocabulum dicunt, urbem villam nominant, Nobiles enim illic vicatim ne dicam silvatim rusticorum more habitant, quos urbes colere turpe exsistimant. Quid de celeber- rimo illo et maximo omnium quae novimus et Vetustissimo (1) 11 periodo @ incompleto. (2) Da correggere in « natum », Dina Colucci - Antonio De Ferraris detto il Galateo 87 Romanorum regno dicam? Cicero ille laudator non parcus la- tini nominis: Rex, inquit, qui Urbem eondidit, ut solus regna- ret, fratrem interemit; omisit hic humanitatem et pietatem, et tamen muri causam opposuit speciem honestatis, nee probabi- lem, nee satis idoneam. Peccavit igitur pater, vel Romuli dixe- tim. Haee ille: Romulus ille almae Urbis conditor in Deorum numerum receptus et Martis filins, cui mater fuit vere Lupa, patrum regno eiecit, fratrem interemit, latronibus et sicariis, quos Patres et Sanctum Senatum appellavit, urbem complevit; T. Tatium sub data fide perdidit. Tot virgines fidei suae cre- ditas rapuit, Hae artes Romanorum Imperium pepererunt, Quid mirum, si eisdem quoque et servatum et auctum est? At nos, raptores, stupratores, periuros, fratricidas punimus; crede mihi, quae apud nos scelera sunt, apud proceres virtutes habentur; caedis reas, morte punitur; ea res proceribus et fortitudini da- tur et magnanimitati; furta si parva sunt crucem, si magna, donant imperium; levia peceata morte mulctantur; ingentia principes faciunt; ideo Plato ait: Principum plures mali. Cato dicere solebat: fures privates in compedibus, publicos vero in auro et purpura. Ethnici non solum principibus, sed Diis suis scelera omnia concessere, furta, amores, adulteria, stu- pra, caedes, rapinas, dolos; nonne vera est sententia illius, qui dixit: Leges simillimas esse araneorum telis, in quibus parva et imbecilla animalia, non magna capiuntur: si vir nobilis fu- ratur, sunt qui excusant: vir generosus, magni animi est, nou patitur pauperiem. Existimas melius esse furem, pyraticam exer- cere et lenocinia, quant mendicare aut aliquam artem servilem rusticeam facere, quod turpissimum est viro nobili? Si foene- ratur, dicunt: Nobilis est, divites habuit avos; inops est, filios habet plures, nescit in aegestate vivere. Quid faciet miser? Militare nequit, servire maiori nescit, neque dignatur; litteras non didicit, arma nunquam tractavit; pudet fodere; mendi- care erubescit; vivit ut potest; pecunia sua illi praesidio est: Si vi opprimit minores, si extorquet mavra xat maven xat Tape névtov, non deerunt illi auxiliarii qui dicant: ex illustri familia ortus est: quid faciet? Servis, equis, vestibus, annulis, torquibus, vasculis, nummis indiget. Non possunt haee fieri nisi manus in alienam immittat arcam. 38 Rinascenza Salentina Homines minores nati sunt ut serviant maioribus more pi- scium, ut ait Propheta, et more rapacium, quae devorant im- becilliora, Hoc natura ipsa monstravit. Non nostra culpa est. Ideo viris potentibus quidquid libet, licere putant; quoniam il- lis omnia permittuntur. Ideo Plato potentes viros facis compa- ravit, sed apes sapientioribus hominibus; cum suos labores di- ripi vident, ignavum fucorum pecus a praesepibus arcent. Apud nos in. proverbio est: Potentia et divitiae sic stultitiam et pec- cata operiunt, sicut herba solum. Nobis villanis peccare non licet. Caesar cuius nomen sanctum ac venerabile durat per tot saecula, cuius prima est in toto terrarum orbe nobilitas, quis fuerit nemo ignorat, impudicus, moechus, simulator, adultera- tor nommorum, male praecinctus, proditor patriae, qui cum Catilina consenserat, demum Pater patriae, hoc est pernicies patriae, parricida, pessimus tyrannorum qui urbem liberam et rerum dominam servitudi subiecit. Ipse ingenue fassus est, iuxta pestilentem illam a Platone primum, deinde a Cicerone repro- batam Euripidis sententiam: Non aliter viros magnos et claros fieri posse, quam violato iure. Vis tu sententiae meae testem immo potius auctorem meliorem? Caesar dixit, non ab antiquis nune iuris consulti dicunt fabulis, sed ab ipso Imperatoris ora- culo dicta sententia est: Quidquid illi placuit, qui Romanorum Imperium constituit, lex est. Quot leges latae sunt de laesa maiestate? Contempta religio et laesa maiestas nullam habent recusationem, nulla paria supplicia. At hic ob contemptam re- ligionem, ob laesam maiestatem, ob pessundandas patrias leges, denique ob violata divina et humana iura, ob oppressis civibus Pater patriae appellatus est. Viden sub cuius tyranni et suc- cessorum legibus vivimus? Hi nobis dant leges, qui omnia divina et humana iura per- vertunt; ii nobis suadent pietatem colere qui inique et scele- rate vixerunt; ii nos mentiri vetant quibus periuria ioco sunt. Maximam esse calamitatem Plato censet, administrationi malo- rum subiici, quoniam, ut ipsemet ait, necesse est malam ani- mam male imperare. Romanum Imperium ante Oonstantinum raro sine caede et sanguine quaesitum est; at postquam in Orientem translatum est, aditus in illam aulam non nisi per scelera patebat; quae caedes, quae venena, quae oculorum or- bitates, qui carceres, quae exilia, quae tragica scelera ibi non Dina Colucci - Antonio De Ferrariis detto il Galateo 39 sunt perpetrata? Unde scire licet, veram esse quod dixi: nobi- litatem iisdem artibus servari atque augeri, quibus incohatur; neque video, quomodo pietatem colere possit, qui patriam im- piis armis adortus est, qui tot civium sociorumque sanguinem bibit; adversariorum immo et optimoram civium et bene de republica sententiam bona diripuit ac subhastavit, qui patrias leges et instituta sacra et prophana omnia contempsit; qui Sul- lae obiecit iustitiam, quod dictatura, hoc est mera tyrannide se abdicaverat, quod Reipublicae dignitatem suam restituerat ; quamobrem ille domi inter suos privatus, hie in Curia Impera- tor maximis vulneribus confossus interiit, Romanum Regnum omnium maximum inguilini et obscuro genere nati et servi tenuere. Post Reges exactos Romanis re- rum dominis Decemviri tyranni; post consules autem Aphri, Syri, Pannonii, Galli, Ispani, Dalmatae homines impurissimi saepe imperavere. Hic ipsi prima Nerones, Ottones, Dowitiani, Heliogabali, Caracallae; unde illa Plinii memoranda senteptia: Fortuna rerum humanarum summa gestatur in profundis animi vitiis. Nune Pontificum opera, praeterquam germanos, neminem ad Romanum Imperium admitti licet. Iustinianus legum con- ditor, qui Romanarum legum aliarum super alias coacervata- tum immensam copiam in ordinem quemdam seu digessit seu discerpsit ac turbavit: bie est noster Solon, hic nostri temporis Lycurgus. Sed qualis hic fuerit Procopii medici avéx3ora demostrent. Hic fuit uxoris superbae nec satis pudicae vile mancipium. Aristoteles inquit: nihil differre mulieres do- minari, et eos qui dominantur mulieribus subiici. Hie ex Italia Gallos eiecit; sed nescio an maiore in damno fuerit; quoniam avaritia et negligentia sua maximis incommodis illam terram afflixit; Bellisario et viro ef duci optimo et de Romano Impe- rio benemerito, parum grato animo fuit; deinde Antoninae in- solentia et ingratitudo Narsetem, ut Longobardos in Italiam Acciret, compulit, Nune illius antiquae Imperii sedis Scythica Sens Turcarum potitur. Quibus auspiicis gens illa regnare coe- Pit, novimus, fraude videlicet, et astutia Othomani rustici et bubulei, latronum primo, deinde iusti exercitus ducis; nunc ad quantum fastigium res turcica pervenerit, eb quo propter intestina Christianorum bella et propter perniciosas Reipublicae 40 Rinascenza Salentina Ohristianae discordias perventura sit, nisi Ohristus provideat, perspicimus. Othomanus, vir audax et astutus, in Bithinia non longe a Prusa, quae sub Olimpo Mysio monte sita est, collegit sexa- ginta equites inermes et infrenes coepitque infestare crebris incursionibus vicinas villas, vicos Christianorum; deinde cre- scente multitudine et more ignis omnia devastante, convenit inter vicinos populos et Tureas, ut certa vectigalia singulis annis Turcarum Duci solverentur, quae durant usque ad nostra tempora, et adhuc servant nomen antiquum, alterum enim Au- gustinum dicunt, alterum Charatium. Quid plura? Ille Othoma- nus, collecto volonum et sicariorum et latronum Asiaticorum exercitu, iniuria et ignavia Principum Christianorum, Prusam urbem populosissimam ditioni suae subiecit. Nonne dixi nobi- litatem saepe malis ortam iniitis fuisse? I, nune, profer nobi- litatis tuae authores; numera maiores tuos; tolle tuum, precor, Hannibalem, victumque Syphacem. Cave, dum tu praeter quo- sdam qui se nobiles appellari volunt, omnes alios plebeios, et ut dicunt villanos nuncupas, ne illi retorqueant in te illos versiculos : Maioram primus quisquis fuit ille suorum, aut pastor fuit, aut illud quod dicere nolo: Quidam superbus opibus et fastu tumens, tantumque ver- bis nobilis, spernit vertentis clara saecli nomina, antiqua captans stemmata. Ambigua est necdum intellecta illa quam dixi Ari stotelis definitio, Nobilitas est virtus et divitiae antiquae; ne- scimus an intellexerit nobilitatem esse virtutem et divitias avo- rum; et quamvis in aliquo non sit virtus nec divitiae, tamen propter maiorum divitias et virtutem nobi dicatur, etiam si sit malus et pauper, ut nonnunquam contigit; an voluerit di- cere, quod nobilitas sit sola virtus quamvis non adsint divitiae praesentes, sed satis est quod virtutem quis habeat, et quod maiores divites habuerit. Alibi dicit: nobilitas est virtus gene- ris, eamque esse apud omnes honorabilem, quoniam verisimile est bonos ex bonis gigni; quamvis raro ex boni parentibus filii probi nascuntur. Inquit Aristoteles in libro Rethoricae: Nobilis est secundum generis virtutem, generosus autem qui non de- Dina Colucci - Antonio De Ferrariis detto il Galateo 41 generavit a natura; quod quidem in pluribus non accidit nobi- libus, sed sunt multi levis valoris. Testis est maximus proto- nomoheta Moses, cuius filii, quanti fuerint pater ostendit, quando non illos sed alienum constituit tanti exercitus ducem; nusquam iHorum Scriptura meminit, nisi quod a Mose geniti sunt. Testis David, Heli, Samuel; transeamus, ut dicunt, ad gentes.. Ile qui Romanum Imperium philosophia, mansustudine, probitate, aequi- tate et sanctis moribus honestavit Antoninus philosophus con- terraneus noster ex materno genere; testis, et ipse Cicero, cuius filius tantum ut dicunt valuit in bibendo, quantum pater in dicendo; de Scipionis filio hoe tantum novimus, quod captivus apud Antiochum regem, et quod gratis patri redditus fueri Aristoteles, in quo vere natura monstravit quantam vim habe- ret in bumanum genus, Nicomachum genuit, ad quem decem illos sanetissimos ethicorum libros composuit; qui tam obscu- rus est, quam pater apud omnes geutes clarus et illustris. Ari- stotelis mos est, ut interdum vulgatis opinionibus, quas recen- tiores famosas appellant hoe est consensu aut plurimorum aut sapientiorum approbatas ), quae si rationi consentiant ad- mittendae sunt, autem a ratione discrepent minime; ideo peccavit apud Ciceronem Balbus, qui penitus negavit consen- sum gentium; multo melius Aristoteles decrevit, cum dixit tune se rem recte habere, quando ‘O déyor sic gawopévors prprupet, nal te omvipeva 7G ddyp. De nobilitate ergo in politicis secundum comunem opinionem locutus est; in ethicis autem secundum veritatem. Determinavit enim felicitatem, quae est vera hominis nobilitas, sitam esse in virtute intellectuali, primo in morali, secundo non in divitiis, aut robore, aut corporis pulchritudine, aut honoribus, aut magistratibus, aut in avorum gloria et potentia, aut in illustri patria, aut quod quis barba- rus sit aut graecus, servus an liber natus sit: quot servi prae- stantiores sunt dominis suis, fortuna inferiores virtute superio- res, et ideirco nobiliores? quot fuerunt, qui multis gentibus im- peraverunt? Quot sunt hodie, immo potius habentur nobiles, quos servire et in compedibus esse satius fuisset? Quot barbari grae- cis et latinis meliores? Soleo ego damnare illorum opinionem, (1) Bisogna aggiungere un « obsequatur » 0 un « cedat >. 42 Rinascenza Salentina qui genus humanum distiuxere in graecos et barbaros; quod et Platoni et Straboni minime placuisse video; sunt qui in patricios et plebeios ant nobiles et ignobiles; sumuntur hae differentiae non ab ipsa rei substantia sed accidentibus; ac si quis dicat, hominum alii albi, alii nigri, alii pingues, alii maci- lenti, alii tristes, alii ineundi, alii divites, alii inopes, alii cives, alii inquilini; similiter et si quis dividat animantes in bipedes et quadrupedes et multipedes, pennatas et implumes. Vera re- rum differentia ea est, quae sumitur a forma, quae dat esse rei; illa enim in hominibus differentia ratio est; in brutis, quae sint singulorum differentiae, ignoramus; a quibus mente et ra- tione separamur. Nobiles igitur recte appellabimus quicumque plus ratione valent, ignobiles, qui minus, etiam si sint Craeso locupletiores aut Priamo antiquiores; qui rationi obtemperat, hie vere nobilis, immo hic vere homo est; qui minus is nec nobilis est nec hominis appellatione dignus; ideo dicunt, homi- num maximam partem brutali vita vivere. Nobiles igitur sunt qui vere philosophantur, etiamsi inopes sint, aut servi; caeteri omnes ignobiles, etsi multis millibus hominibus imperent, si, ut Plato ait, vigintiquinque avos numerent usque ad Iovem. Utar -verbis Socratis: Non Socrati, inquit ille, sed veritati cedi- tur; nam vero ut dixi irasci nefas est. Dii immortales? Quis unquam potentum, aut bonus, aut iustus fuit; quis Romae, aut Athenis, aut Carthagine philosopbus, aut Hierosolymis propheta natus fuit? Ideo Socrates, cum quidam Antistheni philosopho probo obiiceret, quod non ex utroque parente civibus Athenien- sibus genitus esset, fuerat enim illius mater Thrax, Socrates ad ca- stigandam hominis inscitiam, respondit: An tu credebas ex duo- bus Atheniensibus virum probum posse nasci? Ideo Horatius semel, atque iterum dixit, se libertino patre natum; sic et Vir- gilio Romulidae illius virtuti invidentes, inverterant clausulam illius versiculi: nuper mihi tradidit Agon; sic nostri iure lo- quuntur: Livio quoque Romanae historiae patri patavinitatem; Ciceroni urbis servatori, qui ut ipse ait, nobilium furorem extin- xerat, magnates patriae proditores novitatem et inquilinitatem obiecerunt, deinde exilio et morte damnaverunt. Quid non audebit luculenta Scipionis series? Sed redeat sermo unde digressus est; (nam hic locus diligenter tractatus est in expositione quam fecimus in Aphorismos Hypocratis), Dina Colucci - Antonio De Ferrarits detto il Galateo 43 Galli et Longobardi et Normanni, Italiae Regni per fraudes et caedes potiti sunt; Franci, qui se hoe tempore nobilitate cae- teris divitibus praestare putant, quique plebem suam hoc est indigenas et Aborigenes Gallos habent loco servorum, quales in principio fuerint, novimus. Ab antiqua origine Germani sunt; quamvis quidam rerum ignoti,() illorum originem ad Priamum referant; sed referant ut libet usque ad Hereulem Amphitryo- nidem, vel si velint, ut prisci Galli, ad Ditem patrem; nam ut video licet cuique de quocumque volet proavum sibi sumere libro; hi ex inviis Germaniae paludibus traiecto Rhevo, ut Eutropius ait, fluxerunt. Pipinus et Carolus, quem magnum appellant Germani, fuerunt Franci, non Galli, clientes regum Gallorum, uescio quo pacto regnum (quod quondam Romana fuit, et sub Romanis Imperatoribus provincia et a Gallis occu. pata) invaserunt, Hoc certe constat, illos familiares et dome- sticos fuisse et peregrinos in Gallorum regia domo; cxtincto postea Caroli Magni genere, ii, qui nunc regnant, successerunt, quomodo, aut quo iure, aut quibus orti natalibus, nescio, Hoe tantum accepi, Hugonem quendam Parisium primum ex hac familia et uxorem et Regnum occupasse dominl! sui. Nos bel- lum, ut in proverbio est, cum mortuis gerimus, nec nomina- mus eos, qui uune in Italia dominantur. Quod eredis de iis, qui barones et generosos se appellari volunt, et de his minutis no- bilibus? Scito, omnes istos gloriari se a barbaris esse profectos; tamquam dedecus sit Italiae indigenas et aborigenes esse. Vi- debis quosdam istorum nondum exuisse cultum et silvestrem animum ad rapinas et iniurias natum; an putas illa signa et vexilla et scuta in templis pendentia aliud esse quam insigna praedonum et latronum, qui pauperes et inopes profecti ex profunda illa barbarie, nihil ad nos praeter barbariem, gladium et sarissam et veterem tunicam et fractos calceos detulerunt? Quae est illorum patria? Qui progenitores? Quod genus? Qui- bus viris geniti? Quibus silvis educati? Unde erupit illa collu- vies eorum, qui nunc miserorum sanguine saginati proceres ha- bentur? Nos indigenae servimus; vere terraram orbis latronum est, vivitur ex rapto; nam regnum terrarum vim patitur et (1) Da correggere forse in « ignari >». 44 Rinascenza Salentina violentiis et rapinis erapiunt illud. Nescia mortalitas, quae non nisi fallacibus verbis et simulationibus ducitur, non innocuas et beneficas animantes, sed rapacissimas et perniciosas Aquilam et Leonem aliarum principes fecit. Non aliam ob causam dixe- runt iustitiam relictis terris in coelum evolasse, et postrema ve- stigia apud agricolas posuisse; nisi quod ii, qui potentes sunt et iustitiae ministri, iniustissimi omninm sunt. Non immerito in ore omnium semper fuit illa Platonis sententia, non aliter res- publicas beatas fieri posse, quam si aut philosophi regnarent, aut reges philosopharentur. Philosophia est vera et costans no- bilitas; philosophi .igitur sunt vere nobiles; ne dicam cum stoicis et Platone, vere viri, vere Reges: caeteri omnes plebei atque ignobiles: ideo Avenroes putavit hominem philosophum tantum differre a cacteris hominibus, quantum hominem verum ab homine ficto; et quamvis non differant secundum eam par- tem, qua homines sumus, quae in nobis divina est atque im- mortalis; differant tamen secundum usum illius partis, Ait Ci- cero: Quid enim interest, utrum ex homine quis se convertat in belluam, an in hominis figura immanitatem gerat belluae ? Quid qui omnia recta et honesta negligant, dammodo potentiam consequantur ? Idem Cicero: Sunt, inquit, quidam homines non re, sed no- mine: Similis sententia est divini David: Homo cum in honore esset, non intellexit, comparatus est iumentis insipientibus, et similis factus est illis. Non nimis absurde dictum ab Averroe: quis existimat, consideret quanta distantia sit inter infantem et virum, inter dormientem et vigilantem, inter insanum et mentis compotem, inter stultum et sapientem; et tamen hi omnes sunt, seu potius homines appellantur. Dina Colucci - Antonio De Ferrariis detto il Galateo 45 2. Ad Prosperum Columnam. (Vat. lat. n° 7584. O. 75. Autografa. TI codice 8 cartaceo del XV sec., di carte 135, in gran parte autografo, in corsivo gr rante, Sul foglio di guardia é incollato un cartellino in capitale: « Epistulae nostrae >. Lindice 8 autografo e non comprende le due ultime let- tere, che sono delle copie. Misure del codice: em. 20 per 29). Magnum ducem ecattolicorum regum, vir illustris, ut mibi aliqnid ex tanta et tam clara victoria impartiatur obnixe pre- catur heroina mea. Nec dubito illa rogante et te favente me omnia ista et iv dies maiora impetraturum. Lustissimam enim est ut aliquem victoriae frnctum sortiamur qui periculis obsi- dioni dedecori pestilentiae et damnis et sumptibns gravissimis nos ipsos lideros resque omnes nostras exposuimus dum catto- licorum regum fidem servaremus ct militibus nostris ut seis, afflictis pene rebus, nuil» precio operam nostram quantacumque potuimus navaremus. Alias ipsa dea si sua dona male distribui senserit, ut est ancipiti corde et pernicibus alis eb quae ex pu- silla scintillula ingentes ignes excitare solet indignabunda alio advolet, Nulla illi deae sacra gratiora quam temperanter et iuste nee avare et superbe et erudeliter snis muneribus uti victores facere possunt. Tu pro tua inuata probitate humani- tateque Galaleo iamdiu tuo quantum potes fave. Nihil enim ut puto et ut par est, non potes. Tu sis semper felix ac prosper, illustris Prosper, et utere prosperitate tua, Vale. 3. Ad Joannem et Alfousum Castriotam (Vat. lat. 7584, ce. 127-129. Autografa, incompleta). Novistis, illustres viri, generosi Macedones, unanimi fratres, ub saepe his minimis verbis interdum maxima crescit. Quoties die simulamus dissimulamus ne dicam mentimur quamvis simu- iare ac dissimulare nihil alind est quam mentiri, Quoties laeto ac hilari vultu tegimus profunda odia et hoe quoque mentiri 46 Rinascenza Salentina est. At si quis nos mentiri dicat subito ad arma concurrimus, querulae atque provocatoriae litterulae hine atque illine mit- tuntur, offensiunculae obiiciuntur, campus pugnae toto orbe quaeritur, Arma eliguntur, dubio ferro et incerto eventu veritas inquaeritur, cum id ratione et. legibus satius fieri possit. Ridi- euli armorum seu petius iurgificuli reges fintis tapetibus et vexillatis amicti vestibus patres patrati foeciales huc atque illuc discurrunt, Tubae canunt, infestis armis undique concurritur: hoe modo credunt quae iure facta sunt decernere. O stulti, vis non ius in armis valet. Scio patrem dum pro filiae pudicitia arma noctu caperet, ab adultero paribus armis fuisse interemp- tum. An solum in singulari certamine non in publico ius valet? Legimus ne dicam vidimus multos reges avito regno plures an- tiquis pessessionibus spoliatos non iuribus sed viribus. Quot viatores a crassatoribus et iis numero inferioribus necati sunt etiam iuste repuguantes? Constantinus Constantinopolitanus imperator dum antiquum et avitum tutaretur imperium inter primos pugnatores supra captae urbis moenia strenue dimicans caesus est. Vive nune laetus, inre tuo quod non solum vis sed fortuna ipsa saepe prosternit. Quid dicam de re bellica cum in agendis causis, qua in re iusticiae maxima est ostentatio, nonne potentiores et divitiores, non ii qui iusta postulant, si verum non negemus, victores sunt? Quantum valet in re bellica virtus et vis et dolus tantum in agendis causis potentia, cau- sidicorum versutia et pecunia. Quod ius tam apertum est quod non legum enygmata et causidicorum perversa subtilitas perturbet quod non pecunia expugnat. O quam bene pugnavit Priamus aut Troilus congressus Achilli aunt Patroclus Hectori. Quo eventu cre- dis pugnare imbecillos cum potentioribus quanvis illi iusta te- neant arma? In proverbio est: Paucis dii favent sed qui plures sunt aut meliores victores evadunt sed omnia intelligenda sunt ut dialettici dicunt caeteris paribus. Quo iure Babylonii Medi Persae Parthi Macedones Carthaginenses Romani aliena regna adorti magnam orbis partem adepti sunt vi et armis? Nescio quis fuit tempestate nostra ille Paris quem proceres admirantur qui pesti- lentem libellum edidit de duello, ut ipse ait, hoc est de homicidii impunitate, Sit hoc concessum militibus quorum omne ius ut Se- nones agebant in cuspide est; vir leguleius Ohristianus et sanctis legibus educatus debuit ne haec suasisse. Impia sunt haec arma Dina Colucci - Antonio De Ferrariis detto il Galateo 47 in quibus peremptis corporibus animae quoqne pereunt. Puto qui sic moriuntur nefas esse in sacris locis sepeliri sed pinm esse inhumatos projici ut vento pulsentur et imbri et a feris lanientur, Seeus qui pro patriae libertate, qui pro tuenda chri- stiana religione iuste ac pie pugnant, eos post gloriosam mor- tem a posteris decorari et ins et fas esse censeo vec ullum esse ad sanctitatem testimonium potentius honesta morte; sic domi- nus noster sic martyres eius sanguine suo celestem patriam no- bis peperere. Sed ad rem redeamns. Paris theoides ab Areiphilo Menelao provocatus, non quia adulter et perfidus fuisset _hospes detrectavit: certamen sed quia impar esset et viribus et animo, Martis filius et ipse in deorum numerum relatus consortem re- gni fratrem interemit et violator inris gentiam Sabinas rapuit et Statore Tove T. Tatium iusta petentem aut favente Tove aut dolo vicit. Quam sibi placent spectatores vides, et intestinae pugnae ot interdum fraternac caedis vanissimi indices, cum consedere duces et vulgi stante corona, de minimis verbulis indicant et derident nos ut insanos eum de deo de anima de natura deque mundi partibus disserimus. Antiquus erat Grae corum mos ut ait Strabo descendere in singulare certamen quod monomachiam vocant. Romani saepe sed cum hostibus singulari certamine pugnaverunt, Sed bi ethnici fuere, David a deo electus et dilectus cum Golia pugnavit non pro sua sed pro publica iniuria pro religione. Aiax rex erat impatiens irae vir bellico- sus et ferox, Achillis arma armis petenda esse putabat: at uni- versae Graeciae proceres iure eam rem agendam esse decreve- runt non armis, Ideo fortis viri tulit arma disertus. Sed con- cedantur ista ut dixi rixae inrgia altercationes certamina pu- gnae arma iis qui arma qui bella tractant. Nobis qui in philo- sophia versamur qui nos esse philosophos profitemur mitius atque modestins vivere convenit. Indagatores veritatis non de- cet invicem inimicos esse quamvis ipsa veritas et amicitiae e6 caeteris rebus anteponenda sit. In pugna litteraria multas gra- tias agere debemus teste Socrate iis qui nos vicerunt. Libera- verunt enim nos a pessimo morbo ignorantia et ut Aristoteli Placere video, gratiae quoque agendae qui in speculatione rerum aliquid inepte enunciaverunt. Moverunt enim mentem nostram ad perquirendam veritatem pulsis erroribus. Interroga- tus Socrates quam poenam luere vellct si vinceretur: Ham inquit 48 Rinascenza Salentina quae ignorantibus debetur, ut discam quae nescio. In illa pu- gna vinci aut mors est aut dedecus. In hac nostra vinci in lucro est, At si quis gloriae cupidus ut saepe evenit, vietus veritati noluerit assentiri neque meliori cedere is ab ady tis philosophiae tamquam prophanus cijciendus est. Bt iam philosophia interdum tractavit arma. Architas Tarentinus, Pythagoras, Socrates, Plato Xenophon, Callisthenes, Anaxarcus saepe sed contra hostes non in scholis pugnavere, Date igitur arma, campum concedite 5 quandoguidem veritas non rationibus sed armis exploranda est, Sana sunt analetica enthymemata et syllogismi si armis pugnis et calcibus probantur sententiae; vidistis iliustres viri quantae rixae quanta iurgia ex minima re orta sunt et paene ad manus conferendas ventum est. O mores philosophorum immo potius sophistarum! Ut sunt depravata atque corrupta studia. Si iurgiis rixis et contumeliis conviciis maledietiis: iniuriis de- tractionibus avaricia impudentia gaudet philosophia et medicina et me ab illis abdico iam iam futurus rusticus aut mercator aut nauta aut sutor. Sed haec non philosophorum sunt, acci- piat quisque in utram partem velit, sed cauponum et lixarum et lenonum. Hoe modo sacrum philosophiae nomen infamatur et-vulgo merito contemnitur; hoc est quod facit nos invisos et ridiculos cerdonibus et tonsoribus et vilibus artificibus — ne dum a magnatibus contemnimur, Divinus Plato, non nimis a Christi praeceptis dissentiens, non solum iniurias facere propha- num in Legibus et in Gorgia statuit, sed pati ininrias aequo et magno animo ad virum bonum pertinere existimavit. Ari- stoteles autem putavit utrumque iustum esse facere quam pati. Hippocrates ait: medicos nomine quidem multos, re autem pau- cos. Sic de philosophis putandum est, Ait Cicero in Academi- cis: Epicurei mei familiares tam boni tam inter se amantes viri, et tercia Tusculanarum quaestionum: Epicurei viri optimi nam nullum genus est minus maliciosum, Si tales erant epicurei, quid nos qui optimam omnium peripateticam colimus discipli- nam facere oportet? Cogito mecum vos, quibus antiqua patria clarum genus ingenui mores insunt, haec abominari. Nam ad eaetera vestra ornameuta hoe quoque accedit: non vidi virum parente vestro uxori nee uxorem viro matre vestra chariorem, Tres estis fratres totidemque sorores: non sunt fratres sorore- sne inter se amantiores nec magis inter se consentientes. Nec Dina Colucci - Antonio De Ferrariis detto il Galateo 49 sunt nati parentibus obedientiores. Dii fortunent res vestras quoniam concordia parvae res crescunt, discordia maximae di- labuntur, Si nos qui medici et philosophi appellari et haberi cupimus, concordes essemus, si veritati non gloriae et quaestui studeremus, talis esset hodie philosophia qualis erat apud ve- teres. Placuit mihi quaestiunculae solutionem vobis litteris exa- rare ut cognoscatis qnam minima sunt quae nos excandescere ac vociferare ne dicam delirare cogunt. Comparavi omnia arti bellicae cum quia illustres medicos idem fecisse video tum quia yobis placere maxime existimo. Unusquisque gaudet ad eam rem quam exercet referri omnia. Puerilia sunt haec fateor ut sophi- stae ipsi consentiunt ut est fulginas. Sed oportet aliquando nos tempori quamvis invitos servire et etiam aetati; habet enim, ut divus Hieronymus ait, senectus quamdam infantiam. Et pro- fecto cum vestros iucundos vultus intueor, cum vestros suavis- simos sermones andio non solum me reitvenescere sed repue- rascere sentio. Vos bene semper valete ac legite. Scitis enim priscos illos vestros Macedones qui totum orbem subegerunt non plus armis fortitudine et animi magnitudine quam litteris ingenio liberalitate humanitate clementia mansnetudine caete- risque virtutibus valuisse, Vidisse se fassi sunt Indorum Gym- nosophistae regem et exercitum in armis philosophantem. Haec est tam vehementis motus quaestiuncula. Dubitabat fortasse aliquis quo tempore morbi crisis eveniat. Non erit ut saepe dixi difficile respondere obiectis si res de qua sit disputatio recte intelligatur. Quod crisis sit vehemens et velox motus morbi cum infirmus ad mortem vel ad salutem deducitur, auctor est Galenus in translatione quae a Graeco habetur: crisis quidem est translatio iu aegritudine acute repens ad sanitatem vel mor- tem, fit a natura discernente a benignis mala, preparante ad excretionem. Haec sunt verba Galeni cuius interpres Aboali sic ait: Orisis intentio est separatio in locutionibus et prius dispositio est alteratio vel altercatio quae fit subito aut ad la- tus sanitatis aut ad latas aegritudinis. Ibidem in calce capi- tuli « et scias quod nomen crisis secundum quod dicit ille cuius sermoni creditur est derivatum a lingua Graeca a separatione Prolocutionis quae est uni duorum disputantium aut controver- Santium apud iudices super alium, quasi sit separatio et exitus ab altereatione ». Verba male translata sunt in latinam linguam 50 Rinascenza Salentina . ideo saepe non facile intelliguntur ut et alia multa, Quid velit dicere ex his quae sequnntur intelliges et si verum fateri quis voluerit, dicet quam barbarus et ineptus et nescius latinae linguae fuerit interpres. Profecto malorum intepretum culpa omnia perturbata sunt; sive auctorum sive locorum sive stella- rum nomina quaetas, sive morborum et herbarum, quod maxime vitae interest. Et hoc non tantum culpa intepretum accidit sed arabum quoque, qui non pauca quae a Graecis acceperant sua blesa et inope lingua obscuraverunt, Certe ab illis nos multa accepisse non negaverim sed quoniam propter illoram scripta Graecos auctores amisimus plus mali quam boni latinitati actu- lerunt, Nec erit nobis turpe dicere de crisi quid hominis, cum ipse Avicenna conetur declarare Graecum vocabulum: Crisis est quod nos iudicium possumus dicere, sive decretum sive senten- tiam dicam, ut ait Cicero, melius si invenergo, unde dies crisimi dicuntur et nonnulli ex recentioribus dies Creticos decretorios appellaverunt. Tractum. est verbum a litigantibus propter me- taphoram quandam. Quod causidici cansae vel litis, milites au- tem belli praeludia dicunt, nos labores spontaneos di¢imus vel arabico nomine accidentia almeliletu. Quod illi constitutionem causae vel contestationem litis vel ut_milites indictum bellum, nos initium morbi nuncupamus. Primo modo accepto principio, nam ut Galenus ait, tripliciter dicitur principium primo pro hora sive momento quo quis coeperit aegrotare ut diximus so- cundo modo pro uno qnator temporum morbi, tercio pro tem- pore quod est a primo instanti morbi usque ad tercium diem. Illi testes et iudicia habent, nos signa et coniecturas. Illi sen- tentia causas finiunt. Nobis morbos praecipue acutos crisis de- cernit. Neque inepte morbum bello comparant. Morbus ut et bellum suas habet causas, hoc nonnunquam singulari ductum certamiue, nonnunquam unica et ca Un figlio di Re su la Cattedra di S. Cataldo Con questo titolo io ebbi I’onore di comporre un volume che venne pubblicato a cura della Badia di Cava in "Analecta Ca- vensia 3" nel 1936 “), tendente ad illustrare la figura del Car- dinale Giovanni d’Aragona, Arcivescovo di Taranto e con- temporaneamente Commendatario di quella ven. Badia Benedettina. Non é cosa ordinaria che un figlio di Re sia a un tempo un Principe di Santa Romana Chiesa, e per questo ai contemporanei — e non solo ad essi — parve un privilegiato della Dea Fortuna, la " capricciosa " quel Giovanni d’Aragona, il quale, nato quartogenito da Ferdinando I re di Napoli e da Isabella di Chiaromonte ®), ni- pote costei del Principe di Taranto Giovanni Antonio del Balzo Orsini, il 25 giugno 1456, battezzato il 10 luglio, fu visto ascen- dere fin dalla puerizia alle pit alte cariche ecclesiastiche fino a per- venire, giovanissimo, ai fastigi della Porpora Romana. Quale il "curriculum vitae", 0, se meglio vi aggrada, lo stato di servizio? Eccolo: a nove anni (1465) dal regale suo genitore fu nomi- nato Luogotenente generale del Re in Napoli e Terra di Lavoro (i) Il vol. di pag. 126 con illustrazioni, in "Estratto" & vendibile presto 1a Biblioteca della Badia di Cava dei Tirreni (Salerno) al prezzo di L. 12. (2) L'incoronazione (di cui feci menzione a p. 10 del mio vol.) di Re Ferdinando con _ Isabella. di Chiaromonte, principessa di Taranto e contessa di Lecce ¢ di Copertino, (Ia quale aveva per scudo un monte di diamanti) ebbe luogo in Barletta il 4 febbraio 1459, (Riccardo Filan gieri: "Castel Nuovo Reggia Angioina ed Aragonese di Napoli "; Napoli, MCMXXXIV-XIl, Editrice Politecnica, pagg, 164 © 209). 52 Rinascenza Salentina e, pit tardi, Presidente del R. Consiglio di S. Chiara — e dal Pon- tefice Paolo II eletto Commendatario della Badia di Cava e, due anni dopo, di quella di Montevergine. A 15 anni (1471) Sisto IV, riconfermando le precedenti commende, lo prepose all’Arcibadia di Montecassino, nominandolo Protonotario Apostolico; l’anno appresso (16 novembre) gli affidd il monastero cistercense di Monte Aragon nella diocesi spagnuola di Huesca e il 10 marzo 1475 quello be- nedettino di Salerno. Quale commendatario e perpetuo amministra- tore — secondo gli ultimi accertamenti di Corrado Eubel ‘!)— gli fu- rono affidate le sedi di Cosenza (14 novembre 1481), di Badajoz (Pacen) nella Spagna (20 gennaio 1479) fino al 15 novembre 1484, nonché di Salerno il 18 ottobre 1482 fino al 15 gennaio 1483, di Taranto dal 10 novembre 1477, cui rinunzid insieme con l’an- zidetta sede di Badajoz il 15 novembre 1484, e finalmente dal 20 dicembre 1484 di Strigonia (Esztergon) in Ungheria, ove di- mord precisamente un anno dal 31 agosto 1479 in qualita di Le- gato presso la corte di Mattia Corvino, suo cognato @), Splendido coronamento di tanti incarichi ed onorificenze (e ci sarebbe altro da aggiungere) fu la Porpora Romana che Sisto IV gli conferi al 22° anno di eta il 10 dicembre 1477, inviandogli la barretta a mezzo del vescovo di Aversa che, in qualita di Legato, gliela im- pose nel Duomo di Napoli il 25 gennaio 1478. "Tl était fils de Ferdinand roi de Naples. C’est toute sa gloire ", (1) "Hierarchia catholica Medi Aevi", (Monasterii, edit. altera, del 1914, vol. Il, ri- spettivamente alle pagg. 141, 209, 227, 246 © 242), Secondo I'A., sono da escludersi asso- lutamente le sedi vescovili di Patti in Sicilia, di Sorrento e di Huesca nella Spagna. (2) Il matrimonio di Beatrice, sorella del nostro Cardinale, con Mattia Corvino ebbe luogo in Castel Nuovo di Napoli nel settembre del 1476, rappresentato il Re d’Ungheria da un suo " oratore ". (Filangieri, op. cit., p. 257). Ultimamente, come leggiamo in Avvenire d'Italia, N. 204 ‘del 3 settembre 1936, p. 2, in Didsgyér, presto Vantico castello di Re Mlattia, du- rante i lavori di scavo si scoperse un busto marmoreo della regina Beatrice. Ancor ogg si ri- cordano le miniature che Beatrice fece apportare da nostri connazionali, cola invitati «da lei, ai voll. ms. detti " Corvina" recanti i ritratti della coppia reale e le armi di Aragona_intrec- ciate a quelle di Ungheria. 4 | ‘ 4 4 G. Blandamura - Un figlio di Re su la Cattedra di S. Cataldo 53 cos) sentenzid il P. Berthier nel 1910). Severo quel giudizio, se si pensi che-quello era il malvezzo dei tempi in cui si trovd a vi- vere Giovanni d’Aragona, e specialmente se, com’io feci, si sotto- pongano ad attento esame quei "Regesta" dal nostro Cardinale la- sciati nella Badia di Cava, ché quelli conservati a Montecassino (otto interi con frammenti di un nono) non hanno Yimportanza de- gli altri. Dall’esame scrupoloso dei suddetti cinque Registri di Cava balza fuori la figura del Card. Giovanni d’Aragona vivente nello sfondo del tempo in cui operd e vivace nella sua molteplice attivita, e percid non decorativa e pavonesca di un figlio di Re, ma degna di un gran personaggio che nel governo di Diocesi e di Badie, come nelle Legazioni: "ad regnum Hungariae" 2) e per la lega triennale contro il Turco dopo la caduta di Otranto, seppe con inflessibile giustizia e grazia conciliatrice assolvere le sue mansioni, gli uomini edificando con la Carita che & amore a Dio e al Prossimo. Poteva "una morte, cioé, almeno il Berthier ricordare che "un bel morir eroica, "ogni vita onora". E’ ben raro il caso—ed @ quindi su- prema benemerenza — che un diplomatico, nell’esercizio della sua missione, incontri tragicamente la morte. Giovanni d’Aragona era consapevole della peste che nel 1485 infieriva a Roma, ¢ cid non- dimeno, inviato dal padre per comporre il grave dissidio tra lui e Innocenzo VIII, nella totalitaria dedizione al dovere — fulgido esem- pio ai diplomatici di tutto il mondo — il dovere spinse fino al sa- crificio. Colto dalla peste appena venuto in Roma, il Cardinale fi- glio di Re chiuse prematuramente la luminosa carriera il 17 otto- bre di quel fatale anno, 29° della sua vita! (1) "Libglise de Sainte Sabine & Rome" (Rome, Tip. Roma, 1910, p. 519). (2) La legazione in Ungheria, in base a documenti vaticani, @ confermata dall’Eubel, op. cit, vol. Il, ediz, del 1914, p. 42. 54 Rinascenza Salentina * *% Riesumata cosi brevemente — per coloro che il mio volume non hanno letto ~ la figura del porporato Infante aragonese, con- viene ora chiarire un punto oscuro, definendo per sempre una que- stione che nel suddetto lavoro, allo stato delle ricerche in quel tempo, dovetti lasciare insoluta con la domanda: Dov’é la tomba? (), Il salernitano Gaspare Mosca, il quale pubblicd in Napoli nel 1594 il "Catalogus" dei vescovi di Salerno, ripubblicato poi nel 1930 da Mons. Capone @), cosi narra i particolari della morte e della sepoltura del nostro Cardinale, arcivescovo della sua citth na- tale: "Mortuus est XVI oct. septima noctis hora anno 1485 in Palatio divi Laur. in Lucina, Romae, et magnifica funeris pompa sepultus ad S. Sabinae sub abside, iuxta altare maius, in lateritio tumulo sub cubiculis Onorii PP. ". Anche il nostro Giovan Giovine, nel 1589, era stato preciso nelle circostanze della chiesa e del sito in essa occupato per la tu- mulazione, scrivendo: "sepultus in abside tituli sui (S, Sabine) "@) L’Ab. Ferdinando Ughelli & poi esplicito per la sepoltura in S. Sabina: " Presb. Card. S. Sabinae, in qua Ecclesia iacet " (4), Pareva dunque pacifico che la tomba del nostro Cardinale stesse nella chiesa domenicana di S. Sabina, quando voci discordi comin- ciarono a correre e precisamente in questi ultimi tempi. L’Ab. Paul Guillaume, storico eminente della badia cavense, lo dice sepolto nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina, di cui era_titolare 6), e un (1) "Un figlio di Re ece. *, cap. V, pagg. 36-38. (2) Capone Mons, Arturo: "Il Duomo di Salerno" (vol, 1, Salerno, Di Giacomo, 1927, p. 98) —Idem: " De Salen, Ecclesiae Ep. et Archiep. " (Sublaci, 1930, p. 68). (3) " De antiquitate et varia Tarentinorum fortuna * (Neapoli, apud Salvianum, MDLXXXIX, fol. 216). (4) " Italia Sacra " (Romae, Mascardi, MDCLII, Tom. IX, col. 339), (6) "Son corps fut enseveli dans Eglise de Saint-Laurent in Lucina, dont il était Car- dinal titulaire * (P. Guillaume: " Essai historique de I'Abbaye de Cava"; Cava dei Titreni, 187, ¢. Ill, p. 241). Come scrissi a p. 73 del vol., il Card. Giovanni d’Aragona non il titolo cardinalizio di S, Lorenzo ebbe mai, ma la commenda di quella chiesa. 54 Rinascenza Salenting * *% Riesumata cos) brevemente — per coloro che il mio volume non hanno letto — la figura del porporato Infante aragonese, con- viene ora chiarire un punto oscuro, definendo per sempre una que- stione che nel suddetto lavoro, allo stato delle ricerche in quel tempo, dovetti lasciare insoluta con la domanda: Dov’ la tomba? “), Il salernitano Gaspare Mosca, il quale pubblicd in Napoli nel 1594 il’ "Catalogus" dei vescovi di Salerno, ripubblicato poi nel 1930 da Mons. Capone @), cosi narra i particolari della morte e della sepoltura del nostro Cardinale, arcivescovo della sua citta na- tale: "Mortuus est XVI oct. septima noctis hora anno 1485 in Palatio divi Laur. in Lucina, Romae, et magnifica funeris pompa sepultus ad S. Sabinae sub abside, iuxta altare maius, in lateritio tumulo sub cubiculis Onorii PP. ". Anche il nostro Giovan Giovine, nel 1589, era stato preciso nelle circostanze della chiesa e del sito in essa occupato per la tu- mulazione, scrivendo: "sepultus in abside tituli sui (S. Sabine) "@) L’Ab. Ferdinando Ughelli & poi esplicito per la sepoltura in S. Sabina: " Presb. Card. S. Sabinae, in qua Ecclesia iacet " (4), Pareva dunque pacifico che la tomba del nostro Cardinale stesse nella. chiesa domenicana di S. Sabina, quando voci discordi comin- ciarono a correre e precisamente in questi ultimi tempi. L’Ab. Paul Guillaume, storico eminente della badia cavense, lo dice sepolto nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina, di cui era titolare ©), e un (1) "Un figlio di Re ece. *, cap. V, pagg- 36-38. (2) Capone Mons, Arturo: "Il Duomo di Salerno" (vol. I, Salerno, Di Giacomo, 1927, p. 98) —Idem: " De Salern, Ecclesiae Ep. et Archiep. * (Sublaci, 1930, p. 68). (3) " De antiquitate et varia Tarentinorum fortuna * (Neapoli, apud Salvianum, MDLXXXIX, fol. 216). (4) "Italia Sacra" (Romae, Mascardi, MDCLII, Tom. IX, col. 339). (5) "Son corps fut enseveli dans ('Eglise de Saint-Laurent in Lucina, dont il était Car- dinal titulaire * (P. Guillaume: " Essai historique de I'Abbaye de Cava"; Cava dei Tirreni, 1877, c. Ill, p. 241). Come scrissi a p. 73 del vol., il Card. Giovanni d’Aragona non il titolo cardinalizio di S. Lorenzo ebbe mai, ma la commenda di quella chiesa. 56 Rinascenza Salentina dinalis neapolitani, ordinavi pro funere necessaria, Uocati fuerunt capitula sancti Joannis lateranensis et sancti Petri, s. Mariae Maioris, s. Celsi et s. Eustachii ecclesiarum ac s. Laurentii in Damaso, conventus s, Marie de Minerva, s. Sabine, Sanctorum Apostolorum, s. Mariae de Araceli, s. Augustini, s. Marie de Populo, s. Marcelli et s. Martini in Montibus, Confraternitates Salvatoris et s. Marie Annunciate cuius confrater ipse fuit et camerarius, cleri ‘urbis cum suis presbiteris, quorum omnes venerunt, dem- ptis capitulis s. Johannis lateranensis, s. ACarie Majoris et's. Eustachii ac s. Martini in Montibus, vocate etiam fuerunt familie omnium cardinalium. Deinde circa horam vesperorum defuncto cardinale in aula magna dicti palatii posito et circa ipsum XX intorticiis ac aliis ex more paratis incepte sunt et cantate vigiliae, quibus interfuerunt rr.mi dd. Neapolitanus Ande gavensis_ et de Comitibus Cardinales, Finitis vigiliis cadaver portatum est ad ecclesiam s. Sabine in qua deponi debuit. Hoc ordine precesserunt: Fra- tres Minerve ex eo quod in eorum ecclesia erat deponendum, deinde alii suo ordine: nullus canonicorum ecclesiarum supradictarum interfuit, sed pauci dumtaxat ex prebendariis earumdem. Post omnes clericos incesserunt portitores intorticiarum CXLII preter illa que in aula fuerunt: post eos confraternitas Annunciate, deinde confraternitas Salvatoris, cuius confratres defunctum in suo catalecto, pallio ipsius confraternitatis supposito usque ad ecclesiam predictam portaverunt, fratribus de eadem ecclesia aliquantulis adiuvantibus. Dicebant enim cunctarum confraternitatum predictarum con- fratres quod licet defunctus quicunque de alia et predicta Annunciate con- fraternitate esset, si confratres Salvatoris essent, ipsum defunctum in suo catalecto et pallio portare debent. Post funus equitarunt prelati et alii cu- riales more solito. Cardinalis Andegavensis recessit de domo predicta ad suam rediturus, Neapolitanus vero et de Comitibus non cum defuncto sed per aliam viam pervenerunt ad ecclesiam s. Sabine, circa cuius medium post chorum primum positus fuit defunctus super feretro. Et ibidem quat- tuor responsoria dicta cum quattuor orationibus, primum per fratres s. Sa- bine, secundum per clerum romanum, tertium per alios fratres, quartum iterum per fratres s. Sabine: satis tamen fuisset unum responsorium cum sua oratione dicere. Finito quarto responsorio, ego, de mandato card. Nea- politani egi gratias oratoribus et prelatis ibidem existentibus’ pro pia eorum societate; deinde funus portatum fuit retro altare maius ibidem reponen- dum. Quo facto ambo cardinales predicti ac alii omnes recesserunt. Cere sive candele et pecunie non fuerunt fratribus distribute prout fieri solet, quia nullus fuerat superattendens super hoc ordinatus et omnia satis con- ‘fuso ordine acta sunt. G. Blandamura - Un figlio di Re su la Caltedra di S. Cataldo 57 Muratori L. A.: Rerum Italicarum Scriptores T. XXXII (Access. Noviss. Cron. Roman.) P. 1. (I. Burkardi: Liber Notarum — Vol. I) Citta di Castello 1907 - p. 120 - 121), a cura di Celani. Alla distanza di oltre quattro secoli e mezzo @ gran ventura leggere una relazione cosi particolareggiata intorno ai funerali del Card. Giovanni d’Aragona, tanto pitt preziosa in quanto che, in quei lontani tempi, la stampa, vagente ancora in culla, non pub- blicava gli avvenimenti del giorno. La relazione fu redatta dal teutonico lean Burckard, il quale ri- vestiva l'alto ufficio di « magister coeremoniarum » presso la Corte Pontificia, ed era tenuto in tanta considerazione che‘le « Rubriche del Messale » da lui composte furono, pit tardi, approvate da Leone X, ed esse restano tuttora vigenti per tutta la Chiesa La- tina (), Al Burcardo siamo poi debitori di aver lasciati manoscritti il « Diarium » e il « Liber Notarum » — editi in questi ultimi tempi — nei quali T’ottimo prelato annotd con precisione scrupolosa gli avvenimenti che man mano andarono svolgendosi nella corte pa- pale dal 1483 al 1506. Emerge dal documento burcardiano che il cerimoniere pon- tificio Giovanni Burcardo fu espressamente incaricato dal Card. Oliviero Carafa, atciv. di Napoli, a predisporre e dirigere il fune- rale, di cui ci ha lasciato chiara ed esauriente relazione. ll dA- ragona & detto Prete Cardinale del titolo di Santa Sabina (e non di S. Lorenzo in Lucina), morto bensi nel suo Palazzo sito presso quest’ultima chiesa, nella notte susseguente al 16 ottobre del 1485 che in quell’anno cadde di domenica, circa la settima ora di notte e quindi corrispondente all’orario moderno dell’una (antimeridiana) del lunedi 17 ottobre. (1) Stella Francesco: « Introduz. allo studio della S. Liturgia » 2* ediz. (Siena, Tip. Arciv. 1887, pagg. 6-7). 58 Rinascenza Salentina Nel mattino del suddetto lunedi il cerimoniere, a norma del mandato avuto dal Carafa, predispose quello che occorreva in ese- cuzione di esso. All'uopo egli invitd i Capitoli Patriarcali di S. Giovanni in Laterano mater ef caput omnium ecclesiarum urbis et orbis, di S. Pietro in ‘Vaticano e di S, Maria Maggiore, nonché quelli minori di S. Celso, di S. Eustachio e di S. Lorenzo in Da- maso. Tra le comunita claustrali furono prescelti i Padri di S. Maria sopra Minerva e di Santa Sabina, ufficiate entrambe queste chiese dai Domenicani, quelli dei Ss. XII Apostoli e di S. Maria in Aracoeli, e poi di S. Agostino, di Santa Maria del Popolo, di S. Marcello e di S. Martino ai Monti. Tra le confraternite laicali furono chiamate quelle del Salvatore e della SS. Annunziata, della quale ultima il defunto era stato confratello e camerlengo; ed inoltre i cleri urbani con i rispettivi presbiteri e le " famiglie " (leggi: le corti) dei Cardinali residenti nell’Urbe. All’ora vespertina, esposto il cadavere nell’aula magna del Palazzo e contornato il feretro da 20 ceri, si dié principio alla fu- nebre ufficiatura, presenti tre Cardinali, cioé il Carafa, il d’Angid e Giovanni de’ Conti |) Compiuta la divina salmodia, si snodd il (1) Diamo di questi tre Porporati, i soli che si fecero vivi ai funerali di un loro collega, brevi notizie. 1. - Oliviero Carafa successe al Card, Scarampo — di cui nel vol mi occupaibreve- mente — nell'ufficio di" Praefectus classis pontificiae " in et& di appena quarant’anni. Resta di lui il ritratto alla Minerva, e propriamente nella sua cappella gentilizia dedicata a S, Tom- maso, opera di Filipino Lippi (Buoncompagni Ludovisi Ugo: ' Roma nel Rinascimento ' vol. Il, Albano Laziale, Strini, 1928, p. 5 — Guglielmotti Alberto: " Stor. della Marina Pontif. * vol. Il, Firenze, 1871). Il Carafa ebbe cura di eseguire cid che al nostro Cardinale non fu dato, la traslazione, cio’, del corpo di S, Gennaro, rinvenuto dal d’Aragona, da Montevergine a Napoli, a mezzo di suo fratello che era addivenuto suo successore nella sede di Napoli, nel 1497; il ricordo di quella traslazione @ rimasto scolpito su l'argento del paliotto che adorna Valtare maggiore della Cappella del Tesoro. 2. Il Card. D’Alngid & il francese Giovanni Balue (o La Balue), cosi denominato perché vescove d'Angers (il cui nome curiale @ Andegavensis, in italiano d’Angid). Era stato dapprima ministro di Luigi XI, poi ambasciatore di Carlo VIII al febbraio 1485 presso la corte pontificia, abile, ambizioso ¢ partigiano degli Angioini, (Forgeot H. "lean Balue card. d’Angers "; Pa- rigi, 1895 -- Pastor L. "Storia dei Papi"; vol. Ill alle pagg. 191, 271 e 272). Chi mai avrebbe pensato che, accusato di aver rivelato a Carlo ' il Temerario' i segreti di Stato, ill cardinale francese avrebbe finito i suoi giorni, settantenne nel 1491, in una gabbia di ferro? 3.-Il Card. Giovanni de’ Conti aveva il titolo di S. Vitale, G. Blandamura - Un figlio di Re su ta Cattedra di S. Cataldo 59 corteo per il trasporto del cadavere dal palazzo di S. Lorenzo in Lucina alla chiesa di S. Sabina, luogo scelto per la tumulazione, nel modo che segue. Precedevano i Domenicani della Minerva, appunto perché il cadavere doveva tumularsi in una chiesa del loro Ordine, e segui- vano gli altri Regolari secondo il rispettivo grado di precedenza. Ma qui il cerimoniere pone in rilievo T’astensionismo dei Capitoli del Laterano, di S. Maria Maggiore, di S. Eustachio e di S. Mar- tino ai Monti, aggiungendo che di quei Capitoli nessun Canonico inter- venne, ma soltanto alcuni prebendari. Seguivano i chierici e poi i por- tatori di torce accese in numero di 142, oltre quelli che reggevano le 20 torce che vedemmo attorno al feretro nell’aula magna; indi ap- parivano le due confraternite dell’Annunziata e del Salvatore, ma i confratelli di quest’ultimo sodalizio sorreggevano a spalla la salma adagiata sulla loro bara e coperta dal panno mortuario, asserendo esser quello un "diritto di esclusiva " tutte le volte che alle funebri associazioni partecipasse la propria confraternita. Immediatamente dopo la salma venivano prelati e curiali che, com’era il costume, montavano a cavallo. Il Card. d’Angid che, come vedemmo, aveva assistito al vespro nella casa del defunto, erasi ritirato nella propria abitazione; non cosi i Cardinali Carafa e de’ Conti, i quali, senza prender parte al corteo, per altra via si erano presentati a S. Sa- bina, nella quale chiesa la bara venne deposta sul lettisterio situato verso il centro del tempio, dopo il coro. Quivi ebbero luogo le prescritte assoluzioni, la prima da parte dei domenicani di S. Sabina, la seconda dal clero urbano, la terza dalle altre comunita conven- tuali e la quarta nuovamente dai domenicani di S. Sabina, seb- bene — ammonisce qui il Burcardo — una sola assoluzione da parte dei domenicani fosse sufficiente. Compiutosi il rito delle assoluzioni, il maestro delle cerimonie, presi gli ordini dal Card. Carafa, rese grazie agli oratori e prelati presenti per il loro pio intervento al funerale; indi la salma venne trasportata dietro l'altare maggiore per essere tumulata nell’abside. 60 Rinascenza Salentina Cid eseguito, i due Cardinali e tutti gl’intervenuti si ritirarono; ma, per non essersi prescelto chi avesse cura della distribuzione delle candele e delle regalie, il Burcardo é costretto a chiudere la sua re- lazione con questo... epifonema :" omnia satis confuso ordine acta sunt "! Evidentemente e con buona pace dei padri Guillaume’e Berthier, dalla suesposta relazione del Burcardo resta definitivamente assodato che la tomba del d’Aragona, conformemente alle voci degli antichi scrittori, ebbe luogo nella chiesa domenicana di S. Sabina, non al- trove, e precisamente nell’abside. * ** Cid assodato — ed era questo lo scopo primario del pre- sente articolo — dico subito che ben altro emerge dalla relazione burcardiana. Alla lettura del documento ci colpisce l’affrettata tumulazione del cadavere, ché, spirato il Cardinale verso |una antimeridiana:del lunedi 17 ottobre 1485, tutto era pronto per la tumulazione stessa nel_pomeriggio di quel giorno. Perché tanta fretta? Innanzi tutto, il cerimoniale per le esequie dei Cardinali venne ridotto ai... minimi termini. Si era ben lontano, allora, dalla Co- stituzione < Praecipnum » (4 di Benedetto XIV (1740-1758) che stabili la forma e la solennita "in exequiis S. R. E. Cardina- lium ", con particolare rilievo, al §. 2, della Cappella Pontificia alla Messa. Qualche cosa, perd, vigeva per antica consuetudine nel 1485. E’ a sapersi che Cristoforo Marcello '' magister coeremoniarum " alla corte di Sisto IV (1471 - 1484), com’egli stesso asserisce nella sua opefa, Non appena venne " electus " alla sede arcivescovile di Corfi: dal Pontefice Leone X, a costui dedicd un vol. ms. dal ti- tolo; "Sacrarum coeremoniarum sive Rituum eccles. S. Rom. Ec- (1) Tom. I Bullarum, Constit. 37. i | | G. Blandamura - Un figlio di Re su la Cattedra di S. Cataldo 61 clesiae Libri tres". Di quest’opera, pill volte pubblicata, resta l'e~ dizione di Venezia " apud luntas, MDLXXXII ". Se si percorrono le pagg. 101 - 106, in cui Mons. Marcello tratta " De morte et exequiis Reverendissimorum Cardinalium '' e quel capo si confronta con la relazione burcardiana, T'impressione che se ne riporta € quanto mai sconfortante. Fermiamoci a qualche rilievo. In ordine alla presenza dei Cardinali, il Marcello osserva : "Sed nota, quod ante Sixti Quarti tempora, Cardinales non con- sueverunt ire ad domum Cardinalis defuncti nisi executores tantum : mittebant autem familias suas; post ea tempora fere omnes intersunt quando vigiliae dicuntur, non tamen sequuntur funus ' (), Ebbene, alle " vigiliae '"', ossia all’ufficiatura in casa del defunto Cardinale no- stro, intervennero tre soli Colleghi, nessuno al corteo. In chiesa, ag- giunge il Marcello, de mane, intervengono tutti i Cardinali residenti nel- T'Urbe, per la celebrazione della ' missa exequialis '' cantata da uno di essi, all’uopo invitato, nonché i prelati, tra i quali colui che & prescelto all’elogio funebre: '' fit sermo in laudem defuncti " e final- mente 4 Cardinali, ai quattro angoli del lettisterio, oltre il Cardi- nale celebrante, procedono al canto dei Responsori, intesi sotto il nome di Assoluzioni. Per il nostro Cardinale, due dei tre colleghi vennero in chiesa, e le assoluzioni, ridotte a quattro, furono impar- tite dalle comunita conventuali; elogio funebre, niente! Non ci fu neppure chi distribuisse le candele per le suddette assoluzioni € desse le regalie in uso a quei tempi; ond’é che il Burcardo @ costretto ad annotare che tutto fini " confuso ordine "' ¢ yoleva dire: in pieno disordine! Ed & questa la pompa " magnifica "' che, come disse il Mosca, accompagnd la salma del Card: d’Aragona alla chiesa tu- mulante? @) Impressiona, in secondo luogo, l’assenza al completo della Casa (1) Op. cit, pagg. 101, retro — 102. (2) A dic vero, ci fu in meglio questo: che mentre il Marcello assegna da 50 = 60 ceri portati « per stabularios » al cortzo, nel funerale del nostro Cardinale s¢ ne contaron dal Burcardo ben 162. Per un figlio di Re @ anche troppo! 62 Rinascenza Salentina Aragonese dal letto di morte e dai funerali del loro Cardinale. Ep- pure vivo e vegeto era il padre, Re Ferdinando di Napoli; vivo e vegeto era il fratello Alfonso, duca di Calabria; vivi e vegeti gli altri di famiglia. Che forse il Cardinale mori improvvisamente? An- che sul genere di morte corsero per i secoli voci discordi. Dissi gia nel volume che Stefano Infessura lo dice morto di veleno e I’Ab. Tosti non saprebbe se di quartana o di veleno. Dato e non con- €esso tutto questo, il Card. Carafa che nel mattino del Lunedi 17 ottobre 1485 chiamd a sé il cerimoniere Burcardo per incaricarlo del funerale, avrebbe fatto meglio, doveva anzi farlo, a spedire un corriere a Napoli per informare la Casa Aragonese della sventura e attendere gli ordini. E’ tanto breve la distanza tra Roma e Napoli! Niente morte di veleno. Achille Gennarelli “), pubblicando il " Diarium " del nostro Burcardo, osserva che " Monumenta Le- gationum Florentinorum ne verbum quidem faciunt de. veneno ". Chiaro ed esplicito & poi I’ inviato ferrarese Bonfrancesco Anlotti, il quale, si noti, fin dal 7 ottobre 1485 si era fatto sollecito a tener informato il duca Ercole, suo signore, su lo stato di salute del di lui cognato, scrivendo testualmente: '' Peste in Roma. Appena giunto il Card. d’Aragona sono morti due del suo seguito. Lo stesso Car- dinale giace a letto ". E poi, il giorno dopo: '"'... numerosi casi di morte in Roma. El qual Cardinale sta pur cost debole con la febbre continua". Ein data 10 ottobre: "... il Card. nol sta meglio "', e finalmente il 17 gliene da la triste nuova: '' In que- st’ora il Rev. et ill. quondam cardinal de Ragona vostro cugnato expiravit. Con gran devotion et religione & passato '' @), E’ a credere che il Duca di Ferrara — messo su l’avviso fin dal 7 ottobre — abbia tenuta la notizia con quella riservatezza che il grave caso suggeriva; ma poteva e doveva il riserbo durare an- cora dopo gli ulteriori dispacci che, lungi dall’attenuare, accresce- (1) « Diarium Innecentii VII...» (Florentiae, 1854, p. 72). (2) Pastor, op. cit., vol. Ill, p. 185. G. Blandamura - Un figlio di Re su la Cattedra di S. Cataldo 63 vano il pericolo dell’imminente morte? E. intanto udite: nella cro- nica del Leostello( si legge nientemeno questo : " Eodem die (22 oct. 1485) hebbe nova (il duca di Calabria Alfonso) dal Sig. Re come lo I. e R.mo Cardinale Don loanni suo Germano erat in " e poi: "Se dixe quella sera (23 oct.) la successa morte del R.mo Monsignore Cardinale de Ragona suo Germano, qui diem suum obiit Romae febre laborans pluribus diebus "Cosi la Casa extremis Aragonese imbastiva la sua storia! Ed & a supporre che il Card. Carafa abbia tempestivamente informato la corte partenopea della grave malattia che aveva colpito il Cardinale fin dal 7 ottobre; ma, non essendo comparso alcuno, ovvero avendo avuto risposte evasive, comprese che, nella sua qua- litavdi Card. Arcivescovo di Napoli, doveva sostituirsi ad essa € provvedere alla meglio per la tumulazione del cadavere: alla meglio, ossia al pid presto, dal mattino alla sera! E’ naturale che, in queste circostanze, non vennero diramati inviti alle corti estere, al patriziato e nobiltaé romana, e neppure alle badie benedettine di cui il defunto era commendatatio ed alle sedi yescovili che tenne, in commenda anch’esse, fino alla morte. Perché questo ? A mio parere, |’affrettata tumulazione del cadavere, T'assen- teismo della Casa Aragonese e conseguentemente un funerale per un Cardinale figlio di Re nei modi sopra descritti, questo ed altro & tutto spiegabile con una parola che, solo al pronunziarla, ci fa accapponare le pelle: la peste! (2) Y] Pontano (1426 - 1503) — (1) Leostello loampiero (da Volterra): « Effemeridi delle cose fatte per il Duca di Ca- Iabrin (1484 - 1491) », eronica dita da Gaetano Filangieri, Princ. di Latiano, in « Docu- menti per la storia, le arti e le industrie delle prov. napolet. > (v. I, Napoli, 1883, pags, 60-61). (2) Ne solo dal 7 luglio la peste vigeva in Roma. Il Burcardo (nell’ediz. del Celani, p. 121) dice che, con lapprovazione del Papa, furono considerati giorni di vacanze (vacationes generales) il periodo che decorse dal 3 luglio a tutto il mese di ottobre 1485 a causa della peste " propter pestem vigentem "'. E non avevo io, dunque, ragione se, sul principio, dissi che il Cardinale, inviato ai primi di ottobre a Roma dal padre in missione presso il Pontefice, era consapevole della peste che infieriva in Roma? 64 Rinascenza Salentina "in de- tutto solo — disse che il corpo fu tumulato a S. Sabina posito per essere portato a Napoli ''("), Pio desiderio, ché a ben altre faccende affaccendati erano Ferdinando di Napoli e il Duca di Calabria (leggi: la congiura dei Baroni). Neppure una lapide fu posta che non avrebbe tratto alcuno in errore circa il luogo della tumulazione, una lapide che avrebbe potuto portar incise le parole del Rodulphus : " Romae pestis morbo infectus periit '' @) Quando si rievocano le pagine pitt smaglianti della vita del giovanissimo porporato Figlio di Re, e le confrontiamo con la pa- gina funeraria che ci ha lasciata il Burcardo, viene sulle labbra, in tutta la sua rattristante verita, l'adagio dei secoli: " Il sol che nasce ha pid adoratori di quel che tramonta ''. Taranto, dicembre 1938 - XVII. Mons. Giuseppe Blandamura Arcidiacono (1) V. nella stessa ediz. ‘del Celani, p. 120. (2) Guillaume, op. cit., p. 241. Il pensiero riformatore di G. Palmieri SOMMARIO La realisica mentalita Meridionale nel secondo 700 — Cenni sulla vita di G. Pal- mieri— I suoi scrtti — Valutezione integrale del lavoro, inteso come dovere sociale, com t concetti della virth © dell'utile — L'economia, la morale ¢ la religione, fattori della unita vimana e della concretezza della vita —Suo contributo al problema della popolazione — Im- portanza tociale ¢ valore spirituale della educazione — Suo intimo rapporto con gli alti fattori Hella unita vitale — L'amore sociale quale mezzo potente dell'attivith educative — Coordina- one elficace fra la legislazione © I'educazione e metodo preventivo — Storicismo ed idesle ociale — Istituzione di case curative © preventive — Istruzione tecnica e scuole pratiche — Lreducazione in funzione del programma riformatore. La diffusione del vasto movimento riformatore della seconda meta del secolo XVIII, che trova risonanza ampia e rappresentanti non comuni per tutta I’ Europa, penetrando anche nel Regno di Napoli, agita sotto una nuova forma vecchi problemi e da inizio ad una vita nuova e ad un fe- condo risveglio di pensiero. : Le particolari condizioni del Regno, le difficolta dei problemi da visolvere ¢ [a tenacia con cui vengono affrontati, giustificano l'adesione dei principi ¢ degli scrittori al movimento che, se non ‘raggiungera in pieno le desiderate realizzazioni, servira senza dubbio a favorire una nuova ¢ successiva formazione strutturale della vita politica, economica e sociale. Insomma il rinnovamento spirituale, appunto perché risultato essen- zialmente di un complesso di esigenze storiche non resta confinato nel re- gno delle ideologie ¢ delle astrattezze e gli scrittor’ meridionali di questo Periodo si distinguono maggiormente per le soluzioni moderate © per la comprensione realistica dei problemi sociali. E la caratteristica del loro pensiero @ data dalla mancanza di costruzioni superbe ma astratte € di formulazioni dottrinali espressioni dell’ illuminismo razionalistico. Del resto T'accusa di scarsa originalita indirizzata a questi scrittori, trova il suo rife- rimento in questo loro caratteristico atteggiamento mentale che, interprete 66 Rinascenza Salentina accurato del reale stato di cose, avverte maggiormente la necesita rifor- matrice, la integrazione dei due aspetti il teorico ed il pratico, e la imme- diata composizione delle forze contrastanti. Adunque scarsa originalita nelle costruzioni di dottrine e di sistemi astratti, nella elevazione cioé di un bello edificio curato nel dettaglio e nella forma, elevazione che resta nella mente dell’ ideatore perché troppo perfetta ¢ ricca di elementi negativi per una realizzazione piena e soddi- sfacente. Di guisa che mancando nel piano della pratica uno solo degli elementi o spostandone semplicemente la collocazione, quell’edificio & de- stinato a perdere la sua statica fondazione, e la dottrina si dissolve in una frammentarieta ancora pitt artificiosa. I nostri scrittori invece che non hanno la pretesa delle forti costru- zioni e che anzi, si dichiarano alieni dal dominante spirito sistematico, affrontano con maggiore interesse i problemi economici e sociali, si sen- tono spinti con maggiore passione verso i contrastanti .aspetti, ne esaminano con accurata sapienza il loro contenuto, si dichiarano iniziatori di riforme lente, suggeritori di nuove soluzioni, consiglieri assennati di nuovi principt collaboratori inesauribili del governo illuminato. I rimedi che loro suggeriscono sono l’espressione nuova dello stato reale delle cose e quindi il farmaco giovevole per le piaghe di quella vita che viene realmente vissuta dalle popolazioni. Per questo motivo ogni forma di innovazione brusca e violenta viene dai nostri scrittori combat- tuta col preciso spirito realistico ed il superamento progressivo della vec- chia struttura sociale si realizza con piena convinzione del dialettico tra- passo dal vecchio al nuovo e dal passato al futuro. Questa particolare e notevole mentalita meridionale farebbe pensare ad una chiara influenza del pensiero del Vico. Ma I'argomento, da noi gia trattato in un precedente lavoro (1), non ci permette che venga ripreso nella sua interezza; ed a voler ricordare sola- mente le conclusioni, diciamo che il Vico, date le particolari condizioni sto- rico-culturali del Mezzogiorno, non puéd essere inteso nella sua completezza speculativa e nel suo spirito rivoluzionario ed innovatore. Ammirazione estrinseca ma mancanza di profondita interpretativa, grande stima, ma comprensione a meta; giudizi incontrastabili e schiettamente aderenti al pensiero nuovo, insomma presentimento di tutta la importanza e le succes- (1) V. ill mio "F. A, Astore martire © pemsatore " in " Rinascenza Salentina " 1938 — Fasc, 1* ¢ 2%, : F, Zerella - Il Pensiero riformatore di G. Palmieri 67 sive ispirazioni del pensiero vichiano ma superficialita, dissonanze alle volte, false interpretazioni. Insomma gli scrittori di questo period, preoccupati per le soluzioni rapide dei problemi sociali ed intenti ad indagare le cause e gli effetti delle circostanze e dei mali presenti, non si elevano nel re- gno dell’universalita ¢ della storia ideale, eterna perché fa difetto in essi T’intima storicita di quei mali e la comprensione nuova del mondo umano cosi genialmente raggiunta ed espressa dal Vico, Ma I‘insufficienza inter- pretativa, risultato dunque della cultura del tempo, delle condizioni sociali e della mentalita tutta pervasa da esigenze pratiche non pud costituire una colpa se si pensa che soltanto verso la fine del secolo e per opera del molisano Vincenzo Cuoco, lo storicismo del Vico verra inteso nel suo spirito e nella sua interezza, dopo le frammentarie interpetrazioni del- I'Astore ed una maggiore comprensione da parte del Pagano. I problemi dell’epoca, studiati con tutta cura, investono la vita sociale con le sue esigenze, le sue necesita e quindi con le sue innovazioni strutturali. Economia e quindi agricoltura, commercio, educazione e via discorrendo, legislazione, finanza, politica, ecco gli aspetti che vengono particolarmente presi in esame con quella premura filantropica e schietta- mente cristiana e gli scrittori di questo secondo °700 presentano un volto simile per i comuni problemi che affrontano, per il senso realistico e per Fentusiasmo da cui sono animati, sebbene le soluzioni raggiunte non sono sempre le medesime ed i suggerimenti dati non sono sempre gli stessi. Fra le tante personalita di questo periodo, una merita di essere co- nosciuta meglio nella sua complessa attivita di scrittore e di uomo politico, per la diretta conoscenza delle condizioni economiche del Regno, per le personali esperienze agricole, per la non comune coltura e per le alte cariche dello Stato a cui viene successivamente proposto. E. il marchese Giuseppe Palmieri di Mattignano i in provincia di Lecce. Nato nel 1721, dopo i primi studi eseguiti in Lecce, all’eta di tre- dici anni « con Ta meraviglia dell'universale compiva il corso di Belle Let- tere e Filosofia nelle scuole della Compagnia di Gest: di questa citta » (!), Subito dopo recatosi a Napoli viene nominato con patente del 1734 Alfere nel reggimento Reale Borbone. Con questo grado egli partecipa alla guerra di Sicilia e manifesta il suo coraggio e la sua competenza militare durante tutto I'assedio di Messina. « Conobbe e si penetré tal- mente dei suoi doveri, e gli adempi con si scrupolosa esattezza, che ben (1) B. De Rinaldis, Sulla vita e le opere del Marchese G. Palmieri, Lecce. 1850. 68 p Rinascenza Salentina lungi dall’apprendere, ed appoggiarsi all’esperienza dei pid avanzati in eta dei suoi compagni, servi loro di esempio » (!). All’et& di diciotto anni abbandona per volonta paterna il servizio militare, durante il quale aveva sempre alimentata la sete di sapere per riprendere i suoi studi allo scopo di perfezionarsi ed « attese all’acquisto delle lingue pit dotte, della filosofia, delle matematiche, e del Diritto Pubblico in Napoli, ove ebbe per maestro il lettore pubblico Cusani, che fu poi Arcivescovo di Palermo » (2), L’intensa applicazione agli studi, alimentata anche dalle conoscenze e dalle grandi amicizie di personalita del pensiero gli danneggiano la salute per cui gli si consiglia di ripren- dere la carriera delle armi e di svolgere una vita pit attiva. Viene cost riammesso nella milizia con il grado di capitano, in sostituzione di un suo zio ritiratosi a vita privata. «Fu un capitano che non era stato tenente! una di quelle ingiustizie proprie dei governi assoluti, ma che non sempre si potevano censurare, perché talune volte, apparivano ma non erano in- giustizie, valendo a distinguere ¢ premiare la cultura ed il valore » (3), E veramente egli continua ad illustrare il grado ottenuto ed il suo valore, per cui in breve tempo viene promosso Aiutante Maggiore nel reggimento delle Reali Guardie Italiane e partecipa con chiara conoscenza militare alla famosa battaglia di Velletr, del 1744. Promosso maggiore, nel 1752 con il grado di tenente colonnello raggiunge il reggimento di Calabria Ultra con sede in Palermo. Durante questo periodo egli si distingue sempre per il suo tempera- mento e per la sua cultura, ¢ publica nel 1756 a Napoli, presso la Stamperia Simoniana il primo volume delle Riflessioni critiche sull’arte della guerra e nel 1761 il secondo volume. Questo suo lavoro d’ indole ‘strettamente militare ha dei pregi non comuni, se si pensa al periodo in cui viene concepito, e cio’ molto prima delle guerre napoleoniche, alle indagini tutte materiate di vive esperienze personali ed alla struttura veramente scientifica. II citato biografo De Ri- naldis non manca di porre in rilievo il valore dell’opera, intesa come senza precedenti in tutta la letteratura europea per aver saputo < innal- zare una facolta fino al suo tempo empirica a stato di scienza (la guerra) (1) L. Blanch, M Marchese Palmieri, in « Museo di Scienze e Lelteratura >, Anno II Fasc. 15, 1844. (2) Mans, n_.52_ che siconserva presso la Biblioteca provinciale di Lecc (3) E. Ferrarelli, Memorie Mililart del” SCezzogtorno~d° Tialia. Ed. Laterza, Bari, 1911, p. 103, F. Zerella - Il pensiero riformatore di G. Palmieri 69 con principi certi e mostrati (1), Ed infatti il Palmieri tratta l'argomento con unita di sviluppo e con il metodo dei rapporti tra le leggi che rego- Jano tale fenomeno a le altre scienze che regolano la vita dell’uomo e quella dei popoli. Egli ¢ se egli « appare pitt felice nelle singole analisi che nell’ insieme > si manifesta anche. precursore di moderne teorie militari e la sua opera rappresenta Can contributo del pensiero italiano alla soluzione dei pit ardui problemi militari ed un tentativo, sotto molti rispetti, originalissimo, d’ interpretazione della storia militare, dai tempi pit antichi al secolo XVIII » (4). Tale opera intanto valutata dai contemporanei produce risonanza da pertutto, riconoscimento generale e lodi di personalita competenti. « Il pi com- piuto elogio che possa farsi di quest'opera, & Tasserire, che l'erede della Prussia, Federico Il, e la gloriosa memoria di Giuseppe II Imperador di (1) B. De Rinaldis, op. cil., p. 59 (2) E. Ferrarelli, op. cit., p. 108. @) L. Blanch, Op. cit. (4) Piero Pieri, G. Palmieri ¢ le sue riflessioni critiche sull’arte della guerra, in « Rassegna storica del Risorgimento >, Fase. V 1936. 70 Rinascenza Salentina Germania, ottimi conoscitori e maestri di tal’arte, ne pronunciarono pub- blicamente lodi, e che I'estere nazioni se I'hanno nelle proprie lingue tradotte » (1), Non @ nostro intento illustrare, con maggiore dettaglio, questo aspetto del pensiero del Palmieri gi esaminato dal Blanch, dal Ferrarelli e con molto acume critico dal Pieri nella sua relazione al congresso di Bologna ¢ con analisi particolareggiata in un articolo pubblicato nella « Rivista Storica Italiana » ove si legge che «I'opera sua mostrava nel secolo XVIII, il vigore intellettuale e la versatilita dello spirito italiano, bramoso di adeguarsi in ogni campo alla cultura d'oltralpe, e di gareg- giare vittoriosamente con essa» (2), Ricordiamo soltanto che anche il Genovesi nella prima edizione dell’opera ci dice che « lampeggia dappertutto nei pensieri dello scrittore, un chiaro, sottile e sodo spirito filosofico, congiunto a non ordinaria eru- dizione ». Del resto se le Riflessioni, definite dal Ferrarelli « opera maggiore del Palmieri » non costituiscono certamente la sua gloria esclusiva ed il suo merito fondamentale, conferiscono perd alla sua personalita. mentale quella nota di nobilta e di completezza spirituale, espressione degli scrit- tori di questo periodo, che vivendo fra i disordini e le falsita sociali, aspi- rano € contribuiscono al miglioramento della vita intesa sotto tutti gli aspetti € sotto tutte le forme. Intanto nel 1759 il Palmieri contrae matrimonio con Giuseppa Ghezzi dei duchi di Carpignano ed ha quattro figliuoli, « due maschi e due fem- mine ed in tale stato come aveva fin a quell’ora adempiuto con esattezza ai doveri di figlio docile, cost attese ad adempiere con saggezza quelli di ottimo marito e di tenero padre. Vero filosofo e di una pura religione, ebbe sempre un impero sopra se stesso, ed una eroica pazienza nei di- spiaceri della vita e del matrimonio; modesto ed umile stese sempre un velo impenetrabile sopra le sue private e pubbliche virtuose ‘azioni > (3), E I'anno dopo, per circostanze di famiglia, per il volere del padre, per la cura della proprieta ed anche per il forte attaccamento agli studi, il Palmieri chiede le sue dimissioni militari, facendo presente di essere pronto (1) Mans, (2) P. Pieri, Le riflessioni critiche sull’arte della guerra di P. Palmieri, in « Rie vista Storica Italiana », Fasc, III, 1938, (3) Mans. cit. F. Zerella - Il pensiero riformatore di G. Palmieri 71 a riprendere il servizio tutte le volte che la necessiti ¢ la guerra lo ri- chiedessero. E’ il periodo della reggenza per la minorita di Ferdinando ed «il Principe di laci che regolava le cose della guerra, non I’accordd, ma gli lascid un congedo illimitato. Tale era il desiderio di non perdere un si distinto Ufficiale » (!), Ma allo scadere dei due anni di congedo e dopo ripetute insistenze, gli si accordano, con dispaccio del 7 ottobre 1762 le dimissioni e gli si concede «I'onore di vestire con il grado di tenente colonnello, e di poter divenire quantunque volte gli tornasse in grado con V'istessa anzianita e riprendere il lasciato Ufficio » (2), Le insistenze del Palmieri ed il documento, certamente non comune rilasciatogli, dimostrano chiaramente il riconoscimento pieno dei suoi me- riti da parte del governo. Gli anni successivi invece sono tutti caratterizzati dalla vita dei campi e dal problema dell’agricoltura. Le sue continue esperienze, la conoscenza immediata e diretta di questa attivita economica, le incessanti premure verso gli uomini della terra, la preoccupazione continua per un loro mi- glioramento sociale, la parola persuasiva ed amorevole verso tutti, occu- pano il periodo nuovo della sua vita, periodo che dura poco pi di un yentennio ¢ che si risolve in una fecondita di osservazioni, di elaborazioni mentali e di conquiste scientifiche. Stringe amicizia con il Briganti ed il Presta, degni di ricordo per la loro importante attivita ed il loro notevole contributo nel campo dell’economia agronomica. Il Presta specialmente che con le sue numerose memorie ottiene larga risonanza, per cui « fanno di lui onorevole menzione quasi tutti gli economisti agronomi (che spesso lo copiano) » (3) e che de- dica parecchi anni della sua vita allo studio degli ulivi e della loro col- tivazione, argomento della sua opera fondamentale. Con quest'ultimo specialmente il Palmieri svolge tutta un’attivité or- ganica mediante esplorazioni ed esperimenti. E. tra le occupazioni agricole e la serenith della campagna, egli si rende promotore del risorgimento «della patria Accademia degli , istituita in questa citta sin dal 1683, e che ebbe per iscopo l'incremento dell’industria, delle arti, dello studio delle scienze naturali » (4), (1) L. Blanch - Op. cit. (2) B. De Rinaldis « op. cit. p. 17. (3) G. Carano-Donvito - Economia ed economisti di Puglia - dal volume com- memorativo in onore del Prof. Gius. Prato 1929. (4) B. De Rinaldis - op. cit., p. 20, 72 Rinascenza Salentina Eppure questo periodo di apparente solitudine e di mancata produt- tivita scientifica il periodo preparatorio alla attivita pratica e dottrinale. In questi anni si forma insomma lo statista e lo scrittore, cioé quella per- sonalita complessa che dovrA affrontare i problemi della vita politica ¢ so- ciale del Regno con grande moderazione e con metodo essenzialmente in- tegrativo. . Siffatto periodo termina nel 1785, anno in cui gli viene affidata dal governo la generale amministrazione delle dogane della provincia di Otranto (Lecce). La nomina a tale ufficio, molto delicato per la funzione ed il disordine in cui versava da tempo questo aspetto delle finanze & senza dubbio l'espressione rinnovata della fiducia del governo ed il riconosci- mento della sua esattezza e“della sua nota scrupolosita. E per iniziare tutta una serie di riforme in questo campo della pub- blica amministrazione, il Palmieri si accorge che bisogna anzitutto supe- rare gli ostacoli legittimati dal tempo e tacitamente conservati dagli_ am- ministratori precedenti, e per cui comincia ad indagare le cause e pro- porne i rimedi. « Ma il suo zelo e le sue costanti cure, ebbero pitt at- tivita. che sucesso, furono meglio ammirate che secondate >. (1) Ogni cosa, talmente radicata, ed i bassi interessi cos) fortemente svi- luppati, non permettono certamente la piena realizzazione delle riforme ini- ziate da lui che animato solamente dallo zelo e dall’amore per il pubblico bene, combatte la battaglia sociale « con decoro, rettitudine ¢ vantaggio dei reali interessi, dando bastantemente a conoscere che il reale servizio era quasi il suo idolo e a cui sacrificava tutti li suoi pensieri e finanche le naturali affezioni della carne e del sangue » (2). E nessuna esagerazione vi 8 nella valutazione di questo periodo cosi attivo, se si pensa che dopo appena due anni e cioé nel 1787, il Pal- mieri viene chiamato a Napoli e nominato < dal Re Ferdinando IV feli- cemente regnante > consigliere del supremo consiglio delle Finanze. Nella lettera del ministro Acton in data del 24 febbraio 1787 in- viata al Palmieri, si legge appunto che « avendo bisogno S. M. di un benemerito soggetto nel Consiglio di Finanze in cui concorrino i necessari Tequisiti ed ottime circostanze per affidargli il ramo delle dogane ha posto le sue mire nella di lei degna persona > @). E. cost i compiti a lui af- (1) B. De Rinaldis = op, cit,, p. 21. (2) Mans. cit. (3) Lettera di Giovanni Acton in B, De Rinaldis p. 77. oe a a wT ea coe etn ee ON ee he F. Zerella - Il pensiero riformatore di G. Palmieri 73 fidati si moltiplicano, gli ostacoli da superare si presentano nella loro com- plessa e difficoltosa natura, le vertenze le pitt spinose esigono nuove so- luzioni. E. questo il periodo della sua grande attivith e del tormento in- teriore, generato senza dubbio dal suo pensiero riformatore in lotta con lo stato reale delle cose. & insomma T'interesse pubblico in lotta con quello privato; la proclamazione dei diritti sociali in lotta con gli abusi feudali. Ma il Nostro oramai, nemico dichiarato di ogni vecchia struttura sociale, animato sempre da integrita ¢ deciso nel realizzare il pubblico bene, con- tinua severo la sua direttiva di marcia ed ottiene nel 1791 come gene- rale riconoscimento dei suoi metiti, la suprema Direzione delle Finanze. Anche questa volta il ministro Acton gli esprime la scelta € la de- cisione del Re con lettera del settembre del 1791. L'alta carica non lo disorienta, anzi egli se ne dimostra degno, ser~ bando sempre fedelta alla monarchia che gli esprime il suo riconoscimento con gradi e titoli onorifici. Il Foscarini ci riferisce ad esempio che il Nostro viene « rivestito da S. M. della carica di Gentiluomo di Camera con la chiave d’oro > (1), Cosi una delle pit ambite onorificenze borboniche viene conferita dal Re Ferdinando IV al Nostro che gia da tempo faceva parte dell’ Accademia Napoletana, iscritto presso la sezione dell’ Alta Antichita. La nuova nomina da inizio ad un periodo pit fecondo di realizzazioni economiche e sociali, ma anche ad un periodo di lotta pitt intensa verso le istituzioni e spesse volte verso la Corte che non gli lascia liberta di azione ¢ di decisione. Ed egli fedele alla monarchia ed al suo governo « spesso non consigliava ne dirigeva, ma semplicemente eseguiva gli ordini che gli erano impartiti dalla Corte per mezzo del Marchese Carlo De Marco, ministro di Casa Reale » (2). . Ma la tenacia dei suoi propositi non gli viene meno e per opera sua vengono abolite parecchie immunita ¢ vecchie franchigie; aboliti diversi dazi ingiusti e dannosi alla economia nazionale; riscattati alcuni feudi; istituite nuove leggi; soppressi alcuni monopoli; concessa la liberta di com- mercio; iniziato il lavoro delle strade, con lo scopo, di una maggiore co municazione e di un pit largo sviluppo commerciale. Durante tutto questo (1) Amilcare Foscarini — Chiari Soggetti Salentini — Art. del Giornale del Popolo. (2) G. Petraglione — Due lettere inedite di Maria-Carolina a G. Palmieri in « Raccolta di scritti storici » in onore del Prof. G. Romano, Pavia Succ. Fusi p. 302. 54 Rinascenza Salentina periodo di attivita riformatrice, non gli manca T'aiuto e T'interessamento dello stesso Ferdinando IV. Del resto egli eomprende che la pit grande difficolta consiste nel dare inizio a questa attivita e ne si illude di portare a compimento una impresa che deve essere affidata invece non solo alla tenacia degli uomini, ma anche alla successione temporale ed alle stagioni. E’ del 1792, anno di scarsa raccolta e di miseria per le popolazioni meridionali, una lettera della Regina Maria Carolina, indirizzata al Palmieri allo scopo di invitarlo a prowedere e rimediare al grave danno con la importazione di grano al- T'estero. La lettera termina con espressioni esortative e con il riconosci- mento dei suoi alti meriti. « Conoscendo il vostro zelo e patriottismo, unito ai doveri che la carica del Re affidatavi vi debbono rendere mag- giormente sagri, vi avviso che avute bisogno di oculatezza, attenzione e cura, in questa annata che sara difficile, e pit di tutto a proporre al Re espedienti giusti, savi, prudenti, a rimediare riparare a non troppo allar- mare » (1), Intanto il grande lavoro, il continuo attaccamento al dovere ed il forte spirito combattivo non resistono a lungo « in una complessione debole e di molto usata » (2) quale & quella del Palmieri il quale pone termine in Napoli alla sua tanto laboriosa esistenza il giorno | febbraio del 1793. Ecco in breve i momenti pil importanti della sua vita attiva, tutta orientata verso le continue realizzazioni sociali e la pubblica felicita. Con la sua morte, strana coincidenza, le idee della Rivoluzione Fran- cese si diffondono anche nel Regno che inizia cosi una nuova fase di vita politica, « La paura tronca in quel Re pauroso ogni idea di riforma; e su quella mente incombe minacciosa solo I’idea di perdere il trono e la vita @) >. Ma cid che completa la personalita del Palmieri sono i libri di eco- nomia pensati e scritti proprio durante il periodo pit faticoso della sua vita, integrando cosi I'attivita pratica alla teoria, l'azione al pensiero, la prassi alla dottrina. Il Ferrarelli nel suo citato lavoro biografico ci dice che il Nostro scrive le sue opere « per preparare la pubblica opinione e per renderla favore- vole alle riforme che voleva iniziare » (4), (1) G. Petraglione, Op. cit., p. 306. (2) Mans. cit. (3) N. Rodolico, Il popolo agli inizt del Risorgimento, Firenze, Le Monnier p. 41. (4) Op. cit, p. 123, F. Zerella - Il pensiero riformatore di G. Palmieri 75 Né diversamente si esprime il Boccardo che, paragonando lo spi- rito degli scriti del Palmieri a quello del contemporaneo ginevrino Necker, ci dice che egli « avesse con i suoi scritti non tanto la mira di fare un’opera di economia pubblica, quanto di appianare la via ai miglioramenti da lui divisati (1). Ed infatti tutte le opere del Nostro non hanno la pretesa di dettare nuovi principi, pur essendovi uno spirito nuovo ispirato al programma del benessere sociale. Egli non @ un trattatista, sebbene non gli manchi il forte spirito cri- tico; @ lontano da ogni formulazione dottrinale, come, del resto, tutti gli scrittori di questo periodo; rifugge da ogni schematismo, perch conosce troppo da vicino le reali condizioni del popolo; combatte ogni forma scien- tifica cosi come respinge ogni costruzione metodologica; insomma la sua attivita di scrittore & interamente inquadrata nell’attivita dello statista che vuole a tutti i costi dare inizio ad una forma di vita basata sull’equilibrio delle forze sociali e sull’eguaglianza di tutti dinanzi alla legge. Animato da siffatti motivi egli si accinge a scrivere le Riflessioni sulla pubblica felicita relativamente al Regno di Napoli pubblicate nel 1787 e ristampate nel 1788 con aggiunte ¢ correzioni. Il libro che si sviluppa sulla base dei pitt sani principi economici, trata vari argomenti tutti legati tra loro da un nesso che non sempre ap- pare a prima vista, ma che tuttavia esiste e che & lo spirito animatore di tutta opera. Si compone di 19 articoli, cost chiamati, e sono dei veri capitoli, ognuno dei quali trata un determinato problema che per I’affinita con gli altri conferisce all'insieme l'ampiezza e I'unita del lavoro. Manca la costruzione organica come abbiamo gia detto, ma non manca la visione dell'insieme, raggiunta mediante la trattazione delle parti Dal problema della popolazione a quello della edicazione, della re- ligione, della morale, della scienza e git git fino a quello del tributo che occupa una parte notevole, della guerra ed infine a quello della egua- glianza & tutto uno sviluppo di argomenti esaminati sotto la luce della economia pubblica ed orientati verso quella finalita suprema che domina il suo pensiero: il benessere cittadino. Il lavoro converge tutto intorno alla necessaria esistenza della societa umana, ai vari aspetti della sua attiviti ai rapporti dei popoli tra di loro, (1)Girolamo Boccardo- Nuova Enciclopedia Italiana Vol. XVI -.U. T. E. T. Torino 1884, 76 Rinascenza Salentina alle sue tendenze esagerate e quindi alla necessaria costituzione del potere e dell’autorita per la coordinazione delle parti e lo equilibrio politico, eco- nomico e sociale. Insomma le Riflessioni restano sempre il libro fonda- mentale del Palmieri e «le verita che vi sono esposte, figlie di un in- gegno grande, invecchiato nelle profonde meditazioni, le hanno rendute pregevoli ai sublimi pensatori. Sono a buon conto la opera del modesto filosofo e del benefico cittadino » (1), Tutti gli iscritti posteriori infatti pur trattando con maggiore ampiezza determinati argomenti, quasi come continue applicazioni non privi di spirito polemico saranno condotti secondo le grandi linee gid tracciate in questo lavoro che, come gia abbiamo detto, resta a base di tutto il suo pensiero riformatore. Una valutazione non diversa dalla nostra doveva avere I'anonimo del Giornale dei Campi Elisi che, vivente ancora il Palmieri, nel 1791, pur avendo dato alle stampe altre due opere, ricorda con le seguenti parole nelle lettera V le Riflessioni dello scrittore salentino: « sono appena scorsi 4 anni, dacché maneggid questi importantissimi oggetti, il modesto filosofo, e benefico cittadino Marchese Giuseppe Palmieri. Egli scrisse con l'elo- quente linguaggio del cuore sugli articoli principali della pubblica felicita relativamente al Regno di Napoli » (2). Intanto l’anno dopo e cioé il 1769, il Nostro pubblica i suoi Pen- sieri economici relativi al Regno di Napoli. Il problema dell’ agricoltura occupa larga parte di questo lavoro, problema che domina tutto il suo pensiero e viene trattato adesso con dettagliato esame. Scopo del libro & rimuovere tutti gli ostacoli che inceppano lo svi- luppo dell’agricoltura, fonte principale della ricchezza Nazionale e primo tra tutti i beni feudali devoluti allo stato da vendersi in propriet& libera. Non mancano acute osservazioni intorno agli effetti dannosi, alle false in- terpretazioni del sistema del Tavoliere pugliese di cui suggerisce I'affran- cazione ed importante valutazione intorno ai problemi della seta, del grano e dei demani. « Da bravo filosofo suggerisce i mezzi per rimuovere gli ostacoli fi- sici per il migliore esame della coltivazione, e come economista mostra la via per togliere gli ostacoli morali » (3), E’ da notare intanto che, . (1) Prefazione di Michele Stasi alle « Riflessioni >. (2) Giannone dat Campi Elisi ovvero conferenze segrete tra un savio ministro di Stato ¢ Vavoocato Pietro Giannone 1791 p, 260. (3) Mans. cit. a F. Zerella - Il pensiero riformatore di G. Palmieri 77 anche quando il Palmieri tratta uno solo degli argomenti per formarne Toggetto fondamentale di un suo lavoro, T'unita del suo pensiero non viene affatto spezzata e ne perduta di vista. Nelle osservazioni sui vari arlicoli riguardanti la pubblica economia pubblicate nel 1790, vengono ripresi i vari argomenti gid esaminati pre- sentati sotto l'aspetto delle realizzazioni raggiunte specialmente con la ri- forma delle tariffe doganali e da raggiungere. Il libro rappresenta un vero bilancio consuntivo ed insieme un programma da attuare in seguito. Infine & del 1792 lultimo lavoro: Della Ricchezza Nazionale in cui il Palmieri ci offré «la maniera come concepire un sistema di eco- nomia politica, capace di menar la Nazione al pit florido stato di felicita e ricchezza » (1). Il titolo del libro ne esprime il programma ed il con- tenuto. La ricchezza che era stata gia da lui intesa come espressione agraria di un popolo, trova il suo necessario complemento nelle altre attivita eco- nomiche del paese quali, la pastorizia, le risorse minerarie, lindustria ed il commercio. Vengono combattuti i diversi ostacoli per il prosperare dell’agricol- tura, quali il tributo, la decina, la mancanza della proprieta, il latifondo, i demani, il contratto alla voce. E vengono poi inquadrate le altre at- tivita nel vasto quadro economico della Nazione facendole muovere sempre entro la sfera di una moderata liberta. Con siffatti criteri diretti i il Nostro Autore riconosce Ia incontrastabile prevalenza « dell’amore del pubblico bene alle piccole passioni, agl'impegni, al capriccio » @). Ecco, in breve, l'attivita del Palmieri scrittore che non si differenzia affatto dallo statista, per cui la salda unita mentale integrandosi con quella morale, ci offre una delle pit complete personalita del secondo '700, cosi ricco di vita rinnovatrice e di importanti problemi. Tenace nel combattere i pregiudizi e l'ignoranza, audace nel pro- muovere riforme, costante nel proclamare la liberta_del._commercio, egli fa parte di quella schiera di uomini illustri che preparano con il pensiero e lazione il non lontano movimento di riscossa politica ¢ sociale. A differenza perd di parecchi altri scrittori, il Palmieri si trova a vivere ed a svolgere Ia sua attivita in un periodo pitt propizio « poiché alcune innovazioni erano state da poco recate in atto e altre, pitt impor- (1) Analisi ragionata dei libri nuovi. Gennaio 1793. (2) G. Palmieri — Della Riccherza Nazionale — Ed, Vincenzo Flauto Napoli 1792, 78 Rinascenza Salentina tanti, erano divenute oramai possibili, per la favorevole disposizione degli animi a secondarle » ('), Ed a questo nuovo clima politico-sociale ade- risce il pensiero rinnovatore del Palmieri, privo di formalismi letterari ¢ di vyuote astrazioni. . «La sua dottrina non fu disgiunta da somma modestia, non curando la vanita letteraria, cui aveva tutto il diritto di aspirare. Attivo ed in- stancabile nell’adempimento del suo ufficio, trascurd qualunque sollievo, € quelle adulazioni di coloro, che agognando un impiego, cercano di ot- tenerlo con le smodate lodi e col pitt vile corteggiamento. Religioso ed al Sovrano devotissimo, fu sempre dal medesimo ri- guardato con somma benignita » (2), E’ ancora il periodo della Monarchia illuminata con chiare tendenze verso le riforme e quindi @ il periodo in cui gli scrittori trovano nel monatca il centro realizzatore dei loro pensieri, Anche il Palmieri diventa come tanti altri scrittori_ del tempo, un fedele collaboratore del Re ed un efficace mediatore tra il popolo e la Monarchia. * ke Dopo i brevi cenni biografici tracciati nella prima parte di questo lavoro & nostro intendimento esporre nella sua interezza e sulla scorta dei suoi scritti il pensiero economico e riformatore del Palmieri. La mancanza di una completa esposizione del suo pensiero e di una nuova interpretazione suggerita dall’esame del suo pensiero stesso, ci ha spinto a riprendere la trattazione di una personalita mentale che « con- tinud Topera del Tanucci e con la praticita tradusse in fatto molti con- cetti del Broggia, del Galiani, del Filangieri » (3), Anzitutto il motivo fondamentale delle sue ricerche e dei suoi lunghi studi @ sempre espresso dal problema della ricchezza. Esaminando infatti le cause della ricchezza, il Palmieri osserva che la causa prima e vera si deve ricercare nel lavoro. Senza il lavoro non esiste produttivita e quindi ricchezza e la proprieta, che @ il fondamento della ricchezza, si acquista mediante il lavoro. (1) Tommaso Fornari — Delle Teorie Economiche nelle Provincie Napoletane — Hoepli — Milano 1888 p. 318. (2) Marchese di Villarosa Ritratti poetic? con note biografiche di alcunt ilustri uomini del secolo XVIII nati nel Regno. di Napoli — Tip. Porcelli Napoli 1842, (3) G. CaranoDonvit o, op. cit. F. Zerella - Il pensiero riformatore di G. Palmieri 79 Se fosse vera Tipotesi di una ricchezza causata dalla sola terra, quella pit fertile e pitt estesa dovrebbe, per la sua natura, produrne di pit. Ma in realt& si osserva che < i popoli mancanti o poveri di terreno si vedono i pit ricchi, perché tale mancanza, e scarsezza aguzza, e mette in maggiore attivita l'industria e l'opera dell’uomo, da cui immediatamente dipende e nasce la ricchezza > (1), E se anche spetta alla terra il suo giusto valore economico inteso come fattore della produzione, « sara sempre vero, che la ricchezza & I’opera dell'uomo: che senza di essa, le regioni che diconsi riche, per loro natura, saranno povere; € con essa le regioni pitt povere diventeranno ricche > (2. Il principio del resto non nuovo e né il Palmieri ha la pretesa della originalita, poiché gid formulato dallo Smith e posto a base della sua teoria economica. Notevole perd é l'en- tusiasmo con il quale il Nostro celebra il lavoro e degna di attenzione & la convinzione piena nell’assegnare a tutti indistintamente ['obbligo al lavoro ed alla operosita. Egli, di nobili natali, attacca violentemente l’ozio infingardo della aristocrazia che si rende inutile e riprovevole e critica le prerogative ed i tradizionali impieghi dei nobili < nella milizia, nel foro e nella chiesa >. Partendo dal principio della produttivita umana, neces- saria per il benessere’ sociale e quindi sostituendo alle occupazioni sterili quelle produttive, afferma che anche i nobili devono efficacemente con- tribuire alla vita economica della Nazione con la partecipazione attiva ai problemi dell’agricoltura e del commercio. E l'agricoltura « per ispiegare tutta la sua forza, esige piu delle altre arti e cognizioni e spese di anticipazione; le quali pud pitt facilmente ot- tenere dalla classe Nobile » (3). Per lo stesso motivo, questa classe sociale non deve trascurare nep- pure il commercio il quale «non & pit, quale lo conobbero i Greci, Romani ed i barbari, e se allora vi era ragione per non ammetterla tra le professioni di cittadino, ora manca per escluderla dalla classe _no- bile » (4). Considerato il lavoro come un dovere sociale ¢ collocate le varie classi sullo stesso piano di valutazione economica, il lavoro diventa espres- (I) Gt Palmieri, Della ricchezza nazionale, p. 5. (2) G. Palmieri, op. cit. p. 6. (3) Giuseppe Palmieri, Riflessiont sulla pubblica felicita relativamente al Re- gno di Napolt — Edit. V. Flauto - Napoli 1788, p. 58. (4) G. Palmieri, op. cit. p. 64. 80 Rinascenza Salentina sione morale e si completa cosi nella forma e nel contenuto. Lo stesso concetto di utile, che come sappiamo, @ il fondamento di tutta l’economia. considerato dal Palmieri secondo una pit alta interpretazione perché in- quadrato nel_mor virti. Se si considera il proprio utile come parte di quello universale, non @ possibile ottenere il primo se non sacrificandone una parte, e se «la virth non & altro, che quella forza dell'animo, la quale rende I'uomo capace di tali sacrifici », (!) i due concetti dell’utile e della virtt si fon- dono armonicamente e convergono verso la unitaria conclusione che si risolve nella publica felicita e nel benessere nazionale. A rendere pitt ricca di motivi spirituali la sua conclusione, il Pal- mieri fa appello alla religione, quale fattore essenziale per il perfeziona- mento dei popoli e quale continua voce ammonitrice di bene sociale e di progresso spirituale. Per lui la vera religione @ quella cristiana, espres~ sione intima dell’animo umano continua interpretazione dei suoi valori eterni. E sebbene questa religione abbia una pitt alta finalit < pure los- servanza dei suoi precetti produce necessariamente anche in questa terra la vita felice » (2), E come I'amore di sé stesso si risolve nell’ amore del prossimo, cost ‘utile proprio si ottiene identificandolo con quello universale, di cui fa parte. Il Palmieri, dunque, viene a stabilire un anello di congiunzione tra l’e- conomia e la religione mediante il concetto intermedio di virti. Le tre attivita dello spirito si risolvono cost reciprocamente e generano quella unita umana che @. il cittadino operoso, fattore necessario alla vita nazio- nale. L’economia, la morale, e la religione costituiscono insomma gli ondo morale, si integra perfettamente con il concetto di aspetti fondamentali della esistenza umana orientata verso le conquiste progressive di un popolo che ha come mezzo I'utilita’ e come fine il be- nessere di tutti. Originale percié & limpostazione del problema cosi come originale ne @ la soluzione per l’inquadramento di tutta I’attivita economica nel vasto piano etico-religioso. E tale risultato @ il frutto di una mentalita completa, capace di co- gliere i valori universali dello spirito umano ¢ di proiettarli, con saggia espe- rienza vissuta, nella sfera del realismo sociale e della concretezza della vita. L’homo economicus, inteso come espressione frammentaria e falsa, (1) G. Palmieri, op. eit, p. 43. (2) G. Palmieri, op. cit., p. 30. F. Zerella - Il pensiero riformatore di G. Palmieri 81 viene dal Palmieri superato da quella unita umana, espressione di attivita integranti e dialettiche. Partendo da questa concezione spiritualistica ed unitaria della vita, il Palmieri infatti affronta con elementi nuovi il problema della popola- zione che non resta privo di vedute originali per il superamento delle pre- cedenti teorie e per una valutazione pitt aderente alle esigenze nuove ed alle nascenti idealita sociali. Tale problema, che era stato in precedenza il problema fondamen- tale delle ricerche e delle soluzioni economiche, non aveva fatto dei grandi progressi. La popolazione, intesa soltanto come numero, preoccupava gli studiosi per la ricerca dei mezzi di incremento. Si esaminavano percid le condizioni politiche e sociali, si analizzavano gli ostacoli da superare e da rimuovere e si elencavano i mezzi per un effettivo aumento numerico. Con- cezione essenzialmente quantitativa, dunque, risultato di una valutazione uni- laterale dell’individuo, inteso come ricchezza perché considerato come ca- pitale, E la conclusione teorica era che |'aumento degli individui doveva determinare I'accrescimento della ricchezza. Ma i due termini, considerati secondo una diretta proporzione, non erano privi di una generalita astratta. «< L'economia affermava il valore sostanziale del numero, desumendolo dal- Vastratta possibilita produttrice del capitale umano, indipendentemente dal- T'effettuale investimento, limitato e condizionato dalle peculiari condizioni storiche » (1), Su tale presupposto teorico, il Galiani, il Genovesi elo stesso Filangieri avevano esaminato il problema della popolazione. Una valutazione nuova del problema invece offre il Palmieri che alla quantita sostituisce la qualita, al numero, rigidamente concepito, sostituisce la diversita delle funzioni e la concreta ripartizione delle attivitasociali. « Quindi si rileva, che forse pit dell’aumento del popolo gioverebbe alla societa la divisione delle classi, e il ripartimento di occupazioni propor- zionali ai suoi bisogni > (2). Ese occorre aumentare la popolazione ri- movendo tutti gli ostacoli che ne impediscono lo sviluppo, il Palmieri in- siste nell’affermarne la produttivita e la efficace proporzione della attivita. « Posto che il popolo crescesse il doppio, e con l'istessa viziosa propor- zione il suo impiego, lo stato della Nazione resterebbe lo stesso » G), Per (1) G. De Ruggiero —Il Pensiero Politico Meridionale nei secoti XVIII « XIX — Laterza Bari 1922 p. 65. (2) G. Palmieri op. cit. p. 7. @) > > p. 134, 82 Rinascenza Salentina cui si rileva che « per lo benessere della Nazione & necessario che il popolo cresca nelle parti produttrici, o per aumento nel totale del popolo, © per correzione del vizioso ripartimento » (1), Per il Palmieri dunque la vera ricchezza di una nazione non consiste nel numero degli individui e nella somma aritmetica del lavoro astrattamente considerato, ma_nell’im- piego razionale delle forze e nel loro organico inquadramento. E, per una tale valutazione occorre conéscere le circostanze, le esigenze ed il poten- ziamento delle attivita produttive. « Cento braccia impiegate con arte fa- ranno pil, che altrettante senza; onde l'istessa somma di fatiche pud ren- dere una nazione pitt ricca di un’altra » (2), Il concetto qualitativo, cosi chiaramente espresso offre senza dubbio alcuno una valutazione nuova al problema economico che viene inquadrato in quello pit ampio quale é il sociale ed il pedagogico insieme. Il Nostro percid riprendendo T'agitata teoria del clima e della sua influenza sul fattore umano, reagisce con precise vedute filosofiche. Se il Progresso umano risultasse dalla influenza del clima, come si spiegherebbe la decadenza di un popolo? E come si spiegherebbero le sue variazioni continue? E. gli aspetti diversi di uno stesso popolo in tempi diversi? « Non solamente gli uomini nel decorso dei tempi, cangiando forma di governo, educazione e costumi, si cangiano in guisa, che sembrano di altra natura; ma negli stessi tempi, secondo il volere ed il sapere di chi li regge e go- verna, si trasformano in altri uomini » (3), Dunque il clima ha un’impor- tanza molto relativa nella valutazione della storia dei popoli e del loro sviluppo. Ad un agente esterno, occorre sostituire invece un mezzo pit ef- ficace che non la composizione meccanica di forze fisiche. La concezione spiritualistica gli suggerisce cosi un pit sano criterio valutativo delle forze umane, del loro impiego e della loro responsabilita. < Gli uomini saranno quali si formano ». Ecco il principio fondamentale che guida il nostro Au- tore nella ricerca delle vere cause della produttivita umana. L’educazione percid @ il vero mezzo formativo delle coscienze, & I'agente interno, di- stributore ed organizzatore della societa. «Ella dunque non dee arrestarsi, né torcere il cammino per qualunque ostacolo fisico; ma dee dirigersi al fine, alla costituzione della societa, ed all’uso che ella vuol fare dei cit- tadini; i quali saranno sempre, come si formano dalla educazione, e. si (1) G. Palmieri op. eit., p. 135, (2) > Della Ricchezza Nazionale, p. 10. (3) > Riflessioni sulla publica felicita, p. 22. F. Zerella - Il pensiero riformatore di G. Palmieri 83 modelleranno dall’esempio » (1). Il problema pedagogico assume percid tutto il valore e l’importanza sociale. Egli non vwuol tracciare una teoria della educazione, perché guarda diritto allo scopo; né vuole esporre un sistema, perché @ tutto dominato da un sano realismo sociale. Ma i principi educativi da lui esposti un po’ dappertutto nei suoi libri non hanno il vuoto mortificante dell’astrazione ¢ dell’irreale perché, inquadrati nel vasto programma riformatore, restano sempre ad esprimere jl motivo dominante del programma stesso. Insomma T'educazione non of- fre per opera sua un aspetto dottrinale, ma si presenta come una efficace e risolutiva applicazione, perché integrata dall’aspetto concreto della vita e del vasto motivo etico. Insomma |'educazione considerata come motivo integrante della vita, viene collocata nel piano degli altri motivi da noi gid esaminati, quali la morale, la religione I'economia. Il suo spiritualismo si arricchisce cosi di un nuovo aspetto e di una nuova attiviti perfettamente congiunta con le altre; anzi di un’attivité base di tutte le altre perché ne pervade e ne alimenta di continuo lo sviluppo. Senza educazione non esiste armonia sociale, conquista dei lavori umani, ricchezza spirituale ed economica di un popolo. E se il lavoro &, come abbiamo visto, il fondamento della ricchezza, un dovere sociale ed i] mezzo necessario della esistenza umana; ¢ s¢ il lavoro in genere @ sempre accompagnato da uno stato di pena, la sola abitudine al lavoro & capace di superare questo stato. Questo abito infatti si acquista mediante la educazione. Dunque rapporto intimo tra i vari motivi: dello. spirito, con priorita, soltanto ideale, della educazione sulla economia, sulla morale e sulla re- ligione. Secondo questa concezione, il Palmieri ricerca il metodo pit efficace per lo svolgimento dell’attivita educativa, metodo che per lui risiede in un sentimento umano e cio nell’amore sociale. « Questo @ quello che istillar devesi di buon’ora nei teneri cuori dei giovanetti, dirigendo |'amor proprio in guisa, che ciascuno resti persuaso, che per rinvenire il proprio bene, bisogna cercarlo nel procurare quello dei suoi simili » @). Interiorita dunque che s’inquadra nello spiritualismo e che si risolve in una valutazione integrale dell'uomo e della societd e per cui lo scopo (1) G. Palmieri - op. cit, p. 23. (2) G. Palmieri, Op. cit., p. 24, 84 Rinascenza Salentina della educazione @ tutto convergente verso gli aspetti dell’attivita umana che devono tendere di continuo all’amore per i simili ed al loro benes- sere. Unita d’intenti insomma, sviluppo integrale e visione armonica degli elementi sociali; ecco uno dei meriti non comuni del Palmieri che, a dif- ferenza di altri scrittori suoi contemporanei, coordina e sviluppa motivi altamente spirituali che non perdono la loro aderenza alla concretezza della vita e della storia. Ricercato nell’amore sociale il mezzo pit efficace della educazione, il nostro Autore esige che il costume e l'opinione devono essere i com- plementi necessari per I'effettivo sviluppo dell’azione educativa. La riforma del costume e dell’opinione se & difficile, non & poi impossibile, perché Tesempio costituisce una grande forza sugli animi. | grandi esempi infatti non mancano mai di imitazione. Ma per la delicatezza della riforma il Palmieri suggerisce molta saggezza ed equilibrio mentale. E. la solita mo- derazione dei nostri scrittori che occupa larga parte nel piano delle riforme proposte. Nel nostro Autore poi una tale moderazione costituisce addi- rittura il modus vivendi, l'elemento animatore ed il sustrato di tutto il suo pensiero. « Bisogna procedere con molta avvedutezza per togliere regola- menti, che renduti bensi dal tempo inutili o nocivi, potrebbero perd aver legami e rapporti con altri necessari alla costituzione. Non dico gia che in questo caso si lasci sussistere cid ch’é inutile o nocivo; ma che si provveda prima alla conseguenza del legame. Si sostituisca altro puntello a quello che si toglie, acciocché la costituzione non se ne risenta e va- cilli » (1), E insomma il metodo della sostituzione lenta e progressiva che rag- giunge sempre risultati efficaci e sicuri. Il nostro Autore é convinto che I'uomo per sua natura non é cat- tivo e né diventa tale ad un tratto. La prima colpa che viene commessa & sempre accompagnata da awversione, da timore e da rimorso. Percid il compito dell’educazione, che deve sempre impedire il male ed il vizio, si integra con quello della legislazione e del diritto. Ricordiamo intanto che il Palmieri @ per il contratto sociale me- diante il quale I'uomo, per sua natura, trasferisce alla societa parte dei suoi diritti, conservando perd |’uso di quelli aderenti alla personalita. Il legislatore percid nello stabilire le pene non deve essere guidato dalla vendetta ¢ né dai principi astratti, ma deve partire dalla conoscenza (1) G. Palmieri, Op. cit., p. 182 € seg. F. Zerella - Ill pensiero riformatore di G. Palmieri 85 diretta del popolo a cui dare le leggi, e quindi dalla sua sensibiliti, dai suoi costumi, dalle sue tradizioni. E. per questo l'opera del legislatore deve avere il suo necessario completamento nell’educazione la quale, riformando i costumi e le opinioni, offre il modo di far conoscere al legislatore la necessita e le esigenze spirituali ed « adattare le leggi ai costumi della Nazione >. Integrazione dunque fra le due attivita sociali e successiva convergenza di risultati che suggeriscono al Palmieri il metodo preventivo come il pill efficace, rispetto a quello repressivo: « Se l'amore dei nostri simili fosse cosi impresso nel nostro cuore, dovremmo piuttosto affaticarci a fare, che non divengan cattivi, che a risparmiarli divenuti tali con danno dei buoni. Si procuri di rintracciar l'origine dei delitti, e poi d’ impedire la nascita, o almeno soffocarli nella cuna > (1. Ecco dunque lo scopo della educazione che, per raggiungere gli ef- fetti benefici ¢ rinnovatori, deve rivolgersi essenzialmente ai fanciulli pit che agli adulti, i quali ultimi non sono sempre capaci di una riforma delle loro abitudini. Il Palmieri, conoscitore dell’ambiente sociale e dell’animo umano, si preoccupa maggiormente dell'avvenire ¢ la rinascita sociale da lui voluta ha tutti i caratteri di una illuminata realizzazione, perché animata sempre da moderazione mentale. Insomma egli non @ un rivoluzionario astratto e pericoloso, un teorico ed un riformatore dottrinario, ma @ un pensatore che si alimenta sempre di esperienze e di conoscenze dirette e che pa- lesa un equilibrio mentale orientato verso I'unita delle parti e la loro in- tegrazione. Un siffatto orientamento, se rivela la forza del pensiero e la potenza coordinatrice, gli suggerisce anche la esatta valutazione storicistica del problema sociale. Se infatti il Palmieri parte dall’esame dell’uomo del suo secolo con i suoi difetti, i suoi accidenti e le sue colpe, ne conosce anche i pregi, e le proprieti eterne. E. mediante la conoscenza di queste manifestazioni continue dell’animo umano, egli vuol costruire l'avvenire sociale, fecondo di bene e di progresso sul presente carico di mali e di corruzione, vuol ridare la tranquillita al popolo ignorante; vuole conqui- stare il miglioramento di tutti mediante la giustizia e Teducazione delle leggi. Il presente dunque non viene improvvisamente distrutto e dimenti- cato, poiché & considerato come base al futuro, considerato a sua volta come il superamento del primo. Ill concetto, animato da forza dialettica, deriva senza dubbio dal fondamentale principio della attivita inesaurbile (1) G. Palmieri, op. cit., p. 191. 86 Rinascenza Salentina dello spirito umano. E. insomma la visione storicistica della vita e del suo divenire. I vari aspetti del problema sociale, inquadrati nella vasta cornice dello spiritualismo e dello storicismo, presentano unita di svolgimento e rapporti intimi di soluzione. Cosi I'aspetto educativo ottiene un notevole valore ed un interesse non comune nel grande quadro sociale. I] suo scopo fondamentale consi- {ste nel prevenire, come abbiamo accennato, perché non sempre Fede izione & capace di rimediare ad uno stato di fatto gia esistente, e tanto! |meno poi di distruggere cid che & stato acquisito con I'abitudine, con la ipetizione e con l’avvezzamento. Ma se é pit difficoltoso educare le co- scienze adulte, non @ intenzione del Palmieri abbandonarle al proprio de- stino con danno inevitabile di tutti e di ciascuno. Per questa classe di uomini adulti, dediti al vizio ed all’ozio, I’educazione deve svolgere azione di cura e di correzione. « Nelle case curative sarebbe il luogo di tutti gli adulti, che non hanno e non esercitano mestiere alcuno. Questi o gid sono cittadini nocivi o prossimi a divenire » (1), Il lavoro @ I’unico mezzo di cura anche perché con il lavoro la ricchezza nazionale aumenta. Anche per i condannati o per i-servi della pena, cosi chiamati da lui, i lavoro assume tutto il carattere della redenzione, della sicurezza, della formazione di un nuovo abito, del premio ed infine anche dell’utilita sociale. < Quindi converrebbe che i prigioni tutti si occupassero della fatica: i pid rei, di cui si potrebbe temer la scappata, nelle stesse pri- gioni, che si potrebbero formare a tale uso, o nei castelli; e quelli di cui non vi fosse I’istesso timore, potrebbero anche impiegarsi a coltivar le campagne » (2), Lo stesso pensiero viene ripetuto con maggiore sviluppo anche negli scritti successivi, in cui si legge che < dove vi sono terreni incolti e comuni, potrebbero ripartirsi e assegnarsi a tali persone per col- tivarli. Non vi & mezzo pi efficace e pili sicuro per rendere buoni ed utili i cattivi e nocivi cittadini. La forza della proprieta e dell’agricoltura @ inestimabile » (3), Per i mendicanti di professione, inoltre, egli suggerisce la casa di correzione «ove siano obbligati a quella fatica, che cotanto sfuggono ed odiano » (4), Per quelli invece ‘spinti dalla necesita e che hanno bisogno (1) G. Palmieri, op. cit., p. 138. (2) G. Palmieri, op. cit., p- 326. (3),G. Palmieri, Della Ricchezza, p. 170. (4) G. Palmieri, op. cit., p. 171. F. Zerella - Il pensiero riformatore di G. Palmieri 87 di soccorso, consiglia di procurare anche il lavoro, valutato mediante be- nefica ricompensa, per cui (2), Si tratta dunque di evitare fanciulli poveri che, abbandonati a sé stessi, formerebbero il semenzaio dell’ozio, del male, e. del disordine sociale con inevitabile ripercussione sull’andamento morale ed economico della nazione e sulla tranquillité e sicurezza dei cittadini. « I] numero dei mendici adulti si minora, quando fanciulli sono educati per la fatiga » (3), Osservazione esatta che genera nel Palmieri la preoccupazione di esaminare attenta- mente il caso ¢ di suggerire il rimedio. Le case di educazione dunque eliminano ogni inconveniente avvenire, diminuiscono gradatamente gli uomini nocivi, e mediante il lavoro orientano le disperse energie verso la disci- plina, l’ordine sociale e la ricchezza nazionale. Insomma il lavoro resta sempre il fondamentale mezzo educativo, I’ inizio di ogni riforma, il fat- (1) G. Palmieri, Della ricchezza nazionale, p. 181. (2) G. Palmieri, Riflessiont sulla pubblica felicita, p. 137. (3) G. Palmieri, Della Ricchezea Nazionale, p. 202. F. Zerella - Il pensiero riformatore di G. Palmieri 89 tore di ogni forza d’ incivilimento, di progresso € di ricchezza. E con il lavoro anche I" istruzione. Occorre istruire i fanciulli, renderli cioé consa- pevoli della loro esistenza e della loro finalita, guidarli secondo i principi del giusto € dell'utile, esercitarli infine nel loro apprendimento ¢ nelle loro occupazioni con principi generali e nozioni comuni, Del resto @ la solita forma integrale che questa volta comprende i due grandi aspetti dell’atti- vith umana: quello pratico e quello teorico. Ogni arte, anche facile, pud apprendersi con profitto soltanto « per mezzo di una ricca pratica non appoggiata a verun principio, o di cui i principi s'ignorino » (1), An- che I'istruzione dunque, che @ parte dell’educazione, deve essere collo- cata sul piano delle integrazioni cosi saggiamente costruito dal nostro Autore. Quali saranno intanto gli oggetti e gli argomenti dell’ istruzione nelle case di educazione? Che cosa verr’ insegnato ai fanciulli? « L’Agricoltura e tutte le arti utili, a proporzione dei talenti e della inclinazione » (2), Il concetto, pedagogicamente espresso, ha come centro di vita realizzatrice gli aspetti fondamentali della economia nazionale e quindi l'utile investimento di quelle attivita umane valutate con senso rea- listico. Lo spiritualismo, lo storicismo, il senso reale della vita, l’anda- mento moderato ed il principio integrale delle attivita, convergono verso Jo scopo ultimo del suo pensiero che si risolve nel migliorare I'uomo, nel potenziamne le forze, nel realizzarne la corrispondenza tra ill pensiero ¢ la vita, nel provvedere all'utile di tutti e nel generare la rinascita sociale. Ed il concetto da lui accennato e da noi riportato, ottiene pitt ampio sviluppo e maggiore chiarezza nella sua ultima pubblicazione, ove ricon- ferma la necessita della occupazione agricola e la fondazione di una scuola pratica per ogni casa di educazione. Per le donne @ preferibile I’ insegna- mento delle arti che richieggono I'impiego di materia prima locale e che sono di uso pit generale e comune. Diversa istruzione invece spetta ai fanciulli. <1 maschi debbono riservarsi per I’agricoltura. Questa & Varte pit necessaria ad una nazione agricola, e questa @ la meno considerata, e peggio esercitata nel Regno. Essa é la sola che non ha né maestri né scuole. Per assolvere la Nazione di questa taccia, si potrebbe situare in ogni casa di educazione una scuola pratica, in cui i precetti fossero ac- compagnati dalla esecuzione, ed avverati con l'esperienza » (3), Evidente- () G. Palmieri, Op. cit,, p. 194. 2) G. Palmieri, Riflessiont sulla pubblica felicita, p. 137. (3) G. Palmieri, Della ricchezza nazionale, p. 194. 50 Rinascenza Salentina mente il Palmieri nel porre in rilievo la mancanza di una forma d’istru- zione agraria necessaria ed inevitabile insieme e nel proporre la istituzione di siffatte scuole, precorre i tempi e gli uomini di governo e fa conoscere che il Mezzogiorno d'Italia, paese eminentemente agricolo, ha bisogno di cura e di interessamento, di educazione delle masse e di una particolare istruzione. La fertilita delle terre & continuamente provata dalla loro pro- duttivita, ma gli ostacoli di varia natura ne diminuiscono Ia ricchezza e lo sfruttamento. Cosi si esprime il Palmieri che, facendo appello alla os- servazione diretta dello stato delle terre della sua regione, & costretto a dire che «non evvi per avventura luogo del Regno, in cui l’agricoltura sia malmenata » (1), E senza raggiungere il tono pessimistico del Galanti, T'animo del Palmieri che esprime ripetuti accenti dolorosi per la cono- scenza vera della societa del tempo, in contrasto con le sue idealita ri- formatrici, non & privo di sano ottimismo realizzatore e di speranza in un salutare mutamento sociale. Ed un siffatto atteggiamento spirituale si nota dippit e con chiari segni rivelatori tutte le volte che egli affronta il vasto ed intrigato problema dell'agricoltura che, come vedremo per la sua na- tura, i suoi scopi ed i suoi effettivi risultati, viene collocato da lui stesso nel centro della sua attivita di pensatore e di statista. Essenzialmente educatore dunque il Palmieri, oltre che economista e l'educazione @ da lui intesa come la pedana da cui spiccare il salto per le ideate riforme. Ma educazione concreta, formativa e ricca di mo- tivi spirituali; educazione che comprende la morale, la religione e l'eco- nomia e che si esplica mediante la loro vitale integrazione. F, ZERELLA (continua) (1) G. Palmieri, op. ci p. 78. Appunti e note Lecce nel ’600: rillevi topograficl e demograficl — 1 gonfaloni dei quattro « pittagi ’? che componevano la citta. Lrillustre prof. Giuseppe De Meo nella rivista Genus di Roma (Vol. IIT, 1.2, pp. 91-135) ha fermato la sua attenzione di studioso di statistien storica sulla cittd di Lecce in un dengo lavoro di ben 47 pagine, intitolato: Varia- zioni nell’assetto economico-demografico di una citta dal XVI al XVIII secolo. Liesimio studioso, firofessore di demografia nella R. Universita di Napoli, ha esaminato da par sto, dal punto di vista economico-demografico, le variazioni verificatesi negli anni 1620 ¢ 1753, desumendo i dati dai catasti di quegli anni che, so pur eseguiti a scopo fiscale, debbono considerarsi dei veri e propri censimenti, per quanto primordiali, della popolazione. Secondo il catasto oneiario del 1753, Lecce aveva una popolazione di circa 12 mila abitanti, mentre nel 1620, secondo il catasto di quell’anno, ne avrebbe avuti soltanto circa 4 mila. Si sarebbe avuto, in un secolo ¢ 33 anni, un aumento di 8 mila unita. . Balza evidente la sproporzione. Ma mentre nulla c’é da osservare per i rilievi del 1753, perehé desunti dal catasto onciario certamente completo nei volumi che lo compongono (copia conforme esiste nell’Archivio di Stato di Lecce), mi sia permesso dire qualeosa sul catasto del 1619-20 da me tempo fa studiato nel R. Archivio di Napoli con altre finalita. ‘A p. 18, nota 8, dell’ Estratto del suo interessante lavoro, il prof. De Moo scrive: «Per quanto riguarda i nostri dati, si potrebbe affacciare 1 ipotesi che il catasto da noi utilizzato comprenda una parte soltanto della citta, © una parte soltanto della popolazione. Ma per togliere un siffatto dubbio, basta considerare: 1° il catasto di Lecee del 1620 comprende tre volumi (n. 584, 585, 586 della rubrica’dei catasti antichi) i eui fogli sono numerati consecutivamente dal n. 1 al n. 584. In essi, le famiglie deseritte, sono rag- gruppate con criterio topografico, a seconda dell’ «Isola» della cittd nella quale dimoravano. La cittA era infatti divisa in 17 «Isole » (Insulae) i ent 92 Rinascénza Salentina nomi sono indicati in una delle prime pagine del eatasto, della quale diamo un abbreviato fac-simile: Isole di Lecce: Del Vescovato fol. 1; delle Conver- tite, fol. 31;... DiS. Franeeseo Montefusco, fol. 369;... Della Chiesa Nuova, fol. 465; Di SS. Chirico © Ginditta fol. 539. La deserizione delle famiglie abitanti nell’ «Isola della Chiesa Nuova», ad esempio, s’ inizia al folio 465 (vol. 586) @ termina alla pag. 588. Si pud concludere adunque che il catasto si riferisce a tutta la citté @ non soltanto ad una parte di essa >. Il dubbio affacciato dall’insigne autore, per subito combatterlo con le considerazioni © conclusioni riferite testualmente, assume carattere di cer- tezza assoluta, in base a quel che esporrd. E vero che i tre volumi del catasto del 1620 esistenti nel R. Archivio di Napoli hanno una paginazione indefettibilmente consecutiva, ma & voro al- tresi che riguardano i rilievi fatti per un solo rione della citta: il portaggio © pittagio di Rugge e cid non soltanto & chiaramente detto nei volumi citati (mi sfagge in questo momento il folio) ma risulta anche da altri doeumenti che esporrd. Innanzi tutto, 12 delle 17 isole notate in questi tre volumi erano gia rilevate su per gid con lo stesso nome nella Numerazione dei fuochi del 1508 (Anca. pr Napoxt, Sez. Amministr., Vol. 852) come facenti parte del Porta- gium Rugii (v. Awicarn Foscarini, Lecce d’altri tempi, in Japigia, VI (1935), pgg. 432-35). Esse sono: Anno 1620 Amno 1508 Isola del Vescovato Insula Ep.tus » §. Sebastiano delle Convertite » Sti Sebastiani >» S. Francesco d’Assisi >» — Sti Francisei > del Paradiso » Ste Marie de Tarentis >» di Alfonso Rapana > de li Rapani » §, Giovanni dello Vetere » Sti Joannis de Vetere > di 8. Venere » Ste Veneris > di S. Maria della Lena » Ste M. de Ia lena » §. Paolo delle gegiole > 8. Pauli > dell’ Ospidale ~ « Hospitalis Sti Joannis » $8. Chirico e Giuditta >» Sti Cleriey in lictere > §. Barbara seu di. Francesco >» — ‘Ste Barbare (vol. 585, f. 389) Le altre 5 isole notate nel 1620 con la denominazione di: Isola del Car- mine; di 8. Giovanni d’Aymo; delle-Cartelle; di §. Biasi di Rugge; di $. Fran- cesco Montefusco; della Chiesa nuova corrispondono certamente alle rima- Appunti e note 93 nenti con denominazione differonte, N. 17 isole menzionate nel 1620, n. 16 ricordate nella Numerazione del 1508 come appartenenti al solo Portaggio di Rugge. C’é la sola differenza di una isola, ma pretendere una precisazione assoluta in documenti tanto sommari fatti a distanza di oltre un secolo uno dall'altro e quindi da differenti rilevatori, sarebbe volere troppo. Nei miei appunti trovo nel 1588 come appartenente al Portaggio di Rudie I’ Isola della beata Vergine dell’ Assunta detta la Chiesa Nova (Atto notar Palma, fol. 270). Sin da tempo immemorabile, Lecce era divisa armonicamente in quattro pittagi (da miztdxiov = rione) che hanno avuto sempre la stessa denomina- uione: Rugge, S. Biagio, S. Martino, S. Giusto corrispondenti alle quattro par- roechie @ alle quattro porte d’accesso della citta. Ogni pittagio aveva anche il suo gonfalone. Da un verbale di consegna delle munizioni di guerra pos- sedute dalla citta, fatto dal sindaco Giovan Filippo Prato nel 1565, risulta che nel magazzino sito nel Portaggio di S. Giusto (Bombarde), oltre le sud- dette munizioni, vi erano «quattro insegne de taffeta usute per li quattro Pet- tagi, un'altra bandera grande de tela con Varme dell’ Imperatore >. (AKOH. Prov. pt Lecce, Notar Lacrezio Perrone, atto 11 gennaio 1565, fol. 46). Nella Numerazione dei fuochi del 1508, oltre le isole componenti il por- taggio di Rugge, vi sono notate anche quelle componenti i portaggi di S. Bia- gio, di S. Martino e di S. Giusto. (Foscarrnt, op. ¢ riv. citt., peg. 427-4325 435-441). Non si pud pensare, dunque, a nessun terremoto che abbia fatto lettcralmente tabula rasa di ben tre rioni, rispettandone esattamente uno. Per fortuna, 1a distruzione @ stata soltanto cartacea: ‘gli altrl volumi del catasto de! 1620. Se quel che ho sommariamente esposto non fosse sufficiente a provare la mia osservazione, vi é un altro inedito documento pit decisivo. E del 1606, cio di appena 14 anni prima del Catasto mitilo. Nel Vol. MS proveniente dalla collezione De Simone, ora nella Biblioteca Prov. di Lecce con la col- locazione provvisoria 4, A, 2°, vi @ I’ Isolario della citta diviso per parrocchia. Lecce nel 1606 — come nel secolo precedente — aveva 4 parrocchie cor- rispondenti esattamente ai quattro portaggi della citta: S. Maria della Luce = port, di S. Biagio; S. M. delle Grazie = port. S. Martino; di 8. M. della Porta = port. di S, Giusto; Vescovado = port. di Rugge. In questo isolario manca quest’ultima parrocchia, ma vi sono notate una per una Je isole che com- ponevano le altre che stanuo irrefutabilmente a provare che Lecce non era composta delle sole 17 isole formanti il Portaggio di Rugge come. risulte- rebbe dal mitilo catasto del 1620 ma di ben 29 isole formanti il Port. di S. Martino; di 23 formanti quello di S. Giusto e di 22 quello di S. Biagio. 94 Rinascenza Salentina E cioé: Isole componenti la Parrocchia di §. Maria delle Grazie-Portaggio ai 8. Martino: 1. Insula Dominici Sagitta; 2. 8. Nicolai Graecorum; 3. S, Leuei; 4.8. Pauli; 5 S. Angeli Pettici; 6. ad presens Cappuccillarum (Cappucei- nellarum); 7. S, Crucis; 9. Raimondi Sagitte; 10. Annunciationis (le Angio- lille); 11. Porte S. Martini; 12. Domorum Curie (Bagliva); 13. Taberne Joan- nis Liberii; 14, Ecclesio Salvatoris Mediolanensium; 15.8. Marie (Mater) Do- 6. Dive Marie nuneupate del soceorso; 17. SS. Jacobi ot Philippi 18. 8. Bartolome; 19, Patruum Jesuitorum ; 20. Joannis Dominici Lazzarelli 21, delli Diani et Caroli Mide; 21. Veterano; 28. Donati Marie de Priolis; 24. Atmiratorum ; 25. $. Antoni Patavini; 26. 8. Eligi; 27. Gubernatoris; 28. Ee- clesic 8. M. della Grazia; 29. S. Lanrentii. Isole della Parrocchia di S. M. della Porta-Port. di S. Giusto: 1. Insula 8. Hipolyti ; 2. delli Cretts 8. S. Antonio di dentro; 4. 8. Martinelli; 5. S. Pe- tri Garzies 6. 8. Leonardi ; 7. S. Crotobi (Procopio); 8. S. Gregori; 9. 8. Joan- nis nuncupata Quattrocehi; 10. S. Marie de Nova (nel catasto del 1620 no- tata in Port. di Rugge percha isola di confine tra un portaggio @ l'altro); 11. Gravili; 12. Gelonesi; 13. S. M. de Porta; 14. delli Trulli (2); 15. Furni’ 8. Joan, Evangeliste ; 16. Victorii de Priulis; 17. S. M. Augelorum; 18. Mo- nialium 8. Joannis; 19. 8. Viti; 20. Perondinorum; 21, Bardorum; 22, Capu- torum; 23. Scipionis Catanei. Isole della Parrocchia della Luce-Port. S. Biagio: 1. Insula S. M. nun- cupata dello Mito; 2. Furni del Morciano; 3. Expositoram; 4 Donati Mariae Morciano ; 5, Bollisari Paladini (Le Sealze); 6. Petri Angeli Brochae; 7, Ho- spidalis S, Blasi; 8. Ludovici Perrone; 9.8, Barbaro; 10 S, Lucie; 11. S, Fran- cisel; 12. 8. Nicolai de Luna (S. Nicoliechio); 13. delli Grassi; 14. 8. Clare; 15. 8. Blasii de Farraris; 16, S. Matthei; 17. Joannis Ant, De Marinis; 18, Tri- nitatis; 19. delli Scheri; 20. Fabii Gugliotta; 21. 8. Eligi (parte dell’ Isola); 22. 8. M. de Carmelo (parte dell’ Isola). Questi miei appunti d'indole topografica — che 1o studio del prof. De Meo m’ha dato l’occasione gradita di rendere pubblici — credo che dimostrino sufficientemente che ln popolazione di 4000 abitanti dedotta dal catasto del 1620 riguarda un solo rione © quindi, grosso modo, non pit di un quarto della popolazione totale della citté di Lecce. Il cronista Bernardino Braccio {in Appendice alla Rivista Storica Salen- tina pag. 25), sotto I’anno 1611, scrive: «In quest'anno si fece la nuova nu- merazione dei fuochi in questo Regno et signanter in questa citta di Lecce © si ritrové che in detto tempo et anno la citté faceva fuochi 6203 ¢ nella passata faceva fuochi 6167 come comparisce dalla raccolta fatta da Errico Bacco Alemanno o data in Ince da Pietro Antonio Sofia napoletano in un Appunti e note 95 libro stampato in detto anno». Io non ho possibilita di avere tra mano in questo momento il libro del Sofia per controllare. Si potra pensare che il cronista abbia scritto faochi per abitanti? A questo pensa decisamente Ni- cola Bernardini (La popolazione di Lecce, in Riv. Stor, Sal., II, 247). Ma la cifra pitt corrispondente alla reale consistenza demografica di Lecce nel '600, credo sia quella registrata dal Summonte nella sua Historia della citta e Re- gno di Napoli ete. Napoli, nella stamperia Raimondi MDCCL (Tomo sesto, dopo lultimo indice, p. 18): «Secondo la numerazione stampata nel 1670» Lecce contava 3300 fuochi. Io sono sicuro che Villustre prof. De Meo, al quale siamo tutti grati per I’attenzione rivolta alla nostra citti col suo importante studio, terra be- nevolmente conto di questi miei rapidi rilievi estratti dai miei appunti che, destinati ad altre finalita di studio, sono serviti a completare, per lo meno per la parte topografica, il mitilo catasto del 1619-20 esistente nel R. Ar- chivio di Stato di Napoli. Nicona Vacca La mancanza di spazio ci costringe a rimandare nel pros- simo fascicolo la solita diffusa Bibliografia ed il notiziario. BIBLIOGRAFIA SALENTINA 1. — Evaunro Favsrixr Fasrnt, Paisiello a Parigi. In Taranto, Rassegna del Comune, VIL (1938), Iuglio-ag., pp. 3-14. Integrando le ricerche di Andrea Della Corte, del quale colma qualche lacuna e rettifica qualche inesattezza, con I’aiuto di giornali del tempo ¢ di documenti rinvenuti nell’Arch. di Stato di Napoli e nel Conservatorio di Musica di Parigi, il F.-F. cerea di meglio illustrare il soggiorno del Maestro in questa ultima cittt (1802-1804). Invitato da Napoleone a dirigere la Cappella Consolare e a comporre le musiche da eseguirsi durante le feste per la pace tra la Francia ¢ I'In- ghilterra, @ ricevute per tale incarico le migliori condizioni, Paisiello fu a Parigi nell’apr. del 1802. Accolto dal Bonaparte con vive manifestazioni di compiacimento e fatto segno a onori ¢ distinzioni degne dell’autere di tante opere gid applaudite in quella capitale, Paisiello, dopo aver riorganizzata la Cappella, si accinse alla composizione della Proserpine commissionatagli dallo stesso Bonaparte. L’opera, composta in otto mesi, fu rappresentata al Teatro delle Arti il 29 marzo 1803. Ma la Proserpine, benché fosse data per tredici sere © con- tenesse squarci degni del Paisiello, non ebbe l’accoglienza che da essa s’at- tendeva il Maestro. L’insuccesso fu causa che il Paisiello, riluttante il Bona- parte, sbrigato qualche piccolo impegno, si decidesse a lasciare Parigi per passare a Napoli nell'apr. del 1804. Questa nota con i documenti a cui si appoggia @ molto interessante ¢ conferisce nuova luce al soggiorno parigino del Paisiello, Tale soggiorno, se non rappresentd un momento molto fortunoso nella vita del Maestro, di- mostra tuttavia in quale conto, pur essendo egli gia vecchio, fosse tenuto ancora il suo genio. —_—_—_— Giuseppe Nicola Vacca, Direttore e gerente responsabile Lecce - R. Tipografia Gditrice Salentina

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