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Anche nel ‘600 la fortuna dello strumento continuò, per merito soprattutto di due grandi figure:

quella dell’italiano Francesco Corbetta (1615 – 1681) e quella del francese Robert de Visée (1660
– 1720); quest’ultimo, insegnante personale di Luigi XIV, coinvolse a tal punto il Re Sole
nell’amore per la chitarra, che il Re ne rese obbligatoria la pratica per chiunque risiedesse a Corte.

Per quasi tutto il ‘700 la fortuna della chitarra fu scarsa, ma, sul finire del secolo, con l’introduzione
della sesta corda e con l’abbandono della notazione con il sistema della intavolatura, iniziò il
periodo di massimo splendore per lo strumento, che vide il proprio palcoscenico popolarsi di una
apprezzata schiera di didatti, concertisti e compositori, che possono essere attribuiti a due grandi
scuole fondamentali: la spagnola e l’italiana. Nella prima dominano le figure di Fernando
Sor (1778 – 1839) e di Dionisio Aguado (1784 – 1849); nella seconda quelle di Mauro
Giuliani (1781 – 1829) e di Ferdinando Carulli (1770 – 1841). Quest’ultimo fu anche autore di un
metodo completo per l’apprendimento della tecnica chitarristica, che ancora oggi, a duecento anni
dalla sua prima pubblicazione, è considerato una pietra miliare della letteratura didattica ed è
abitualmente in uso nei conservatori e nelle scuole private. In questo periodo anche alcuni celebri
compositori non chitarristi si interessarono dello strumento; per citarne solo due: Luigi
Boccherini (1743 – 1805) inserì la chitarra in dodici quintetti e Niccolò Paganini (1782 – 1840) le
dedicò un centinaio di composizioni solistiche e la inserì in altre opere da camera.

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