Frontespizio
Introduzione
Pierre Bourdieu
Nota bio-bibliografica
Biografia
Diritti
Pierre Bourdieu
Premessa
[…] un capitale o una specie di capitale è qualcosa che è efficiente in un campo determinato, sia
come arma che come posta in gioco nella lotta, cosa che consente al suo detentore di esercitare un
potere, una influenza, quindi di esistere in un campo determinato, invece di essere una semplice
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quantità trascurabile .
Non è un caso che, per Bourdieu, sia proprio lo Stato a svolgere il ruolo di
una sorta di riserva di risorse simboliche, di capitale simbolico e, dunque, di
potere simbolico proprio perché una delle sue funzioni principali è «la
produzione e canonizzazione delle classificazioni sociali»27, che permettono
anche per mezzo della produzione di diritto (e dunque di norme, di schemi di
classificazione) di poter accedere al diritto di gestire e possedere le diverse
forme di capitali. Lo Stato – come mostreremo – diventa secondo Bourdieu,
infatti, un principio di produzione e di rappresentazione legittima del mondo
sociale, un principio occulto, che deve essere investigato dal sociologo,
perché ne vengano svelati i giochi e le illusioni su cui si fonda, al fine di
comprenderne non soltanto i processi materiali di cui si compone ma anche le
dimensioni cognitive e percettive che sollecita. In tal senso lo Stato e il diritto
si ritrovano ad auto-giustificarsi e auto-legittimarsi e la dimensione simbolica
assume un ruolo primario nella (ri)produzione del dominio: Bourdieu, non a
caso, riprendendo Weber28, sostiene infatti che lo Stato si definisce per il
possesso del monopolio della violenza fisica e simbolica legittima, ossia
anche del monopolio della violenza simbolica legittima, «nella misura in cui
il monopolio della violenza simbolica costituisce la condizione per il
possesso dell’esercizio del monopolio della stessa violenza fisica»29.
l’esito di una lotta simbolica tra professionisti dotati di competenze tecniche e sociali diseguali,
dunque inegualmente capaci di mobilitare le risorse giuridiche disponibili, attraverso la ricerca e
l’utilizzo di “regole possibili”, e di utilizzarle in modo efficace, vale a dire come armi simboliche
per far prevalere la propria causa (vd. infra, p. 81).
[…] il riconoscimento universalmente tributato alla regola ufficiale fa sì che il rispetto di essa,
anche formale o fittizio, garantisca profitti di regolarità (è sempre più facile e comodo essere in
regola) o di “regolarizzazione” (così certe volte si esprime il realismo burocratico, che parla per
66
esempio di “regolarizzare una situazione”) .
Gli scontri altamente razionalizzati che l’omologazione autorizza sono riservati infatti a coloro che
detengono una forte competenza giuridica che è associata – soprattutto per quanto riguarda gli
avvocati – a una competenza professionale specifica dello scontro giuridico, esercitata a utilizzare
le forme e le formule come se fossero armi. Quanto agli altri, essi sono destinati a subire la forza
della forma, ossia la violenza simbolica che giungono a esercitare coloro che, grazie alla loro arte
di mettere in forma e di mettere delle forme, sanno – come si dice – mettere il diritto dalla loro
parte, e che, all’occorrenza, sanno esercitare il più esperto dei rigori formali, summum jus, a
servizio dei fini meno irreprensibili, summa iniuria (vd. infra, p. 117).
Del resto, «il canone giuridico è come una riserva di autorità che garantisce,
alla stregua di una banca centrale, l’autorità dei singoli atti giuridici» e uno
dei compiti principali dei giuristi consiste nel mettere in forma, nel
formalizzare principi e regole: l’attività di formalizzazione non è un’azione
neutra e non si svolge in un vacuum di valori, essa esprime altresì gli
«interessi sociali degli agenti formalizzatori, così come essi si definiscono
nella concorrenza in seno al campo giuridico e nella relazione tra questo
campo e il campo del potere nel suo insieme», ragion per cui si rilevano
affinità tra i detentori della forma per eccellenza del potere simbolico e gli
altri dominanti, aspetti che favoriscono visioni e interessi comuni che
difficilmente svantaggeranno i dominanti (vd. infra, p. 105). Se mi metto in
regola o se regolarizzo una situazione sto contemporaneamente partecipando
al sostegno e al supporto materiale e simbolico del gruppo dominante67 e
potrò trarne dei vantaggi di posizionamento o di prossimità legati al «profitto
di conformità all’ideale [normativo] sociale»68.
alla classe degli atti di nominazione o di istituzione e rappresenta[no] la forma per eccellenza della
parola autorizzata, parola pubblica, ufficiale, che si enuncia in nome di tutti e nei confronti di tutti.
In quanto giudizi di attribuzione formulati pubblicamente da agenti che agiscono come mandatari
autorizzati dalla collettività e che diventano il modello di ogni atto di categorizzazione […], questi
enunciati performativi sono degli atti magici che riescono – perché in grado di farsi riconoscere
universalmente – a ottenere che nessuno possa rifiutare o ignorare il punto di vista, la visione che
impongono (vd. infra, p. 98).
ma il controllo basato sulla manipolazione di definizioni ed etichette funziona con più facilità e a
un costo inferiore, e i gruppi di status superiore lo preferiscono. L’attacco alla gerarchia inizia con
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un attacco alle definizioni, etichette e concezioni convenzionali su “chi è chi e cosa è cosa” .
sono sempre i professionisti a creare il bisogno delle proprie prestazioni costituendo in problemi
giuridici i problemi espressi nel linguaggio ordinario dopo averli tradotti nel linguaggio del
diritto e proponendo una valutazione anticipata delle possibilità di successo e delle conseguenze
derivanti dalle diverse strategie (vd. infra, p. 91).
Ringraziamenti
1 Si tratta solitamente di brevi articoli teorici come nel caso di P. Bourdieu, Habitus, code et
codification in «Actes de la recherche en sciences sociales», 64, 1986, pp. 40-44; P. Bourdieu, Droit et
passe-droit. Le champ des pouvoirs territoriaux et la mise en oeuvre des réglements, in «Actes de la
recherché en sciences sociales», 81-82, 1990, pp. 86-96; P. Bourdieu, Les juristes, gardiens de
l’hypocrisie collective, in F. Chazel, J. Comaille (a cura di), Normes juridiques et régulation sociale,
Paris, LGDJ, Collection Droit et société, 1991, pp. 95-99 (trad. it. I giuristi, custodi dell’ipocrisia
collettiva, in «Kainos – Rivista di Critica Filosofica», 9, 2009, a cura di G. Brindisi; vd.
http://www.kainos.it/numero9/disvelamenti/giuristicustodi.html); sul diritto e il ruolo del giurista in
Bourdieu si veda P. Bourdieu, La parola e il potere. L’economia degli scambi linguistici, Napoli,
Guida, 1988.
Sull’analisi empirica, quasi del tutto assente nell’opera di Bourdieu per quanto riguarda il campo
giuridico, si può tuttavia fare riferimento a P. Bourdieu, Le strutture sociali dell’economia, Trieste,
Asterios, 2004: sebbene concentrato sull’analisi del campo economico del mercato immobiliare,
Bourdieu mostra che lo Stato attraverso una serie di forme di regolazione orienta i gusti e insieme, in
modo diretto e indiretto, investimenti finanziari, evidenziando come la domanda e l’offerta di abitazioni
siano prodotte da condizioni istituzionali. Di recente pubblicazione in Italia i ragionamenti sulla genesi
dello Stato che riprendono parte della riflessione socio-giuridica, vd. P. Bourdieu, Sullo Stato. Corso al
Collège de France, Vol. I (1989-1990), Milano, Feltrinelli, 2013; altri temi utili alla riflessione socio-
giuridica, quali quello della «codifica», della «delega» o del potere simbolico si ritrovano in Id., Cose
dette. Verso una sociologia riflessiva, curato da Massimo Cerulo, Napoli-Salerno, Orthotes, 2013;
l’interesse di Bourdieu per il diritto, nonostante le posizioni dei critici, risale a partire dalle ricerche
etnografiche in Algeria, per quanto riguarda, per esempio, il diritto consuetudinario oppure, si rifà al
contesto francese nel caso del diritto di successione, vd. rispettivamente P. Bourdieu, Sociologie de
l’Algerie, Paris, Puf, 1959 e Id., Le bal des célibataires. Crise de la société paysanne en Béarn, Paris,
Seuil, 2002. Il diritto è uno dei temi che l’autore affronta tra gli altri ne La noblesse d’Etat, Paris,
Minuit, 1989.
2 Rimangono ancora di particolare pregio le tesi prodotte sotto la sua supervisione, che hanno
applicato gran parte dei concetti analitici della sua sociologia del campo giuridico e che hanno visto, nel
caso di Remi Lenoir e di Yves Dezalay, anche l’emergere di studiosi che hanno acquisito visibilità
internazionale. In patria, la rivista «Droit et Société» (del cui comitato editoriale fondativo fece parte lo
stesso Bourdieu) gli dedica nel 2004 una serie di contributi tra i quali, in particolare, quello di M.G.
Villegas, On Pierre Bourdieu’s legal thought, in «Droit et Société», 56/57, 2004, pp. 57-71; la rivista
dei teorici e dei scienziati socio-giuridici scandinavi, «Retfærd. Nordic Journal of Law and Justice»,
dedica alla sociologia bourdieusiana del campo giuridico nel 2006 un numero monografico; si vd., nello
specifico, R. Lenoir, Pierre Bourdieu and the law: an intellectual and personal encounter, in
«Retfærd», 29, 2006, pp. 7-22 e M.R. Madsen, Transnational fields: elements of a reflexive sociology
of the internationalisation of law, in «Retfærd», 29, 2006, pp. 23-41. Tuttavia rimangono circoscritti
anche gli applicatori e i commentatori in terra francese, si tratta – come ricorda Garcìa Villegas, di un
numero sparuto di studiosi che applicano la teoria bourdieusiana del campo giuridico ad aree giuridiche
specifiche e in modo discontinuo (in particolare sulla europeizzazione e l’internazionalizzazione del
campo giuridico e sul conflitto simbolico che vede il confronto di una serie di professionisti del mondo
giuridico; oppure relativamente all’emergere del campo dei diritti umani). Nello specifico bisogna tener
conto dei lavori di Yves Dezalay (e alle sue numerose collaborazioni internazionali): Y. Dezalay e
M.R. Madsen, The force of law and lawyers: Pierre Bourdieu and the reflexive sociology of law, in
«Annual Review of Law and Social Science», 8, 2012, pp. 433-452 e M.R. Madsen e Y. Dezalay, The
power of the legal field: Pierre Bourdieu and the law, in R. Banakar e M. Travers (a cura di), An
Introduction to Law and Social Theory, Oxford, Hart, 2002, pp. 189-204; Y. Dezalay e B.G. Garth,
Dealing in Virtue. International Commercial Arbitration and the Construction of a Transnational
Legal Order, Chicago, University of Chicago Press 1996; Y. Dezalay e D. Sugerman (a cura di),
Professional Competition and Professional Power: Lawyers, Accountants and the Social Construction
of Markets, London, Routledge, 1995. Tra gli altri francesi A. Bancaud e Y. Dezalay, La sociologie
juridique comme enjeu social et professionnel, in «Revue interdisciplinaire d’études juridiques», 12,
1984, pp. 1-29; A. Bancaud, Une “constante mobile”: la haute magistrature, in «Actes de la recherche
en sciences sociales», 76/77, 1989, pp. 30-48; A. Bancaud, La haute magistrature entre politique et
sacerdoce, Paris, LGDJ, 1993; F. Ocqueteau e F. Soubiran-Paillet, Champ juridique, juristes et règle de
droit: une sociologie entre disqualification et paradoxe, in «Droit et Société», 32, 1996, pp. 9-26; F.
Soubiran-Paillet, Quelles voix(es) pour la sociologie du droit en France aujourd’hui?, in «Genèses»,
15, 1994, pp. 142-153. Tra gli altri interpreti ed applicatori della prospettiva va ricordato il lavoro di
M.R. Madsen sull’europeizzazione del campo giuridico e sul ruolo svolto dalle élites giuridiche: A.
Cohen e M.R. Madsen, Cold War law. Legal entrepreneurs and the emergence of a European legal
field (1945–1965), in V. Gessner e D. Nelken (a cura di), European Ways of Law: Towards a European
Sociology of Law, Oxford, Hart, 2007, pp. 175-202; N. Kauppi e M.R. Madsen, Fields of Global
Governance: How Transnational Power Elites Can Make Global Governance Intelligible, in
«International Political Sociology», 8, 2014, pp. 324-342; N. Kauppi e M.R. Madsen (a cura
di), Transnational Power Elites: The New Professionals of Governance, Law and Security, Abingdon,
Routledge, 2013. Una riflessione generale del lavoro di Bourdieu sul diritto è anche quella contenuta in
un articolo della rivista ufficiale della Società argentina di Sociologia del diritto: D. Borrillo, Pierre
Bourdieu y la sociologìa del campo jurìdico, in «Revista de sociologìa del derecho», 9, 1995, pp. 6-10
(scaricabile dall’URL https://hal.archives-ouvertes.fr/hal-01242439/document).
3 Vd. A. Salento, Un ospite di scarso riguardo: Pierre Bourdieu in Italia, in G. Paolucci (a cura di),
Bourdieu dopo Bourdieu, Torino, Utet, 2010, pp. 281-316. Fanno eccezione in questo caso A. Salento,
Diritto e campo giuridico nella sociologia di Pierre Bourdieu, in «Sociologia del diritto», 1, 2002, pp.
37-74; Id., Pierre Bourdieu. La socioanalisi del campo giuridico, in G. Campesi, I. Pupolizio, N. Riva
(a cura di), Diritto e teoria sociale, Roma, Carocci, 2009, pp. 131-164; F.S. Nisio, Metamorfosi di
Bourdieu. La mistica, il diritto e la storia, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico
moderno», 35, 2006, pp. 9-56 e inoltre l’introduzione di G. Brindisi, La sociologia del campo giuridico
di Pierre Bourdieu, in «Kainos. Rivista di Critica Filosofica», 9, 2009
(http://www.kainos.it/numero9/disvelamenti/giuristicustodi-intro.html); Brindisi, come indicato sub
nota 1, traduce uno dei brevi articoli chiaramente votato al diritto I giuristi, custodi dell’ipocrisia
collettiva, in «Kainos – Rivista di Critica Filosofica», 9, 2009, a cura di G. Brindisi
(http://www.kainos.it/numero9/disvelamenti/giuristicustodi.html). Si vd. anche E. de Conciliis, Il senso
del giudizio. Bourdieu, Foucault e la genealogia del diritto, in «Kainos. Rivista di Critica Filosofica»,
9, 2009 (http://www.kainos.it/numero9/ricerche/deconciliis-sulgiudizio.html). Odillo Vidoni Guidoni,
tra i pochi sociologi italiani, invece, utilizza la prospettiva bourdieusiana sfruttandone l’efficacia
euristica nello studio del giudice di pace nella contrapposizione tra istituzioni giuridiche informali,
politiche di deformalizzazione e magistratura ordinaria e ceto forense; in particolare sostiene che, a
differenza di altri commentatori italiani che vedono nel modello di Bourdieu una teoria generale
incompiuta (si riferisce, nello specifico, a Salento, Diritto e campo giuridico nella sociologia di Pierre
Bourdieu, cit.), l’apporto bourdieusiano possegga capacità euristiche e applicabilità empiriche tali da
poter essere considerata una teoria di medio raggio; vd. O. Vidoni Guidoni, Quale giustizia per il
giudice di pace? Nascita e consolidamento di una magistratura onoraria, Milano, Giuffrè, 2006.
4 Cfr. A. Salento, Pierre Bourdieu. La socioanalisi del campo giuridico, cit., p. 132.
5 Vd. Garcìa Villegas, On Pierre Bourdieu’s legal thought, cit., p. 58.
6 Vd. R. Lenoir, Pierre Bourdieu and the law: an intellectual and personal encounter, cit.; A.
Salento, Pierre Bourdieu. La socioanalisi del campo giuridico, cit. Tuttavia, alcuni commentatori
sostengono che la mancata sistematizzazione di una sociologia del campo giuridico sia dipesa ora dal
tenore complessivo dei sociolegal studies in Francia ora dall’idiosincrasia dello stesso Bourdieu nei
confronti dell’intellettualismo legalista e degli schemi di pensiero dei giuristi che, a differenza dei
sociologi propensi a decostruire, registrano invece le pratiche sociali attribuendo loro carattere di
evidenza logica attraverso i processi di classificazione. Vd. rispettivamente Garcìa Villegas, On Pierre
Bourdieu’s legal thought, cit., p. 59 e R. Lenoir, Pierre Bourdieu and the law, cit., p. 8.
7 Vd. M. Pitzalis, Oltre l’oggettivismo, oltre il soggettivismo, in G. Paolucci (a cura di), Bourdieu
dopo Bourdieu, Torino, UTET, 2010.
8 P. Bourdieu, Risposte. Per un’antropologia riflessiva, cit., p. 181.
9 Non potendo ricostruire per questioni di spazio il complesso profilo intellettuale e l’apparato
teorico della sociologia di Bourdieu si rinvia alle ricostruzioni contenute in A. Boschetti, La rivoluzione
simbolica di Pierre Bourdieu, Venezia, Marsilio, 2003; G. Paolucci, Introduzione a Bourdieu, Roma-
Bari, Laterza, 2011; G. Paolucci (a cura di), Bourdieu dopo Bourdieu, Torino, Utet, 2010; A. De Feo e
M. Pitzalis (a cura di), Produzione, riproduzione e distinzione. Studiare il mondo sociale con (e dopo)
Bourdieu, Cagliari, CUEC, 2015; nonché nelle brevi ma rigorose introduzioni di M. Santoro, Giochi di
potere. Pierre Bourdieu e il linguaggio del “capitale”, in P. Bourdieu, Forme di capitale, a cura di M.
Santoro, Roma, Armando, 2015, pp. 9-77 e di M. Cerulo, «I sociologi distruggono le illusioni». Pierre
Bourdieu e lo svelamento della realtà sociale, in P. Bourdieu, Sul concetto di campo in sociologia, a
cura di M. Cerulo, Roma, Armando, pp. 9-53.
10 P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., pp. 203-209; cfr. anche P. Bourdieu, Homo academicus
[1984], Bari, Dedalo, 2013 e Id., Questa non è un’autobiografia [2004], Milano, Feltrinelli, 2005.
11 Sul tema della ricezione di Bourdieu in Italia si rinvia a M. Santoro, How “not” to become a
dominant french sociologist: Bourdieu in Italy, 1966-2009, in «Sociologica», 2-3, 2009, pp. 1-80 e ad
A. Salento, Un ospite di scarso riguardo: Pierre Bourdieu in Italia, in Bourdieu dopo Bourdieu, cit.,
pp. 281-316.
12 Pierre Bourdieu, Meditazioni pascaliane, cit., p. 145.
13 M. Santoro, Giochi di potere. Pierre Bourdieu e il linguaggio del “capitale”, cit., p. 17.
14 Pierre Bourdieu, Meditazioni pascaliane, cit., pp. 145-146.
15 Ivi, p. 146.
16 Roberta Sassatelli, Corpi in pratica: “habitus”, interazione e disciplina, in «Rassegna Italiana di
Sociologia», XLIII, 3, 2002, p. 432.
17 P. Bourdieu, Risposte. Per un’antropologia riflessiva, Torino, Bollati Boringhieri, 1992, p. 100.
18 Pierre Bourdieu, Meditazioni pascaliane, cit., p. 151.
19 M. Santoro, Giochi di potere. Pierre Bourdieu e il linguaggio del “capitale”, cit., p. 28.
20 Boschetti A. (2010), La nozione di campo. Genesi, funzioni, usi, abusi, prospettive, in G.
Paolucci (a cura di), Bourdieu dopo Bourdieu, cit., p. 119.
21 Cfr. C. Sarzotti, La società dei messaggi normativi: dalla pubblicità ai cartelli stradali, in A.
Cottino (a cura di), Lineamenti di sociologia del diritto, Torino, Zanichelli, 2016, pp. 82 ss.
22 P. Bourdieu, Risposte. Per un’antropologia riflessiva, cit., pp. 85-86. Sostiene ancora Bourdieu:
«L’illusio è l’essere presi nel gioco, presi dal gioco, il credere che il gioco valga la candela o, più
semplicemente, la pena di giocare. […] i giochi sociali sono giochi che si fanno dimenticare in quanto
tali e l’illusio è quel rapporto magico con il gioco che nasce da un rapporto di complicità ontologica fra
le strutture mentali e le strutture oggettive dello spazio sociale»; «Ciò che nell’illusio è vissuto come
evidenza sembra un’illusione a chi, non partecipando al gioco, non è partecipe di tale evidenza. […].
Gli agenti che si adeguano al gioco ne sono posseduti, anzi tanto più posseduti quanto più lo
padroneggiano. […] come buoni giocatori di tennis, ci si trova piazzati non dove la palla è adesso, ma
dove andrà a cadere; si investe se stessi e ciò che si possiede non dove è il profitto, ma dove sarà»; P.
Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., pp. 134-135, p. 137.
23 Bourdieu P. (2005), Le regole dell’arte. Genesi e struttura del campo letterario, Milano, Il
Saggiatore, p. 186 ss.
24 Per una riflessione sul concetto di capitale in Bourdieu si rinvia a M. Santoro, “Con Marx, senza
Marx”. Sul capitale di Bourdieu, in Bourdieu dopo Bourdieu, cit., pp. 145-172.
25 P. Bourdieu, Risposte. Per un’antropologia riflessiva, cit., p. 69.
26 P. Bourdieu (2005), Le regole dell’arte. Genesi e struttura del campo letterario, cit., p. 351.
27 P. Bourdieu, Sullo Stato, cit., p. 23.
28 M. Weber, Economia e Società, Milano, Edizioni di Comunità, I, 1974, p. 53, II, p. 211.
29 P. Bourdieu, Sullo Stato, cit., p. 14.
30 P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., p. 114.
31 P. Bourdieu, Il dominio maschile, Milano, Feltrinelli, 20154a.
32 «La violenza simbolica», scrive Bourdieu nelle Meditazioni pascaliane, «è quella coercizione
che si istituisce solo per il tramite dell’adesione che il dominato non può mancare di concedere al
dominante (quindi al dominio) quando dispone, per pensarlo e per pensarsi, o, meglio, per pensare il
suo rapporto con lui, solo di strumenti di conoscenza che ha in comune con lui e che, essendo
semplicemente la forma incorporata della struttura del rapporto di dominio, fanno apparire tale rapporto
come naturale; o, in altri termini, quando gli schemi impiegati per percepirsi e valutarsi, o per percepire
e valutare i dominanti (alto/basso, maschile/femminile, bianco/nero, etc.) sono il prodotto
dell’incorporazione delle classificazioni, così naturalizzate, di cui il suo essere sociale è il prodotto»;
vd. P. Bourdieu, Meditazione pascaliane [1997], Milano, Feltrinelli, 1998, p. 178-179, enfasi mia. Sulla
violenza simbolica si vd. anche G. Paolucci, Una sottomissione paradossale: la teoria della violenza
simbolica, in Bourdieu dopo Bourdieu, cit., pp. 173-218
33 P. Bourdieu, Il dominio maschile, cit., p. 16.
34 Ivi, p. 9.
35 Ivi, p. 33.
36 P. Bourdieu (2005), Le regole dell’arte. Genesi e struttura del campo letterario, cit., p. 351.
37 A. Salento, Diritto e campo giuridico nella sociologia di Pierre Bourdieu, cit., p. 47.
38 Bourdieu sostiene che «la ricostruzione della genesi» sia «forse il più potente degli strumenti di
rottura», infatti «riattivando i conflitti e i confronti degli inizi e, con essi, le possibilità accantonate, essa
riattualizza la possibilità che le cose andassero (e vadano) altrimenti e, attraverso questa utopia pratica,
rimette in questione il possibile che, fra tutti, si è realizzato», vd. P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., p.
95.
39 P. Bourdieu, Meditazioni pascaliane (1997), Milano, Feltrinelli, 1998, pp. 190-191.
40 Come descritto dallo stesso Bourdieu, l’automatizzazione corrisponde a «una forma specifica di
rimozione che rimanda all’inconscio gli strumenti stessi del pensiero»; vd. P. Bourdieu, Meditazione
pascaliane, cit., p. 191.
41 P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., p. 169. Sulla religione vd. P. Bourdieu, Il campo religioso.
Con due esercizi, a cura di R. Alciati e E.R. Urcioli, aAccademia university press, Torino, 2012.
42 Per un’analisi dello sviluppo e delle applicazioni delle teorie interazioniste di devianza e crimine
e della costruzione dei problemi sociali mi si permetta di rinviare a C. Rinaldi, Diventare normali.
Teorie, analisi e applicazioni interazioniste della devianza e del crimine, Milano, McGraw-Hill, 2016.
43 A. Salento, Diritto e campo giuridico nella sociologia di Pierre Bourdieu, cit., p. 27.
44 Ivi, p. 40.
45 P. Bourdieu, Risposte, cit., p. 187.
46 P. Bourdieu, Meditazioni pascaliane, cit., p. 102.
47 Ibidem.
48 Vd. P. Bourdieu, Sullo Stato, cit.; Id., Ragioni pratiche, cit., pp. 89-119.
49 P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., p. 91.
50 Ivi, p. 95.
51 Ibidem.
52 Ivi, p. 96.
53 Ivi, p. 104.
54 Ibidem.
55 Ivi, p. 107.
56 Ivi, p. 108.
57 Si tratta di atti di «impostura legittima», come ricordavamo, per mezzo dei quali, come
ironicamente afferma Bourdieu, «il presidente della Repubblica è qualcuno che si crede il presidente
della Repubblica, ma a differenza del pazzo che si crede Napoleone, è nel suo diritto», P. Bourdieu,
Ragioni pratiche, cit., p. 109. Secondo Bourdieu, gli uomini pubblici sono votati all’«impostura
legittima» nella misura in cui sono uomini privati legittimati in termini sociali a credersi pubblici e a
«pensarsi e a presentarsi come servitori devoti del pubblico e del bene pubblico». P. Bourdieu, Ragioni
pratiche, cit., p. 217.
58 Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., p. 110.
59 P. Bourdieu, Meditazioni pascaliane, cit., p. 149.
60 P. Bourdieu, I riti di istituzione, in Id., La parola e il potere, Napoli, Guida, 1988, p. 100.
61 Ivi, p. 98.
62 Ivi, p. 100.
63 Secondo Weber, il corpo dei giuristi e delle professioni giuridiche in generale ha svolto un ruolo
di primo piano nel processo di formalizzazione del diritto nella modernità «esso è condizionat[o]
direttamente da rapporti per così dire “intra-giuridici”, cioè dalle caratteristiche della cerchia di persone
che sono in grado di influenzare professionalmente la formazione del diritto»; M. Weber, Economia e
società [1922], Edizioni di Comunità, Milano, 1999, p. III, citato in A. Salento, cit., 2009, p. 136.
64 «È chiaro che i giudici, per mezzo della loro pratica che li porta a confrontarsi direttamente con
la gestione dei conflitti e per via di una domanda giuridica continuamente rinnovata, tendono ad
assicurare la funzione di adattamento alla realtà di un sistema che, se fosse lasciato ai soli professori,
rischierebbe di rinchiudersi in un rigido rigorismo razionale. Attraverso la libertà più o meno estesa che
è loro lasciata in merito all’applicazione delle regole, i magistrati introducono i cambiamenti e le
innovazioni indispensabili per la sopravvivenza del sistema che i teorici dovranno integrare nello stesso
sistema». Vd. infra, p. 75.
65 Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., pp. 213-214.
66 Ivi, p. 214.
67 «Chi si mette in regola mette dalla sua parte il gruppo mettendosi ostentatamente dalla parte del
gruppo con un atto pubblico di riconoscimento di una norma comune, universale in quanto
universalmente approvata all’interno del gruppo. Dichiara che accetta di adottare, nel comportamento,
il punto di vista del gruppo, valido per ogni possibile agente, per un X universale. In antitesi con la pura
affermazione dell’arbitrio soggettivo (perché lo voglio, perché mi piace) il riferimento all’universalità
della regola rappresenta una crescita di potenza simbolica, legata ad una messa in forma universale, alla
formula ufficiale, alla regola generale». P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., pp. 214-215.
68 P. Bourdieu, Ragioni pratiche, cit., p. 215. In questi ragionamenti Bourdieu sembra anticipare
gran parte della critica anti-normativa della teoria queer.
69 Ivi, pp. 166-167.
70 Cfr. E. Hałas, Pierre Bourdieu’s concept of the politics of symbolization and symbolic
interactionism, in «Studies in Symbolic Interaction», 27, 2004, pp. 235-257. Adam I. Green, inoltre,
pur analizzando un tema assai diverso dal diritto come quello di sessualità con il concetto di «sexual
field», utilizza l’analisi interazionista per individuare le basi interazionali della stratificazione sessuale,
vd. attraverso Adam I. Green, Playing the (Sexual) Field: The Interactional Basis of Sexual
Stratification, in «Social Psychology Quarterly», 2011, 74, pp. 244-266. Per un confronto tra analisi
interazionista e approccio bourdieusiano si vd. anche G. Toscano, Campo e mondo sociale. Definizioni
e applicazioni a confronto, in «Studi di sociologia», 2012, 3, pp. 309-325.
71 P. Bourdieu, Sullo Stato, cit., p. 25.
72 Ibidem.
73 Ci si riferisce al saggio Labelling theory reconsidered presentato per la prima volta alla British
Sociological Association a Londra nel 1971, ora pubblicato in H.S. Becker, Outsiders. Saggi di
1a
sociologia della devianza [1963], Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2003 , pp. 176-204.
74 H.S. Becker, Outsiders, cit., p. 35.
75 Ivi, p. 200.
76 Ivi, p. 203.
77 Scrive Bourdieu nel saggio tradotto nel presente volume: «L’offerta giuridica – ossia la
“creazione giuridica” relativamente autonoma che rende possibile l’esistenza di un campo di
produzione specializzato – consegue un effetto specifico che sancisce lo sforzo dei gruppi dominanti o
in ascesa per imporre una rappresentazione ufficiale del mondo sociale che sia conforme alla loro
visione del mondo e favorevole ai loro interessi soprattutto in occasione di situazioni di crisi o
rivoluzionarie» (vd. infra, p. 114).
78 Ed ancora nelle pagine de La force du droit, Bourdieu sostiene che: «Il diritto consacra l’ordine
stabilito consacrando una visione di quest’ordine che è una visione di Stato, garantita dallo Stato. Esso
assegna agli agenti una identità sicura, uno stato civile, e soprattutto dei poteri (o delle capacità)
riconosciute socialmente, dunque di tipo produttivo, per via della distribuzione di diritti d’uso di tali
poteri, titoli (formativi, professionali, ecc.), certificati (di idoneità, di malattia, di invalidità, ecc.);
inoltre, esso sancisce tutti i processi associati all’acquisizione, all’intensificazione, al trasferimento o
alla privazione di questi stessi poteri. Le sentenze per mezzo delle quali il diritto distribuisce i diversi
livelli dei diversi tipi di capitale ai diversi agenti (o istituzioni) pongono un termine o perlomeno un
limite allo scontro, alle trattative o alla negoziazione sulle caratteristiche delle persone o dei gruppi,
sull’appartenenza delle persone ai gruppi, dunque sulla attribuzione corretta dei nomi, specifici o
comuni, come i titoli, sull’unione o sulla separazione, in breve su tutto il lavoro pratico del
worldmaking che è alla base della costituzione dei gruppi come matrimoni, divorzi, cooptazioni,
associazioni, scioglimenti, ecc.» (vd. infra, p. 99).
79 J. Lofland, Deviance and identity, Englewood Cliffs, New Jersey, Prentice-Hall, 1969.
80 E. Wenger, Comunità di pratica, Milano, Raffaello Cortina, 2006.
81 Presumo che Bourdieu conoscesse in modo approfondito la letteratura interazionista e
costruzionista degli effetti simbolici del diritto e della costruzione problemi sociali considerato
soprattutto il fatto che la citi nelle sue lezioni Sullo Stato, in cui fa inoltre riferimento espressamente al
lavoro di Joseph Gusfield; vd. P. Bourdieu, Sullo Stato, cit., p. 51 e ss.
La produzione normativa, così come Gusfield aveva sottolineato in una serie di lavori, non ha
semplicemente una «funzione strumentale» ma riveste anche «valore simbolico». Gli atti e le
disposizioni normative dei vari livelli (leggi, decisioni e sentenze, ordinanze, etc.) non posseggono
semplicemente un effetto diretto sul comportamento e le azioni derivanti dall’applicazione del diritto,
ma rivestono carattere simbolico nel momento stesso in cui producono effetti di designazione; gli atti
legislativi o le sentenze, infatti, consistono anche nell’affermazione e nella validazione pubblica di
ideali e di standard che esaltano i valori di un gruppo a scapito di un altro (o di altri), attraverso
cerimoniali e rituali che tendono ad evidenziare i contenuti morali, estetici, economici e politici della
moralità pubblica. Il diritto, pertanto, non esaurisce le sue funzioni come mero strumento del controllo
sociale ma assurge ad elemento simbolico di designazione drammaturgica. Così come gran parte degli
atti politici hanno effetti e funzioni simbolici, gli atti, le disposizioni e i rituali del diritto sono «gesti di
affermazione pubblica» che impediscono il riconoscimento dell’esistenza delle norme e dei valori
promossi dal trasgressore; essi, inoltre, orientano le principali istituzioni verso il sostegno e la
promozione del gruppo egemone e posseggono valore dimostrativo dal momento che provano quali
culture siano dotate di legittimazione e rivestano una posizione pubblica dominante; infatti, nel
momento in cui si attribuiscono legittimità, valore e status a gruppi specifici stiamo
contemporaneamente partecipando alla subordinazione di una serie di «altri». Vd. J.R. Gusfield, On
legislating morals: the symbolic process of designating deviance, in «California Law Review», 56, 1,
1968, pp. 54-73. Per una sintesi mi si permetta ancora di rinviare a C. Rinaldi, Diventare normali, cit.,
pp. 69-116.
82 Si rinvia a H. Blumer, I social problems come comportamento collettivo [1971], Calimera,
Kurumuny, Lecce, 2013 e M. Spector e J.I. Kitsuse, Constructing social problems, New Brunswick-
2a
London, Transaction, (2001 ). Per una ricostruzione dei fenomeni indicati e dei concetti analitici
interazionisti si vd. ancora Rinaldi, Diventare normali, cit., p. 69 ss.
83 J. Best, Constructionism in context, in Id. (a cura di), Images of issues, Hawthorne, NY, Aldine
2a
de Gruyter, 1995 , pp. 337-354.
84 C. Sarzotti, op. cit.
85 E. Goffman, Stigma. L’identità negata [1963], Verona, Ombre Corte, 2003.
86 E. Goffman, Stigma, cit., p. 142.
87 Ivi, pp. 143-144.
88 Ivi, p. 147.
89 Ivi, pp.148-149.
Pierre Bourdieu
Una delle migliori verifiche di quanto sin ora asserito è rappresentato dagli
effetti determinati, sia in Europa che negli Stati Uniti, dalla crisi delle
modalità di accesso tradizionali alle professioni giuridiche (così come accade
nella corporazione dei medici, degli architetti e di altri possessori di diverse
specie di capitale culturale). Tali sono per esempio i tentativi volti a limitare
l’offerta e gli effetti dell’intensificazione della concorrenza (come
l’abbassamento degli introiti) per mezzo di misure tese a rafforzare le barriere
all’accesso nella professione (numerus clausus) o ancora gli sforzi per
accrescere la domanda, attraverso i modi più diversi. Si va dalla pubblicità,
più frequente negli USA, sino all’azione di gruppi militanti il cui effetto (che
non equivale a dire il fine) consiste nella creazione di nuovi mercati per i
servizi legali, promuovendo i diritti delle minoranze svantaggiate o
incoraggiando quest’ultime a far valere i propri diritti e, più generalmente,
provando a fare in modo che i poteri pubblici contribuiscano in modo diretto
o indiretto a sostenere la domanda di servizi giuridici121. In questo modo gli
sviluppi recenti del campo giuridico permettono di osservare direttamente il
processo di costituzione appropriativa – accompagnato dal relativo
spossessamento dei semplici profani – che tende a creare una domanda
facendo rientrare nell’ordine giuridico un dominio di pratiche sociali sino ad
allora abbandonato a forme pre-giuridiche di risoluzione dei conflitti. Per
esempio, rispetto alle cause relative ai contratti di lavoro, sono esistite forme
di arbitrato basate sul senso di giustizia ed esercitate da esperti secondo
procedure assai semplici ormai divenute oggetto del processo di annessione
nel campo giuridico122. A causa della complicità oggettiva esistente tra i
rappresentanti sindacali più istruiti e alcuni giuristi i quali, a favore di una
sollecitudine generosa nei confronti degli interessi dei soggetti più
svantaggiati, hanno esteso il mercato offerto ai loro servizi, questa enclave di
autoconsumo giuridico si è ritrovata a poco a poco integrata all’interno del
mercato controllato dai professionisti. Sempre più di frequente i consulenti
sono stati costretti ad appellarsi al diritto per produrre e giustificare le proprie
decisioni, soprattutto perché i querelanti e i difensori tendono sempre di più a
posizionarsi nel campo giuridico e a ricorrere ai servizi offerti da avvocati, e
anche perché la moltiplicazione degli appelli costringe i probiviri incaricati di
arbitrare le vertenze di lavoro a riferirsi alle sentenze dell’Alta Corte – effetto
di cui si avvantaggiano le rassegne di giurisprudenza e i professionisti che
sono sempre più spesso consultati dai datori di lavoro o dai sindacati123.
In breve, man mano che un campo (in questo caso un sotto-campo) si
costituisce, si mette in moto un processo di rafforzamento circolare: ogni
«progresso» nel senso della «giuridicizzazione» di una dimensione della
pratica genera la comparsa di nuovi «bisogni giuridici», dunque di nuovi
interessi giuridici di coloro i quali, essendo in possesso delle competenze
specificatamente richieste (in questo caso la conoscenza del diritto del
lavoro), vi ritrovano un nuovo mercato. Costoro, per via del loro intervento,
determinano un incremento del formalismo giuridico delle procedure e
contribuiscono pertanto a rafforzare il bisogno dei loro servizi e dei loro
prodotti, determinando l’esclusione di fatto dei non esperti, costretti a
ricorrere di fatto ai consigli dei professionisti, che a poco a poco prenderanno
il posto dei querelanti e dei convenuti, trasformati cosi in semplici parti in
giudizio (justiciables)124.
All’interno della stessa logica, si è potuto mostrare che la volgarizzazione
militante del diritto del lavoro, che garantisce a un numero rilevante di non-
professionisti una buona conoscenza delle regole e delle procedure
giuridiche, non ha l’effetto di assicurare una riappropriazione del diritto da
parte degli utilizzatori a scapito del monopolio dei professionisti. Essa
piuttosto determina uno spostamento della frontiera esistente tra i profani e i
professionisti che, pressati dalla logica della concorrenza in seno al campo
giuridico, devono intensificare la scientificità per conservare il monopolio
dell’interpretazione legittima e scongiurare la svalutazione associata a una
disciplina che occupa una posizione inferiore nel campo giuridico125. Si
osservano molte altre manifestazioni di questa tensione che si verifica tra la
ricerca dell’estensione del mercato attraverso la conquista di un settore
abbandonato all’autoconsumo giuridico (ricerca che può essere tanto più
efficace, come nel caso dei probiviri, quanto più è inconsapevole o innocente)
e il rafforzamento dell’autonomia, ossia della separazione tra professionisti e
profani. Per esempio, nell’ambito del funzionamento delle regolamentazioni
disciplinari nelle imprese private, la preoccupazione di mantenere nei
confronti dei profani la distanza che definisce l’appartenenza al campo e che
rovinerebbe una difesa troppo diretta degli interessi dei propri committenti,
porta i mediatori semi-professionisti ad aumentare l’uso di tecnicismi nei
propri interventi per marcare più chiaramente la distanza da coloro di cui
difendono gli interessi e per attribuire di conseguenza maggiore autorità e
neutralità alla propria difesa, rischiando tuttavia così facendo di smentire la
logica che sta alla base delle negoziazioni amichevoli126.
Il potere di nominazione
Per tener conto dell’efficacia simbolica del diritto nella sua totalità bisogna
prendere in considerazione gli effetti dell’adeguamento dell’offerta giuridica
alla domanda giuridica che più che a transazioni consce deve essere attribuita
a meccanismi strutturali come l’omologia tra differenti categorie di produttori
o di venditori di servizi giuridici e le diverse categorie di clienti. Chi occupa
la posizione di dominato nel campo (come nel caso del diritto sociale) tende a
essere destinato soprattutto a una clientela di dominati che contribuiscono a
rafforzare l’inferiorità di queste posizioni; le loro condotte sovversive hanno
minori possibilità di sovvertire i rapporti di forza esistenti all’interno del
campo e contribuiscono piuttosto all’adattamento del corpus giuridico e, di
conseguenza, alla perpetuazione della struttura del campo.
Il campo giuridico, dato il ruolo determinante che svolge nella riproduzione
sociale, dispone di una autonomia minore rispetto ad altri campi che – come
quello artistico o letterario o dello stesso campo scientifico – contribuiscono
anche al mantenimento dell’ordine simbolico e, di conseguenza, al
mantenimento dell’ordine sociale. All’interno del campo giuridico i
cambiamenti esterni si traducono più direttamente e i conflitti interni sono più
direttamente risolti da forze esterne. Di conseguenza, la gerarchia nella
divisione del lavoro giuridico, così come si presenta nella gerarchia delle
specialità professionali, varia nel corso del tempo sebbene in misura assai
limitata (come testimoniato dallo statuto di eccellenza che sempre viene
riconosciuto al diritto civile); questa variazione dipende dalle variazioni dei
rapporti di forza in seno al campo sociale. È come se la posizione dei diversi
specialisti nei rapporti di forza interni al campo dipendesse dal posto
occupato nel campo politico dai gruppi i cui interessi sono più direttamente
legati alle forme giuridiche corrispondenti.
È ovvio che per esempio, man mano che aumenta la forza dei dominati nel
campo sociale e quella dei loro rappresentanti (partiti o sindacati) nel campo
politico, la differenziazione del campo giuridico tende ad accrescersi. Per
esempio, nella seconda metà del XIX secolo, ciò si manifesta con lo sviluppo
del diritto commerciale, ma anche del diritto del lavoro e, più generalmente,
del diritto sociale. Gli scontri interni, tra i privatisti e i pubblicisti soprattutto,
devono la loro ambiguità al fatto che, in qualità di custodi del diritto di
proprietà e del rispetto della libertà dei contratti, i primi si fanno difensori
dell’autonomia del diritto e dei giuristi contro tutte le intrusioni della politica
e dei gruppi di pressione economici e sociali, e in particolare, contro lo
sviluppo del diritto amministrativo, contro le riforme penali e contro tutte le
innovazioni in materia sociale, commerciale o nella legislazione del lavoro.
Questi scontri hanno spesso una posta in gioco ben definita nei limiti
medesimi del campo giuridico (e universitario), come la definizione di
programmi curriculari, l’apertura di rubriche in riviste specializzate o la
creazione di cattedre; da qui, il potere sul corpo professionale e sulla sua
riproduzione, e ciò che concerne tutti gli aspetti della pratica giuridica. Tali
scontri sono al contempo sovradeterminati e ambigui nella misura in cui i
difensori dell’autonomia e della legge come entità astratta e trascendente
sono infatti i difensori di una ortodossia. Il culto del testo, il primato della
dottrina e dell’esegesi, ossia al contempo della teoria e del passato, vanno di
pari passo con il rifiuto di riconoscere alla giurisprudenza la minima valenza
creatrice, dunque con un diniego pratico della realtà economica e sociale e un
rifiuto della comprensione scientifica di questa realtà.
Ci rendiamo conto – tra le varie cose anche attraverso l’analisi della
giurisprudenza – che, secondo una logica che osserviamo in tutti i campi, i
dominati ritrovano i principi di un argomentazione critica volta a fare del
diritto una «scienza» dotata di una propria metodologia e fondata in una
realtà storica all’esterno, in particolare nel campo scientifico e politico. Così,
secondo una divisione che si ritrova in tutti i dibattiti teologici, filosofici o
letterari rispetto all’interpretazione dei testi sacri, i partigiani del
cambiamento si posizionano dal lato della scienza, della storicizzazione della
lettura (secondo il modello sviluppato altrove da Schleiermacher) e prestano
attenzione alla giurisprudenza, ossia ai nuovi problemi e alle nuove forme del
diritto che vengono definiti (il diritto commerciale, del lavoro e il diritto
penale). Per ciò che concerne la sociologia, nella percezione dei custodi
dell’ordine giuridico essa è indissolubilmente legata al socialismo e incarna la
riconciliazione malefica tra scienza e realtà sociale contro la quale l’esegesi
della teoria pura rappresenta la protezione migliore.
Paradossalmente, in questo caso, l’autonomizzazione non passa attraverso
un rafforzamento della chiusura di un corpo esclusivamente dedicato alla
lettura interna dei testi sacri, bensì per via di un’intensificazione del
confronto tra i testi e le procedure con le realtà sociali che essi sono presunti
di esprimere e di regolare.
L’aumento della differenziazione e l’intensificazione della concorrenza
interna nel campo giuridico, insieme con il rafforzamento dei gruppi dominati
al suo interno e dei loro omologhi in seno al campo sociale (o dei loro
rappresentanti), favoriscono un ritorno a quelle realtà sociali. Non è un caso
infatti che le prese di posizione circa l’esegesi e la giurisprudenza, la fedeltà
alla dottrina e l’adattamento necessario alle realtà sociali sembrino
corrispondere assai strettamente alle posizioni occupate nel campo. Infatti, da
una parte, oggi osserviamo nuovi impulsi forniti al diritto privato, e in modo
specifico al diritto civile, da parte della tradizione neo-liberale che si basa
sull’economia; dall’altra, osserviamo discipline come il diritto pubblico o il
diritto del lavoro, costituitesi in contrapposizione al diritto civile, basate sullo
sviluppo delle burocrazie e sul rafforzamento dei movimenti di
emancipazione politica, o ancora il diritto sociale, definito dai suoi sostenitori
come la «scienza» che, basandosi sulla sociologia, permette di adattare il
diritto all’evoluzione sociale.
Il fatto che la produzione giuridica, come qualunque altra forma di
produzione culturale, abbia luogo all’interno di un campo è alla base di un
effetto ideologico di misconoscimento che le analisi comuni inevitabilmente
trascurano dal momento che fanno derivare le «ideologie» direttamente da
funzioni collettive o da intenzioni individuali. Gli effetti generati all’interno
dei campi non sono né la somma puramente aritmetica di azioni anarchiche
né il risultato integrato di un piano concertato. La competizione da cui questi
effetti derivano si svolge in seno ad uno spazio capace di imprimere delle
tendenze generali, connesse ai presupposti inscritti nella stessa struttura del
gioco di cui essi costituiscono la legge fondamentale, come nel caso
considerato la relazione esistente tra campo giuridico e campo del potere. La
funzione di mantenimento dell’ordine simbolico che il campo giuridico
contribuisce ad assicurare, così come la funzione di riproduzione del campo
giuridico stesso, delle sue divisioni e delle sue gerarchie, e del principio di
visione e di divisione che è a loro fondamento, sono il prodotto di
innumerevoli azioni che non hanno per fine la realizzazione di questa
funzione e che possono persino essere ispirate da intenzioni contrarie. Così,
per esempio,
le azioni sovversive delle avanguardie [giuridiche] che contribuiscono, in
definitiva, a determinare l’adattamento del diritto e del campo giuridico a un
nuovo stato dei rapporti sociali e a garantire così la legittimazione della forma
stabilita di questi rapporti. Come possiamo osservare in questi casi in cui si
presentano delle inversioni rispetto alle intenzioni, è la struttura del gioco e
non un semplice effetto di aggregazione meccanica a produrre la
trascendenza dell’effetto oggettivo e collettivo delle azioni cumulate.
90 Cfr. per esempio J. Bonnecase, La pensée juridique française, de 1804 à l’heure présente, les
variations et les traits essentiels, 2 voll., Bordeaux, Delmas, 1933.
91 L’approccio di Kelsen, basato sul postulato dell’auto-limitazione della ricerca al solo enunciato
delle norme giuridiche, con l’esclusione dei dati storici, psicologici o sociali e di ogni riferimento alle
funzioni sociali garantite dall’applicazione delle norme – assomiglia perfettamente a quello di Saussure
che fonda la propria teoria pura della lingua sulla distinzione tra linguistica interna e linguistica esterna,
vale a dire sull’esclusione di ogni riferimento alle condizioni storiche, geografiche e sociologiche del
funzionamento della lingua o delle sue trasformazioni.
92 Una rassegna dei lavori marxisti relativi alla sociologia del diritto e una eccellente bibliografia si
trovano in S. Spitzer, Marxist perspectives in the sociology of law, in «Annual Review of Sociology»,
9, 1983, pp. 103-124.
93 E.P. Thompson, Whigs and hunters. The origin of the Black Act, Panthéon, New York, 1975, p.
261.
94 N. Luhmann, Soziale Systeme, Grundriss einer allgemeinen Theorie, Frankfurt, 1984; Die
Einheit des Rechtssystems, in «Rechtstheorie», 14, 1983, pp. 129-154.
95 Cfr. A.W. Blumrosen, Legal process and labor law, in W.M. Evan (a cura di), Law and
sociology, The Free Press of Glencoe, New York, 1962, pp. 185-225.
96 A.-J. Arnaud, Critique de la raison juridique, LGDJ, Paris, 1981, pp. 28-29 e J.-M. Scholz, La
raison juridique à l’œuvre: les krausistes espagnols, in Erk Volkmar Heyen (a cura di), Historische
Soziologie der Rechtswissenschaft, Klosterman, Frankfurt am main, 1986, pp. 37-77.
97 Il dominio si riconosce altresì, tra le varie cose, nella capacità di rispettare l’ordine riconosciuto
come legittimo nell’enumerazione delle autorità. Cfr. J.-M. Scholz, op. cit.
98 Secondo Andrew Fraser, la moralità civica del corpo giudiziario si basava non tanto su un codice
di regole espresse ma su un «senso dell’onore tradizionale», ossia su un sistema di disposizioni per
mezzo del quale l’essenziale di ciò che conta nell’acquisizione delle virtù associate all’esercizio della
professione andava da sé. Cfr. A. Fraser, Legal amnesia: modernism versus the republican tradition in
American legal theory, in «Telos», 60, 1984, pp. 15-52.
99 I filosofi del diritto giusnaturalisti si sono basati su questo aspetto, da tempo sottolineato, per
sostenere che i testi giuridici non enunciano delle norme bensì delle constatazioni; e che il legislatore
enuncia l’essere e non il dover essere, esprime il giusto o la giusta proporzione inscritta nelle stesse
cose come se fosse una proprietà oggettiva. «Il legislatore preferisce descrivere le istituzioni giuridiche
piuttosto che stabilire direttamente delle regole»; cfr. G. Kalinowski, Introduction à la logique
juridique, LGDJ, Paris, 1964, p. 55.
100 Cfr. J.-L. Souriaux e P. Lerat, Le langage du droit, PUF, Paris, 1975.
101 Cfr. Travaux de l’Association Henri Capitant, tomo V, 1949, pp. 74-76, citato da R. David,
5a
Les grands courants du droit contemporain, Dalloz, Paris, 1973 , pp. 124-132.
102 Si ritroverà una catena della stessa forma tra teorici e «uomini di esperienza», negli apparati
politici, o almeno in quelli che per tradizione si rifanno a una teoria economica e politica.
103 Un chiaro esempio del lavoro giuridico di codificazione che produce del giuridico a partire dal
giudiziario è rappresentato dalle sentenze della Corte di Cassazione e dai processi di selezione, di
normalizzazione e di diffusione che, a partire da un insieme di sentenze selezionate dai presidenti della
camera per via del proprio «interesse giuridico», produce un corpo di regole razionalizzate e
normalizzate. Cfr. E. Serverin, Une production communautaire de la jurisprudence: l’édition juridique
des arrêts, in «Annales de Vaucresson», 23, 1985, pp. 73-89.
104 Con il concetto di Kadi-Justiz, di giustizia del cadì, si concepisce nel diritto islamico la
giustizia ordinaria amministrata dal cadì, magistrato di nomina politica. L’espressione in Bourdieu
tuttavia è tratta da Max Weber che considera la KadiJustiz come forma idealtipica del diritto irrazionale
e, pertanto, di tipo personalistico ed imprevedibile, come forma di diritto irrazionale-materiale che si
contrappone al diritto formale-razionale; secondo Weber essa si ritrova ancora nelle società occidentali,
per esempio nella «giustizia popolare dei giurati», nelle giurie popolari o negli esperti, in forme
residuali che attenuano il razionalismo giuridico formale, che sono incompatibili con i principi di
razionalità e di calcolabilità e che, inoltre, sono considerate come una minaccia dai giuristi di
professione. Cfr. M. Weber, Economia e società [1922], vol. III, Edizioni di Comunità, Milano, 2000,
p. 198 ss. (N.d.C).
105 H. Motulsky, Principes d’une réalisation méthodique du droit privé. La théorie des éléments
générateurs des droits subjectifs, Tesi di dottorato, Parigi Sirey, 1948, in particolare alle pp. 47-48.
Come quegli epistemologi che ricostruiscono ex post la pratica concreta del ricercatore e che indicano
quali caratteri dovrebbe assumere l’approccio scientifico, Motulsky ricostruisce ciò che sarebbe (o
dovrebbe essere) il «metodo di realizzazione» appropriato al diritto, distinguendo tra una fase di ricerca
della «regola possibile», una sorta di esplorazione metodica dell’universo delle regole del diritto, e una
fase di applicazione, con il passaggio alla regola direttamente applicata al caso considerato.
106 F. Cohen, Transcendental Nonsense and the Functional Approach, in «Columbia Law
Review», 35, 1935, pp. 808-819.
107 La libertà lasciata all’interpretazione varia in modo considerevole quando passiamo dalla Corte
di Cassazione (che può annullare «la forza della legge», per esempio proponendo un’interpretazione
rigida, come accaduto nel caso della legge del 5 aprile 1910 sulle «pensioni operaie e dei contadini») ai
giudici dei tribunali di grado inferiore che per via della loro formazione e della loro «deformazione»
professionale sono inclini ad abdicare alla libertà di interpretazione di cui in teoria dispongono e ad
applicare interpretazioni codificate a situazioni codificate (motivazioni relative ai disegni di legge,
dottrina e commenti dei giuristi, professori o giudici, sentenze della Corte di Cassazione). Possiamo
prendere in prestito dalle osservazioni di Remi Lenoir l’esempio di quel tribunale di un quartiere
popolare di Parigi in cui, tutti i venerdì mattina, l’udienza è consacrata in modo specifico a un
contenzioso, sempre lo stesso, relativo alla risoluzione dei contratti di vendita o di locazione, e
designato col nome di una azienda di affitto e di pagamento a rate di elettrodomestici e di televisioni; i
giudizi, del tutto predeterminati, sono assai veloci e gli avvocati, nel caso siano presenti (il che è molto
raro) si esimono dal prendere la parola. (La presenza di un avvocato può certo rivelarsi utile, provando
che anche a questo livello esiste un potere di interpretazione, senza dubbio perché è percepita come un
segno di riverenza nei confronti del giudice e dell’istituzione che, proprio per questo, merita una certa
considerazione – la legge non è applicata in tutto il suo rigore –;
e anche perché la presenza degli avvocati costituisce un’indicazione sull’importanza accordata al
giudizio e sui rischi d’appello).
108 Mario Sbriccoli propone un inventario di procedimenti codificati che permettevano ai giuristi
(avvocati, magistrati, esperti, consiglieri politici, etc.) delle piccole comunità italiane medievali di
«manipolare» il corpus giuridico. Per esempio, la declaratio si può basare sulla rubrica, la materia della
norma, l’uso e il significato corrente dei termini, la loro etimologia, strumenti che a loro volta si
suddividono tanto e può giocare delle contraddizioni tra la rubrica e il testo partendo dall’una per
comprendere l’altro e viceversa. Cfr. M. Sbriccoli, L’interpretazione dello statuto. Contributo allo
studio della funzione dei giuristi nell’età comunale, Giuffrè, Milano, 1969 e Id., Politique et
interprétation juridiques dans le villes italiennes du Moyen-âge, in «Archives de philosophie du droit»,
XVII, 1972, pp. 99-113.
109 Cfr. P. Bourdieu, Ce que parler veut dire, Paris, Fayard, 1982 sull’effetto di messa in forma
pp. 20-21 e sull’effetto di istituzione p. 125 e ss.
110 Ph. Vissert Hooft, La philosophie du langage ordinaire et le droit, in «Archives de
philosophies du droit», XVII, 1972, pp. 261-284.
111 È il caso, per esempio, della parola «causa» che non possiede per niente, nell’uso comune, il
significato che le attribuisce il diritto; cfr. Ph. Vissert Hooft, op. cit.
112 Il ricorso legale implica, in moltissimi casi, il riconoscimento di una definizione delle forme di
rivendicazione o di lotta che privilegia le lotte individuali (e legali) a scapito delle altre forma di lotta.
113 «Pertanto il diritto nasce dal processo, dialogo regolato, il cui metodo è la dialettica». Cfr. M.
Villey, Philosophie du droit, II, Paris, Dalloz, 1979, p. 53.
114 Tutto nelle rappresentazioni della pratica giuridica (concepita come decisione razionale o come
applicazione deduttiva di una regola del diritto) e nella stessa dottrina giuridica (che tende a concepire
il mondo sociale come semplice aggregato di azioni compiute da soggetti di diritto razionali, eguali e
liberi) predispone i giuristi, in altri tempi affascinati da Kant o da Gadamer, a ricercare nella Rational
Action Theory gli strumenti di un aggiornamento delle giustificazioni tradizionali del diritto
(rinnovamento eterno delle tecniche di eternizzazione…).
115 La tradizione filosofica (e in particolare Aristotele nei Topici) evoca in modo quasi esplicito la
costituzione del campo sociale che è il principio della costituzione dello scambio verbale come
discussione euristica orientata in termini espliciti – in contrapposizione con il dibattito eristico – verso
la ricerca di proposizioni valide per un uditorio universale.
116 Da questo insieme di esigenze costitutive della visione del mondo giuridico deriva, secondo
Austin, il fatto che i giuristi non attribuiscono alle espressioni ordinarie il loro senso ordinario e che,
oltre a inventare termini tecnici o significati tecnici per i termini ordinari, intrattengono un rapporto
speciale con il linguaggio che li porta a procedere verso estensioni o restrizioni insolite. Cfr. J.-L.
Austin, Philosophical papers, Clarendon Press, Oxford, 1961, p. 136.
117 Cfr. D. Kayris, Legal reasoning, in D. Kayris (a cura di), The politics of law, Pantheon Books,
New York, 1982, pp. 11-17.
118 Alcuni legal realists, rifiutando alla regola qualsiasi efficacia specifica, sono arrivati persino a
ridurre il diritto alla semplice regolarità statistica, garante della prevedibilità del funzionamento delle
istanze giuridiche.
119 Sul lavoro di espansione vd. L. Mather e B. Yngvesson, Language, audience and the
transformation of disputes, in «Law and Society Review», 15, 3-4, 1980-1981, pp. 776-821.
120 Cfr. su questi aspetti, W.L.F. Felstiner, R.L. Abel, A. Sarat, The emergence and
transformation of disputes: naming, blaming, claiming, in «Law and Society Review», 15, 3-4, 1980-
1981, pp. 631-654; D. Coates, S. Pensord, Social psychology and the emergence of disputes, cit., pp.
654-680; L. Mather, B. Yngvesson, op. cit.
121 Rispetto agli effetti dell’accrescimento della popolazione dei lawyers negli USA, si veda R.L.
Abel, Toward a political economy of lawyers, in «Wisconsin Law Review», 5, 1981, pp. 1117-1187.
122 Cfr. P. Cam, Juges rouges et droit du travail, in «Actes de la recherche en sciences sociales»,
19, janvier, 1978, pp. 2-27 e Id., Les prud’hommes, juges ou arbitres, FNSP, Paris, 1981; e soprattutto
J.-P. Bonafé-Schmitt, Pour une sociologie du juge prud’homal, in «Annales de Vaucresson», 23, 1985,
pp. 27-50.
123 Cfr. Y. Dezalay, De la médiation au droit pur: pratiques et représentations savantes dans le
champ du droit, in «Annales de Vaucresson», 21, octobre 1984, pp. 118-148.
124 Qui abbiamo un esempio tipico di uno di quei processi che, quando non sono descritti nel
linguaggio ingenuo del «recupero», sono fatti apposta per piegarsi al funzionalismo del peggio
incitando a pensare che tutte le forme di opposizione agli interessi dominanti assolvano ad una funzione
utile per la perpetuazione dell’ordine costitutivo del campo: che l’eresia tende a rafforzare l’ordine
medesimo che, nel momento stesso in cui la combatte, la accoglie e assorbe, ed esce rinvigorito da
questo stesso scontro.
125 Cfr. R. Dhoquois, La vulgarisation du droit du travail. Réappropriation par les intéressés ou
développement d’un nouveau marché pour les professionels?, in «Annales de Vaucresson», 23 1985,
pp. 15-26).
126 Cfr. Y. Dezalay, Des affaires disciplinaires au droit disciplinaire: la juridictionnalisation des
affaires disciplinaires comme enjeu social et professionnel, in «Annales de Vaucresson», 23, 1985, pp.
51-71.
127 Il rex arcaico detiene il potere di tracciare dei confini (regere fines), di «fissare le regole, di
determinare, in senso proprio, ciò che è “diritto”» (E. Benveniste, Le vocabulaire des institutions indo-
européennes, II, Le Minuit, Paris, 1969, p. 15).
128 La relazione degli habitus con la regola o con la dottrina è la medesima anche nel caso della
religione rispetto a cui è tanto sbagliato attribuire le pratiche all’effetto della liturgia o del dogma (per
una sopravvalutazione dell’efficacia dell’azione religiosa che è l’equivalente del giuridicismo) quanto
ignorare questo effetto attribuendolo alle disposizioni, ed ignorando allo stesso tempo l’efficacia
specifica dell’azione del corpo clericale.
129 La propensione a comprendere sistemi di relazioni complesse in maniera unilaterale (come
fanno i linguisti che cercano in questo o quel settore dello spazio sociale il principio del cambiamento
linguistico) porta alcuni a capovolgere completamente, in nome della sociologia, il vecchio modello
idealistico della creazione giuridica pura (che ha potuto essere situato, simultaneamente o
successivamente, nel corso delle lotte interne al corpo, nell’azione del legislatore o dei giuristi, o con i
pubblicisti e con i civilisti nelle sentenze della giurisprudenza): «Il centro di gravità dello sviluppo del
diritto, nella nostra epoca […] come in ogni altra, non dev’essere cercato né all’interno della
legislazione né all’interno della dottrina, e nemmeno nella giurisprudenza, bensì nella società stessa»
(Eugen Ehrlich citato da J. Carbonnier, Flexible droit, Textes pour une sociologie du droit sans rigueur,
LGDJ, Paris, 1983, p. 21).
130 Max Weber, che vedeva nelle proprietà della logica formale del diritto razionale il vero
fondamento della sua efficacia (soprattutto per via della sua capacità di generalizzazione, principio
della sua applicabilità universale), collegava allo sviluppo delle burocrazie e delle relazioni impersonali
che esse favoriscono lo sviluppo del corpo di specialisti del diritto e di una ricerca giuridica intenta a
fare del diritto un discorso astratto e logicamente coerente.
131 Queste affinità si sono senza dubbio rafforzate, nel caso della Francia, con la creazione
dell’ENA (Ecole Nationale d’Administration), che garantisce una formazione giuridica minima agli alti
funzionari e a una buona parte dei dirigenti delle imprese pubbliche o private.
132 Jean-Pierre Mounier, La definition judiciaire de la politique, Tesi di dottorato, Paris I, 1975.
133 Il risultato delle elezioni interne alla professione (realizzate per corrispondenza dal 12 al 21
maggio 1986) ha palesato una nettissima polarizzazione politica del corpo dei magistrati i quali, prima
della comparsa del Sindacato della magistratura nel 1968, erano tutti riuniti (quando aderivano a un
sindacato) in un’unica associazione, l’Unione federale dei magistrati, antenata dell’USM (Unione
Sindacale dei Magistrati), moderata, fortemente in declino, mentre il Sindacato della magistratura,
piuttosto di sinistra, progredisce e l’Associazione professionale dei magistrati, piuttosto a destra e
nuovamente ricomparsa, vede affermare la sua esistenza (ottenendo più del 10% dei voti).
134 Alain Bancaud e Yves Dezalay mostrano bene come persino più eretici tra i giuristi critici, che
si rifanno alla sociologia o al marxismo per far avanzare i diritti dei detentori di forme dominate della
competenza giuridica come il diritto sociale, continuano a rivendicare il monopolio della «scienza
giuridica». Cfr. A. Bancaud, Y. Dezalay, L’économie du droit. Impérialisme des économistes et
résurgenge d’un juridisme, comunicazione al Convegno sul modello economico nelle scienze,
dicembre 1980, p. 19.
135 J. Ellul, Le problème de l’émergence du droit, in «Annales de Bordeaux», I, 1, 1976, pp. 6-15.
136 Cfr. J. Ellul, Deux problèmes préalables, in «Annales de Bordeaux» I, 2, 1978, pp. 61-70.
137 Si comprende pertanto che il rapporto esistente tra l’appartenenza alle facoltà di
giurisprudenza e l’orientamento politico verso la destra che ho verificato in termini empirici non sia per
niente casuale (cfr. P. Bourdieu, Homo academicus, Éd. de Minuit, Parigi, 1984, pp. 93-96).
138 J. Ellul, Le problème de l’émergence du droit, cit.
139 Tra gli effetti specificatamente simbolici del diritto, bisogna riconoscere un posto particolare
all’effetto di ufficializzazione come riconoscimento pubblico della normalità che rende dicibile,
pensabile, confessabile, una condotta fino ad allora tabuizzata (è il caso per esempio delle misure
relative all’omosessualità). E anche all’effetto di imposizione simbolica che può esercitare la regola
esplicitamente promulgata, e le possibilità che essa indica, aprendo lo spazio dei possibili (o più
semplicemente «dando delle idee»). Così nella lunga resistenza che hanno esercitato nei confronti del
Codice civile, i contadini legati al diritto di primogenitura hanno conosciuto alcune procedure, rifiutate
con violenza, che l’immaginazione giuridica offriva loro. E se molte di queste misure (spesso registrate
negli atti notarili su cui gli storici del diritto si basano per ricostruire i «costumi») sono totalmente
sprovviste di realtà, come la restituzione della dote in caso di divorzio anche se il divorzio è di fatto
escluso, rimane il fatto che l’offerta giuridica non smette di esercitare effetti reali sulle
rappresentazioni, e in questo universo come altrove (ad esempio in materia di diritto del lavoro) le
rappresentazioni che costituiscono quel che potremmo chiamare il «diritto vissuto» devono molto
all’effetto, più o meno deformato, del diritto codificato. L’universo dei possibili che questo fa esistere,
nel lavoro stesso che è necessario per neutralizzarli, tende con ogni verosimiglianza a preparare gli
animi ai cambiamenti apparentemente brutali che sorgeranno quando saranno date le condizioni di
realizzazione di queste possibili teorici. Si può supporre che si tratti di un effetto assai generale
dell’immaginazione giuridica, che ad esempio prevedendo con una sorta di pessimismo metodico tutti i
casi di trasgressione di una regola, contribuisce a farli esistere in una frazione più o meno ampia dello
spazio sociale.
140 R. Lenoir, La securité sociale et l’évolution des formes de codification des structures
familiales, Tesi di Dottorato, Parigi, 1985.
141 L’analisi dei «libri sui costumi» e dei registri di deliberazioni comunali di un certo numero di
«comunità» del Béarn (Arudy, Bescat, Denguin, Lacommande, Lasseube) mi ha permesso di vedere
come certe norme «universali» che riguardano le procedure di assunzione di decisioni collettive (come
il voto a maggioranza) si sono potute imporre durante la Rivoluzione a svantaggio del vecchio costume,
che prevedeva l’unanimità dei «capofamiglia» in virtù dell’autorità conferitagli dalla loro stessa
oggettivazione, capace di diradare, come la luce fa con le tenebre, le oscurità del «va da sé». Sappiamo
in effetti che una delle proprietà essenziali dei «costumi», in Cabilia come nel Béarn e altrove, è che i
principi più fondamentali non sono mai enunciati, e che l’analisi deve far emergere le «leggi non
scritte» dell’enumerazione delle sanzioni associate in caso di trasgressione pratica di quei principi.
Tutto permette infatti di supporre che la regola esplicita, scritta, codificata, dotata di quell’evidenza
sociale che le conferisce la sua applicazione translocale, ha piano piano travolto le resistenze perché si è
presentata – per un effetto di allodossia – come la formulazione giusta ma più economica, più rigorosa
dei principi che regolavano nella pratica le condotte, anche se in effetti non faceva altro che negarle: un
principio come quello dell’unanimità delle decisioni tendeva a escludere il riconoscimento istituzionale
della possibilità della divisione (soprattutto quella durevole/stabile) in campi antagonistici, ed anche,
più in profondità, della delega della decisione a un corpo di rappresentanti. D’altra parte bisogna notare
come l’istituzione di un «consiglio municipale» vada di pari passo con la scomparsa di qualunque
partecipazione dell’insieme degli attori interessati all’elaborazione delle decisioni, e come il ruolo
stesso dei rappresentanti si limiti, per tutto l’Ottocento, a ratificare proposte delle autorità prefettizie.
Nota bio-bibliografica142
Pierre Bourdieu è stato autore assai prolifico. La sua opera comprende oltre trenta libri, qualche
centinaio di articoli (spesso poi confluiti, variamente rivisitati, nei libri), e un numero consistente di
altri testi (non necessariamente minori) nati da occasioni diverse, come comunicazioni orali, prefazioni
a libri altrui, e soprattutto interviste. Una bibliografia completa aggiornata al 2002 è disponibile in Y.
Delsaut, M.-C. Rivière, Bibliographie des travaux de Pierre Bourdieu, Pantin, Le Temps de Cerises,
2002, aggiornato successivamente sino al 2009 (aggiornamento disponibile solo in versione elettronica
al sito dell’editore). Una bibliografia ragionata è stata approntata da Loïc Wacquant: vedi Comment lire
Bourdieu: deux itinéraires in P. Bourdieu, L. Wacquant, Invitation à la sociologie réflexive, Paris,
Editions du Seuil, 2014, pp. 321-345 (nuova edizione di un libro apparso originariamente nel 1992).
Bourdieu è un autore molto tradotto e sulla circolazione della cui opera si è molto ragionato, anche
sulla base di strumenti di analisi approntati dallo stesso autore in quanto studioso del campo
intellettuale e dei beni simbolici. Sulla ricezione internazionale dell’opera si rimanda al Simposio
curato da Marco Santoro sulla rivista «Sociologica: Italian Journal of Sociology online» (in tre parti,
annate 2008 e 2009) con contributi su diversi Paesi, tra cui l’Italia: M. Santoro, How “not” to become
adominant French sociologist: Bourdieu in Italy, in «Sociologica», 1/2009. Per una ripresa e un
aggiornamento, sul caso specifico italiano, rimando a M. Santoro, Effetto Bourdieu. La sociologia come
pratica riflessiva e le trasformazioni del campo sociologico, in «Rassegna Italiana di Sociologia»,
1/2014, pp. 5-20.
Una corposa biografia di Bourdieu è stata scritta da una specialista del genere: M.-A. Lescourret,
Bourdieu, Paris, Flammarion, 2008. Lo stesso Bourdieu si è cimentato nell’impresa, in un testo rimasto
incompiuto e pubblicato dopo la morte, che dichiara peraltro sin dall’epigrafe la sua presa di distanza
dal genere autobiografico e dai suoi assunti epistemologici (l’epigrafe è diventata titolo dell’edizione
italiana del volume: Questa non è una autobiografia, Milano, Feltrinelli, 2005). Elementi biografici
inquadrati in resoconti (autobiografici) del modo di lavorare di Bourdieu scritti da suoi colleghi, allievi
e collaboratori possono leggersi in AA.VV., Travailler avec Bourdieu, Paris, Flammarion, 2003.
Questa nota bio-bibliografica vuole offrire al lettore una “guida minima” all’autore e alla sua opera,
rimandando ai testi precedenti per ogni ulteriore notizia e approfondimento.
1930 Nasce il 1° agosto a Denguin, cittadina del Béarn, regione dell’area sud occidentale della Francia,
vicino ai Pirenei. Il padre è un impiegato delle poste locali, proveniente da una famiglia di mezzadri
della zona. La madre viene da una famiglia di piccoli proprietari terrieri.
1951 È ammesso all’École Normale Supérieure de la rue d’Ulm, di Parigi. Bourdieu appartiene al 5%
degli studenti che sono di origine operaia o contadina.
1954 Ottiene l’Agrégation in filosofia. Inizia il dottorato, sotto la tutela del filosofo ed epistemologo
Georges Canguilhem (maestro anche di Michel Foucault). La tesi, sulle strutture temporali nella vita
affettiva secondo la fenomenologia husserliana, verrà abbandonata negli anni successivi. Bourdieu non
avrà mai il titolo di dottore di ricerca. Insegna per un anno al liceo di Moulins.
1955 Svolge il servizio militare in Algeria. In questo periodo si compie la “conversione” di Bourdieu
dalla filosofia alle scienze sociali, e in particolare all’etnologia e alla sociologia. Inizia l’osservazione
etnografica sulla società e la cultura Cabila e la riflessione sociologica e politica sulla guerra in Algeria,
iniziata già alla fine del 1954 e che si concluderà solo nel 1962 con l’indipendenza.
1958 Assistente alla facoltà di Lettere dell’Università di Algeri, dove entra in contatto e inizia a
collaborare con studiosi (anche algerini) di scienze sociali ed economiche.
1960 Torna a Parigi come Assistente di Sociologia alla Sorbonne, su invito di Raymond Aron, che lo
nomina anche Segretario del Centre de sociologie européenne da questi fondato presso l’École Pratique
des Haute Études (poi École des Haute Études en Sciences Sociales).
1961-64 Insegna, come Maître de conférence, sociologia alla facoltà di Lettere dell’Università di Lille,
dove inizia le sue ricerche sugli studenti e la cultura.
1964 Direttore di studi all’École Pratique des Haute Études (poi École des Haute Études en Sciences
Sociales). Fonda e dirige la collana “Le Sens commun”, presso l’editore Minuit. In questa collana
pubblicherà tutti i suoi libri sino alla fine degli anni Ottanta, libri di allievi e collaboratori (tra cui Luc
Boltanski e Robert Castel), ma soprattutto traduzioni di testi di autori stranieri (spesso ancora
sconosciuti al pubblico francese), come, tra gli altri, Panofsky, Cassirer, Hoggart, Goffman, nonché
raccolte di testi di Durkheim e Marcel Mauss, ovvero dei padri della tradizione sociologica francese.
1968 Rottura con Raymond Aron. Con alcuni allievi e giovani collaboratori del Centre européenne
fonda il Centre de sociologie de l’éducation et de la culture.
1972 È visiting fellow presso l’Institute for Advanced Study di Princeton, dove conosce Albert
Hirschman e Erving Goffman.
1975 Fonda la rivista «Actes de la recherche en sciences sociales», sorta di laboratorio collettivo,
rigorosamente controllato da Bourdieu, dove vengono anticipati risultati di ricerche in corso presso il
Centre, tradotti testi di autori stranieri selezionati, e si sperimentano stili di scrittura e presentazione
editoriale (i testi sono spesso accompagnati da fotografie, documenti, disegni, fumetti, variamente
montati).
1981 Eletto al Collège de France, la più autorevole e prestigiosa istituzione culturale francese, dove
tiene la cattedra di Sociologia che era stata in passato di Raymond Aron. La sua prima lezione è sulla
pratica del tenere lezioni. I suoi corsi presentano al pubblico i risultati in progress delle ricerche in
corso. Si segnalano in particolare i corsi sullo Stato e quelli sulla rivoluzione simbolica di Manet, che
daranno origine a pubblicazioni postume.
1989 Fonda e dirige la rivista internazionale «Liber», che uscirà nei primi anni in contemporanea in
cinque lingue (italiano incluso, come supplemento de L’Indice dei Libri) e che dirigerà fino al 1998. La
rivista si pone l’obbiettivo di favorire la circolazione di idee tra gli intellettuali d’Europa.
1993 Riceve la Medaglia d’oro del CNRS, la più alta onorificenza per meriti scientifici in Francia.
Nello stesso anno viene portato a termine il progetto da lui diretto e da cui deriva l’opera La misère du
Monde, sulle forme contemporanee di esclusione e povertà. L’opera vende in quell’anno più di
centomila copie, è oggetto di discussione accademica, giornalistica e politica ed è adattata anche per il
teatro.
1995 Fonda la casa editrice Raisons d’agir, specializzata in ricerche che hanno al cuore i problemi
politici e sociali contemporanei. Sostiene pubblicamente, con una petizione, lo sciopero dei ferrovieri
contro la riforma pensionistica avanzata dal ministro Juppé.
1996 Riceve l’Erving Goffman Prize dell’Università della California in Berkeley e il titolo di dottore
honoris causa dalla Università Johann Wolfgang Goethe di Francoforte e da quella di Atene.
1998 Assume la direzione di una nuova collana (“Liber”) per l’editore Seuil. In questa collana uscirà
nello stesso anno La domination masculine, uno dei suoi testi più controversi, criticato in particolare
per aver ignorato le teorie delle femministe francesi. Sul versante politico appoggia il movimento dei
disoccupati in Francia ed è tra i co-fondatori del movimento anti-global Attac.
2000 Riceve la Huxley Memorial Medal dell’Anthropological So-ciety di Londra, occasione in cui
pronuncia il discorso Objectivation participant. Participant objectivation, che uscirà postumo nel 2003.
2002 Muore a Parigi il 23 gennaio.
Bibliografia essenziale
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1963 Travail et travailleurs en Algerie, Paris, Mouton (con Alain Derbel, Jean-Paul Rivet, Claude
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delfini. Gli studenti e la cultura, Rimini-Firenze, Guaraldi 1971.
1965 Un art moyen: essai sur les usages sociaux de la photographie, Paris, Minuit; trad. it. La
fotografia. Usi e funzioni sociali di un’arte media, Rimini-Firenze, Guaraldi 2004.
1966 L’amour de l’art: les musées d’art européens et leur public, Paris, Minuit; trad. it. L’amore
dell’arte: le leggi della diffusione culturale: i musei d’arte europei e il loro pubblico, Rimini-Firenze,
Guaraldi 1972.
1968 Le métier de sociologue, Paris, Minuit (con Jean-Claude Chamboredon e Jean-Claude Passeron);
trad. it. Il mestiere di sociologo, Rimini-Firenze, Guaraldi 1976.
1970 La Reproduction, éléments pur une théorie du système d’enseignement, Paris, Minuit; trad. it. La
riproduzione, Rimini-Firenze, Guaraldi 1972.
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1977 Algérie 60: structures economiques et structures temporelles, Paris, Minuit.
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2004 Esquisse pour une auto-analyse, Paris, Raison d’agir; trad. it. Questa non è un’autobiografia.
Elementi di autoanalisi, Milano, Feltrinelli 2005.
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2012 Sur l’Etat, Paris, Seuil; trad. it. parziale Sullo stato, Milano, Feltrinelli 2013.
2013 Manet, une révolution symbolique, Paris, Seuil.
BOURDIEU, Pierre
La forza del diritto ; Intr. di Cirus Rinaldi
Roma : Armando, © 2017
128 p. ; 17 cm. (Classici di Sociologia)
ISBN: 978-88-6992-169-8
1. Imposture legittimate
2. Forza del diritto
3. Sociologia del campo giuridico
CDD 300
Titolo originale:
La force du droit. Eléments pour une sociologie du champ juridique, in «Actes de la recherche en
sciences sociales», 64, 1, 1986, pp. 3-19
02-04-066
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Sommario
Frontespizio
Introduzione
Pierre Bourdieu
Nota bio-bibliografica
Biografia
Diritti