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- INTRO rivedere nt.

il testamento in età medievale e moderna denuncia immediatamente la sua ascendenza romanistica:


l’istituto, infatti, nasce a Roma e nella sua struttura portante è rimasto sostanzialmente uguale a sé
stesso attraverso i secoli, dimostrando una straordinaria longevità ed insieme una rimarchevole stabilità
nei suoi elementi connotativi basilari. Come può indursi anche dal permanere dello stesso nomen iuris,
il testamento non muta in toto natura e finalità nel passaggio dall’esperienza giuridica romana a quella
medievale e, poi, a quella moderna, pur caricandosi nelle varie epoche anche di valenze ed implicazioni
diverse ed ulteriori, giungendo sino a noi con una fisionomia nella quale è facilmente riconoscibile
l’impronta delle sue origini: l’idea di creare uno strumento giuridico flessibile ed effi cace per
tramandare ed imporre ai posteri la volontà del de cuius, messo così in condizione di aff ermare in
extremis la propria soggettività, nel momento in cui diviene concreta ed incombente la prospettiva della
morte, deve essere senz’altro ascritta alla mentalità romana ed ha acquistato concreta forma per
merito del genio giuridico dei Romani . In tal modo si corona lo sforzo titanico di neutralizzare ed
azzerare, entro il mondo parallelo dei rapporti giuridici, costruiti a partire da regole convenzionali non
necessariamente coincidenti con quelle reperibili in natura e talora addirittura contrarie ad esse,
l’evento oggettivo dell’annichilimento corporeo, al contrario ineludibile ed indominabile nel mondo dei
fatti naturali. Si sancisce così la prevalenza della volontà del soggetto, in quanto sorretta dall’avallo e
dalla tutela dell’ordinamento, rispetto alla pura insorgenza di fatti che non s’impongono di per sé nella
loro realtà oggettiva ma devono invece ricevere previamente una qualifi - cazione dal diritto, intesa a
riconoscerne la giuridicità ed a determinarne la concreta configurazione ed incidenza. Quell’idea e la
sua traduzione pratica sul piano tecnico hanno poi trovato ottima accoglienza anche in epoche e
contesti assai lontani da Roma antica, come dimostra il fatto che siano state riproposte nel dettato dei
codici di gran parte dell’Europa continentale, tra XIX e XX secolo5 ; che saranno citate congiuntamente
all’attrazione esercitata nelle norme civilistiche del code civil napoleonico e alle successive iterazioni
post unitarie.

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1) TESTAMENTO OLOGRAFO UNITARIO [Cont. fonti-note comparatistiche]
Il primo gennaio 1866 entrò in vigore il codice civile dell’Italia unificata nel 1861 e con esso, approvato
nel 1865, fu introdotto nell’ordinamento giuridico italiano il testamento olografo, in precedenza oggetto
di controversie, respingimenti, accoglienze, come si vedrà(1). Ricordando solo che nel 1866 mancavano
ancora all’unità politica e giuridica Roma e le Venezie, Il legislatore scelse nel 1865, in materia di
successioni testamentarie, la strada di lasciare una grande libertà al testatore nel manifestare le proprie
volontà per la destinazione dei suoi beni, fatta salva la riserva a favore dei legittimari. Furono disposte
talune particolari cautele circa gli aspetti formali per la manifestazione stessa, ma senza ricorrere
necessariamente a forme esterne alla dichiarazione, forme cioè richieste a scopo, tra l’altro, di sicurezza
e a garanzia della pubblicità, in particolare della conoscenza da parte di eventuali interessati. Non
voglio, né posso, qui affrontare il problema dei vari tipi di forma, temi tutti ampiamente trattati da
civilisti e da professionisti, notai in particolare(2). Il legislatore del 1865/66 si rifà, pur con qualche
integrazione, nel disporre i requisiti per il testamento olografo, alla definizione, data da Isidoro di
Siviglia, vescovo spagnolo, santo, vissuto nei secoli VI-VII dopo Cristo, nelle sue Etimologie, come noto
celebre enciclopedia, destinata ad avere un grande successo e un’enorme divulgazione in tutto il
medioevo, se non pure in età moderna, come è dimostrato, tra l’altro, dalle innumerevoli edizioni a
stampa e dalla tradizione manoscritta. Secondo il legislatore, e in parte secondo il vescovo spagnolo,
infatti, il testamento deve essere scritto di suo pugno, sottoscritto e datato dal testatore(3). Isidoro di
Siviglia aveva accolto un testamento che era stato considerato nullo, invece, dai tempi di Giustiniano,
prima metà del VI secolo, dai tempi, cioè, in cui l’impero romano aveva perduto la quasi totalità
dell’Occidente a seguito degli stanziamenti delle popolazioni germaniche. In molte delle terre occupate
insieme al diritto di tali popolazioni continuava ad essere applicata, almeno parzialmente, una
normativa risalente al cosiddetto codice teodosiano, promulgato nel 438 da Teodosio II, in seguito
aggiornato con altre disposizioni posteriori. La riconquista delle terre dell’impero occidentale avviata da
Giustiniano si arenò all’Italia e a poco altro. In conseguenza di ciò si determinarono delle tradizioni
romanistiche differenziate in Europa. Da un lato troviamo un’eredità di quella parte occidentale del
mondo romanistico che si reggeva ancora tenendo conto del codice teodosiano del 438. Tale tradizione,
presente ancora nei territori soprattutto visigoti di Francia e poi di Spagna, aveva subito influenze e
modifiche dopo il 438, in primo luogo da parte di Teodosio II stesso e del suo collega Valentiniano III, e
poi da re visigoti(4).
-------------CITA BIBL. GAIO NOTE 2
In questa normativa era prevista proprio l’ammissione del testamento olografo, dando quindi
prevalenza alla manifestazione di volontà. Dall’altro lato, con la riconquista di Giustiniano si ha
l’estensione nel 554 di quello che sarà denominato “Corpus Iuris Civilis”, con tutte le innovazioni
introdotte rispetto alla precedente normativa. Tra queste, marginale rispetto a molte altre, specie in
tema di successioni, vi era la ripulsa del testamento olografo, tranne per quello redatto “inter liberos”,
cioè disposto a favore dei propri figli. Doveva essere compilato per iscritto, di propria mano, con
l’indicazione del nome degli eredi e con la determinazione per disteso delle quote(5). Come si vede
esso si avvicinava alle modalità richieste per il testamento olografo che invece non era limitato
all’ambito familiare. Mi sono dilungato su questi banali richiami di cose notissime poiché le due
tradizioni così create vengono a confliggere: quella che riconosceva valido il testamento olografo e
quella che invece lo considerava nullo. Questa doppia tradizione è destinata a segnare le vicende
dell’istituto nel corso dei secoli. L’Italia e le aree che conobbero e applicarono la normativa giustinianea
sono contrarie, mentre lo ritengono in generale valido quelle che seguirono la normativa che risaliva al
codice teodosiano, integrata con modifiche, o che vissero comunque secondo il diritto consuetudinario,
risalente principalmente alla tradizione del diritto germanico, seppure spesso perfuso di diritto romano.
Resta tuttavia e pur sempre, per questi territori e in questi casi, il problema dei limiti di applicazione e
di realizzazione concreta di tale libertà, se consideriamo la quasi totale mancanza di alfabetizzazione
delle popolazioni. Per altro anche la disposizione giustinianea che riteneva valido il testamento “inter
liberos” richiedeva espressamente che il genitore che lo redigeva sapesse scrivere, il che non era
frequente. Era una possibilità, una libertà, lasciata certamente ai ceti colti. Del resto questa criticità
segnò e segna tuttora in parte l’istituto. Le due tradizioni ebbero comunque, nel corso delle vicende
storiche, delle possibilità di contatti e quindi di ammorbidimento dei divieti, per l’intervento del diritto
canonico in primo luogo e poi della giurisprudenza dei grandi tribunali e di giureconsulti(6). L’elemento
di contatto fu essenzialmente il principio del rispetto della volontà del testatore, principio al quale si
erano rivolti talvolta sia tribunali che giuristi per legittimare errori di forma inficianti il testamento o
talora per giustificare pure la successione legittima in alcuni suoi principi. La volontà era così fatta
prevalere sulla forma. Era comunque, sempre, una volontà presunta, occorre sottolinearlo. Queste
considerazioni, prese così alla lontana, tornano utili per venire ai tempi moderni, cioè al codice del
1865/66. Il codice, come è noto, è in buona parte figlio del codice civile sardo del 1837/38 e del codice
civile Napoleone del 1804. In materia testamentaria si riscontra, tra il codice civile sardo e quello
Napoleone, un’importante differenza. Il primo, figlio, nel campo dei testamenti, in massima parte, della
tradizione romanistica giustinianea, aveva respinto il testamento olografo, non compreso tra le forme
ammesse e quindi nullo, come avveniva da secoli, salvo il testamento “inter liberos”, con la
conseguenza che la forma prevaleva sulla sostanza. Il codice Napoleone, anche in materia di successioni
erede in parte della tradizione romanistica e in parte del “droit coutumier”, quindi delle “coutumes”
francesi, l’aveva accolto e regolamentato, riconoscendo così piena libertà alla manifestazione di volontà
del testatore, pur con qualche formalità richiesta per le modalità della manifestazione stessa. Il resto
dell’Italia vedeva, in sintesi, al momento dell’unificazione, la situazione seguente. La normativa
napoleonica fu seguita dal codice napoletano e da quello parmense, con recezione del testamento
olografo. La normativa toscana e il codice estense lo accolsero, ma in parte soltanto, con limitazioni
riguardanti in particolare le formalità esterne, posteriori, alla dichiarazione di volontà. Si imponeva,
cioè, la consegna del testamento in ambito notarile, rispettivamente al notaio nel granducato di
Toscana o all’archivio notarile nel ducato di Modena. Le province dello stato pontificio annesse con i
plebisciti seguiti alla seconda guerra d’indipendenza, cioè l’Umbria e le Marche, avevano visto
l’estensione del codice civile sardo, con la conseguente nullità del testamento olografo. Le terre rimaste
sotto la giurisdizione dello Stato pontificio applicavano il respingimento, ribadito dalla normativa
pontificia della Restaurazione (1816-1821). L’impero austriaco invece, con il codice civile del 1811,
esteso nel Lombardo-Veneto nel 1816, aveva seguito la tradizione anteriore al diritto giustinianeo,
favorevole al testamento olografo, con una apertura quasi totale alla manifestazione di volontà del
testatore. Non si richiedeva infatti neppure l’apposizione della data, anche se era consigliata. Era una
normativa più liberale di quella francese(7). Il legislatore del 1865/66 si trovò dunque a dover scegliere
tra le due diverse tradizioni. Non accenno neppure, naturalmente, al testamento scritto dal testatore o
da terzi accolto, ma con rigorose formalità da osservare per la presentazione e conservazione. A questo
proposito ricordo solo la tradizione degli stati sabaudi di regolamentare con minuziosi dettagli la
possibilità di consegnare il proprio testamento ai supremi tribunali per la conservazione, cioè ai senati,
e dal 1837/1838 ad altri tribunali provinciali qualora non esistessero senati nei distretti ove risiedeva il
testatore(8).

Per quanto concerne inoltre il regno di Sardegna, occorre per lo meno ricordare che la terraferma aveva
conosciuto la dominazione napoleonica, mentre l’isola era rimasta sotto il governo sabaudo. Essa fruiva di un
regime giuridico particolare, con normative valide solo per l’isola e con la non estensione automatica della
legislazione di terraferma. Spicca nel XIX secolo il cosiddetto codice feliciano del 1827/28. Il testamento
olografo non era previsto in linea di principio. La Restaurazione del 1814/15, nel regno, fu ottusa e cieca con il
ripristino della legislazione precedente il periodo francese. Genova, annessa al regno sardo nel 1815 con il
congresso di Vienna, come è noto, vide il mantenimento in vigore, in buona parte, del codice civile Napoleone,
mentre per alcune materie, come le successioni, si ebbe addirittura un ritorno all’antica legislazione statutaria
della repubblica. In particolare tale legislazione riconosceva validità al testamento “inter liberos”, e a testamenti
redatti dai naviganti e da genovesi all’estero, ma con la presenza di testimoni idonei(9).

------------------------------------------------- ULRICH MANTE RIASS:

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Nel regno sardo non mancarono, comunque, dei dissensi e delle aperture verso i testamenti olografi, in
particolare quando si discussero nei tribunali i casi di testamenti redatti vigente il codice Napoleone, quindi
legittimi al tempo, poi dichiarati nulli a seguito del ritorno in vigore delle Regie Costituzioni sabaude del 1770,
che non lo prevedevano(10). Talora addirittura furono i tribunali supremi come la Camera dei conti, oltre ai
senati, a privilegiare la volontà del defunto espressa nel testamento olografo, facendola prevalere sulle nullità
per motivi di forma. Le loro sentenze, ricordo, erano inappellabili e rientravano tra le fonti del diritto, a certe
condizioni, in via suppletiva(11). Furono comunque casi eccezionali. Una certa apertura si ebbe dopo l’entrata in
vigore del codice albertino, che aveva respinto il testamento olografo, come più volte detto. La via fu il diritto
internazionale privato, attraverso una controversia destinata ad avere echi profondi all’estero, specie in Francia,
contribuendo così a far prevale la volontà sulla forma esterna. Senza scendere nel dettaglio della controversia,
basti accennare alla fattispecie: si trattava di un testamento olografo redatto da un suddito sardo in Lombardia,
ove, come detto, questa forma testamentaria era ammessa. Una disposizione del codice civile albertino
prevedeva, in campo di diritto internazionale privato, per le forme testamentarie, l’applicabilità della “lex loci” -
peraltro prevista in un trattato settecentesco con l’Austria - però nel rispetto delle regole disposte dal codice,
cioè di farlo ricevere da notaio o pubblico ufficiale. Il che nel caso specifico, si era verificato, ma tardivamente,
dopo la morte del testatore. Dopo alcuni giudizi contrastanti, si pervenne alla sentenza definitiva del Senato di
Casale, corte suprema, che dichiarò nullo il testamento(12). Furono così favoriti gli eredi legittimi e la forma
prevalse sulla sostanza. La controversia vide in campo opinioni di avvocati in contrasto tra di loro, compresi
anche dei docenti universitari. Il conflitto tra la legislazione di due stati e le opinioni contrapposte di giuristi di
alto livello attrasse, all’estero, l’attenzione dell’autore di una celebre opera di diritto internazionale privato,
Jean-Jacques-Gaspard Foelix, che scrisse sulla “Revue de droit français et étranger” una nota in cui poneva la
domanda se, a seguito della sentenza, siamo nel 1844, la normativa nazionale prevalesse su quella
internazionale(13). Il caso rimase comunque nella memoria giuridica, tanto che vent’anni dopo circa esso aveva
ancora echi in pubblicazioni universitarie e probabilmente ebbe modo di influenzare il dibattito sulle scelte
legislative a favore dell’una o dell’altra soluzione, come accadde al momento dell’unificazione legislativa.
Tralasciando il lungo iter che portò al codice civile del 1865/66, iniziato già all’indomani della proclamazione
dell’Unità, veniamo alle ultime battute, non senza ricordare che le vicende sono state ampiamente trattate(14).
Il progetto definitivo, che sarebbe sfociato nel nuovo codice civile, vide all’opera principalmente l’allora
guardasigilli Giuseppe Pisanelli, considerato il padre del Codice civile(15). Esso prevedeva la liceità del
testamento olografo, previo però il deposito obbligatorio da parte del testatore presso notaio o cancelliere
giudiziario, seguendo così le linee della normativa toscana e modenese, con ricordi di quella sabauda. Si
introduce il limite del rispetto di formalità esterne alla dichiarazione di volontà. La soluzione non fu accettata
dal Parlamento che, invece, la rinviò a una commissione nominata per coordinare i codici che accompagnarono
quello civile nella legge di unificazione del 1865. Alla commissione furono demandati altri problemi che erano
rimasti insoluti, cioè l’enfiteusi, la registrazione ipotecaria e la successione tra coniugi. In commissione il
guardasigilli Pisanelli, dopo una discussione vivace, si disse convinto dell’opportunità di lasciare pieno spazio
alla libertà da formalità esterne alla libera manifestazione di volontà. Il testamento olografo fu così accolto,
dopo il dibattito, con la garanzia, tuttavia, che la dichiarazione di volontà fosse scritta, sottoscritta e datata dal
testatore stesso, e poi, a richiesta di chiunque interessato, depositata presso un notaio dopo la morte del
testatore per la pubblicazione. Tale normativa fu seguita, come si sa, dal codice vigente, con alcune varianti,
specie per quanto concerne la pubblicazione.

Ovviamente resta, come restava nel 1865/66, il deposito facoltativo. Inoltre è prevista l’iscrizione nel Registro
Generale dei Testamenti, che potrà anche essere elettronico. Il legislatore del 1865/66 eliminò del tutto il
testamento consegnato ad un tribunale, forma appartenente, come detto, alla tradizione sabauda.

A proposito della discussione in seno alla commissione, si può ricordare l’intervento a favore del testamento
olografo del professore Enrico Precerutti, civilista dell’Università di Torino, che già si era pronunciato in tal senso
a seguito della controversia di diritto internazionale privato. Si può ritenere, come detto, che gli echi di quel
caso, pervenuto a livello internazionale, contribuirono tacitamente a influenzare il legislatore(16).

Veniamo ad alcune considerazioni conclusive. Su un piano teorico, ideologico e politico, si può dire che la scelta
del legislatore del 1865/66 rappresenta la vittoria della libera volontà sulla forma, in un codice considerato per
lo più liberale e individualista e, come tale, elogiato e criticato, come peraltro è stato più volte e da più parti
sostenuto. Cito, tra gli altri, Cesare Losana, Francesco Filomusi Guelfi, Guido Astuti e, per venire più vicino a noi,
Guido Alpa. Sintomatica fu la definizione data da Cesare Losana, tra fine ‘800 e primi’900, del testamento
olografo: «il trionfo dell’individuo nell’esercizio della facoltà di dar norma alle cose sue per causa di morte»(17).

A questo punto può sorgere una domanda: a quali categorie di professionisti e di operatori del diritto
l’accoglimento del testamento olografo abbia comportato vantaggi o svantaggi. La risposta non è semplice ed è
legata a ricerche sulle fonti giudiziarie e notarili. I magistrati, liberati dalle complesse formalità previste per la
consegna e la conservazione del testamento, videro aumentare le cause per reati di falso e circonvenzione. Gli
avvocati furono certamente favoriti per gli incrementi delle controversie legate all’impugnazione dei testamenti.
I notai, si può supporre, furono in parte danneggiati a causa della scomparsa dell’obbligo della consegna del
testamento nelle loro mani da parte dei testatori, mentre rimasero le altre formalità legate soprattutto alla
pubblicazione.

I pregi e i difetti del testamento olografo, libero da formalità esterne alla volontà, continuano a dar vita a
discussioni, soprattutto se si tiene conto delle possibilità di alterazioni della volontà del testatore. I problemi
potranno aumentare, infine, se si considera la progressiva avanzata dell’informatizzazione, con firme digitali e
altre formalità. Trovare le soluzioni spetta ai giuristi, agli avvocati, ai magistrati, ma soprattutto ai notai.

NOTE1 ( FORMATTARE ASAP)


(1) In linea di principio, cfr. per una bibliografia essenziale, in particolare rivolta alle vicende storiche del
testamento olografo, C. NANI, Storia del diritto privato italiano, Torino, 1902, p. 597 e ss.; F. CICCAGLIONE, voce
Successione (Diritto intermedio), in Dig. it., XXII, III, Torino, 1889-1897, p. 351-352; C. LOSANA, voce Successioni
testamentarie, in Dig. it., XXII, IV, Torino, 1893-1902, p. 63 e ss.; V. VITALI, Delle successioni legittime e
testamentarie, III, Napoli, 1895, p. 3-19 (Il diritto civile italiano, per cura di P. Fiore, parte IX, Delle successioni,
III). La successione volontaria nelle leggi barbariche, in Studi di storia e diritto in onore di Arrigo Salmi, 2,
Milano, 1940, p. 183- 220, ora in Le successioni ereditarie, cit., p. 109-143; Heredem instituere. Note, Milano,
1940, ora in Le successioni ereditarie, cit., p. 147-209; E. BUSSI, Evoluzione storica del testamento come
disposizione di volontà, in Studi di storia e diritto in onore di Enrico Besta, cit., l, p. 443-445, pure in La
formazione dei dogmi di diritto privato nel diritto comune (contratti, successioni, diritti di famiglia), Padova,
1939, p. 165-196. Cfr., dello stesso, Evoluzione storica del testamento come atto documentale, ibidem, p. 153-
163. Cfr. pure, molto in generale, ma sempre in relazione alla manifestazione della volontà e ai connessi
problemi ermeneutici, G. CHIODI, L’interpretazione del testamento nel pensiero dei glossatori, Milano, 1997
(Università degli Studi di Milano, Facoltà di Giurisprudenza, Pubblicazioni dell’Istituto di storia del diritto
italiano, 21); «Sempre più uguali. I diritti successori del coniuge e dei figli naturali a 70 anni dal Codice civile», a
cura di G. Chiodi, Milano, (2013), Cfr I. SOFFIETTI, «Osservazioni su particolari forme di testamento negli stati
sabaudi dal XVI secolo all’Unità», in Rassegna degli Archivi di Stato, XXXVI, 1976, p. 418-449; ID., «Il testamento
olografo, il codice civile albertino e il diritto internazionale. Spunti problematici», in Riv. st. dir. it., LXXI, 1998, p.
139- 146. A titolo di bibliografia di mero riferimento, cfr. A. CICU, Successioni per causa di morte. Parte
generale. Delazione e acquisto dell’eredità, Milano, 1954 (Trattato Cicu e Messineo); G. BONILINI, voce
Testamento, in Dig., disc. priv., sez. civ., XIX, Torino, 1999, in specie p. 364-367. La nozione di testamento
olografo accettata corrisponde, come detto, a quella moderna. Nel passato, specie negli stati sabaudi, furono
date definizioni assai restrittive, intendendosi per testamento olografo soltanto quello scritto di proprio pugno
dal testatore, cioè autografo. Cfr. T.M. RICHERI, Dictionarium iuris civilis, canonici et feudalis adiecto delectu
legum civilium et feudalium, Torino, 1792, p. 130: «Testamentum olographum vocatur illud, quod scribitur a
proprio testatore: si vero litteras nesciat, adhibet Notarium, ut illud scribat, et tunc dicitur testamentum
scriptum». Cfr. altresì E. MARMOCCHI, «Il testamento olografo tra segretezza e sicurezza», in Riv. dir. civ., XLIV,
1998, p. 116-124, con la bibliografia citata; I. SOFFIETTI, Il testamento olografo e il codice civile unitario, in
Avvocati protagonisti e rinnovatori del primo diritto unitario, cur. S. Borsacchi e G.S. Pene Vidari, Bologna, 2014,
p. 301-312.

(2) Per tutti cfr. E. MARMOCCHI, Forma dei testamenti, in Successioni e donazioni, cur. P. Rescigno, I, Padova,
1994, p. 757-880. P. RESCIGNO, Ultime volontà e volontà della forma, in Studi in onore di Michele Giorgianni,
Napoli, 1988, p. 653- 679.
(3) Isidori hispalensis episcopi etymologiarum sive originum libri XX, recognovit brevique adnotatione critica
instruxit W. M. Lindsay, l , Oxonii, V, 24, 7-8, p. 187.

(4) Sulla legislazione del re visigoto Reccesvindo cfr. K. ZEUMER, Leges Visigothorum, Hannoverae et Lipsiae,
1902, p. 115-116 (Monumenta Germaniae Historica, Leges Nationum Germanicarum, t. l). Per i rapporti più
specifici tra la normativa dei sovrani visigoti e l’esperienza della tradizione romanistica, cfr. ID., «Zum
westgotischen Urkundenwesen», in Neues Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde, XXIV,
1899, p. 15-29 (Subscriptio und Signum), 30-38 (Die Schriftvergleichung (contropatio)); Il, Geschichte der
westgotischen Gesetzgebung, p. 39-122, soprattutto p. 114-118. Sulla legislazione bizantina postgiustinianea,
cfr. F. GORIA, Contributo allo studio degli scolii all’Eisagoge: gli spunti di ragionamento analogico, in Antecessor.
Festschrift für Spyros N. Troianos zum 80. Geburtstag, Athen, 2013 , p. 359-396. Per i testi di Valentiniano III e di
Teodosio Il, e per l’interpretatio, cfr. P.M. MEYER, Leges novellae ad Theodosianum pertinentes, Berolini, 1905,
Nov. XXI, l e 2, p. 108-112.

(5) Nov. 107.1.

(6) Cfr., in specie, G. CHIODI, op. cit., passim.

(7) Code civil, art. 970; Codice civile per gli Stati di S.M. il Re di Sardegna, artt. 797, 802; Codice civile per gli stati
di Parma, Piacenza e Guastalla, art. 726; Codice per lo Regno delle Due Sicilie, Parte prima. Leggi civili, artt. 894,
895; Codice civile austriaco, artt. 577, 578, 585, 586, 587, 588, 589, 590; Codice civile per gli Stati Estensi, artt.
693, 694, 695, 696.

(8) Cfr. soprattutto I. SOFFIETTI, «Osservazioni su particolari forme …», cit., passim.

(9) Si rinvia agli Statuta et Decreta Communis Genuae ..., Venetiis, 1567, IV, De Testamentis et ultimis
voluntatibus, 1, c. 71-73.

(10) Per i rapporti tra i territori della Repubblica di Genova dopo l’annessione al regno sardo, cfr. I. SOFFIETTI e
C. MONTANARI, Il diritto negli Stati sabaudi: fonti ed istituzioni (secoli XV-XIX), Torino, 2008, soprattutto p. 114-
116, con la bibliografia citata.
(11) Cfr. I. SOFFIETTI e C. MONTANARI, op. cit., passim. In particolare, sull’infallibilità dei Senati, si rinvia a I.
SOFFIETTI, Les résistances politiques et juridiques à la création d’une Cour de Cassation: le cas du royaume de
Piémont-Sardaigne, in Les désunions de la magistrature (XIXe -XXe siècle), a cura di J. Krynen e J.-Chr. Gaven,
Toulouse, 2013, p. 399-406, con la bibliografia citata (Études d’histoire du droit et des idées politiques, n. 17,
2013).

(12) Sul caso del testamento olografo redatto in Lombardia da un suddito sardo, cfr. I SOFFIETTI, Il testamento
olografo …, cit., in specie, p. 145-146.

(13) Cfr. J.J.G. FOELIX, in Revue de droit français et étranger, I, 1844, p. 318-319.

(14) Sulle complesse vicende che portarono al codice civile unitario, cfr. E. MARMOCCHI, «Il testamento
olografo …», cit., in particolare p. 118-121; A. AQUARONE, L’unificazione legislativa e i codici del 1865, Milano,
1960, sia per le considerazioni introduttive e generali, sia per la parte dedicata alle fonti normative, alle
relazioni per i progetti, agli interventi esterni comparsi in articoli su pubblicazioni. In particolare per i progetti e
le relative relazioni, fondamentali si sono rivelati, per il facile accesso e per gli accorpamenti, i verbali delle
commissioni parlamentari editi da S. GIANZANA, Codice civile, preceduto dalle Relazioni Ministeriale e
Senatoria, dalle Discussioni parlamentari e dai Verbali della Commissione coordinatrice ..., Torino, 1887, 5 voll.
Cfr. inoltre C. LOSANA, op. cit., XXII, p. 63-79 (con citazioni di lavori parlamentari), 446-448 (con riferimento alla
legislazione piemontese); F. DE FILIPPIS, op. cit., soprattutto p. 93 -101 e 265-269. Per i progetti Cassinis e la
bibliografia citata, cfr. S. SOLIMANO, «Il letto di Procuste». Diritto e politica nella formazione del codice civile
unitario. I progetti Cassinis (1860-1861), Milano, 2003, passim, e in specie, per il testamento olografo, p. 331-
341. Per la biografia completa del Cassinis, cfr. ID., voce, in Dizionario Biografico dei Giuristi Italiani (XII-XX
secolo), diretto da I. Birocchi, E. Cortese, A. Mattone e M.N. Miletti, (DBGI), Bologna, 2013, vol. I, p. 481 - 482.

(15) Su Giuseppe Pisanelli, cfr. C. VANO, voce ..., in DBGI II, p. 1600 - 1602.

(16) Cfr. S. GIANZANA, op. cit., III, Verbali della Commissione di coordinamento, 12 maggio 1865, verbale n. 30,
p. 254 per la proposta del Precerutti; per il mutamento di pensiero di Pisanelli, p. 255. Su Enrico Precerutti, cfr.
S. SOLIMANO, voce ..., in DBGI, II, p. 1623-1624.

(17) C. LOSANA, op. cit., p. 63; F. FILOMUSI GUELFI, Lezioni e saggi di filosofia del diritto, a cura di G. Del
Vecchio, Milano, 1949, p. 205; G. ASTUTI, «La codificazione del diritto civile», in Riv. st. dir. cont., 2, 1977, p. 1-
33, in particolare p. 31. Cfr. pure numerosi altri studi di Guido Astuti ora riediti in ID., Tradizione romanistica e
civiltà giuridica europea, Raccolta di scritti a cura di G. Diurni. Prefazione di G. Cassandro, in specie II, Napoli,
1984, in particolare p. 711-846; G. ALPA, «Le code civil et l’Italie», in Revue international de droit comparé,
57/3, 2005, p. 613-614 e, in italiano, ID., in Libreria Antiquaria Giulio Cesare, catalogo 6, scienze giuridiche,
Roma, 2004-2005, p. 21.

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