Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Nazareno Pastorino
1
Nazareno Pastorino – Eternità e natura umana nella filosofia di Emanuele Severino
3 Ivi, p. 74.
4 DK 22 B 88.
5 E. SEVERINO, L’identità della follia – Lezioni Veneziane, Rizzoli, Milano, 2007 p. 31.
6
Cfr. Quanto, giustamente, affermato da A CRESCINI in E. Severino, il suo “essere” il
suo “nichilismo”, in «Giornale di metafisica» «I», 1995, n. 3., p. 479: «[per Severino]
la cosa non scompare, non cade dunque nel nulla, ma cade in se stessa, nella sua
autentica manifestazione».
2
Nazareno Pastorino – Eternità e natura umana nella filosofia di Emanuele Severino
massimamente si può agire7. L’uomo vive, organizza, fa, agendo e rapportandosi alle
cose; ciò sarebbe impossibile o massimamente difficile se tra la cosa “legna” e la cosa
“cenere” venisse messo in discussione il ponte che collega causalmente i due elementi.
Che qualcosa sia se stessa pur essendo diversa da sé, è per l’Occidente qualcosa
di impensabile, tanto che lo stesso Platone nel Teeteto afferma con chiarezza che
«Nemmeno in un sogno» o «Nemmeno nella follia» si può pensare che «una cosa sia
l’altro da sé»8. Quando tuttavia si pensa alla cenere come prodotto della combustione
della legna si dimentica totalmente che l’identico non può in alcun modo essere diverso
da sé. Il principio di non contraddizione, ovvero ciò che è stato definito come
principium firmissimum sarebbe violato. Il problema che ci si pone davanti è il
seguente: affermare che qualcosa diventi altro da sé è per Severino affermare
implicitamente che quel qualcosa è già da sempre altro da ciò che è.
Nel concordare all’essere di una cosa una certa capacità di trasformazione, non
si fa altro che piegare l’identificazione alla non-identificazione. Il procedimento che
permette tale atto, tuttavia, si fonda pur sempre su una ricerca dell’identità del diverso;
infatti per il pensiero occidentale la diversificazione si fonda ontologicamente sulla base
del suo concetto antitetico, senza che ciò sia denunciato come folle
autocontraddittorietà. In Tautótes Severino afferma: «L’“atto”con cui qualcosa diventa
altro da sé è l’atto stesso con cui qualcosa si identifica all’altro da sé». 9
L’ontologia occidentale, per questo, è un’ontologia fondata sull’auto-
contraddizione: infatti, il proprio fondamento razionale la costringe a pensare sempre il
“questo” nell’altro. Inoltre la contraddittorietà diviene duplice o, come preferisce
scrivere Severino, raddoppia se si pensa che non solo qualcosa per essere altro deve
essere in se stessa già altro (a dispetto della sua identità) ma addirittura per essere
identica e diversa da sé deve essere in qualche modo nulla.10
Si comprende bene perché Severino pensa che la metafisica occidentale sia un
profondo errore: seguendo il divenire come base e paradigma fondamentale che regola
la natura delle cose si finisce per concepire le cose o come già da sempre altro da ciò
che sono, o come un puro nulla.
3
Nazareno Pastorino – Eternità e natura umana nella filosofia di Emanuele Severino
4
Nazareno Pastorino – Eternità e natura umana nella filosofia di Emanuele Severino
5
Nazareno Pastorino – Eternità e natura umana nella filosofia di Emanuele Severino
6
Nazareno Pastorino – Eternità e natura umana nella filosofia di Emanuele Severino
essi restano in presenza, restano in atto eternamente anche quando noi crediamo che essi
non vi sono più.
Severino lascia intendere più volte nei suoi scritti che il pensiero occidentale ha
creduto l’ente schiavo dall’impossibile oscillazione tra essere e nulla non avvedendosi
che piuttosto si può dire che l’ente ora appare, ora non appare più. Cerchiamo di
addentrarci nella questione siccome appare di grande importanza: nessuna cosa nasce
dal nulla, così come nulla vi fa ritorno. Tutto è eternamente, sempre dinanzi a noi,
qualche esempio può essere utile per capire meglio: noi diciamo che questa stanza è
illuminata quando a noi appare illuminata, ma in realtà, secondo Severino, l’esser
illuminata della stanza non dipende affatto dal proprio apparire così. L’ontologia
necessaria che riguarda tutti gli enti fa sì che ogni cosa sia fermamente come essa è.
Eternamente questa stanza è e resterà illuminata, così come eternamente è e resterà buia
indipendentemente dal suo mostrarsi a noi in tal modo o in tal altro. La stanza che noi
percepiamo come illuminata è anche, in una ottica lontana da quella nichilista, la stanza
non illuminata. Si presti molta attenzione a questo passaggio: non si sta qui affermando
che la stanza che a noi ora appare illuminata può apparirci non illuminata divenendo
non illuminata, (poiché magari il sole che la rendeva illuminata non la illumina più) ma
che proprio questa stanza, nell’ottica fondamentale del distino di tutti gli enti è
illuminata e non illuminata, rimanendo se medesima sottraendosi da ogni
contraddittorio.16
Si mostra, da quanto appena detto, l’indubitabile originalità del pensiero di
Severino, indipendentemente dal fatto che lo si possa considerare come pensiero valido,
pensiero in grado di descrivere la struttura vera e reale del mondo, o che lo si consideri
come pensiero orfano di sufficienti garanzie per dimostrare in maniera inconfutabile la
propria validità. Tutti gli enti sono come sono, non mutano. La stanza per essere
illuminata ha bisogno del passaggio da uno stato di buio ad uno stato di luce per essere
illuminata, la stanza come luogo reale, possiede la possibilità di apparire a noi come
illuminata e come non illuminata, ma ciò vuol dire necessamente che essa contenga
come attuale lo stato che la mostra a noi illuminata sempre, mostrando una natura eterna
ed indiveniente.
16
Circa i problemi che incontra la posizione severiniana e se tale impostazione si sottrae
davvero da qualsiasi contraddizione Cfr. V.VITIELLO, Filosofia Teoretica, cit., pp. 230-
232.
7
Nazareno Pastorino – Eternità e natura umana nella filosofia di Emanuele Severino
Il corsivo è di Severino.
8
Nazareno Pastorino – Eternità e natura umana nella filosofia di Emanuele Severino
20 Ivi, p. 141.
21 Questa espressione è molto utilizzata da Severino soprattutto in Destino della
necessità. Cfr. Ivi, p. 144 e sgg.
22
Cfr. quanto detto da ANGELO CRESCINI in E. Severino, il suo “essere” il suo
“nichilismo”, cit., a p. 477. Si presti ben attenzione che l’autore parla dell’entrare ed
uscire dal cerchio dell’apparire nei termini seguenti: «per Severino […] non si può mai
parlare propriamente di un uscire dal nulla delle cose che si formano e di un rientrare
nel nulla di quelle che spariscono definitivamente. Esse semplicemente entrano
nell’orizzonte dell’esperienza cosciente e ne escono».
9
Nazareno Pastorino – Eternità e natura umana nella filosofia di Emanuele Severino
sia più. In realtà quell’ente resta immobile, pur essendo fuori dal cerchio di ciò che ci
appare23.
Si può, da quanto detto, avanzare la seguente riflessione: come l’apparire
incominciante non aggiunge nulla al Tutto eterno, così l’apparire cessante non toglie
nulla a quest’ultimo, questo semplicemente perché anche l’apparire incominciante e
l’apparire cessante sono sempre all’interno del Tutto eterno.
Ora è d’obbligo domandarsi che posizione ha l’uomo in questo quadro
ontologico? Anche l’uomo essendo un ente finito non può in alcun modo nascere dal
nulla né farvi ritorno: anche l’uomo, come tutti gli enti, deve necessariamente essere
eterno.
Appare fondamentale precisare che l’obiettivo primario, base imprescindibile di
tutta la filosofia di Emanuele Severino, è quello di affermare quanto segue: è
assolutamente errato pensare che nella natura di ogni ente — e dunque anche nella
natura umana — possa esistere una scissione che ci autorizzi a pensare tale natura come
ad un tempo, transeunte, mortale, diveniente, schiava e soggetta alla possibilità di
svanire nel nulla, e, ad un tempo, ritenerla, d’altra parte, stabile, immortale ed eterna.
La metafisica occidentale, sin dai suoi albori attraverso il concetto di
fondamento e di sostanza, ha cercato di attribuire un’essenza stabile in grado di
sorreggere la cosa. Tale essenza, indifferentemente se la si concepisca come immanente
alla cosa stessa o separata da essa, la si pensa, o meglio, la si è sempre pensata come
carattere fondamentale dell’ente.
Ora c’è da domandarsi: chi o cosa fa di tale carattere l’essenza dell’ente? Cosa è
l’ente rispetto a tale essenza? E, per converso, cosa è tale essenza rispetto all’ente?
Esiste un’essenza separata dalla cosa che può assegnarle maggiore dignità ontologica?
Esiste un’essenza che rispetto all’ente è del tutto immanente ad esso? Se si vuole, in
qualche modo, credere in un’essenza separata dalla cosa, si dovrà anche ammettere che
ogni ente non sia soltanto transeunte e temporale ma sia anche — e ciò appare
improponibile — se stesso nel suo carattere fondamentale, grazie a ciò che se stesso non
è: l’altro. Occorre, dunque, mostrare che non solo l’essenza dell’ente è immanente a
quest’ultimo, ma che quest’ultima è nient’altro che il suo esser cosa nella sua pura e
semplice manifestazione.
23Cfr. E. SEVERINO, Essenza del nichilismo, cit., p. 101: «il comparire di qualcosa è lo
sparire di qualcosa e viceversa; qualcosa può comparire (entrare nell’apparire) solo se
qualcosa sparisce, e viceversa». Il corsivo è di Severino.
10
Nazareno Pastorino – Eternità e natura umana nella filosofia di Emanuele Severino
24 Si tenga presente quanto affermato in Destino della necessità, cit, a pagina 597 e poi
ribadito ne La Gloria, Adelphi, Milano, 2001 a pagina 26 circa il rapporto tra
l’isolamento della terra e la Gioia: «L’isolamento del destino dal proprio essere la Gioia
del Tutto — il suo nascondere il proprio essere l’infinito il proprio essere l’infinito
illuminarsi del tutto — è il fondamento dell’isolamento della terra dal destino. Solo
all’interno dell’apparire finito del Tutto la terra può essere isolata e il mortale
accadere».
25Ivi, p. 29.
26 Sul possibile rapporto tra Severino e Freud rispetto al problema dell’eternità dell’ente
11
Nazareno Pastorino – Eternità e natura umana nella filosofia di Emanuele Severino
bisogna intenderlo? Cosa significa specificamente: «l’Occidente vuole che le cose della
terra, in quanto cose, non siano un niente»?27 Si può provare a rispondere nel modo
seguente: l’Occidente non vuole altro che la verità dell’ente lontana dal nichilismo.
L’Occidente sa nel proprio inconscio che tutto è eterno e nulla è soggetto al divenire
come mostrato dal pensiero nichilistico. Si provi ora ad intendere, anche sulla base di
quanto detto, il vero significato che Severino attribuisce alla parola “inconscio”, ovvero
la base più profonda che attiene specificamente all’essere umano: l’inconscio è sentirsi
appartenente alla Gioia del Tutto. Detto con le parole di Severino: «Il sentiero che la
terra percorre inoltrandosi nel cerchio dell’apparire è già da sempre tracciato nella
Gioia».28
Divenire pienamente consapevole che il destino della terra è quello di
appartenere alla Gioia del Tutto, significa dunque, per l’uomo, divenire consapevole che
ogni ente — compreso l’uomo stesso — è assolutamente libero dalla solitudine della
terra. Questo è ciò che Severino chiama la Gloria.
Nella Gloria l’uomo porta a sé presente ciò che gli è connaturato: tutto è eterno:
«questo foglio, questa penna, questa stanza, questi colori, suoni e sfumature e ombre
delle cose e dell’animo sono eterni»29 proprio essendo e rimanendo enti finiti. La Gloria
del Tutto, nel mostrare che tutti gli enti sono eterni, mostra anche che l’eternità non
respinge affatto la loro finitezza. In questo senso appare giusto pensare che Severino
voglia abbattere qualsiasi differenza ontologica tra essere ed ente conducendo così ad
una sostanziale indifferenza ontologica. Ciò vuol dire sostanzialmente che, nell’ottica di
Severino, non esiste nulla che non sia l’attualità stessa dell’ente.
Occorre ora riflettere: se tutto è eterno anche l’uomo deve esserlo. Se l’uomo è
eterno come può accadere qualcosa come la morte? Cosa è la morte per Severino? Sin
dalle prime pagine de La Gloria Severino tenta di fare luce sul rapporto che la cultura
occidentale ha avuto con il problema e la paura della morte. Questo breve riferimento
alla tradizione serve all’autore per indicare quanto e con quanta forza l’uomo abbia
cercato da sempre di vincere la morte trasponendo la vita eterna in altro, lontano, dalla
marcescenza dei corpi dei suoi simili che nella morte lo precedono. L’anima, libera dal
destino infame e segnato del corpo, non si disfa, non perisce e così si solleva dal dolore
e dall’angoscia della mortalità. Tuttavia, come rileva lo stesso Severino, con l’avanzare
12
Nazareno Pastorino – Eternità e natura umana nella filosofia di Emanuele Severino
13
Nazareno Pastorino – Eternità e natura umana nella filosofia di Emanuele Severino
nulla; la salvezza appartiene all’ente perché l’ente stesso è, nell’ottica del destino non
alienato della necessità, eterno.
Il tentativo di Severino — ciò verso cui tutti gli scritti dell’autore cercano di
approssimarsi e a cui tutti i suoi scritti tendono — è quello di mostrare come sia
possibile e giusto cercare l’eternità di tutti gli enti nella natura di questi ultimi quale loro
radice caratterizzante e peculiare. In altri termini: si tratta di mostrare, appunto nel senso
di “porre sotto gli occhi”, in che modo l’ente è eterno, come e perché il carattere
dell’eternità gli è proprio.
Per avanzare nella comprensione di ciò che ci si è preposti, potrebbe risultare
molto utile partire dalle parole dello stesso autore:
31 Ivi, p. 173. Cfr. anche ivi p. 174: «nessun essente si sottrae al proprio cuore. Il cuore
di ogni essente è il destino della verità di ogni essente».
32 Ivi, 180.
14
Nazareno Pastorino – Eternità e natura umana nella filosofia di Emanuele Severino
Occorre ora partire dal testo su riportato per muovere alcune considerazioni per
rendere più chiara la posizione dell’autore. Ogni essente appare così come appare, solo
in quanto esso è in relazione con gli altri essenti. Esso è in questa relazione. Tale
relazione è, secondo Severino, «il predicato necessario» che caratterizza e qualifica ogni
ente in quanto tale (vale a dire salvo dalla follia del pensiero nichilistico occidentale che
lo vede oscillante tra essere e nulla). Ora si tenga presente che la relazione a cui si sta
accennando è la relazione che ogni ente intrattiene con il “reticolo” delle determinazioni
persintattiche prima ed iposintattiche poi.34 Occorre, però, domandarsi: cosa intende
Severino con l’espressione “persintassi”? Con essa egli vuole indicare «lo sfondo
intramontabile della terra»35, con cui ogni ente è sempre in relazione. Ogni ente
significa in se stesso e per se stesso proprio in virtù di questo essere insieme con, essere
in questa relazione con le determinazioni persintattiche (dello sfondo). Si tenga presente
quanto lo stesso Severino afferma circa l’essenza vera e reale di ogni ente:
15
Nazareno Pastorino – Eternità e natura umana nella filosofia di Emanuele Severino
La persintassi fissa ciò che l’essente realmente è quale essente appartenente alla
struttura eterna del destino: ogni ente non è isolato, ogni ente è se stesso come
significato che si realizza in relazione alla totalità di tutti gli enti. Cerchiamo di essere
più chiari vista la complessità dell’argomento: l’ente in se stesso sta in rapporto con le
determinazioni persintattiche, ossia con la totalità degli altri enti. Ogni ente — e
dunque anche l’essere umano — è nell’ottica severiniana un significato che oltrepassa
già da sempre la sua semplice presenza come oggetto. Si badi bene, con ciò non si vuol
assolutamente affermare che il medesimo esce da sé, e divenendo altro acquisisce un
significato che gli appartiene più propriamente; come già si rimarcava all’inizio di
questo scritto, non si tratta affatto di inquadrare l’altro come la “casa” dello stesso, il
tautòn, come fondato ed autoprodotto dal suo contrario: il diverso, al contrario bisogna
riconoscere, in un’ottica non nichilistica, che all’ente appartiene come propria radice il
suo esser connesso con il “reticolo” persintattico al quale appartengono tutti gli enti
come eternamente significanti.
“Oltrepassare”, titolo di uno dei più recenti scritti di Severino, indica a ben
vedere il definitivo passo compiuto dal pensiero di Severino, il quale condurrebbe ad un
riapparire e risignificare della natura umana e di tutto l’ente in una nuova ottica, il
quale ,0sovverte tutta la storia della metafisica e dell’ontologia. Oltrepassare la struttura
del logos folle dell’occidente significa accogliere e concepire ogni singolo ente, così
come ogni singolo accadere, come non isolato e dunque pienamente all’interno dei nessi
necessari che fondano la struttura originaria della necessità. Con il sopraggiungere della
terra che salva — così Severino chiama la terra non isolata dallo sguardo del destino37
— si fanno innanzi gli eterni ed essi non devono assolutamente intendersi soltanto
come:
36 Ivi, 184.
37 Ivi, p. 359 e ss.
16
Nazareno Pastorino – Eternità e natura umana nella filosofia di Emanuele Severino
Tutto è eterno poiché ogni cosa è connessa ad ogni altra. Nell’ottica del destino
della necessità nessun essente deriva dal nulla, così come nessun essente può
annichilirsi in esso. Ogni essente è principalmente, piuttosto, un significato eterno della
struttura persintattica che via via si mostra, ossia entra nel cerchio dell’apparire. Essere
un significato vuol dire significare, ossia lasciare sempre, eternamente una traccia,
appunto un segno, il quale, secondo Severino, apre all’infinito succedersi di
configurazioni di mondo. Questa lampada che noi diciamo (erroneamente secondo
l’autore) accesa, è un eterno perché quando essa appare — vale a dire entra nel cerchio
dell’apparire — appaiono altri ed infiniti significati: appare la sua ombra, appaiono i
fogli che essa illumina, appare in me il sentimento d’angoscia per il lavoro ancora da
terminare.
Queste determinazioni trovano la loro eternità nel continuo oltrepassamento
delle configurazioni della terra. Oltrepassare, qui, vuol dire avvicendarsi eterno ed
infinito degli enti rispetto al cerchio dell’apparire. Ogni ente che entra in questo cerchio
è un significato appartenente alla struttura persintattica della totalità dell’essente: niente,
pertanto, nasce dal nulla, nulla muore annichilito nel nulla. Tutto ciò che appare, può
farlo, soltanto perché è appartenente da sempre e per sempre alla struttura originaria
della necessità che lo vede da sempre, eternamente parte, significato sempre vivo di tale
struttura. Nella Gloria del tutto — come non ha esitato a rimarcare anche Vincenzo
Vitiello — non c’è spazio per il mistero, non c’è spazio per il passaggio dalla
manifestazione eterna e necessaria del Tutto significante all’accadere particolare delle
manifestazioni finite. Ogni accadere — anche l’accadere della morte — non è
nient’altro che la manifestazione di un eterno che va a riscoprirsi lontano dell’ottica
nichilistica immeditamente39 quale significato vero e reale facente parte dell’unità eterna
e necessaria del Tutto40.
38 Ivi, p. 172.
39
Si intenda qui il termine “immediatamente” come: “in maniera non mediata”.
40
Cfr. V. VITIELLO, Il Dio possibile, cit., pp. 37-62. Cfr. in particolare pp. 51-56.
17
Nazareno Pastorino – Eternità e natura umana nella filosofia di Emanuele Severino
Bibliografia:
Monografie:
18
Nazareno Pastorino – Eternità e natura umana nella filosofia di Emanuele Severino
Articoli:
19