San Filippo Neri, il santo della gioia, famoso per la sua allegria che
insegnava e trasmetteva anche ai giovani che educava nell'oratorio, aveva
indetto una "santa crociata" contro il carnevale. Ogni anno, nel periodo di
Carnevale, per riparare i peccati commessi dalle persone in quella festa
pagana e saturnale, organizzava il pellegrinaggio alle sette Chiese a
Roma.
Le quattro basiliche maggiori: San Pietro; San Giovanni in Laterano; Santa
Maria Maggiore; San Paolo fuori le mura.
E le tre minori: San Lorenzo fuori le mura (o San Lorenzo al Verano);
Santa Croce in Gerusalemme; San Sebastiano fuori le mura.
Un atteggiamento attivo, deciso, consapevole della gravità che la
partecipazione a tali eventi comportava. Quanto dobbiamo imparare dai
santi a guardare gli eventi della vita quotidiana con occhio
soprannaturale! Non si può certo dire che S. Filippo Neri fosse un santo
che non aveva senso dell'umorismo, che non sapeva ridere, scherzare e
divertirsi all'occorrenza, ma sapeva farlo in modo sano, secondo Dio,
senza cercare ciò che da Dio non viene e che porta facilmente al peccato e
quindi alla morte dell'anima.
Il grande vescovo di Milano fu uno dei santi più impegnati in una vera e
propria “crociata” contro il Carnevale. Questa una sintesi di ciò che fece
per combattere il carnevale.
“Hora qui ricordati, Milano, le mascare, le comedie, i giuochi paganeschi,
i balli, i banchetti, gli eccessi delle pompe, le spese disordinate, le risse, le
questioni; gli homicidii, le lascivie, le disonestà, le mostruose pazzie e
dissolutezze tue”. Così tuonava San Carlo Borromeo nel 1576, anno della
peste, contro i milanesi e la loro brama di divertirsi. Anzi due anni prima
l'arcivescovo era riuscito, dopo una lunga campagna contro il carnevale,
a convincere i fedeli a rinunciare al “quinto” giorno in modo da far finire
l'ultimo giorno di carnevale alla mezzanotte del sabato e non della
domenica (il carnevale ambrosiano, tradizionalmente, è quattro giorni
più lungo...). In seguito riuscì a proibire i festeggiamenti nella piazza del
Duomo ma una delegazione cittadina si appellò addirittura al papa
perché l'arcivescovo tornasse sui suoi passi. In questo clima si giocava la
partita della vittoria piena della Quaresima sul Carnevale, che il vescovo
conduceva a colpi di editti e di censure; significativamente, quello che a
Milano era per tradizione l'ultimo giorno di festa doveva diventare
giorno di penitenza e di astinenza. Da una parte il Borromeo dispensava
indulgenze a chi si comunicasse in quella domenica, dall'altra proibiva a
chiunque di circolare in maschera nei pressi delle chiese mentre vi si
svolgevano le sacre funzioni. L'immagine insistentemente proposta nelle
esortazioni alla coesione e all'ordine era quella di un tempio assediato
dalla follia del Carnevale, al cui interno si resisteva con eroismo:
“Celebravamo nella nostra chiesa Metropolitana i divini Offici… e
quando predicavamo la parola di Dio et il popolo tutto che era nella
chiesa con prieghi ad alta voce dimandava a Dio misericordia,
strepitavano quasi su tutte le porte della chiesa, et intorno, tamburri,
trombe, carozze di concorso, gridi e tumulti di tornei, correrie, giostre,
mascherate.”
Nel 1630, dopo la terribile peste descritta dal Manzoni nei “Promessi
Sposi”, il Cardinale Federico Borromeo e il governo spagnolo cercarono
di abolire quei quattro giorni in più di festa, ma purtroppo senza
successo.
Questo grande santo che consacrò la sua vita all’educazione dei bambini
poveri e che è universalmente riconosciuto come un grande innovatore
nel campo della pedagogia, nell’operetta “Scritti catechistici” scrisse
parole assai significative sul Carnevale e le sue cattive caratteristiche. Ne
parla espressamente e dettagliatamente nella quarta e quinta istruzione.
Ecco i testi. Ogni commento è del tutto pletorico.
7. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE