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Parole chiave: solfeggio


Autore: francesco bellomi

Sarebbe fin troppo facile tirare i cinquemila caratteri di questa rubrica a colpi di sarcasmi e
narrazioni delle follie solfeggistiche ancora ampiamente praticate nel nostro paese. Forse
l’unico al mondo dove c’è stata la necessità di fondare la AASP (Associazione per
l’Abolizione del Solfeggio Parlato). Francamente, dato che c’eravamo, avrei fatto un passo
un po’ più lungo e avrei tolto l’ultima parola dal titolo, così l’associazione sarebbe stata
probabilmente messa al bando su tutto il territorio nazionale e se riceverò lettere o diffide
da insegnanti di solfeggio vorrà dire che questa rubrica non la leggono solo i redattori.
Innanzitutto vorrei spezzare una lancia in favore dei due libri di solfeggio (parlato)
nettamente più venduti sull’italico suolo: il Bona e il Pozzoli. Gli ho usati anch’io, prima
come studente e poi come insegnante, solo che, a partire dall’età della ragione, non li ho
usati secondo la posologia e le istruzioni allegate: il Bona si presta magnificamente a
essere ballato, mimato, teatralizzato. Il teatro dell’assurdo gli è congeniale come
l'evasione fiscale al libero professionista. Ho ancora davanti agli occhi il più scatenato dei
ragazzini di una incredibile classe che sapeva fare delle vere acrobazie coreutiche a
partire dai deliri in chiave di sol, facendoci piangere dal ridere: mai il Bona ha avuto dei fan
così sfegatati. Un altro gioco che faccio, quando posso infrangere impunemente la legge,
è eseguire, e poi far eseguire, un solfeggio parlato difficile del Pozzoli. Solo alla fine della
mia performance a base di «do -o- o -re,mi - i - i - i» ecc. metto giù il libro e i miei studenti
si accorgono che avevo in mano solo la copertina (l'unica cosa che mi è rimasta, il resto
del libro devo averlo perso in qualche trasloco): quindi, dato che la mia memoria è peggio
delle deposizioni di Previti, improvviso. Così tutti scoprono improvvisamente di saper
improvvisare a getto continuo splendidi solfeggi parlati; alla lunga non è divertente come
saper improvvisare con lo strumento ma è già un buon passo in quella direzione. L'idea
non è mia: il copyright ce l'ha un mio vecchio insegnante di lettura della partitura che,
sprofondato in poltrona, si addormentava quasi sempre durante la lezione. Se finivo il
pezzo e mi fermavo si svegliava subito, irritato, con un leggero mal di testa e la lingua
impastata. Così ho cominciato ad "allungare" un pochino le arie del Parisotti, i mottetti
dello Schinelli ecc. e alla fine allungavo così tanto il brodo che arrivavo alle ultime battute
negli ultimi trenta secondi di lezione. Funzionava a meraviglia e costui mi insegnava
l'improvvisazione, senza saperlo, col metodo onirico.
Devo una gratitudine infinita a tutti quelli insegnanti del "vecchio" solfeggio che sono oggi
uno zoo umano e sonoro della mia memoria: talvolta mi hanno insegnato cose che non
centrano niente con la musica ma sono le storie senza le quali non potrei vivere (noi
umani siamo tutti consumatori abituali e recidivi di storie, di qualunque tipo esse siano.)
Dal giovane supplente che insegnava il solfeggio facendoci cantare a prima vista frottole e
villanelle a tre voci. Non riuscivamo quasi mai ad andare oltre le prime tre note ma se non
avessi passato un anno in questo modo non avrei mai accumulato così tanta curiosità da
reggere altri tre anni di solfeggio normale e grigio, impartito da un docente di ruolo.
Diventando docente, lo ammetto, mi sono divertito di meno. Ancora oggi, ripenso al
collega che chiedeva a tutti i suoi giovani allievi: «Qual è il significato della sensibile?»
Nessuno sapeva mai rispondere, nemmeno io.
In particolare il momento del dettato melodico è quello più altamente rituale che io
conosca. A cominciare dal mitico Aldo Clementi che, ai suoi studenti del DAMS dei tempi
eroici delle cantine e dei topi, improvvisava le prime due battute del suo dettato per i
centoventi candidati all'esame di teoria. Dopo due secondi un perfido candidato chiedeva:
«Può ripetere per favore?» e il sublime Aldo suonava subito due battute di una melodia
completamente diversa: non si ricordava più la melodia di prima. Finiva sempre che
l'assistente o qualche studente coraggioso prendevano in mano la situazione fornendo a
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tutti la versione corretta delle prime due battute, così la pace e l'armonia, la vera armonia,
erano ristabilite. La proposta è questa: sostituiamo il solfeggio cantato con il canto per
lettura (con parole) della musica vocale e (senza parole o, al limite, con parole di propria
invenzione) della musica strumentale. Nel cartone I tre moschettieri della Pixar-Dysney si
sono divertiti parecchio su quest'ultima opzione. Collochiamo definitivamente il solfeggio
parlato nel museo del sado-masochismo e delle perversioni didattiche aprendogli un
fulgido futuro nel teatro dell'assurdo.
E la teoria? Alla prossima puntata.

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