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La genitorialità vulnerabile e la recuperabilità dei genitori

Article · January 2012

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Sara Serbati Paola Milani


University of Padova University of Padova
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4/ I percorsi educativi per gli educatori adulti

La genitorialità vulnerabile
e la recuperabilità dei genitori
di Sara Serbati*, Paola Milani**

1. La recuperabilità della genitorialità: i tanti modi di essere


genitori
A partire dagli anni Settanta, in Italia come nella gran parte dei Paesi euro-
pei, è stata avviata un’importante riflessione nei confronti degli interventi in
favore di bambini e famiglie che vivono in situazione di vulnerabilità. La ri-
flessione ha portato ad affermare il diritto fondamentale dei bambini a mante-
nere i loro legami familiari e comunitari ed è culminata, in Italia, con l’ema-
nazione della legge n. 149 del 28 marzo 2001 che ha previsto la “chiusura di
tutti gli istituti” e ha enunciato come valore fondamentale il diritto del bam-
bino a crescere nella propria famiglia.
La trasformazione è stata radicale e ha richiesto innanzitutto un passag-
gio culturale da una concezione della tutela basata sul bambino e i suoi
diritti a una concezione basata sul “mondo del bambino”, ossia da una
concezione individualistica e unidimensionale ad una concezione relazio-
nale e multidimensionale, capace di salvaguardare l’interesse del bambino
come soggetto di relazioni, in una prospettiva ecologica dello sviluppo1.
Considerando il bambino soggetto di relazioni come centro dell’interven-
to, si riconosce che la salute dei bambini e il supporto ai genitori sono
due facce della stessa medaglia, in quanto è rafforzando le famiglie e le

* Dottore di ricerca in Scienze pedagogiche, Università di Padova.


** Professore associato di Pedagogia della Famiglia, Dipartimento di Filosofia, Sociologia,
Pedagogia e Psicologia applicata, Università di Padova.
1. U. Bronfenbrenner, Rendere umani gli esseri umani. Bioecologia dello sviluppo, Erick-
son, Trento 2010.

Minorigiustizia, n. 3-2012

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loro reti sociali che, quasi sempre, si può promuovere ben-essere per i
bambini2.
In seguito a queste trasformazioni si sono dunque aperte nuove frontiere del-
l’intervento, che interrogano profondamente in particolare coloro che operano
sulla questione della valutazione e recuperabilità delle competenze parentali3.
Le trasformazioni culturali, come spesso accade, faticano però a dare vita a
conseguenti trasformazioni tecnico-operative. Perché, infatti, le culture e i mo-
delli teorici possano trasformarsi in pratiche, sono necessari alcuni passaggi in-
termedi che riguardano innanzitutto la formazione dei professionisti chiamati a
mettere in atto tali pratiche e la disponibilità di buoni strumenti operativi.
Se oggi solo in pochi oramai ritengono che, nei processi di protezione e
tutela, è il solo bambino il soggetto di intervento, nella pratica spesso consta-
tiamo che i genitori restano fuori dalla porta. Spesso, per esempio, se il bam-
bino è collocato in comunità, i genitori vengono invitati ad alcuni colloqui
clinici e/o sociali, ma raramente sono coinvolti in un reale processo di riuni-
ficazione familiare che includa visite e incontri nei quali essi vengano soste-
nuti in un concreto percorso di riappropriazione delle competenze genitoriali.
Raramente sono a conoscenza del progetto che li riguarda, dei tempi, delle
azioni, degli obiettivi stabiliti per loro, quasi mai con loro, in quanto è assai
improbabile che possano partecipare alle decisioni che vengono prese, nelle
quali restano oggetti di valutazione piuttosto che soggetti della valutazione
che li riguarda in prima persona.
Raramente cioè gli operatori dei servizi pubblici, per i quali questo do-
vrebbe invece essere compito specifico, utilizzano l’intervento come palestra
in cui effettuare anche la valutazione e sfruttano appieno l’opportunità, che è
loro offerta, di intrecciare l’intervento di sostegno alle competenze parentali
alla valutazione delle stesse, in prospettiva dunque anche formativa e non so-
lo clinica. In questo approccio, definito della valutazione formativa4, non si
considera il genitore da valutare come un topo in laboratorio a cui sommini-
strare una serie di test, né si intende il recupero delle competenze parentali
come un mettere a nuovo, quasi come se i genitori fossero simili ad una bici-
cletta usata che è necessario rimettere in funzione.
La genitorialità non è, infatti, una qualità che si acquisisce automaticamen-
te nel momento in cui si diventa genitori, essa è piuttosto una funzione psi-
chica della persona umana5. E non esiste un solo modo di fare i genitori. Co-

2. R. Willis, S. Holland, “Life story work Reflections on the experience by looked after
young people”, Adoption & fostering, 1999, n. 33 (4), pp. 44-52.
3. S. Stefano, P. Di Blasio. La famiglia maltrattante: diagnosi e terapia, Cortina, Milano
1989.
4. A. Bondioli, M. Ferrari, Verso un modello di valutazione formativa. Ragioni, strumenti e
percorsi, Edizioni Junior, Bergamo 2004.
5. C. Sellenet, La parentalité décryptée. Pertinence et dérives d’un concept, L’Harmattan,
Paris 2007.

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La genitorialità vulnerabile e la recuperabilità dei genitori

me non esiste un genitore competente e uno incompetente, in quanto la com-


petenza genitoriale va sempre declinata al plurale, dato che vi sono, per ogni
genitore, diverse modalità e diverse misure per praticare, più o meno positi-
vamente, taluna o talaltra dimensione di questa competenza. Come processo
complesso di maturazione psicologica, la genitorialità richiede un rapporto di
adattamento reciproco con l’ambiente nel quale si contestualizza la crescita
del bambino. Per questo motivo, nel processo della valutazione, non è possi-
bile ignorare né il contesto né il percorso attraverso il quale essa si sviluppa.
È dunque interpretando sulla base della teoria ecologica dello sviluppo
umano e delle teorie sistemiche il proprio mandato di protezione e tutela del
bambino, che il professionista del servizio pubblico, trovandosi a dover valu-
tare le competenze, per esempio, di un genitore negligente per il quale si sta
definendo la possibilità di un allontanamento dal figlio, può innanzitutto aprir-
gli le porte dell’intervento. In tale processo accade che, mentre il genitore
mette in atto alcune competenze, viene allo stesso tempo sostenuto e valutato.
Così, ad essere valutato, non è il genitore astrattamente confrontato con un
modello ideale di “buon genitore”, ma l’insieme della proposta del professio-
nista con la risposta del genitore all’aiuto che viene messo in campo in quel
contesto, grazie a quelle risorse a disposizione, e quindi non la sua generica
competenza, ma la sua capacità, dinamica e situata, di apprendere e mettere in
atto nuove competenze, rispettose dei diversi modi di essere e fare i genitori.
Ciò che si valuta dunque non è tanto il genitore, ma l’evoluzione del com-
plesso delle competenze parentali in relazione al sostegno che viene offerto
in un dato contesto. Si valuta così anche l’operatore, il contesto in cui egli
gioca la sua partita e le risorse che tale contesto riesce a mobilitare non tanto
per, ma con quel genitore. In sintesi: si valuta una relazione, dentro un com-
plesso di relazioni e assumendo una prospettiva relazionale.

2. Gli strumenti standardizzati di valutazione delle competen-


ze dei genitori: rischi e opportunità
Lavorare in contesti in cui i motivi di preoccupazione per i bambini sono
molti e le situazioni sono caratterizzate da elevata incertezza richiede agli
operatori molte energie per mantenere buoni livelli di competenza e profes-
sionalità. È naturale dunque che gli operatori accolgano con favore strumenti
che possono aiutare, sostenere e, perché no, semplificare il processo di presa
di decisione, assicurando tuttavia misurabilità e scientificità oggettiva6.
Così, negli ultimi anni, si è assistito a un discreto sviluppo di strumenti atti
ad analizzare il livello di competenza dei genitori, il loro modo di porsi in re-

6. S. Holland, “Discourses of decision making in child protection: conducting comprehensi-


ve assessments in Britain”, in International social welfare, 1999, n. 8, pp. 277-287.

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lazione con i figli e il livello di rischio vissuto dai bambini che vivono situa-
zioni di vulnerabilità7.
Ma è proprio l’instabilità e l’incertezza delle situazioni in cui lavorano gli
operatori a rendere fuorviante il pensare di poter fondare le proprie decisioni su
una verità oggettiva, talmente oggettiva da poter garantire una rappresentazione
unica e talora persino numerica al discorso sulla recuperabilità dei genitori.
Se sappiamo che l’utilizzo di strumenti standardizzati non può in alcun
modo garantire l’oggettività e l’imparzialità delle valutazioni, tuttavia esso
può supportare i professionisti e le famiglie nella ricerca di quel consenso in-
tersoggettivo che è la base per un processo consapevole e condiviso di presa
di decisione.
Il rischio è di utilizzare gli strumenti standardizzati come portatori di un’u-
nica verità, in cui si scambia la rappresentazione da essi fornita per l’unica
rappresentazione possibile, dando inconsapevolmente credito a interpretazio-
ni impressionistiche e non approfondite, che possono essere svolte sulla base
di pre-giudizi, ai quali si finisce, paradossalmente, per attribuire un’aura di
verità scientifica. Infatti, anche gli strumenti standardizzati, per essere utiliz-
zati positivamente, necessitano di lavoro interpretativo che attribuisca senso
ai dati raccolti e li faccia parlare. L’utilizzo di tali strumenti necessita quindi
di un’adeguata riflessione e di una pluralità di fonti di informazione.
È più probabile incorrere in questo rischio quando si lavora in un ambito
in cui, trovandosi di fronte a situazioni di trascuratezza, negligenza o maltrat-
tamento dei bambini, si può essere portati a schierarsi dalla parte dei bambini
contro quei “cattivi genitori”, che non sono in grado di fare il bene dei propri
figli8. Il sapere tecnico rischia quindi di diventare strumento per corroborare
una lettura delle relazioni della famiglia che usa come riferimento non del
tutto consapevole un modello ideale, che conferma i pre-giudizi degli opera-
tori sui “cattivi genitori” piuttosto che costruirne una narrazione, se non og-
gettiva, almeno intersoggettiva.
L’investimento nelle analisi effettuate dagli operatori sociali rispetto alla
situazione della famiglia (assessment) è dunque molto importante e richiede
la capacità di astenersi da modelli precostituiti di “buon genitore”, in quanto
il confronto con un modello ideale risulterà sempre deficitario per genitori e
figli le cui relazioni sono situate in contesti reali, spesso difficili.
Il sapere tecnico incorre, infatti, nel rischio di sottovalutare il valore del
percorso del diventare genitori, prevedendo un tempo per raccogliere fatti ed
evidenze sulla situazione dei genitori nel qui e ora, tali da dare valore e cre-
dito alla decisione rispetto a possibilità e modalità di recupero delle compe-
tenze genitoriali. Al centro qui c’è l’operatore, la sua opinione di esperto, in
quanto la conoscenza non è condivisa, ma sta nel discorso dei servizi.

7. Ordine degli Psicologi, Regione Emilia Romagna, Buone pratiche per la valutazione del-
la genitorialità: raccomandazioni per gli psicologi, Pendragon, Bologna 2009.
8. S. Cirillo, Cattivi Genitori, Cortina, Milano 2005.

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La genitorialità vulnerabile e la recuperabilità dei genitori

Gli operatori sono invece chiamati a investire in valutazioni che colgano la


dimensione reale delle difficoltà e delle potenzialità delle famiglie e che si ri-
posizionino profondamente nel tessuto relazionale delle famiglie per leggere
attentamente e con precisione descrittiva le situazioni che influenzano il be-
nessere e lo sviluppo del bambino9.

3. Un’esperienza di valutazione formativa: P.I.P.P.I. - Pro-


gramma di Intervento Per la Prevenzione dell’Istituzionaliz-
zazione
Attualmente, il Laboratorio di Ricerca-Intervento in Educazione Familiare
(LabRief) dell’Università di Padova sta sperimentando sul campo un approc-
cio alla valutazione, definito di tipo formativo, inteso come luogo in cui pro-
fessionisti e famiglie possono sviluppare reciprocamente nuovi apprendimen-
ti attraverso la riflessione sui fatti, sulle informazioni raccolte e sugli inter-
venti messi in atto.
Spostare il luogo della conoscenza dai discorsi degli esperti nei servizi alla
riflessività tra professionisti e famiglie10 è cosa difficile da realizzare e ri-
chiede da parte dei professionisti, ma anche delle persone stesse coinvolte, un
capovolgimento di prospettiva non facile. Da un lato i professionisti sono po-
co abituati a permettere che sia l’altro a dare una valutazione sulla propria si-
tuazione, da un altro lato anche per la persona può essere destabilizzante con-
frontarsi con una modalità che evita di dare risposte precostituite.
Dunque, nel passaggio da un modello di conoscenza all’altro è importante
prevedere livelli diversi di partecipazione nella presa di decisione, che con-
sentano di imparare un poco alla volta nuove modalità di condivisione e di-
stribuzione del potere fra professionisti e famiglie.
La sperimentazione della metodologia della valutazione formativa ha preso
corpo negli anni ed è attualmente parte importante di una sperimentazione
nazionale promossa dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, che ha
portato a proporre a dieci grandi città italiane un programma, finanziato con i
fondi della legge n. 285/1997, denominato P.I.P.P.I., acronimo di Programma
di Intervento Per la Prevenzione dell’Istituzionalizzazione, ma anche nome
dell’indimenticabile Pippi Calzelunghe, bambina “tremendamente forte” che
vive in una situazione di apparente vulnerabilità: da sola, in una casa in rovi-
na, senza i genitori, metafora dunque delle possibilità di resilienza di cui so-
no potenziali portatori i bambini. L’obiettivo di tale Programma è costruire,

9. S. Serbati, M. Ius, S. Me, P. Milani, “Assessment e progetto di intervento negli allonta-


namenti: costruzione e sperimentazione di uno strumento partecipativo”, in P. Donati, F. Fol-
gheraiter, M.L. Raineri (a cura di), La tutela dei minori, Erickson, Trento 2011, pp. 162-186.
10. G. Geertz, Interpretazione di culture, il Mulino, Bologna 2008.

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sperimentare e valutare un modello di presa in carico del bambino e del suo


nucleo familiare intensivo, flessibile, ma allo stesso tempo strutturato e limi-
tato nel tempo che possa concretamente ridurre i rischi di allontanamento del
bambino o del ragazzo e/o rendere l’allontanamento, quando necessario,
un’azione fortemente limitata nel tempo facilitando i processi di riunificazio-
ne familiare11.
L’avventura di P.I.P.P.I. è partita a marzo 2011 e si concluderà a dicembre
2012, gli operatori coinvolti in tutta Italia sono più di 200, e tutti si stanno
misurando con sfide importanti e impegnative come l’utilizzo della metodo-
logia della valutazione formativa nella presa in carico di bambini e famiglie a
rischio di allontanamento.
Una parte cruciale dell’impegno degli operatori coinvolti in P.I.P.P.I. è
creare le condizioni per la recuperabilità delle competenze genitoriali. La
comprensione delle modalità con cui stabilire tali condizioni passa attraverso
un’analisi dettagliata della genitorialità, che quindi non può avvenire in ma-
niera standardizzata, ma deve prevedere pratiche e strumenti diversificati di
lettura, che mettano genitori e bambini nelle condizioni di leggere insieme al
professionista i propri punti di forza e le proprie criticità. Il genitore è consi-
derato qui a tutti gli effetti soggetto partner dell’intervento, mai destinatario o
beneficiario di esso12.
Per la conduzione dell’analisi della genitorialità molto utile è risultato fare
riferimento ai tre assi proposti da Sellenet13. Il primo asse, denominato eser-
cizio della genitorialità, riguarda i diritti e i doveri genitoriali secondo il cri-
terio giuridico. In questo caso l’analisi è piuttosto semplice, in quanto il rico-
noscimento o meno della responsabilità genitoriale è un dato oggettivo.
Il secondo asse riguarda la pratica della genitorialità. In questo caso il rife-
rimento è agli atti concreti che un genitore svolge nella vita quotidiana.
Entrambi questi assi possono essere non presenti: solitamente nel primo
caso si dà seguito a interventi di sostituzione genitoriale, mentre nel secondo
caso si prevedono interventi di supporto.
Il terzo asse risulta il più importante in quanto influenza e direziona anche
gli altri due. Si tratta dell’asse dell’esperienza soggettiva della genitorialità:
appunto perché nessuno nasce genitore, ma lo diventa, ogni persona sviluppa
nel tempo e in relazione al contesto una propria esperienza soggettiva dell’es-
sere genitori, una propria storia, una propria narrazione che inizia prima della

11. P. Milani, S. Serbati, M. Ius (a cura di), Pippi: Guida operativa, Dipartimento di Scien-
ze dell’Educazione, Università di Padova, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, mar-
zo 2011, Documento interno ad uso degli operatori coinvolti nella sperimentazione nazionale.
Raffaele Tangorra e Adriana Ciampa del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sono i
responsabili della sperimentazione nazionale.
12. J.M. Bouchard, “Famille et savoirs à partager: des intentions à l’action”, in Apprentisa-
ge et socialisation, 1999, n. 19 (2), pp. 47-57.
13. C. Sellenet, La parentalité décryptée…, cit.

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La genitorialità vulnerabile e la recuperabilità dei genitori

nascita del bambino e comprende l’esperienza affettiva e immaginaria, le rap-


presentazioni del bambino e le immagini provenienti dalla propria esperienza
di figlio.
Le valutazioni che gli operatori conducono in P.I.P.P.I. si propongono di
partire dalla rilevazione degli atti concreti che i genitori mettono in campo
nel loro “fare i genitori” (secondo asse) per considerare in che modo il pro-
prio “fare i genitori” sia condizionato da elementi che riguardano il terzo as-
se. In questo modo è possibile creare degli spazi di riflessione con i genitori
e con le famiglie, che tentano di dare un nome sia alle forze che alle diffi-
coltà che si incontrano nell’essere e nel fare i genitori, in modo tale da rende-
re riconoscibili i cambiamenti necessari e desiderati.
L’operatore riduce quindi la propria funzione di esperto per dare più spazio
alla propria funzione di supporter, di accompagnatore, dove l’altro, il genito-
re, è riconosciuto come vero esperto dei propri problemi e l’operatore ascolta
e rimanda, senza interpretare, e cerca di capire con l’altro come aiutare e atti-
vare risposte.
Le valutazioni, in tale processo, sono dunque frutto di una pratica riflessi-
va che sviluppa apprendimento con la famiglia, dove il coinvolgimento della
stessa è ritenuto fondamentale. L’utilizzo degli strumenti standardizzati è pre-
visto, ma diventa uno dei modi per approfondire il discorso sulla genitorialità
con i genitori, e con cui è possibile raccogliere informazioni e confrontarsi
con i genitori e con i bambini sulle letture possibili della situazione e, soprat-
tutto, sulle possibili soluzioni. Il discorso relativo alla recuperabilità delle
competenze dei genitori in P.I.P.P.I. non viene dunque svolto in astratto, ma
implica di avere chiara la situazione reale della famiglia, mantenendo il focus
sul bambino, sulla sua crescita e sul suo benessere e sul garantire a lui la pos-
sibilità di svilupparsi in modo sano.

4. Un modello multidimensionale
Per mettere in pratica la metodologia della valutazione formativa, LabRief
ha articolato un modello multidimensionale triangolare denominato Il Mondo
del Bambino (Fig. 1)14, costruito a partire dalle varie esperienze internazionali
relative all’Assessment Framework inglese15. Tale modello intende offrire
un supporto per gli operatori per giungere a una comprensione olistica dei
bisogni e delle potenzialità di ogni bambino e di ogni famiglia.

14. P. Milani, S. Serbati, M. Ius, Pippi Programma di Intervento Per la Prevenzione dell’I-
stituzionalizzazione - Guida operativa, Università di Padova e Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali, 2011.
15. R. Parker, H. Ward, S. Jackson, J. Aldgate, P. Wedge, Looking after children: Asses-
sing Outcomes in Child care, Hmso, London 1999.

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Fig. 1 - Il modello multidimensionale triangolare Il Mondo del Bambino

Esso, infatti, fa riferimento a tre dimensioni fondamentali che sono: i biso-


gni di sviluppo del bambino, le competenze dei genitori per soddisfare tali
bisogni, i fattori familiari e ambientali che possono influenzare la risposta a
tali bisogni. Le tre dimensioni compongono quindi i tre lati del triangolo de
Il Mondo del Bambino: Il mio crescere; Di che cosa ho bisogno dalla mia fa-
miglia, Il mio ambiente di vita.
Come è possibile notare dalla Fig. 1, ognuna di queste tre dimensioni è a
sua volta composta da un numero variabile di sotto-dimensioni. Ogni sotto-
dimensione è brevemente descritta nella guida relativa al Mondo del Bambi-
no, con l’obiettivo di supportare l’operatore nell’individuazione delle temati-
che da tenere in considerazione.
Il Mondo del Bambino è considerato sia un modello teorico che uno stru-
mento dell’intervento, utile per orientare la formulazione rigorosa e sistema-
tica di descrizioni accurate della situazione come si presenta qui e ora, al fine
di individuare gli interventi da mettere in campo e tracciare i possibili mi-
glioramenti. Può quindi essere di aiuto nell’accompagnare la negoziazione ri-
spetto alle osservazioni effettuate che porti ad interrogarsi su come fare per
individuare e cambiare le condizioni che ostacolano lo sviluppo del bambino.
P.I.P.P.I. sta proponendo di utilizzare il modello multidimensionale Il Mon-
do del Bambino come strumento comune di progettazione e intervento, anche

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tra scuola e servizi. A questo proposito Ombretta Zanon sottolinea che la re-
lazione scuola e servizi sia difficile da realizzare, proponendo l’adozione di
strumenti integrati per la valutazione e la progettazione, che raccolgano e in-
tegrino i punti di vista di tutti i soggetti attivi con diversi ruoli nella situazio-
ne16.
Il modello multidimensionale Il Mondo del Bambino può diventare quindi
una piattaforma di discussione non solo con i genitori, ma anche con la
scuola e tutti i soggetti del contesto, per la ricerca di soluzioni condivise che
consentono il ben-trattamento del bambino, definito come “insieme dei com-
portamenti educativi dei genitori e di tutta la collettività, volti all’adattamen-
to armonioso del bambino alle condizioni di vita che prevalgono nella col-
lettività”17.
Il Mondo del Bambino si propone come un canovaccio attraverso cui scri-
vere con i genitori le vie che possono garantire il soddisfacimento dei bisogni
evolutivi del bambino. Queste non sono riconducibili ad un unico standard,
in quanto ne esistono molte che possono garantire ai genitori di “fare i geni-
tori”, anche con il supporto delle persone che costituiscono l’ambiente di vita
della famiglia, perché, per poter soddisfare i bisogni di crescita dei bambini
non è sempre necessario che i genitori sappiano rispondere autonomamente a
tutte le richieste di sviluppo provenienti dal bambino. Il bambino cresce bene
anche se può contare su diverse figure tutrici del proprio sviluppo18.
Ciò che importa è riflettere e definire insieme le molteplici strade con cui
poter esercitare la genitorialità. Su ognuna di queste strade i genitori non so-
no lasciati da soli, ma possono contare sull’aiuto e sul supporto delle altre
persone che sono interessate e coinvolte nella costruzione del benessere del
bambino. E il modello viene in aiuto nell’accompagnare genitori e operatori
nel pensare e nell’individuare tutte le risorse che aiutano o possono aiutare a
far crescere e a “educare bene” un bambino.
Inoltre, le strade da percorrere quando si è genitori sono lunghe, e chiedo-
no di non fermarsi, ma di continuare a riflettere sulle modalità più adeguate
con cui i genitori possono fare i genitori, modalità che nel tempo possono
cambiare, migliorare o deteriorarsi. L’importante è, almeno, far sì che il geni-
tore possa essere reso partecipe delle scelte che riguardano la vita del figlio e
garantirgli lo spazio per esprimere il proprio protagonismo.

16. O. Zanon, “Il progetto educativo tra famiglie, scuole e servizi”, in questo stesso fasci-
colo, pp. 212-221.
17. B. Terrisse, “De la bientraitance à la maltraitance: une mince ligne rouge…”, in H. De-
smet, J.P. Pourtois (a cura di), Culture et bientraitance, de Boeck, Bruxelles 2005, pp. 19-23.
18. P. Milani, M. Ius, Sotto un cielo di stelle. Educazione, bambini, resilienza, Cortina, Mi-
lano 2010; B. Cyrulnik, I brutti anatroccoli, Frassinelli Editore, Firenze 2002.

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