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L’ETIMOLOGIA DEL TERMINE ÙṢI-: UNA SINTESI E NUOVE

PROPOSTE

GIACOMO BENEDETTI

In questo articolo vogliamo offrire una sintesi delle ipotesi degli


antichi eruditi indiani, e degli indologi e indoeuropeisti moderni
sull’etimologia del termine ·∑i-, e proporre una nuova ipotesi maturata
nel confronto con alcuni termini greci. Come è noto, i Ù∑i sono figure
centrali della civiltà vedica dell’India antica (ma anche
contemporanea), visti come i rivelatori dei Veda e dunque come i
fondatori storici dell’Induismo ortodosso; tra l’altro, sono considerati
anche come i capostipiti dei Gotra (‘lignaggi’) brahmanici.
Se volessimo sintetizzare i caratteri del Ù∑i quali appaiono dalla
letteratura indiana, possiamo suddividerli in quattro aspetti: 1) la
funzione sacerdotale, che si esprime nella pratica del sacrificio vedico;
2) la creazione e recitazione di poesia religiosa e il rapporto essenziale
con la Parola sacra e rivelatrice; 3) la veggenza e ispirazione, che
hanno affinità con le figure di sciamani, veggenti e profeti di altre
culture; 4) la qualità etico-ascetica, che lo caratterizza soprattutto con
il tápas-, l’ ‘ardore’ legato agli esercizi ascetici, ma anche con la
conformità allo ¤tá-, l’Ordine cosmico, con il satyá-, la ‘verità’, il
vratá-, la ‘regola’ o voto religioso, e con la custodia del dhárma(n)-,
la ‘legge’ (con connotazioni religiose) che sostiene la società.
Questi quattro aspetti sono variamente declinati e accentuati nei vari
testi vedici e post-vedici, e ci forniscono così un indizio dei valori

Studi Linguistici e Filologici Online


ISSN 1724-5230
Volume 7.1 (2009) – pagg. 1-18
G. Benedetti – “L’etimologia del termine Ù∑I-: una sintesi e
nuove proposte”
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fondamentali a cui tali testi fanno riferimento, e dell’interpretazione


che la figura tradizionale del Ù∑i riceve in vari ambienti culturali
dell’India antica.
Accentuando il terzo aspetto, gli studiosi occidentali hanno avuto la
tendenza a tradurre il termine ¤∑i- con ‘veggente’ (seer, voyant,
Seher), in conformità con l’etimologia proposta da Nirukta1 II.11:

¤∑ir darrßanåt. stomån dadarrßety aupamanyava˙.

“[Il termine] ‘Ù∑i’ [deriva] dal vedere (d¤ß-). «Ha visto gli inni di
lode» [affermò] Aupamanyava.”
L’autore Yāska fa derivare ¤∑i- dalla radice d¤ß-, ‘vedere’, riportando
l’autorità di un maestro detto Aupamanyava (nome che indica anche i
membri di una scuola dello Yajurveda). Questa citazione rivela che
tale etimologia era già sostenuta da altri, sulla base della tipica
affermazione dei Brāhmaˆa per cui un Ù∑i ‘ha visto’ (dadarßa) le
strofe degli inni (stoma-) rivolti agli dèi. Da un punto di vista
linguistico, tale etimologia è insostenibile, oltre che per l’assenza della
dentale iniziale di d¤ß- in ¤∑i-, per la diversa natura della sibilante (∑ è
cerebrale, ß palatale).
D’altronde, lo stesso testo presenta subito dopo un’etimologia
alternativa, con la citazione di un passo che ritroviamo in Taittirīya
Āraˆyaka II.92:

1
Il Nirukta, attribuito a Yāska, è un un trattato di spiegazione etimologica del
glossario dei termini vedici detto Nighaˆ†u, e di specifiche strofe del Ùgveda. E’
collocato tra 700 e 500 a.C. (vedi Sarup 1967, p.54).

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tad yad enåµs tapasyamånån brahma svayaµbhv abhyånarr∑at


[ta ¤∑ayo ’bhavan]3 tad ¤∑¥ˆåm ¤∑itvam.
itvam iti vijñåyate.

“«Per il fatto che il Brahman esistente di per sé si avvicinò 4 a loro che


praticavano l’ascesi, [essi divennero Ù∑i,] in ciò [sta] la natura di Ù∑i
dei Ù∑i.» Così è compreso [dall’autorità esegetica].”
Secondo questa interpretazione, che prende quasi la forma di un mito,
i Ù∑i, praticando l’ascesi, hanno avuto un contatto mistico con il
Brahman (la forma brahma indica che si tratta della forma neutra,
ovvero della potenza spirituale fondamentale), che li ha resi autentici
Ù∑i. Si tratta di una concezione chiaramente mistica e metafisica della
figura del Ù∑i, che si distanzia dall’affermazione più tradizionale di
Aupamanyava, benché il Brahman possa essere identificato anche con
il Veda stesso, con la Parola sacra come sede e forma immutabile

2
Infatti tale periodo è seguito dalla formula iti vijñåyate “così è riconosciuto o
compreso”, particolarmente usata per citazioni dai Brāhmaˆa, in questo caso per una
citazione da un Āraˆyaka, categoria affine in quanto autorità esegetica, ma più
orientata in senso mistico, come mostra il contenuto.
3
Le parole tra parentesi quadre sono omesse da gran parte dei manoscritti ed
effettivamente appaiono un’aggiunta che non si armonizza con la costruzione sullo
schema tad yad... tad...
4
Lievemente diversa è la traduzione di Sarup 1967, p.29 (“the self-born Brahma
manifested himself to them while practising austerities”), basata certamente sul
commentario pubblicato da Sarup, che glossa il verbo abhyånar∑at con
ågatam åvirbhËtam ity artha˙ “ ‘venuto, manifestato’, così [è] il significato.”
Secondo Monier-Williams 1899, p.76, il senso di abhy-ar∑- (di cui abhyånar∑at
sarebbe aoristo o piuccheperfetto) è “to flow or run near (acc.), RV.; to cause to flow
near, afford, RV.” Il verbo, scelto perché contiene la radice ¤∑-, indica
essenzialmente un movimento da parte del Brahman verso i Ù∑i, che appare
effettivamente un atto di autorivelazione, resa possibile però dall’ascesi, come se i
Ù∑i aprissero per mezzo di essa un canale in cui può ‘fluire’ il Brahman.

3
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della potenza spirituale. 5 Insieme al contesto metafisico, vi è


un’accentuazione della pratica ascetica, indicata con il verbo tapasya-,
che in ambito vedico troviamo anche in B¤had Āraˆyaka Upani∑ad
III.8.10. Chiaramente, l’ascesi è il prerequisito per la conoscenza del
Brahman, per lo sviluppo della qualità di Ù∑i, vista come l’esito di tale
pratica e di tale conoscenza. Da un punto di vista linguistico, questa
etimologia potrebbe essere formalmente accettabile (la radice del
verbo abhy-ar∑- è compatibile con ¤∑i-), ma appare naturalmente
troppo articolata, inadatta a cogliere il concetto fondamentale
contenuto nel termine, se non altro perché il movimento espresso dalla
radice ¤∑- è attribuito ad una realtà distinta dal Ù∑i stesso.
In un contesto molto più recente, ma probabilmente sulla base di una
tradizione più antica, troviamo in India un’altra etimologia, costruita a
partire dallo stesso verbo ¤∑-, questa volta però ponendo come
soggetto i Ù∑i e non il Brahman; è quella del dizionario ottocentesco
di Tārānātha Tarkavācaspati, citata da Monier-Williams alla voce ¤∑i-:
¤∑ati jñånena saµsåra-påram “va per mezzo della conoscenza oltre il
5
Cfr. Śatapatha Brāhmaˆa VI.1.1.8, dove Prajāpati, sorto dai Prāˆa, desidera
procreare, e, “essendosi sforzato, avendo arso” (sa ßråntas tepåno), creò il Brahman,
ovvero la Triplice Scienza vedica (tray¥- vidyå-). Qui però il Brahman non è
‘esistente di per sé’ (svayaµbhË-), ma creato da Prajāpati. La precisazione del
definire il Brahman come Triplice Scienza, secondo Varenne 1982, p.248, n.5,
“corrige le paradoxe d’une Création du bráhman-.” In altri termini, servirebbe a
distinguere questo Brahman da quello originario; secondo ŚBr. XI.2.3.1, in principio
questo universo era il bráhman-, ma le due cosmogonie appaiono concezioni
alternative: quella che parte da una pluralità di Prāˆa, che poi si uniscono per creare
(per prima cosa il Brahman come Veda) e quella che parte dall’unità di un Brahman
indifferenziato, non identificato con il Veda.
Il Brahman ‘esistente di per sè’ (svayaµbhË-) è invece esplicitamente menzionato
alla fine del secondo Adhyāya della B¤had Āraˆyaka Upani∑ad come fonte prima
dell’insegnamento esoterico.

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ciclo delle rinascite”. Il Ù∑i sarebbe quindi essenzialmente colui che,


grazie alla conoscenza metafisica (jñåna- è un termine che nell’ambito
del Vedānta si riferisce tipicamente alla conoscenza dell’Ātman-
Brahman), trascende il Saµsāra, ovvero il ciclo delle rinascite in cui
l’Ātman (‘Sé, anima’) individuale è imprigionato a causa
dell’ignoranza. L’origine della definizione di Ù∑i sarebbe dunque nel
suo movimento trascendente dovuto a una conoscenza intuitiva: anche
qui siamo in un contesto metafisico, che appare decisamente
inappropriato per l’originario ambito ¤gvedico, in cui i concetti di
Saµsāra e di liberazione risultano assenti. Nonostante ciò, l’idea di un
movimento ascendente associato ad una visione intuitiva potrebbe
davvero essere al cuore del concetto del Ù∑i, come vedremo nel
seguito.

Secondo Hermann Grassmann, autore del Wörterbuch zum Rigveda 6,


il sostantivo ·∑i- indica “der Sänger, als der Lieder ergiessende”
(ovvero che ‘effonde, riversa’ gli inni), derivato dalla radice ¤∑-/ ar∑-,
a cui dà tre valori: come ‘Grundbedeutung’ (‘significato di base’)
propone ‘sich schnell bewegen, dahin schiessen’ (‘muoversi
velocemente, slanciarsi verso’), e in questo senso è attribuito alla
lepre, al carro, al serpente e al falco; il secondo valore è ‘schnell
fliessen, strömen’ (‘scorrere velocemente’), proprio dei liquidi
(‘Flüssigkeiten’), e il terzo ‘etwas herbeiströmen’ (‘far affluire

6
V. Grassmann 1955, alla voce ·∑i-, p.293.

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qualcosa’7). Come si attua il collegamento semantico tra il sostantivo


e questa radice verbale? Grassmann fa notare l’uso di ar∑-, con il
preverbio abhí, e come oggetto su∑ utím (‘bell’inno, lode eccellente’),
nel senso di ‘far scorrere, effondere la lode eccellente verso (il dio)’,
quindi applicato all’ambito poetico-rituale. E aggiunge queste
osservazioni: “Der Uebergang der Bedeutung ist ganz der
entsprechende, wie ihn z. B. arc zeigt, was ursprünglich ‘abschiessen’,
dann ‘Lieder ergiessen, singen’, dann ‘Strahlen schiessen, strahlen’
bedeutet. Die letztere, ‘Strahlen ergiessen’, ist vielleicht da
anzunehmen, wo die sapta ¤∑aya˙ die sieben Hauptsterne des grossen
Bären bezeichnen.”8 Grassmann suppone quindi che ·∑i- possa essere
legato, nella sua accezione astronomica, all’atto di ‘irraggiare’.

Tatiana Elizarenkova, nell’introduzione al suo Language and Style of


the Vedic Ù∑is9, nota che il verbo ar∑- (che lei rende con “to gush
forth, flow swiftly; rush forth” ‘sgorgare, scorrere rapidamente;
precipitarsi fuori’) è attestato prevalentemente nel IX libro del
Ùgveda, quello interamente dedicato al Soma, la sacra bevanda usata
nei sacrifici solenni e capace di stimolare l’ispirazione poetica. Il
verbo indica quindi prevalentemente lo scorrere del Soma nel contesto

7
Quest’uso transitivo di herbeiströmen appare irregolare, ma è dato chiaramente
dall’inserzione dell’oggetto etwas ‘qualcosa’, e corrisponde al secondo significato
dato da Monier-Williams 1899, p.226, al verbo ar∑ati: “to bring near by flowing”.
8
“La transizione del significato è del tutto adeguata, come mostra p.e. arc: ciò che
significa originariamente ‘lanciare’, (significa) poi ‘effondere canti, cantare’, quindi
‘lanciare raggi, irraggiare’. Quest’ultimo significato, ‘effondere raggi’, è forse da
adottare laddove i sapta ¤∑aya˙ indicano le sette stelle principali dell’Orsa
Maggiore.”
9
V. Elizarenkova 1995, pp.17-19.

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rituale, e tale scorrere del Soma può essere assimilato all’effondersi


della parola poetica, che, come il Soma deve essere purificato dal
setaccio, deve essere purificata dal cuore e dalla mente (h·då mánaså),
prima di essere offerta agli dèi in forma di inno. La Elizarenkova
sintetizza così la sua ipotesi: “The ritual orientation of the verb ar∑-
could give rise to the nominal derivative ·∑i- with its complex
semantics: a participant in a rite who drinks the sacrificial liquid and
pours out praises in the form of a hymn.” Per la studiosa russa,
dunque, la figura del ·∑i- è inestricabilmente connessa con il Soma,
oltre che con la produzione poetica finalizzata al sacrificio. Essa nota
anche che il verbo ar-/ ¤- (da cui ar∑- è derivato), che significa
‘mettere in movimento, cominciare a muoversi, sorgere, stimolare,
essere stimolato’ (per lo più transitivo), frequentemente regge un
complemento oggetto di nomi come ‘voce’, ‘parola’, ‘inno’, ‘lode’,
‘preghiera’; per es. stómån iyarmi abhríyeva v≤ta˙ (I.116.1) “Metto in
movimento lodi come il vento le nubi”.

Jan Gonda, invece di risalire a una radice antico indiana, chiama in


causa una possibile parentela col tedesco rasen ‘smaniare, essere
furioso’ e il lituano ar©ùs ‘violento, acceso’. Da questa etimologia
ricava l’ipotesi che il termine ·∑i- “may likewise, in prehistorical
times, have arisen to express some such idea as the German
begeistert”10, aggettivo traducibile come ‘entusiasta, entusiastico’, e
che appartiene anche al campo semantico della poesia. La tendenza di

10
V. Gonda 1963, p.40.

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Gonda è quindi di riportare il termine (in modo analogo si comporta


con kaví- e vípra-) all’ispirazione, piuttosto che all’ambito rituale,
come fanno invece Grassmann e la Elizarenkova. La sua idea è quella
del poeta-veggente, figura presente in molte culture ‘arcaiche’, che
deriva la propria ispirazione da un dio o da una facoltà superiore di
visione spirituale, spesso anche nella forma della ‘possessione’, come
suggerisce in particolare il tedesco rasen.
La fonte di Gonda per questa comparazione è il dizionario etimologico
di Mayrhofer11 nella prima edizione, che più precisamente cita il
medio altotedesco råsen, e, oltre al già menzionato termine lituano,
l’armeno heṙ ‘Zorn’. Tale termine è riconosciuto come imparentato
con ·∑i- da Julius Pokorny12, nella trattazione della radice ere-s-

(varianti rs-, ¤s-, res-), che significherebbe “ ‘fließen’, von lebhafter

Bewegung überhaupt, auch, ‘umherirren’ ” (‘scorrere’, specialmente


di un movimento vivace, anche ‘vagare intorno’) e “aufgebracht,
aufgeregt sein” (‘essere irritato, eccitato’). Ad essa riconduce, oltre al
verbo ár∑ati, il verbo irasyáti, che traduce “zürnt, will übel, benimmt
sich gewalttätig” (‘è in collera, è malevolo, si comporta
violentemente’) il sostantivo ¥r∑y≤- “Neid, Eifersucht” (‘invidia,
gelosia’), e l’avestico .r.ši- “Neid”, a cui accosta direttamente il
vedico ·∑i-, che rende con “Dichter, Seher” (‘poeta, veggente’),
giustificando l’evoluzione semantica con un significato ricostruito di
“Rasender” (‘furioso’). Dalla stessa radice fa derivare il greco 

11
V. Mayrhofer 1956.
12
V. Pokorny 1959, p.337.

8
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“Gott der Rache” (‘dio della vendetta’). La scelta di Pokorny come


quella di Mayrhofer è dunque di attribuire il termine all’idea del
furore, invece che all’idea dello scorrere o dell’effondere, nonostante
entrambi i campi semantici siano riferiti alla stessa radice
indoeuropea; l’accostamento del Ù∑i a un’idea di ira d’altronde si
accorderebbe bene con il tratto, tipico dell’epica, della maledizione
(ßåpa-)13 che il Ù∑i infligge a chi ne offende la dignità, però appare
forzato ridurre la sua figura a questo tratto, che difficilmente si
sarebbe potuto usare come autodefinizione, se non nel senso ben
diverso, inteso da Gonda e Mayrhofer, di furore estatico.
Successivamente Mayrhofer, nella nuova edizione del dizionario14
dichiara tuttavia che il concetto etimologico di ·∑i- non è conoscibile
con certezza, e mette in primo piano il confronto con l’antico avestico
.r.šiš, a cui dà il significato di “Gottesbegeisterter” (‘ispirato o
invasato dal dio’)15. Ancora una volta il riferimento è all’ispirazione,
all’, piuttosto che al contesto rituale. Inoltre cita
l’etimologia di Grassmann da ar∑-, e afferma che è possibile anche

13
Possiamo anche notare che nell’epica un termine associato al Ù∑i è anche kopa-,
‘collera’ (v. Mahābhārata I.43.27).
14
V. Mayrhofer 1988, p.261.
15
Lo hapax .r.šiš si trova in Yasna 31.5, che secondo Humbach (v. Humbach 1959,
p.89) va tradotto, in analogia col Ù∑i vedico, “Gottbegeisterter”, ‘ispirato dal dio’,
invece come “(An)treibung, Inspiration”, ‘stimolo, ispirazione’ secondo Nyberg (v.
Nyberg 1966, p. 204 e p. 208). Un aspetto interessante di questa strofa è che si
richiede una speciale conoscenza legata allo Aša (la Verità-Giustizia analoga allo
Ùta), mentre nella strofa successiva si fa riferimento a una parola sacra portatrice di
Integrità, Giustizia e Immortalità, definita con l’equivalente del vedico mántra-
(mąÊr.m... Haurvatātō Ašahyā Am.r.tātascā). Avremmo quindi Zarathustra che si
autodefinisce come un Ù∑i portatore di una parola dall’efficacia magico-religiosa
inserita in un ordine cosmico volto al bene, in modo del tutto analogo all’ambito
vedico.

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una interpretazione come “*Schreier” (‘colui che grida’), dalla radice


verbale ras- ‘ruggire, gridare, risuonare; lodare’. Bisogna ammettere
che l’azione più comune del Ù∑i nel Ùgveda è quella di lodare, di
recitare gli inni, però si tratterebbe di una qualifica generica
applicabile a qualsiasi sacerdote recitatore, inoltre non sarebbe chiaro
perché si sia dovuta realizzare una variazione di grado apofonico a
partire da un ipotetico *rasi-.

Si potrebbe qui aggiungere al quadro un interessante confronto con i


composti greci in -, - e -16, che sono stati collegati
con il verbo  ‘sollevare, esaltare’, il sostantivo 

16
V. Chantraine 1968, p.22, e p. 823, dove si dice che il primo termine del composto
è forse nome d’agente. Si tratta di composti del tipo (‘che rallegra i
mortali’). Secondo Schindler (citato in Meissner-Tribulato 2002, p.298 e sg.)
contengono dei nomi astratti verbali già pronti (“ready-made verbal abstract nouns”)
e quindi rappresenterebbero una sottosezione dei Bahuvrīhi o composti possessivi.
Lo stesso autore sostiene che, da un punto di vista sincronico, questo tipo di
composti dipende dall’esistenza di una forma verbale sigmatica (aoristi/futuri). Si
può osservare che questa condizione sarebbe realizzata anche in aind., dove accanto
a ·∑i- abbiamo l’aoristo år∑¥t del verbo ¤- (in quest’ottica, il sostantivo andrebbe
collegato piuttosto a questo verbo che al verbo ¤∑-).
E’ interessante anche notare che questo tipo di composti si trova in miceneo (v.
Meissner-Tribulato 2002, p.305 e sg.) in alcuni nomi propri, come Manasiweko
‘colui che è consapevole del proprio lavoro’ (analogo a ) e Otinawo,
che è stato accostato all’omerico , considerato equivalente di
(v. Il. V.542, 546, 547, 549, e Chantraine 1968, p.823).
17
Queste due forme verbali, la prima ionica e poetica, la seconda attica, derivano
secondo Boisacq 1950, p.15, rispettivamente da *ϝe ϝ, da mettere in
relazione con aind. vár∑man- ‘altezza, cima’. Secondo Chantraine 1968, p.23, la
forma di Alcmane conferma che bisogna partire da ϝ, forma in
cui, a livello indoeuropeo, l’ iniziale sarebbe una protesi o un Ə ₂(secondolateoria


dellelaringalisidirebbeun h₂).Apropositodi ,


osserva che non può essere la
contrazione di che darebbe *ᾄ(come ᾄda ), e propone l’ipotesi

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‘sollevamento, elevazione’, il verbo  ‘faccio sorgere, alzarsi;


eccito, spingo, sollevo’ (cfr. anche aind. ¤∑vá- ‘alto, elevato’ e
¤ˆoti / ¤ˆvati, dal già menzionato verbo ¤- ‘muoversi, sorgere;
muovere, eccitare, far sorgere’). Ebbene, questi composti poetici ci
riportano insistentemente nella sfera dell’ispirazione o dello stimolo:
significa ‘animatore, suscitatore di battaglie’ (Bacchilide
12.100), ‘che solleva l’animo’19, epiteto che troviamo
sempre in Bacchilide 12.73 e, secondo il lessico di Liddel-Scott20, è
riferito al vino in Ione, fr.86 (Elegia, v. 9) e a Bacco nei Frammenti
orfici, 280 (ed. Kern). A questo proposito, è suggestivo il confronto

di Heubeck che pone come origine *sr- ‘alto’ rappresentato in ittita. Proposta che
appare ingiustificata, visto che non abbiamo aspirazione come traccia della sibilante.
Si potrebbe invece pensare che  venga semplicemente da *,
dall’originaria radice *¤- citata, per il vedico, da Elizarenkova, e che secondo
Pokorny 1959, p.326 (radice i.e. er- or- r-) significa “sich in Bewegung setzen,
erregen (auch seelisch, ärgern, reizen); in die Höhe bringen (Erhebung,
hochwachsen)”, ‘mettersi in movimento, eccitare (anche psichico, irritare,
stimolare); portare in alto (elevazione, crescere in alto)’.
18
Secondo Boisacq 1950, p.714, questo verbo deriva da i.e. *er- *ere- ‘mettere in
movimento, eccitare, elevare; muoversi; ondeggiare, scorrere’. A proposito del
vocalismo iniziale, cita (p.715) Persson e J. Schmidt che suppongono che  è
modificato dal regolare (¤) sotto l’influenza di un successivo (: aind.
¤ˆóti, : st¤ˆóti). Chantraine 1968, p.824, cita l’opinione di Ruiperez, che
suppone che da un aggettivo verbale i.e. *st•-to- > sarebbe stato creato uno
*st•-neumi, con sonante lunga da cui *ῡ; lo stesso per
Invece E. Bader (ibidem) vede in  uno dei trattamenti possibili di ¤.
Pokorny 1959, p.327, riporta anche questo verbo alla radice i.e. er- or- r- (v. n.
prec.), mentre Rix 1998, p.226, distingue, secondo la teoria delle laringali, una
radice *h₃er dal significato di “sich in (Fort-)Bewegung setzen” (‘mettersi in
movimento (progressivo)’), da cui fa derivare ved. íyarti, «rte, ¤ˆóti e gr. 
19
Secondo il Thesaurus Graecae Linguae (v. Estienne 1954), tale vocabolo significa
“Attollens mentem, vel Alte attollens, i.e. Superbus.” Quindi il sollevare l’animo
potrebbe essere anche riferito al soggetto in questione, con un’azione mediale, e non
ad un’azione transitiva su di una persona esterna.
20
V. Liddell-Scott 1996, p.28.

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con l’epiteto ·∑imanas- che è riferito al Soma in ÙV. IX.96.18, e che è


generalmente interpretato come ‘che ha la mente di un Ù∑i’, ma che
potrebbe anche significare, analogamente al termine greco in un
contesto straordinariamente affine (quello delle bevande psicotrope,
anche divinizzate), ‘che solleva, stimola la mente’. Secondo Liddel-
Scott21 lo stesso  è usato da Nonno di Panopoli (riferito
alla Musa Urania in Dionisiache 33.67), nel senso di “increasing
intelligence”. Il nome femminile appare in Clemente
Alessandrino, Protrettico 27, 30, come amante di Apollo, il dio
dell’ispirazione profetica;  è il nome di una ninfa 22, ovvero
di un’altra entità legata all’ispirazione.
Queste due ultime forme con l’alternanza fa
pensare che si parta da un originario *¤sinoå che ha dato esiti diversi
in differenti dialetti ellenici23, piuttosto che tali composti siano
derivati dai due verbi distinti e ; diverso appare il caso

21
Ibidem.
22
V. Estienne 1954, p.2243, che lo riporta a Schol. Vat. Eur. Rhes. 36.
23
In Cirenaica, a Thera e in Epiro si trova anche il nome proprio (v.
Fraser-Matthews 1987, p.81 e Fraser-Matthews 1997, p.72). La forma 
appare molto più diffusa (a Cipro, a Delo, a Rodi, ad Atene, in Illiria, in Beozia, v.
Fraser-Matthews 1987, p.81, Fraser-Matthews 1994, p.65, Fraser-Matthews 1997,
p.72, Fraser-Matthews 2000, p.67), mentre non abbiamo trovato altre attestazioni di
 come nome proprio. Esiste anche la forma maschile , che
troviamo a Cipro (v. Fraser-Matthews 1987, p.81) e in Beozia (v. Fraser-Matthews
2000, p.67).
24
E’ vero che rientra bene in questo contesto Od. I.347: ‘rallegrare come la mente
gli ispira’ (), che mostra l’esistenza di un rapporto
tra e , ma tale rapporto può essere inteso in senso lato come un
rapporto della radice ¤- con la stimolazione della mente.

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di , che dovrebbe derivare da una forma ϝ,


analogamente al verbo (v. n.17), però la costruzione e il senso
appaiono del tutto analoghi.
Questa constatazione può farci riconsiderare in questo senso tutta la
serie di composti, che appartiene a due ambiti eminentemente arcaici e
conservativi, quali sono quello del vocabolario poetico e
dell’onomastica.
Un altro termine analogo è ‘che solleva, che desta, che
rallegra il cuore’25, riferito a Dioniso in un’iscrizione. 26 Lo stesso
Dioniso è ‘che ispira le baccanti’, in Bacchilide 19.49.
Nel Lexicon of Greek Personal Names27 troviamo il nome
28, attestato ad Atene nel 505 a.C. c. a, in un composto
analogo al nome e all’aggettivo  ‘ostile’, da
confrontare con l’aind. durmanas-29, da una forma comune
*dus-manås così come il nome greco citato e l’epiteto ·∑imanas- si
possono riportare ad una forma comune *¤si-manås.30 In questa ottica,

Diverso appare il caso di , che dovrebbe derivare da una forma ϝ,
analogamente al verbo (v. n. 15), però la costruzione e il senso appaiono del
tutto analoghi.
25
Secondo l’Etymologicon Magnum di Th. Gaisford, tale vocabolo significa infatti
(v. Estienne 1954, p.772, che invece lo traduce
“Superbus”).
26
Riportata in Mitteilungen des deutschen archäologischen Instituts, Athenische
Abteilung, 1892, 17, 273.
27
Fraser-Matthews 1994, p.354.
28
Si confronti anche l’insolita forma  attestata a Creta, v. Fraser-
Matthews 1987, p.354.
29
V. Chantraine 1968, p.685.
30
Per completare il quadro, si può citare il nome che si trova attestato a Rodi
intorno al I sec. a.C. - I sec. d.C. (V. Fraser-Matthews 1987, p.354) e in Egitto nella
Charta Borgiana 4, 9 (v. Estienne 1954, p.2244).

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l’analogo epiteto ¤∑ik·t- (che troviamo nella stessa strofa ÙV. IX.96.18
riferito a Soma e in ÙV. I.31.16 riferito ad Agni) può essere anche
interpretato come ‘che crea stimolazione o ispirazione’, intendendo il
primo elemento come designante una condizione dinamica dello
spirito piuttosto che lo status di un Ù∑i che è ‘creato’ dal Soma o da
Agni.
Tutto ciò ci può suggerire il senso etimologico di ·∑i- come colui che
ha come attributo l’ispirazione (in modo comparabile ai nomi-radice
che possono fungere sia da nomi d’azione sia da nomi d’agente31), in
altri termini colui che ha la mente stimolata, ispirata o innalzata,
grazie all’assunzione del Soma e alla meditazione estatica rafforzata
dall’ascesi-ardore (tápas-), in modo tale da poter comporre inni
ispirati in lode degli dèi.
In questo modo, troveremmo anche una singolare corrispondenza con
l’etimologia della parola ‘sciamano’ indicata da I.M. Lewis32: “La

31
Cfr. p.e. dví∑- ‘ostilità’, ma anche ‘persona ostile, nemico’, oppure drúh- ‘che
danneggia, demone’ e ‘offesa, danno’, o ancora bhúj- ‘fruizione’ e ‘fruitore’ (v.
Burrow 1955, p.122, che osserva anche che come secondo membro di un composto
questi nomi radice hanno solo la funzione di nomi d’agente). Esistono anche
numerosi nomi d’azione in –i, normalmente femminili, come jálpi- ‘mormorare’,
dhr≤ji- ‘impulso, forza’, cití- ‘intelletto’ (v. ibidem, p.178). Un caso interessante nel
nostro contesto è quello di ßúci-, che significa sia ‘purificazione, purezza’, sia, come
aggettivo, ‘splendente, puro’. Analogamente, ·∑i- potrebbe significare sia
‘ispirazione’ sia ‘ispirato’ (cfr. n.15), anche se si tratta di una traduzione inadeguata,
dato che ‘ispirato’ ha un senso passivo, mentre non si tratta qui di un’ispirazione
derivante da una potenza esterna, ma piuttosto interna alla mente del Ù∑i.
32
Lewis 1972, p.41. La corrispondenza non è ricercata ad hoc, avendo elaborato
l’etimologia prima di leggere il brano di Lewis. D’altro lato, Hamayon 2005, p.9,
sostiene una differente interpretazione del termine: “Le mot toungouse saman (verbe
samna-mi) appartient à une racine présente dans toutes les autres langues altaïques,
véhiculant une idée de mouvement, en particulier de la partie inférieure ou
postérieure du corps. Le verbe mongol samakh signifie ‘s’agiter’.” Si tratta di
un’interpretazione in senso puramente gestuale, coerente con la posizione della

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parola tungusa shaman (pronunciata saman tra i vicini Manciù)


significa letteralmente ‘colui che è stimolato, commosso, sollevato’ (e
questo, a proposito, assomiglia molto alle connotazioni di altre parole
in altre lingue impiegate per descrivere la possessione).”
Anche il concetto di Ù∑i potrebbe dunque avere la stessa origine del
concetto di sciamano centro-asiatico, con cui condivide alcuni tratti
(come l’estasi, la visione, il rapporto personale con gli dèi, il viaggio
spirituale e l’assunzione di sostanze psicotrope), anche se
naturalmente i successivi sviluppi sono divergenti, e la realtà religiosa
e sociale in cui si inserisce il Ù∑i vedico in India è molto diversa da
quella dei popoli di cacciatori o di pastori della Mongolia e della
Siberia presso cui opera lo sciamano.

Giacomo Benedetti
giacomobenedetti@hotmail.com

studiosa francese (critica verso l’identificazione dello sciamanesimo con la trance


estatica), che si differenzia da quella sostenuta da I.M. Lewis, di tipo invece
psicologico, dove il sollevamento non è del corpo ma dello spirito. Si può anche
ragionevolmente supporre che nella cultura sciamanica movimento fisico e psichico
siano coincidenti, e che lo stesso verbo in tunguso o in mongolo sia applicabile in
entrambi i campi, così come in italiano l’atto di ‘agitarsi’ coinvolge sia il corpo sia
la mente.

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