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______________________________________________
Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione per le
Culture e le Arti
Introduzione 2
Capitolo I
Contesto storico-culturale 4
1.1 La colonizzazione dell’Islanda 4
1.2 La cristianizzazione 7
1.3 La letteratura islandese 8
1.4 I carmi dell’Edda e l’Edda di Snorri 12
Capitolo II
Contesto mitologico 18
2.1 L’origine del cosmo 18
2.2 Le stirpi divine: gli Asi e i Vani 21
2.2.1 Odino 24
2.2.2 Tyr 26
2.2.3 Thor 27
2.2.4 Baldr e Loki 29
2.2.5 Njörðr, Freyr e Freyja 30
2.3 Gli esseri soprannaturali: valchirie, norne, elfi, nani e giganti. 32
2.4 I nove mondi 36
Capitolo III
Gli elfi nella cultura germanica 38
3.1 Le stirpi alfiche 43
3.2 Gli elfi nella cultura anglosassone 48
Capitolo IV
Folclore ed elfi nell’Islanda contemporanea 56
4.1 Jón Árnason e Magnús Grimsson: le prime raccolte 56
4.2.1 Raccolte folcloristiche 58
4.3 Gli elfi dei racconti popolari 59
4.4 Huldufólk e islandesi 70
4.5 Fatti di cronaca 81
Conclusione 89
Bibliografia 93
Altri documenti 98
Sitografia 98
1
INTRODUZIONE
Nell’odierna Islanda, elfi e altri spiriti sovrannaturali riescono ad influenzare la vita
di molte persone, a catturare l'attenzione dei media, a concentrare l'interesse di
studiosi. Eredità di una tradizione culturale molto antica, essi continuano a far parte
integrante della cultura e della storia contemporanea dell’isola. Nonostante si sappia
molto sulla mitologia norrena, poche sono le informazioni che ci sono state
tramandate, in epoca medievale, sugli elfi, limitate, in realtà, a qualche breve
accenno nelle maggiori opere mitologiche scandinave. Eppure, a differenza degli dèi
del phanteon nordico, gli elfi sono sopravvissuti per secoli, dopo la cristianizzazione,
nel folclore islandese, fino ad arrivare ai giorni nostri. L’obiettivo del presente studio
è analizzare la figura dell’elfo nella sua trasformazione nel tempo, partendo da
un’analisi mitologico-letteraria basata sulle antiche fonti a disposizione (l’Edda
poetica e l’Edda in prosa di Snorri Sturluson in particolare), passando attraverso la
cultura popolare codificata in racconti e leggende, e giungendo, infine, all’esame
delle ricerche moderne che indagano sull’atteggiamento odierno degli Islandesi nei
confronti di questi esseri mitologici.
Per meglio comprendere il ruolo e lo status degli elfi all’interno del sistema
culturale islandese, si delineeranno, inizialmente, il contesto storico-culturale
dell’isola e gli elementi fondamentali della mitologia nordica, allo scopo di mostrare
come tali elementi culturali si siano conservati e trasformati.
Nel primo capitolo verranno presentati il contesto storico-culturale islandese e gli
eventi che precedono e seguono la cristianizzazione dell’isola, come la
colonizzazione vichinga e analizzeranno le opere medievali che costituiscono il più
ricco patrimonio letterario norreno.
Nel secondo capitolo, che tratterà del contesto mitologico, si mostreranno i
principali dèi del mondo norreno (divisi in due stirpi), la cosmogonia nordica e,
quindi, le origini del mondo secondo la mitologia norrena e le creature sovrannaturali
che ne fanno parte.
Dopo i primi due capitoli, che forniscono un quadro generale dentro al quale si
muove questo studio, il terzo esaminerà più dettagliatamente la figura degli elfi
all’interno della tradizione germanica. Partendo dai testi e soffermandosi sull’Edda
in prosa di Snorri Sturluson, si passerà alla figura dell’elfo nella tradizione
2
anglosassone, esaminata da Alaric Hall nel suo lavoro Elves in Anglo Saxon-
England1.
Il quarto capitolo, relativo al folclore islandese, presenterà il primo lavoro di
raccolta di racconti e leggende popolari islandesi e i successivi progressi ottenuti in
questo campo grazie al lavoro effettuato dall’Istituto Arnamagnano e dal
Dipartimento di Studi Folcloristici dell’Università di Reykjavík. Si mostrerà il ruolo
degli elfi all’interno dei racconti popolari, la loro trasformazione nel corso del tempo,
sino a giungere all’età contemporanea, in cui il folclore su questi esseri occupa un
posto di primo piano tra la popolazione.
Si ringrazia in maniera particolare il professor Terry Gunnell 2 che ha fornito (oltre
ad altro materiale) una copia del questionario, tradotto da lui dall’islandese
all’inglese, utilizzato per i suoi sondaggi, insieme alle tabelle dei risultati ricavati da
tali ricerche.
L’immagine del frontespizio rappresenta una tipica ‘porta elfica’ che gli islandesi
disegnano e appoggiano alle rocce quando credono che lì vivano degli elfi 3.
1
A. Hall, Elves in Anglo-Saxon England (Woodbridge: The Boydell Press, 2007).
2
Professore e capo del Dipartimento di Studi Folcloristici dell’University of Iceland, Reykjavík.
3
L’immagine è stata presa da un blog su internet, purtroppo non vi era indicato il luogo e l’autore
dello scatto. http://www2.macleans.ca/wp-content/uploads/2012/05/MAC21_WORLDNOTES04.jpg.
Consultato 10/06/2013.
3
CAPITOLO I
CONTESTO STORICO-CULTURALE
4
‘Il salto dell’isola’ è un metodo di navigazione quasi a vista, che consiste in spostamenti brevi da
un’isola all’altra sino al raggiungimento della meta prefissata.
5
J. Jesch, ‘Geography and Travel’, in A Companion to Old Norse-Icelandic Literature and Culture,
ed. McTurk (Oxford: Blackwell Publishing, 2005), pp. 119-135, p. 124. Óláfr Tryggvason, uno dei re
Vichinghi della fine del X secolo è commemorato dal suo poeta di corte, l’islandese Hallfreðr
Troublesome-skald, nel poema Óláfsdrá (contenuto nella storia dei re di Norvegia: Fagrskinna).
6
M.V. Molinari, La filologia germanica (Bologna: Zanichelli, 1987), p. 91.
4
Dalla metà del X secolo le invasioni sono testimoniate anche da iscrizioni runiche
svedesi e versi scaldici norvegesi 7. I viaggi commerciali e di colonizzazione li
portarono dapprima in Islanda e poi in Groenlandia, la quale era stata
originariamente chiamata ‘Greenland’ da Erik il Rosso per attirare nuovi coloni.
Inoltre, la Vinland Saga ci testimonia una presenza vichinga in Nord America: la
storia narra di un certo Bjarni che, diretto in Groenlandia, sbagliò la rotta a causa di
una tempesta e giunse in una terra sconosciuta. Al quarto tentativo riuscì finalmente
a trovare la Groenlandia e raccontò delle sue scoperte ad Erik il Rosso.
Quando i Vichinghi arrivarono in Islanda 8 trovarono una terra quasi disabitata. I
pochi abitanti dell’isola erano i monaci celtici, provenienti dall’Irlanda e di religione
cristiana. Il Cristianesimo di stampo celtico-irlandese è basato sull’individualismo e
l’ascesi mistica, raggiungibile solo grazie a lunghissimi e solitari pellegrinaggi, i
quali portarono alcuni di questi monaci sulle lande islandesi. L’emigrazione verso
l’isola aumentò quando il re norvegese Harald Hárfágr (875-945 circa) tentò di
unificare il regno e sottomettere tutta la Norvegia, sul modello dell’Europa centro-
meridionale. I sovrani settentrionali avevano generalmente rispettato, sino ad allora,
l’autonomia di ogni piccola comunità in cui si organizzava tradizionalmente la
società scandinava, ossia la Sippe. La Sippe, o per meglio dire la famiglia, è
l’istituzione fondamentale su cui si regge originariamente la società germanica, la
quale si riconosce come gruppo dalla discendenza di un antenato. Gli avvenimenti
che riguardano l’insediamento nella terra islandese sono contenuti nel Landnámabók,
ossia il libro dell’acquisizione della terra, il quale presenta un elenco delle proprietà
terriere narrando anche la storia delle prime famiglie. Quest’opera è forse il testo più
complicato tra gli scritti dell’antica Islanda. Se ne hanno cinque versioni e nessuna di
esse rappresenta l’archetipo: tre versioni sono medievali e le altre due del XVII
7
Ibid.
8
H. Þorláksson, ‘Historical Background’: Iceland 870-1400’, A Companion to Old Norse-Icelandic
Literature and Culture, ed. McTurk, p. 136-154, p. 136. Ari Þorgilsson nel suo Islendingabók (Libro
degli islandesi) i primi insediamenti in Islanda risalirebbero all’ 870. Fatto supportato dai ritrovamenti
di tracce di attività umane all’interno di strati di tephra, ossia particelle di cenere, pomice e altri
materiali eruttati dall’attività vulcanica, i quali risalgono proprio a quel periodo.
5
secolo9. Questi scritti mostrano come l’Islanda avesse soprattutto rapporti
commerciali e culturali con la Novergia. In particolare, la versione di Haukr
Erlendsson, Hauksbók mostra le principali rotte da e per l’Islanda:
Learned men say that it is seven days’ sailing from Stad in Norway to
Horn in eastern of Iceland, and four days’ sailing from Snæfellsnes [in
western Iceland] to Hvarf in Greenland. Hvarf is reached by sailing due
west from Hennøya in Norway, and then one will have sailed to the north
of Shetland so that it can only be seen if there is good visibility at sea, and
to the south of the Faeroes, so that the sea is [i.e. appears to be] halfway
up the slopes, and to the south of Iceland so that they can see its birds and
whales. From Reykjanes in the south of Iceland it is three days’ sea-
journey south to Slyne Head in Ireland, and from Langanes in the north of
Iceland it is four days’ sailing to Svalbard in the north to the gulf, and
from Kolbeinsey [an island north of Iceland] it is one day’s sailing north
to the uninhabited areas of Greenland. 10
9
S. Würth, ‘Historiography and Pseuso-History’, in A Companion to Old Norse-Icelandic Literature
and Culture, ed. McTurk, pp. 155-172, p. 158.
10
J. Benediktsson, Íslendingabók og Landnámabók (Reykjavík: Íslenzka Fornritafélag, 1968), pp. 33-
35, citato in Jesch, ‘Geography and Travel’, pp. 119-120. La traduzione dall’islandese all’inglese è di
Jesch, mentre tutte le successive traduzioni dall’inglese all’italiano sono state fatte personalmente.
6
1.2 LA CRISTIANIZZAZIONE
In Islanda la conversione al Cristianesimo venne accolta tramite decisione
dell’assemblea generale Alþing nella Þingvellir11 nell’anno 1000 ed accettata più
nella sua forma esteriore che in quella spirituale. L’adorazione verso gli dèi pagani
all’alba del X secolo non doveva essere un elemento dominante nella società
Islandese. I coloni provenienti da diverse parti della Scandinavia, ma soprattutto
dalla Norvegia, portarono una serie di credenze spirituali che comprendevano la
venerazione degli dèi nordici, Asi e Vani 12. Tali credenze, insieme a quelle sugli
spiriti ed esseri soprannaturali, non scomparvero con il Cristianesimo e così non era
difficile per gli islandesi credere simultaneamente sia in Cristo sia negli dèi della
vecchia tradizione.
Le modalità con cui venne adottato il Cristianesimo sottolineano il carattere
pacifico e diplomatico degli islandesi13. Óláfr Tryggvason (960-1000), re di
Norvegia dal 995 al 1000, provò a imporre il Cristianesimo agli islandesi prendendo
in ostaggio il figlio del più ricco tra gli abitanti dell’isola e chiedendo come
“riscatto” la cristianizzazione. La disputa venne risolta allo stesso modo di tutte le
altre, cioè indicendo un’assemblea e fu raggiunto un compromesso grazie
all’intervento di un giudice. Venne scelto l’oratore Þorgeirr Þorkelsson, il quale
stabilì che tutti dovessero seguire e rispettare le stesse leggi e ne varò una in cui si
dichiarava che tutti gli islandesi dovessero essere cristiani. Alcune delle vecchie
tradizioni religiose furono mantenute e alle persone fu permesso di fare sacrifici agli
dèi pagani in privato; tuttavia alcuni anni dopo questi costumi vennero aboliti. Per
fare in modo che il Cristianesimo si affermasse sul territorio, questo doveva essere
predicato nella lingua del popolo e non in latino, ma ciò non fu possibile fino a
quando non si istituì una casta ecclesiastica in Islanda. Il primo vescovo fu Íslefr
Gizurarson consacrato nel 1056, il quale ricevette un’educazione teologica nel
convento di Herford in Sassonia. Fu soprattuto grazie al figlio Gizurr, divenuto
11
Il parlamento islandese fu stabilito in questo luogo dal 930 al 1789, ma dal 1930 la zona della
Þingvellir (situata nella parte sud-occidentale dell’Islanda) è diventata un parco nazionale.
12
Si veda il II capitolo, paragrafo 2.2.
13
Þorláksson, ‘Historical Background’, p. 145.
7
vescovo di Skálholt nel 1082 che la casta ecclesiastica prese forma 14. Egli decise che
anche gli abitanti del nord dovessero avere una propria diocesi, così Jón
Ogmundarson divenne vescovo di Hólar. Tutto questo era di fondamentale
importanza per l’insegnamento dei precetti cristiani. Molti dei primi monaci non
avevano desiderio di imparare, ma speravano solo di poter salvare la loro anima dopo
una vita di lotte e spargimenti di sangue. Non era certamente facile per loro imparare
versi di preghiere in latino e la traduzione in lingua volgare era diventata una
necessità. Jón Ogmundarson fece costruire una cattedrale nel 1106, delle scuole e
portò studiosi stranieri per insegnare il latino. Agli inizi del XII secolo tutti gli sforzi
erano diretti verso l’insegnamento della dottrina cristiana e, di conseguenza, al
soffocamento di tutto ciò che ricordava il paganesimo15. Gradualmente vennero
inserite feste canoniche dedicate ai santi conosciuti nelle zone del Mare del Nord e,
ben presto, quelle dedicate ai nuovi santi islandesi16. I nuovi avvenimenti, nonché le
successive dinastie ecclesiastiche vennero registrati negli annali, i quali servirono a
tramandare ai posteri documenti storici precisi. Si utilizzarono diversi approcci per la
registrazione delle date: queste si riferivano alla morte di uomini noti, spesso erano
accompagnate da una lista di individui deceduti lo stesso anno e/o da un riassunto di
eventi importanti accaduti durante la vita del defunto17.
14
Sulle modalità della cristianizzazione, si veda M. Cormack, ‘Christian Biography’, in A Companion
to Old Norse-Icelandic Literature and Culture, ed. McTurk, pp. 27-42, pp. 28-29.
15
Þorláksson, ‘Historical Background’: Iceland 870-1400’, p. 145.
16
Per il calendario liturgico islandese e le storie dei santi si veda: M. Cormak, The Saints in Iceland:
their Veneration from the Conversion to 1400 (Brussels: Société des Bollandistes, 1994), pp. 13-24 e
32-40.
17
Cormack, ‘Christian Biography’, p. 36.
18
Molinari, La filologia germanica, p. 15.
8
anteriore a quella noi nota; tracce che dovrebbero fungere da raccordo tra l’età delle
grandi migrazioni e quella della colonizzazione 19. Ad esempio l’iscrizione sul corno
d’oro di Gallehus, ritrovato in Danimarca nel 1639 e risalente al V secolo, presenta i
segni del fuþark antico e una forma di allitterazione che ricorda la successiva poesia
scaldica20.
Furono, tuttavia, le missioni cristiane a render possibile la conservazione sia pur
parziale dell’antico, operando dovunque una rivoluzione civile, letteraria e artistica.
Non diversamente da quella di altri popoli, l’antica letteratura nordica fiorì per secoli
in anonima tradizione orale e giunse solo tardi a quella forma scritta nella quale ci è
dato oggi conoscerla. Senza dubbio ebbero una funzione fondamentale le prime
scuole di stampo ecclesiastico da cui vennero fuori studiosi prestigiosi: uno di questi
fu Ari Þorgillsson (1067/8-1148), l'iniziatore della tradizione storiografica islandese.
Ordinato prete probabilmente dal vescovo Gizurr, profondamente interessato alla
storia dell'Islanda precristiana e alle vicende della conversione al cristianesimo, Ari
descrisse questi eventi con notevole precisione e autorevolezza nell'unica opera che
di lui ci è pervenuta, l’Íslendingabók, un volume di ridotte dimensioni ma di
straordinario valore storico e letterario21. Un’altra fonte islandese risalente al XII
secolo è il Landnámabók basato in parte su materiale più antico. Sino alla metà del
XII secolo la maggior parte dei manoscritti sono di provenienza clericale: un testo
che ci è pervenuto in forma originale, attribuibile agli anni tra il 1121 e 1139
contiene una ‘tabula Pascalis’22. I testi successivi, del XIII secolo, ebbero uno
stampo biografico e iniziarono a narrare le storie di uomini eminenti norvegesi.
L'Islanda era infatti sottomessa alla diocesi di Tronðeim (Norvegia orientale), cosa
che comportò l'incremento dei rapporti religiosi fra i due Paesi e l'inizio di un vero
predominio culturale della Norvegia. I monasteri cominciarono a trascrivere le storie
19
M. Gabrieli, Le letterature della Scandinavia (Firenze: Sansoni, 1969), p. 10.
20
Ibid.
21
L’opera è ora conservata in due trascrizioni (AM 113a e AM 113b) a Reykjavík, eseguite nel XVII
secolo da un certo Jón Erlendsson. Si veda A.M. Luiselli Fadda, Tradizioni manoscritte e critica del
testo nel Medioevo germanico (Bari: Laterza, 1994), p. 102.
22
H. Benediktsson, Early Icelandic Script as Illustrated in Vernacular Texts from the Twelfth and
Thirteenth Centuries (Reykjavìk: The Manuscript Institute of Iceland, 1965), p. 35, citato in Luiselli
Fadda, Tradizioni manoscritte e critica del testo nel Medioevo germanico, p. 101.
9
dei re di Norvegia: la più antica e anonima biografia è quella di Ólafr Haraldsson 'il
Santo', oggi conservata a Oslo nel manoscritto NRA 52 23.
Oltre alle preminenti opere storiche che i monasteri produssero, non mancano
opere con intenti puramente artistici. I più antichi componimenti risalgono all’età
vichinga e riguardano il vero nucleo della letteratura islandese: i carmi eddici, la
poesia scaldica e le saghe.
Il Codex Regius24 contiene carmi di natura mitica, gnomica ed eroica e sono
disposti in un certo ordine, che probabilmente rispecchia l’idea di chi curò l’intera
raccolta, forse attingendo da altri manoscritti o forse dalla propria o altrui memoria 25.
In particolare i carmi mitici costituiscono uno dei più grandi tesori riguardanti il
pantheon norreno e quattro di loro sono centrati sulla figura più eminente fra gli dèi,
cioè Odino26.
La poesia scaldica è quella che contraddistingue il mondo germanico, con il suo
gusto per la metafora fine a se stessa, dell’indovinello, del gioco di parole, di una
metrica rigida il cui “virtuosismo formale, insomma, disorienta” 27. Eppure, non meno
degli altri due grandi “generi” della letteratura norrena, anche questa poesia
rispecchia gli ideali e i modi di vita della società e dell’età vichinga. L’ideale
vichingo, poi destinato per secoli a diventare uno dei temi più stereotipati delle
letterature nordiche, si può dire trovi qui la sua prima e pregnante espressione
artistica28.
Uno degli scrittori e poeti islandesi più importanti è Snorri Sturluson al quale sono
attribuite parecchie opere e saghe tra cui l’Ynglinga saga, storia della discendenza di
Yngvi29 e dei re di Svezia, sulla quale è basata parzialmente la Heimskringla, storia
dei re norvegesi. Sua è anche quella che può essere considerata la ‘bibbia’ della
23
Luiselli Fadda, Tradizioni manoscritte e critica del testo nel Medioevo germanico, p. 103.
24
Si veda il paragrafo 1.4 in cui si parlerà in maniera più approfondita dei carmi dell’Edda.
25
Gabrieli, Le letterature della Scandinavia, p. 13.
26
I carmi in questione sono: Völuspá, Hávamál, Grímnismál e Sigdrífumál; sulla figura di Odino si
veda il capitolo II.
27
Gabrieli, Le letterature della Scandinavia, p. 37.
28
Ibid., p. 38.
29
Yngvi è uno degli appellativi del dio Freyr. G. Chiesa Isnardi, Leggende e miti (Milano: Rusconi,
1977), p. 8.
10
mitologia norrena insieme al Codex Regius, l’Edda. L’Edda di Snorri è anche un
importante manuale di poesia scaldica che fornisce le istruzioni ai poeti che vogliono
cimentarsi in questa difficile arte30. Questo tipo di poesia nasce nell’aula regia e i
principali motivi di ispirazione sono la rievocazione della battaglia (che è quasi
assente nei carmi eddici) che celebra e misura le virtù del capo e dei suoi prodi in
base ai canoni d’ogni società guerriera: il concetto dell’onore, il culto dell’eroismo e
il disprezzo della morte, l’amore per le armi e per lo spirito d’avventura.
Proprio dalla poesia scaldica, le saghe attingono le loro avventure e figure eroiche,
talvolta sono esse stesse delle semplici parafrasi31. A partire dal XIII secolo, in
Islanda i racconti in prosa vengono fissati su pergamena e come i carmi eddici e i
versi scaldici hanno dietro una lunga tradizione orale. Le saghe norrene sembrano
essere un prodotto islandese nato dai fatti memorabili della colonizzazione dell’isola
e della storia norvegese più o meno a questa connessa32. È verosimile pensare che
fatti menzionati nell’ Íslendinagabók di Ári, e più ancora i brevi aneddoti del
Landnamabók, siano stati i primi nuclei narrativi della saga (conflitti amarmati fra
individui o famiglie, liti giudiziarie, offese, vendette e riconciliazioni) 33.
In Islanda, narrare le saghe era un vero e proprio intrattenimento sociale durante le
lunghe sere invernali, ma affidando alla pergamena il loro patrimonio narrativo gli
islandesi ne permisero non solo la conservazione, ma anche una maggiore
elaborazione artistica34. Si presenta come biografia di un individuo o di una stirpe,
come narrazione di vicende e di fatti, direttamente osservati o attinti da testimonianza
altrui, esposti sempre con una lingua semplice, realistica, quasi quotidiana, ignara di
epiteti esornativi come di accensioni liriche, in uno stile uniforme 35.
30
Si veda il paragrafo 1.4.
31
Gabrieli, Le letterature della Scandinavia, p. 38.
32
Ibid., p. 86.
33
Ibid., p. 91.
34
La controversia sull’origine delle saghe scritte si divide in Freiprosa e Buchprosa. Nel primo caso
si tende a sottolineare una libera formazione nella coscienza popolare nel voler tramandare le storie,
nel secondo si tende a enfatizzare un fenomeno letterario che ha lo scopo di rielaborare gli eventi per
renderli opera letteraria. Si vedano Gabrieli, Le letterature della Scandinavia, pp. 92-97; M. Scovazzi,
La saga di Hrafnkell e il problema delle saghe islandesi (Brescia: Paideia, 1960), p. 85.
35
Gabrieli, Le letterature della Scandinavia, p. 92.
11
1.4 I CARMI DELL’EDDA E L’EDDA DI SNORRI
“La mitologia descritta nei testi nordici costituisce il maggior tesoro di conoscenze a
nostra disposizione sulla religione e sulla tradizione germanica” 36. Riguardo alla
religione scandinava i principali documenti a cui si fa riferimento sono: i carmi
dell’Edda37, alcune saghe, la poesia scaldica e l’Edda in prosa di Snorri Sturluson.
L’Edda poetica è giunta fino a noi in un unico manoscritto, il Codex Regius38 GKS
2365 4to copiato intorno al 1270 e ritrovato in Islanda nel 1643 dal vescovo di
Skálholt, Brynjólfur Sveinsson. Il manoscritto non aveva un titolo, ma Brynjólfur si
era riferito ai suoi contenuti con il nome di ‘Edda’. Il vescovo sembra che fosse
consapevole degli stretti legami con l’opera poetica citata nell’Edda in prosa di
Snorri Sturluson, fu questo forse il motivo per cui assegnò tale titolo. La chiamò
anche ‘Saemundar Edda’ credendo erroneamente che fosse stata scritta da Saemudr
Sigfússon (Saemundr il sapiente)39. L’Edda poetica è il centro della letteratura
islandese grazie alla vastità di argomenti trattati nei suoi ventinove poemi tra cui è
possibile distinguere due grandi blocchi: i carmi incentrati sugli dèi e i carmi eroici. I
primi sono undici e narrano le storie degli dèi pagani, in particolare Odino e Thorr.
Di vitale importanza è il carme che apre la raccolta, la Völuspa (Carme
dell’indovina) di carattere profetico-escatologico, che ci presenta la cosmogonia
nordica, dalle origini del mondo sino al Ragnarök (Crepuscolo40 degli dèi). La
36
Chiesa Isnardi, Edda di Snorri (Milano: Rusconi, 1975), p. 15.
37
La parola ‘Edda’ è in antico nordico oðr. Questa parola che tra i suoi significati presenta ‘furore,
ebbrezza, ispirazione poetica’, è anche la parola che designa il nome dell’omonimo dio Oðr. Secondo
alcuni studiosi, questo dio non è altro che il doppione di Oðinn, il padre degli dei pagani. Chiesa
Isnardi, Edda di Snorri, p. 14.
38
Conservato a Reykjavík presso l’Istituto Arnamagnano e visionabile on line sul sito
http://www.am.hi.is/WebView/
39
T. Gunnell, ‘Eddic Poetry’, in A Companion to Old Norse-Icelandic Literature and Culture, ed.
McTurk, pp. 82-100, p. 84.
40
Sarebbe più giusto dire ‘Giudizio degli dèi’, poiché il termine rök, presente nel composto Ragnarök,
propriamente significa ‘giudizio’ e solo alle soglie dell’Evo moderno diviene omofono di rökr, che
significa invece ‘crepuscolo’. Si vedano le dispense di filologia germanica del prof. Marcello Meli,
visionabili sul sito dell’Università di Padova:
http://www.maldura.unipd.it/dllags/docentianglo/meli/dispense_filologia_germanica_0910/dispense_f
gB.pdf. Consultato 09/04/2013.
12
comprensione della Völuspá non è semplice, poiché le varie scene non vengono
narrate, ma piuttosto evocate con accenni rapidi ed ermetici. Insieme a Vafþrúðismál
(Discorso di Vafþrúðir) e al Grímnismál (Discorso di Grímnir) costituiscono la
summa enciclopedica della mitologia norrena.
La Völundarkviða (Carme di Völundr) offre una sorte di ponte tra il più alto mondo
mitologico degli dèi, giganti ed elfi e quello più basso di nani e umani che appartiene
alla sezione eroica del Codex Regius41. I restanti carmi eroici toccano quattro cicli
leggendari: quello di Helgi, quello di Sigurðr, di Guðrún, di Attila e della fine dei
Burgundi e, infine, del primo grande re degli Ostrogoti, Ermanarico. I carmi, ad ogni
modo, non sembrano essere disposti secondo un ordine preciso, né secondo un
criterio cronologico, né secondo un criterio formale, ad esempio il tipo di metro
utilizzato oppure la lunghezza.
Vi è un’altra Edda, quella in prosa di Snorri Sturluson. L’autore, nato a Hvammr
(Islanda) nel 1179 e morto il 23 settembre 1241, fu, per qualche tempo, presidente
dell’assemblea legislativa alþingi e si narra che avesse tramato con Hákon
Hákonarson re di Norvegia dal 1217 al 1263, ma in verità è stato fatto assassinare
dallo stesso. La sua opera non è una raccolta di carmi anonimi, come quelli
dell’Edda poetica, piuttosto un vero e proprio manuale di poesia scaldica.
Questo genere di poesia rappresenta l’ambiente delle piccole e grandi corti
vichinghe con i loro valori fondamentali, per lo più desiderio d’onore e ricchezza,
amore per le battaglie e per l’avventura. Lo skáld (scaldo) era un poeta errante, che
viaggiava di corte in corte, offrendo i suoi servigi ai sovrani, i quali ricambiavano
l’abilità di comporre canzoni con doni preziosi. La poesia scaldica non è affatto
anonima e segue una tecnica precisa, che Snorri mostra nell’ultima parte della sua
opera. La sua Edda, infatti, è divisa in quattro parti: Fyrirsögn ok Formáli
(Intestazione e prologo), Gylfaginning (L’inganno di re Gylfi), Skáldskaparmál
(Dialogo sull’arte scaldica), Háttatal (Trattato di metrica)42.
41
Gunnell, ‘Eddic Poetry’, p. 87.
42
È opinione di alcuni studiosi che il prologo sia stato aggiunto successivamente e non sia stato scritto
dallo stesso Snorri. Ad esempio Dolfini, Edda (Milano: Adelphi, 1975) inserisce la traduzione del
primo capitolo del Formáli nella sezione ‘Note’ della sua opera a p.161, mentre Chiesa Isnardi, Edda
di Snorri non lo inserisce affatto. Probabilmente per le discrepanze linguiste e testuali che li hanno
indotti a pensare che questa parte sia stata redatta da un erudito posteriore.
13
L’opera di Snorri, nel prologo, esordisce con la concezione di Dio e un rapido
excursus storico, che va dalle origini di Adamo ed Eva, passando per il diluvio
universale e il ripopolamento della terra, per concludere con la costruzione della torre
di Babele, il moltiplicarsi delle lingue e il regno assiro di Zoroastro, il quale venne
adorato dai suoi sudditi:
Alla fine, nessuno conosceva più il proprio creatore, eccetto quei soli
uomini che parlavano la lingua ebraica, [lingua] che esisteva da prima
della costruzione della torre. Ancora oggi gli uomini non hanno perduto
interamente il dono che è stato fatto loro e conoscono le cose mediante la
sapienza terrena, ma la comprensione dello spirito non è stata loro
concessa. Essi capivano tuttavia che ogni cosa era stata plasmata a partire
da una qualche essenza. 43
Snorri poi ci indica in che modo, secondo le sue conoscenze, fosse diviso il mondo:
da sud sino al mar Mediterraneo c’è quella parte conosciuta come Africa; la terra
che occupa la parte occidentale sino a settentrione è conosciuta come Europa o
Enéá44; infine, l’Asia occupa la restante parte. I fiumi principali che dividono queste
terre sono il Don e il Nilo, che dividono l’Asia dall’Europa e l’Africa. Queste ultime
invece, sono separate dal Mar Mediterraneo. Il tutto è circondato dall’oceano. Come
mostra l’immagine della mappa Orbis Terrarum (detta anche mappa T-O). Questo
tipo di mappa era orientata ad ovest e la prima descrizione del mondo di questo tipo
risale all’incirca al secolo VII ad opera di Isidoro di Siviglia nel suo De Natura
Rerum cap. 47(in alcune versioni del testo cap. 48)45 e nelle sue Etimologie XIV.ii46
(De Orbe).
43
Prologo [Sviluppo del concetto di Dio]
http://bifrost.it/GERMANI/Fonti/EddaSnorri-1.html (19.03.2013)
44
Prologo[Come il mondo sia diviso in tre parti]
45
J. Fontaine, Isidore de Séville. Traité de la nature (Bordeaux: Feret, 1960), pp.19-83, citato in L.
Teresi, ‘Anglo-Saxon and Early Anglo-Norman Mappaemundi’, in Foundations of Learning: The
Transfer of Encyclopaedic Knowledge in the Early Middle Ages, ed. R.H. Brenmer Jr, K. Dekker
(Leuven: Peeters, 2007) pp. 341-377, p. 348.
46
W.M. Lindsay, Isidori Hispalensis Episcopi Etymologiarum sive Originum libri XX (Oxford:
Clarendon Press, 1911), citato in Brenmer Jr, Dekker, p. 350.
14
Mappa TO47
47
British Library, Cotton Domitian I, f 37r.
48
“[…]quando Pompeius, un condottiero romano, attaccò le regioni orientali, Óðinn fuggì dall'Asia e
andò verso nord”. Traduzione a cura di Stefano Mazza.
http://bifrost.it/GERMANI/Fonti/EddaSnorri-1.html#n-2a . La stessa concezione di un'origine asiatica
degli Æsir ritorna, in maniera più velata, nel Gylfaginning, dove Snorri identifica Ásgarðr con la Troia
omerica: “[gli dèi] costruirono una fortezza nel mezzo del mondo: essa è detta Ásgarðr, ma noi la
chiamiamo Troia”.
15
Ásgarðr, presentandoci gli dèi che la popolano, ma ci narra anche in maniera
completa e organica della creazione e distruzione del mondo. Gylfi, celata la sua vera
identità, si presenta come Gangleri e inizia il dialogo con tre uomini, ognuno seduto
su un trono, ma i troni erano disposti in maniera particolare, erano l’uno sopra l’altro.
Hár (il re, posto più in basso), Jafnhár (quello vicino al re) e Þriði (il terzo, quello più
in alto) lo accolsero nella Vallhöll esponendogli tutta la sapienza scandinava49. Qui i
miti non ci vengono presentati più come nel prologo, tramite un’alternativa
concezione evemeristica, ma si rifanno alla più tradizionale mitologia norrena, così
che uno scaldo potesse attingere da essi per creare nuove canzoni.
Come si è detto, la parte dell’Edda che si concentra maggiormente sulla poesia
scaldica è lo Skáldskaparmál (Discorso sull’arte scaldica). Questo genere di poesia
possiede caratteristiche che la rendono unica nella letteratura occidentale, poiché
presenta un uso della metrica, della sintassi, delle figure retoriche, e di altri elementi
che non ha eguali nelle culture europee. Una delle principali caratteristiche di questo
tipo di poesia è la kenning, si tratta di una perifrasi poetica o di una metafora che
serve a indicare in modo virtuoso, quanto oscuro e lambiccato, un qualunque
soggetto, sia esso una divinità, un animale, un'arma, un utensile o una persona.
Comprendere il significato di una kenning è molto difficile, per questo Snorri si
rivela fondamentale per la comprensione del lettore moderno.
Lo Skáldskaparmál, tuttavia, è molto più che un commentario alla poesia scaldica;
con il pretesto di motivare l’origine del linguaggio poetico, Snorri prosegue con la
narrazione di eventi mitologici esclusi dal Gylfaginning, soprattutto per quanto
riguarda saghe eroiche importanti per tutta la cultura germanica (tra cui quella di
Sigurðr e dei Nibelunghi, di re Froði e di Hrólfr Kraki) e in più si presenta anche
come un’antologia poetica, citando opere degli scaldi conosciuti. È evidente che
senza lo Skáldskaparmál di Snorri, parti significative della letteratura norrena
sarebbero andate perdute, ecco perché esso ha un immenso valore.
Lo Háttatal (Trattato di metrica), è l’ultima parte che compone l’Edda di Snorri, il
quale utilizza le proprie composizioni come esempio per spiegare in che modo va
costruito un verso in antico nordico. La tecnica poetica germanica ha la caratteristica
49
Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, p. 62. Hár, Jafnhár e Þriði non sono altro che tre epiteti per lo
stesso uomo/dio, cioè Oðinn (Odino).
16
di essere isoaccentuativa, a differenza di quella latina che è isosillabica, il ritmo è
quindi dato dagli accenti. Le principali forme stilistiche sono il fornyrðislag e il
lióðaháttr. Molti versi dell’Edda poetica sono scritti in fornyrðislag, ad esempio la
Völuspá. Ogni strofa è composta da quattro ‘versi lunghi’, ciascuno costituito da due
‘versi brevi’ separati da una cesura grafica.
Probabilmente, l’uso del fornyrðislag o del lióðaháttr è dovuto alla modalità della
loro recitazione orale: il primo è il genere del racconto, legato soprattutto al carme
epico; il secondo, invece, è legato al discorso, alla rappresentazione dialogata52.
50
M. Meli, Voluspá: un’apocalisse norrena (Roma: Carrocci, 2008), str. 1, p.53.
51
“Say this twelfth thing, why you know the entire destiny of the gods, Vafþúðnir”.“Dimmi questa
dodicesima cosa, poiché tu conosci l’intero destino degli dei, Vafþúðnir”. La traduzione dall’antico
nordico all’inglese è di R. Poole. I versi sono citati dal G. Neckel, H. Kuhn, Edda: Die Lieder des
Codex regius nebst verwandten Denkmälern (Heidelberg: Winter, 1962) str. 42. Vafþúðnismál , citato
in Poole, ‘Metre and Metrics’, p. 269.
52
Molinari, La Filologia germanica, pp.158-159.
17
CAPITOLO II
CONTESTO MITOLOGICO
53
Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 4, p. 64.
54
P. Scardigli, Il canzoniere eddico (Milano: Garzanti, 2004), Profezia della veggente, str. 52, p. 13.
55
Si veda il paragrafo 2.3.
18
provenienti da Muspell fu dato posto nel cielo (fatto con il cranio del gigante
primordiale), ma né il sole né la luna conoscevano la loro funzione, così gli dèi
tennero un consiglio e diedero nome alle fasi lunari, alla notte e al giorno e da allora
si iniziarono a contare i giorni.
Tutto l’universo era retto dal grande albero cosmico detto Yggdrasill, così come
recita la völva (l’indovina) nella Völuspá:
La sorgente di Urdhr (la fonte del destino) era vicino ad una delle tre possenti radici
di Yggdrasill che sostenevano il mondo. Una passava da Miðgarðr giungendo sino al
mondo degli dèi e lì dimoravano tre fanciulle: le norne che avevano il compito di
stabilire il destino degli uomini57. Le ‘limpide acque’ di cui parla l’indovina
venivano cosparse dalle norne insieme all’argilla sui rami del frassino, per evitare
che seccassero e marcissero. Un’altra delle radici dell’albero cosmico penetrava in
Jötunheimr, la terra dei giganti della brina e arrivava alla ‘fonte di Mimir’. Qui si
celavano sapienza e conoscenza: colui che attingeva alla sorgente era il gigante
Mimir e per questo motivo era pieno di saggezza.
56
Scardigli, Il canzoniere eddico, Profezia della veggente, str. 19, p. 53.
57
Le norne sono annoverate tra gli esseri sovrannaturali. G. Chiesa Isnardi, I miti nordici (Milano:
Longanesi, 2012), pp. 303-304; cfr. paragrafo 2.2.5.
19
Il frassino Yggdrasill (XVII sec.). Dal manoscritto AM 738 4°, Edda oblongata58.
58
Il manoscritto è detto Edda oblongata poiché è formato da pagine in quarto, lunghe e strette, lungo
le quali i disegni si sviluppano necessariamente in senso verticale. È oggi custodito nella biblioteca
dell’Istituto Árni Magnússon di Reykjavík. La versione on line dell’ Edda oblongata è visualizzabile
20
La terza radice finiva in Niflheimr e sotto di essa vi era il serpente Niðhöggr, il quale
mordeva costantemente la radice insieme a molti altri serpenti59. Altri animali
abitavano Yggdrasill: un’aquila stava appollaiata in cima ai rami e possedeva molta
saggezza, aveva un piccolo falco tra gli occhi di nome Veðrfölnir; uno scoiattolo di
nome Ratatoskr correva su e giù lungo il tronco dell’albero riferendo gli insulti che si
scambiavano tra loro l’aquila ed il serpente; quattro cervi (Dáinn, Dvalinn, Duneyrr e
Duraþrór) saltavano tra i rami del frassino e ne brucavano le foglie.
Il nome del frassino Yggdrasill è riconducibile al composto ‘cavallo
(metaforicamente forca) di Yggr’ 60: si allude in tal senso al racconto mitologico di
Yggr (uno dei tanti appellativi di Odino) che, per ottenere i segreti delle magiche
rune, dovette compiere un sacrificio iniziatico, ossia appendersi per nove giorni a
testa in giù ai rami del frassino.
Il popolo misterioso dei Vani era esperto in pratiche magiche, di cui erano
depositarie soprattutto le donne. Quella dei Vani era una società chiusa in sé stessa,
gelosa delle proprie caratteristiche e peculiarità. Era comune presso di loro la pratica
dell’incesto e non era raro che venissero celebrati matrimoni tra fratelli66. I Vani
rappresentavano comunque le divinità che presiedono alla fecondità e alla prosperità.
L’opposizione agli Asi appare là dove essi vengono caratterizzati come appartenenti
alla terra, mentre gli Asi sono più propriamente i signori del cielo. Questa distinzione
è evidente nell’episodio in cui si dice che alcuni Vani guardavano dal basso la dea
Gná (dea degli Asi) mentre cavalcava nell’aria67.
Le due stirpi divine vivevano in pace, ma vi fu un tempo in cui Asi e Vani si
diedero battaglia. Così come racconta la völva:
63
Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 17, pp. 87-89.
64
Si veda l’interpretazione di Scardigli, Il canzoniere eddico, p. 343; cfr. paragrafo 2.5.
65
Chiesa Isnardi, Leggende e miti vichinghi, Ynglinga saga, pp. 79-80. Svíþjóð è la Scizia, anche se
Snorri si riferirà ad essa nel corso dell’opera anche come Svezia; il fiume Tanais è il Don; Vanaland è
la terra dei Vani e Vanaheimr il Paese dei Vani.
66
Chiesa Isnardi, I miti nordici, pp. 135 e 276.
67
R. Much, Die Germania des Tacitus (Heidelberg: C. Winter, 1967), p. 40, citato in Chiesa Isnardi, I
miti nordici, p. 276.
22
Saettava Odino e dava colpi nella mischia:
era quello lo scontro primo nel mondo;
infranto il riparo di legno della città degli Asi
minacciosi poterono i Vani porre sul campo il piede. 68
Tutto avvenne a causa di una donna della stirpe dei Vani, una strega di nome
Gullveig, la quale si era introdotta in Ásaheimr allo scopo di portarvi cupidigia e
corruzione. Per porre fine al comportamento della strega, gli Asi la catturarono, la
uccisero e la arsero, ma quella rinacque. L’aggressione contro Gullveig scatenò l’ira
dei Vani e la guerra tra le due stirpi divine. Alla fine fu raggiunta una tregua e i Vani
mandarono fra gli Asi i più eminenti tra di loro: Njörðr e i suoi figli Freyr e Freyja.
Gli dèi di Ásgarðr mandarono il dio di nome Hœnir, con il quale partì anche Mimir.
Hœniri fu eletto capo, ma demandava le scelte sempre ad altri, così i Vani
sospettarono che gli Asi li avessero ingannati: decapitarono Mimir e mandarono la
testa agli Asi. “È detto che Odino conserverà la testa di Mimir fino all’ultimo giorno,
quando essa proferirà per lui parole di saggezza”69.
Il mito della guerra tra gli Asi e i Vani potrebbe essere il riflesso deformato di
antichi avvenimenti storici autentici: la lunga migrazione di un popolo secondo un
itinerario preciso, dal nord del Mar Nero alla Scandinavia e la lotta tra due popoli che
adoravano l’uno gli Asi e l’altro i Vani. Questa lotta (confondendo gli dèi e i loro
adoratori) si era conclusa con un compromesso, una fusione. I protagonisti di questo
grande duello storico, poi leggendario e infine mitico, sarebbero i rappresentanti di
due culture che – grazie a scavi archeologici – possiamo identificare: il popolo dei
megaliti e quello delle asce da guerra70.
68
Scardigli, Il canzoniere eddico, Profezia della veggente, str. 24, p. 9.
69
Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 87.
70
Secondo E.A. Philippson, Die Genealogie der Götter in Germanischer Religion, Mythologie und
Theologie (Urbana: University of Illinois Press, 1953), p. 19, la dualità degli Asi e dei Vani potrebbe
riguardare due termini complementari di una stessa struttura ideologica unitaria, di cui l’uno
presuppone l’altro e che sono stati portati entrambi, già articolati, dagli Indoeuropei; cfr. O. Höfler,
Kultishe Geheimbünde der Germanen (Frankfurt: Moritz Diesterweb, 1934), p. 295. Testi citati in G.
Dumézil, Gli dèi dei germani (Milano: Adelphi, 1974), pp. 27-28.
23
2.2.1 ODINO
Odino (an. Oðinn) è il padre di tutti gli dèi, ecco perché è spesso detto Allföðr, cioè
‘Padre di tutti’. È la figura eccellente del mondo nordico, quella in cui meglio si
incarna il concetto di assoluto. Insieme ai suoi fratelli, Vili e Vè, creò il mondo dal
gigante primordiale e divenne re fra gli Asi. Il simbolo della sua regalità è l’anello
d’oro Draupnir donatogli dai nani71: da esso sarebbero gemmati ogni nove notti altri
otto anelli d’oro di egual peso. Un altro oggetto magico posseduto dal dio è la lancia
Gungnir, anch’essa come Draupnir donatagli dai nani, con la quale scatenò la prima
guerra del mondo. È interamente d’oro e il suo potere è quello di non mancare mai il
bersaglio. Odino è il dio della magia, acquisita grazie ad un sacrificio iniziatico: egli
si appese per nove notti all’albero Yggdrasill, così come dice l’Hávamál72:
Grazie alla magia, di cui espressione sono in parte le rune74, Odino può lasciare il suo
corpo in uno stato di trance simile al sonno o addirittura alla morte e assumere
qualsiasi altro aspetto. Come mago, egli è padrone dei canti magici (galdrar) e dei
canti poetici75 (ljóð). La sua potenza magica è sottolineata da diversi appellativi, i
71
Chiesa Isnardi, I miti noridici, p. 93.
72
Carme incentrato sulla figura di Odino; Cfr. paragrafo 1.3, nota 23.
73
Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone dell’eccelso, str. 138, p. 40.
74
Ibid., str. 139. Le rune sono l’essenza stessa della sapienza di Odino e nella Profezia della veggente,
str. 60, vv. 4-6, p. 15, vengono ricordate per dare vita a nuovo ciclo di vita insieme agli dèi
sopravvissuti al Ragnarök “E si rammentano là/di grandi imprese/e delle antiche rune/ di Fimbultýr”.
Fimbultýr (dio terribile) è uno degli epiteti di Odino . Le rune sono potenti sia nel bene sia nel male, in
base all’utilizzo di chi le conosce. L’origine dei segni runici è tuttora incerta, essi potrebbero essere
pervenuti al mondo germanico dall’area nord-etrusca. Chiesa Isnardi, I miti nordici, pp. 100-104 e pp.
111-112.
75
Nel mondo nordico cantare significa praticare magia: il canto è un momento fondamentale del
processo creativo; cantare significa essere padrone dei ritmi che generarono ogni cosa. Si veda Chiesa
Isnarsi, I miti nordici, pp. 104-105.
24
quali servono anche a celare l’identità terribile del dio. Egli è, infatti, buono e
malvagio allo stesso tempo: dio della vita e dei morti. Come dio dei morti è sovrano
dei caduti in battaglia: il destino dei guerrieri è già predestinato e sono le Valchirie,
figlie e servitrici di Odino, che scelgono i condottieri e li conducono nella Valhöll
(Valhalla) e lì viene formato l’esercito degli Einherjar. La Valhöll è un luogo assai
maestoso: i suoi pilastri sono aste di lancia, sul tetto, al posto delle tegole, vi sono
scudi, le panche sono cosparse di corazze. Le Valchirie servono da bere birra e
idromele, il quale scorre dalle mammelle della capra Heiðrun. Gli Einherjar si
nutrono anche della carne del maiale Sæhrimnir, che ogni giorno torna intero,
benché i guerrieri se ne cibino sempre. Odino dà la carne che gli spetterebbe ai suoi
lupi Geri e Freki, poiché per lui è sufficiente il vino. Possiede anche due corvi,
Huginn e Muninn, i quali girano per il mondo durante il giorno e tornano per il pasto
raccontandogli ciò che hanno visto e udito.
Odino è conosciuto anche come il dio monocolo, lasciando il suo occhio come
pegno dopo aver bevuto dalla fonte di Mimir che dava grande saggezza. L’essere
guercio è il marchio del suo sapere soprannaturale; significa aver concentrato in un
solo occhio il potere magico della fascinazione e l’essenza terrificante dell’essere:
tale mutilazione, inoltre, elimina il rischio di una vista sdoppiata e perciò falsata. Egli
è anche dio della poesia, poiché rubò l’idromele al gigante Suttunngr76 e nella saga
degli Yngligar è detto di lui che parla sempre in versi 77.
Nell’interpretatio romana78 Odino viene identificato con il dio Mercurio. I due, in
effetti, hanno diverse caratteristiche comuni: sono entrambi dotati di magnifica
eloquenza, sono spesso in viaggio79 ed, inoltre, i talari ed il caduceo di Mercurio
ricordano i lunghi calzari e la bacchetta magica del dio germanico. L’equazione
76
Sull’arte poetica e di come Odino ottiene l’idromele di veda Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Arte
poetica, pp. 165-170.
77
Chiesa Isnardi, Leggende e miti vichinghi, p. 87.
78
Tacito, Germania, capitolo 9. Citato in Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 255, nota 115.
79
Odino era spesso assente dal suo regno. Una volta i suoi fratelli Vili e Vè approfittarono della sua
assenza per giacere con sua moglie Frigg. L’episodio viene ricordato in Scardigli, Il canzoniere
eddico, Insulti di Loki, str. 26, p. 110.
25
Odino/Mercurio viene testimoniata anche nel giorno del mercoledì a loro dedicato:
an. Óðinsdagr; anglosassone Wodensdæg; ingl. Wednesday80.
2.2.2 TYR
Odino non è l’unico dio mutilato. Un’altra mutilazione famosa nel pantheon norreno
è quella del dio Tyr (an. Týr), protagonista nella vicenda dell’incatenamento del lupo
Fenrir. Il lupo (figlio di Loki) 81 era stato portato ad Ásgarðr, ma poiché cresceva
giorno dopo giorno nessuno osava avvicinarsi per nutrirlo, tranne Tyr. Considerando
che tutte le profezie ritenevano il lupo essere causa della sciagura degli dèi, questi
decisero di incatenarlo. Tacendo il loro intento, sfidarono Fenrir a provare la sua
forza proponendogli si spezzare delle catene. Il lupo accettò la sfida ed essendo
molto forte spezzò ben due catene. Gli dèi, preoccupati, fecero costruire dai nani una
catena magica (Gleipnir) che era impossibile da spezzare. Fenrir accettò di sottoporsi
anche a questa prova, pur avendo capito ormai di esser stato ingannato, ma chiese
una garanzia: uno degli dèi avrebbe dovuto mettere la propria mano tra le sue fauci
lasciandosela mozzare nel caso in cui non fosse riuscito a spezzare la catena 82.
Snorri usa spesso espressioni che sottolineano il valore e il coraggio di Tyr, come
“valoroso come Tyr” e “saggio come Tyr” 83. Se i guerrieri vogliono ottenere il
trionfo in battaglia devono invocare due volte questo dio e incidere le rune della
spada84.
A differenza di Odino, dio del furore in battaglia, Tyr si configurerebbe proprio
come dio della guerra. Infatti, l’interpretatio romana fa corrispondere Tyr a Mars
(Marte, noto dio della guerra) e un’iscrizione sul vallo di Adriano, presso
Housesteades in Gran Bretagna, risalente all’inizio del III secolo, lo qualifica come
80
B. Vignola, ‘La Religione degli Antichi Germani’, in Storia delle Religioni, II, ed. P. Tacchi
Venturi (Torino: Unione Tipografico-Editore Torinese, 1939), p. 15.
81
Su Loki si veda il paragrafo 2.2.4.
82
Di Fenrir si narra in Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 34, pp. 103-108.
83
Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 25, p. 99.
84
Ci si riferisce alla runa ↑ germ. *tiwaz: la si ritrova con una certa frequenza nell’iconografia
(bratteate, su cui compare anche il nome del dio, e armi). Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 217. Si veda
anche Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone di Sigdrifa, str. 6, p. 221.
26
Þingsus85. Questo appellativo va senza dubbio collegato al termine nordico þing
‘assemblea’ ed essendo Tyr il dio che presiedeva all’alþingi, era anche dio del diritto.
Sebbene diritto e guerra sembrino essere due concetti in contrapposizione, bisogna
tener conto del fatto che, dal punto di vista germanico, non vi è contraddizione tra
l’essere ‘dio della guerra’ e ‘dio del diritto’.
L’associazione del dio Tyr con Marte è anche suffragata dalla traduzione del giorno
‘martedì’, che in antico nordico è Týsdagr, in inglese moderno Tuesday, in tedesco
moderno Dienstag87. Il nome del dio, che come sostantivo significa ‘dio’, risale
all’indoeuropeo *DÉIWOS ‘dio’88 e suggerisce che il suo culto fu probabilmente
antecedente a quello di Odino, ma vide decadere la propria importanza a favore del
lato magico e oscuro di quest’ultimo. In effetti Tyr è detto da Snorri “figlio di
Odino” “[…]son Óðins”89, cosa che testimonia la netta supremazia dell’uno
sull’altro.
2.2.3 THOR
Thor (an. Þórr) è un dio assai amato e venerato, tanto che il suo culto era
probabilmente più diffuso di quello di Odino. In queste due figure sono incarnati
verosimilmente due diversi atteggiamenti nei riguardi della vita e quindi della
religione: Thor è il dio della comunità contadina, il garante protettore della stabilità
sociale e della continuità della stirpe; Odino si pone invece come il dio
dell’individuo, colui al quale rivolgono il proprio culto e la propria venerazione
85
Dumézil, Gli dèi dei germani, p. 83.
86
Ibid., pp. 83-84.
87
Vignola, ‘La Religione degli Antichi Germani’, p. 13.
88
Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 218.
89
Skáldskaparmál, 16 [Kenningar per Tyr]. Traduzione a cura di Stefano Mazza.
http://bifrost.it/GERMANI/Fonti/EddaSnorri-3.html#16
27
cerchie particolari di uomini e di guerrieri90. Il culto di Thor rispecchia per molti
versi la mentalità e la tradizione della Sippe, mentre, in maniera opposta, il culto di
Odino incarna il modello dei componenti del comitatus (gruppo di guerrieri, detti
comites, che combattono per il princeps secondo un patto di alleanza inscindibile).
La competizione con il culto di Odino è anche testimoniata dalla descrizione di
Adamo da Brema del tempio di Uppsala in Svezia, in cui Thor è in posizione
centrale, mentre Wotan (Odino) e Fricco (probabilmente Freyr) stanno
rispettivamente alla sinistra e destra del dio.
Uno degli aspetti più importanti della descrizione di Adamo riguarda le varie
funzioni che egli assegna a questi tre dèi: Thor, che tiene in mano uno scettro –
probabilmente una identificazione sbagliata con il martello Mjöllnir che il dio
90
Chiesa Isnardi, I miti nordici, pp. 228 e 249.
91
Immagine tratta M. Trogilli Arnkiels, Cimbrische Heyden-Religion (Hamburg: Von Wiering, 1702),
p. 91. Visualizzabile on line su http://diglib.hab.de/wdb.php?dir=drucke/hq-2-1. Consultato
08/06/2013.
28
brandisce effettivamente, secondo i racconti mitologici, quando combatte contro i
suoi nemici giganti92 – governa sul clima, e a lui bisogna votarsi quando
incombevano carestie o malattie; Odino, raffigurato con le armi, supporta i guerrieri
e viene invocato quando incombe una battaglia; Fricco è connesso alla pace e al
piacere dei sensi93, ha il potere di consacrare i matrimoni94.
Thor, descritto come un uomo alto e bello dalla barba rossa, difende gli dèi dai
giganti grazie al suo martello magico Mjöllnir donatogli dai nani: per impugnarlo ha
bisogno di speciali guanti di ferro. Mjöllnir ha il potere di non mancare mai il
bersaglio e tornare sempre indietro dal suo padrone. Produce folgori accompagnate
da assordanti tuoni95, i quali sono provocati dal passaggio nel cielo del carro del dio
trainato da due capri: ecco perché Thor viene anche chiamato Ökuþórr, ‘Thor del
carro’. Nel folklore della Svezia orientale restano espressioni quali ‘asen kör’, ossia
‘il dio (ase) guida il carro’ per intendere che tuona96.
Nell’interpretatio romana Thor venne prima identificato con Ercole per la forza e
in seguito con Giove, poiché come lui era dio del tuono e del fulmine. Il suo culto
viene ricordato, infatti, il giovedì: an. Þorsdagr; ags Þunoresdæg; inglese Thursday;
tedesco Donnerstag97.
92
Adamo di Brema, Storia degli arcivescovi della chiesa di Amburgo, ed. I. Pagani (Torino: UTET,
1996), p. 470, nota 2.
93
Ibid., p. 471, nota 4. L’ idolo di Fricco è spesso effigiato con un grosso fallo. Il collegamento di
Fricco con Freyr è testimoniato dagli amuleti che raffigurano il dio dei Vani con un fallo prominente.
94
Adamo di Brema, Storia degli arcivescovi della chiesa di Amburgo, pp. 470-471; P. Orton, ‘Pagan
Myth and Religion’, in A Companion to Old-Norse-Icelandic Literature and Culture, ed. McTurk, pp.
302-324, p. 305.
95
Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 265, nota 15.
96
Ibid., p. 226.
97
Vignola, ‘La Religione degli Antichi Germani’, p. 17.
29
Frigg, Baldr è presentato da Snorri come il migliore fra gli dèi, bello d’aspetto e
luminoso, saggio ed eloquente, amato da tutti gli uomini98. Il mito principale che lo
riguarda è quello della sua morte che è “la chiave di volta della storia del mondo” 99.
La sua scomparsa è stata provocata da Loki: Baldr viene colpito a morte da un
rametto di vischio scagliato dal cieco Höðr su istigazione di Loki 100. Costui,
catturato dagli dèi, deve attendere la fine del mondo incatenato a tre massi con le sue
stesse viscere. Vi è un serpe velenoso sopra si lui e quando lascia gocciolare il suo
veleno sul volto di Loki, egli si scuote con tale violenza da provocare i terremoti 101.
Il carattere di Loki è segnato da una profonda ambivalenza apparentemente
insanabile, poiché soccorre gli dèi in situazioni difficili (che spesso ha causato lui
stesso), ma è anche un demone nemico dell’ordine cosmico. Questa sua natura risalta
in molte circostanze, specialmente nel carme eddico Lokasenna (Insulti di Loki), in
cui scaglia sugli dèi riuniti a banchetto una serie di pesanti ingiurie 102. Possiede la
capacità di trasformarsi in numerosi animali grazie alla conoscenza e pratica della
magia. È un dio malvagio estremamente astuto e intelligente, nonché di bell’aspetto,
e da lui discende la progenie che distruggerà il mondo. Egli infatti generò tre figli
con la gigantessa Angrboða: Hel, la guardiana del regno delle tenebre; il serpente di
Miðgarðr; Fenrir, il lupo nemico degli dèi 103. Alla fine del mondo Loki si libererà e
guiderà le forze del male alla battaglia contro di dèi.
98
Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 22, pp. 93-96.
99
Dumézil, Gli dèi dei germani, p. 112.
100
Sul mito della morte di Baldr si vedano Chiesa Isnardi, I miti nordici, pp. 155-160; Scardigli, Il
canzoniere eddico, Profezia della veggente, str. 31-33, p. 10.
101
Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 247; si veda anche p. 162.
102
Scardigli, Il canzoniere eddico, Insulti di Loki, pp. 103-118.
103
Sui figli di Loki si veda Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 34, p. 103-108; Chiesa
Isnardi, I miti nordici, pp. 63-66; cfr. paragrafo 2.2.2.
30
fecondità e della vita104. Njörðr è il padre di Freyr e Freyja, che ha concepito con la
propria sorella, secondo un costume frequente tra i Vani105. Egli governa il vento, il
mare e il fuoco: è il dio che si deve invocare per i viaggi in mare e per la pesca
abbondante. Il suo rapporto con il mare è così stretto che per questa causa fallì il
matrimonio con la gigantessa Skaði. Skaði era abituata a vivere nelle montagne, in
Þrymheimr, ma Njörðr non le sopportava, così raggiunsero il compromesso di abitare
nove notti tra le montagne e nove notti in mare. L’accordo non durò a lungo perché il
dio non sopportava l’ululato dei lupi, così si separarono.
Il culto di Njörðr deriverebbe da quello della dea Nerthus, venerata da un gruppo di
germani, gli Anglii, che erano stanziati lungo le coste del mar Baltico. Si credeva che
Nerthus abitasse un’altura sacra su un’isola danese, sebbene lei non fosse sempre lì;
solo i sacerdoti che si curavano di lei nel tempio potevano dire quando era presente.
La dea veniva periodicamente portata in processione nel paese su un carro trainato da
tori. Il suo procedere era accompagnato dalla pace e dalla deposizione di tutte le
armi. Alla fine del suo percorso Nerthus veniva lavata in un lago dagli schiavi, i quali
venivano annegati, e in seguito custodita nuovamente nel suo tempio insieme a tutto
ciò che era a lei legato106.
Freyr, figlio di Njörðr, è il dio che governa la pioggia o fa spendere il sole per la
fecondità della terra, ma è anche il dio della crescita delle ricchezze degli uomini 107.
Secondo Snorri, Freyr sarebbe il progenitore della stirpe degli re svedesi detta degli
Ynglingar (discendenti di Yngvi, appellativo del dio) 108. Il mito più noto relativo al
dio Freyr è quello del suo innamoramento e delle nozze con la gigantessa Geðr. Freyr
riuscì a corteggiarla solo grazie all’aiuto del proprio servitore Skírnir, il quale,
tuttavia, volle in cambio la spada del dio 109. Fu un grave errore da parte di Freyr
104
Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, str. 23-24, pp. 96-99; Chiesa Isnardi, I miti noridici,
p. 277.
105
Chiesa Isnardi, Leggende e miti vichinghi, p. 83.
106
Orton, ‘ Pagan Myth and Religion’, p. 303.
107
Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 24, p. 98.
108
Si veda il paragrafo 1.3.
109
Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 37, pp. 112-114.
31
quello di cedere la spada, poiché durante il Ragnarök egli avrebbe lottato contro Sutr,
il gigante di fuoco, e soccomberà110.
Infine Freyja, assunta anch’essa con pari dignità fra gli Asi, insegna per prima la
magia agli dèi111. La sua dimora si chiama Fólkvangr (campo del popolo), là ella
sceglie ogni giorno la metà dei caduti in battaglia, dato che l’altra metà spetta di
diritto a Odino112. Alla connessione con la battaglia è dovuto il fatto che possiede un
travestimento da falco113, tipico animale da battaglia. La sua funzione principale è
quella di dea della fecondità. Non solo fa parte della stirpe dei Vani, ma è anche detta
dea dell’amore: Loki la accusa di aver giaciuto con tutti gli dèi e persino con suo
fratello114; è connessa ad animali prolifici o sensuali, ma i suoi prediletti sono i gatti
(due tirano il suo carro)115, animali connessi all’arte magica, arte cui sono legate
anche pratiche oscene116.
GIGANTI.
Insieme ai numerosi dèi che costituiscono il pantheon nordico vi sono altri esseri
soprannaturali, divini o semidivini, un po’ in ombra rispetto ai culti tradizionali.
Le valchirie, ad esempio, sono le dee che stabiliscono il destino degli eroi in
battaglia, tramite ordine di Odino. Il nome di questa stirpe deriva dal nordico
valkyrja , ‘[colei che] sceglie i caduti’117. Per la loro qualità di divinità guerriere
appaiono armate a cavallo dei loro destrieri, sanno cavalcare nell’aria e sull’acqua.
Odino insegna loro le rune e le valchirie possono trasmetterle a un eroe se lo
110
Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 51, pp. 147-153; Scaridigli, Il canzoniere eddico,
Profezia della veggente, str. 53, p. 13.
111
Chiesa Isnardi, Leggende e miti vichinghi, pp. 81-83.
112
Chiesa Isnardi, Edda di Snorri , Gylfaginning, 24, p. 98; Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone
di Grímnir, str. 14, p.62.
113
“[…] se Freyja gli avesse prestato il suo travestimento da falco”: Chiesa Isnardi, Edda di Snorri ,
Arte poetica, pp. 163.
114
Scardigli, Il canzoniere eddico, Insulti di Loki, str. 30-32, pp. 110-111.
115
Chiesa Isnardi, Edda di Snorri , Gylfaginning, 24, p. 98.
116
Chiesa Isnardi, I miti nordici, pp. 571-572.
117
Ibid., p. 307.
32
desiderano. Alcune di loro sono ricordate come protettrici di un eroe particolare: la
valchiria Brunilde che si innamora di Sigurðr o anche Sigrún che potregge l’eroe
Helgi118.
La valchiria è, quindi, dea del destino, ma solo per il guerriero e per l’eroe; per
questo si manifesta come incarnazione della battaglia. Una volta condotti gli eroi
nella Valhöll, le valchirie servono loro birra e idromele durante i banchetti e sono al
servizio di Odino.
Le vere dee del destino sono le norne, incarnazione di un fato superiore e
ineluttabile. Il mito conosce norne buone e norne cattive, dal cui volere dipende la
sorte degli uomini. Alle norne alludono diversi passi della poesia eddica e
scaldica119, nei quali ci si riferisce prevalentemente a norne ostili che stabiliscono un
destino di sfortuna e di morte; tuttavia è ricordato anche che le norne accorrono alla
culla di un eroe per preparargli una sorte felice. Le norne appaiono come un gruppo
numeroso di divinità dal carattere indistinto, ma Snorri, così come la Völuspa, parla
di tre di esse in particolare, che hanno dimora accanto alla fonte del destino,
Urðarbrunn. I loro nomi sono Urðr ‘il destino stesso’, Veðandi ‘ciò che diviene’,
Skuld ‘debito’120. L’interpretazione di queste figure come immagine del passato, del
presente e del futuro non pare molto lontana dal vero: si recano presso ogni nuovo
nato per deciderne la sorte121.
Norne e valchirie, divinità femminili, possono essere ricondotte a quel gruppo di
esseri sovrannaturali che ha nome dísir. Le dísir possono apparire come dee della
fecondità. Sebbene nelle fonti manchi un’indicazione precisa della loro funzione, il
significato di queste divinità va cercato nell’ambito del concetto di Sippe, delle sue
necessità e del suo funzionamento122. I riti in loro onore avevano luogo a metà
ottobre circa, periodo in cui cadevano di regola i sacrifici alle divinità della
118
I personaggi sono contenuti all’interno dei carmi eddici. Si veda Scardigli, Il canzoniere eddico,
pp. 10-11 per la suddivisione dei carmi; si veda anche Scardigli, Il canzoniere eddico, pp. 145-184 per
il ciclo eroico di Helgi e pp. 185-340 per il ciclo eroico di Sigurðr.
119
Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 304.
120
Ibid.
121
Chiesa Isnardi, Edda di Snorri , Gylfaginning, 15, pp. 82-85.
122
Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 301.
33
fecondità123. Le dísir mostrano un carattere strettamente femminile: la funzione della
donna nel mondo germanico, oltre a quella di contribuire alla crescita della stirpe, era
di proteggere, anche magicamente, coloro che vi appartenevano, danneggiando
perciò i nemici. Forse incarnano le anime delle donne morte della famiglia,
configurandosi come spiriti tutelari. Ciò spiegherebbe anche il loro legame con le
pietre dette landísasteinar (per la credenza che i morti dimorino nelle rocce e nei
tumuli), così come il loro manifestarsi come valchirie che invitano l’eroe nel regno
dei morti124.
Un culto che richiama per certi versi quello delle dísir è quello degli elfi. Spesso
questi esseri sovrannaturali, ai quali è attribuita natura divina 125, vengono interpretati
come spiriti dei morti della famiglia che garantiscono la fecondità della stirpe. Un
concetto vivo nel folklore è quello di identificare gli elfi come abitanti dei tumuli e
delle rocce, sotto terra, proprio come i morti126. Snorri li distingue in due stirpi: gli
‘elfi chiari’ che dimorano in Álfheimr e gli ‘elfi scuri’ che vivono in
Svartálfaheimr127.
Altri esseri che ospita la mitologia nordica sono i giganti e i nani. I giganti sono gli
esseri delle origini, i primi abitatori del mondo 128, i nemici degli dèi e al contempo i
loro progenitori. Essi simboleggiano la manifestazione e l’esuberanza delle forze
della natura e della materia, le quali, se prive della potenza ordinatrice dello spirito,
sconfinano in eccesso e travolgono anche se stesse. Per questo i giganti sono al
123
J. Kristjánsson, Víga-Glúms saga (Reykjavík: Hið íslensk fornritafélag, 1956). Citato in Chiesa
Isnardi, I miti nordici, p. 302.
124
Scardigli, Il canzoniere eddico, Primo carme di Guðrun, str. 19, v. 2, p. 240, “donna di Herjan”
(Herjan: Odino, per cui valchiria), cfr. Guðrunarkviða in fyrsta, str.19, v. 4: “Herjans dísi”
http://www.northvegr.org/old%20icelandic%20old%20english%20texts/the%20poetic%20edda%20in
%20old%20icelandic/027.html
125
Ibid, La canzone del nano onniscente, pp. 137-156, in cui Álvis (il nano) parla di Asi, Vani e elfi,
mettendoli sullo stesso piano.
126
A. Cipolla, Il racconto di Nornagestr (Verona: Fiorini, 1996), cap. 1, in cui uno spirito che appare
di notte viene definito ‘elfo’, citato in Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 316, nota 7. I riti a loro tributati
vengono definiti álfablot, si veda S. Caldara, ‘La rappresentazione degli elfi nella tradizione
germanica’, in Le rune: epigrafia e letteratura, ed. Dolcetti Corazza, Gendre, pp. 325-341, p. 333.
127
Sulle stirpi degli elfi si veda il III capitolo, paragrafo 3.1.
128
Si ricordi il gigante primordiale Ymir, cfr. paragrafo 2.1.
34
contempo gli esseri dai quali origina il cosmo e i demoni che lo divorano: sono
presenti alle origini del mondo, ma attendono la fine, momento in cui combatteranno
contro gli dèi. La tendenza a identificare gli elementi pericolosi e potenti della natura
nelle figure dei giganti è testimoniata da molti dei loro nomi. Snorri, infatti, riferisce
che il vento si forma per il battito delle ali di un gigante in forma d’aquila di nome
Hræsvelgr129 ‘vortice veloce’; vi è anche una stirpe dei giganti del mare che ha
origine da Hlér130 ‘mare’; poi vi sono i giganti del ghiaccio detti hrímþursar131,
discendenti di Bergelmir; e ancora i giganti del fuoco che distruggeranno il mondo
insieme al gigante Sutr, il guardiano di Muspell132. Dal momento che questa stirpe
risale alle origini stesse del mondo, i giganti sono estremamente saggi. In particolar
modo Mímir ‘colui che ricorda’, il quale dimora presso la fonte detta Mímisbrunnr in
cui è celata ogni sapienza. Gli dèi confinarono questi esseri ai confini del mondo, a
Jötunnheimr (da jötunn ‘gigante’ e heimr ‘paese’)133, per proteggere se stessi e gli
uomini dalla loro minaccia.
I nani, dvergar, nascono (secondo il mito) dalle carni del gigante Ymir: venuti
fuori come vermi ebbero aspetto e intelligenza umana secondo il volere degli dèi 134, i
quali misero quattro di loro a sorreggere il cielo (Austri ‘Est’, Vestri ‘Ovest’, Norði
‘Nord’, Suðri ‘Sud’). Si dice che i nani temono la luce del sole poiché essa
pietrificandoli li uccide135, ecco perché vivono sotto terra, nei tumuli. Ciò li connette
con i morti e spesso vengono confusi o identificati con gli elfi scuri. La caratteristica
principale dei nani è quella di essere fabbri abilissimi: essi hanno forgiato gli oggetti
più preziosi degli dèi136. Oltre a possedere i segreti del metallo, i nani sono custodi di
grande saggezza. Un nano certamente assai saggio è Alvíss ‘[colui che] sa tutto’,
protagonista del carme eddico che da lui prende il nome, l’Alvíssmál. In esso il nano,
129
Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 318.
130
Ibid., p. 319.
131
Ibid., p. 320.
132
Chiesa Isnardi, Edda di Snorri , Gylfaginning, 4, pp. 64-66; Scardigli, Il canzoniere eddico,
Profezia della veggente, str. 52, p. 13.
133
Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 317.
134
Chiesa Isnardi, Edda di Snorri , Gylfaginning, 14, pp. 48-52; Scardigli, Il canzoniere eddico,
Profezia della veggente, str. 9, p. 6.
135
Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone del nano onnisciente, str. 35, p. 144.
136
Sugli oggetti magici fabbricati dai nani per gli dèi si veda Chiesa Isnardi, I miti nordici, pp. 92-94.
35
che chiede in sposa la figlia di Thor, viene interrogato dal dio sino alle luci dell’alba,
cosa che lo pietrificherà137.
137
Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone del nano onnisciente, pp. 137-144.
138
Ibid., Profezia della veggente, str. 2, v. 2, p. 5.
139
Nella Saga degli Ynglingar, Snorri rappresenta sul piano umano ciò che nell’ Edda aveva descritto
sul piano divino. Colloca la terra dei Vani a occidente di Ásaheimr. Si veda Chiesa Isnardi, Leggende
e miti vichinghi, pp. 79-80.
140
Chiesa Isnardi, Edda di Snorri , Gylfaginning, 45, pp. 125-128.
141
Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone di Vafthrúdhnir, str. 43, v. 4-5, p. 54.
36
9. L’ultimo e nono mondo è il regno dei morti, Helheimr, la cui sovrana è Hel.
Si trova nella zona più profonda e buia dell’universo, caratterizzata da gelo,
pioggia, umidità e nebbia. Vi vanno a stare le anime di coloro che non
muoiono in battaglia.
Questi mondi/regioni sono disposti su un asse verticale e orizzontale, lungo le varie
direzioni cardinali e su un asse che va dal cielo agli inferi. Una delle interpretazioni
sul posizionamento dei nove mondi è data da Scardigli.
I nomi di questi mondi vengono continuamente citati sia nell’Edda in prosa sia nei
Carmi dell’Edda, con i nomi di varie regioni cosmiche dell’universo, senza però
venir specificati come mondi. La loro collocazione è un’ipotesi interpretativa.
142
Scardigli, Il canzoniere eddico, p. 343.
37
CAPITOLO III
GLI ELFI NELLA TRADIZIONE GERMANICA
L’analisi delle credenze sulle creature soprannaturali (elfi, nani, troll, giganti, ecc.)
nelle tradizioni d’area germanica rimane un ambito di studio alquanto complesso.
Pertanto, occorre partire dai testi e adottare un’ottica che tenga conto delle
problematiche intrinseche allo studio di una materia pagana, le cui più antiche fonti
sono dei versi composti prima dell’età della scrittura, raggiunta in Islanda soltanto
nel XII secolo. La conseguenza di ciò è un’estrema variabilità dei contenuti sia su
base sincronica sia diacronica. L’Edda poetica non ci offre un’ottica precisa né
descrizioni esaustive per comprendere chi fossero esattamente gli elfi:
il Grímnismál ci informa che la loro terra non era molto lontana da quella degli Asi
(“Sacra è la terra / che vedo estendersi / agli Asi vicina agli elfi” 143) e
dalla Lokasenna apprendiamo che partecipavano allo stesso banchetto degli dèi
(“degli Asi e degli elfi che sono qua dentro” 144). La fonte principale da cui attingere
informazioni è senza dubbio l’Edda di Snorri, il quale ci fornisce una descrizione più
dettagliata – anche se talvolta non proprio congruente o persino contraddittoria –
sulla razza degli elfi145. Le saghe ci informano che venivano loro tributati offerte e
sacrifici, e anche del curioso uso dei marinai, appena spiaggiata l'imbarcazione a
riva, di defecare ai suoi lati per tenere lontani gli elfi146. Non sono mai descritti, se
non nelle ballate folcloristiche, dove appaiono come esseri dal carattere leggero e
sensuale, ma assai pericolosi per gli uomini che li incontrino nei boschi.
Al fine di una maggiore chiarezza, si userà il termine ‘alfo’, proposto da Sara
Caldara147, in riferimento alle culture germaniche più antiche (germanico *alßaz148,
da cui anglosassone ælf, antico alto tedesco alb, antico nordico alfr e – più recente –
143
Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone di Grímnir, str. 4, vv.1-2, p. 61.
144
Ibid., Insulti di Loki, str. 13, v. 3, p. 108.
145
Si veda il paragrafo 3.1.
146
Si veda nota 168.
147
Caldara, ‘La rappresentazione degli elfi nella tradizione germanica’, p. 325.
148
[ß] è una fricativa bilabiale sonora [ƀ].
38
álfr) e si adopererà ‘elfo’ per le evoluzioni più moderne, proprie delle tradizioni
medievali e del folclore, seguendo l’indirizzo di Hall 149.
Analizzando le fonti più antiche è possibile postulare che lo status originario degli
alfi sia stato di carattere divino o almeno semidivino: essi sono sempre nominati
insieme agli Asi nei carmi dell’Edda150. La caratterizzazione originaria degli alfi
aveva, di certo, una connotazione positiva, la quale è suggerita dall’etimo
strettamente connesso alla nozione di luminosità, che in ambito indoeuropeo è
riferito a figure benevole. ‘Alfo’, infatti, deriva dalla radice indoeuropea *albh-
‘essere bianco, risplendere’ confrontabile con il latino albus e con termini germanici
indicanti il cigno (antico alto tedesco albiz, e anglosassone ælbitu)151. La nozione
etimologica si può riscontrare ancora nel termine nordico Álfheimr ‘Paese degli alfi’
che nel Grímnismál è il nome della dimora donata al dio Freyr bambino per il suo
primo dente: “la terra degli elfi / a Freyr dettero al principio dei tempi / gli dèi come
dono per il suo primo dente.”152.
A questa rappresentazione benevola e splendente degli alfi, si contrappone quella
che li presenta come creature dispettose e malvagie. È ipotizzabile che questa
rappresentazione degli alfi sia stata favorita dalla cristianizzazione, nella cui ottica
tali creature potevano trovare posto solo come demoni153. In quanto creature nocive,
gli alfi dovevano essere tenuti lontani: in alcuni testi islandesi come la Bárðar saga
ritroviamo l’espressione “ganga álfreka” “andare a scacciare gli alfi”, che indica
149
T. Gunnell, ‘How Elvish Were the Alfar?’, Constructing Nations, Reconstructing Myth 9 (2007),
pp. 111-130; Hall, Elves in Anglo-Saxon England, pp. 4-5.
150
Questo porterà a un’errata ipotesi di identificazione degli alfi con i Vani. Si veda paragrafo 3.1.
151
Chiesa Isnardi, I miti noridici, p. 311; Hall, Elves in Anglo-Saxon England, pp. 54-55, concorda
con Grimm, il quale considerò il biancore come segno implicante connotazioni morali positive e
accostò il termine ljósálfar di Snorri Sturluson con gli angeli di derivazione cristiana. J. Grimm,
Teutonic Mythology (Göttingen: Dieterich, 1835), cap. 2, p. 444.
152
Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone di Grímnir, str. 5, vv. 4-6, p. 61. Questo avvenimento,
tuttavia, non viene riferito in nessun altro testo.
153
E.O., Sveinsson, The Folk-Stories of Iceland, traduzione di B. Benedikz (London: Viking Society
for Northern Research, 2003), p. 74.
39
l’atto di defecare. I coloni arrivati in Islanda avevano defecato lungo i lati della loro
nave lasciata in secco per evitare che gli alfi vi salissero a bordo 154.
Le fonti, inoltre, riferiscono di sacrifici a loro tributati: la testimonianza dello
scaldo Sigvatr Þórðason155 riferisce di sacrificio di carattere privato tributato agli alfi
durante il periodo autunnale, di nome alfablót, quando le messi erano state raccolte:
“A hill there is,” answered she, “not far away from here, where elves
have their haunt. Now get you the bull that Kormak killed, and redden the
154
G. Vigfússon, Bárðar saga (Kjøbenhavn: Udgivet af det nordiske Literatur-Samfund, 1860), p. 7.
“Þar á lóninu höfðu þeir gengið á borð að álfreka og þann sama vallgang rak upp í þessari vík og því
heitir það Dritvík” “In quell’insenatura si recarono a defecare lungo i lati della nave e tutti quegli
escrementi si accumularono in questa baida, e perciò si chiama ‘Baia della sporcizia’” (traduzione di
Sara Caldara). Citato in Caldara, ‘La rappresentazione degli elfi nella tradizione germanica’, p. 332.
Sull’atto di defecare per scacciare gli elfi si veda anche Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 331.
155
Un’antologia della poesia scaldica è contenuta nel volume di L. Koch, Gli scaldi. Poesia cortese
d’epoca vichinga (Torino: Einaudi, 1984).
156
Austrfararvísur, str. 5, ed. E.A. Kock, Den norsk-isländska skaldediktningen (Gleerup: Lund,
1946-1949), p. 114. Citato in Caldara, ‘La rappresentazione degli elfi nella tradizione germanica’, p.
333. Traduzione di Sara Caldara; cfr. Gunnell, ‘How Elvish Were the Alfar?’, p. 120.
157
E.O Sveinsson, Kormáks saga (Reykjavík: Hið Íslenzka Fornritafélag, 1939), citato in Chiesa
Isnardi, I miti nordici, p. 310.
40
outer side of the hill with its blood, and make a feast for the elves with its
flesh. Then thou wilt be healed.”
“Vi è un colle” – rispose lei – “non lontano da qui, dove dimorano gli elfi.
Adesso prendi il torno ucciso da Kormak, tingi di rosso le pendici del
colle con il suo sangue e prepara un pasto per gli elfi con la sua carne.
Allora sarai guarito.”158
L’uso di cospargere con il sangue di bue il tumulo in cui abitavano gli alfi ricorda
l’offerta di burro o grassi nelle cosiddette älvkvarnar (älv è in svedese ‘elfo’)159 che
si trovano in Svezia. Le älvkvarnar, Skålgropar in svedese moderno, erano una sorta
di ciotole o scodelle scavate su lastroni di pietra che sino all’età del bronzo venivano
utilizzate per rituali magici, offrendo doni agli alfi 160. Potrebbe esserci uno stretto
collegamento con gli studi effettuati da Fulvio Gosso sulle ‘coppelle’ scavate nella
pietra lungo l’area alpina italiana161: egli formula delle ipotesi sulle loro funzioni
rituali nel periodo neolitico. Egli suppone che la maggior parte delle coppe scavate
nelle pietre fossero l’espressione di un culto religioso che poteva esplicarsi in diverse
manifestazioni di rito162: una analogia molto evidente con l’uso nei riti scandinavi.
158
The Saga of Cormac the Skald. La traduzione dall’islandese è stata effettuata da W.G.
Collingwood, J. Stefansson dall’originale ‘Kormáks saga’. http://sagadb.org/kormaks_saga.en
159
Chiesa Isnardi, I miti nordici, p. 310.
160
Ibid.
161
F. Gosso, On the Potential Use of Cup-Marks, pubblicazione on line presente sul sito del
Dipartimento Valcamonica e Lombardia del Centro Camuno di Studi Preistorici
http://www.simbolisullaroccia.it/.
http://www.simbolisullaroccia.it/archivio/2010/2010%20-
%20On%20the%20Potential%20Use%20of%20Cup-Marks%20-%20F%20Gosso.pdf
162
Ibid., p. 1.
163
Immagine tratta dal sito http://wadbring.com/historia/undersidor/bronsalder.htm
41
Altri elementi della credenza popolare sugli alfi ci vengono fornite dalle ballate
popolari scandinave; nessuna di queste è posteriore al XV secolo ed in esse ricorrono
continuamente le stesse idee ed espressioni 164. Gli alfi ancora vivi nei ricordi e nelle
tradizioni del popolo scandinavo sono distinti in buoni e malvagi, hanno i loro
sovrani e celebrano nozze e banchetti proprio come la gente comune e con loro
hanno spesso dei contatti diretti165.
Le antiche credenze negli spiriti e negli alfi si perpetuarono parallelamente al
Cristianesimo senza venire mai assimilate al suo interno. Le divinità che avevano
avuto culto pubblico scomparvero, mentre gli esseri soprannaturali legati più
strettamente a luoghi particolari e alle famiglie sopravvissero 166. La condanna del
clero nei confronti delle credenze popolari non ebbe alcun effetto su di esse, anzi
furono rinforzate attraverso i racconti tramandati di generazione in generazione e le
credenze si mescolarono alla religione cristiana. In Islanda si disse persino che gli
elfi erano figli che Adamo ed Eva avevano nascosto a Dio167:
Una volta Dio onnipotente andò da Adamo ed Eva. Essi lo accolsero bene
e gli mostrarono tutto quello che avevano dentro casa. Gli mostrarono
anche i loro figli e a Lui tutti parvero molto promettenti. Egli domandò a
Eva se essi non avessero altri figli oltre a quelli che lei gli aveva appena
mostrato. Ella disse di no. Ma la verità era che Eva non aveva finito di
lavare alcuni dei [suoi] figli e si vergognava di farli vedere a Dio e per
questo motivo li aveva nascosti. Dio sapeva questa cosa e disse: “Ciò che
deve essere nascosto a me resterà nascosto [anche] agli uomini”. Questi
bambini divennero dunque invisibili agli uomini ed ebbero dimora nei
boschi e nelle alture, nelle colline e nelle pietre. Di là sono originati gli
elfi, mentre gli uomini sono originati da quei due figli che Eva mostrò a
Dio. Gli esseri umani non possono mai vedere gli elfi a meno che essi
medesimi non vogliano, perché essi possono vedere gli uomini e far sì che
gli uomini li vedano.168
164
T. Keightley, The Fairy Mythology (London: W.H. Ainsworth,1828), p. 77. È disponibile una
versione online sul sito
http://www.gutenberg.org/files/41006/41006-h/41006-h.htm#FNanchor_125_125
165
Si discuterà in maniera più approfondita del folklore legato agli elfi nel capitolo IV.
166
Sveinsson, The Folk-Stories of Iceland, p. 74.
167
L’esempio più antico di questa storia si trova in Árnaskjal, contentuto nella raccolta di J. Árnason,
Íslenzkar þjóðsögur og æfintýri (1862-1864), la raccolta è stata riedita da Á. Böðvarsson, B.
Vilhjálmsson nel 1961 (si veda il paragrafo 4.2.1).
168
Chiesa Isnardi, Racconti popolari e fiabe islandesi, Genesi degli uomini invisibili, p. 19. Si veda
anche J.M. Bedell, Hildur, Queen of the Elves, and Other Icelandic Legends (Northampton,
Massachusetts: Interlink Books, 2007), The Origin of the Hidden People, pp. 29-30. Si noti che
42
3.1 LE STIRPI ALFICHE
Gli álfar vengono citati trenta volte nell’Edda poetica e di solito il termine compare
insieme a quello degli Æsir, come a voler indicare qualcosa di universalmente
conosciuto: “Che accade tra gli Asi. Che accade tra gli alfi?” 169 potrebbe essere
parafrasato in “Che accade nell’intero universo?”. Ci sono solo dei suggerimenti
sull’idea di alfo nell’Edda poetica, ma il lavoro che offre maggiori spunti per lo
studio degli alfi è sicuramente l’Edda in prosa di Snorri. Ciò che Snorri dice riguardo
gli alfi è difficile da interpretare. Usa invariabilmente álf come composto, ad
esempio in Álfheimr, aggiungendo un prefisso con un colore per distinguerne le
stirpi: ljós-, dökk-, svart-, cioè ‘alfi chiari’, ‘alfi scuri’ ed ‘alfi neri’.
Molti luoghi lassù sono nobili. Ce n’è uno chiamato Álfheimr dove vive il
popolo che si chiama Ljósálfar, mentre i Dökkálfar abitano sotto terra, e
sono da loro riversi all’aspetto, ma più ancora nella realtà.
I Ljósálfar all’aspetto sono più belli del sole, mentre i Dökkálfar sono più
scuri della pece.171
In questo passo del Gylfaginning, ciò che dice Snorri è chiaro e inequivocabile, ma
sorge immediatamente un problema quando ci dice che i dökkálfar sono svartari
biki, ‘più neri della pece’. Ciò significa che essi sono svartálfar? Ma quando Odino,
nella vicenda della cattura del lupo Fenrir, manda il servo di Freyr (Skírnir) in
Svartálfaheimr, non vengono nominati gli alfi, ma “certi nani”, che devono costruire
il laccio Gleipnir.
l’opera di Chiesa Isnardi e quella di Bedell sono traduzioni parziali dell’edizione del 1961 di
Böðvarsson, Vilhjálmsson, la quale comprende sei volumi per un totale di 3019 pagine.
169
Scardigli, Il canzoniere eddico, Carme di Thrymr, str. 7, vv. 1-2, p. 122.
170
T.A, Shippey, ‘Light-elves, Dark-elves, and Others: Tolkien’s Elvish Problem’, Tolkien Studies 1
(2004), pp. 1-15, p. 4.
171
Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginnig 17, pp. 87-89.
43
Perciò Allfödhr mandò il servitore di Freyr, di nome Skírnir, in
Svartálfaheimr alla ricerca di certi nani e fece costruire [da loro] la catena
che è detta Gleipnir.172
Secondo Tom Shippey la spiegazione potrebbe essere che Snorri nomina quattro
gruppi (alfi chiari, alfi scuri, alfi neri e nani), ma in realtà ne intende soltanto due: il
primo sarebbe un gruppo di esseri buoni, luminosi e angelici; il secondo, composto
da alfi scuri, alfi neri e nani, è stato semplicemente pensato in opposizione al
primo173. Questa è solo una delle ipotetiche spiegazioni date al ‘problema alfico’,
questione che interessò diversi studiosi e acquistò maggiore rilevanza proprio quando
questi studiosi iniziarono a documentarsi non solo sul lato filologico-linguistico delle
parole, ma anche su quello semantico strettamente connesso ad esso.
Due in particolare si interessarono alla divisione alfica di Snorri: il danese N.F.S.
Grundtvig (1783-1872) e il tedesco J. Grimm (1785-1863).
In Nordens Mythology174, Grundtvig pose maggiormente l’attenzione su “Vætter,
Alfer og Dværge” “spiriti, alfi e nani”. Fu probabilmente il primo a notare
l’incongruenza nell’Edda di Snorri. La sua soluzione andava verso un significativo
compromesso: i ljósálfar erano sicuramente angelici e gli svartálfar erano nani, ma
forse i dökkálfar erano diversi da entrambi:
Elves were the angels of the ancient North, and dwarves only a middle
grade of them: neither light-elves nor dark-elves, but so to speak elves of
the twilight.
Gli elfi erano gli angeli dell’antico Nord e i nani erano solo un livello
intermedio di questi: né elfi chiari, né elfi scuri, ma per così dire elfi del
crepuscolo.175
172
Chiesa Isnardi, Edda di Snorri , Gylfaginning, 34, p. 105. Nella nota 185 Chiesa Isnardi definisce
Svartálfaheimr “Patria degli elfi neri”.
173
Shippey, ‘Light-elves, Dark-elves, and Others: Tolkien’s Elvish Problem’, p. 4.
174
N.F.S. Grundtvig, Nordens Mythologi (Kjöbenhavns: J.H. Schubotes Boghandling, 1832), citato in
Shippey, ‘Light-elves, Dark-elves, and Others: Tolkien’s Elvish Problem’, p. 6.
175
Ibid., p. 263, traduzione di Tom Shippey.
44
Questa soluzione, assolutamente personale da parte di Grundtvig, pone i dökkálfar in
mezzo ai due gruppi, ma introduce anche l’idea di Skumrings-Alfer, alfi del
crepuscolo. Per cui le categorie alfiche venivano ridotte in: alfi chiari, alfi scuri e alfi
del crepuscolo, i quali erano al contempo alfi neri e nani.
Nella sua Deutsche Mythologie Jacob Grimm affrontò anche il tema della divisione
degli alfi, trovandovi una soluzione forse troppo semplicistica:
Some have seen, in this antithesis of light and black elves, the same
dualism that other mythologies have set up between spirits good and bad,
friendly and hostile, heavenly and hellish, between angles of light and of
darkness.
Alcuni hanno visto in questa antitesi tra elfi chiari ed elfi scuri, lo stesso
dualismo che viene riscontrato nelle altre mitologie tra spiriti buoni e
cattivi, amichevoli e ostili, angelici e diabolici, tra angeli della luce e
dell’oscurità.176
Senza citarlo direttamente, Grimm critica Grundtvig sostenendo che non bisogna
abbandonare la tripartizione di Snorri in ljósálfar, dökkálfar e svartálfar:
But ought we not rather to assume three kinds of Norse: genii, ljósálfar,
dökkálfar, svartálfar?
A mio parere potrebbero esistere due ipotesi sulla suddivisione delle stirpi alfiche. La
prima è che vi siano ljósálfar e dökkálfar ma non svartálfar, poiché nel Gylfaginning
l’aggettivo svart- è associato solo al composto Svartálfheimr ‘Paese degli elfi neri’ e
non viene mai nominata direttamente la stirpe degli svartálfar. Una ragione potrebbe
essere che i dökkálfar siano semplicemente “svartari biki” (più neri della pece) e che
Svartálfheimr indichi il sottosuolo in generale in cui dimorano anche i nani, con i
quali gli alfi scuri condividono alcune caratteristiche, come l’abilità nel lavorare i
metalli e il preferire l’oscurità alla luce. Presumibilmente Snorri rappresenta una
trasposizione del passato pagano della contrapposizione cristiana tra angeli buoni e
176
J.S. Stallybrass, Grimm’s Teutonic Mythology (London: George Bell and Sons, 1882-1888), pp.
444-445, citato in Shippey ‘Light-elves, Dark-elves, and Others: Tolkien’s Elvish Problem’, p. 7.
177
Ibid.
45
angeli caduti, infatti nel Gylfaginning si afferma che gli alfi chiari abitino nel cielo
che si trova più in alto, Víðbláinn.178
La seconda ipotesi è che invece esista solamente una stirpe degli alfi e sia quella
dei ljósálfar, mentre i dökkálfar siano identificabili completamente con i nani. Ciò ci
viene testimoniato da alcuni dei loro nomi composti sulla parola álfr: Alfr179,
Gandalfr e Vindalfr180. Inoltre l’unico nome di alfo che appare nell’Edda poetica, in
Hávamál, è quello di Dáinn che è anche il nome di un nano181.
L’identificazione degli elfi con i nani non è l’unica incongruenza che si ritrova nei
carmi dell’Edda: vi è un’altra ipotesi che afferma che si potrebbero identificare gli
elfi con i vani. In particolare nella Lokasenna elfi e Asi partecipano allo stesso
banchetto, ma a prendere la parola sono gli Asi e alcuni Vani (Njörðr, Freyr e
Freyja), mentre nessuno degli alfi proferisce parola: prima li nomina Eldir: “Fra gli
Asi ed elfi, / quanti sono là dentro,”182; poi Loki “ degli Asi e degli elfi / che sono
qua dentro”183. A dar sostegno a questa ipotesi anche nell’Hávamál l’io narrante
recita:
Qui vengono nominate tutte le stirpi degli esseri sovrannaturali eccetto quella dei
Vani, che ci sia una corrispondenza divina tra questi e gli alfi che vengono
continuamente nominati accanto agli Asi? Anche nelle strofe successive si legge:
178
Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 17, pp. 87-89.
179
Scardigli, Il canzoniere eddico, Profezia della veggente, str. 16, p. 7.
180
Ibid., str. 12.
181
Dáinn compare in Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone dell’eccelso, str. 143, v. 1, p. 40 come
nome di un elfo, mentre in Chiesa Isnardi, Edda di Snorri, Gylfaginning, 14, pp. 78-82 come nome di
un nano.
182
Scardigli, Il canzoniere eddico, Insulti di Loki, str. 2 v. 3;
183
Ibid., str. 13, v. 3; str. 30, v. 3.
184
Ibid, Canzone dell’eccelso, str. 143, p. 40.
46
“degli Asi e degli elfi / di tutti l’ordine conosco a perfezione.”185; “il nano, davanti le
porte di Dellingr: / cantò forza agli Asi / e capacità agli elfi;” 186.
In altri carmi appare il binomio ‘Asi e alfi’, come in Skirnismál187 e nella
Þrymskviða188 e – come detto in precedenza – il Grimnismal ci dice che Freyr è il
padrone di Álfheimr189.
Rispetto a quanto detto sinora, alcuni poemi eddici presentano Vani ed alfi come
clan differenti. Nel Sigrdrífumál la valchiria Sigdrífa insegna all’eroe la saggezza e
narra di come le rune siano distribuite tra gli Asi, tra gli alfi, alcune tra i Vani e
alcune tra gli uomini:
Nello stesso Skirnismál ritroviamo una contraddizione: nella strofa sette il binomio
‘Asi e alfi’ esclude i Vani, ma più avanti nella strofa diciassette la gigantessa Gerðr
domanda “Chi è degli elfi o dei figli degli Asi / oppure dei sapienti Vani?” 191.
Un altro esempio è l’ Alvíssmál in cui il nano Alvís risponde alle domande di Thor
e traduce per lui alcune parole considerando differenti le lingue degli alfi e dei Vani:
Cielo vien detto fra gli uomini e Volta degli Astri fra gli dèi
Tessitore dei venti lo chimano i Vani,
Terra superna i giganti, Magnifico Tetto gli elfi,
i nani Corte Gocciolante.192
È possibile postulare che alfi e Vani siano da considerarsi come stirpi differenti e che
l’espressione ‘Asi e alfi’ vada interpretata come indicante la totalità delle creature
185
Ibid., str. 159, vv. 4-5, p. 43.
186
Ibid., str. 160, vv. 2-4, p. 43.
187
Ibid., Canzone di Skirnir, str. 7, vv. 3-5, p. 74: “degli Asi e degli elfi / nessuno vuole / che lei ed io
stiamo insieme.”
188
Ibid,. Carme di Thrymr, str. 7 vv. 1-2, p. 122: “Che accade tra Agli / che accade tra gli elfi?”
189
Si veda il paragrafo 3.1.
190
Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone di Sigdrífa, str. 18, vv. 4-6, p. 223.
191
Ibid., Canzone di Skirnir, str. 17, vv. 1-2, p. 76.
192
Ibid., Canzone del nano onniscente, str. 12, p. 141.
47
divine – come detto all’inizio di questo paragrafo – dalle più importanti, gli Asi, alle
minori, gli alfi, e non come identificazione degli alfi con i Vani. Tutte queste
incongruenze e diverse ipotesi interpretative sono dovute al fatto che Snorri stesso si
trovò in evidente difficoltà nel tentativo di costruire una singola immagine del
mondo pagano, difficoltà dovuta probabilmente non solo alla sua fede cristiana, ma
anche alla presenza di un ambiente multiculturale venutosi a formare secoli prima del
suo lavoro. Troppo spesso gli studiosi si affidano esclusivamente alla classificazione
degli álfar fatta da Snorri, dimenticando apparentemente il fatto che, come Grundtvig
e Grimm, anche lui stava essenzialmente traendo conclusioni da materiali più antichi
e di varia fonte193.
193
Gunnell, ‘How Elvish were the Álfar?’, p. 117.
194
Si veda la nota 1.
195
Studioso e insegnante di Letteratura Medievale dell’Europa Nord-Occidentale (in particolare
scandinava e anglosassone) presso l’Università di Leeds, Inghilterra. Considerato tra i suoi estimatori
un esperto di elfi.
196
Scardigli, Il canzoniere eddico, Il carme di Völundr, str. 10, v. 2, p. 131.
197
Ibid., Il carme di Völundr, str. 13, v. 2; str. 32, v. 1, p. 134.
198
Hall si avvale di descrizioni femminili in cui le fanciulle vengono definite ‘bianche’, partendo dagli
aggettivi norreni ljósa (chiaro) e hvítastr (bianco), cfr. Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 44,
nota 106.
48
come indice di nobili origini199 più che di femminilità. In effetti, Snorri ci dice che
gli alfi sono “più belli del sole”, “eru fegri en sól”200, ma non allude mai a
caratteristiche femminee; anche le saghe ci testimoniano la loro bellezza: per
esempio nel Sögubrot, il frammento di saga derivato da una versione ampliata del
XIII secolo della perduta Skjöldunga saga, in cui si afferma che gli alfi sono molto
più belli degli altri uomini201.
Gli alfi sono sempre nominati al plurale, indicando tutta la stirpe, e ciò non ci
permette una precisa distinzione del genere sessuale: quando si ritrova il termine álfr
al singolare nelle kenningar, esso denota individui di genere maschile, guerrieri o
nobili, ma ciò non è prova sufficiente per stabilire che tutti gli alfi fossero maschi o
monosessuati. Tuttavia Hall tende a evidenziare il carattere unicamente maschile di
álf nella cultura scandinava – analisi che sembra in parte contraddire le sue ipotesi
sull’effeminatezza di Völundr e degli alfi in genere202 – attraverso lo studio della
Ragnarsdrápa, di Bragi Boddason, in cui il re Jörmunrekr viene definito come
sóknar alfs, alfo dell’attacco, mentre l’eroe Högni ha l’appellativo di raðaralfs, alfo
della nave203. Anche qui, però, sembrerebbe esserci un’incongruenza. Si pensi alle
valchirie, divinità femminili guerriere: proprio perché non vi sono solo guerrieri
maschi, l’appellativo ‘alfo dell’attacco’ (attribuito a un guerriero) non può essere
una prova inconfutabile del genere unicamente maschile della razza alfica.
199
J. McKinnell ‘The Context of Völundarkviða’, Saga-Book of the Viking Society 23 (1990), pp. 1-
27, pp. 9-10; in area anglosassone, i nomi che contengono il prefisso ælf- sono associati ad un preciso
status sociale: esso appare quasi esclusivamente nei nomi di re e nobili (Ælfrēd ed Ælfric), si veda H.
Stuart, ‘The Anglo-Saxon Elf’, Studia Neophilologica, 48 (1976), pp. 313-320, p. 314.
200
Si veda il paragrafo 3.1.
201
Sögubrot, cap. 10: “þat fólk, er Álfar hétu, at þat var milu fríðara enn engi önnur mannkind á
Norðurlöndum” “Quelle genti, che si chiamano alfi, che erano molto più belli della restante
popolazione dei paesi del nord”. Caldara, ‘La rappresentazione degli elfi nella tradizione germanica’,
p. 336, nota 57. Traduzione a cura di Sara Caldara.
202
Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 76: “Our early Scandinavian evidence, attests only to male
álfar – albeit in Vöundr’s case, álfar of dubitable masculinity.”
203
Ibid., p. 28.
49
Se le prime testimonianze scandinave utilizzano álfr per denotare uomini eccellenti e
guerrieri204, quelle anglosassoni portano il termine ælf ad assumere connotazioni
prettamente femminili, facendolo corrispondere al latino ninpha205 e incorporandone
la caratteristica bellezza e sensualità. Ælf venne utilizzato come base per comporre
nuove glosse, di cui abbiamo testimonianza in un manoscritto risalente ad un periodo
“non successivo alla prima metà del IX secolo”206, conservato a Leiden (Bibliotheek
der Rijksuniversiteit Voccius Lat. 4° 106).
L’uso di ælf come base per glossare parole indicanti le ninfe potrebbe indicare una
visione generale delle donne elfo come caratterizzate da peculiarità angeliche, e
quindi donne di particolare bellezza e leggiadria. Questa visione potrebbe essere stata
204
Un altro esempio ci viene fornito dalla kenning “fjörnis álfr” (alfo dell’elmo) che ritroviamo nella
Hrynhenda di Sturla Þorðarson (1214-1284), riferito al re norvegese Hákon Hákonarson, Si veda
Caldara, ‘La rappresentazione degli elfi nella tradizione germanica’, p. 329.
205
Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 88.
206
M.B. Parkes, ‘The Manuscript of the Leiden Riddle’, Anglo-Saxon England 1 (1972), pp. 207–17,
p. 215, citato in Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 78.
207
Hall decide di non tradurre il termine ‘ælfenne’. Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 79.
208
H.D. Meritt, ed., Old English Glosses: A Collection (New York: Modern Language Association of
America; London: Oxford University Press, 1945), p. 61.Citato in Hall, Elves in Anglo-Saxon
England, p. 79.
50
poi trasmessa alle generazioni successive. Ad esempio, un poeta-alchimista inglese
del XV secolo ci narra che
Then the lord, wise-minded man, began to instruct his wife with words:
‘After the Egyptians, many and proud, are able to look with their eyes
upon your beauty, then the nobles of princes will expect, ælfscȳne wife,
that you are my bright consort; one of those warriors will want to take
you for himself.’
Poi il signore, uomo saggio, cominciò a istruire sua moglie con queste
parole: “poiché gli Egiziani, tanti ed orgogliosi, possono guardare con i
loro occhi la tua bellezza, allora i nobili tra i principi immagineranno,
moglie dalla bellezza elfica, che tu sei la mia splendente consorte; uno di
questi guerrieri vorrà prenderti a causa mia” 211
Le donne che hanno questa dote non sono semplicemente belle, ma pericolosamente
belle. Sara, per la sua bellezza, suscita desiderio e mette in pericolo se stessa e il suo
209
P. Grund, ‘Albertus Magnus and the Queen of the Elves: A 15th-Century English Verse Dialogue
on Alchemy’, Anglia 122 (2004), pp. 640–62, p. 657.Citato in Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p.
89.
210
Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 89-92.
211
A.N. Doane, Genesis A: A New Edition (Madison: The University of Wisconsin Press, 1978), p.
167, citato in Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 91.
51
sposo. In un altro esempio, tuttavia, quello di Giuditta, questa bellezza è pericolosa
per gli altri e non per chi la possiede.
Giuditta viene definita “ides ælfscīnu”212, che Hall traduce con “ælfscȳne lady”213 e
sappiamo che il suo compito è quello di sedurre e uccidere, per volontà di Dio, il re
Oloferne214 nella città di Betulia.
L’utilizzo dell’appellativo ælfscȳne per denotare la bellezza di due personaggi della
Bibbia fa pensare che il termine fosse di uso comune nell’Inghilterra anglosassone e
che quindi esisteva un’effettiva credenza negli alfi. Gli alfi, e la superstizione che li
riguardava, vennero gradualmente trasformati dalla religione cristiana in esseri
pericolosi: la cultura popolare cominciò a considerarli come la causa di una serie di
malattie che potevano colpire in egual modo persone ed animali.
Un importante testo medico di riferimento in cui si parla di malattie causate dagli
alfi è il Wið fǣrstice215. Per poter guarire il paziente da una malattia alfica era
necessaria una formula recitata:
Gif hit wǣre ēsa gescot, oððe hit wǣre | ylfa gescot,
oððe hit wǣre hægtessan gescot, nū ic wille ðin helpan.
L’ ‘ylfa gescot’, il ‘colpo alfico’, di cui parla il Wið fǣrstice viene nominato soltanto
alla fine del rituale, il quale narrava in termini eroici le sofferenze del malato 217. Gli
212
E. Dobbie, ‘Beowulf and Judith’, Anglo-Saxon Poetic Records, 4 (1953.), p. 99.Citato in Hall,
Elves in Anglo-Saxon England, p. 92.
213
Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 92.
214
Nella versione della Bibbia Oloferne è Nabucodònosor e la città è Ninive.
215
Il Wið fǣrstice (Contro un colpo improvviso) è un testo medico in antico inglese contenuto nella
collezione conosciuta con il nome di Lacnunga (Rimedi) che si trova a Londra, British Library
Manuscript Harley 585. Il testo descrive come i fǣrstice siano causati da dardi di donne magiche,
menzionate anche come elfi. Si veda Hall, Elves in Aglo-Saxon England, pp. 1-6.
216
F. Grendon, ‘The Anglo-Saxon Charms’, The Journal of American Folklore, vol XXII (1990), pp.
105-237, pp. 164-165. Traduzione dal Wið fǣrstice, vv. 23-24, 176a di Grendon.
http://www.jstor.org/stable/pdfplus/534353.pdf?acceptTC=true
52
alfi potevano causare una gran varietà di patologie: generici malori – ælfādl –,
problemi al fegato e della digestione – ælfsogoða –, infiammazioni, podagra, ascessi,
coliche, eruzioni cutanee, diarrea. Difficile giudicare quanto fossero clinicamente
efficaci i diversi rimedi per le ‘malattie alfiche’218, sicuramente, però, gli effetti
psicologici dei rituali facilitavano le guarigioni psicosomatiche grazie alla loro
“efficacia simbolica”219.
Oltre alle malattie, gli alfi venivano collegati alla magia: nella sezione 65 del
Bald’s Leechbook220 si trova un rimedio contro un alfo:
Wið ælfe et wiþ uncuþūm sīdsan gnīd myrran on wīn et hwītes rēcelses
emmicel et sceaf gagātes dǣl þæs stānes on þæt wīn, drince .iii. morgenas
neaht nestig […]
Trovare nella stessa citazione i termini alfo e magia (ælf e sīdsa) non lascia alcun
dubbio sul fatto che gli alfi utilizzassero le pratiche magiche, ma queste erano
‘sconociuste/strane/insolite’. Questo carattere magico e ostile degli alfi fu
ulteriormente demonizzato dalla religione cristiana che, cercando di eliminare le
tracce di un antico paganesimo, demonizza gli alfi sino a utilizzare il termine ælf
217
Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 112.
218
Per un ulteriore approfondimento sulle patologie inferte dagli alfi si veda Hall, Elves in Anglo-
Saxon England, pp. 110-115.
219
Per il concetto di efficacia simbolica si veda la ricerca di Lévi-Strauss sullo sciamanesimo nella
tribù dei kuna, C. Lévi-Strauss, Antropologia Strutturale (Milano: il Saggiatore, 2009), pp. 210-230.
220
Il Bald’s Leechbook (conosciuto anche come Medicinale Anglicum) è un antico testo medico
anglosassone, scritto nel IX secolo, probabilmente sotto l’influenza delle riforme di Alfredo il Grande.
Il testo è sopravvissuto in un solo manoscritto attualmente conservato alla British Library, Royal 12 D
xvii.
221
Sulle origini della parola sīdsa, il cui significato è attribuibile a magia, si veda l’analisi di Hall,
Elves in Anglo-Saxon England, p. 119, p. 130.
222
Ibid., p. 120. Traduzione dall’anglosassone di Hall.
53
come sinonimo di Satana: si legge nel Royal Prayerbook (VIII secolo) “adiuro te
satanae diabulus aelfae”, “scaccio te, diavolo di Satana e di un alfo”223.
L’intento di cancellare gli alfi dall’immaginario popolare attraverso una
demonizzazione, probabilmente eccessiva, non ebbe l’effetto sperato, come
dimostrano le testimonianze successive: si qui fa riferimento a secoli successivi, in
particolare alla letteratura del Middle English (XII-XIV secolo). Sicuramente la
testimonianza principale è quella di Geoffrey Chaucer in The Wife of Bath’s Tale in
cui parla di una ‘regina degli elfi’ che ballava sui prati con altre fanciulle “The elf-
queene, with hir joly compaignye, / Daunced ful ofte in many a grene mede”224;
Chaucer ci dice anche che per colpa delle preghiere e dei santi frati non è più
possibile agli uomini vedere gli elfi “But now kan no man se none elves mo, / For
now the grete charitee and prayeres / Of lymytours and othere hooly freres,”225.
Come si può notare nel XIV secolo (periodo in cui scrive Chaucer) il termine ælf si è
trasformato in elf. Questa variazione ebbe uno sviluppo piuttosto regolare con un
certo numero di cambiamenti fonetici che è possibile esaminare nello schema
ricostruito da Alaric Hall226. Nel Middle English si attestano ælf, ylf ed elf che sono
227
distribuiti a seconda degli antichi dialetti; la forma definitiva di elf (che è quella
che ritroviamo in Chaucer e attualmente nell’inglese moderno) si affermò nel X
secolo in Anglia e nelle regioni a Sud-Est.
223
A.B. Kuypers, The Prayer Book of Aedeluald the Bishop, Commonly Called the Book of Cerne
(Cambridge: Cambridge University Press, 1902), p. 221, citato in Hall, Elves in Anglo-Saxon
England, p. 175.
224
“La regina degli elfi, con la sua lieta compagnia, / Danzava spesso in più di un prato verde” G.
Chaucer, The Canterbury Tales, The Wife of Bath’s Tale, vv. 860-861. http://www.sacred-
texts.com/neu/eng/mect/mect12.htm
225
“Ma adesso nessuno può più vedere gli elfi, / Grazie alla grande carità e le preghiere / di chi pone
dei limiti e degli altri santi frati,” Ibid., vv. 864-866.
226
Si veda la tabella alla pagina successiva.
227
K. Luck, Historische Grammatik der englischen Sprache (Leipzig: Tauchnitz, 1914-40), p. 366,
citato in Hall, Elves in Anglo-Saxon England, p. 179.
54
228
Prehistoric Seventh century Tenth century
West Saxon <ie>
Pre OE, with loss First Breaking I-mutation, /ß/ > /f/ > <y>, /y/;
Of -z Fronting -i-deletion second
fronting in some
Mercian varieties
Anglian
55
Ælß ælf ælf, elf
West Saxon *alßiz > *alßi *ælßi *æulßi *ielß *ielf ylf
229
J. Grimm, W. Grimm, Kinder- und Hausmärchen (Berlin: Realschulbuchhandlung, 1812-1815).
230
M. Grímsson, J. Árnason, Íslenzk æfintýri (Reykjavík, Einar Þorðarson, 1852).
231
K. Maurer, Isländische Volkassagen der Gegenwart (Leipzig: J.C. Hinrichs Buchhandlung, 1860).
232
J. Árnason, Íslenzkar þjóðsögur og æfintýri (Leipzig: Hinrichs, 1863-1864).
56
soltanto al suo collega Árnason. La pubblicazione avvenne a Lipsia nel 1862 e andò
in ristampa nel 1864, grazie alla collaborazione dell’amico Maurer. Nella
presentazione del materiale Árnason propose una suddivisione molto articolata.
Riallacciandosi alla ricchissima tradizione folcloristica islandese che affonda le
proprie radici nel paganesimo, divise il proprio lavoro in dieci sezioni principali:
Goðfræðsögur (Storie di esseri mitologici)233, Draugasögur (Storie di draugar)234,
Galdrasögur (Storie di magia), Náttúrusögur (Storie sulla natura), Helgisögur
(Leggende), Viðburðasögur (Vicende), Útilegumannasögur (Storie di fuorilegge),
Ævintýri (Fiabe), Kímnisögur (Storie comiche), Kreddur (Credenze).
Il lavoro di Jón Árnason e – per quanto gli è stato possibile – di Magnús Grímsson
offre a tutti coloro che sono interessati alle radici della cultura islandese la possibilità
di usufruire di uno straordinario patrimonio letterario. L’importanza di queste storie è
ben rimarcata dalle parole di Jón Sigurðsson (1811-1879), uomo simbolo della lotta
per l’indipendenza235, che vengono citate all’inizio della raccolta:
Vér horfum með undrun á hinar fornu sögur sem standa eins og fjallháar
eikur, óhræranlegar og fastar, en vér virðum lítils hinar se meru í
kringum oss eins og smáblóm alls staðar á vegi vorum, spretta upp og
vaxa með oss í æskunni, lifa undir tungurótum mæðra og fósturmæðra og
gæti orðið að fögrum eikum og blómguðum, en hverfa fyrr af því vér
köstum þeim frá oss eins og visnuðum skarifíflum. Þær hafa aldrei komizt
‘a skinn, þess vegna metum vér þær að engu.
Noi guardiamo con meraviglia alle storie antiche che sono come querce
immobili e salde, alte come montagne, ma consideriamo poco le altre che
come piccoli fiori stanno attorno a noi, ovunque sul nostro cammino,
germogliano e crescono con noi nella giovinezza, vivono sotto la radice
della lingua delle madri e madrine e potrebbero diventare alberi
meravigliosi e rigogliosi; ma scompaiono prima perché le gettiamo via da
noi come piante autunnali appassite. Esse non sono mai state messe per
iscritto, per questo non le consideriamo affatto.236
233
Gli esseri mitologici di questa prima sezione sono elfi, esseri acquatici, orchi, troll e giganti.
234
Cioè di fantasmi, di esseri magici e di spiriti: Chiesa Isnardi, Racconti popolari e fiabe islandesi, p.
6 e p. 164.
235
Ibid., p. 11. Dal 1262 al 1387 l’Islanda fu sotto il dominio norvegese, poi il paese divenne parte del
regno danese. Le prime lotte per l’indipendenza iniziarono nel XIX secolo e finalmente nel 1944
l’Islanda riacquistò la sua originaria indipendenza.
236
Árnason, Íslenzkar þjóðsögur og æfintýri, p. 6; citato in Chiesa Isnardi, Racconti popolari e fiabe
islandesi, p. 12. Traduzione di Gianna Chiesa Isnardi.
57
4.2.1 RACCOLTE FOLCLORISTICHE
Fino a poco tempo fa non vi era, tuttavia, un vero e proprio archivio di leggende
folcloristiche in Islanda. Ciò voleva dire che l’unico modo per trovare materiale su
leggende di un particolare tipo, su credenze locali e via dicendo, era quello di
curiosare attraverso le varie collezioni237.
Il materiale della narrazione folcloristica islandese è uno dei maggiori tesori
culturali della nazione, alla pari delle saghe, dei poemi dell’Edda e dell’Edda in
prosa. Purtroppo, però, solo il 5% dei racconti folcloristici islandesi è accessibile a
coloro i quali non parlano l’islandese. Un ulteriore problema è che le leggende
islandesi non sono mai state dettagliatamente indicizzate, catalogate o classificate: in
molti casi, queste collezioni non danno nemmeno informazioni riguardo ai narratori
o al luogo d’origine delle leggende 238. Inoltre, tutto il materiale d’archivio era
ripartito tra tre istituzioni diverse, nessuna delle quali aveva un catalogo completo:
l’Istituto Arnamagnano (Árnastofnun), il Dipartimento di Etnologia del Museo
Nazionale (Þjóðháttardeild þjóðminjasafns), e il Dipartimento Sezione Manoscritti
della Libreria Nazione (Handritadeild).
Attualmente, l’archivio più completo e meglio organizzato si trova presso
l’Árnastofnun, nel quale, durante gli anni 1971-1997, furono accolti 141 manoscritti
provenienti dalla biblioteca reale danese 239. Molti dei manoscritti sono stati
fotografati e resi disponibili sul sito ‘Handrit.is’240 (all’interno del sito ufficiale
dell’istituto) e vi sono anche foto digitali sul sito ‘Saganet’ 241 (progetto fondato dalla
biblioteca nazionale universitaria d’Islanda in collaborazione con la Cornell
University di Ithaca, New York, per la pubblicazione su internet di testi manoscritti
ed antiche edizioni di saghe islandesi).
Esiste anche un Dipartimento di Studi Folcloristici che contiene materiale registrato
proveniente dalla tradizione orale. Una gran quantità di racconti popolari è stata
237
Per un elenco delle varie collezioni di racconti popolari, fiabe, canzoni e filastrocche si veda
Sveinsson, The Folk-Stories of Iceland, pp. 141-147.
238
T. Gunnell, ‘Sagnagrunnur: a New Database of Icelandic Folk Legends in Print’, p. 153.
http://www.folklore.ee/folklore/vol45/gunnell.pdf
239
http://www.arnastofnun.is/
240
http://handrit.is/
241
http://saga.library.cornell.edu/
58
registrata su nastri, in cooperazione con l’Icelandic National Broadcasting Service,
che ha raccolto – insieme agli studiosi dell’Istituto Arnamagnano – leggende, rímur
(ballate), composizioni in prosa e in versi, in ogni angolo dell’Islanda. Il materiale
più antico è composto da registrazioni di canti folcloristici realizzate su cilindri di
cera tra il 1903-1912; tale materiale, tra il 1984-1994, è stato trasferito su supporti di
migliore qualità, catalogato secondo i contenuti, le fonti, le aree di registrazione,
ecc., e reso disponibile per la ricerca. Dal 1994, grazie soprattutto al lavoro di Gísli
Sigurðsson e Rósa Þorsteinsdóttir, che hanno ricevuto l’incarico da parte dell’istituto
di iniziare la compilazione di un database di tutto il materiale contenuto negli archivi
audio, è possibile ascoltare queste registrazioni senza doversi recare direttamente a
Reykjavík, collegandosi al sito web dell’istituto, al link ‘Ísmús’ 242.
Oltre all’archivio audio e alla raccolta dei manoscritti originali dell’Istituto
Arnamagnano, vi è un ulteriore database che riguarda tutte le leggende e i racconti
popolari stampati e pubblicati: ‘Sagnagrunnur’. Realizzato da Terry Gunnell e dai
suoi studenti a partire dal 1999, è visionabile on line dal 10 agosto 2010243. Sono già
state inserite circa quindicimila leggende e racconti all’interno di Sagnagrunnur, ma
l’intento è quello di inglobare anche il materiale contenuto nell’archivio Ísmus. Il
progetto è ancora in corso e prevede di includere anche il materiale proveniente dalle
isole Fær Øer, Orkney e Shetland, così da formare un più ampio catalogo
internazionale delle isole del nord Atlantico.
Nel complesso, Sagnagrunnur, Ísmus, Saganet e Handrit.is forniscono, grazie ad
uno straordinario lavoro di raccolta e catalogazione, un quadro estremamente ampio
e variegato delle vite, credenze, attitudini e valori degli islandesi. Tutto ciò ha anche
il merito di essere accessibile non solo ai ricercatori universitari, ma a chiunque sia
curioso di conoscere la cultura dell’isola.
242 http://www.arnastofnun.is/id/1033260
243 http://notendur.hi.is/terry/database/sagnagrunnur.htm
59
letteraria e dagli ininterrotti legami con l’antica cultura del paese244. I racconti
popolari islandesi mostrano le caratteristiche peculiari della gente e degli ambienti da
cui hanno origine, anche se si notano molte contaminazioni provenienti da altri paesi,
specialmente Norvegia e Danimarca245. Tuttavia, il materiale delle storie provenienti
dall’esterno veniva ‘islandizzato’, cioè trasformato dall’inventiva islandese al punto
che era difficile distinguerlo da ciò che apparteneva già alle radici dell’isola.
Innanzi tutto il contesto ambientale dei racconti era fortemente legato al territorio
islandese, il quale possedeva in sé scenari quasi magici: le eruzioni vulcaniche
improvvise producevano rocce laviche che spesso, per la loro forma, ricordavano
creature mitologiche o mostruose e si credeva fossero il risultato di qualche magia; il
mare e i laghi erano misteriosi e spaventosi tanto da portare a credere che fossero
abitati da mostri; le aperture sul ghiaccio dei laghi venivano chiamate ‘varchi degli
elfi’246. Non bisogna dimenticare, inoltre, che queste storie – anche se provenivano
talvolta da fonti scritte – venivano raccontate oralmente247 all’interno di ambienti
familiari. Vi erano delle riunioni serali, chiamate kvöldvökur (letteralmente
‘veglie’)248, durante le quali si raccontavano storie, si faceva musica e si cantava. Gli
abitanti della casa sedevano nella baðstofa249 eseguendo le loro occupazioni serali
244
L’istruzione aveva avuto maggiore diffusione in Islanda, tra tutte le classi sociali, rispetto ad altre
nazioni, e sono molto comuni le influenze letterarie nei racconti folcloristici islandesi. Si veda
Sveinsson, The Folk-Stories of Iceland, p. 16 e pp. 311-312.
245
I racconti provenienti da altri paesi vengono detti ‘leggende migratorie’ e attecchiscono nel
territorio laddove trovano abili narratori. Sulle principali leggende migratorie che ritroviamo in
Islanda si veda Bedell, Hildur, Queen of Elves and Other Icelandic Legends, pp. 8-10.
246
Sveinsson, The Folk-Stories of Iceland, pp. 154-156 e p. 311.
247
La prima è più importante caratteristica di una folk-stories è che si tratta di una narrazione orale.
Non importa se una storia popolare ha origine da una storia scritta, ma perché una storia scritta
cominci a far parte del folclore deve circolare oralmente. Si tratta di una narrazione in prosa, può
contenere versi, ma la storia stessa deve essere in prosa e deve raccontare un evento specifico. Si veda
Sveinsson, The Folk-Stories of Iceland, pp. 14-15.
248
Gunnell traduce kvöldvökur con “evening wakes”, si veda Bedell, Hildur, Queen of Elves and
Other Icelandic Legends, p. 5.
249
La baðstofa era la stanza in cui gli abitanti delle fattorie islandesi, dal Medioevo sino all’inizio del
XX secolo, dormivano e lavoravano nelle ore serali. Aveva spessi muri fatti di torba e poche finestre
per far entrare la luce. I letti disposti sui lati della stanza venivano usati per sedere durante i pasti o per
le occupazioni serali. In questa stanza dormivano solitamente i bambini, i visitatori e gli operai della
60
(filare, tessere, cucire le scarpe, incidere il legno) e trascorrevano il tempo
incoraggiando un uomo o una donna250 a sedere al centro e iniziare una narrazione. I
narratori di solito vivevano o lavoravano all’interno della fattoria, tuttavia alcune
volte potevano essere visitatori di passaggio: viandanti che si spostavano tra le
diverse fattorie, intrattenendo i loro ospiti. Proprio questi viaggiatori erano i veri
portatori di notizie, pettegolezzi e leggende nelle differenti aree del paese251.
Le figure più comuni che appaiono nei più antichi racconti popolari sono quelle
degli álfar e del cosiddetto ‘popolo nascosto’, huldufólk252. Come si è visto, la parola
álfar si ritrova già negli antichi testi islandesi e si riferisce ad esseri vicini agli dèi 253,
a differenza degli elfi di cui si parla oggi. Gli esseri del popolo nascosto
rappresentano una commistione tra gli antichi álfar e i nátturuvættir254 (spiriti della
natura che proteggevano il territorio). Generalmente sono simili agli esseri umani per
aspetto e dimensioni, ma possiedono la capacità di rendersi molto piccoli o molto
grandi. Le leggende che li riguardano sembrerebbero rispecchiare le vite degli esseri
umani, tranne per il fatto che gli elfi sono di solito belli, potenti, affascinanti e liberi
da preoccupazioni255. Vivono in comunità, hanno fattorie, vanno a pesca, traslocano,
hanno figli, si innamorano, si sposano e muoiono, proprio come gli esseri umani.
I racconti raccolti da Jón Árnason ci danno due versioni sull’origine degli elfi. Una
è quella già citata che li vede come i figli che Eva non aveva mostrato a Dio, perché
fattoria che erano stati assunti temporaneamente. Bedell, Hildur, Queen of Elves and Other Icelandic
Legends, pp. 1-2.
250
Come è ovvio gli anziani sono quelli che conoscono più storie e in islandese esiste una parola per
indicare un vecchio o una vecchia ‘che sa tante storie’: rispettivamente sögukarl e sögukerlin. Negli
ultimi secoli le donne sono state più attive degli uomini nel conservare le storie folcloristiche:
Sveinsson, The Folk-Stories of Iceland, p. 69.
251
Bedell, Hildur, Queen of Elves and Other Icelandic Legends, p. 6.
252
Il termine islandese huldufólk è strettamente legato al norvegese huldre/underjordisk, ‘popolo
nascosto o sotterraneo’; Bedell, Hildur, Queen of Elves and Other Icelandic Legends, p. 10. I danesi
usano il termine ellefolk e gli svedesi högfólk. Si veda Keightley, The Fairy Mythology, pp. 79-81.
253
Cfr. paragrafo 3.1.
254
T. Gunnell, ‘The Coming of the Christmas Visitors’, The Journal of Scottish Society for Northern
Studies 38 (2004), pp. 51-71, p. 52.
255
Bedell, Hildur, Queen of Elves and Other Icelandic Legends, p. 11.
61
non li aveva puliti256, l’altra invece li identifica come spiriti che non presero una
posizione quando Lucifero ed altri angeli si ribellarono a Dio:
Se è pur vero che gli elfi non possono vivere insieme agli esseri umani, hanno spesso
con loro contatti di vario genere. Molti racconti ci dicono che essi possono apparire
in sogno, e in altri ritroviamo contatti più diretti. Ciò che accade nei sogni ha effetti
sulla vita reale258: uno degli esempi meglio conosciuti è Il sogno di Katla259 che narra
dell’amore di un elfo per una donna mortale, Katla, moglie di un uomo di nome
Marr. Durante un sogno Katla viene rapita da una donna e condotta nel regno degli
elfi di re Kari. L’elfo la seduce e prima di lasciarla tornare a casa le predice la nascita
di un figlio maschio per il quale le consegna dei doni: una cintura e un pugnale. Nel
momento stesso in cui Kari lascia andare Katla, ella si sveglia, ha con sé i doni
dell’elfo e racconta tutto a suo marito. In seguito partorirà un figlio maschio a cui
viene dato il nome di Kari.
Incontrare un elfo nella vita reale, e non in sogno, può essere tanto una benedizione
quanto una sciagura. Tutto dipende da come agisce chi li vede. Gli elfi non si
dividono in buoni e cattivi, essi sono vendicativi se gli si fa un torto e generosi se gli
si fa un favore. Gli si può nuocere in diversi modi: profanando le loro dimore, non
ascoltando i loro consigli ed essendo avidi desiderando le loro ricchezze.
256
Si veda il capitolo III. La storia a cui si fa riferimento è Genesi degli uomini invisibili, in Chiesa
Isnardi, Racconti popolari e fiabe islandesi, p. 19.
257
Ibid., Origine degli elfi, pp. 20-21.
258
Alcuni esempi in cui gli elfi appaiono in sogno: Il dottor Skafti Saemundsson, p. 25; “Hai sete,
vuoi bere?”, p. 98; La roccia degli elfi presso Æsustaðir, p. 101; in Chiesa Isnardi, Racconti popolari
e fiabe islandesi. Tutti i racconti che verranno citati di seguito fanno parte di quest’opera.
259
Il sogno di Katla, pp. 48-57.
62
Nel racconto Del ragazzo di Dyrhólaey260 si narra di un pastore che non credeva che
nell’isola di Dyrhólaey vivessero gli elfi, così per divertimento infilava il suo bastone
tra gli anfratti delle rocce e talvolta vi faceva anche i suoi bisogni. Una volta il
ragazzo non tornò a casa come al solito e venne cercato per tutta l’isola. Alcuni
udirono le urla persino dalla terraferma, e tutto ciò che trovarono di lui in seguito fu
il suo cappello e le sue budella sparse sulle rocce dell’isola.
Questo è certamente uno degli esempi più cruenti dell’indole vendicativa degli elfi,
ma è più frequente che questi facciano incantesimi o inviino maledizioni di sfortuna
al malcapitato261. Sembra che abbiano una predilezione nell’attirare gli umani nel
proprio mondo, soprattutto offrendo loro cibi e bevande magiche, tuttavia se si cede
alle loro lusinghe si perde il senno per il resto della vita 262. Hanno soprattutto un
desiderio particolare per i bambini e spesso li rapiscono scambiandoli con gli anziani
della terra degli elfi, i quali sono davvero di orribile aspetto se si riesce a vederli
nella loro vera natura263; si crede che la presenza di una croce al di sopra della culla
impedisca agli elfi di portare via il bambino264.
Gli elfi, d’altro canto, si dimostrano anche molto generosi se li si ascolta e li si
aiuta. Il modo più semplice per non venir colpiti dalla maledizione di un elfo è quello
di essere rispettosi nei loro confronti265. In maniera più diretta, un essere umano può
aiutare una donna elfo che sta per partorire266, ponendo le proprie mani su di lei,
260
Del ragazzo di Dyrhólaey, p. 102.
261
L’uomo invisibile e la ragazza, pp. 27-29; Tungustapi, pp. 30-36; Rauðhöfð, pp. 64-66; La vecchia
vuol qualcosa per il fuso, pp. 95-98.
262
Gli incroci, pp. 88-89. “Poi assaggiò il suo boccone di lardo cotto e fu preda dell’incantesimo e
divenne pazzo.”
263
Sveinsson, The Folk-Stories of Iceland, p. 177; cfr. Il bambino scambiato a Sogn, pp. 38-39; Padre
di diciotto figli nel paese degli elfi, pp. 41-43; Il bambino e la donna degli elfi, pp. 44-45. In queste
storie viene detto che per poter vedere la vera forma di un ‘bambino scambiato’ bisogna picchiarlo
violentemente, finché non si trasforma.
264
“Prendiamolo, prendiamolo”, p. 40.
265
Il pescatore di Götur, pp. 21-22; “Metti qualcosa nelle mani del vecchio, del vecchio”, pp. 29-30;
“Su, su mia Lappa”, pp. 26-38; La danza degli elfi la notte di Capodanno, pp. 85-88.
266
L’uomo invisibile e la ragazza, pp. 27-29; La donna degli elfi in travaglio, pp. 23-25; Il dottor
Skafti Sæmundsson, pp. 25-27.
63
oppure rompere un incantesimo che costringe un elfo a vivere tra le persone 267.
Proprio il racconto Hildur regina degli elfi268 è uno degli esempi più celebri che
riguarda una maledizione scagliata su una donna degli elfi – più esattamente sulla
loro regina – costretta a vivere così tra gli umani. Hildur era la governante di una
grande fattoria, che però non aveva un pastore che accudisse il bestiame. Ogni
mattina di Natale il pastore di quella fattoria, infatti, veniva trovato morto, così il
fattore decise di non assumere più nessuno. Un giorno però un uomo rude ed
energico si propose per questo lavoro. Trascorse tanto tempo e la vigilia di Natale
tutti, tranne Hildur che restava di guardia alla casa e il pastore che sorvegliava il
bestiame, andarono alla veglia in chiesa. Il pastore pensò che sarebbe stato prudente
restare sveglio tutta la notte, dati gli avvenimenti degli anni precedenti. Durante la
notte Hildur si avvicinò al pastore, il quale finse di dormire, gli mise delle briglie
magiche269 in bocca e così lo cavalcò sino ad un precipizio. Hildur scese e il pastore,
senza farsi notare, si tolse prima le briglie magiche (strofinando la testa contro una
roccia) e poi chiuse nel palmo della sua mano una pietra dell’invisibilità che portava
sempre con sé, così che nessuno potesse vederlo.
267
Snotra, pp. 78-81.
268
Hildur regina degli elfi, pp. 69-78.
269
Secondo il folclore islandese la briglia che serve per la ‘calvalcata magica’, grazie alla quale si può
cavalcare tanto un uomo quanto un animale (e persino un oggetto) su qualsiasi superficie, si fa
utilizzando parti di un cadavere rese magicamente potenti grazie a un incantesimo. Si veda Chiesa
Isnardi, Racconti popolari e fiabe islandesi, p. 72, nota 65.
64
Saltando dopo Hildur 270
Quello che il pastore vide, seguendo Hildur, fu un magnifico mondo sotterraneo con
verdi pianure e una magnificente reggia. Scoprì anche che Hildur era in realtà la
regina di quel mondo. Coloro che vivevano in quel luogo organizzarono un banchetto
in suo onore, festeggiarono e danzarono tutta la notte. Sia Hildur che il re, suo
marito, pregarono tanto la vecchia suocera di sciogliere l’incantesimo che
costringeva la regina a vivere tra gli uomini, ma la vecchia non volle sentire ragioni.
Così si continuò a festeggiare, approfittando della presenza della regina per
quell’unica notte dell’anno. Si fece quindi ora di tornare alla fattoria, prima che il
fattore e la sua famiglia rientrassero dalla veglia. Il pastore tornò in superficie, si
rimise le briglie e si lasciò cavalcare sino alla fattoria. Il mattino seguente tutti erano
preoccupati che il pastore fosse morto, ma, con sorpresa di tutti, era vivo e raccontò
tutto al fattore. Hildur lo ringraziò perché, avendo lui scoperto la maledizione che la
imprigionava, ella era ora libera di tornare da suo marito e regnare nel suo regno.
Prima di andare, Hildur pronunciò queste parole:
270
Disegno di G. Pearson. L’immagine è tratta dal libro di R. Bentley, Icelandic Legends: Collected
by Jon Árnason (London: Richard Bentley, 1864), p. 88. È possibile visionarla online tramite il link:
http://books.google.it/books?id=qDAeAAAAMAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_su
mmary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false
65
Ora è del tutto chiaro che tutti gli altri precedenti pastori del contadino, da
quando io venni qui, hanno trovato la morte per causa mia, tuttavia io mi
aspetto di non venire accusata di ciò dal momento che ciò non accadeva
per mia volontà, perché nessuno prima d’ora è riuscito a conoscere la
strada che porta nel mondo sotterraneo e ad avere notizie sulle dimore
degli elfi. 271
Da quel momento il pastore ebbe una lunga vita fortunata: riuscì a costruire una sua
fattoria e prosperò sino alla sua morte.
Vi sono due momenti dell’anno ritenuti speciali dagli islandesi e a cui le leggende
sugli elfi fanno riferimento: la notte della vigilia di Natale e quella della vigilia
dell’anno nuovo272. Si crede, infatti, che in questi due momenti gli elfi raggiungano
le fattorie degli uomini per le loro celebrazioni annuali che comprendono danze e
banchetti273. Nella sua collezione, Jón Árnason classifica tre tipi particolari di
leggende che riguardano questo periodo, denominate “The Christmas Dances of
Elves” (“Le danze di natale degli elfi”)274.
Terry Gunnell le analizza separatamente perché, anche se hanno lo stesso comun
denominatore (gli elfi si muovono in questo periodo dell’anno dentro e fuori dal loro
mondo e si incontrano per celebrare danze e banchetti nelle loro dimore o nelle
fattorie degli uomini), esse differiscono in alcuni importanti elementi che bisogna
tener presenti. Il primo tipo di leggenda è quella a cui ci si riferisce come “The Elf
Queen Legend” (“La leggenda della regina degli elfi”)275 – lo si è precedentemente
visto con il racconto Hildur regina degli elfi276 – ed ha la seguente struttura
generale277:
271
Hildur la regina degli elfi, p. 77.
272
Sia il momento di queste riunioni, alla mezzanotte, che le loro date sono strettamente collegati a
dei punti di svolta nel tempo, in cui un periodo sta terminando ed un altro comincia. Gunnell, ‘The
Coming of the Christmas Visitors’, p. 53.
273
Ibid., p. 51; cfr. Tungustapi, pp. 30-36;
274
Gunnell, ‘The Coming of the Christmas Visitors’, p. 52.
275
Ibid., p. 53. Questo tipo di leggenda è strettamente connesso alle leggende migratorie scandinave
conosciute come “Following the Witch” (“Seguendo la strega”).
276
Si confronti anche il racconto Snotra, pp. 78-81.
277
Esistono dieci leggende nella raccolta di Árnason che seguono questo schema. Si veda Gunnell,
‘The Coming of the Christmas Visitors’, p. 54. Nella parziale traduzione della raccolta di Jón Árnason
in Chiesa Isnardi, Racconti popolari e fiabe islandesi, ritroviamo solo due storie di questo tipo: Hildur
regina degli elfi e Snotra.
66
1. Una donna sconosciuta compare e chiede lavoro presso una fattoria. Lavora
bene e le viene data una posizione di responsabilità.
2. Ogni anno, quando la gente va alla messa di mezzanotte (a Natale o a
Capodanno), questa donna sceglie di restare a casa a prendersi cura della
fattoria.
3. (Motivo extra) Ogni anno un uomo rimane con lei alla fattoria, e il giorno
dopo viene trovato morto o scompare.
4. In un’occasione, un uomo coraggioso decide di seguire la donna.
5. Senza essere visto, l’uomo segue la donna sconosciuta quando lei si reca nel
suo mondo.
6. L’uomo vede che lei è una regina degli elfi sotto un incantesimo e la osserva
mentre prende parte ai festeggiamenti in suo onore.
7. Il giorno seguente, egli informa il fattore di quello che ha fatto la donna,
liberandola in tal modo la donna dall’incantesimo. La donna, quindi,
scompare tornando nel mondo degli elfi, piena di gratitudine per essere stata
liberata dall’incantesimo.
Gli altri due tipi di leggende sono più direttamente collegate alla ‘danza degli elfi’.
Anche questi, tuttavia, trattano di un essere umano che deve restare a casa da solo
nella notte di Natale (o di Capodanno), mentre tutti gli altri si recano alla messa di
mezzanotte278. La persona deve in qualche modo resistere alle tentazioni degli elfi, i
quali organizzano una festa che si protrae fino al sorgere del sole.
Il primo tipo di leggende racconta di una donna o ragazza che deve sorvegliare la
fattoria mentre gli altri non ci sono e che rimane a casa per svolgere le attività serali.
Questo tipo di leggenda si chiama “The Girl and the Dance of the Elves” (“La
ragazza e la danza degli elfi”)279:
1. Una fanciulla deve stare a casa durante la notte di Natale mentre gli altri della
fattoria vanno alla messa di mezzanotte.
278
La danza degli elfi la notte di Capodanno, pp. 85-88; Le sorelle e il popolo degli elfi, pp. 89-90.
279
Quattordici sono le leggende che seguono pedissequamente questo tipo di schema, e tre le
leggende, che, invece, lo seguono solo parzialmente: Gunnell, ‘The Coming of the Christmas
Visitors’, pp. 55-56. In Chiesa Isnardi, Racconti popolari e fiabe islandesi, si vedano La danza degli
elfi la notte di Capodanno, pp. 85-88; Le sorelle e il popolo degli elfi, pp. 89-90.
67
2. Le donne che in precedenza hanno sorvegliato la fattoria sono morte o
impazzite.
3. La ragazza finisce le occupazioni serali.
4. Siede sul letto e legge (di solito la Bibbia).
5. Entrano alcuni estranei (elfi).
6. Due bambini si avvicinano alla ragazza e lei offre loro dei doni (spesso
candele).
7. Le si avvicina un uomo degli elfi che vuole dormire con lei, ma lei rifiuta.
8. Talvolta viene invitata a prendere parte alla danza, ma ancora rifiuta.
9. Infine, una donna degli elfi si avvicina alla ragazza e la loda per il suo buon
comportamento. La ricompensa con abiti, oggetti e gioielli.
10. Gli estranei vanno via, talvolta quando sentono l’arrivo del giorno.
11. Quando tornano gli abitanti della casa sono meravigliati per i magnifici doni.
12. In sette delle leggende, la madre della ragazza o la moglie del fattore vuole
occuparsi della fattoria la volta successiva, ma non sapendo come
comportarsi correttamente con gli elfi viene duramente punita.
L’ultimo tipo di leggende narra invece di un uomo che si occupa della fattoria nello
stesso periodo dell’anno ed è definito “The Man with No Name and the Christmas
Spirits” (“L’uomo senza nome e gli spiriti del Natale”)280. Innanzi tutto, l’eroe è
sconosciuto, proviene dall’esterno e si offre senza indugio di occuparsi della casa al
posto dei proprietari. Le caratteristiche principali di questo tipo di leggende sono le
seguenti281:
1. Ogni anno degli spiriti cattivi (di solito chiamati ‘popolo nascosto’ o elfi)
occupano una fattoria durante la notte di Natale o quella di Capodanno,
mentre gli abitanti sono fuori per la messa di mezzanotte.
2. La persona che deve sorvegliare la fattoria scompare o viene ritrovata morta
il giorno dopo. Nessuno osa restare a casa in quel momento dell’anno.
3. Un uomo sconosciuto (spesso un fattore o pastore) arriva e dice di non aver
paura degli spiriti.
280
Gunnell, ‘The Coming of the Christmas Visitors’, p. 57.
281
Hanno queste caratteristiche dieci racconti della raccolta di Jón Árnason: Gunnell, ‘The Coming of
the Christmas Visitors’, p. 58. In Chiesa Isnardi, Racconti popolari e fiabe islandesi, La danza degli
elfi la notte di capodanno, pp.85-88 è un racconto di questo tipo.
68
4. Gli abitanti della casa vanno via e l’uomo si prepara nascondendosi dietro i
pannelli di legno del muro o all’interno di una buca ricoperta.
5. Il suo cane (se ne possiede uno) è steso sul pavimento.
6. Arrivano rumorosamente gli spiriti e, se l’uomo ha un cane, questo viene
ucciso violentemente.
7. Talvolta il gruppo è guidato da un anziano che si lamenta per l’odore di carne
umana all’interno della casa.
8. Gli spiriti danzano e bevono fino a che non sorge il sole.
9. L’uomo annuncia che sta per sorgere il sole, talvolta invoca Dio o Gesù.
10. Gli spiriti fuggono in preda al panico e trascinano con loro l’anziano.
11. L’uomo si tiene gli indumenti e gli altri oggetti che sono stati abbandonati.
12. Gli spiriti non ritornano mai più.
Comparando le versioni più antiche di quest’ultimo tipo di leggenda con quelle più
recenti, è interessante notare i cambiamenti che hanno avuto luogo all’interno della
tradizione orale. All’inizio c’era un unico spirito malvagio che poi si trasforma in
una pluralità di ‘spiriti malvagi’; l’eroe, che era un pastore, diviene un guardiano
all’interno dell’ambiente domestico; nelle versioni più recenti, l’eroe ha spesso un
cane che è parte integrante della storia e, infine, gli antichi troll/fantasmi diventano in
seguito ‘popolo nascosto’ o elfi282. La forma più antica di questo tipo di leggenda, in
cui un pastore uccide un troll, si ritrova nel racconto Vatnsdalur e nella leggenda
Sagan af Grími Skeljungsbana (Il racconto di Grímr, che uccide Skeljumgur),
entrambi facenti parte della collezione di Magnússon 283. Nella struttura di questo tipo
di leggenda vi è solo uno spirito cattivo a cui ci si riferisce come fantasma o troll,
piuttosto che un elfo, e che comunemente attacca i pastori durante la notte di Natale.
282
Gunnell, ‘The Coming of the Christmas Visitors’, p. 60. Una prova del fatto che queste leggende
rivestissero molta importanza all’inizio del XX secolo può esser vista nelle croci che annualmente
venivano dipinte sulla porta principale della fattoria, su quella della stalla e del granaio con lo scopo di
proteggere gli edifici dall’invasione di questi esseri sovrannaturali; ibid., p. 67.
283
La collezione di Magnússon, conosciuta come Arnamagnæan Manuscript Collection, è
attualmente suddivisa tra due istituzioni che portano entrambe il suo nome: l’Istituto Arnamagnano di
Copenhagen e l’Istituto Arnamagno di Reykjavík.
69
Il cambiamento da troll/fantasma a elfi è oscuro284 e risulta particolarmente
discordante con la concezione che si ha degli elfi nella cultura islandese: essi non
hanno caratteristiche di pura malvagità, non sono spaventati dalla luce del sole 285
nota o dal nome di Dio, anzi alcuni racconti li dipingono persino cristiani con le loro
chiese e i loro pastori286.
Uomini Donne
Impossibile 10% 14% 7%
Improbabile 18% 19% 16%
Possibile 33% 31% 34%
Probabile 15% 14% 16%
Certa 7% 7% 8%
Nessuna opinione 17% 15% 19%
Dati originali del questionario di Haraldsson del 1974 288
Come si può notare la percentuale maggiore ricade sulla risposta ‘possibile’, mentre
c’è poca differenza tra ‘improbabile’ e ‘probabile’. Da questa prima ricerca
scaturirono diverse opinioni riguardo a ciò in cui credevano degli islandesi. In
particolare Árni Björsson scrisse nel 1996 un articolo dal titolo “Hvað merkir
þjóðtrú” (“Cosa significa credenza popolare”)289, sostenendo che þjóðtrú era la
parola sbagliata da usare per i tanto discussi atteggiamenti islandesi nei confronti dei
fenomeni sovrannaturali come sogni, spiriti, contatti con gli spiriti dei morti e con il
popolo nascosto. L’articolo di Björnsson sostiene essenzialmente che gli argomenti
che trattano di queste credenze sono esagerati e che la maggior parte della gente in
Islanda è, in genere, dubbiosa nei confronti di questi fenomeni: le leggende narrate
nel passato e nel presente riflettono per prima cosa l’immaginazione e le abilità
poetiche del popolo islandese, un modo per interpretare ciò che li circonda, piuttosto
che una credenza diffusa. Per lui l’affermazione dell’esistenza degli elfi è in realtà
288
E. Haraldsson, Þessa heims og annars. Könnung á dulrænni reynslu Íslendinga, trúarviðhorfum og
Þjóðtrú (Reykjavík, University of Iceland, 1978), citato in Hafstein, ‘The Elves’ Point of View’, p.
103. Il documento, in inglese ‘This world and the next. A survey of psychic experiences in Iceland,
religious beliefs and folklore’, è scaricabile dalla pagina web:
http://en.wikipedia.org/wiki/Hulduf%C3%B3lk.
289
L’articolo è visionabile online tramite il link dell’Associazione Forn Sed, la quale si interessa di
mitologia e religione: http://www.forn-sed.no/folkesagn/folkesagn/artikler_lenker/artikkel21.shtml.
Questo articolo è anche stato pubblicato sul periodico Skirnir nel 1996; si veda anche T. Gunnell,
‘Heima á milli: Þjóðtrú og þjóðsagnir á Íslandi við upphaf 21 aldar’, relazione presentata durante una
conferenza dell’ottobre 2009 all’Istituto di Scienze Sociali di Reykjavík, p. 1.
71
poco più che “ferðamannaþjóðfræði”290, qualcosa mantenuta a beneficio dei turisti
piuttosto che il riflesso di una vera fede.
L’articolo non è esente da critiche, soprattutto da parte di Hafstein e Gunnell.
Queste sono le parole che Valdimar Tr. Hafstein indirizza verso l’articolo di
Björnsson: “Se ho capito bene, lui sostiene che il moderno folclore elfico sia
principalmente costruito per ingannare i turisti, che si tratti in altre parole di
‘folclorismo’291”. Hafstein considerava erronea l’ipotesi di Björnsson, secondo cui le
leggende antiche venivano considerate vere dagli islandesi dell’epoca, mentre le
leggende moderne (nuove) sono diventate un puro escamotage turistico.
Le affermazioni di Björnsson, in effetti, contraddicono i dati che Hafstein ha
ricavato in seguito a ricerche sul campo condotte nel 1995 e nel 1996292. Lo studioso
si è concentrato su un tipo particolare di leggende in costante circolazione dalla
seconda metà del XX secolo, che sono quelle che riguardano l’interferire con le
dimore e le proprietà degli elfi293. Queste narrazioni formano quasi l’intero corpus
delle leggende contemporanee: ci raccontano di guasti meccanici senza causa
apparente, strani incidenti e sogni d’ammonimento interpretati come opera degli
elfi294. Coloro che sono a capo dei progetti hanno atteggiamenti diversi nei confronti
di questi eventi e spesso preferiscono acconsentire ai desideri degli elfi piuttosto che
rischiare qualcosa. Le alternative che si possiedono comprendono: dare agli elfi il
tempo di trovare un’altra sistemazione, abbandonare l’uso degli esplosivi, dare un
altro percorso alla nuova strada o persino abbandonare l’idea di costruire nell’area
designata. In altri casi non si tiene conto dell’interferenza degli elfi, il che significa
rischiare incidenti, danni meccanici o anche calamità naturali.
Tre esempi che riguardano resoconti di interviste condotte da Hafstein sono
rappresentativi di queste leggende, tutte nate nei dintorni di Reykjavík 295. Il primo
290
Gunnell, ‘Heima a milli’, p. 2.
291
“If I have understood him correctly, he claims that modern elflore is to a great extent fabricated to
defraud tourists, that it is in other words folklorism”. Hafstein, ‘The Elves’ Point of View’, p. 88.
292
Si vedano i tre successivi esempi riguardanti i resoconti delle interviste condotte da Hafstein.
293
Hafstein, ‘The Elves’ Point of View’, p. 89.
294
Ibid., p. 90.
295
Ibid., p. 88. Oltre alle interviste effettuate sul luogo, Hafstein si avvale dell’utilizzo di file
archiviati del Dipartimento di Etnologia del Museo Nazionale d’Islanda. L’archivio consiste in lettere
72
esempio risale all’inizio degli anni ’70 quando degli appaltatori avevano convinto i
loro operai a trasportare un grosso masso fuori dal percorso di un’autostrada in
costruzione. Delle voci riferivano che la roccia appartenesse agli elfi e dei piccoli
incidenti sul campo lo avevano confermato. Il sovrintendente ai lavori Petur Jonsson
e l’ingegnere esecutivo Gudmundur Emarsson avevano deciso di prendere
precauzioni e di spostare la roccia. Era stato chiamato persino un veggente,
Zophanias Petursson, per ottenere il consenso dei possibili abitanti delle rocce.
Questi confermò che lì c’erano degli elfi e sostenne di aver avuto il loro permesso di
portare avanti i lavori, ma proprio uno degli operai che aveva spostato la roccia ebbe
un incidente: quella sera urtò accidentalmente con il bulldozer una conduttura
dell’acqua che riforniva un vicino allevamento di pesci causando la morte di 70.000
trote. Ancora una volta, l’incidente venne attribuito all’intervento degli elfi, forse per
il fatto che la pietra si era spaccata in due quando i bulldozer l’avevano rimessa a
terra. Dopo questo fatto, nessuno dei lavoratori volle più avvicinarsi alla roccia
durante la realizzazione dell’autostrada e uno di loro, vent’anni dopo, raccontò ad
Hafstein che la sua vita era stata segnata da un’incredibile sfortuna 296.
Il secondo esempio riguarda la Álfhóll, collina dell’elfo, e la strada che porta il suo
nome, Álfhólsvegur. Si trova a Kópavogur (un sobborgo vicino la capitale) ed è la
più famosa casa degli elfi. Si tentò di perforare la collina, ma la costruzione della
strada fu segnata da guasti ai macchinari ed altri incidenti. Nemmeno i costruttori
responsabili dell’istallazione di nuove condotte d’acqua lungo Álfhóll, negli anni
’70, riuscirono a completare i lavori. Infine, le autorità cittadine decisero di dividere
in lotti le proprietà presso Álfhólsvegur alla fine degli anni ’80, ma chi ricevette la
proprietà proprio vicino alla collina la restituì in cambio di un altro pezzo di terra.
Adesso Álfhóll è protetta dalla città come eredità culturale297.
con esperienze personali e racconti della tradizione locale, che degli informatori hanno scritto in
risposta a questionari qualitativi su vari argomenti, e coprono circa 35 anni.
296
Ibid., pp. 90-91.
297
Ibid., p. 91.
73
Álfhóll, Kópavogur298
300
“Við ætlum að vita hvort við getum ekki náð sáttum við álfana með því að færa okkur um set um
tíma. Ég hallast helst að því að þarna sé eitthvað sem við getum ekki útskýrt.” Ibid., p. 92, nota 18.
301
Ibid., pp. 93-94.
302
“[…] klæðaburðurinn, hann var sko gamaldags. Allt heimaunnið virtist vera”. Ibid., p. 95, nota 26.
75
popolo nascosto “è come guardare indietro nel tempo […], è spesso come vedere
persone provenienti dall’XVII o XVIII secolo”303.
In ogni caso, i progetti di costruzione alla fine vengono completati, le strade
asfaltate e gli edifici costruiti. Tutto ciò viene fatto nonostante gli elfi; talvolta con il
loro consenso, altre volte in una nuova collocazione. Non si vuole qui mettere in
dubbio, né confermare l’effettiva esistenza degli elfi, ma certamente queste leggende
(che probabilmente nascono ad hoc) potrebbero rappresentare a livello psicologico
sia una tenue nostalgia per il passato, sia una certa ansia riguardo al cambiamento.
Hafstein non fu l’unico a occuparsi di ricerche e sondaggi che riguardassero le
creature sovrannaturali in cui credevano gli islandesi. Il professor Terry Gunnell
insieme a un gruppo di ricercatori304 ha condotto un’indagine nel 2006. Ottenuti i
fondi necessari, mandò, a un campione casuale di persone, un questionario di
cinquanta domande che riguardavano una serie di fenomeni sovrannaturali:
esperienza con i fantasmi, UFO, credenze negli spiriti protettori, gli elfi, il potere dei
sogni e Dio. Le domande si basavano su quelle poste da Haraldson nel 1974 con del
materiale aggiunto inteso a fornire più dettagli o a mettere il questionario in linea con
una società più moderna di allora305. Le indagini sottolinearono la credibilità delle
precedenti cifre ottenute da Erlendur Haraldson e, come prima, resero chiaro che
queste credenze hanno profonde radici nella cultura islandese e che sono molto più
che ferðamannaþjóðfræði (folclore turistico)306.
Il questionario fu inviato a 1500 persone, ma risposero solo in 662, un numero che
non poteva essere considerato rappresentativo. Si ipotizzò che la gente non avesse
poi così tanta voglia di rispondere a questionari di questo genere o rispedirli per
posta. Così l’anno successivo (2007) Gunnell chiese ai suoi studenti di folclore di
prendere dieci questionari ciascuno e darli ad un gruppo di persone di età, sesso e
aree del paese diversi: persone che essi ritenevano tipi ‘completamente normali’307.
303
“Það er svona kannski svipadð, […] þetta er svona eins og að sjá fólk kannski frá sautján eða
átjánhundruð.”. Ibid., nota 28.
304
Ásdís A. Arnalds, Ragna Benedikta Garðarsdóttir, Unnur Dilja Teitsdóttir
305
Gunnell, T., ‘Modern Legends in Iceland’, relazione presentata al 15° Congresso dell’ ISFNR
(International Society for Folk Narrative Research), p. 1
306
http://www.forn-sed.no/folkesagn/folkesagn/artikler_lenker/artikkel21.shtml
307
Gunnell, T., ‘Modern Legends in Iceland’, p. 2.
76
Sia che fossero interessati all’argomento o meno i questionari andavano restituiti e,
in questo modo, pervennero 325 nuove risposte dando un totale di 984.
Classi di età308
Le domande che furono poste riguardo agli elfi e al popolo nascosto furono309:
19. Hai mai visto álfar (elfi) o huldufólk (popolo nascosto)?
� No
� Sì, credo Quante volte? (Disegna un cerchio intorno al numero di occasioni in cui
hai li ha visti)
1 2 3 4 5 6 7 8 9 volte o più
58. Pensi che l’esistenza di álfar (elfi) e huldufólk (popolo nascosto) sia…
� Impossibile
� Improbabile
� Possibile
� Probabile
� Certa
� Non ho opinioni su questo
59. Pensi che ci sia differenza tra álfar (elfi) e huldufólk (popolo
nascosto)?
308
Delle 662 persone il 34% avevano un’istruzione universitaria, il 38% erano lavoratori che
potevano o no occupare una posizione autorevole; delle 325 persone che hanno risposto al
questionario del 2007 il 22% aveva un’istruzione universitaria e il 57% erano lavoratori.
309
Queste domande sono estratte da T. Gunnell, ‘Survey of Icelandic Folk Belief and Belief Attitudes’
(Faculty of Social Sciences, University of Iceland, August 2006 and Spring 2007).
77
� No
� Non sono sicuro
� Sì In che modo gli huldufólk sono differenti dagli álfar? (Puoi segnare più di
una risposta)
� Huldufólk sono più grandi degli álfar
� Álfar sono più grandi degli huldufólk
� Huldufólk sono più simili agli umani rispetto agli álfar
� Álfar sono più simili agli umani rispetto agli huldufólk
� Huldufólk sono più chiari degli álfar
� Álfar sono più chiari degli huldufólk
� Huldufólk hanno orecchie appuntinte ma non gli álfar
� Álfar hanno orecchie appuntinte ma non gli huldufólk
� Sono differenti in un altro modo, quale?
60. Come sono gli esseri del popolo nascosto comparati agli esseri umani?
� Più alti degli esseri umani
� Più bassi degli esseri umani
� Simili per aspetto fisico agli esseri umani
� Con alcune differenze; quali?
Rispetto ai dati forniti da Haraldson la fede negli elfi si è ridotta di molto poco, ma al
contempo i risultati sottolineano come gli islandesi siano propensi a credere nella
loro esistenza:
310
Le credenze vengono poste in una scala da 1-5, dove 5 è una fede assoluta del 100%, 1 è un
atteggiamento scettico. Alcune credenze raggiungono una cifra superiore a 3, come la telepatia, l’idea
che il futuro possa essere letto, l’idea che i sogni ci predicano il futuro, l’idea che ci si possa
relazionare con i morti, persino vederli o contattarli, l’idea che c’è una vita oltre la morte, che le case
possano essere infestate e che i morti possano visitarci nei sogni e chiedere che venga dato il loro
nome ai bambini. C’è anche una forte fede negli spiriti guida, chiamati fylgjur.
78
Il 5%, principalmente donne e gente della campagna, dice di aver visto questi esseri
(6% nella ricerca del 2007 e 5% in quella del 1974). Per quanto riguarda le
sembianze degli álfar e degli huldufólk il 20% immagina una differenza nell’aspetto
fisico (soprattutto nelle dimensioni), il 54% non immagina alcuna differenza (49%
nella ricerca del 2007).
Particolarmente interessante è il fatto che gli islandesi sembra abbiano poca fede
nei nuovi spiriti che sono stati introdotti nel paese in tempi recenti o per influenza
danese, come per esempio gli elfi dei fiori e delle case.
Le cifre sono semplicemente cifre, dicono molto poco dei pensieri di una persona che
segna nel questionario che ‘crede’ o ‘non crede’ nella vita dopo la morte, nel
significato profetico dei sogni, nell’esistenza di huldufólk o UFO. Per tale ragione le
domande non riguardavano solo le credenze in genere, ma si chiedeva di parlare
(anonimamente) anche delle proprie esperienze personali, poiché per comprendere
meglio in che modo gli islandesi vivono il sovrannaturale intorno a loro, doveva
essere affiancata alla ricerca di tipo quantitativo una di tipo qualitativo. Ecco perché
si decise di intervistare direttamente le persone che avevano fornito spontaneamente
il proprio numero di telefono e l’indirizzo e-mail nel questionario del 2007. Questo
311
Si veda la nota 310.
312
Pensi che l’esistenza dei blómálfar (elfi dei fiori) sia…
313
Si veda la nota 310.
314
Pensi che l’esistenza dei búálfar (elfi delle case) sia…
79
lavoro venne fatto tra il 2008 e il 2009 da Júlíana Magnúsdóttir, Dagbjört
Guðmundsdóttir, Silja Rún Kjartansdóttir, Hrefna Bjartmarsdóttir315.
Il materiale collezionato in tal modo costituisce un tesoro che formerà a breve una
preziosa aggiunta al materiale dell’archivio audio dell’Istituto Arnamagnano316. È di
particolare interesse che le storie raccontate alle studentesse abbiano un carattere
‘tipicamente islandese’: riguardano principalmente i sogni, gli incontri con gli spiriti
della famiglia o fylgjur, i contatti con huldufólk (popolo nascosto) o álfar e anche con
quegli spiriti che vengono in sogno per far dare ai neonati il proprio nome
(nafnavitjun)317.
Oltre a raccontare il rapporto che gli islandesi hanno con il sovrannaturale, queste
interviste forniscono una nuova aggiornata collezione di leggende islandesi. Qui di
seguito si dà, a titolo esemplificativo, la traduzione della trascrizione del racconto
dell’esperienza di Margarét Einarsdóttir (nata nel 1941) raccolta da Júlíana
Magnúsdóttir. Si parla di sogni profetici, spiriti ed elfi:
315
Studentesse in folclore islandese.
316
Gunnell,‘Heima á milli’, p. 5.
317
Gunnell, ‘Modern Legends in Iceland’, p. 4.
80
niente di questa cosa” dice lui, “non ho mai sentito niente di questa cosa”.
Ma io credo che lì dentro viva una donna molto buona.
JÞM: Sì.
ME: In questa roccia c’è la grande casa che io ho sognato prima di
trasferirmi qui.
JÞM: Sì, allora questa è una huldukona (donna del popolo nascosto)?
ME: Sì…
JÞM: Ti ricordi che aspetto avesse nel tuo sogno?
ME: No, non lo ricordo. Penso che fosse una persona normale. Tranne
che io sapevo nel sogno che non era di questo mondo. (JÞM: Sì) Ed ero
totalmente sicura di ciò quando mi svegliai. 318
L’idea del trasferimento fu accettata dalla famiglia elfica, a patto di poter viaggiare
separatamente dai macchinari che avrebbero spostato il masso. Gli elfi chiesero
inoltre che la nuova sede della loro casa avesse una bella vista sull’oceano e dell’erba
intorno così da poter allevare le pecore.
322
Tutte le immagini relative a questa soria sono tratte da http://www.norsemyth.org/2012/05/elf-
kerfuffle-in-iceland.html.
82
Lo spostamento della ‘casa’
323
Questa storia è narrata in un articolo di Dr. Karl E.H. Seigfried del 24/05/2012 sul blog ‘The
Norse Mythology Blog’. http://www.norsemyth.org/2012/05/elf-kerfuffle-in-iceland.html. Anche
l’Icelandic Review online ha pubblicato questa storia, al seguente indirizzo:
http://www.icelandreview.com/icelandreview/daily_news/Icelandic_MP_Moves_Elves%E2%80%99_
Boulder_to_His_Home_0_390052.news.aspx. Consultato 09/06/2013.
83
Il miele per il viaggio
Non sono rari gli interventi degli islandesi che cercano di salvaguardare la sicurezza
degli elfi. Nel 1982 un gruppo di 150 persone (attivisti anti-NATO) andò a protestare
alla base militare di Keflavík, vicino la capitale. Erano preoccupati perché i jet
phantom americani e gli arei di ricognizione potevano mettere in pericolo gli elfi che
abitavano lì vicino. Tuttavia dopo una ricognizione all’interno della base, i
dimostranti si dispersero pacificamente324.
Il tono con cui vengono narrate le vicende ai/dai quotidiani è certamente diverso
rispetto a quello che è stato utilizzato dalle persone intervistate dagli studenti di
folclore per la ricerca di Gunnell325. Nel caso della ricerca condotta nel 2006 e 2007
è evidente il carattere informale e confidenziale con cui vengono raccontati eventi
personali, nei quali i protagonisti credono fermamente, e non hanno alcun interesse
evidente a finire sui giornali. Quando si legge di elfi in qualsiasi testata giornalistica
324
J.M. Markham, ‘Iceland’s Elves are Enlisted in Anti-NATO Effort’, New York Times 30/03/1982.
http://www.nytimes.com/1982/03/30/world/iceland-s-elves-are-enlisted-in-anti-nato-effort.html
Consultato 09/06/2013.
325
Si veda il paragrafo 4.3.
84
o blog, o ne viene data notizia alla radio o in tv. non possiamo non farci cogliere dal
sospetto che qualcosa non corrisponda esattamente alla realtà.
In effetti, l’‘argomento elfi’ viene sfruttato in alcuni casi per attrarre curiosi e
turisti. Chi si reca in Islanda con il desiderio di conoscere in maniera più
approfondita questo argomento, può visitare Hafnarfjöður, considerata la capitale
elfica islandese.
Erla Stefánsdóttir, una sensitiva che riesce (come Ragnhildur) a vedere gli elfi, dice
della città che “ha la più ricca popolazione di elfi e spiriti di tutta l’Islanda” 326. I
turisti possono prenotare un tour dei ‘mondi nascosti’: una passeggiata di circa 90
minuti che comprende anche una visita al parco Hellisgerdi, il quale possiede sentieri
vecchi di settemila anni scavati dalla lava. Chi guida il tour è Sigubjorg Karlsdottir,
conosciuta anche come Sibba, una donna singolare che indossa sempre un berretto
rosso vivo e racconta ai turisti aneddoti sul popolo nascosto, anche se lei non riesce a
vedere gli elfi. Una grande roccia sulla collina del vecchio centro città è la prima
tappa del tour, e lì Sibba racconta la storia di un uomo che, durante i primi anni del
‘900, voleva costruire una casa in quel punto e disfarsi della roccia. “Loro stavano
proprio per rompere la pietra alla vecchia maniera, ma non riuscirono a smuoverla” e
questo perché l’elfo che viveva lì non voleva andarsene; così il proprietario decise di
costruire la casa da un’altra parte327. Il tour di Sibba offre ai visitatori la possibilità di
percorrere le vie secondarie di Harfnarfjördur e, anche se nessuno di loro ne ha mai
visti, rimangono comunque affascinati dal paesaggio, dalle storie e da Sibba stessa.
Sibba è una vera istituzione del folclore elfico, ma non è l’unica. A Reykjavík da
circa un ventennio è aperta tutto l’anno la cosiddetta scuola elfica: Álfaskólinn, con
tanto di classi, libri di testo e attestato. Ciò che gli studenti dell’Álfaskólinn imparano
riguarda tutto quello che si conosce sugli elfi e il popolo nascosto, compresi gnomi,
nani, fatine, troll, spiriti della montagna ed anche altri spiriti della natura. Si impara
dove vivano queste creature, che aspetto abbiano, come bisogna comportarsi con loro
per non recargli fastidio.
326
R. Bourte, ‘Hidden Creatures Make Home in Icelandic Town’, Herald 25/5/2005.
http://rense.com/general69/hidden.htm. Consultato 09/06/2013.
327
B. Gruber, ‘Iceland: Searching For Elves And Hidden People’ giugno 2007
http://www.dw.de/iceland-searching-for-elves-and-hidden-people/a-2786922. Consultato 08/06/2013.
In Bourte, ‘Hidden Creatures Make Home in Iceland’ questa roccia viene definita la ‘roccia del nano’.
85
I corsi della scuola si basano principalmente su due conferenze tenute dal preside
Magnus Skarphedinsson che ha studiato presso l’Università Islandese. Egli stesso ha
svolto ricerche riguardanti gli elfi e il popolo nascosto e ha incontrato personalmente
centinaia di islandesi che hanno avuto esperienze dirette con gli elfi. In un’intervista
rilasciata al National Geographic, Skarphedinsson ha affermato che “esistono dodici
razze elfiche di dimensioni diverse tra loro, che vanno dai tre centimetri fino
all’altezza degli esseri umani adulti”328. Le sue lezioni sono tenute in inglese, tranne
per i gruppi formati esclusivamente da scandinavi per i quali utilizza una delle lingue
scandinave329.
Nemmeno le riviste italiane sono esenti dal ‘fenomeno huldufólk’: il 7 aprile del
2012 il Marie Claire Italia ha dedicato un articolo proprio al popolo nascosto
islandese. L’articolo di Debora Attanasio, ‘In Islanda credono agli elfi’330, apre una
finestrella sul mondo (o sui mondi) che vi sono in Islanda. L’esperienza diretta – così
come altre storie – di una signora anziana, che racconta di come sia scappata da una
donna degli elfi, è incorniciata da alcune foto di Adam Panczuck tratte dal suo
reportage ‘Very Hidden People’, i cui soggetti ritraggono islandesi di ogni età (e ogni
ceto) nei luoghi in cui hanno incontrato il popolo nascosto.
328
Il video del National Geographic si trova online http://www.youtube.com/watch?v=dHvOeiGHgfw
329
Si veda http://www.elfmuseum.com/.
330
Pubblicato su Marieclaire.it http://www.marieclaire.it/Attualita/Credere-agli-elfi-le-storie-di-chi-in-
Islanda-pensa-che-sull-isola-ci-abitano-gli-Huldufolk
86
Foto di Adam Panczuck 331
Attanasio parla anche di un film documentario basato proprio su questa terra e sugli
esseri invisibili che la popolano: Huldufólk 102. La regista è Nisha Inalsingh, una
newyorkese nata a Trinidad, che fu catturata dal paesaggio islandese la prima volta
che visitò l’isola nel 2001. Dice Inalsingh: “Tornai qui in Islanda sei mesi dopo e
cominciai a intervistare le persone per vedere quanto fosse diffusa questa credenza.
C’era davvero qualcosa qui? Quando iniziai semplicemente a parlare con la gente di
Reykjavík, ognuno aveva una storia…”332, e fu così che nacque il progetto per il suo
documentario. Il film ha partecipato a diversi film festival, iniziando con il Fantasy
Worldwide Film Festival di Toronto (2008), per finire in Francia con il Taluah,
Festival of Imagination and Wonder (2009) e il Montherme’s Festival, Spring of
Legends (2010)333.
331
Immagine tratta da Picture Tank, sito di esposizioni fotografiche:
http://picturetank.com/___/series/36cb6d6ce78a91a38d432f65fdb92b12/en/o/PAA_Very_Hidden_Peo
ple_(29166).html
332
M. Arpe, ‘A little trip into the mystic’, su Toronto star (27/10/2006),
http://www.huldufolk102.com/publicity.html. Consultato il 18/06/2013.
333
Sugli ulteriori festival a cui ha partecipato Huldufólk 102 si veda
www.huldufolk102.com/festivals.html. Consultato il 18/06/2013.
87
Il folclore sugli elfi è estremamente radicato nella cultura islandese: è una realtà
sociale contemporanea che è sopravvissuta nella tradizione per secoli attraverso la
mitologia, i racconti popolari, le saghe e le nuove leggende. Rappresenta
simbolicamente l’attaccamento alla natura e alle proprie radici culturali.
88
CONCLUSIONE
Il complesso mondo mitologico norreno presenta ben due stirpi divine, Asi e Vani, di
cui molto si parla nei carmi dell’Edda e nell’Edda in prosa di Snorri Sturluson. Gli
dèi, almeno la maggior parte di loro, vengono descritti con perizia e precisione in
tutte le loro qualità e caratteristiche. Valchirie, giganti e nani hanno un proprio posto
accanto a loro: si sa della loro origine, del loro aspetto e di dove vivano esattamente.
Le valchirie, figlie di Odino, sono divinità che vivono con lui nella Valhöll,
cavalcano i loro destrieri fendendo aria e acqua e scelgono, su ordine di Odino, i
guerrieri i caduti in battaglia. I giganti, che vivono ai confini del mondo, in
Jötunheimr, sono gli esseri primordiali, custodi del tempo, persino più vecchi degli
dèi stessi: dal gigante Ymir ebbe orgine il mondo. I nani erano originariamente i
vermi presenti nel cadavere di Ymir, ma per volere di Odino e dei suoi fratelli, Vili e
Vè, ebbero forma umana e intelletto. Sono abilissimi fabbri e sfuggono la luce del
sole che li trasforma in pietra334, per questo motivo vivono sotto terra a
Svartálfarheimr, il Paese degli elfi neri.
Sugli elfi, invece, affascinanti creature, le fonti non forniscono informazioni
precise. Snorri non ci dice quale fu la loro origine ma ci dice che ne esistono due (o
forse tre) stirpi: gli elfi chiari, che vivono vicino agli dèi nel luogo denominato
Álfheimr, i quali sono più belli del sole e dall’aspetto divino, e gli elfi scuri, più neri
della pece, che vivono nel sottosuolo insieme ai nani in Svartálfarheimr335.
Diversi studiosi hanno cercato di interpretare ciò che Snorri narra riguardo agli elfi,
ma le loro ipotesi non arrivano a una risposta definitiva. Qui, si sono analizzate le
ipotesi di Grundtvig e di Grimm. Il primo, nella sua opera Nordens Mythologi, non
solo identifica completamente gli elfi neri con i nani, ma li pone a un livello
intermedio tra gli elfi chiari e scuri, così da doversi inventare una nuova razza elfica,
gli elfi del crepuscolo336. Il secondo, invece, paragona il dualismo di elfi chiari e
scuri a quello che viene riscontrato tra angeli del paradiso e angeli caduti nella
religione cristiana, o in maniera ancora più generale, riscontra una semplice
opposizione, comune a tutte le mitologie, tra esseri buoni e cattivi. Ma non formula
334
Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone del nano onnisciente, pp. 137-144.
335
Svartálfarheimr, il Paese degli elfi neri, lascia pensare che ci sia una terza razza elfica oltre agli elfi
chiari e gli elfi scuri, ossia quella degli elfi neri (svartálfar). Cfr. il capitolo III, paragrafo 3.1.
336
Shippey, ‘Light-Elves, Dark-Elves, and Others: Tolkien’s Elvish Problem’, p. 6.
89
nessuna ipotesi sugli elfi neri, sostenendo semplicisticamente che non bisogna
abbandonare la tripartizione che lui vede Snorri: ljósálfar, dökkálfar e svartálfar337.
Partendo dalle considerazioni di questi studiosi e dallo studio diretto delle due
versioni dell’Edda, sono state esposte, nel terzo capitolo, due ipotesi diverse: da un
lato è possibile che vi siano solamente elfi chiari ed elfi scuri, poiché Snorri non
utilizza mai il termine svartálfar; dall’altro è possibile dire che la razza elfica, vera e
propria, sia costituita solo dai ljósálfar, gli elfi che vivono vicino agli dèi, mentre
‘elfi scuri’ ed ‘elfi neri’ siano degli appellativi dati ai nani. Ciò è, a mio avviso,
plausibile perché l’unico nome di elfo che appare nei carmi dell’Edda è quello di
Dáinn, che è anche il nome di nano338.
La riduzione delle stirpi elfiche da tre a una (quella dei ljósálfar) potrebbe indicare
una sovrapposizione di questi ultimi con i Vani, e poiché alcuni carmi eddici sono
poco chiari sulla distinzione tra questi dèi e gli elfi chiari, non tutti i dati sono
congruenti con questa ipotesi339.
Di particolare importanza è lo studio condotto da Alaric Hall in Elves in Anglo-
Saxon England, in cui compara gli elfi nordici con quelli anglosassoni. Questi
utilizzano il termine ælf e i suoi composti dapprima come corrispettivo del termine
latino ninpha, e poi come termine del linguaggio comune, ma soprattutto medico.
Infatti, la credenza popolare anglosassone vede gli elfi come creature pericolose che
provocano malattie e, proprio un antico testo medico anglosassone, il Wið fǣrstice,
contiene una formula rituale per scacciare l’incantesimo lanciato da un elfo340. Il
termine ælf rimase di uso comune, in Inghilterra, anche durante il Middle English,
come dimostra uno dei poeti più celebri del periodo, Chaucer, ci parla di una ‘regina
degli elfi’341.
Apparentemente figure di secondo piano all’interno della mitologia norrena, gli elfi
occupano, invece, un posto di rilievo nel folclore islandese. Sono protagonisti di
337
Ibid., p. 7.
338
Scardigli, Il canzoniere eddico, Canzone dell’eccelso, str. 143, v. 1, p. 40 come nome di un elfo,
mentre nel Gylfaginning, 14 come nome di un nano.
339
Si veda il capitolo III.
340
Si veda il paragrafo 3.2.
341
Chaucer, The Canterbury Tales, The Wife of Bath’s Tale, vv. 860-861. http://www.sacred-
texts.com/neu/eng/mect/mect12.htm
90
numerosi racconti popolari che Jón Árnason e Magnús Grímsson hanno messo
insieme nella loro raccolta di racconti popolari e leggende islandesi nel 1852. La
versione definitiva del loro lavoro, Íslenzkar þjóðsögur og æfintýri (1863), che
tuttavia è attribuibile solamente ad Árnason a causa della prematura morte di
Grímsson, dedica una delle dieci sezioni in cui è divisa proprio agli elfi. Queste
creature, molto simili per aspetto agli esseri umani, conducono una vita in un mondo
parallelo a quello umano. I racconti popolari tendono a soffermarsi sulle
caratteristiche peculiari degli islandesi, sugli ambienti tipici dell’isola e sulle
tradizioni più antiche, e proprio le storie incentrate sugli elfi si riallacciano a queste
antiche tradizioni a cui nostalgicamente tende la cultura islandese. Conosciuti nel
mondo moderno con il nome di popolo nascosto, huldufólk, gli elfi vivono sotto terra
o nelle rocce, e conducono una vita pastorale, vivono in comunità, possiedono
fattorie e vanno a pesca. La loro origine viene narrata in due racconti diversi: nel
primo si dice che siano i discendenti di quei figli che Eva non aveva mostrato a Dio
perché erano sporchi – dato che lei non era riuscita a lavarli prima dell’arrivo del
Signore – ed erano stati quindi resi da Dio invisibili342; nel secondo, invece, vengono
identificati con quegli spiriti che, durante la ribellione degli angeli in cielo, furono
condannati a vivere in mezzo agli uomini come esseri invisibili343.
Le caratteristiche principali degli elfi che emergono dai racconti folcloristici
indicano che essi hanno continui rapporti con gli esseri umani e che talvolta hanno
bisogno del loro aiuto344. Ciò che li contraddistingue è il loro carattere vendicativo:
se vengono disturbati o danneggiati sono capaci di lanciare pericolose maledizioni,
persino di fare del male agli esseri umani345, ma li ricompensano anche se aiutati.
Queste credenze sono sopravvissute all’interno della cultura islandese sino ad oggi
e si notano poche differenze nonostante siano trascorsi due secoli e mezzo dalle
prime raccolte di Árnason e Grímsson. Le nuove leggende contemporanee sono
incentrate soprattutto su strani incidenti, attribuiti agli elfi, che colpiscono operai e
342
Chiesa Isnardi, Racconti popolari e fiabe islandesi, Genesi degli uomini invisibili, p. 19.
343
Ibid., Origine degli elfi, pp. 20-21.
344
Alcuni racconti narrano di donne elfo in travaglio che non riescono a partorire a meno che un
essere umano non ponga le mani su di lei. Ad esempio in Chiesa Isnardi, Racconti popolari e fiabe
islandesi, La degli elfi in travaglio,pp. 23-25.
345
Ibid., Del ragazzo di Dyrhólaey, p. 102.
91
macchinari durante la costruzione di nuovi edifici o di strade. Proprio come gli elfi
dei racconti popolari raccolti da Árnason, gli elfi delle leggende contemporanee
sembrano vivere in modo anacronistico, con abiti all’antica cuciti in casa,
appartenenti forse al XVII o XVIII secolo 346. Forse queste leggende nascono per
cercare di proteggere i valori di una cultura rurale tradizionale, alla quale, come si è
detto, gli islandesi sono molto legati.
Sebbene le ricerche sociologiche condotte da Haraldson (1974-1975), da Hafstein
(1996-1997) e da Gunnell (2006-2007) mostrino come la maggior parte degli
islandesi sia incline a credere nell’esistenza degli elfi (per esempio a credere che gli
‘incidenti’ durante l’ampliamento delle strade o dello spazio abitativo siano
effettivamente opera degli elfi), si nota anche chiaramente come, in Islanda, il
folclore sugli elfi e le leggende che li riguardano vengano usati dai media per attrarre
turisti. Secondo Björnsson347 si tratterebbe di una mera strategia di marketing. A
corroborare questa ipotesi vi è, per esempio, l’istituzione di una scuola elfica, la
Álfskólinn, a Reykjavík: dove si tengono corsi sul ‘popolo nascosto’ frequentati da
studenti provenienti da molte parti del mondo nordico e non solo.
L’atteggiamento degli islandesi è forse riassumibile nelle parole di Sigurbjorg
Karlsdottir, una donna che organizza delle visite guidate in quella che è definita la
capitale degli elfi, Hafnarfjörður, ovvero la città che vanta la più ricca popolazione di
elfi e spiriti di tutta l’Islanda348: “Che tu creda o meno nell’esistenza degli elfi, non ti
costa nulla portare rispetto alle antiche tradizioni”349.
346
Hafstein, ‘The Elves’ Point of View. Cultural Identity in Contemporary Icelandic Elf-Tradition’,
pp. 26-28.
347
Si veda il capitolo IV.
348
Bourte, ‘Hidden Creatures Make Home in Icelandic Town’.
349
Ibid.
92
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