Prefazione di
Enrico Berti
a cura di
Giovanni Castegnaro
Aracne editrice
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Copyright © MMXVII
Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale
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9 Prefazione
17 Nota editoriale
25 Capitolo I
1.1. Si comincia dopo avere cominciato, 25 – 1.2. L’innegabile è innegabilmente, 27
– 1.3. Negare è escludere un’inclusione indebita, 28 – 1.4. Non v’è limite del sape-
re, 32 – 1.5. [Senza titolo], 33 – 1.6. Il luogo del filosofare è la domanda del luogo
per filosofare, 36 – 1.7. [Senza titolo], 37 – 1.8. Ciò che v’è di originario nell’espe-
rienza, 40 – 1.9. [Senza titolo], 42 – 1.10. La filosofia non ha oggetto e nessun og-
getto si sottrae alla filosofia, 45 – 1.11. La riappropriazione metafisica, 47 – 1.12.
L’esperienza praticabile è conversione fattuale in fatto, 49 – 1.13. Funzione della
parantesi nell’asserzione e l’aporia del dogmatico, 52 – 1.14. L’autorità del dogma-
tico si presenta come critica di ogni autorità, 55 – 1.15. L’ideale dell’autorità è di
essere indiscutibile, 59 – 1.16. Autorità e intelletto si fronteggiano, 62 – 1.17. Ciò
che l’intelletto impone all’autorità è di essere ciò che pretende di essere, 65 – 1.18.
Il luogo della domanda è l’insufficienza di ciò che si presenta a ciò che, presentan-
dosi, non è interamente, 67 – 1.19. L’identità tra inevitabile e necessario è solo co-
struita, 70 – 1.20. Il senso in cui non si può domandare tutto, 72 – 1.21. Ciò da cui
dipendono le valutazioni del domandare, 75 – 1.22. Il senso in cui non si può non
domandare tutto, 78 – 1. 23. Domandare tutto è negare di poter asserire, 81 – 1.24.
[Senza titolo], 84 – 1.25. [Senza titolo], 88 – 1.26. Paradigma del dottrinario in filo-
sofia, 91 – 1.27. Una richiesta che preceda la domanda di verità non può essere vera,
94 – 1.28. Il prefilosofico oltrepassa il sapere di non sapere credendo di superarlo,
96 – 1.29. L’impossibilità di oltrepassare quel ‘limite’ che è la stessa impossibilità
di oltrepassarlo, 98 – 1.30. La costante esistenziale dell’esperienza e gli equivoci
della sua valorazione, 101 – 1.31. La domanda universale investe il linguaggio come
luogo della possibilità dell’errore, 104 – 1.32. Digressione, 106
111 Capitolo II
2.1. La base del filologismo in filosofia, 111 – 2.2. Dell’ingenuità storiografica in fi-
losofia, 114 – 2.3. Le due direzioni dell’ingenuità storiografica, 116 – 2.4. L’equivo-
co storico in filosofia, 119 – 2.5. Equivoco di coscienza storica e conoscenza storica,
122 – 2.6. Le storie della filosofia rendono la filosofia accessibile al senso comune
prefilosofico, 127 – 2.7. L’ideale sistematico del prefilosofico si prolunga nella sto-
riografia, 130 – 2.8. Filosofare nonostante la storia della filosofia, 133 – 2.9. Inattua-
lità teoretica dello storicismo, 136 – 2.10. La nozione dogmatica di storia, 139 –
2.11. Il carattere fideistico della tradizione e il circolo del riconoscimento, 142 –
2.12. Due figure dell’accoglimento della tradizione: integralismo e progressismo,
146 – 2.13. La ragione formale come unica ragione delle due figure, 149 – 2.14.
L’ideale immanente del credere è coincidere con il vivere, 152 – 2.15. La ragione
5
6 Indice
formale presiede nel suo uso ciò che la determina nei suoi contenuti, 155 – 2.16. Se
ogni fede è cosmica, ogni cosmo è creduto, 158 – 2.17. La valenza sperimentale è
già nella protomatematica, come si esemplifica in Galilei, 162 – 2.18. Il carattere
ipotetico di ogni riferimento assertorio all’esperienza, 165 – 2.19. Il rischio erme-
neutico è considerare effettivo ciò che è interpretazione, come si esemplifica in Gali-
lei, 168 – 2.20. Il senso in cui la scienza è alienazione, 172 – 2.21. Ingenuità del ten-
tativo di fondare scienza e filosofia sull’esperienza immediata, 175 – 2.22. Il campo
in cui si discute è ciò che intanto permane indiscusso, 178 – 2.23. Credere di cono-
scere è non sapere di credere, 181 – 2.24. Il rapporto tra intendere e pretendere è
struttura del conoscere, 185 – 2.25. Il rapporto strutturale di compreso e compren-
dente tra universi, 188 – 2.26. Il rapporto di compreso e comprendente è struttura del
contenuto di osservazione, 191 – 2.27. Costanti del progetto d’esperienza e il vettore
di interesse, 195 – 2.28. Il progetto fondamentale e Kant, 198 – 2.29. Il progetto di
filosofare è il modo filosofico di progettare: miraggio del ritorno all’immediato, 201
– 2.30. Controllabilità e statuto dell’individuale, 204 – 2.31. Ambiguità del sapersi
orientare nel mondo, 207 – 2.32. L’intenzione conoscitiva del fenomeno individuale,
211 – 2.33. Progetto del conoscere come adeguazione progressiva, 214 – 2.34. Il co-
noscere rappresentato come rappresentazione, 217 – 2.35. Il presupporre è limite
presupposto all’operare, 220 – 2.36. La scienza ignora di essere una fede, 224 –
2.37. La scienza non può sapere ciò che essa implica, dovendo postulare ciò di cui
abbisogna, 227
natura”, 347 – 3.37. [Senza titolo], 350 – 3.38. [Senza titolo], 353 – 3.39. [Senza ti-
tolo], 357 – 3.40. [Senza titolo], 360 – 3.41. [Senza titolo], 363
367 Capitolo IV
4.1. [Senza titolo], 367 – 4.2. [Senza titolo], 370 – 4.3. [Senza titolo], 373 – 4.4. Il
mondo della vita impone l’astrazione, 376 – 4.5. La filosofia non vincola a se stessa
le scienze, 379 – 4.6. [Senza titolo], 382 – 4.7. [Senza titolo], 385 – 4.8. [Senza tito-
lo], 389 – 4.9. [Senza titolo], 391 – 4.10. Ricorso alla formula, 395 – 4.11. La “for-
mula” e l’aporia del metodo ideale, 398 – 4.12. Il metodo di filosofare è filosofare,
ossia domandare, 401 – 4.13. [Senza titolo], 404 – 4.14. Inevitabilità dell’astratto,
406 – 4.15. Necessità e cogenza, 409 – 4.16. Il carattere divino della matematica è
l’essenza matematica di Dio anche se Galilei non lo vuole, 412 – 4.17. [Senza tito-
lo], 415 – 4.18. L’ordine astratto si esemplifica in Wolff, ma esso è la logica interna
della formulazione del principio di non contraddizione, 418 – 4.19. La “proposizio-
ne” è la figura minima del sistema, la forma del quale è l’equazione, 422 – 4.20.
L’ideale del conoscere esclude dal conoscere l’operare, 425 – 4.21. Le condizioni
del conoscere sono riconosciute nella loro indipendenza dal conoscere, nel conosce-
re di cui sono condizioni, 427 – 4.22. La relazione, che è esperienza, non può essere
relazione dell’esperienza con altro da essa, 431 – 4.23. La conoscenza dell’incono-
scibilità dello in sé è conoscenza in sé, 434 – 4.24. L’astratto è inevitabile, ma non
necessario, 437 – 4.25. Per dire con che cosa si comincia, si comincia con la doman-
da intorno a come si comincia, 440 – 4.26. Affermare la totalità è dimostrare che es-
sa non può venire negata e, dunque, non abbisogna di venire affermata, 443 – 4.27.
La condizione apriori è trovata analiticamente, perché è contraddittorio che, nel no-
stro conoscere, tutto derivi dall’esperienza, 447 – 4.28. L’uso è unicamente empirico
ed è riconosciuto trascendentalmente, 450 – 4.29. L’analisi è la presenza operante
del “principio di non contraddizione”, 453 – 4.30. La struttura sintetica del giudizio
è l’infinitezza dell’analisi, 456 – 4.31. Il giudizio è domanda infinita di venire fonda-
to, 459 – 4.32. Tra esperienza e giudizio non sussiste rapporto, perché l’esperienza
non può essere un giudicato, 463 – 4.33. La prima forma di mediazione è l’immedia-
tezza fenomenologica, o medialità, 466 – 4.34. Il contessere infinito del dato non è
dato, 469 – 4.35. Ogni ordinamento di oggetti è teorico, 473 – 4.36. L’oggetto è plu-
ralità di oggetti, 476 – 4.37. Se è astratto l’oggetto, è astratto il suo contesto, 479 –
4.38. L’intuizione astrae dal contessere infinito, 483 – 4.39. Ciò che è dato per primo
è risultato di un processo astrattivo: l’intuizione non è originaria, 486 – 4.40. Diffe-
renza tra teorica dei giudizi e teoresi del giudizio. Impostazione, 489 – 4.41. L’inter-
pretazione empirica dell’oggetto “come tale” quale “oggetto in generale”: trascrizio-
ne generalizzata degli oggetti, 493 – 4.42. La sintesi precede ogni analisi e la condi-
ziona, 496 – 4.43. Il conoscere presenta un duplice livello: quello del suo fungere
che costituisce l’oggetto, quello della consapevolezza di tale fungere, 499 – 4.44. Il
conoscere muove dalla fiducia nello essere in sé del conosciuto, con base esclusiva-
mente pratica, 502 – 4.45. Può venire formulata anche la contraddizione, dunque la
forma proposizionale non è struttura del giudicare, 506 – 4.46. L’analisi come pre-
senza dell’incontraddittorietà formulata come “principio di non contraddizione”, 509
– 4.47. Un giudizio media la posizione di altro giudizio: medialità posizionale o fe-
nomenologica, 512 – 4.48. Di volta in volta un giudizio può valere come analitico o
come sintetico, 515 – 4.49. Si intende di sapere con necessità, 520 – 4.50. Se v’è un
modo empirico di conoscere, v’è un modo non empirico di riconoscerlo, 523 – 4.51.
Kant conosce analiticamente che la conoscenza umana è sintetica, 526 – 4.52. Nes-
sun giudizio matematico è conoscitivo, 530 – 4.53. La ragione dell’aritmetica è un
fatto, perché le risulta possibile ciò che le risulta fattibile, 533 – 4.54. Le categorie
8 Indice
trovate dall’analitica sono usate dalla stessa analitica, 536 – 4.55. L’esperienza è
condizione del darsi delle sue condizioni, 539 – 4.56. “Cosa” ha significato operati-
vo, 542 – 4.57. Il tempo è essenzialmente prassi, 545 – 4.58. Spazio e tempo pro-
vengono dalla sintesi dell’intelletto, ma operano nella sensibilità, 549 – 4.59. L’og-
gettivazione dell’esperienza è matematizzazione, di cui il trascendente è negazione,
552 – 4.60. Il trascendentale è, ma non appare, 555 – 4.61. La sintesi è negazione di
se stessa come negarsi reciproco dei suoi termini, 559 – 4.62. Tempo e durata, 562 –
4.63. La presenza fungente dell’apriori è analiticamente reperibile nel dato e non lo
eccede, 565 – 4.64. La differenza tra conoscere e sapere è conosciuta e saputa, 569 –
4.65. Conoscere non è sapere e l’oggetto è matematico perché è oggetto, 572 – 4.66.
Esemplificazione con Kant di ambiguità fra matematica e conoscenza, 575 – 4.67. Il
conoscere della matematica, essendo matematico come conoscere, non è conoscere,
579 – 4.68. La volontà di potenza è l’impotenza dell’io nei confronti delle sue rap-
presentazioni, 583 – 4.69. L’io si riferisce a se stesso come dato all’io, 587 – 4.70.
[Senza titolo], 590 – 4.71. [Senza titolo], 593 – 4.72. [Senza titolo], 596 – 4.73.
[Senza titolo], 599 – 4.74. Non vi può essere una ragione pura, 602 – 4.75. [Senza ti-
tolo], 605 – 4.76. [Senza titolo], 608 – 4.77. Teoresi e finitezza della ragione, 612 –
4.78. [Senza titolo], 615 – 4.79. Il senso teoretico dell’inconoscibilità dello “in sé” è
quello dell’inoggettivabilità del vero, 618 – 4.80. [Senza titolo], 621 – 4.81. La ra-
gione è strumentale per se stessa, 624
Prefazione
ENRICO BERTI*
9
10 Prefazione
gio quali egli non ebbe più per nessuno dei suoi allievi. In essa Gentile
riconobbe il contributo portato da Bacchin al suo pensiero con il rilie-
vo dell’improblematizzabilità della problematicità e con la riduzione
dell’intero discorso metafisico a quest’ultima, e riconobbe anche altri
nostri contributi, quali il carattere dialettico, ossia confutatorio, del di-
scorso metafisico.
Ricordo anche un memorabile seminario interdisciplinare, con va-
rie sedute, tenuto a Perugia in collaborazione da tre docenti, Bacchin,
Mirri e il sottoscritto, al quale accorsero tutti gli studenti, disertando
altri corsi e suscitando qualche invidia tra gli altri colleghi. Correva
l’anno 1968, nel quale scoppiò anche in Italia la contestazione studen-
tesca, e l’idea di seminari interdisciplinari, con la partecipazione con-
temporanea di più docenti, i quali dovevano confrontarsi e mettersi in
discussione davanti agli studenti, era nuova, ed era in linea con le nuo-
ve richieste studentesche, perciò piacque molto. Venne poi il 1970, se-
condo centenario della nascita di Hegel, per cui ci cimentammo tutti
con la filosofia hegeliana, in particolare col famoso problema del “co-
minciamento” della filosofia. Bacchin aveva scritto su tale problema
un volume, L’immediato e la sua negazione (Perugia, La Grafica,
1967), in cui illustrava il passaggio, in Hegel, dall’essere immediato al
nulla, cioè alla sua negazione, mostrando l’impossibilità dello stesso
immediato. Nell’intento di recensire questo volume scrissi anch’io un
articolo sull’argomento, La fondazione dialettica del divenire in Hegel
e nella filosofia odierna, “Theorein” (rivista diretta allora da Nunzio
Incardona), 6, 1969–1972, pp. 168–179, nel quale mi identificavo to-
talmente con l’interpretazione bacchiniana di Hegel.
Nel 1971 mi trasferii a Padova, chiamato alla cattedra di Storia del-
la filosofia, diventando in tal modo collega del mio maestro, Marino
Gentile che teneva la cattedra di Filosofia teoretica. Lasciai così Peru-
gia e per qualche anno interruppi i contatti con Romano Bacchin. Ahi-
mè, mal ce ne incolse, perché nel 1975 fu bandito un concorso a una
cattedra di Filosofia teoretica, Marino Gentile fu eletto nella Commis-
sione giudicatrice con l’intenzione precisa di “portare in cattedra”
Bacchin, il quale strameritava questo riconoscimento, perché nel frat-
tempo aveva pubblicato altri volumi, tutti ottimi, tra cui Metafisica
originaria, Perugia, Centro Studi Fermi, 1970; Saggi di Ermeneutica
filosofica, Perugia, CLEUP, 1969–70; Anypotheton. Saggio di filoso-
fia teoretica, Roma, Bulzoni (finalmente una casa editrice di portata
nazionale), 1975. Ma lo sciagurato, che pensava solo alla filosofia e i-
Prefazione 15
per completare le tesi di laurea che avevano iniziato sotto la sua guida.
Una dei suoi ultimi allievi, Daniela Carugno, si rivolse a me per pub-
blicare il suo libro su Kant, Il metodo della riflessione nella “Critica
della ragion pura”, Napoli, La Città del Sole, 2006, del quale corressi
con grande fatica le bozze.
La morte di Bacchin, avvenuta all’improvviso il 10 gennaio 1995
sulla spiaggia di Rimini, dove egli si trovava da solo, colse tutti di
sorpresa, come un fulmine a ciel sereno. Non risultava che egli fosse
malato, aveva insegnato fino a pochi giorni prima di Natale, aveva ac-
canto a sé una borsa con dentro il manoscritto di Haploustaton, non
ancora terminato, quindi aveva fatto filosofia sino al momento di mo-
rire. Il rettore dell’università di Padova, Gilberto Muraro, che lo aveva
conosciuto e apprezzato, volle che gli fosse tributata la cerimonia del-
l’“alzabara” nel cortile antico del Palazzo del Bo’, onore normalmente
riservato solo ai professori ordinari, mentre Bacchin era morto da pro-
fessore associato. Al suo funerale religioso, al quale potei assistere, vi-
di studenti piangere come non avevo mai visto al funerale di un pro-
fessore. Per molti giorni i suoi allievi ricoprirono i muri del Liviano,
sede della Facoltà, con manifesti recanti la sua fotografia ed espres-
sioni di dolore per la sua morte.
Due anni dopo l’Istituto di Filosofia dell’Università di Padova, di-
retto da Franco Biasutti, pubblicò una raccolta di scritti di Bacchin col
titolo Classicità e originarietà della metafisica. Scritti scelti, Milano,
FrancoAngeli, 1997. Nel 2004 la casa editrice Il Poligrafo, di Padova,
si rivolse a me per chiedermi di programmare la pubblicazione di al-
cune opere di Bacchin. Proposi una lista di sei volumi, diversi da quel-
li ripubblicati da FrancoAngeli, cioè: L’immediato e la sua negazione
(1967), La struttura teorematica del problema metafisico (1970), Me-
tafisica originaria (1970), Anypotheton (1975), Teoresi metafisica
(1984), Haploustaton (1995). Ma poi non se ne fece più nulla. È per-
ciò con grande piacere che saluto ora la pubblicazione di questo vo-
lume, di cui ignoravo l’esistenza e del quale dobbiamo essere grati a
colei che fu la sposa di Romano Bacchin, Cesira Crocesi Bacchin, e al
prof. Giovanni Castegnaro, che di Bacchin fu devoto allievo.