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CHIMICA FISICA II (Modulo 1)

PROPRIETA’ DI MOLECOLE E AGGREGATI

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APPROSSIMAZIONE DI BORN-OPPENHEIMER
La meccanica quantistica descrive e spiega l’esistenza di legami chimici stabili, quindi può essere
utilizzata per studiare le molecole.
Tuttavia l’Hamiltoniano contiene diversi termini e l’equazione di Schrodinger non è, in generale,
risolvibile esattamente: occorre quindi ricorrere a delle approssimazioni.
Scriviamo l’espressione dell’Hamiltoniano molecolare per una generica molecola poliatomica e
polielettronica:

̂ = 𝑇̂𝑛 + 𝑇̂𝑒 + 𝑉̂𝑛𝑛 + 𝑉̂𝑒𝑒 + 𝑉̂𝑛𝑒


𝐻
Dove

Nn
1 2
Tˆn   a energia cinetica dei nuclei
a 2M a

Ne
1
Tˆe    i2 energia cinetica dei nuclei
i 2

Nn Nn
Z Z
Vˆnn   a b energia potenziale di repulsione tra i nuclei
a b a Rab

Ne Ne
1
Vˆee   energia potenziale di repulsione tra i nuclei
i j i rij

Nn Ne
Z
Vˆne   a energia potenziale di attrazione nucleo-elettrone
a i rai

Nn
1 2 Ne 1 2 Nn Nn Z a Z b Ne Ne 1 Nn Ne Z a
Hˆ    a   i      
a 2 M a i 2 a b a Rab i j i rij a i rai

L’approssimazione di Born-Oppenheimer consente di trattare separatamente nuclei ed elettroni.


Secondo tale approssimazione si suppone che i nuclei, essendo molto più pesanti degli elettroni si
muovano con relativa lentezza, tanto da poterli trattare come se fossero fermi, mentre gli
elettroni si muovono nel loro campo. Si può pertanto ammettere che i nuclei si trovino in posizioni
fisse e risolvere l’equazione di Schrodinger per la funzione d’onda dei soli elettroni.
Riscriviamo l’Hamiltoniano molecolare come
  
H TOT  Tn  H e
Scritto in questo modo potrebbe sembrare separabile ma in realtà non lo è a causa del termine V ne
che non può essere trascurato. Tuttavia supponiamo di poter scrivere una funzione d’onda come

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prodotto di funzioni (tipica di un Hamiltoniano separabile). Assumiamo che la funzione d’onda
totale sia il prodotto di una funzione d’onda nucleare e di una elettronica
TOT   e   n

Possiamo dire che l’energia cinetica nucleare T n è trascurabile se è vero che l’inerzia dei nuclei è
molto maggiore. Questo vuol dire che possiamo porre a zero Tn e risolvere l’equazione per il solo
moto elettronico, trattando le coordinate nucleari (Ri) come parametri. Quindi
   
H TOT  Tn  H e  H e

A questo punto si può risolvere l’equazione di Schrodinger relativa al solo moto degli elettroni

H e  e (r , Ri )  Ee ( Ri ) e (r , Ri )

Che risolta fornisce un auto valore Ee(Ri), il cui valore dipende parametricamente dalle coordinate
nucleari.
Se si risolve l’equazione di Schrodinger per un certo numero di valori dei parametri nucleari si
ottiene un insieme di valori Ee(Ri) che determinano, in due dimensioni, una curva di energia
potenziale, e in tre dimensioni, una iper superficie di energia potenziale (Potential Energy Surface,
PES)

Una volta risolta l’equazione per il moto elettronico e trovata la funzione d’onda elettronica,
l’insieme delle energie elettroniche Ee(Ri) costituiscono il termine di energia potenziale Vn per il
problema nucleare. L’Hamiltoniano nucleare è pertanto
 
H n  Tn  Vn

E l’equazione di Schrodinger associata fornisce la funzione d’onda nucleare



H n  n ( R )  En  n ( R )
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Conseguenza dell’approssimazione di Born-Oppenheimer
La valutazione dell’energia elettronica per diverse configurazioni nucleari fornisce la superficie di
energia potenziale. La PES definisce l’energia potenziale per il moto dei nuclei e, aggiunta al
termine di energia cinetica dei nuclei permette di ottenere la funzione d’onda corrispondente al
moto dei nuclei (vibrazionale, rotazionale,…).
Se vale l’approssimazione BO allora si risolve il solo problema elettronico (il cui Hamiltoniano è H e)
separato da quello nucleare, da risolvere in un secondo momento.

 Approssimazione BO: analisi più approfondita


Consideriamo il caso analogo unidimensionale dello ione idrogeno molecolare H2+, in cui tutto il
movimento è limitato all’asse z. L’Hamiltoniano è

 1 2 1 2 
H 
2 z2
 
j 1, 2.. 2 M j  z j
2
 V ( z , Z1 , Z 2 )

Dove z è la posizione dell’elettrone e Zj (con j=1, 2, …) le posizioni dei due nuclei.


Più semplicemente:
   
H n  Te  Tn  V

Per l’energia cinetica dell’elettrone, l’energia cinetica del nucleo e l’energia potenziale del sistema,
rispettivamente. L’equazione di Schrodinger associata è

H ( z, Z1 , Z 2 )  E ( z, Z1 , Z 2 )

Ci aspettiamo una soluzione della forma

( z, Z1 , Z 2 )   ( z, Z1 , Z 2 )  (Z1 , Z 2 )

Dove φ è la funzione d’onda elettronica e χ quella nucleare. La notazione φ(z, Z1, Z2) significa che la
funzione d’onda per l’elettrone è funzione della sua posizione z e dipende parametricamente dalle
coordinate dei due nuclei, nel senso che si ha una diversa funzione d’onda φ(z) per ogni
disposizione dei nuclei.
Sostituendo questa funzione d’onda nell’equazione di Schrodinger si ottiene

   
H   Te  Tn   V  W  E

Vediamo in dettaglio come agisce ciascun componente sulla funzione d’onda prodotto.
Consideriamo l’operatore Te
 
Te  Te

Te agisce solo sulle funzioni d’onda di coordinate elettroniche, quindi non ha effetto su χ.
Consideriamo l’operatore V
V ( z, Z1 , Z 2 )  V

V è funzione sia delle coordinate elettroniche che nucleari, quindi agisce su entrambe le funzioni.
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L’operatore Tn agisce sulle funzioni di coordinate nucleari, quindi opera su entrambe le funzioni φ
e χ. Esaminiamo Tn in dettaglio:
 1 2
Tn    [ ]
j 1, 2... 2 M j  Z j
2

1  2  2   
      2 
 Z j  Z 2j  Z j  Z j 
2
j 1, 2... 2 M j 

Di questi tre termini il primo può essere riscritto come



Tn 

Questo termine è il contributo di energia cinetica dovuto alla funzione d’onda nucleare.
Sarà più o meno grande a seconda dei casi ma non disturba, e dei tre termini che si generano
dall’azione di Tn sulla funzione d’onda totale è quello che possiamo immaginare abbia più
importanza conservare, dal momento che è l’operatore energia cinetica nucleare e agisce sulla
funzione d’onda nucleare. L’insieme dei termini rimanenti è indicato con W

1   2    
W   
 Z
j 1, 2 ,.. 2 M j 
2
2
Z j Z j


j 

Questa quantità è non nulla perché φ dipende parametricamente dalle coordinate nucleari e
quindi la derivata ∂φ/∂Zj è non nulla. Tuttavia, siccome al denominatore è presente M j, che è una
quantità molto grande, ne risulta che W è molto piccolo e può essere considerato trascurabile.
Di conseguenza l’equazione di Schrodinger si riduce a
  
Te  Tn   V  E

e, raccogliendo e riarrangiando
  
Tn   (Te  V )   E

Come primo step per risolvere l’equazione scriviamo


 
Te  V  Ee ( Z1 , Z 2 )

Per valori delle coordinate nucleari fissi.


Questa è l’equazione di Schrodinger per un elettrone in un potenziale V, che dipende dalle
posizioni dei due nuclei. La soluzione è la funzione d’onda elettronica φ e l’autovalore Ee(Z1, Z2) è il
contributo energetico all’energia totale della molecola più l’energia potenziale della repulsione
internucleare nelle posizioni nucleari prefissate.
Sostituendo si ottiene

Tn   Ee  E

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Ed eliminando la funzione φ da entrambi i membri

Tˆn   Ee   E

Questa è l’equazione di Schrodinger per la funzione d’onda χ dei nuclei quando l’energia
potenziale nucleare, ora rappresentata da E e, ha la forma della curva di energia potenziale
nucleare. Il suo auto valore E è l’energia totale della molecola nell’approssimazione di BO.

IONE IDROGENO MOLECOLARE H2+


La molecola di H2+ è il sistema più semplice: è una molecola biatomica omonucleare con un solo
elettrone (monoelettronica). L’Hamiltoniano per il singolo elettrone è

 1  1 1 1
H   12  V con V     
2  A1 B1 R 
r r
Dove rA1 e rB1 sono le distanze dell’elettrone dai due nuclei e R è la distanza tra i due nuclei.
Nell’espressione di V, i primi due termini tra parentesi sono il contributo attrattivo tra l’elettrone e
i due nuclei e il terzo termine rappresenta l’interazione repulsiva tra i due nuclei

Questo operatore Hamiltoniano è parte dell’equazione di Schrodinger del tipo Hψ=Eψ.


La funzione d’onda sarà una funzione della coordinata r dell’unico elettrone e, parametricamente,
della distanza R tra i nuclei. Quello di H2+ è l’unico esempio di una funzione d’onda
monoelettronica, e viene chiamata orbitale molecolare. Applicata l’approssimazione BO,
l’Hamiltoniano di H2+ diventa sufficientemente semplice da poter consentire di risolvere
l’equazione di Schrodinger in modo esatto. La risoluzione è esatta se l’equazione viene espressa in
coordinate elipsoidali (μ, ν, φ), dove
rA  rB rA  rB
 e 
R R

Mentre φ è la variabile angolare della funzione d’onda.


Come già detto, le soluzione dell’equazione di Schrodinger per H 2+ sono gli orbitali molecolari
(MO) e sono funzioni d’onda monoelettroniche. L’aspetto interessante è che la forma di queste
funzioni d’onda è simile a quella riportata nello schema

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In cui sono rappresentate due funzioni d’onda relative ai più bassi autovalori. In particolare, per la
regola dei nodi, la funzione a più alta energia è quella che presenta un piano nodale, mentre la
prima corrisponde all’energia dello stato fondamentale della molecola di idrogeno.
Guardando l’espressione di queste funzioni d’onda (ognuna funzione di un solo elettrone) si può
notare che assomigliano a combinazioni lineari di oggetti conosciuti, che nel caso dell’atomo di H
sono gli orbitali atomici.
La soluzione esatta dell’equazione di Schrodinger ha ispirato la scelta di considerare le funzioni
d’onda molecolari come combinazioni lineari di orbitali atomici (LCAO).
Si tratta comunque di una approssimazione, in quanto, quando si introduce questa “ipotesi di
costruzione” della funzione monoelettronica, si sostituisce la soluzione esatta con una soluzione
approssimata. L’obiettivo è quello di utilizzare questo tipo di soluzione laddove la soluzione esatta
non può essere trovata.
La soluzione dell’equazione di Schrodinger porta a diversi autovalori e autofunzioni, indicati dal
pedice i. Se le soluzioni sono ottenute per diversi valori del parametro R, si ottengono le curve di
energia potenziale Ei(R) dei diversi stati elettronici di H2+

Hˆ ei (r, R)  Ei ( R)i (r, R)

In particolare si osserva che nel grafico sono


presenti due curve energeticamente molto
separate dalle altre. Di tutte le soluzioni e di
tutti gli autovalori della molecola di H2+,
quelle decisamente più interessanti da
discutere sono quelle a più bassa energia.
La curva 1σ presenta un andamento legante,
mentre la curva 2σ ha un andamento
dissociativo.
Le notazioni “σ” e “π” derivano dalla forma
delle funzioni d’onda, in particolare per
quanto riguarda la variabile angolare φ. La
dipendenza da φ deriva dal fatto che
l’operatore Hamiltoniano di H2+ commuta con
l’operatore momento angolare e con la sua
proiezione lungo l’asse z (Lz).
Concentriamoci sulle due curve a più bassa
energia, in quanto tra tutti gli orbitali atomici
dell’atomo di idrogeno ci interessa quello a
più bassa energia, cioè l’orbitale 1s.
Abbiamo scelto di utilizzare una funzione d’onda di tipo LCAO, e facendo questa scelta bisogna
stabilire quanti orbitali atomici utilizzare nella combinazione: se dobbiamo dare una descrizione
della zona a più bassa energia, è sufficiente inserire i due orbitali 1s dei due atomi di H, 1s A e 1sB.
L’obiettivo è quello di utilizzare la funzione d’onda LCAO per la risoluzione dell’equazione di
Schrodinger della molecola più semplice, cioè H2+, in modo da ottenere una soluzione
approssimata da poter utilizzare per i casi più complessi.
Quando non è possibile calcolare la soluzione esatta si ricorre a quegli approcci che la teoria mette
a disposizione per stimare la funzione d’onda migliore: i due strumenti principali sono la teoria
perturbativa e la teoria variazionale.

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Soluzione dalla teoria variazionale
La forma generale di una combinazione LCAO è del tipo

LCAO  icii

Dove le φi in questo caso sono gli orbitali atomici, di forma analitica conosciuta, che costituiscono
la base impostata per il calcolo.
Le variabili, nella combinazione LCAO, sono i coefficienti ci: ciascun orbitale atomico compare nella
combinazione con il proprio coefficiente.
Tante più φi compaiono nella LCAO, tanto meglio la Ψ LCAO sarà definita, ma tanti più saranno i
coefficienti da calcolare.
Assumiamo che tutti i membri del set di base (φi) siano reali e normalizzati a 1. In sintesi il teorema
variazionale dice che possiamo scegliere una funzione di prova, ΨTrial, e con questa possiamo
ottenere una buona approssimazione dell’energia. Migliorando la funzione di prova, la sua energia
sarà sempre più bassa e più vicina a quella vera.
Nel caso di H2+ la funzione di prova è semplice e intuitiva, cioè la combinazione lineare dei due
orbitali atomici dei due atomi di idrogeno.
Quando si utilizza come funzione di prova una combinazione lineare di più oggetti, l’approccio
variazionale prevede l’utilizzo di una variante, detta metodo di Rayleigh-Ritz.
Definiamo il rapporto di Rayleigh-Ritz, ε, come

T | Hˆ | T
 dove T  icii
T | T

Si tratta, di fatto, del valore d’attesa dell’energia per la funzione di prova scelta.
Sostituendo l’espressione di ΨT si ottiene

 c  | Hˆ |  c 
i i i j j  c c  | Hˆ | 
ij i j i i
 
j

c  |  c 
i i i j j j  c c  |
ij i j i i

Dal momento che il numeratore e il denominatore sono caratterizzati da due indici, i e j, gli
integrali possono essere sostituiti dai corrispondenti elementi di matrice


 cc H
ij i j ij

 cc S
ij i j ij

Per trovare il valore minimo di ε differenziamo rispetto a ciascuno dei coefficienti ci e cj, e poniamo
volta per volta ∂ε/∂ck=0. Per semplicità riscriviamo l’espressione di ε considerandola come un
prodotto di funzioni


 cc H
ij i j ij
 f (ck ) g (ck )   c c H  c c S  1

 cc S ij i j ij ij i j ij
ij i j ij

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Calcoliamo ora la derivata: abbiamo a che fare con delle doppie sommatorie, in i e in j, e dobbiamo
derivare rispetto al k-esimo elemento. Il k-esimo elemento si troverà sia nella prima serie di
coefficienti che nella seconda: a un certo punto ci e cj assumeranno valore ck. Quindi, quando
l’indice j è uguale a k, cj ha valore ck e rimane una sommatoria in i di tutti gli elementi del tipo c ick,
e a seguito della derivazione ck sparisce e si ha iciHik. Hik è l’unico elemento che sopravvive, Σ
perché j=k e tutti gli altri elementi, che sono dei numeri, vanno a zero derivando rispetto a c k.
Il discorso è analogo quando i=k e ci=ck. La derivata quindi risulta

 c H   c H  c S   c S  c c H
 c c S  c c S 
i i ik j kj i i ik j kj i j ij
 j
 j ij

ck  cc S ij i j ij ij i j ij ij i j ij


c H   c H
i i ik j j kj

c S   c S
i i ik j j kj

 cc S ij i j ij  cc S ij i j ij


 c H  S    c H  S   0
j j kj kj i i ik ik

 cc S ij  cc S
i j ij ij i j ij

Questa espressione risulta soddisfatta se i numeratori si annullano. I due numeratori di fatto sono
identici, varia solo l’indice su cui corre la sommatoria, quindi, in realtà se si annulla un numeratore
si annulla anche l’altro. Dobbiamo risolvere il set di equazioni secolari

 c H i i ik  Sik   0
Si tratta di un insieme di equazioni simultanee per i coefficienti ci. La condizione di esistenza delle
soluzioni è che il determinante secolare si annulli

det | H ik  Sik | 0

Tipicamente, se il sistema di equazioni è piccolo, come nel caso di H2+, la risoluzione del
determinante è particolarmente semplice.
La soluzione per sistemi grandi avviene attraverso la diagonalizzazione della matrice
dell’Hamiltoniano H, da cui si ottengono
- Autovalori, ovvero le energie degli orbitali molecolari;
- Autovettori, cioè l’insieme dei coefficienti di combinazione che descrive l’MO attraverso la
LCAO.
La base degli AO deve prima essere ortogonalizzata in modo da avere

det | H ik  I ik |

Abbiamo ottenuto un’espressione generale della teoria variazionale per la funzione d’onda
costruita come combinazione lineare di orbitali atomici.
La risoluzione del determinante secolare, posto uguale a 0, fornisce il miglior valore dei coefficienti
di combinazione, tali da a vere l’espressione LCAO che assicura l’energia più bassa.
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Per il caso della molecola di H2+ si è scelta una funzione di funzione di prova che è combinazione
lineare di due orbitali atomici. L’Hamiltoniano di H2+ è monoelettronico e l’applicazione del
principio variazionale è particolarmente semplice. Per applicare il principio variazionale ricorriamo
a una semplificazione. L’Hamiltoniano di H2+ è

1 1 1 1
Hˆ    2   
2 rA1 rB1 R

Data una configurazione con nuclei fissi, il termine 1/R risulta costante e può quindi essere
trascurato nell’applicazione del principio variazionale. Verrà aggiunto in un secondo momento
all’espressione dell’energia totale del sistema.
Utilizziamo una funzione di prova combinazione lineare dell’orbitale 1sA pesato per il coefficiente
c1 e dell’orbitale 1sB pesato per il coefficiente c2:

  c11s A  c21sB  c11  c22

Siccome la molecola di H2+ è simmetrica, ci si aspetta che c1 e c2 siano uguali in valore assoluto.
Le due funzioni d’onda della combinazione danno origine a una matrice Hij di dimensione 2x2: il
determinante secolare associato sarà 2x2 e la soluzione si ottiene senza dover passare attraverso
un algoritmo di diagonalizzazione.
Applichiamo il principio variazionale scrivendo il valore d’attesa dell’Hamiltoniano

 | Hˆ |  c11  c22 | Hˆ | c11  c22


E 
 | c11  c22 | c11  c22

Consideriamo il numeratore:

c11  c22 | Hˆ | c11  c22  c11 | Hˆ | c11  c11 | Hˆ | c22  c22 | Hˆ | c11  c22 | Hˆ | c22

 c12 1 | Hˆ | 1  c1c2 1 | Hˆ | 2  c2 c1 2 | Hˆ | 1  c22 2 | Hˆ | 2

Il numeratore è costituito dagli elementi della matrice associata all’Hamiltoniano di H2+, espressa
in termini della combinazione dei due orbitali atomici.
Per semplicità etichettiamo questi quattro integrali con i simboli α e β:

1 | Hˆ | 1  11 1 | Hˆ | 2  12 2 | Hˆ | 1   21 2 | Hˆ | 2   22

Siccome φ1 è normalizzata, l’integrale 1 | Hˆ | 1 rappresenta il valore d’attesa dell’operatore


Hamiltoniano di H2+ e corrisponde all’energia dell’orbitale atomico 1s A, calcolata però nell’intorno
molecolare, in quanto H è un operatore Hamiltoniano molecolare, perché è relativo alla molecola
di H2+.
Il secondo e il terzo integrale, β12 e β21, rappresentano l’interazione tra i due orbitali e la loro
grandezza fornisce una misura della forza del legame tra i due atomi di idrogeno.

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Possiamo immaginare che l’interazione sarà diversa a seconda della distanza tra i due nuclei;
osserviamo quindi che β dipende dalla grandezza degli integrali di sovrapposizione tra i due
orbitali, β oc S.
Tenendo in considerazione che i due integrali β12 e β21 sono identici, il numeratore può essere
riscritto come
 | Hˆ |   c 2  c c   c c   c 2  c 2  2c c   c 2
1 1 1 2 12 2 1 21 2 2 1 1 1 2 12 2 2

Consideriamo ora il denominatore:

 |   c11  c22 | c11  c22

 c11 | c11  c11 | c22  c22 | c11  c22 | c22

 c12 1 | 1  c1c2 1 | 2  c2 c1 2 | 1  c22 2 | 2

Siccome φ1 e φ2 sono normalizzate il loro integrale di sovrapposizione è uguale a 1.


I due integrali 1 | 2 e 2 | 1 sono uguali e li denotiamo semplicemente con S. l’integrale S è
diverso da zero e positivo, e il suo valore è tanto più grande quanto più i due nuclei sono vicini. È
diverso da zero perché le funzioni d’onda φ1 e φ2, centrate rispettivamente sul nucleo A e sul
nucleo B danno una sovrapposizione non nulla.
Come per il numeratore, possiamo riscrivere il denominatore nella forma

 |   c12  2c1c2 S  c22

A questo punto sostituiamo le due espressioni nel rapporto di Rayleigh-Ritz

 | Hˆ |  c121  2c1c2 12  c22 2


E 
 | c12  2c1c2 S  c22

L’obiettivo è minimizzare l’energia determinando i valori appropriati di c1 e c2. Per fare ciò
deriviamo l’espressione di E rispetto ai coefficienti. Riscriviamo per comodità l’espressione di E nel
seguente modo
E (c12  2c1c2 S  c22 )  c121  2c1c2 12  c22 2
Deriviamo rispetto a c1

E 2
(c1  2c1c2 S  c22 )  E (2c1  2c2 S )  2c1 1  2c2 12
c1

Poniamo ∂E/∂c1=0

E (2c1  2c2 S )  2c1 1  2c2 12

2c1 (1  E)  2c2 (12  ES )  0


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Deriviamo ora rispetto a c2

E 2
(c1  2c1c2 S  c22 )  E (2c2  2c1S )  2c2 2  2c112
c2

Poniamo ∂E/∂c2=0
E (2c2  2c1S )  2c2 2  2c112

2c2 ( 2  E)  2c1 (12  ES )  0

Abbiamo ottenuto un sistema di equazioni secolari che devono essere risolte simultaneamente
per ottenere il valore appropriato di c1 e di c2

c1 (1  E )  c2 ( 12  ES )  0



c2 ( 2  E )  c1 ( 12  ES )  0

Per ottenere le soluzioni non banali dobbiamo porre il determinante secolare associato uguale a
zero e calcolarne gli autovalori
  E   ES
det  0
  ES   E
Posto β12=β21=β e α1=α2=α.
La soluzione si trova cercando i valori dell’energia che annullano il determinante, e
successivamente sostituendo i valori di E nel sistema di equazioni secolari per determinare i
coefficienti. Quindi

(  E ) 2  (   ES ) 2  0
(  E ) 2  (   ES ) 2
(  E )  (   ES ) 2
(  E )   (   ES )
( E   )   (   ES )
E (1  S )    

   
E  E 
1 S 1 S

E+ ed E- sono gli autovalori associati a funzioni d’onda del tipo LCAO come quelle che abbiamo
scelto.
Riscriviamo queste due espressioni in una forma che consenta di illustrare meglio i valori relativi
all’energia degli orbitali atomici costituenti.
Siamo partiti da una situazione in cui i due atomi di idrogeno A e B si trovano a distanza infinita,
con un elettrone nell’orbitale 1s di uno dei due atomi (1sA o 1sB) con una energia pari a α.

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Riarrangiamo quindi le espressioni dei due autovalori rispetto ad α, aggiungendo e togliendo Sα al
numeratore. Per l’autovalore E+:

    S  S  (1  S )   S
E   
1 S 1 S 1 S

  S
=
1 S

Essendo β una quantità negativa, la grandezza β-Sα è negativa, quindi l’autovalore E + indica che
quando i due orbitali atomici interagiscono possono ricadere in una situazione energetica inferiore
rispetto ad α.
Per l’autovalore E- invece:
    S  S  (1  S )   S
E   
1 S 1 S 1 S

  S
=
1 S

L’autovalore E- indica che l’interazione tra i due orbitali porta a una situazione energetica
superiore rispetto ad α. Riportando il tutto in un diagramma di interazione orbitalica

si può notare che il gap energetico superiore è più grande rispetto a quello inferiore e per
valutarne la dipendenza bisogna studiare il denominatore, infatti (1-S) è più piccolo di (1+S), quindi
α si alza di una quantità più grande di quanto si sia abbassata in precedenza.
Osserviamo quindi che un elettrone che si trova nel livello energetico E+ sarà in una situazione più
stabile rispetto a quando si trovava nell’orbitale 1s e, di contro, un elettrone nel livello E- sarà in
una situazione più instabile.
In ragione di questa stabilità, il livello più basso viene chiamato legante, mentre quello più alto, e
più instabile, viene chiamato anti-legante.
Dobbiamo ora sostituire gli autovalori nel sistema di equazioni secolari per trovare i coefficienti c1
e c2 che definiscono la funzione d’onda.

13
Sappiamo che Ψ=c1φ1+c2φ2 ma siccome la molecola di H2+ ha simmetria assiale, questo caso è
particolarmente semplice, e il valore dei due coefficienti è triviale: devono essere uguali in valore
assoluto perché i due atomi sono identici. Quindi possiamo semplicemente scrivere

  1  2  1s A  1sB

Le due autofunzioni associate ai due autovalori sono la combinazione, una + e una -, dei due
orbitali atomici; la soluzione Ψ– corrisponde all’energia E-, mentre la soluzione Ψ+ corrisponde
all’energia E+. Queste due soluzioni definiscono gli orbitali molecolari di H2+, le cui forma e
simmetria si possono vedere dal grafico

La combinazione + dei due orbitali atomici si traduce nel fatto che, non essendoci piano nodale, Ψ+
si può estendere liberamente al centro del legame e questo porta a un accumulo di densità
elettronica in mezzo ai due nuclei.
La combinazione – invece comporta un cambio di segno e la presenza di un piano nodale tra i due
nuclei.
L’etichetta “σ” è un’indicazione della simmetria rispetto all’asse molecolare. Entrambi questi
orbitali hanno simmetria cilindrica e possiedono un centro di inversione: in particolare l’orbitale
Ψ+ è simmetrico rispetto al centro di inversione e viene etichettato con σ g (g=gerade), mentre
l’orbitale Ψ– è antisimmetrico rispetto al centro di inversione e viene etichettato con σ u
(u=ungerade).

Stabilità di H2+: analisi dei contributi energetici


Abbiamo applicato il principio variazionale e trovato le energie (espresse per semplicità in termini
dei parametri α e β) associate alle due funzioni d’onda di H 2+ relative agli stati elettronici a più
bassa energia. Tuttavia non siamo in grado di spiegare se la stabilità della molecola è dovuta a
interazioni elettrostatiche di natura classica oppure se è di origine quantistica.
A questo scopo dobbiamo esprimere con maggiore dettaglio i contributi che determinano gli
autovalori dell’energia degli OM Ψ±.
Consideriamo l’OM a più bassa energia Ψ+=1sA+1sB e otteniamo il valore di E+ scrivendo il valore
d’attesa dell’operatore Hamiltoniano

 | Hˆ | 
E 
 | 

14
Poiché l’OM non è normalizzato dobbiamo tenere in considerazione anche il denominatore.
Per ottenere un’espressione di E+ esplicitiamo la funzione d’onda e, successivamente anche i
contributi dell’Hamiltoniano. Consideriamo il denominatore:

 |   1s A  1s B | 1s A  1s B
 1s A | 1s A  1s A | 1s B  1s B | 1s A  1s B | 1s B

Il denominatore è stato scomposto negli elementi della matrice associata, con

1s A | 1s A  1s B | 1s B  1 elementi diagonali
1s A | 1s B  1s B | 1s A  S elementi fuori diagonale

Quindi il denominatore può essere riscritto come

 |   2  2S  2(1  S )

Consideriamo ora il numeratore:

 | Hˆ |   1s A  1s B | Hˆ | 1s A  1s B

 1s A | Hˆ | 1s A  1s A | Hˆ | 1s B  1s B | Hˆ | 1s A  1s B | Hˆ | 1s B
Con

1s A | Hˆ | 1s A  H AA  1s B | Hˆ | 1s B  H BB elementi diagonali

1s A | Hˆ | 1s B  H AB  1s B | Hˆ | 1s A  H BA elementi fuori diagonale

Possiamo riscrivere il numeratore nella forma

 | Hˆ |   2 H AA  2 H AB

A questo punto, invece di etichettare gli integrali con α e β, li espandiamo in termini degli elementi
dell’Hamiltoniano, che per la molecola di H2+ è

1 1 1
Hˆ  Tˆe   
rA1 rB1 R

Consideriamo il termine diagonale:


1 1 1
H AA  1s A | Hˆ | 1s A  1s A Tˆe    1s A
rA1 rB1 R

1 1 1
 1s A Tˆe  1s A  1s A   1s A
rA1 rB1 R

15
Osserviamo che Tˆe  1 corrisponde all’Hamiltoniano dell’atomo di idrogeno, Ĥ H .
rA1
Siccome 1sA è autofunzione dell’operatore Ĥ H , quest’ultimo restituirà l’autovalore E1s, ovvero
l’energia dell’elettrone nell’orbitale 1s dell’atomo di idrogeno. Quindi possiamo scrivere

1 1 1 1
H AA  E1s 1s A | 1s A  1s A   1s A  E1s  1s A   1s A
rB1 R rB1 R

Il secondo termine viene identificato da due notazioni, una utilizzata dal libro Atkins e l’altra
utilizzata dal libro McQuarrie.
Nella notazione McQuarrie viene chiamato integrale di Coulomb J, un operatore monoelettronico
quindi l’elemento di matrice HAA è semplicemente

H AA  E1s  J

L’integrale J è un oggetto che fisicamente descrive l’interazione di una densità elettronica (che
giace intorno al nucleo A) con il nucleo B.
Nella notazione Atkins invece abbiamo

1 1 1 1
1s A   1s A  1s A  1s A  1s A 1s A
rB1 R rB1 R
1
 j  1s A | 1s A
R
1
 j
R

Il termine j rappresenta un’attrazione tra l’elettrone che sta nell’orbitale atomico 1s A e il nucleo B.
Ci siamo occupati dell’elemento H AA ma la trattazione è del tutto analoga per l’elemento HBB,
infatti sappiamo che HAA=HBB, quindi in definitiva

1
H AA  H BB  E1s  J  E1s  j 
R

Consideriamo ora il termine fuori diagonale:

1 1 1
H BA  1s B | Hˆ | 1s A  1s B Tˆe    1s A
rA1 rB1 R

1 1 1
 1s B Tˆe  1s A  1s B   1s A
rA1 rB1 R

Il ragionamento è analogo al caso precedente: l’operatore Hamiltoniano Ĥ H agisce sull’orbitale


1sA ed estrae l’autovalore E1s, moltiplicato però per l’integrale di sovrapposizione tra 1 sB e 1sA, che
vale S.

16
1 1 1 1
H BA  E1s 1s B | 1s A  1s B   1s A  E1s S  1s B   1s A
rB1 R rB1 R

Il secondo termine passa anch’esso attraverso due notazioni

1 1
1s B   1s A  K notazione McQuarrie
rB1 R

1 1 1 1 S
1sB   1s A  1sB  1s A  1sB 1s A k notazione Atkins
rB1 R rB1 R R

Il termine K si differenzia dal termine J in quanto l’integrale coinvolge due orbitali diversi, quindi
non possiamo più considerarlo come un termine di interazione colombiana.
Viene chiamato integrale di scambio e corrisponde a una densità di carica non classica che
interagisce con il nucleo B. E’ una densità di carica perché formalmente è il prodotto di due
funzioni d’onda, ma siccome sono riferite a due orbitali diversi (1s A e 1sB) è una particolare densità
di carica che non ha nessuna controparte nella fisica classica. Talvolta è chiamata overlap density.
Il termine k, come il termine j, è negativo, quindi è un termine attrattivo.
In sintesi abbiamo

1
1s A | Hˆ | 1s A  Hˆ AA  1s B | Hˆ | 1s B  Hˆ BB  E1s  J  E1s  j   
R

S
1s A | Hˆ | 1s B  Hˆ AB  1s B | Hˆ | 1s A  Hˆ BA  E1s S  K  E1s S  k   
R

E nel complesso, sostituendo in  | Hˆ | 

 | Hˆ |   2 H AA  2 H AB  2 E1s  2 J  2 E1s S  2 K  2 E1s (1  S )  2( J  K )

2 S 1 S
 2 E1s  2 j   2 E1s S  2k  2  2 E1s (1  S )  2( j  k )  2
R R R

A questo punto possiamo sostituire le espressioni del numeratore e del numeratore nel valore
d’attesa di E+:

 | Hˆ |  2 H AA  2 H AB 2 E1s (1  S ) 2( J  K ) (J  K ) McQuarrie
E      E1s 
 |  2(1  S ) 2(1  S ) 2(1  S ) (1  S )

2 E1s (1  S )  2 j  2k 2(1  S ) ( j  k) 1
   E1s   Atkins
2(1  S ) 2 R(1  S ) (1  S ) R

17
E nel complesso, nelle due notazioni

JK jk 1
E  E1s  E  E1s  
1 S 1 S R

Abbiamo ottenuto due espressioni che non contengono i termini α e β e che sono molto più
dettagliate, in quanto E1s è l’energia dell’orbitale 1s dell’atomo di idrogeno, è presente un
integrale Coloumbiano che comprende J e j, e un integrale di scambio che contiene k e S/R.
quest’ultimo integrale in particolare contiene un oggetto che non ha una controparte classica.

Dipendenza di E e delle sue componenti da R


L’energia E+ è funzione di alcuni termini che a loro volta dipendono dalla distanza internucleare R.
I termini K e J non sono delle funzioni costanti ma dipendono da R. Il termine J in particolare
contiene un integrale j che corrisponde all’attrazione tra l’elettrone nell’orbitale 1 sA e il nucleo B e
tale attrazione dipenderà da quanto è vicino il nucleo A al nucleo B. J quindi è la funzione
parametrica di R introdotta nell’approssimazione BO. Anche l’integrale di sovrapposizione S
dipenderà da R.
Nel caso degli orbitali 1s l’integrale di sovrapposizione può essere espresso in forma analitica
come
 R2 
S  e  R 1  R  
 3 

Grafi chiamo S in funzione di R, espresso in unità atomiche a0

Per R=0 chiaramente S=1, perché i due orbitali sono completamente sovrapposti, e come ci si
aspetta, man mano che i nuclei si allontanano S decresce fino a tendere a zero per distanze
internucleari molto grandi.

18
Stabilità di H2+ in Ψ+
A questo punto dobbiamo sostanzialmente capire cosa determina il minimo della curva di energia
potenziale associata alla funzione d’onda Ψ+. Per fare questo riportiamo in grafico l’espressione

J K J K
E  E1s  E   
1 S 1 S 1 S

La curva di energia potenziale altro non è che la PES della molecola di H 2+ nel suo stato elettronico
fondamentale. Allo zero corrisponde il valore di riferimento, ovvero l’energia dell’orbitale atomico
1s: quando la curva raggiunge lo zero, si ha la dissociazione della molecola di H2+ in un atomo di
idrogeno e un protone.
Si noti che il termine costituito dall’integrale di Coulomb è sempre positivo, quindi l’integrale di
scambio K è interamente responsabile dell’esistenza del legame chimico in H 2+. Siccome il termine
di scambio non possiede analogo classico, questo risultato serve a dar rilievo alla natura
quantistica del legame chimico.
Abbiamo quindi determinato che non è l’elettrostatica classica, descritta dal termine J, a rendere
stabile il legame chimico di H2+, ma la stabilità è di natura puramente quantistica.
Ci chiediamo ora il motivo per cui la curva K/(1+S) presenta un minimo. Scomponiamo quindi i
termini K e J nella notazione Atkins

1
J  j 0 per R grande
R

19
Il termine j è negativo (attrattivo) e 1/R è positivo (repulsivo). A lunghe distanze R, j compensa il
termine 1/R, J tende a zero ed è sempre positivo

S
K k k 0
R

Il termine k è non classico e negativo (attrattivo), mentre S/R è positivo. Alla distanza di legame k
supera in valore assoluto il termine S/R; rimane quindi un contributo negativo che è responsabile
del minimo della curva di energia potenziale e che spiega la stabilizzazione.

Analizziamo ora i contributi energetici per l’energia dell’orbitale molecolare a più alta energia,
Ψ-=1sA-1sB. Otteniamo il valore di E- scrivendo il valore d’attesa dell’operatore Hamiltoniano

 | Hˆ | 
E 
 | 

Consideriamo il numeratore

 | Hˆ |   1s A  1s B | Hˆ | 1s A  1s B

 1s A | Hˆ | 1s A  1s A | Hˆ | 1s B  1s B | Hˆ | 1s A  1s B | Hˆ | 1s B

Esplicitiamo l’espressione dell’Hamiltoniano e, come nel caso di Ψ+, otteniamo

1
1s A | Hˆ | 1s A  1s B | Hˆ | 1s B  E1s  J  E1s  j 
R

S
1s A | Hˆ | 1s B  1s B | Hˆ | 1s A  E1s S  K  E1s  k 
R

Il numeratore quindi sarà

 | Hˆ |   2 H AA  2 H AB  2 E1s  2 J  2 E1s S  2 K  2 E1s (1  S )  2( J  K ) McQuarrie

2 2S (1  S )
 2 E1s  2 j   2 E1s S  2k   2 E1s (1  S )  2( j  k )  2 Atkins
R R R

Consideriamo ora il denominatore

 |   1s A  1s B | 1s A  1s B
 1s A | 1s A  1s A | 1s B  1s B | 1s A  1s B | 1s B
 2  2S
 2(1  S )

20
Il valore d’attesa dell’operatore Hamiltoniano, cioè l’energia per l’orbitale Ψ- è pertanto

 | Hˆ |  2 H AA  2 H AB 2 E1s (1  S )  2 J  2 K
E    McQuarrie
 |  2(1  S ) 2(1  S )

Atkins
2 E1s (1  S )  2 j  2k 2(1  S )
 
2(1  S ) 2 R (1  S )
E nel complesso, nelle due notazioni

J K jk 1
E  E1s  E  E1s  
1 S 1 S R

Vediamo graficate insieme le due curve di energia potenziale

J K
E  E  E1s 
1 S

Osserviamo che ∆E- porta a una curva di tipo dissociativo e non presenta un minimo, quindi la
funzione d’onda Ψ- porta a un orbitale molecolare di antilegame.
È chiaro che gli stessi fattori che giustificano la stabilità dello stato fondamentale in questo caso
giustificano la destabilizzazione: alla distanza di legame si ha che K≈k<0, ma con il meno davanti
diventa positivo e causa un aumento dell’energia.

21
Normalizzazione degli orbitali
Normalizzare la funzione d’onda significa determinare il valore di una costante moltiplicativa c
(talvolta definita come 1/N), detta fattore di normalizzazione, che moltiplica la funzione d’onda e
tale per cui l’integrale di sovrapposizione sia uguale a 1, o normalizzato.
Definiamo
1
  c(1s A  1sB )  (1s A  1sB )
N
E imponiamo
 |   1

Calcoliamo il fattore di normalizzazione

c(1s A  1sB ) | c(1s A  1sB )  1


c 2 (1s A  1sB ) | (1s A  1sB )  1
c 2 ( 1s A | 1s A  1s A | 1s B  1sB | 1s A  1sB | 1s B )  1
c 2 (1  S  S  1)  1
1 1
c2   c
2(1  S ) 2(1  S )

La funzione d’onda normalizzata è quindi

1
  (1s A  1sB )
2(1  S )

E analogamente, per Ψ- si ha
 |   1
c 2 (1s A  1s B ) | (1s A  1s B )  1
c 2 ( 1s A | 1s A  1s A | 1s B  1s B | 1s A  1s B | 1s B )  1
c 2 (1  S  S  1)  1
1 1
c2   c
2(1  S ) 2(1  S )

1
  (1s A  1sB )
2(1  S )

Nel caso della molecola di H2+ abbiamo a che fare con delle distanze di legame ben definite,
quindi l’integrale S è significativamente diverso da zero.
In altri casi, per calcolare il fattore di normalizzazione bisogna porre S≠0.

22
 Riassunto delle diverse espressioni degli autovalori dell’energia

    S H AA  H BB J K jk 1
E      E1s   E1s  
1 S 1 S 1 S 1 S 1 S R

    S H AA  H BB J K jk 1
E      E1s   E1s  
1 S 1 S 1 S 1 S 1 S R

Le diverse espressioni risultano dall’aver esplicitato o meno gli elementi di matrice su base
atomica. Le prime due formulazioni nelle due equazioni in alto hanno una valenza più generale.
Le seconde sono specifiche per H2+ e permettono di capire meglio la natura della stabilità nello
stato elettronico fondamentale.
1
  H AA  1s A | Hˆ | 1s A  E1s  J  E1s  j 
R

S
  H AB  1s A | Hˆ | 1s B  E1s S  K  E1s S  k 
R

Quello che faremo in seguito sarà


- Determinare una relazione che esprima la differenza di energia tra due orbitali molecolari,
generati dall’interazione di due orbitali atomici
- Cercare di capire perché abbiamo potuto assumere che l’interazione HAB (o β) sia negativa
- Giustificare la relazione di carattere generale per l’espressione di elementi di matrici di
interazione orbitalica, che è
HAB = β = -cost SAB

L’integrale (o elemento di matrice) HAB che descrive l’interazione tra due orbitali è un elemento
centrale per valutare la differenza di energia tra orbitali molecolari. La differenza di energia ∆E tra i
due orbitali molecolari assume un’espressione molto semplice se si assume che l’integrale di
sovrapposizione S sia trascurabile (si tratta di una approssimazione molto drastica per la molecola
di H2+, ma utilizziamo questo esempio per derivare il ∆E). Se trascuriamo il termine S otteniamo

H AA  H AB   
E    H AA  H AB    
1 S 1 S
E  H AA  H AB
Quindi

E  E  E  2H AB  2

2H AB  2
E  H AA  H AB

23
Trascurando il termine S al denominatore, i due livelli energetici E + ed E- risultano equispaziati
rispetto all’energia degli orbitali 1s, con un ∆E pari, in valore assoluto, a 2β (o 2HAB).
L’integrale di interazione HAB corrisponde, in buona approssimazione, alla metà della separazione
energetica tra i due orbitali interagenti. Questa informazione sarà utile quando si dovranno
costruire diagrammi di interazione orbitalica.
Consideriamo ora il caso specifico della molecola di H2+: dobbiamo dimostrare che è HAB negativo.
HAB non è sempre negativo ma nel caso di H2+ è importante che lo sia, in quanto deve determinare
l’abbassamento di energia per E+ in seguito all’interazione degli orbitali.

Il segno di HAB e la dipendenza da S


Riprendiamo l’espressione di HAB:

S
H AB  1s A | Hˆ | 1s B  E1s S  K  E1s S  k 
R

Osserviamo che questo elemento di matrice interazione tra orbitali atomici è funzione della
sovrapposizione orbitalica S, infatti il primo e il terzo termine sono direttamente proporzionali a S.
Anche il termine k è proporzionale a S, anche se non in modo esplicito, infatti può essere visto
come l’interazione tra una densità di sovrapposizione (overlap density) 1sA1sB con il nucleo B.
Quindi HAB oc S in quanto c’è un legame diretto tra i suoi elementi e l’integrale S.
Notiamo inoltre che HAB è negativo per la molecola di H2+: K = k + S/R è negativo nella zona di
legame (minimo della curva PES) e siccome S è positivo e E1s è negativo, il termine E1sS è negativo.
La dipendenza da S è così marcata che possiamo scrivere un’espressione fenomenologica che
suggerisce, con una relazione semplificata, che l’interazione tra due orbitali è proporzionale alla
loro sovrapposizione:

H AB     cos t  S

Se S è positivo HAB è negativo e questa osservazione è sempre vera. Ciò significa che se S è
negativo, potremo avere situazioni in cui HAB è positivo, e quando ciò accade la soluzione a più
bassa energia sarà la combinazione meno (Ψ-) dei due orbitali, a differenza di quanto si è visto per
H2+.
L’energia di un orbitale legante si abbassa (rispetto a quella degli orbitali atomici che lo formano)
se HAB è grande, quindi si abbasserà tanto più quanto la sovrapposizione (legante) tra i due orbitali
atomici che lo hanno determinato è grande

24
L’evidenza sperimentale di questo fenomeno si riscontra considerando i diagrammi di interazione
orbitalica dell’etilene e dell’acetilene

Le energie dei livelli sono state ottenute rimuovendo un elettrone (ionizzazione) dagli orbitali π
responsabili del legame π.
Il legame π dell’acetilene è più corto di quello dell’etilene, in quanto il carbonio è ibridato sp,
mentre nell’etilene è ibridato sp2. La minore lunghezza del legame si riflette in una maggiore
sovrapposizione degli orbitali π, quindi come ci si aspetta l’OM di legame dell’acetilene si trova a
energia più bassa rispetto a quello dell’etilene.

Funzioni spaziali e funzioni di spin


Fino a questo punto abbiamo considerato, per la molecola di H2+, una funzione d’onda spaziale
perché dipende da coordinate spaziali. Oltre alla coordinata spaziale però, l’elettrone possiede
anche una coordinata di spin, quindi per descrivere in modo completo la funzione d’onda di H 2+
bisogna utilizzare una funzione d’onda che sia il prodotto di una funzione spaziale ψ(r1) e di una
funzione di spin g
χ = ψ(r1)g

La funzione completa è detta funzione d’onda spinorbitale.


L’unico elettrone di χ può trovarsi in due diversi stati di spin, definiti come α e β (da non
confondere con gli α e β associati agli elementi di matrice):

g=α g=β

In assenza di campi magnetici esterni applicati, questi due stati di spin hanno la stessa energia
(sono degeneri).
25
Quindi la molecola di H2+ nello stato elettronico fondamentale è un doppietto (2 sottostati di spin)
e i due sottostati sono descritti dalle funzioni d’onda

1
    (r1 ) g  (1s A  1s B )
N
1
    (r1 ) g  (1s A  1s B ) 
N

Nel caso della molecola di H2+ la descrizione dello stato fondamentale è semplice ed è
l’espressione appena fornita.

Classificazione degli orbitali


Si è visto che per l’atomo di idrogeno l’Hamiltoniano, che ha simmetria sferica, commuta con
l’operatore momento angolare totale L2 e con la sua componente Lz, il che significa che hanno
autofunzioni in comune.
Lo ione H2+ non ha simmetria sferica e si trova che [L2, Hel]≠0, tuttavia possiede simmetria assiale
e si può dimostrare che L2 commuta con Hel.
Questo è comodo perché possiamo usare le autofunzioni dell’operatore Lz come funzioni d’onda
elettroniche per H2+.
In particolare, le autofunzioni di Lz hanno la forma

1
cos t  (2 ) 2
e im con m  0,  1,  2,...

Nella soluzione analitica del problema di H2+ si osserva che l’espressione dell’energia elettronica
dipende da m2, che è il valore associato alla proiezione del momento angolare sull’asse z.
m può assumere valori pari a 0, ±1, ±2,…, ciò significa che il valore dell’energia è indifferente dal
fatto che m sia positivo o negativo: ci sarà un unico livello per m=0, un unico livello per m=±1 e
così via. Qualsiasi stato di H2+ che corrisponde a un valore di m diverso da zero, è doppiamente
degenere.
Nel caso delle molecole biatomiche, il valore assoluto di m è indicato con la lettera λ.
In modo simile alla notazione s, p, d, f per gli stati dell’atomo di idrogeno, viene usato un codice di
lettere per specificare λ

Lo stato elettronico a più bassa energia per la molecola di H2+ è σ.

26
Accoppiamento spin-orbita
Lo stato dell’elettrone dell’atomo di idrogeno sarà specificato da tre numeri quantici, n e e ml e la
sua energia è data da
hcRH
En   con n  1, 2,...
n2

Dove RH è la costante di Rydberg dell’idrogeno.


Lo spettro dell’idrogeno atomico scaturisce dalle transizioni dall’uno all’altro dei suoi stati
permessi, e la differenza di energia ∆E viene ceduta sotto forma di un fotone di energia hν e
numero d’onda ~ , con ~   / c .
Per la transizione n2→n1 il numero d’onda della radiazione emessa è

 1 1 
~   2
 2  RH
 n1 n2 

Per un dato valore di n1 l’insieme delle transizioni che iniziano in n2=n1+1, n1+2, … costituisce una
serie di righe.
Passiamo a considerare l’energia di interazione tra i due momenti magnetici dell’elettrone.
L’interazione classica dell’accoppiamento spin-orbita è: immaginiamo un elettrone che si muove in
un’orbita simile a quella di Bohr; essendo carico negativamente, il movimento è equivalente a una
corrente elettrice e B0 è il campo magnetico prodotto dal momento orbitale.
Nel frattempo l’elettrone ruota attorno al proprio asse (possiede momento angolare di spin) e
genera un campo magnetico BS.
Lo spin dell’elettrone risente del campo magnetico B0 generato dal suo stesso moto orbitale: il
moto di spin e il moto orbitale tenderanno a orientarsi in modo da minimizzare la loro energia di
interazione.
L’Hamiltoniano per l’accoppiamento spin-orbita è

Hˆ SO   (r )ls
Dove
Ze 2
 (r ) 
80 me2 r 3 c 2

La media radiale per lo stato n l ml della funzione  (r ) 2 si scrive hc , dove  (zeta) è detta
costante di accoppiamento spinorbita

 2 n l ml |  (r ) | n l ml  hc nl

Definita in questo modo,  è un numero d’onda e hc è un’energia.La costante di accoppiamento


spin-orbita per un atomo idrogenoide è

Z 4 2 R
 nl 
 1
n 3 l  l  (l  1)
 2

27
Dove R è la costante di Rydberg e α è detta costante di struttura fine, definita da

e2

4 0 c

Per l’idrogeno in quanto tale si ha che Z=1 e per un elettrone 2p (l=1)    2 R / 24 , che vale circa
2,22x10-6R. gli intervalli tra i livelli energetici e i numeri d’onda delle transizioni sono dell’ordine
della stessa R, infatti
 1 1 
E   2  2  R
 n1 n2 

Cosicché la struttura fine dello spettro dell’idrogeno atomico risulta più piccola, per un fattore
2x10-6, dell’ordine di 0,2 cm-1.
Dato che   Z 4 , notiamo che gli effetti di accoppiamento spin-orbita sono molto maggiori negli
atomi pesanti che in quelli leggeri. L’accoppiamento magnetico (l’accoppiamento tra due momenti
angolari) richiede di definire un operatore momento angolare totale, che per l’accoppiamento tra
due momenti angolari di uno stesso elettrone è chiamato j. La regola di accoppiamento vettoriale
fornisce i valori di j
j  l  s, l  s  1, ... | l  s |

Se consideriamo gli atomi con più di un elettrone dobbiamo considerare che gli elettroni sono
accoppiati tra loro tramite interazioni Coloumbiane.
Se l’accoppiamento elettrostatico è molto più grande di quello magnetico è molto più appropriato
lo schema dell’accoppiamento di Russel-Saunders: l’accoppiamento spin-orbita si basa sui termini
di Russel-Saunders 2S+1L, che portano ai livelli 2S+1 LJ con lo stesso valore di J (=L+S).
La degenerazione totale di un livello è data da 2J+1.

NOTA: “termine” viene usato quando si hanno molti elettroni, prima dell’accoppiamento
“livelli” viene usato dopo che è avvenuto l’accoppiamento

Effetto dell’accoppiamento spin-orbita sugli spettri atomici


Possiamo ora indagare come l’accoppiamento spin-orbita condizioni l’aspetto degli spettri.
Quando i momenti angolari di spin e orbitale sono paralleli il numero quantico di momento
angolare totale j assume il suo valore più alto

3 1
j per l  1 e s 
2 2

↗ = momenti angolari
↗ = momenti magnetici

28
Anche i momenti magnetici corrispondenti sono paralleli e questo configura un assetto di energia
elevata. Quando i due momenti angolari sono antiparalleli, j ha il suo valore più basso

1 1
j per l  1 e s  
2 2

I momenti magnetici corrispondenti sono antiparalleli e denotano un’energia più bassa.


Concludiamo che l’energia del livello j = l + ½ dovrebbe collocarsi al di sopra del livello j = l – 1/2 , e
che l’intervallo dovrebbe essere dell’ordine della costante di accoppiamento spin-orbita, in quanto
questa misura la forza dell’interazione magnetica tra i due momenti. Si noti che l’elevata energia
dello stato di j alto non deriva direttamente dall’essere alto il momento angolare totale, bensì dal
fatto che j alto indica il parallelismo dei due momenti magnetici, i quali di conseguenza
interagiscono sfavorevolmente. Senza quell’interazione j alto e j basso avrebbero la stessa energia.
Per un elettrone s, l’interazione spin-orbita è zero perché non vi è alcun momento angolare.
Per un elettrone p l’intervallo tra i livelli energetici con j = 3/2 e j = ½ è pari a Z 4 2 hcR / 2n 3 ,
quindi diviene velocemente trascurabile a mano a mano che aumenta n. per l’espressione 2p
dell’idrogeno l’intervallo di separazione è  2 R / 16  0,365 cm 1

Simboli di termine e particolari dello spettro


Per semplificare la discussione dello spettro che deriva dai suddetti livelli energetici occorre
qualche altra notazione. Le righe spettrali scaturiscono dalle transizioni tra termini, che è un altro
nome dei livelli energetici.
La configurazione di un atomo è la specificazione degli orbitali occupati dagli elettroni.
Nell’idrogeno l’elettrone è uno solo, per cui parleremo della configurazione 1s 1 se esso occupa
l’orbitale 1s e 2s1 se occupa l’orbitale 2s e così via.
Una stessa configurazione (ad esempio 2p1) può dare origine a più termini. Per l’idrogeno ciascuna
configurazione di l>0 genera un termine di doppietto, nel senso che ciascun termine si scinde in
due livelli con diverso valore di j
29
1 1
j l  sl  j l sl 
2 2

Per esempio la configurazione 2p1 dà origine a un termine di doppietto con i livelli j = 3/2 e j = 1/2;
la configurazione 3d1 genera un termine di doppietto con i livelli j = 5/2 e j = 3/2 e così via.
Ogni livello contraddistinto dal numero quantico j è costituito da 2j+1 stati individuali,
corrispondenti ciascuno al numero quantico mj.
Il livello di ciascun termine appartenente ad una determinata configurazione si riassume nel
simbolo di termine

Dove {L} è una lettera (S, P, D, F, …) corrispondente al valore di L (0, 1, 2, 3, …).


Per l’atomo di idrogeno L=l, per cui la configurazione ns 1 da origine al termine S, la configurazione
np1 a quello P e così via.
La molteplicità del termine è il valore di 2S+1 e, posto che L≥S, è il numero dei livelli di termine.
Per l’idrogeno S=s=1/2, sicché 2S+1=2 e i termini sono tutti doppietti, denotati 2S, 2P, … Come si è
visto in precedenza i termini diversi da 2S hanno tutti due livelli distinti dal valore di J, e per
l’idrogeno J=j.
Un termine 2S possiede un unico livello, con j=s=1/2. Il livello preciso di un termine si specifica
mediante il pedice del simbolo di termine, come in 2S1/2 e in 2P3/2.
Ognuno di questi livelli è costituito da 2J+1 stati ma questi si specificano solo raramente nel
simbolo di termine, in quanto in assenza di campi elettrici e magnetici, risultano degeneri.
Possiamo riassumere la gerarchia dei concetti in uno schema, considerando ad esempio, la
configurazione 2p1

30
STRUTTURA DELL’ATOMO DI ELIO
Ci accingiamo ora a discutere gli atomi multielettronici, descrivendo in maniera approssimativa
l’esempio più semplice, l’atomo di elio.
L’Hamiltoniano dell’atomo di elio (Z = 2) è, complessivamente

1 1 Z Z 1
Hˆ   12   22   
2 2 r1 r2 r12
1 1 2 2 1
  12   22   
2 2 r1 r2 r12

I primi due termini sono gli operatori energia cinetica dei due elettroni, i due seguenti le energie
potenziali dei due elettroni nel campo del nucleo di carica 2e.
Questo Hamiltoniano può essere visto come somma di due Hamiltoniani idrogenoidi e di un
termine, 1/r12, energia potenziale derivante dalla repulsione tra i due elettroni quando li separa la
distanza r12
1 2 1 2 1
Hˆ   12    22  
2 r1 2 r2 r12
 Hˆ  Hˆ  Hˆ (1)
1 2

L’equazione di Schrodinger ha la forma

Hˆ  (r1 , r2 )  E  (r1 , r2 )

E la funzione d’onda dipende dalle coordinate di entrambi gli elettroni.


Sembra impossibile trovare soluzioni analitiche di un’equazione differenziale parziale in sei
variabili così complicata. Sono state proposte diverse soluzioni approssimate, ma la versione più
semplice si basa sul metodo delle perturbazioni.

Soluzione dalla teoria perturbativa


La perturbazione che più immediatamente si può adottare è l’interazione elettrone-elettrone.
Il sistema non perturbato è descritto dall’Hamiltoniano costituito dalla somma dei due
Hamiltoniani idrogenoidi
1 2 1 2
Hˆ ( 0 )  Hˆ 1  Hˆ 2   12    22 
2 r1 2 r2

Ogni volta che si esprime l’Hamiltoniano come somma di due termini indipendenti, l’autofunzione
è il prodotto di due fattori: Ψ = ψ1ψ2. In altre parole il prodotto ψ1ψ2 è autofunzione di H1 + H2.
Segue che per l’elio la funzione d’onda dei due elettroni (trascurandone la repulsione reciproca) è
il prodotto di due funzioni d’onda idrogenoidi (due orbitali 1s idrogenoidi)

He (r1 , r2 )   n1,l1,ml1 (r1 ) n 2,l 2,ml 2 (r2 )


 1s (1) 1s (2)
 a(1)a(2)

31
E che le energie sono (sostituendo la vera massa ridotta con la massa dell’elettrone)

(0)
E He  E1  E 2
 1 1 
 4 R 2  2 
 n1 n2 

Consideriamo ora l’influenza del termine di repulsione interelettronica H(1)=1/r12.


La correzione del primo ordine a carico dell’energia è

E (1)   ( 0) | Hˆ (1) |  (0)

Siccome H(1) è un termine positivo (repulsivo), anche E(1) sarà positiva.


Riscriviamo l’espressione di E(1)

1
E (1)  n1l1ml1 (r1 )n 2l 2 ml 2 (r2 ) | | n1l1ml1 (r1 )n 2l 2 ml 2 (r2 )
r12

1
 1s(1)1s(2) | | 1s(1)1s(2)  J
r12

Il termine J è l’integrale di Coulomb, definito come

 1 
J   n1l1ml1 (r1 ) 2  n 2l 2 ml 2 (r2 ) 2 d 1 d 2
 r12 
1
 1s (1)1s (2) | | 1s (1)1s (2)  J
r12

Questo integrale (che è positivo) si presta ad una semplice interpretazione.


Il termine |Ψn1l1ml1|2dτ1 denota la probabilità di trovare l’elettrone nell’elemento di volume dτ 1 e,
analogamente, |Ψn2l2ml2|2dτ2 rappresenta la probabilità di ritrovare le’elettrone nell’elemento di
volume dτ2. L’integrando è perciò l’energia potenziale colombiana di interazione tra le cariche in
questi due elementi di volume, e J è il contributo totale all’energia potenziale derivante dagli
elettroni nei due orbitali. Per l’elio nella configurazione 1s 2 si può dimostrare che J≈2,5R, che
corrisponde a circa 34eV.
L’energia totale dello stato fondamentale dell’atomo in questa approssimazione è perciò

 4 4 
E  R  2  2  2,5   (8  2,5) R  5,5R
 n1 n2 

Il valore sperimentale, che uguaglia la somma della prima e della seconda energia di ionizzazione
dell’atomo, è -5,8R.
Una delle ragioni della discrepanza è che la perturbazione non è piccola e quindi non c’era da
attendersi che la teoria perturbativa del primo ordine rendesse un risultato affidabile.
32
Gli stati eccitati dell’elio
La configurazione di un possibile stato eccitato è (1s)1(nl)1, con n≠1.
Consideriamo la configurazione (1s)1(2s)1. Quando due elettroni occupano due orbitali distinti
come in questa configurazione possono dare luogo a due diverse disposizioni, le cui funzioni
d’onda sono
1  n1l1ml1 (r1 )n 2l 2 ml 2 (r2 )  1s(1)2s(2)
2  n 2l 2 ml 2 (r1 )n1l1ml1 (r2 )  2s(1)1s(2)

Che denoteremo rispettivamente a(1)b(2) e b(1)a(2), con a(1)b(2)≡b(2)a(1).


Le due funzioni d’onda sono equivalenti perché sono degeneri e la loro energia non perturbata è

E  E (0)  E a  Eb ( E1s  E 2 s )

Per calcolare l’energia perturbata applichiamo la teoria delle perturbazioni appropriata agli stati
degeneri, la quale richiede di risolvere il determinante secolare

det H kl(1)  E kl(1) S kl  0


Dove

H kl(1)  0(,0k) | H (1) | 0(,0l )

Di passaggio, c’è una somiglianza con la discussione della molecola di H 2+, in cui abbiamo utilizzato
gli orbitali atomici e l’intero Hamiltoniano di H2+: gli orbitali atomici sono autofunzioni di una parte
dell’Hamiltoniano completo di H2+. Dobbiamo calcolare gli elementi di matrice

H 11(1) H 12(1) 1
(1) (1)
con H (1) 
H 21 H 22 r12

Gli elementi di matrice sono calcolati rispetto alle due autofunzioni 1s(1)2s(2) e 2s(1)1s(2).
Invece di calcolare gli elementi di matrice sull’Hamiltoniano perturbato, possiamo considerare
l’Hamiltoniano completo dell’atomo di elio

H 11 H 12 1
con H  H 1  H 2 
H 21 H 22 r12

e calcolare, come nel caso della molecola di H2+, il determinante secolare

det H kl  E kl S kl  0

Calcoliamo quindi gli elementi di matrice. Nel caso della molecola di H2+ gli elementi erano

H 11  1 | H | 1  H 22  2 | H | 2  

H 12  1 | H | 2  H 21  2 | H | 1  

33
Analogamente, per l’atomo di elio

  H 11  H 22  a(1)b(2) | H | a(1)b(2)
1
 a(1)b(2) | H 1  H 2  | a(1)b(2)
r12
1
 a(1)b(2) | H 1 | a(1)b(2)  a(1)b(2) | H 2 | a(1)b(2)  a(1)b(2) | | a(1)b(2)
r12
 E1s  E 2 s  J 1s , 2 s

1
  H 12  H 21  b(1)a(2) | H 1  H 2  | b(1)a(2)
r12
1
 E a b(1)a(2) | b(1)a(2)  Eb b(1)a (2) | b(1)a (2)  b(1)a(2) | | b(1)a(2)
r12

I primi due integrali nell’espressione di β sono nulli, in quanto gli orbitali a e b sono ortogonali,
mentre l’ultimo integrale è l’integrale di scambio K.
Il determinante secolare è dunque

H 11  ES11 H 12  ES12 H E H 12
det  det 11
H 21  ES 21 H 22  ES 22 H 21 H 22  E

E a  Eb  J K
 det 0
K E a  Eb  J

Dallo studio della molecola di H2+ sappiamo che le soluzioni sono

  H 11  H 12
E  
1 S 1 S

L’integrale di sovrapposizione S è nullo a causa dell’ortonormalità degli stati 1 e 2 (prodotti degli


orbitali atomici sullo stesso atomo) quindi

E       E a  Eb  J  K

Dallo studio di H2+ conosciamo anche le funzioni d’onda corrispondenti, che sono del tipo

 
1
a(1)b(2)  b(1)a(2)
2
O, più dettagliatamente

 (r1 , r2 ) 
1
n1l1ml1 (r1 )n 2l 2ml 2 (r2 )  n 2l 2ml 2 (r1 )n1l1ml1 (r2 )
2

34
Dove le singole funzioni sono orbitali di atomi idrogenoidi con Z=2.
L’aspetto sorprendente di questo risultato è che la degenerazione delle due funzioni prodotto
a(1)b(2) e b(1)a(2) viene soppressa dalla repulsione elettronica, e le loro due combinazioni lineari
Ψ± hanno energia differente in misura di 2K.
L’integrale di scambio non ha corrispondenza nella fisica classica e va considerato come una
correzione quantomeccanica all’integrale di Coulomb J.
È opportuno a questo punto introdurre una considerazione che risulterà di importanza decisiva.
La funzione d’onda Ψ– è antisimmetrica rispetto allo scambio degli elettroni

 (2,1) 
1
a(2)b(1)  b(2)a(1)   1 a(2)b(1)  b(2)a(1)   (1, 2)
2 2

 (2,1)   (1, 2)

Mentre la Ψ+, sotto tale interscambio, risulta simmetrica

 (2, 1) 
1
a(2)b(1)  b(2)a(1)   (1, 2)
2

 (2,1)   (1, 2)

Ricordiamo che l’ordine di moltiplicazione delle funzioni non ne modifica il prodotto.


Se avessimo costruito la matrice dell’Hamiltoniano perturbato, avremmo ottenuto la matrice

J K
K J

In questo caso il livello di riferimento sarebbe stato (Ea+Eb), in quanto la matrice descrive l’effetto
di H(1) su un livello che considera già come somma delle energia delle due funzioni a(1)b(2) e
b(1)a(2)

Avendo invece costruito la matrice dell’Hamiltoniano completo, il nostro livello di riferimento è lo


zero

35
Quindi l’unica differenza per questo semplice caso è l’energia di riferimento, che è lo zero quando
consideriamo l’Hamiltoniano completo, e (Ea+Eb) quando consideriamo solo la perturbazione.
In conclusione osserviamo che l’effetto della perturbazione su due stati degeneri è quello di alzare
la loro energia di un fattore pari a J.
Quando risolviamo il set di equazioni troviamo inoltre che i due stati si separano in energia di un
fattore pari a 2K: in particolare Ψ+ aumenta la propria energia da Ea+Eb+J a Ea+Eb+J-K, mentre Ψ–
si abbassa a Ea+Eb+J-K.

Contributo all’energia dei due Contributo derivante dalla


prodotti di funzioni d’onda interazione dei due
a(1)b(2) e b(1)a(2) derivante prodotti di funzioni d’onda
dall’interazione elettrostatica a(1)b(2) e b(1)a(2)

A questo punto è chiaro il quadro secondo cui quando si hanno configurazioni del tipo (1s) 2
possiamo scrivere la funzione d’onda come a(1)a(1).
Quando invece si hanno configurazioni del tipo (1s)1(nl)1 (con n≠1), otteniamo sempre una
funzione d’onda simmetrica e una antisimmetrica.
Quello che ci accingiamo a studiare è quali sono le transizioni tra stati elettronici osservate
sperimentalmente per l’atomo di elio, rispetto a quelle che possiamo predire sulla base di queste
osservazioni.
Prima di procedere però, è necessario un ripasso delle autofunzioni di spin, in particolare quelle di
singoletto e di tripletto.

36
Autofunzioni di spin di singoletto e di tripletto
Finora abbiamo considerato solo funzioni d’onda di tipo spaziale: quando scriviamo, ad esempio,
la funzione a(1)b(2), 1 e 2 rappresentano, in modo compatto, le coordinate spaziali degli elettroni
ma non danno informazioni sul loro stato di spin. Dobbiamo quindi introdurre le funzioni di spin.
Ricaviamo in modo semplice le autofunzioni di singoletto e di tripletto, in modo da convincerci che
anch’esse possiedono delle proprietà di simmetria ben precise rispetto allo scambio degli
elettroni.
Abbiamo due elettroni, ciascuno con spin pari a ½ (s1 = ½ e s2 = ½). La proiezione del momento
angolare di spin lungo l’asse z è ms e assume valori che vanno da +s a –s, quindi +½ e –½ :

 1
 2  
1 
s1  s 2  ms  
2  1
  
 2

Se i due elettroni non interagiscono tra di loro, ovvero sono disaccoppiati, il loro stato è descritto
dalle funzioni d’onda nella base disaccoppiata

s1 , ms1 e s2 , ms 2

La funzione che definisce uno stato delle due particelle (due spin) è data dal prodotto di due
funzioni come quelle indicate sopra, cioè:

s1 , ms1 s2 , ms 2  s1 , ms1 ; s2 , ms 2

Si indica così perché la funzione prodotto è autofunzione anche degli operatori s 12, s22, s1z, s2z.
Per una coppia di valori s1 e s2 sono possibili un numero di stati pari a

2s1  1 2s2  1

 1  1 
Quindi, se valgono ½, sono possibili  2  1  2  1  4 stati di spin diversi:
 2  2 

1 1 1 1 1 1 1 1
, ; ,   (1) (2)  , ; ,   (1) (2) 
2 2 2 2 2 2 2 2

1 1 1 1 1 1 1 1
, ; ,   (1)  (2)  , ; ,   (1)  (2) 
2 2 2 2 2 2 2 2

37
Dal momento che i valori di s1 e s2 sono costanti, possono essere omessi dalle rappresentazioni
delle funzioni d’onda.
Se ora consideriamo l’interazione tra i due elettroni, dobbiamo esprimere il loro stato tramite una
funzione d’onda nella base accoppiata in cui gli operatori che commutano con l’Hamiltoniano sono
s12, s22, S2, Sz2. L’autofunzione si indica come

s1 , ms1 ; S , M

Il problema è come trasformare le (2s 1+1)(2s2+1) funzioni della base disaccoppiata in quelle della
base accoppiata.
Teniamo in considerazione alcuni punti fermi:
1) Le funzioni della base accoppiata si esprimono come combinazione lineare di quelle della
base disaccoppiata

s1 , ms1 ; S , M  c
ms1ms 2
S . M , ms1, ms 2 s1 , ms1 ; s 2 , ms 2

2) Nella trasformazione da base disaccoppiata ad accoppiata il valore di M rimane costante,


quindi ms1 + ms2 = M.
M è la proiezione di S sull’asse z e assume valori che vanno da –S a +S.

3) I valori di S (momento angolare di spin totale) sono dati dalla serie di Clebsch-Gordan:

S  s1  s2 , s1  s2  1, ... s1  s2

Poiché i valori di s1 e s2 sono costanti, quindi trascurabili, posso indicare più semplicemente le
funzioni così

S, M  c
ms1ms 2
S . M , ms1, ms 2 ms1 ; ms 2

Vediamo come sono fatte le funzioni della base accoppiata. Per s1 = s2 = ½, S assume valori pari a 1
e 0, quindi

per S = 0, M = 0 → singoletto 0, 0

per S = 1, M = 1, 0, -1 → tripletto 1, 1 1, 0 1,  1

Le funzioni d’onda della base disaccoppiata sono:

1 1 1 1 1 1 1 1
,  , ,  ,
2 2 2 2 2 2 2 2
   
M  ms1  ms 2  1 1 0 0

38
Poiché M deve rimanere costante nel passaggio da una rappresentazione all’altra, è chiaro che

1 1 1 1
1, 1  ,   1,  1   ,   
2 2 2 2

Per le rimanenti due funzioni, M=0 e quindi le funzioni della base accoppiata sono combinazioni
lineari di quelle della base disaccoppiata, ognuna con gli appropriati coefficienti di Clebsch-
Gordan.
Riportiamo in tabella i coefficienti di Clebsch-Gordan per il passaggio dalla base disaccoppiata a
quella accoppiata per due momenti angolari interagenti j1 = ½ e j2 = ½. Per esempio due spin
elettronici interagenti

ms1 ms2 1,  1 1, 0 0, 0 1,  1

1 1
  1 0 0 0
2 2
1 1 1 1
  0 0
2 2 2 2
1 1 1 1
  0  0
2 2 2 2
1 1
  0 0 0 1
2 2

Le prime due colonne (ms1 e ms2) costituiscono le coppie di valori della rappresentazione nella base
disaccoppiata, mentre le altre colonne indicano con quali coefficienti le rappresentazioni
disaccoppiate entrano nella combinazione lineare per formare le funzioni nella base accoppiata.
Quindi, trascurando il valore dei coefficienti, possiamo osservare che

1 1 1 1
1, 0  ,   ,    
2 2 2 2

1 1 1 1
0, 0  ,   ,    
2 2 2 2

I coefficienti sono stati ottenuti a partire da formule più generali. Ciò che ci interessa è sapere che
le uniche funzioni disaccoppiate che possono combinarsi sono αβ e βα e, nel combinare due
oggetti che hanno la stessa energia, risulta una combinazione + e una combinazione -.
Un modo semplice per capire il segno delle due combinazioni è considerare la simmetria rispetto
allo scambio degli elettroni.
Consideriamo la funzione αα, ovvero α(1)α(2). Scambiando gli elettroni otteniamo α(2)α(1), ma le
due funzioni sono identiche, e la situazione è analoga per la funzione ββ. Quindi αα e ββ sono
autofunzioni di spin SIMMETRICHE.
Consideriamo ora la funzione α(1)β(2) + β(1)α(2), scambiando gli elettroni otteniamo

σ+(2,1) = α(2)β(1) + β(2)α(1) = α(1)β(2) + β(1)α(2) = σ+(1,2)

Quindi anche la funzione α(1)β(2) + β(1)α(2) è un’autofunzione di spin SIMMETRICA.

Infine, per la funzione α(1)β(2) - β(1)α(2), scambiando gli elettroni otteniamo


39
σ-(2,1) = α(2)β(1) - β(2)α(1) = -[α(1)β(2) - β(1)α(2)] = -σ-(1,2)

Quindi la funzione α(1)β(2) - β(1)α(2) è un’autofunzione di spin ANTISIMMETRICA.


Siamo arrivati ad avere tre funzioni di spin simmetriche e una antisimmetrica e, in particolare:

- le funzioni per cui S=1 sono le autofunzioni di TRIPLETTO, tutte SIMMETRICHE rispetto allo
scambio degli elettroni;
 

  
   

- la funzione per cui S=0 è l’autofunzione di SINGOLETTO, ed è ANTISIMMETRICA rispetto


allo scambio degli elettroni.

     

In conclusione siamo arrivati a dimostrare che, per una configurazione dell’atomo di elio del tipo
(1s)1(nl)1, si generano delle funzioni d’onda spaziali e delle funzioni d’onda di spin, che sono
simmetriche e antisimmetriche rispetto allo scambio degli elettroni.

spaziale spin
 
 

Sulla base di tutte le considerazioni fatte per l’atomo di elio, per configurazioni di questo tipo,
possiamo dire che in realtà la funzione d’onda totale è il prodotto di una funzione spaziale ψ e una
di spin σ (come nel caso della molecola di H2+):

   
 
  
 TOT    
   
   

Spettro dell’atomo di elio


Consideriamo la configurazione elettronica dello stato fondamentale (1s) 2, in cui entrambi gli
elettroni si trovano nello stesso orbitale. In questa configurazione n1 = n2 = 0 e l1 = l2 = 0, quindi il
momento angolare totale è L = 0 e da origine al termine S.
Per il principio di esclusione di Pauli i due elettroni devono avere necessariamente spin opposto,
quindi il momento angolare totale, che è somma dei due momenti di spin, è S = 0, con molteplicità
2S+1 = 1. Di conseguenza la configurazione (1s)2 da origine a un termine S di singoletto1S.
Le sole configurazioni eccitate che in pratica occorre prendere in considerazione sono quelle che
interessano un solo elettrone e che perciò hanno la forma (1s)1(nl)1.

40
Questa configurazione dà origine a termini con L=l, in quanto uno solo degli elettroni possiede
momento angolare non nullo. I termini che dobbiamo, dunque, prendere in considerazione sono S,
che deriva dalla configurazione (1s)1(2s)1, e P, che deriva dalla configurazione (1s)1(2p)1.
Per quanto riguarda lo spin, in entrambi i casi S = 0, 1, che corrispondono rispettivamente ai
termini di singoletto e tripletto, quindi possiamo avere

(1s)1(2s)1 =>1S, 3S (1s)1(2p)1 =>1P, 3P

Il momento angolare L e il momento di spin S possono a loro volta interagire dando


accoppiamento spin-orbita, e dare luogo a un’ulteriore separazione di questi livelli, che
corrisponde a diversi valori del momento angolare totale J, ottenuti combinando il valore di S e il
valore di L.
In particolare, per stati in cui abbiamo una molteplicità di singoletto, ovvero con S=0, non sussiste
alcun accoppiamento, per cui J = L + 0 = L.
Nel caso dei livelli P la situazione è identica per gli stati di singoletto ma per gli stati di tripletto, in
cui S=1, J assume i valori dati dalla serie di Clebsch-Gordan:

J = L+S, L+S-1, … |L-S| = 1+1, 1+1-1, 1-1 = 2, 1, 0

Pertanto, possiamo aspettarci cheda ciascuna configurazione (1𝑠)1(𝑛𝑝)1derivino livelli come 1𝑃1,
3
𝑃2, 3𝑃1 e 3𝑃0, e ci si aspetta che questi livelli vengano scissi dall'accoppiamento spin-orbita.
A questo punto potremmo aspettarci che ognuno di questi termini esista come le combinazioni
simmetriche e antisimmetriche discusse sopra.
Quindi ci aspettiamo cheda una configurazione (1𝑠)1(𝑛𝑝)1 derivino otto termini con una
combinazione simmetrica e antisimmetrica per ognuno dei seguenti:1𝑃1, 3𝑃2, 3𝑃1 e 3𝑃0.
Allo stesso modo potremmo aspettarci quattro termini da una configurazione (1𝑠)1(𝑛𝑠)1,
corrispondente alle combinazioni simmetriche e antisimmetriche per ciascun termine di 1𝑆 e 3𝑆.
Trascurando la scissione dovuta all'accoppiamento spin-orbitale (valori di J) ci aspettiamo un
modello di livelli vicino al seguente

Orbitali antisimmetrici
Orbitali simmetrici

Come è stato dimostrato in precedenza, ogni qualvolta


si possano identificare entrambi i tipi di termine, la
combinazione antisimmetrica si colloca ad energia
minore di quella corrispondente alla combinazione
simmetrica.
Per la configurazione fondamentale (1s)2 esiste un solo
stato, mentre per la configurazione (1s)1(2s)1 ci
aspettiamo un singoletto e un tripletto.
Idealmente, per ognuna di esse ci aspettiamo di avere
una funzione d’onda simmetrica e una antisimmetrica,
quindi per ogni coppia dovremmo avere 4 situazioni
possibili, non 2, come vengono rappresentate nello
schema.

41
Per ogni configurazione aperta, cioè con due elettroni in due orbitali atomici diversi, si hanno due
funzioni d’onda, ψ+ e ψ-, e due possibili funzioni di spin, σ + e σ-, quindi per ognuna di queste
configurazioni ci aspettiamo di osservare 4 livelli derivanti dalla combinazione delle funzioni
d’onda e delle funzioni di spin.
Nello spettro reale tuttavia, per ogni configurazione sono indicate solo 2 situazioni energetiche e
lo stesso vale per la configurazione (1s)1(2p)1

Transizione permessa

Transizione non permessa

L’analisi dello spettro rivela che

- gli stati simmetrici sono tutti singoletti


- gli stati antisimmetrici sono tutti tripletti

Non esistono tripletti simmetrici né singoletti


antisimmetrici. Per di più vi sono quattro soli
termini che derivano da ciascuna
1 1
configurazione (1s) (np) , e non otto; infatti
sembra esclusa la metà di tutti i termini.
La regola di selezione Δl = ±1 implica che le
transizioni possono verificarsi tra termini S e P,
tra P e D, ecc., ma non tra S e D.
Sperimentalmente si osserva che sono permesse transizioni da uno stato orbitalmente simmetrico
(simmetria spaziale) a un altro stato orbitalmente simmetrico. Non sono permesse transizioni tra
stati a simmetria diversa.
Inoltre notiamo che lo stato di (1s)1(2s)1 simmetrico (nero) si trova a energia più alta rispetto allo
stato antisimmetrico (rosso), in accordo con il fatto che il fattore ±K porta lo stato orbitalmente
simmetrico a più alta energia rispetto a quello antisimmetrico.
Il risultato dell’indagine sperimentale è che delle quattro combinazioni ψ +σ+, ψ+σ-, ψ-σ+, ψ-σ-, in
realtà se ne osservano solo due.

Principio di Pauli
Per spiegare l’l’omissione della metà dei termini previsti occorre introdurre una caratteristica
fondamentale della natura, che fu riconosciuta da Wolfgang Pauli.
Nello spettro dell’elio vengono osservate solo la combinazione tra la funzione spaziale simmetrica
e la funzione di spin antisimmetrica (singoletto), e la combinazione tra la funzione spaziale
antisimmetrica e quella di spin simmetrica (tripletto).
E’ chiaro che c’è una caratteristica comune: gli stati permessi sono tutti complessivamente
antisimmetrici rispetto all’interscambio degli elettroni.

42
Principio di Pauli: la funzione d’onda totale (cioè l’intera funzione d’onda, compreso lo spin
delle particelle), dev’essere antisimmetrica rispetto allo scambio reciproco tra gli elettroni di
qualsiasi coppia.

In effetti è possibile formulare il principio di Pauli in maniera più ampia riconoscendo che le
particelle elementari si possono classificare in fermioni e bosoni. I fermioni sono particelle dotate
di spin semintero; ne sono esempi gli elettroni e i protoni. I bosoni sono particelle a spin intero,
compreso lo 0. La forma più generale del principio di Pauli sarà allora

La funzione d’onda totale dev’essere antisimmetrica rispetto allo scambio reciproco tra due
fermioni identici e simmetrica rispetto allo scambio reciproco tra due bosoni identici.

 Principio di esclusione di Pauli


Una diretta conseguenza del principio di Pauli è che il numero degli elettroni che possono godere
del medesimo stato ha un limite. Quest’implicazione del principio di Pauli va sotto il nome di
principio di esclusione di Pauli

Non è possibile che due elettroni si trovino nel medesimo stato

Per vedere come il principio di Pauli in forma generale implichi quello di esclusione, consideriamo
la funzione d’onda relativa a due elettroni ψ(1,2). L’implicazione è questa: è un dato della natura
che la funzione d’onda deve cambiare di segno se scambiamo tra loro i contrassegni 1 e 2 ovunque
ricorrano nella funzione:

ψ(2,1) = -ψ(1,2)

supponiamo che due elettroni di un certo atomo occupino un orbitale ψ; ciò vuol dire che la
funzione d’onda complessiva sarà ψ(1)ψ(2). Per applicare il principio di Pauli dobbiamo trattare la
funzione d’onda totale, cioè quella che comprende anche gli spin. Per questi ultimi sussistono più
possibilità: α(1)α(2), β(1)β(2), α(1)β(2), β(1)α(2). Non potendo stabilire quale dei due elettroni sia
α e quale β, negli ultimi due casi è appropriato esprimere gli stati di spin come combinazioni lineari
normalizzate:
1
𝜎+ (1,2) = [𝛼(1)𝛽(2) + 𝛽 (1)𝛼(2)]
√2

1
𝜎− (1,2) = [𝛼(1)𝛽(2) − 𝛽 (1)𝛼(2)]
√2

Perché queste consentono che uno dei due spin sia α e l’altro β con uguale probabilità. La funzione
d’onda totale del sistema è perciò il prodotto della porzione orbitalica e di uno dei quattro stati di
spin:

ψ(1)ψ(2)α(1)α(2) ψ(1)ψ(2)β(1)β(2)

ψ(1)ψ(2)σ-(1,2) ψ(1)ψ(2)σ +(1,2)

43
il principio di Pauli afferma che la funzione d’onda sarà accettabile se muta di segno quando si
scambiano gli elettroni. In tutti i casi lo scambio tra i contrassegni 1 e 2 trasforma il fattore
ψ(1)ψ(2) in ψ(2)ψ(1), che è lo stesso perché l’ordine di moltiplicazione delle funzioni non ne
modifica il prodotto. Altrettanto vale per α(1)α(2) e β(1)β(2). In definitiva i primi due prodotti
complessivi non saranno permessi, perché non comportano il mutamento del segno. La
combinazione σ+(1,2) muta in σ +(2,1), perché si tratta semplicemente della funzione originale
scritta in un ordine diverso. Il terzo prodotto complessivo è perciò anch’esso da scartare. Infine
abbiamo σ-(1,2), che diventa -σ-(2,1). Questa combinazione muta effettivamente di segno (è
antisimmetrica). Anche il prodotto ψ(1)ψ(2)σ-(1,2)muta di segno in seguito allo scambio delle
particelle e perciò risulta accettabile.
Vediamo quindi che uno solo dei quattro stati concepibili è permesso dal principio di Pauli e quello
che sopravvive ha appunto gli spin α e β appaiati.
È questo il contenuto del principio di esclusione di Pauli. Il principio è irrilevante quando gli orbitali
occupati dagli elettroni sono diversi, e in tal caso entrambi gli elettroni potranno avere lo stesso
stato di spin.
Ciononostante anche allora la funzione d’onda totale dovrà essere complessivamente
antisimmetrica e dovrà soddisfare il principio di Pauli in quanto tale.

Atomi a molti elettroni


Abbiamo visto che la descrizione più semplice dello stato fondamentale dell’atomo di elio è (1s) 2,
con entrambi gli elettroni nell’orbitale idrogenoide 1s, Z=2.
Una descrizione più precisa tiene conto della repulsione tra gli elettroni e del conseguente
“rigonfiamento” dell’atomo al fine di minimizzare questo sfavorevole contributo all’energia.
È possibile simulare l’effetto della repulsione sugli orbitali occupati sostituendo la carica nucleare
vera, Z, con una carica nucleare effettiva, Zeff. Il valore ottimale per l’elio, nel senso di
corrispondere all’energia minima, è Zeff ≈ 1,3.
Questo modo di descrivere la struttura dell’atomo si può estendere ad altri atomi multielettronici.
Per il principio di esclusione di Pauli un orbitale atomicopuò contenere solo due elettroni, di
conseguenza la struttura elettronica dell’atomo sarà costituita da una serie di gusci (shell)
concentrici di densità elettronica, ognuno dei quali è costituito da tutti gli orbitali di un certo
valore di n. Ogni guscio è costituito da n sottogusci, che sono gli orbitali dotati dello stesso valore
di l, e vi sono 2l+1 orbitali per ogni guscio.
Negli atomi idrogenoidi i sottogusci di un determinato guscio sono tutti degeneri, mentre negli
atomi multielettronici la presenza delle interazioni tra gli elettroni sopprime la degenerazione e,
nonostante i membri di un dato sottoguscio rimangano degeneri (per cui i tre orbitali 2p sono
degeneri in tutti gli atomi), i sottogusci in quanto tali corrispondono ad energie differenti.
Tipicamente si constata, almeno per elettroni di valenza (i più esterni), che i sottogusci si
susseguono nell’ordine s < p < d < f, ma questa regola semplice ammette eccezioni.
La spiegazione dell’ordine dei sottostati si basa sull’approssimazione del campo centrale: il
terminedi energia potenziale, dovuta alla repulsione interelettronica, che per l’elettrone 1 è

1
𝑉=∑
𝑟1𝑖
𝑖≠1

può essere sostituito da una carica negativa puntiforme coincidente con il nucleo, per cui

44
𝜎
𝑉≈
𝑟1

Dove il termine σ rappresenta una carica effettiva che respinge la carica dell’elettrone in esame. In
conseguenza di questa approssimazione la carica nucleare Z si riduce di (Z – σ), sicché si può
scrivere
𝑍𝑒𝑓𝑓 = 𝑍 − 𝜎

La grandezza σ prende il nome di costante di schermo nucleare ed è caratteristica dell’orbitale


occupato da quel particolare elettrone (che stiamo indicando con 1). Segue che σ è diversa per gli
orbitali 2s e 2p.
Quest’approssimazione trova parziale giustificazione nell’elettrostatica classica, secondo la quale,
quando l’elettrone si trova all’esterno di una regione sferica di carica elettrica, il potenziale che
esso sperimenta uguaglia quello generato da una singola
carica puntiforme situata nel centro della suddetta regione e
di grandezza uguale alla carica racchiusa da una superficie
sferica intersecante la posizione dell’elettrone. Se, dunque, il
guscio n=1 è completo e molto compatto, e posto che
l’elettrone in esame rimanga totalmente fuori della regione
del nocciolo atomico, si può simulare l’effetto dei due
elettroni del guscio n=1 disponendo una carica puntiforme nel
nucleo. Se l’elettrone in questione vaga dentro il nocciolo,
allora la sua interazione con il nucleo aumenta con il
diminuire della distanza da esso e, nel momento in cui viene a trovarsi proprio nel nucleo, ne
sperimenta la carica per intero.
La riduzione che la carica nucleare subisce grazie alla presenza degli altri elettroni dell’atomo si
chiama schermo, e la sua entità è determinata dalla misura in cui avviene la penetrazione nelle
regioni del nocciolo, vale a dire dalla misura nella quale l’elettrone in esame si può ritrovare vicino
al nucleo e all’interno degli strati sferici di carica. Ci aspettiamo quindi che σsia una funzione della
distanza, per cui un elettrone non avrebbe un unico valore di σ.
Per evitare di avere una funzione diversa per ogni valore della distanza dell’elettrone, si sostituisce
il valore variabile di σ con il suo valor medio, trattando perciò Z eff come di una costante tipica
dell’atomo edell’orbitale occupato dall’elettrone in esame.
È questa la ragione per cui si sostituisce Z=2 con Z=1,3 per ciascun elettrone dell’atomo di elio, in
quanto si attribuisce a ciascun elettrone il valore medio di σ=0,7.
Questa approssimazione permette di spiegare il fatto che l’energia di un orbitale atomico per un
atomo a molti elettroni non è più indipendente dal valore del momento angolare l ma dipende
anche da esso.Consideriamo le funzioni di distribuzione radiale relative agli elettroni negli atomi,
che hanno la forma
P(r) = R(r)2r2

Per un orbitale con n=1 e l=0 la funzione diventa

𝑍 3 2 −2𝑍𝑟
𝑃 (𝑟) = 4 ( ) 𝑟 𝑒 𝑎0
𝑎0

Negli atomi idrogenoidi il raggio più probabile diminuisce all’aumentare di Z, perché l’elettrone
viene attratto progressivamente verso il nucleo dalla carica crescente di quest’ultimo.

45
Grafichiamo le funzioni di distribuzione radiale per gli orbitali 1s, 2s e 2p:

Dalla discussione delle funzioni di distribuzione radiale segue che un elettrone ns penetra verso il
nucleo più di un elettrone np, possiamo quindi prevedere che l’elettrone ns sia meno schermato,
ad opera degli elettroni del nocciolo, di quanto non lo siano gli elettroni np, e ciò gli conferisce
necessariamente minore energia.
L’andamento delle funzioni di distribuzione radiale dipende chiaramente da quale atomo si sta
considerando, in quanto spostandosi verso sinistra in una riga della tavola periodica la carica
nucleare aumenta. Quindi l’effetto che stiamo discutendo non sarà lo stesso spostandosi lungo la
tavola periodica. In termini qualitativi il trend sarà lo stesso, ovvero si accentua una separazione
tra gli orbitali 2s e gli orbitali 2p. Possiamo inoltre immaginare che spostandosi verso nuclei più
pesanti, quindi cariche nucleari maggiori, l’effetto di attrazione dell’orbitale 2s, meno schermato
rispetto all’orbitale 2p, diventerà maggiore. Di conseguenza ci aspettiamo che la separazione
energetica sia maggiore man mano che ci si sposta verso la destra della tavola periodica.

Gli orbitali atomici degli atomi a molti elettroni non si prestano ad essere descritti in forma
analitica definitiva, perché l’approssimazione orbitalica è molto grossolana. Ciononostante è
spesso utile per definire un insieme di orbitali atomici approssimati atti a modellare le funzioni
d’onda effettive, che si trovano utilizzando tecniche numeriche più sofisticate. Questi particolari
orbitali sono chiamati orbitali di Slater (STO) e hanno un’espressione molto simile a quella di un
atomo idrogenoide, in cui però è presente la carica nucleare efficace Zeff:

𝑍𝑒𝑓𝑓 𝜌

𝑛𝑒𝑓𝑓 −1 𝑛𝑒𝑓𝑓
𝜑𝑛𝑙𝑚𝑙 (𝑟, 𝜃, 𝜗) = 𝑁𝑟 𝑒 𝑌𝑙𝑚𝑙 (𝜃, 𝜗)

Dove N è una costante di normalizzazione e Ylml è un’armonica sferica.

46
MOLECOLA DI IDROGENO H2
Nello studio dei sistemi molecolari semplici, la molecola che segue 𝐻2+ è H2, che ha 2 elettroni.
Abbiamo già visto l’espressione del suo Hamiltoniano: contiene il termine di repulsione
interelettronica 1/𝑟12, come per altro già visto per l’atomo di elio.
La soluzione dell’equazione di Schrodinger per 𝐻2+ è talmente complicata (anche avendo adottato
l’approssimazione di Born-Oppenheimer) che vi sono ben poche speranze di trovare soluzioni per
le molecole più complesse. Lo studio della molecola di H2 rappresenta perciò una guida per la
soluzione di tutte le molecole polielettroniche.
Un approccio possibile è quello di basarci sulla soluzione di H 2+ per costruire funzioni d’onda per la
molecola di H2: si tratta dell’approccio degli orbitali molecolari (o MO).
Come nel caso dell’atomo di elio, conoscendo gli orbitali molecolari di 𝐻2+, ci chiediamo se sia
possibile costruire una funzione d’onda che sia il prodotto dei suddetti orbitali molecolari.
Consideriamo la molecola di H2: gli orbitali molecolari sono gli stessi di H2+, ovvero un orbitale σg e
uno σu. Per il principio di esclusione di Pauli, i due elettroni occupano l’orbitale a più bassa energia
con spin opposto.

La funzione d’onda spaziale si può quindi indicare con il prodotto delle due funzioni, σg(1)σg(2).
Bisogna però indicare anche lo stato dello spin dei due elettroni, e la funzione d’onda totale quindi
diventa
 g (1) (1) g (2)  (2)

Possiamo indicare sinteticamente la funzione d’onda totale utilizzando la notazione contratta

 g (1) g (2)

Dove  g (1) indica che l’elettrone 1 è nell’orbitale molecolare  g e ha spin α, mentre  g ( 2) indica
che l’elettrone 2 sta sempre nell’orbitale molecolare  g , ma con spin β.

 g ≡ α (↑)
 g ≡ β (↓)

Il prodotto della funzione spaziale e della funzione di spin è stato definito spinorbitale e indicato
con la lettera χ, cosicchè la funzione d’onda totale diventa

 g (1) (1) g (2)  (2) 


 g (1) g (2)  1 (1)  2 (2)

47
Dove χ1 ≠ χ2, in quanto i due spinorbitali sono spazialmente identici, ma hanno funzioni di spin
differenti.
Per stabilire se questa funzione d’onda sia accettabile, dobbiamo verificare se sia antisimmetrica
rispetto allo scambio degli elettroni.
Applicando lo scambio degli elettroni otteniamo le due funzioni

 A  1 (1)  2 (2)   g (1) (1) g (2)  (2)


 B  1 (2)  2 (1)   g (1)  (1) g (2) (2)

Le due funzioni non sono equivalenti, quindi per costruire una funzione d’onda che soddisfi il
principio di antisimmetria prendiamo una combinazione lineare e in particolare la combinazione
con il segno meno, infatti

(1,2)   A   B  1 (1)  2 (2)  1 (2)  2 (1)

(2,1)  1 (2)  2 (1)  1 (1)  2 (2)   B   A  (1,2)

È antisimmetrica rispetto allo scambio degli elettroni, quindi è accettabile.


Esprimiamo ogni spinorbitale come prodotto della funzione spaziale e della funzione di spin

(1,2)   A   B  1 (1)  2 (2)  1 (2)  2 (1)

  g (1) (1) g (2)  (2)   g (1)  (1) g (2) (2)

  g (1) g (2)  (1)  (2)   (1) (2)

Osserviamo che questa funzione è il prodotto di una parte spaziale simmetrica e di una parte di
spin antisimmetrica, quindi la funzione d’onda complessiva è antisimmetrica, e quindi soddisfa il
principio di antisimmetria. In particolare si può notare che la parte di spin è una funzione di spin di
singoletto.

 Determinante di Slater
Riprendiamo l’espressione generale della funzione d’onda che soddisfa il principio di
antisimmetria
  1 (1)  2 (2)  1 (2)  2 (1)

Osserviamo che si tratta dello sviluppo di un determinante che la seguente forma

1 (1)  2 (1)

1 (2)  2 (2)

48
Si tratta di una relazione così generale, che diventa un aspetto assolutamente fondamentale:
la funzione d’onda che soddisfa il principio di antisimmetria per un sistema multi elettronico, non è
un prodotto di spinorbitali ma deriva dallo sviluppo di un determinante, detto determinante di
Slater.

Per completare l’espressione inseriamo anche il fattore di normalizzazione

1 1 (1)  2 (1)
D
2 1 (2)  2 (2)

Il determinante di Slater (indicato con D) presenta N righe e N colonne, in quanto abbiamo uno
spinorbitale per ognuno degli N elettroni presenti nel sistema. In particolare, le colonne si
riferiscono agli spinorbitali e le righe si riferiscono agli elettroni, quindi, in generale, per un sistema
a N elettroni:
1 (1)  2 (1)   N (1)
1 1 (2)  2 (2)   N (2)
D(1, 2, ..., N ) 
N!    
1 ( N )  2 ( N )   N ( N )

L’interscambio di una coppia di elettroni corrisponde allo scambio di due righe e, per le proprietà
dei determinanti, una tale operazione comporta il cambio di segno del determinante. Ciò significa
che, rispetto allo scambio degli elettroni, la funzione d’onda descritta dal determinante di Slater è
antisimmetrica.
Il determinante di Slater assicura inoltre il principio di esclusione di Pauli. Consideriamo il
determinante di Slater per due elettroni con lo stesso spin e immaginiamo che questi occupino lo
stesso orbitale. Significa che occupano lo stesso spinorbitale χ1, quindi

1 1 (1) 1 (1)
D
2 1 (2) 1 (2)

Poiché un determinante con due colonne identiche ha il valore 0 (altra proprietà generale dei
determinanti), questo determinante di Slater è nullo. Tale stato, quindi, non esiste, come richiesto
dal principio di esclusione di Pauli.

Il determinante di Slater è una relazione generale, introdotta per il caso della molecola di H 2, vale
anche per gli atomi. Nel caso dell’atomo di elio, la funzione d’onda corretta deriva da un
determinante di Slater, tuttavia non è necessario considerare gli orbitali di Slater (STO). Quindi, se
ci interessa ad esempio simulare le transizioni atomiche di un certo atomo dobbiamo spostarci
verso definizioni di funzioni d’onda di questo genere.
Tuttavia il nostro interesse ora verte sul caso delle molecole, quindi, dovendo lavorare con delle
funzioni d’onda che sono determinanti di Slater, conserviamo, dal punto di vista della parte
spaziale dello spinorbitale, una visione semplificata di orbitali molecolari come combinazioni
lineari di orbitali atomici, ragion per cui ha senso considerare gli STO. Essi infatti ci permetteranno
di definire degli orbitali molecolari delle molecole di interesse, sulla base degli orbitali atomici
degli atomi che le compongono.

49
Siccome l’espressione del determinante di Slater è abbastanza ingombrante, si ricorre spesso a
delle espressioni semplificate. Tenendo in considerazione che le colonne si riferiscono ai diversi
spinorbitali, il determinante di Slater può essere espresso sinteticamente come

1
D 1 ,  2
2
Un altro modo di esprimere il determinante è considerare la forma esplicita degli spinorbitali, per
cui
1 1
D 1 ,  2   g ,  g 
2 2
1
 g, g
2

A questo punto, esattamente come abbiamo fatto per H2+, dobbiamo considerare lo spazio
orbitalico ristretto ai due orbitali molecolari di H2, determinare i possibili stati elettronici e la loro
forma, al fine di descrivere la stabilita della molecola di H2. Prima però è necessario introdurre un
ulteriore approccio teorico per la descrizione delle molecole.

Teoria del legame di valenza (VB)


Finora abbiamo studiato la molecola di H2 passando attraverso la teoria degli orbitali molecolari
(MO): per lo stato fondamentale di H2 consiste in una funzione d’onda spaziale Ψ+Ψ+ che è
prodotto di due orbitali molecolari. Tuttavia questo non è l’unico approccio che storicamente si è
sviluppato per la descrizione delle molecole.
L’altro approccio che dobbiamo prendere in considerazione è la teoria del legame di valenza (VB).
Mentre nell’approccio MO siamo partiti dal presupposto che la molecola di H2 esiste così com’è,
l’approccio VB si concentra su come gli orbitali atomici degli atomi dissociati si combinano per
dare i singoli legami chimici quando si forma la molecola.
Consideriamo due atomi di idrogeno che si avvicinano per formare la molecola H2

L’elettrone dell’atomo Ha sta nell’orbitale atomico 1sa e analogamente l’elettrone dell’atomo H b è


nell’orbitale atomico 1sb.

50
La funzione d’onda spaziale che descrive questo sistema, in cui i due atomi si avvicinano per
formare un legame, sarà un prodotto del tipo 1s a(1)1sb(2). Tuttavia anche in questo caso ci si
accorge che in realtà una funzione così definita non è ne simmetrica ne antisimmetrica rispetto
allo scambio degli elettroni, e in ragione di ciò bisogna considerare che, oltre alla funzione
1sa(1)1sb(2), potremmo avere anche 1sa(2)1sb(1). Sappiamo inoltre che costruendo una
combinazione con segno + la funzione diventa simmetrica, mentre la combinazione con segno – la
rende antisimmetrica.
Di conseguenza sappiamo che, per ottenere una funzione totale antisimmetrica, dobbiamo
prendere la parte spaziale con combinazione +, e moltiplicarla per la parte di spin con
combinazione -.
Nel modello Valence Bond dunque la funzione d’onda, che si costruisce a partire dagli orbitali
atomici, è
 VB  1sa (1)1sb (2)  1sa (2)1sb (1)

Questa funzione descrive due elettroni ognuno intorno ad uno dei due atomi di idrogeno. Si tratta
di due situazioni covalenti. Il carattere della funzione d’onda è pertanto al 100% covalente.

Nel modello MO invece si ha (per la parte spaziale della funzione d’onda di H2 nello stato
fondamentale):
 MO   g (1) g (2)  1sa (1)  1sb (1) 1sa (2)  1sb (2)

 1sa (1)1sa (2)  1sa (1)1sb (2)  1sb (1)1sa (2)  1sb (1)1sb (2)

Il secondo e il terzo termine sono gli stessi elementi che provengono dall’approccio VB e
descrivono una situazione covalente. Danno quindi un’interpretazione fisica di un oggetto
puramente matematico. Questi due termini sono quindi detti “covalenti”.
Il primo termine, 1sa(1)1sa(2) descrive una situazione in cui entrambi gli elettroni sono sull’atomo
Ha che quindi può essere considerato, in questo caso, come uno ione H a-, mentre l’atomo Hb, che
di conseguenza non ha elettroni, è uno ione Hb+.
Analogamente, il termine 1sb(1)1sb(2) descrive la situazione in cui entrambi gli elettroni sono
sull’atomo Hb, che può essere considerato come ione Hb+, mentre l’atomo Ha privo di elettroni è lo
ione Ha+.
In ragione di ciò, questi due termini sono detti “ionici”.

Nel complesso quindi la funzione d’onda nel modello MO è 50% ionica e 50% covalente.
La natura ‘mista’ ionica-covalente è più realistica per la descrizione alla geometria di equilibrio ma
non quando la molecola di H2 si dissocia, infatti osserviamo che la funzione d’onda MO prevede,
erroneamente, che la molecola di H2 si dissoci in una situazione irrealistica, cioè 50% ionico e 50%
covalente.

51
E’ evidente che la dissociazione può avvenire o lasciando un elettrone su ogni atomo di H
(omolitica) oppure lasciando due elettroni su uno dei due atomi di H (ionica).
Abbiamo visto quindi che, nel complesso, i due approcci VB ed MO forniscono descrizioni
abbastanza diverse per la molecola di H2.
Questi risultati sono stati ottenuti per il caso della molecole di H2 e, generalizzando, si può dire che
valgono ogniqualvolta abbiamo a che fare con orbitali molecolari di molecole biatomiche
omonucleari, oppure quando si ha a che fare con sistemi anche più complessi, che però sono
assimilabili alla situazione in cui si hanno due oggetti identici che devono interagire per dare un
legame covalente (per esempio un aggregato molecolare formato da due molecole identiche).

Nell’ambito dello sviluppo di questi due approcci, l’approccio del legame di valenza è
concettualmente più semplice ed è ampiamente utilizzato nella chimica organica, dove tuttavia
non riesce a spiegare adeguatamente il legame in alcune classi di molecole, compresi i composti
aromatici.
L'approccio MO è generalmente più difficile da implementare, ma spiega meglio il legame in quelle
molecole in cui l'approccio del legame di valenza fallisce, ed è generalmente più coerente con i
risultati delle misurazioni spettroscopiche.
La teoria MO ha ampiamente sostituito l’approccio VB per quanto riguarda la predizione della
struttura elettronica di molecole poliatomiche.

Applicazione del principio variazionale a molecole/atomi polielettronici


Il determinante di Slater per molecole più complesse di H2, rappresenta una funzione d’onda
approssimata di un Hamiltoniano elettronico in cui, per un certo numero di nuclei ed elettroni,
sono presenti termini monoelettronici e una serie di termini di interazione tra coppie di elettroni.
Si tratta quindi di un Hamiltoniano complesso, non risolubile esattamente, la cui soluzione
approssimata è appunto il determinante di Slater. È una soluzione approssimata in quanto
sappiamo che un determinante di Slater assicura l’antisimmetria, tuttavia non siamo sicuri che sia
sufficiente un solo determinante. Ad ogni modo, per semplicità consideriamo funzioni d’onda
costruite con un solo determinante.
L’assunzione che dobbiamo fare è la seguente. Siccome abbiamo costruito, per la molecola di
idrogeno, un determinante di Slater di questo tipo

  g, g con  g  1sa  1sb

possiamo immaginare di poter scrivere, per le molecole, un determinante di Slater del tipo

  a, a b, b ... N , N con a   ca


Dove stiamo aggiungendo, a partire dal livello più basso, le N coppie di elettroni.
Le funzioni φa, φb, … sono orbitali molecolari costruiti come combinazioni lineari, pesate sui
coefficienti cμa, cμb, …, di una serie di orbitali atomici (LCAO).
In questa espansione LCAO ogni coefficiente dipende sia dall’orbitale atomico, sia dall’orbitale
molecolare che stiamo considerando.

52
A differenza dell’atomo di elio, in cui non c’era il problema dell’integrale di sovrapposizione tra gli
orbitali atomici, in questo caso se abbiamo due orbitali, φμA e φμB, che siano centrati
rispettivamente uno sull’atomo A e uno sull’atomo B, l’integrale di sovrapposizione

 A |  B
Potrebbe essere diverso da zero.

Per determinare la migliore funzione d’onda per una molecola nello stato fondamentale, bisogna
calcolare i migliori coefficienti della combinazione lineare utilizzando il principio variazionale.
Abbiamo visto l’applicazione della teoria variazionale alla molecola di 𝐻2+.
E’ importante osservare che l’applicazione della teoria variazionale non è così semplice come visto
per 𝐻2+, quando la funzione d’onda è polielettronica, cioè per la maggior parte dei sistemi
molecolari, perché in questo caso la funzione di prova non è semplicemente LCAO ma è un
determinante di Slater.
Ci occupiamo quindi di determinare gli orbitali molecolari ottenendo il migliore set di coefficienti
di combinazione.
L’applicazione del principio variazionale parte dall’elaborazione dell’espressione dell’energia come
valore d’attesa dell’operatore Hamiltoniano
D1 | Hˆ | D1
E
D1 | D1

Per determinare il migliore set di coefficienti imponiamo che la variazione dell’energia sia uguale a
zero, ∂E/∂ci = 0.
L’applicazione del principio variazionale alla funzione d’onda di una molecola polielettronica porta
alle equazioni di Hartree-Fock.

Equazioni di Hartree-Fock (HF)


Per derivare le equazioni Hartree Fock:
Si sceglie come autofunzione del sistema polielettronico un solo determinante di Slater
1)
(soluzione monodeterminantale).

2) Si esprime il valore d’attesa dell’energia (per un determinante di Slater)


D1 | Hˆ | D1
E
D1 | D1
Dove D1 indica il determinante di Slater che definisce la configurazione fondamentale.

3) Si applica il principio variazionale imponendo di minimizzare l’energia totale del sistema


polielettronico
E
0
 ci

4) Si assume che per minimizzare l’energia si varieranno gli orbitali molecolari (funzioni di
prova), che devono restare fra loro ortogonali (vincolo di ortonormalità)
53
A | B   a ,b

Dove δab è il delta di Kronecker, che vale 1 se a=b e 0 se a≠b.

Con queste assunzioni si possono ricavare le equazioni HF, la cui forma generale è la seguente

Fˆ (1)a   aa

F(1) è l’operatore di Fock in cui (1) sta a indicare che si tratta di un operatore monoelettronico.
Tale operatore agisce sugli orbitali molecolari φa ed estrae la loro energia εa.
Nonostante la forma di queste equazioni ricordi l’equazione di Schrodinger, è bene precisare che
l’operatore di Fock non è l’operatore Hamiltoniano molecolare.
Sulla base delle energie degli orbitali molecolari ottenute è possibile costruire l’energia
complessiva della funzione.
La soluzione delle equazioni HF richiede una procedura iterativa, infatti l’operatore di Fock che
risulta dall’applicazione del principio variazionale è definito a partire dagli orbitali molecolari che si
vogliono trovare.
Vediamo la forma dell’operatore di Fock:

N
Fˆ (1)  hi (1)   [ J j (1)  K j (1)]
j 1

Come si può notare è composto da una serie di operatori monoelettronici.


Siccome l’equazione HF si deriva dall’espressione dell’energia, la quale deriva dal valore d’attesa
dell’operatore Hamiltoniano, è chiaro che all’interno dell’operatore di Fock devono essere
presenti dei termini simili a quelli presenti nell’operatore Hamiltoniano.
Il termine hi(1) è l’operatore Hamiltoniano del nucleo (Core-Hamiltonian), che contiene il termine
di energia cinetica dell’elettrone i-esimo e il termine di attrazione dell’i-esimo elettrone con tutti i
nuclei:
1 2 M Z
hi (1)   i   A
2 A1 riA

J(1) e K(1) derivano dagli integrali bielettronici Coulombiano e di Scambio che compaiono
nell’energia di un sistema polielettronico.
Nel caso dell’atomo di elio, J e K risultavano quando, a livello della teoria delle perturbazioni,
consideravamo la perturbazione derivante dalla repulsione 1/r12. Per l’atomo di elio J era definito
da
1
J  1s (1)1s (2) 1s (1)1s (2)
r12

Il termine J(1) dell’operatore di Fock si ottiene sostituendo agli orbitali atomici gli orbitali
molecolari

54
1
J j (1)   j (2)  j (2)
r12

Il potenziale bielettronico 1/r12 sentito dall’elettrone 1 e associato alla posizione istantanea


dell’elettrone 2 è rimpiazzato da un potenziale monoelettronico ottenuto mediando l’interazione
1/r12 degli elettroni 1 e 2 su tutte le coordinate spaziali dell’elettrone 2 pesate per la densità di
probabilità ϕ(2)ϕ(2) che l’elettrone si trovi nella posizione 2.

Configurazioni elettroniche di H2
Sebbene la procedura HF sia quella da applicare per determinare i migliori orbitali molecolari che
definiscono il determinante di Slater per la configurazione fondamentale, nel caso della molecola
di H2 non abbiamo bisogno di risolvere le equazioni HF.
Per la molecola di H2 possiamo seguire un approccio più semplice: senza passare attraverso il
metodo HF, riconosciamo che gli orbitali molecolari sono gli stessi di H2+: ovvero le combinazioni +
e – dei due orbitali atomici 1s.
Consideriamo ora i due orbitali molecolari 𝜎𝑔 e 𝜎𝑢 di H2 e scriviamo le possibili configurazioni
elettroniche e i determinanti di Slater associati.

(𝜎𝑔)2 (𝜎𝑢)2 (𝜎𝑔)1(𝜎𝑢)1


configurazione fondamentale configurazione doppiamente configurazione singolarmente
eccitata eccitata

Nello scrivere le disposizioni elettroniche indichiamo graficamente i due spin elettronici, che
possono essere opposti oppure paralleli

Se osserviamo le disposizioni elettroniche vediamo che si presentano situazioni diverse: per


quanto riguarda le prime due disposizioni queste corrispondono alla configurazione elettronica
fondamentale (𝜎𝑔)2 e a quella doppiamente eccitata (𝜎𝑢)2, entrambe con una sola possibile
disposizione degli elettroni accoppiati a singoletto.
La configurazione elettronica (𝜎𝑔)1(𝜎𝑢)1 corrisponde invece a quattro ulteriori disposizioni
elettroniche.
Abbiamo già scritto e sviluppato il determinante di Slater per la configurazione fondamentale e
abbiamo visto che corrisponde ad uno stato di spin di singoletto:
55
1  g (1) (1)  g (1)  (1) 1  g (1)  g (1)
D1  
2  g (2) (2)  g (2)  (2) 2  g (2)  g (2)
1
  g g
2
1
 [ g (1) g (2)   g (1) g (2)]
2
1
  g (1) g (2)[ (1)  (2)   (1) (2)]
2

Osserviamo che, come nel caso dell’atomo di Elio, la funzione d’onda può essere scritta come
prodotto di una spaziale e una di spin, tali che soddisfino il principio di antisimmetria.
Così, per il determinante di Slater dello stato fondamentale della molecola di H 2 possiamo dedurre
che è uno stato di singoletto, in quanto D1 è formato da una funzione spaziale simmetrica e una
funzione di spin antisimmetrica.

Analogamente, per la configurazione elettronica doppiamente eccitata D2 possiamo scrivere il


determinante di Slater e sviluppandolo otterremo ancora uno stato di spin di singoletto:

1
D2   u u
2
1
 [ u (1) u (2)   u (1) u (2)]
2
1
  u (1) u (2)[ (1)  (2)   (1) (2)]
2

D’altra parte potevamo costruire la funzione d’onda totale mettendo insieme una parte di spin e
una spaziale, ricordando che il loro prodotto deve essere antisimmetrico.
Così, per la configurazione (𝜎𝑢)2 di H2 possiamo costruire la parte spaziale in analogia a quanto
visto per lo stato fondamentale: se in quel caso avevamo un prodotto di due orbitali identici, così
avremo qui.
Poiché il prodotto 𝜎𝑢(1)𝜎𝑢(2) è una funzione simmetrica, allora la parte di spin dovrà essere una
funzione antisimmetrica, cioè un singoletto.

56
Le 4 disposizioni rimanenti corrispondono agli stati eccitati che si originano dalla configurazione
singolarmente eccitata (𝜎𝑔)1(𝜎𝑢)1. Per ogni disposizione possiamo scrivere la funzione di spin
(nella base disaccoppiata) a cui si riferisce:

Per ogni disposizione elettronica possiamo scrivere un determinante di Slater.


Sappiamo però che 𝛼𝛼 e 𝛽𝛽 sono anche funzioni di spin della base accoppiata e quindi
autofunzioni dello spin totale mentre 𝛼𝛽 e 𝛽𝛼 non lo sono, ma lo sono le combinazioni + e -.
Perciò possiamo sospettare che i determinanti di Slater che otterremo da queste 4 disposizioni
elettroniche saranno autofunzioni di spin in due casi e non lo saranno negli altri due casi.
Consideriamo la configurazione D3:

1
D3   g u
2
1
 [ g (1) u (2)   u (1) g (2)]
2
1
 [ g (1) u (2) (1)  (2)   u (1) g (2)  (1) (2)]
2

D3 non è autofunzione di spin e non è possibile scrivere un prodotto di funzioni spaziale e di spin.

Consideriamo la configurazione D4:

57
1
D4   g u
2
1
 [ g (1) u (2)   u (1) g (2)]
2
1
 [ g (1) u (2)  (1) (2)   u (1) g (2) (1)  (2)]
2

Anche D4 non è autofunzione di spin e non è possibile scrivere un prodotto di funzioni spaziale e di
spin. Vedremo come è possibile costruire, a partire da D4 e D3, funzioni che siano anche
autofunzioni di spin.
Prendiamo le configurazioni D5 e D6:
1
D5   g u
2
1
 [ g (1) u (2)   u (1) g (2)]
2
1
 [ g (1) u (2)   u (1) g (2)] (1) (2)
2

1
D6   g u
2
1
 [ g (1) u (2)   u (1) g (2)]
2
1
 [ g (1) u (2)   u (1) g (2)] (1)  (2)
2

Come si può notare entrambe le funzioni D5 e D6 sono antisimmetriche perché formate da una
parte spaziale antisimmetrica e una parte di spin simmetrica che quindi, in entrambi i casi,
corrisponde a un tripletto.
Nello scrivere i Determinanti di Slater abbiamo visto che per i determinanti D 3 e D4 non possiamo
riconoscere la presenza di un’autofunzione di spin: dobbiamo considerare le combinazioni + e - dei
due determinanti associati a queste disposizioni elettroniche. Ci aspettiamo che da queste
combinazioni risultino un’autofunzione di spin di singoletto e una di tripletto.
Prendiamo la combinazione con segno + (D3+D4). Siccome la parte spaziale delle due
configurazioni è identica possiamo effettuare un raccoglimento.

1
[ D3  D4 ] 
1 1
 g (1) u (2)  (1) (2)   (1) (2)   u (1) g (2)  (1) (2)   (1) (2)
2 2 2


1

 g (1) u (2)   u (1) g (2)1
 (1)  (2)   (1) (2)
2 2

58
Quindi con la combinazione + riusciamo a fattorizzare la funzione d’onda in un prodotto tra una
parte spaziale e una di spin. In particolare la parte spaziale è antisimmetrica, mentre quella di spin
è simmetrica e corrisponde alla funzione di tripletto.
Si può notare che i tre stati di tripletto hanno le funzioni di spin corrispondenti a quelle già
conosciute (αα, ββ, αβ+βα), mentre la parte spaziale è identica in tutti e tre i casi.
Ciò ha un senso in quanto nell’Hamiltoniano che consideriamo non sono presenti termini di
interazione spin-orbita, e le tre componenti dello stato di tripletto sono degeneri: l’energia è data
dal valore d’attesa dell’Hamiltoniano, ma siccome quest’ultimo non contiene termini che
dipendono dalle coordinate di spin, in realtà la funzione d’onda che compare nel valore d’attesa è
di tipo spaziale
E   | Hˆ |   spaz | Hˆ | spaz

Quindi l’energia dei tre sottostati di tripletto sarà identica se e solo se è identica anche la parte
spaziale della funzione d’onda.
Consideriamo ora la combinazione con segno – (D3-D4):

1
[ D3  D4 ] 
1 1
 g (1) u (2)  (1) (2)   (1) (2)   u (1) g (2)  (1) (2)   (1) (2)
2 2 2


1
 
 g (1) u (2)   u (1) g (2)
1
 (1)  (2)   (1) (2)
2 2

Risulta una funzione d’onda la cui parte spaziale è simmetrica e la parte di spin è antisimmetrica, e
che corrisponde quindi allo stato elettronico di singoletto.
Siccome le funzioni spaziali dello stato di tripletto e dello stato di singoletto sono diverse, la loro
energia sarà diversa.
Osserviamo che, se sostituiamo (𝜎𝑔)1(𝜎𝑢)1 con (H)1(L)1, dove H=HOMO e L=LUMO, queste
considerazioni valgono per tutte le molecole.

Le autofunzioni di spin ottenute combinando due determinanti di Slater sono un esempio di come,
in alcuni casi, un singolo determinante di Slater non sia sufficiente per ottenere una buona
funzione d’onda.
Nel complesso abbiamo visto che possiamo costruire le funzioni d’onda associate ai diversi stati
elettronici della molecola di H2 in due modi:

a) disegniamo le disposizioni elettroniche nei due orbitali e costruiamo i determinanti di


Slater che vi corrispondono. Quando non risulta un’autofunzione di spin, prendiamo la
combinazione di due determinanti.
b) combiniamo direttamente una parte di spin simmetrica con una spaziale antisimmetrica e
viceversa.

Questa analisi mostra che dalla configurazione (𝜎𝑔)1(𝜎𝑢)1 otteniamo uno stato di tripletto e uno di
singoletto.
Da quanto abbiamo visto per l’atomo di elio nella configurazione eccitata (1s)1(2s)1, sappiamo già
che lo stato di tripletto ha una energia più bassa di quello di singoletto.
Possiamo spiegare in modo semplice questo risultato, considerando una situazione significativa.
Supponiamo che i due elettroni di H2 occupino, in un certo istante, la stessa posizione, quindi r2=r1.
59
Scriviamo le funzioni d’onda di tripletto e di singoletto sostituendo le etichette (1) e (2) con la
posizione relativa dell’elettrone 1 e dell’elettrone 2, cioè r1. Per lo stato di tripletto abbiamo

T   g (r1 ) u (r1 )   g (r1 ) u (r1 )  0

Quindi, tutte le combinazioni di punti occupati simultaneamente da entrambi gli elettroni


annullano la funzione d’onda.
Dal punto di vista fisico, se gli elettroni occupano la stessa posizione significa che la loro distanza è
nulla e la repulsione colombiana, che dipende da 1/r1, diventa enorme.
Per lo stato di singoletto abbiamo invece

S   g (r1 ) u (r1 )   g (r1 ) u (r1 )  2 g (r1 ) u (r1 )

Ciò significa che anche nelle situazioni fortemente repulsive, la funzione di singoletto darà un
contributo non nullo all’energia totale, in quanto in tutte quelle posizioni in cui ΨT=0, si ha ΨS≠0.
Poiché gli elettroni si respingono di più quando sono vicini l'uno all'altro, ci aspettiamo quindi che
lo stato di singoletto abbia una maggiore repulsione interelettronica e una maggiore energia.
Questa regola si rivela abbastanza generica e si chiama regola di Hund

Regola di Hund: per gli stati degeneri non interagenti, la configurazione con la molteplicità
di spin più alta è la più bassa in energia.

Sulla base di questo risultato possiamo confermare che lo stato di tripletto è quello a più bassa
energia. Questo vale sempre, a condizione che si possa descrivere la molecola, che ha un certo
orbitale HOMO e un certo orbitale LUMO, in questo stato di singoletto e di tripletto,
semplicemente come una eccitazione HOMO-LUMO.

Utilizzo degli operatori di spin per verificare le autofunzioni di spin


Per provare che una data funzione di spin sia un’autofunzione di singoletto o di tripletto si
utilizzano gli operatori di spin S2 ed Sz, in quanto un’autofunzione di spin deve essere autofunzione
dell’operatore di spin S2 e non solo di Sz.
Se una funzione di spin g è autofunzione di S2, deve risolvere l’equazione agli autovalori

S 2 g  S ( S  1) g

dove S(S+1) è l’autovalore dell’operatore S2. Per semplicità eliminiamo il simbolo di operatore “^”.
Siccome il valore di S è diverso per lo stato di tripletto e per lo stato di singoletto, operando con S2
su queste due funzioni si otterranno due autovalori differenti, cioè, in unità ћ

singoletto → Sz = 0 → S=0 → S 2Ψ S = 0

tripletto → Sz = 1,0,-1 → S= 1 → S2ΨT = 1(1+1)ΨT = 2ΨT

60
L’operatore Sz proiezione lungo z del momento angolare di spin è definito come:

N
S z   s z (i )
i 1
Dove la sommatoria corre su tutti gli elettroni del sistema, da 1 a N, e sz(i) è l’operatore che agisce
su un solo elettrone alla volta. Quindi per la molecola di H2

S z  sz (1)  sz (2)

L’autovalore di Sz, in unità ћ, può assumere i valori che vanno da –S a +S.


Nel caso di un solo elettrone, questo può trovarsi nello stato di spin α oppure β e i due stati sono
autofunzioni di Sz e di S2:
1 1 1
S  Sz   , 
2 2 2

1 1
S z   Sz    
2 2

Si può vedere che S2 si può esprimere non solo attraverso gli operatori componente x,y,z ma
anche attraverso gli operatori scala, S+ e S-:

S 2  S  S   S z  S z2

Anche gli operatori scala, come l’operatore Sz, sono definiti come

N
S    s (i )
i 1

e il loro effetto è quello di innalzare o abbassare lo stato di spin. In particolare, quando S+ opera
sullo stato β, lo innalza allo stato α e, analogamente, quando S- opera su α lo abbassa allo stato β.
Quando invece S+ opera sullo stato di spin α, questo è già lo stato di spin più alto, quindi l’effetto è
quello di annullare la funzione d’onda, e la stessa cosa avviene quando S- opera sullo stato β, in
quanto β è già lo stato di spin più basso:

S   0 S   
S   0 S   

Ora riprendiamo le funzioni di spin associate alle 4 disposizioni elettroniche dei due orbitali
(configurazioni open shell di H2 oppure He eccitato) e applichiamo l’operatore S2 alla funzione
α(1)α(2)

S 2 (1) (2)  [S  S   S z  S z2 ] (1) (2)

61
Analizziamo separatamente l’effetto dei vari operatori sulla funzione di spin.

S z (1) (2)  [ s z (1)  s z (2)] (1) (2)


  (2) s z (1) (1)   (1) s z (2) (2)
1 1
  (1) (2)   (1) (2)
2 2
 [1] (1) (2)

Tra parentesi quadre è stato indicato l’autovalore. Osserviamo che la funzione α(1)α(2) è
autofunzione dell’operatore Sz con auto valore pari a 1.
Siccome l’operatore Sz2 altro non è che l’operatore Sz applicato due volte, cioè SzSz, restituià come
autovalore 12, cioè 1, quindi

S z2 (1) (2)  [12 ] (1) (2)   (1) (2)

Consideriamo ora l’effetto degli operatori scala. Siccome operano in sequenza, applichiamo prima
S- alla funzione α(1)α(2) e poi S+ alla funzione risultante:

S  (1) (2)  [ s  (1)  s  (2)] (1) (2)


  (2) s  (1) (1)   (1) s  (2) (2)
  (1) (2)   (1)  (2)

S  [  (1) (2)   (1)  (2)]  [ s  (1)  s  (2)] [  (1) (2)   (1)  (2)]
  (2) s  (1)  (1)   (2) s  (1) (1)   (1) s  (2) (2)   (1) s  (2)  (2)
  (1) (2)  0  0   (1) (2)
 [2] (1) (2)

Quindi nel complesso

S 2 (1) (2)  [2  1  1]  (1) (2)  2 (1) (2)

La funzione di spin α(1)α(2) è autofunzione di S2 con autovalore pari a 2 quindi possiamo


confermare che si tratta di un tripletto.
Ora applichiamo l’operatore S2 alla funzione α(1)β(2) che sappiamo non essere autofunzione di
spin e applichiamo la stesso procedimento

S 2 (1) (2)  [S  S   S z  S z2 ] (1) (2)

S z (1)  (2)  [ s z (1)  s z (2)] (1)  (2)


  (2) s z (1) (1)   (1) s z (2)  (2)
1 1
  (1)  (2)   (1)  (2)
2 2
 [0] (1) (2)

62
S z2 (1) (2)  [02 ] (1) (2)  [0] (1) (2)

S  (1)  (2)  [ s (1)  s (2)] (1)  (2)


  (2) s (1) (1)   (1) s (2)  (2)
  (1)  (2)  0

S   (1)  (2)  [ s (1)  s (2)]  (1)  (2)]


  (2) s (1)  (1)   (1) s (2)  (2)
  (1)  (2)   (1) (2)
 [1] (1)  (2)  [1] (1) (2)

Quindi, nel complesso

S 2 (1) (2)  [1  0  0]  (1) (2)  [1] (1) (2)   (1) (2)   (1) (2)

Abbiamo verificato che la funzione α(1)β(2) NON è autofunzione dell’operatore S2, e restituisce
una combinazione di due funzioni. Analogamente, si può dimostrare che anche la funzione
β(1)α(2) NON è autofunzione di S2.
Prendiamo ora la combinazione con segno + di queste due funzioni:

S 2 [ (1)  (2)   (1) (2)]  [ S  S   S z  S z2 ] [ (1)  (2)   (1) (2)]


 [1][ (1)  (2)   (1) (2)]  [1][ (1)  (2)   (1) (2)]
 [1  1][ (1)  (2)   (1) (2)]

La combinazione α(1)β(2)+β(1)α(2) è autofunzione di S2 e restituisce come autovalore 2, quindi è


una autofunzione di TRIPLETTO.
Prendiamo la combinazione con segno -:

S 2 [ (1)  (2)   (1) (2)]  [ S  S   S z  S z2 ] [ (1)  (2)   (1) (2)]


 [1][ (1)  (2)   (1) (2)]  [1][ (1)  (2)   (1) (2)]
 [1  1][ (1)  (2)   (1) (2)]

La combinazione α(1)β(2)-β(1)α(2) è autofunzione di S2, con autovalore 0, quindi è una


autofunzione di SINGOLETTO.

63
Energia degli stati di tripletto e singoletto
Abbiamo ottenuto tutti gli stati elettronici che si generano considerando i due orbitali σg e σu della
molecola di idrogeno, espressi come determinanti di Slater. Corrispondono a una traduzione
funzionale di una determinata configurazione elettronica

1
D1   g (1) g (2) [ (1)  (2)   (1) (2)] Stato elettronico fondamentale
2
1
D2   u (1) u (2) [ (1)  (2)   (1) (2)] Stato elettronico doppiamente eccitato
2

Le funzioni D5, D6, D3+D4 corrispondono allo stato elettronico singolarmente eccitato.
Sono caratterizzate dalla stessa parte spaziale, antisimmetrica, e da tre diverse funzioni di spin

[ (1) (2)   (1) (2)]


1 1 
D5 , D6 , D3  D4  [ g (1) u (2)   u (1) g (2)] [ (1) (2)]
2 2
[  (1)  (2)]

Dove le tre funzioni di spin corrispondono allo stato di tripletto.


L’ultimo stato che abbiamo visto è D3-D4, che è fattorizzato in una parte spaziale simmetrica e in
una parte di spin antisimmetrica, che corrisponde allo stato di singoletto.

1 1
D3  D4  [ g (1) u (2)   u (1) g (2)] [ (1) (2)   (1) (2)]
2 2

Dobbiamo ora esprimere l’energia associata a ciascuno di questi quattro stati elettronici, tenendo
presente che l’energia è determinata dal valore d’attesa dell’operatore Hamiltoniano e che
possiamo restringere l’attenzione sulla parte spaziale della funzione d’onda, in quanto Ĥ non
contiene termini che siano funzioni delle coordinate di spin.
Come semplificazione utilizziamo la notazione spettroscopica. Quindi, ad esempio, lo stato D1 è
indicato con S0, dove “S” denota lo stato di singoletto e “0” indica che è lo stato a più bassa
energia. Analogamente indichiamo gli stati D5, D6, D3+D4 con T1, dove “T” denota lo stato di
tripletto e “1” indica che si trova a energia superiore rispetto a S0. Sulla base di queste
considerazioni, i quattro stati elettronici si indicano come

E S 2 → D2

S1 → D3-D4

T1 → D5, D6, D3+D4

S 0 → D1

Ciò che stiamo per fare è del tutto analogo a quanto abbiamo già visto per l’atomo di elio in
configurazione eccitata: riconosciamo che l’operatore Hamiltoniano contiene termini già noti, in
questo caso Hamiltoniani della molecola di 𝐻2+.

64
1 1 1 1 2 1 1 1 1 1 1
Hˆ   12    2      Hˆ 1  Hˆ 2  
2 rA1 rB1 2 rA2 rB 2 r12 R r12 R

In primo luogo possiamo trascurare il termine 1/R in quanto dipende solo dalla posizione reciproca
dei due nuclei, quindi può essere aggiunto successivamente all’espressione dell’energia totale.

 Energia dello stato fondamentale S0


Calcoliamo il valore d’attesa dell’operatore Hamiltoniano sulla base della funzione 𝜎g(1)𝜎g(2)

1 1
ES0  S0 H1  H 2  S0   g (1) g (2) H1  H 2   g (1) g (2)
r r
1
  g (1) g (2) H1  g (1) g (2)   g (1) g (2) H 2  g (1) g (2)   g (1) g (2)  g (1) g (2)
r

Consideriamo il primo integrale

1
 g (1) g (2) H1  g (1) g (2)   g (2) |  g (2)  g (1) H1  g (1)  E    g0
R

L’integrale di sovrapposizione  g (2) |  g (2) è uguale a 1 perché le funzioni sono normalizzate.


Abbiamo detto che H1 è l’Hamiltoniano di una molecola di H2+, quindi, a meno del termine 1/R,
l’integrale  g (1) H1  g (1) corrisponde all’energia dell’orbitale 𝜎g per la molecola di H2+, ovvero E+.
Siccome E+ contiene anche il termine 1/R, l’energia la identifichiamo come εg0=E+-1/R.
In genere con la lettera ε si indica l’energia degli orbitali molecolari. Il pedice “g” indica che si
tratta dell’orbitale molecolare 𝜎g, mentre l’apice “0” indica che è l’energia di un OM dovuta a un
Hamiltoniano che non contiene termini di repulsione elettronica. Quindi l’energia εg0 è chiamata
anche energia di core, analogamente a quanto già visto per l’operatore di Hartree-Fock.
Il secondo integrale è identico al primo, l’unica differenza è che è riferito all’elettrone 2:

1
 g (1) g (2) H1  g (1) g (2)   g (1) |  g (1)  g (2) H 2  g (2)  E    g0
R

Il terzo integrale altro non è che l’integrale Coloumbiano J, introdotto nel caso dello stato
fondamentale dell’atomo di elio

1
 g (1) g (2)  g (1) g (2)  J gg
r

Il pedice “gg” indica che si tratta della repulsione tra due elettroni, entrambi in un orbitale 𝜎g.
Complessivamente l’energia dello stato fondamentale è dato da
ES0  2 g0  J gg

65
 Energia dello stato doppiamente eccitato S2
Sostituendo nel valore d’attesa dell’Hamiltoniano la funzione 𝜎u(1)𝜎u(2), si ottiene un
espressione dell’energia del tutto analoga a quella dello stato fondamentale, con la sola differenza
che l’energia è riferita all’orbitale 𝜎u. Quindi

ES2  2 u0  J uu

 Energia dello stato singolarmente eccitato S1


Consideriamo ora il caso, leggermente più complesso, della funzione combinazione lineare
𝜎g(1)𝜎u(2)- 𝜎u(1)𝜎g(2)

1
ES1   g (1) u (2)   u (1) g (2) H  g (1) u (2)   u (1) g (2) 
2
1
 g (1) u (2) H  g (1) u (2)  primo addendo
2
1
  u (1) g (2) H  u (1) g (2)  sec ondo addendo
2
1
  g (1) u (2) H  g (1) u (2)  terzo addendo
2
1
  u (1) g (2) H  g u quarto addendo
2

Risolviamo ora questi quattro integrali espandendo l’espressione dell’operatore Hamiltoniano,


cominciando dagli integrali in cui la funzione prodotto di OM è uguale sia a destra che a sinistra,
ovvero dagli elementi di matrice diagonali.
Esaminiamo il primo addendo

1 1
 g (1) u (2) H1  H 2   g (1) u (2) 
2 r
1 1 1 1
  g (1) u (2) H1  g (1) u (2)   g (1) u (2) H 2  g (1) u (2)   g (1) u (2)  g (1) u (2)
2 2 2 r
Siccome l’operatore H1 agisce sull’elettrone 1 che sta nell’orbitale σg, il primo integrale restituisce
l’autovalore εg0

1 1 1
 g (1) u (2) H 1  g (1) u (2)   g (1) H 1  g (1)  u (2) |  u (2)   g0
2 2 2

Lo stesso vale per il secondo integrale, con la differenza che H2 agisce sull’elettrone 2 che però sta
nell’orbitale σu, quindi restituisce l’autovalore εu0

1 1 1
 g (1) u (2) H 2  g (1) u (2)   u (2) H 2  u (2)  g (1) |  g (1)   u0
2 2 2

66
Scriviamo l’ultimo termine nella notazione dei chimici

1 1 1 1 1
 g (1) u (2)  g (1) u (2)   g (1) g (1)  u (2) u (2)  J gu
2 r 2 r 2

Esso rappresenta una repulsione colombiana, che ha una controparte classica, tra un elettrone
nell’orbitale σg e un elettrone nell’orbitale σu.
Il primo termine diagonale fornisce

1 1 1 1 1
 g (1) u (2) H1  H 2   g (1) u (2)   g0   u0  J gu
2 r 2 2 2

Il secondo addendo, che corrisponde al secondo termine diagonale, fornisce esattamente lo stesso
risultato
1 1 1 1 1
 u (1) g (2) H1  H 2   u (1) g (2)   u0   g0  J ug
2 r 2 2 2

Siccome l’ordine di moltiplicazione delle funzioni non ne modifica il risultato, possiamo dire che
Jgu=Jug, e quindi nel complesso i termini diagonali forniscono come risultato

 u0   g0  J gu

Dobbiamo ora esaminare l’effetto dei termini fuori diagonale. Consideriamo il terzo addendo

1 1
 g (1) u (2) H1  H 2   u (1) g (2) 
2 r
1 1 1 1
  g (1) u (2) H1  u (1) g (2)   g (1) u (2) H 2  u (1) g (2)   g (1) u (2)  u (1) g (2)
2 2 2 r

Il ragionamento è analogo a quello fatto per il primo addendo. Questa volta però l’integrale di
sovrapposizione  u (2) |  g (2) è nullo, in quanto i due orbitali molecolari sono ortonormali,
quindi l’integrale è semplicemente

1 1
 g (1) u (2) H1  u (1) g (2)   g (1) H 1  u (1)  u (2) |  g (2)  0
2 2

lo stesso vale per il secondo integrale

1 1
 g (1) u (2) H 2  u (1) g (2)   u (2) H 2  g (2)  g (1) |  u (1)  0
2 2

Riscriviamo il terzo termine nella notazione dei chimici


1 1 1 1 1
 g (1) u (2)  u (1) g (2)   g (1) u (1)  g (2) u (2)  K gu
2 r 2 r 2
67
Questo integrale rappresenta una repulsione perché è positivo ma non ha una controparte
classica, in quanto il prodotto σgσu non è una rappresentazione di una densità elettronica classica
ma si tratta di una overlap density. Siccome l’overlap density coinvolge un orbitale g e un orbitale
u, questo integrale è chiamato Kgu.
Il quarto addendo fornisce lo stesso risultato

1 1 1
 u (1) g (2) H1  H 2   g (1) u (2)  0  0  K ug
2 r 2

Nel complesso, i termini fuori diagonale forniscono come risultato

K gu

A questo punto, unendo i vari addendi, possiamo dire che l’energia totale dello stato di singoletto
S1 è data da

ES1   g0   u0  J gu  K gu

 Energia dello stato singolarmente eccitato T1


Siccome la parte spaziale della funzione d’onda del tripletto T 1 è antisimmetrica, la sua energia è
identica a quella del singoletto S1 a meno del segno dell’integrale Kgu. Infatti lo sviluppo degli
integrali porterebbe ad avere i due elementi fuori diagonale con il segno meno.
Quindi l’energia del tripletto è

ET1   g0   u0  J gu  K gu

Vediamo così che, come atteso, l’energia del singoletto σgσu è più alta di quella del tripletto σgσu
perché K, termine repulsivo, è positivo e, come nel caso dell’atomo di elio, la differenza di energia
∆E è 2K.
È interessante notare che l’interazione di scambio risulta dal fatto che gli elettroni sono
indistinguibili (ovvero dal fatto che la funzione d’onda è un determinante di Slater).
Se non avessimo usato un Determinante di Slater ma un prodotto di Hartree, la differenza di
energia fra singoletto σgσu e tripletto σgσu sarebbe uguale a zero.
Esattamente come abbiamo fatto per l’atomo di elio, possiamo tracciare un grafico dei livelli
energetici per interpretare i risultati ottenuti:
Nessuna interazione Interazione Interazione di
elettronica Coloumbiana scambio
εg0+ εu0+Jgu+Kgu

εg0+ εu0+Jgu-Kgu

εg0+ εu0
68
Partiamo da una situazione in cui gli elettroni non interagiscono tra loro l’energia totale è data
dalla somma εg0+ εu0. Quando i due elettroni interagiscono l’energia del sistema si innalza di un
fattore pari a J, ma i livelli di singoletto e di tripletto rimangono degeneri. Ciò significa considerare
solo gli elementi di matrice diagonali.
Quando introduciamo l’interazione di scambio il tripletto e il singoletto si separano in energia, con
un ∆E pari a 2K. Introdurre il termine K significa introdurre gli elementi di matrice fuori diagonale,
e quindi significa che stiamo utilizzando i determinanti di Slater.

Considerazioni sulla separazione energetica singoletto-tripletto in molecole tipiche


Abbiamo visto che il tripletto e il singoletto si separano in energia, con un ∆E pari a 2K.
K è tanto più grande quanto più i due orbitali (che entrano nell’integrale K) hanno ampiezze
significative sugli stessi atomi. D’altra parte K sarà piccolo se le ampiezze sono localizzate su parti
diverse della molecola.
Stiamo parlando di stati elettronici che, come per la configurazione σ gσu di H2, sono generati da
configurazioni elettroniche eccitate in cui ci sono due orbitali singolarmente occupati (open shell).
Sebbene non abbiamo ancora visto molecole complesse e parlato estesamente di orbitali di tipo
diverso dagli orbitali sigma della molecola di H2 o H2+, conosciamo già altri tipi di orbitali
molecolari (orbitali 𝜋 oppure n) dallo studio di corsi precedenti. Le configurazioni elettroniche
open-shell per molecole complesse possono coinvolgere orbitali di tipo diverso, indicati in
generale con le lettere n, σ, π che definiscono la loro caratteristica fondamentale: n=lone pairs;
σ=legami sigma, di solito orbitali localizzati su alcuni legami della molecola; π = legami pi-greco, di
solito orbitali delocalizzati sul core coniugato della molecola.
L’eccitazione degli elettroni determina una nuova configurazione elettronica (configurazione
elettronica eccitata) e questa è associata a nuovi stati elettronici (stati elettronici eccitati).

Se l’eccitazione è di tipo n→π*, questo implica che l’integrale di scambio K responsabile della
separazione energetica fra lo stato di tripletto e singoletto che si originano dalla stessa
configurazione è definito attraverso gli orbitali n e π.
Con uno spettro di assorbimento generalmente si osservano transizioni elettroniche che sono
permesse per spin, ovvero che mantengono lo stato di spin.

Registrazione 11-8

69
Simmetria degli stati elettronici (configurazioni) di H 2 e molecole biatomiche
La configurazione dello stato fondamentale di H2 è classificata come 1Σg in un'eco del termine
simboli usati per gli atomi o seguendo le regole di simmetria dalla simmetria di gruppo D∞h.
L'apice 1 è la molteplicità di spin [(2S + 1), S = 0] dello stato, che in questo caso corrisponde a S=0
perché i due elettroni sono accoppiati.
Il simbolo Σ (sigma maiuscolo) è l'analogo della lettera S usata per denotare la piena simmetria
rotazionale sferica e indica che il momento angolare orbitale totale intorno all'asse internucleare è
zero perché entrambi gli elettroni occupano orbitali σ e quindi nessuno dei due possiede un
momento angolare orbitale relativo all'asse.
Più formalmente, denotiamo la componente del momento angolare orbitale lungo l'asse come λ
per ogni elettrone, e il totale come Λ = λ1 + λ2.
Nello stato fondamentale H2
λ1 = λ2 = 0

quindi Λ = 0, che corrisponde al termine Σ.


Nonostante la somiglianza formale, c'è una differenza fondamentale tra L z in un atomo e Lz in una
molecola biatomica: in un atomo la scelta dell'asse z è totalmente arbitraria e L z è quantizzata
lungo qualunque asse scegliamo; nella molecola biatomica questa libertà è finita. L'asse z deve
essere l'unico asse di simmetria del sistema, l'asse che unisce i nuclei.
Un'altra differenza riguarda la degenerazione degli stati. In un potenziale sfericamente
simmetrico, l'energia dipende solo dal numero quantico L, con 2L + 1 stati degeneri per ciascun
valore di L. Nel potenziale cilindrico simmetrico non abbiamo più un numero quantico L e solo λ
(per un elettrone) o Λ (per una molecola), l'autovalore di Lz, è un numero quantico ed è
disponibile per classificare i livelli di energia. Questi livelli sono degeneri o non degeneri, per
λ(Λ)=0, o doppiamente degeneri, per qualsiasi altro valore di λ(Λ).
Gli stati molecolari con Λ = 0,1,2,3 sono chiamati Σ, Π, Δ, Φ.
L’approccio appena visto per l’attribuzione delle ‘etichette’ agli stati elettronici va benissimo per
molecole biatomiche ma non è più utilizzabile per ‘etichettare’ gli stati di molecole poliatomiche.
In questo caso è meglio utilizzare un approccio basato sulla simmetria.
La simmetria di una molecola può essere classificata secondo uno dei gruppi di simmetria e le
proprietà (funzioni d’onda, orbitali molecolari, stati elettronici, funzioni d’onda vibrazionali, etc)
possono essere classificate secondo le rappresentazioni irriducibili del gruppo di simmetria cui
appartiene la molecola.

70
Stabilità di H2 nello stato fondamentale
Le diverse configurazioni di H2 che danno luogo ai diversi stati elettronici sono indicati nel grafico
dell’energia potenziale

Tutte queste energie sono definite a meno del termine 1/R, ovvero il contributo dovuto alla
repulsione tra i due nuclei. Siccome 1/R assume un valore ben preciso a seconda della distanza tra
i due nuclei, può essere sommato all’energia in un secondo momento.
La curva più chiara a più bassa energia è il profilo energetico dello stato fondamentale, e si può
notare che si tratta di una curva di legame, così come abbiamo visto nel caso dell’H 2+.
La curva più chiara a più alta energia corrisponde al profilo energetico della funzione D 2, cioè alla
configurazione elettronica doppiamente eccitata: siccome eccitare due elettroni costa molta
energia, ci aspettiamo che lo stato elettronico corrispondente, descritto dal determinante di Slater
in cui i due elettroni occupano l’orbitale σ u, sarà quello a più alta energia. Come si può notare,
analogamente al caso di H2+ si tratta di una curva dissociativa.
Tra queste due curve troviamo altri due stati elettronici Σ però di tipo u, in particolare quello a più
bassa energia è un tripletto e quello a più alta energia è un singoletto.

17.17-20.00??

Dobbiamo spiegare per quale motivo ci sono due curve, una legante e l’altra dissociativa e perché
quella legante presenta un minimo. In altre parole dobbiamo indagare la stabilità di H 2.

71
L’energia dello stato fondamentale, associato al determinante di Slater D 1, è data da

1
E D1  2  g0  J gg 
R
a cui abbiamo aggiunto 1/R.
Sappiamo che εg0 corrisponde a E+, ovvero all’energia dell’orbitale (σg)1 singolarmente occupato,
che è il livello fondamentale della molecola di H2+
1
 g0  E ( H 2 ) 
R
Quindi, sostituendo in ED1 otteniamo
2 1 1
E D1  2 E   J gg   2 E   J gg
R R R

Mentre 1/R rappresenta la repulsione tra i due nuclei, Jgg corrisponde alla repulsione tra due
elettroni che occupano entrambi l’orbitale σg. Qualitativamente possiamo dire che, per distanze
non troppo piccole, i due termini si eguagliano, e siccome uno è negativo e l’altro è positivo, si
annullano. Quello che rimane è
E D1  2 E 

Ricordiamo che E+ è data da


jk 1
E  E1s  
1 S R

con j e k termini negativi (attrattivi).


Sostituiamo ad εg0 l’espressione appena vista e quindi riscriviamo l’energia in termini dei j e k

2 j  2k 1
E D1  2 E1s   J gg 
1 S R

Ma, per R non troppo piccolo abbiamo


2j 1
 J gg   0
1 S R

perchè j è negativo, S va a zero e 2j compensa le due repulsioni Coloumbiane elettronica e


nucleare. Quindi per R non troppo piccolo la curva di energia potenziale della configurazione
fondamentale di H2 è
2k
E D1  2 E1s 
1 S

Dal momento che abbiamo dimostrato che E + è stabile (presenta un minimo) per una certa
distanza R, possiamo concludere che anche 2E+ sarà stabile: esisterà una distanza internucleare a
cui corrisponde un minimo di energia potenziale che dovrebbe essere, nell’ambito di questa
approssimazione, circa due volte il minimo discusso per la molecola di H2+.

72
Allo stesso modo, possiamo considerare lo stato elettronico doppiamente eccitato della molecola
di H2, in cui i due elettroni stanno nell’orbitale σu. L’energia di questo stato doppiamente eccitato
la possiamo scrivere in analogia a quella dello stato fondamentale, come

1
E D 2  2  u0  J uu 
R
Sappiamo che εu0 corrisponde a E-, ovvero all’energia dell’orbitale (σ u)1 singolarmente occupato,
che corrisponde all’energia dello stato elettronico eccitato di H2+

1
 u0  E ( H 2 ) 
R
Ma E- è definito come
jk 1
E  E1s  
1 S R

Quindi, riscrivendo E- in termini di j e k (minuscoli e negativi) otteniamo

2 j  2k 1
E D 2  2 E1s   J uu 
1 S R

Anche in questo caso per R non troppo piccolo il termine 2j compensa le due repulsioni
Coulombiane elettronica e nucleare e l’energia diventa

2k
E D 2  2 E1s 
1 S

Poiché k è negativo la curva non presenta un minimo ed è una curva di tipo dissociativo.
Abbiamo dunque dimostrato che la molecola di H 2 è stabile e la stabilità è determinata, come nel
caso di H2+, dall’integrale di scambio k, che è un termine puramente quantistico.

Lo 0 dell’insieme delle curve di energia potenziale rappresenta la situazione corrispondente ai due


atomi di idrogeno a distanza infinita, ognuno con il proprio elettrone nell’orbitale 1s (quindi di
fatto corrisponde a 2E1s).
La curva dello stato elettronico fondamentale per grandi distanze R supera lo 0, quindi
sostanzialmente indica che è possibile dissociare la molecola di idrogeno a una energia più elevata
rispetto alla dissociazione omolitica di H2.

73
Il determinante di Slater per lo stato elettronico fondamentale di H2 è

 g (1) g (2) (1)  (2)   (1) (2)

La parte spaziale è descritta dal prodotto dei due orbitali molecolari σ g, ma questi orbitali sono
dati dalla combinazione lineare degli orbitali atomici 1s A e 1sB. Abbiamo visto che esplicitando
l’espressione dei due orbitali molecolari e sviluppando algebricamente otteniamo due contributi
ionici e due contributi covalenti

 g (1) g (2)  1s A (1)  1s B (2)  1s A (1)  1s B (2)


 1s A (1)1s A (1)  1s A (1)1s B (2)  1s B (2)1s A (1)  1s B (2)1s B (2)

Il problema è la natura della funzione d’onda HF che è descritta da un singolo determinante di


Slater e questo determina la sua natura 50% covalente e 50% ionica.
Per questo motivo la curva di energia potenziale procede verso la dissociazione a energia
superiore allo 0 e ciò non corrisponde a nessuna situazione fisica reale.
Quindi, la dissociazione della molecola descritta da un solo determinante di Slater è sbagliata.
Abbiamo visto che nel grafico sono presenti due orbitali Σg, D1 e D2: se due orbitali hanno la stessa
simmetria, la teoria dei gruppi di fatto indica che possono interagire tra loro. In particolare,
possono interagire se
D | Hˆ | D  0
1 2

Dal punto di vista della teoria dei gruppi, per stabilire se questo integrale è ≠0, bisogna studiare il
prodotto delle rappresentazioni irriducibili dei tre elementi che costituiscono l’integrale e
verificare che contenga la rappresentazione totalsimmetrica. Il prodotto delle rappresentazioni
irriducibili è dato dal prodotto dei caratteri.
Per definizione l’operatore Hamiltoniano è total simmetrico, qualunque sia il gruppo di simmetria
che stiamo considerando, e siccome entrambi gli orbitali D 1 e D2 hanno simmetria Σg, il prodotto
dei caratteri sarà
g  g  g  g

Σg è la rappresentazione totalsimmetrica del gruppo D∞h, quindi l’integrale è ≠0.


Una funzione d’onda che descriva in modo più corretto lo stato fondamentale della molecola di H2
può essere definita come una combinazione lineare di oggetti che hanno la stessa simmetria.
Posso ottenere questo risultato mescolando i due determinanti di Slater D1 e D2

  c1 D1  c2 D2
 c1 (ION   COV )  c2 (ION   COV )
 (c1  c2 )ION   (c1  c2 )COV 

Facendo variare i coefficienti di combinazione mentre il legame si allunga, posso trasformare la


funzione d’onda mista in una funzione d’onda puramente covalente quando c1=-c2.
Ad una data geometria R posso applicare il principio variazionale per trovare quali sono i
coefficienti c1 e c2 che corrispondono alla minima energia in quel punto. Questo metodo si chiama
Interazione delle configurazioni ed è di tipo variazionale, come il metodo HF

74
In conclusione:
1. La funzione d’onda monodeterminantale non è sempre adeguata, e quindi il metodo HF
non è sempre adeguato quando si vogliono descrivere situazioni lontane dalla geometria di
equilibrio.

2. Per migliorare la funzione d’onda posso considerare una combinazione lineare di


determinanti di Slater e usare quindi una funzione d’onda multideterminantale.

3. Questa procedura è del tutto generale ed è quasi sempre utilizzata per migliorare la
descrizione degli stati elettronici molecolari. La procedura prende il nome di INTERAZIONE
DELLE CONFIGURAZIONI (o CI).

 Confronto tra le PES di H2 e H2+


Come abbiamo detto, ci aspettiamo che il minimo della curva legante di H 2 sia circa il doppio del
minimo della curva di H2+. Ci chiediamo come risulta la curva della molecola di idrogeno rispetto a
ciò che è noto dai dati sperimentali quando utilizziamo il determinante di Slater D1.
Quello che risulta è che il minimo cade a 1,4
Bohr, che in angstrom sono circa la metà, cioè
circa 0.74 Å.
È una distanza di legame più corta rispetto a
quella di H2+, che presenta il minimo della
curva a 1.06 Å.
La distanza è minore in quanto l’orbitale
legante della molecola di H2 è doppiamente
occupato: se l’orbitale legante σg di H2+
determina un minimo a 1.06 Å con un solo
elettrone, rafforzando il carattere legante
aggiungendo un elettrone all’orbitale ci si
aspetta che il legame sia più forte e di
conseguenza più corto.
Dai calcoli risulta che il minimo è profondo
circa 0,27RH, cioè 350KJ/mol, ovvero 3,6eV
(divido 350 per 4,184 per convertire da J a cal
e divido per 23,06 per convertire da kcal a eV).
Sperimentalmente si osserva che il minimo è
profondo circa 0,33RH, cioè circa 430KJ/mol,
ovvero 4,5eV.

Ricordiamo che sperimentalmente il minimo di H2+ è profondo 0,195RH.


A questo punto possiamo dire che, in termini qualitativi, la molecola di H2 è circa due volte più
stabile di H2+, e che effettivamente la distanza di legame è più corta, in ragione di questa maggiore
stabilità.
Migliorando la funzione d’onda e applicando il principio variazionale, cioè determinando per ogni
distanza R il set migliore dei coefficienti c1 e c2, è possibile migliorare la rappresentazione della PES
e avvicinarsi maggiormente al valore sperimentale di 0,33RH.

75
MOLECOLE BIATOMICHE OMO ED ETERO NUCLEARI

Approccio qualitativo alla costruzione di orbitali molecolari


In precedenza abbiamo brevemente introdotto il metodo Hartree-Fock come strumento per
determinare gli orbitali molecolari, a loro volta necessari per costruire il Determinante di Slater
corrispondente alla configurazione fondamentale del sistema polielettronico.
Concentriamo l’attenzione sulla costruzione di orbitali molecolari in modo qualitativo (resta inteso
che il metodo formale per ottenere gli MO è il metodo HF).
Il coinvolgimento degli atomi della seconda riga della tavola periodica (da Li a F) porta un nuovo
problema: ogni atomo porta più di un orbitale atomico, quindi in un calcolo HF gli orbitali atomici
considerati sarebbero sia quelli di core che di valenza. Ogni orbitale molecolare di una molecola
biatomica contenente atomi della seconda riga, è espresso come:

   ci  i
i

 c11s A  c2 1s B  c3 2s A  c4 2s B  c5 2 p Ax  c6 2 p Bx  c7 2 p Ay  c8 2 p By  c9 2 p Az  c10 2 p Bz

La normale procedura è di considerare l’orbitale di core (l’orbitale atomico 1s) come inalterato dal
legame dei due atomi, quindi di costruire gli orbitali molecolari solo sulla base degli orbitali atomici
di valenza, 2s e 2p (per gli atomi della seconda riga).
Questa approssimazione trova giustificazione sulla base dell'energia molto più bassa degli elettroni
1s rispetto agli elettroni di valenza e della loro disposizione più compatta vicino al nucleo.
Per ogni atomo della seconda riga abbiamo quindi un orbitale 2s e tre orbitali 2p.
Esattamente come gli orbitali 1s, gli orbitali 2s hanno forma sferica e si combinano per formare i
due orbitali molecolari σg e σu.

Gli orbitali pz, diretti lungo l’asse molecolare, danno luogo a orbitali molecolari aventi simmetria
cilindrica e quindi ancora orbitali σ, σg e σu.

76
Gli orbitali px e py, diretti perpendicolarmente rispetto all’asse molecolare, danno luogo a orbitali
molecolari che hanno un piano nodale che passa per l’asse molecolare. Sono degeneri e
appartengono alla rappresentazione irriducibile π

In particolare, la combinazione di questi orbitali con segno + genera un orbitale πu, mentre la
combinazione con segno - genera un orbitale πg.
Normalmente bisognerebbe considerare che tutti questi quattro orbitali contribuiscono alla
formazione degli orbitali molecolari, ma in realtà, siccome esiste una separazione energetica tra gli
orbitali 2s e 2p, diventa intuitivo pensare di poterli far interagire separatamente.
In questo modo otteniamo il seguente diagramma orbitalico

Questo schema si ottiene costruendo orbitali molecolari a partire da coppie degeneri di orbitali
atomici: ad esempio combinando orbitali 2s si generano i primi due orbitali (dal basso);
combinando i due orbitali 2pz si ottengono i seguenti due orbitali di tipo σ, e infine combinando le
due coppie di orbitali p perpendicolari all’asse di legame si ottengono gli orbitali π.
I due set di orbitali π (legante e antilegante) sono meno separati energeticamente dei
corrispondenti orbitali σ perché l’interazione fra orbitali atomici 2p perpendicolari all’asse di
legame è inferiore a quella degli orbitali 2p che si estendono lungo il legame: ricordiamo infatti
che la separazione energetica è circa due volte l’interazione orbitalica. Inoltre, siccome l’orbitale
πu presenta un piano nodale si troverà a energia inferiore rispetto all’orbitale πg.
Il risultato di questa costruzione è una sequenza di orbitali molecolari che dal basso è

1σg; 1σu; 2σg; 1πu; 1πg; 2σu

77
Come si vede possono esistere più di un orbitale con la stessa simmetria: il numero 1 o 2 che
precede il simbolo di simmetria dell’orbitale molecolare è pertanto un numero d’ordine.
Esaminiamo come variano i diagrammi orbitalici di molecole biatomiche al variare dell’atomo: il
tipico diagramma che mostra l’andamento energetico degli orbitali molecolari di molecole
biatomiche omonucleari al cambiare degli atomi è il seguente

L’andamento mostra delle caratteristiche molto particolari: l’ordine energetico dell’orbitale 2σg e
1πu si inverte passando dal lato destro a quello sinistro. Notiamo anche che l’ordine degli orbitali
nella parte destra del diagramma, per O2 e F2, è lo stesso che abbiamo appena ricavato con la
costruzione degli orbitali molecolari. Così non è per l’ordine che troviamo nella parte sinistra del
diagramma poiché l’orbitale 2σg si trova sopra l’orbitale 1π u.
Questo fenomeno è detto inversione orbitalica, e ha un certo rilievo.
Prendiamo ad esempio la molecola B2: vediamo che ha gli ultimi due elettroni che occupano
l’orbitale degenere πu. Se questo orbitale si trovasse al di sopra dell’orbitale 2σg, i due elettroni
andrebbero a occupare quest’ultimo orbitale e la molecola diventerebbe close shell, con tutti gli
orbitali doppiamente occupati e gli elettroni tutti accoppiati tra loro. Sarebbe quindi una molecola
in stato di singoletto.
Siccome tuttavia i due elettroni occupano un orbitale doppiamente degenere, la molecola di B 2 è
in stato di tripletto.
Questo fenomeno si basa, in modo estremamente intuitivo, sul fatto che la separazione energetica
tra gli orbitali 2s e 2p non è costante ma dipende dal tipo di atomo che stiamo considerando, in
particolare aumenta muovendosi lungo il secondo periodo.
Per differenze di energia molto elevate, l’approssimazione per la quale i 2s e i 2p interagiscono
separatamente regge abbastanza bene.
Tuttavia quando la separazione energetica diventa piccola, l’aver trattato separatamente le
interazioni tra gli orbitali diventa un’approssimazione importante.

78
Come si spiega l’inversione orbitalica?
La procedura che abbiamo seguito si basa su una approssimazione, e pertanto conduce ad uno
schema approssimato che va bene solo in determinate condizioni: l’approssimazione è quella di
considerare trascurabile la interazione fra orbitali molecolari della stessa simmetria.
Questa approssimazione a sua volta deriva dall’aver considerato trascurabile l’interazione (o in
termini più semplici la sovrapposizione) orbitalica fra orbitali 2s di un atomo con i 2p dell’altro
atomo e vice-versa.
Questa interazione (e così la sovrapposizione) non è nulla. In questo contesto, mentre abbiamo
che l’integrale di sovrapposizione
2s A | 2 p A  0

perché gli orbitali atomici centrati sullo stesso atomo sono ortogonali, l’integrale

2s A | 2 p B  0

perché i due orbitali sono centrati su atomi diversi.


Quindi la procedura corretta da seguire per costruire gli orbitali molecolari è di fare interagire fra
loro tutti gli orbitali atomici (2s, 2p) di un atomo con quelli (2s, 2p) dell’altro atomo.
Poiché procediamo in modo qualitativo, è più conveniente ‘lavorare’ sugli orbitali di simmetria che
abbiamo appena costruito, e riconoscere che in determinate situazioni (O2 e F2) abbiamo
trascurato l’interazione tra orbitali della stessa simmetria.
Ci poniamo ora nel caso in cui la separazione energetica tra 2s e 2p è abbastanza piccola da
permettere una interazione tra questi orbitali. Quindi, quando costruiamo lo schema di
interazione orbitalica dobbiamo preoccuparci di come l’orbitale 1σg potrà interagire con l’unico
altro σg. Analogamente dobbiamo preoccuparci di come l’orbitale 1σ u potrà interagire con l’unico
altro σu.
Se conosciamo il segno dell’interazione tra questi orbitali molecolari possiamo dedurre
qualitativamente la loro forma.
Dobbiamo inoltre tener presente cosa accade spostandoci verso destra lungo la seconda riga della
tabella periodica: come abbiamo discusso precedentemente, la separazione energetica s/p
aumenta quando ci spostiamo verso destra.
In sintesi, abbiamo una interazione fra orbitali di simmetria ma al contempo una differenza di
energia che non è costante lungo la riga. Possiamo studiare l’effetto di questi due parametri
ricordando le espressioni fondamentali della teoria delle perturbazioni.
La convenzione (che scegliamo arbitrariamente) per definire il segno di un orbitale atomico (e la
corrispondente rappresentazione grafica) è la seguente

79
Notiamo che quello a più bassa energia, il 2σ g è la combinazione meno di due orbitali 2p presi con
la stessa orientazione delle fasi.
Abbiamo già discusso questa possibilità parlando di H2+: dipende dal segno dell’interazione β (HAB);
quindi per H2+ l’interazione è negativa e la combinazione + sta ad energia più bassa.
Possiamo giustificare il perché anche in modo qualitativo:

 l’orbitale combinazione - è legante, mentre quello combinazione + è antilegante, quindi è


logico che l’orbitale legante si trovi ad energia più bassa.
 l’orbitale combinazione - ha un piano nodale in meno rispetto all’orbitale combinazione + e
sappiamo che il numero di piani nodali regola l’energia: tanti più sono i nodi tanto più alta
l’energia, quindi è giusto che l’orbitale combinazione meno si trovi a più bassa energia.

Possiamo giustificare il perché anche in modo più formale ricordando che le energie degli orbitali
σg e σu della molecola di H2+ sono date da

H AA  H AB
E 
(1  S )

H AA  H AB
E 
(1  S )

In altre parole, se HAB è negativa (come nel caso di H2+) allora E+ è più bassa di E-, ma se HAB fosse
positiva sarebbe il contrario ed E+ sarebbe più alto di E-.
Per capire se una interazione è positiva o negativa possiamo calcolarla esattamente oppure
possiamo basarci sulla formula ‘fenomenologica’

HAB = -cost ·S

Se S è positivo H è negativo e viceversa.


Nel caso degli orbitali 2σg e 2σu la sovrapposizione orbitalica fra due orbitali 2p diretti lungo l’asse
di legame è negativa perché la zona all’interno dei due centri atomici ha fase diversa per l’orbitale
sull’atomo A e quello sull’atomo B:

80
Ora studiamo il segno della interazione fra orbitali della stessa simmetria del CASO A, ovvero
quando l’orbitale 2σg è sotto l’orbitale 1πu.
Se l’interazione è positiva allora la combinazione a più bassa energia è la combinazione -, mentre
se l’interazione è negativa allora la combinazione a più bassa energia è la combinazione +.
Esaminiamo l’interazione fra l’orbitale 1σg e l’orbitale 2σg e cerchiamo di capire che segno ha la
sovrapposizione orbitalica e l’interazione fra i due orbitali. Possiamo costruire intuitivamente il
diagramma di interazione, che avrà presumibilmente questa forma

I livelli a destra e sinistra sono quelli interagenti e dovuti agli orbitali approssimati costruiti per il
CASO A, quelli in mezzo sono i livelli risultanti dalla interazione e costituiscono una migliore
approssimazione degli orbitali molecolari.
Analogamente avremmo uno schema simile per gli orbitali di simmetria σ u.
Possiamo discutere gli effetti della interazione fra orbitali della stessa simmetria (ma anche le
interazioni fra orbitali atomici per formare orbitali molecolari) utilizzando qualitativamente la
teoria delle perturbazioni.
In questo caso la perturbazione H(1) è l’interazione fra i due orbitali di simmetria del CASO A, che
abbiamo inizialmente pensato fosse trascurabile, e come tale è relativamente piccola.L’energia del
sistema perturbato è dato dalla somma delle correzioni all’energia dell’ordine (0)

E = E(0) + E(1) + E(2) + …

e la funzione d’onda è costruita come

  0( 0)  k ak k( 0)

Abbiamo a che fare con due stati, 1σg e 2σg che sono soluzioni dell’Hamiltoniano all’ordine (0) H(0)
e sono le autofunzioni Ψ1(0) e Ψ2(0). La funzione d’onda complessiva è una combinazione lineare
delle funzioni di ordine (0), quindi la funzione d’onda per lo stato 1σg’ sarà

1(1)  1(0)  a2 2(0)

E la funzione d’onda per lo stato 2σg’ sarà

2(1)  2( 0)  a11( 0)

La teoria delle perturbazioni quindi dice una cosa importante: l’orbitale σg’ assomiglierà in gran
parte all’orbitale σg più vicino energeticamente, e subirà la correzione da parte dell’altro orbitale.

81
Guardiamo ora l’energia: l’energia all’ordine (0) del livello 1σg è E1(0) e l’energia all’ordine (0) del
livello 2σg è E2(0). La correzione al primo ordine dell’energia di un generico stato k è il valore della
perturbazione diagonale, cioè calcolata utilizzando la funzione di ordine (0)

Ek(1)  k( 0) | H (1) | k( 0)


Quindi nel nostro caso, per l’energia E1

E1(1)  1 g | H (1) | 1 g  0

La correzione al prim’ordine è zero in questo caso perché la perturbazione non cambia l’energia di
ciascun livello iniziale (i termini diagonali sono nulli). Analogamente sarà zero anche la correzione
al prim’ordine per E2.
La perturbazione insorge quando i due livelli energetici interagiscono e lo fanno attraverso una
interazione che H12, quindi quello che è diverso da zero è

H12(1)  1 g | H (1) | 2 g  0

Questo termine definisce la correzione al secondo ordine, che è

H122
E ( 2)

E1  E2
1

Complessivamente quindi l’energia dello stato 1σg’ è data da

H122 H2
E1( 0)  E1(1)  E1( 2)  E1( 0)   E1( 0)  12
E1  E2 E

Dove il segno meno deriva dal fatto che E2 è maggiore di E1 e ΔE è positivo. Questa espressione
indica che l’interazione tra i due orbitali porta a un livello 1σg’ a minore energia.

E1( 0)
1( 0)
H122
E ( 0)

E
1

Analogamente, per il livello 2 si avrà


H122 H122
E (0)
E (1)
E ( 2)
E ( 0)
  E2 
(0)

E2  E1 E
2 2 2 2

Che indica che a seguito dell’interazione si genera uno stato 2σg’ a più alta energia.

82
H122
E ( 0)

E2( 0) 2
E
2( 0)
La teoria delle perturbazioni spiega lo spostamento energetico degli orbitali molecolari corretti
(che avevamo ottenuto in modo qualitativo) e spiega anche il perché ci sia una inversione
spostandosi da sinistra verso destra lungo la II riga.
L’ampiezza dello spostamento energetico (in basso e in alto), a parità di interazione 𝐻12, sarà più
grande se i due livelli energetici imperturbati 𝐸1 ed 𝐸2 sono più vicini in energia.
Spostandosi verso destra lungo il secondo periodo la separazione energetica tra gli orbitali 1s e 2p
aumenta, e quindi aumenta anche la separazione tra 𝐸1 ed 𝐸2, di conseguenza la correzione
all’energia diminuisce.
D’altra parte, quando la differenza di energia 𝐸2−𝐸1 è piccola (parte sinistra del II periodo),
l’effetto complessivo della perturbazione (interazione) sull’energia dell’orbitale è grande perché la
differenza di energia sta al denominatore del termine correttivo.
Come conseguenza l’orbitale 2𝜎𝑔 viene spinto molto in alto e può superare l’energia del livello 𝜋𝑢
come mostrato nel seguente schema che corrisponde al CASO B

Gli orbitali molecolari del CASO B sono ottenuti considerando l’effetto di tutte le interazioni fra
orbitali atomici dei due atomi componenti.
Si riferisce in particolare a quei casi in cui l’effetto combinato dell’interazione e della differenza di
energia fra I due orbitali 1𝜎𝑔, 2𝜎𝑔 , sposta il secondo dei due sopra l’orbitale 𝜋𝑢.

Riassumendo:
 Una separazione ΔE più grande implica un denominatore più grande nel termine correttivo
e quindi una correzione più piccola dell’energia. Questo è ciò che accade spostandosi da
sinistra verso destra nella tavola periodica
 Il gap s/p è ancora abbastanza piccolo per N2, per il quale l’effetto globale dalla teoria delle
perturbazioni è grande e 2σg sta sopra πu.

83
 Il gap è cresciuto abbastanza per O2 , per il quale l’effetto globale dalla teoria delle
perturbazioni è più debole a causa della maggiore separazione energetica fra orbitali
atomici s e p, e 2σg rimane sotto πu. In questo caso lo schema più approssimato del CASO A
è in accordo con l’andamento energetico osservato per gli orbitali.

Forma degli orbitali corretti


Dobbiamo ora analizzare la forma delle funzioni d’onda associate ai nuovi livelli corretti.
Esaminiamo l’interazione dell’orbitale 1σg con 2σg e cerchiamo di capire che segno ha la
sovrapposizione orbitalica e l’interazione fra i due orbitali. L’interazione H12 è data da

H12  2s A  2sB | H | 2 pA  2 pB  KS

Per conoscere il segno dell’interazione dobbiamo studiare il segno della sovrapposizione S che ha
la forma
S  2s A  2sB | 2 p A  2 pB
 2s A | 2 p A  2sB | 2 pB  2s A | 2 pB  2sB | 2 p A
 0  0  S s A , pB  S p A , s B

S s A , pB

S p A ,sB

Il primo integrale è negativo ma con il segno – davanti diventa positivo ed è positivo anche il
secondo integrale. Nel complesso la sovrapposizione è > 0, quindi l’interazione H è < 0 e di
conseguenza l’orbitale a più bassa energia è la combinazione + dei due orbitali di partenza.
Analizziamo ora quale sarà la forma degli orbitali dopo l’interazione. Un orbitale sarà la
combinazione + di 1σg e 2σg e l’altro sarà la combinazione -.
Ricordiamo che si mescolano solo orbitali della stessa simmetria, mentre quelli di simmetria
diversa non si mescolano (cioè non interagiscono).

Combinazione +

Come si può notare l’effetto dell’orbitale 1σg è quello di aumentare il contributo della parte dello
stesso colore dell’orbitale 2σg. In particolare aumenta la densità nella zona interna al legame e la
diminuisce nella zona esterna.

84
Combinazione –

L’effetto della combinazione – è di ridurre la densità elettronica nella zona di legame.


Qualitativamente quindi ci aspettiamo che la combinazione + sia quella a minore energia.
Possiamo dare un’interpretazione più formale consideriamo l’espressione della funzione d’onda
fornita dalla teoria delle perturbazioni: ci sono due stati imperturbati, Ψ1 e Ψ2 e l’unica cosa in
gioco è la loro interazione. La teoria delle perturbazioni dice che, concentrando l’attenzione sul
livello 1, cioè quello a più bassa energia, l’espressione della sua funzione d’onda sarà data dalla
funzione imperturbata più un contributo a2 derivante dal livello 2

H122
1  1o  a2 2o dove a2 
E1  E2

Il denominatore è negativo perché E1<E2, e H12 abbiamo visto che è negativo perché la
sovrapposizione S è positiva. Quindi nel complesso il coefficiente a 2 è positivo, ciò significa che lo
stato Ψ1 è corretto aggiungendo una parte dello stato Ψ2.
La teoria delle perturbazioni indica inoltre che il nuovo livello sarà più simile al livello di partenza
più vicino in energia.
Analogamente, per il livello 2
H122
2  2  a11
o o
dove a1 
E2  E1

Siccome il numeratore è negativo e il denominatore è positivo, nel complesso il coefficiente a 1 è


negativo. Ciò significa che lo stato Ψ2 è corretto sottraendo una parte dello stato Ψ1.
Le stesse considerazioni si applicano ai livelli 1σu e 2σu. Anche in questo caso i due orbitali
possono dare interazione (per cui H12≠0), attraverso una combinazione + e una combinazione -.
Sono entrambi orbitali di antilegame in quanto presentano un piano nodale.

Combinazione +

Combinazione –

La combinazione – sarà quella a più bassa energia in quanto presenta il minore carattere
antilegante. Il carattere antilegante così ridotto che può essere considerato come un orbitale di
non legame.

85
Ricapitolando: abbiamo visto che le due coppie di due orbitali di simmetria del CASO A (σg e σu)
hanno una interazione diversa da zero. Questo significa che questi orbitali sono accettabili solo
quando l’interazione è trascurabile, mentre in tutti gli altri casi dobbiamo procedere e costruire
nuovi orbitali molecolari (meno approssimati) a partire da quelli che abbiamo visto nel CASO A,
facendoli interagire.
La differenza essenziale fra CASO A e CASO B è la posizione dell’orbitale molecolare 2σ g
relativamente al πu. L’aspetto importante per comprendere l’inversione orbitalica è considerare la
grandezza del termine correttivo dell’energia

H122
E2g  E2o 
E

La separazione ΔE dipende dalla separazione energetica degli orbitali atomici che compongono i
due orbitali molecolari 2σg e 1σg del CASO A, cioè in ultima analisi dalla separazione energetica fra
orbitali 2s e 2p. Nella Tavola periodica, per atomi della riga Li-Ne c’è una inversione nell’ordine
orbitalico dal CASO B al CASO A quando si va da N2 ad O2. Una ragione è che la separazione
energetica s/p cresce andando da sinistra a destra nella tavola periodica.
Per atomi della riga successiva le cose sono un po’ diverse. Abbiamo sempre una sequenza
orbitalica di tipo CASO A da Al2 in poi, con l’orbitale 2σg sempre sotto l’orbitale πu: in questo caso
la ragione è che la interazione fra gli orbitali p che porta alla formazione del’orbitale π u è più
debole e quindi la separazione fra orbitali πg e πu è più piccola.
Quindi anche se l’orbitale 2σg viene spinto in alto dalla interazione con l’orbitale 1σ g, rimane
sempre sotto l’orbitale πu.

Tutte le considerazioni sono rappresentate nella seguente tabella:

86
Nella terza colonna è presente l’etichetta dello stato elettronico, che può essere determina in
modo semplice applicando la teoria dei gruppi.
Quasi tutte queste configurazioni elettroniche, eccetto O2 e B2, hanno tutti gli orbitali
doppiamente occupati.
La simmetria di uno stato elettronico è determinata dal prodotto delle simmetrie, ovvero dal
prodotto delle rappresentazioni irriducibili, degli orbitali molecolari che sono occupati. Quando
però abbiamo un orbitale doppiamente occupato, esso restituisce una rappresentazione total
simmetrica, in quanto Σg x Σg = Σg, Σu x Σu = Σg e così via.
Ogni volta che abbiamo a che fare con orbitali singolarmente o doppiamente degeneri,
doppiamente occupati, il loro contributo alla simmetria dello stato è total simmetrica.
Questa è la ragione per cui, tralasciando gli stati di tripletto, vediamo solamente degli stati Σ (per
la parte alta della tabella).
La quarta colonna contiene i valori delle distanze di legame e si può notare che hanno un
andamento variabile. Le distanze di legame devono essere correlate ai valori dell’ultima colonna,
che riporta l’ordine di legame (Bond Order, BO), cioè la differenza fra il numero di orbitali di
legame (bonding=B) e quelli di antilegame (AB).
Per la molecola di Be2, siccome l’ordine di legame è 0 ci si potrebbe aspettare una lunghezza di
legame maggiore rispetto a quella di Li2, tuttavia oltre all’effetto del B.O. occorre tenere presente
che spostandosi verso destra gli atomi diventano più elettronegativi e quindi il raggio covalente
dell’atomo diminuisce.

Nella parte bassa della tabella sono presenti le molecole formate dagli atomi del terzo periodo.
Se la separazione energetica tra gli orbitali 2s e 2p aumenta spostandosi verso destra è logico
aspettarsi un’inversione orbitalica simile a quella del secondo periodo. In realtà questo non
avviene e si può notare che tutte queste molecole sono corrispondenti al CASO A, in cui πu sta
sopra a σg. C’è sempre un aumento della separazione energetica nella parte destra ma in questo
caso quello che gioca il ruolo più importante è il fatto che, per atomi della terza riga, la
sovrapposizione tra gli orbitali p, e quindi la loro interazione, è più piccola rispetto agli atomi della
seconda riga. Ragion per cui l’orbitale πu si allontana maggiormente dall’orbitale σg e, per quanto
quest’ultimo venga spostato in alto dall’interazione, non arriva mai a superare il πu.

Gli stati elettronici dell’Ossigeno


La molecola di ossigeno è particolare perchè la sua configurazione elettronica non è a guscio
chiuso ma open shell. Nella configurazione fondamentale l’ossigeno è in uno stato di tripletto

O2  [ N 2 ] g2

In particolare l’orbitale molecolare 𝜋𝑔 è solo parzialmente occupato con due elettroni invece di 4.
Di conseguenza dobbiamo considerare quali sono le possibili disposizioni degli elettroni con il loro
spin, così come abbiamo fatto quando abbiamo discusso gli stati elettronici di H2 che derivano
dalla configurazione elettronica (𝜎𝑔)1(𝜎𝑢)1.
Vediamo perciò quanti stati elettronici risultano dalla configurazione elettronica fondamentale di
O2 e quale di essi si trova a più bassa energia, cioè è lo stato elettronico fondamentale.

87
C’è un modo molto semplice basato sulla teoria dei gruppi: siccome tutti gli orbitali precedenti a
𝜋𝑔 sono doppiamente occupati, complessivamente restituiranno la rappresentazione total
simmetrica, bisogna quindi determinare le rappresentazioni irriducibili che derivano dalla
configurazione elettronica (𝜋𝑔)2, perché è l’unica che contribuisce alla simmetria totale.
Dobbiamo quindi determinare, in termini di simmetria, il prodotto Πg x Πg, che corrisponde al
prodotto dei caratteri.
Dalla tabella del gruppo D ooh sappiamo che la rappresentazione Πg è bidimensionale, quindi il
prodotto dei caratteri sarà 2x2=4 ma siccome non esistono rappresentazioni irriducibili di
dimensione 4, questa rappresentazione è riducibile.
Per estrarre le rappresentazioni irriducibili si può ricorrere alle tabelle dei prodotti diretti.

Il prodotto Πg x Πg restituisce Σg + Σg + Δg, quindi dalla configurazione fondamentale si originano


tre stati elettronici di cui uno spazialmente degenere (Δ). Il pedice ‘g’ deriva dal fatto che i due
orbitali degeneri π in gioco sono entrambi gerade e sappiamo che g x g = g.
La teoria dei gruppi tuttavia non è in grado di fornire informazioni sugli stati di spin di queste
configurazioni.

Un altro modo per determinare le configurazioni possibile e i relativi stati di spin prevede di
sistemare gli elettroni con il loro spin nei due orbitali 𝜋𝑔 a disposizione e prendere nota del valore
della proiezione lungo l’asse z del momento angolare orbitale totale 𝑀Λ e di spin totale 𝑀𝑆.
Gli orbitali 𝜋𝑔 sono degeneri e corrispondono ai due valori 𝑚 = ±1

88
Per identificare gli stati elettronici consideriamo che
 Per Λ=2 si ha solo il valore di 𝑀𝑆=0, pertanto lo stato elettronico corrispondente sarà Δ e di
singoletto.
 Per Λ=0 si hanno in corrispondenza i valori di 𝑀𝑆=0,0,−1,1. Tre di questi valori devono
corrispondere ad uno stato di tripletto e uno ad uno di singoletto (vedere la discussione già
fatta per H2). Sia lo stato di tripletto che quello di singoletto sono spazialmente non
degeneri cioè Σ.

Gli stati risultanti dalla configurazione (πg)2 saranno pertanto:

2 S 0 1
g

0 S 1 3
g

0 S 0 1
g

La molecola di O2 quindi, nella configurazione elettronica (πg)2 compare in tre livelli diversi, che si
possono moitorare sperimentalmente.
Ricordiamo che lo stato di singoletto corrisponderà alla combinazione - dei due determinanti di
Slater associati alle disposizioni 4 e 6 delle pagine precedenti, mentre la terza funzione di tripletto
corrisponderà alla combinazione + degli stessi due determinanti di Slater.
Per quanto abbiamo discusso in precedenza, sappiamo che lo stato di tripletto è più stabile dello
stato di singoletto che si origina da una data configurazione elettronica ‘open-shell’, quindi la
molecola di ossigeno ha uno stato fondamentale di tripletto.
Lo stato fondamentale è seguito, ad energia più elevata, dai due stati eccitati di singoletto 1∆g e
1
Σg. Il primo dei due, 1∆g, è degenere e secondo le regole di Hund, si trova ad energia minore.
Le transizioni elettroniche singoletto-tripletto sono proibite per spin e pertanto la transizione agli
stati di singoletto (che si trovano circa 0.977eV e 1.627eV sopra lo stato fondamentale) non
avviene. Tuttavia esiste una transizione permessa tripletto-tripletto a 49000 cm-1 (cioè 6.08 eV)
quindi nella regione dell’UV.
Grazie all’assorbimento in questa regione, l’ossigeno è in grado di proteggerci dalle transizioni
(radiazioni) UV. D’altra parte, l’assorbimento in questa regione spettrale fa si che l’ossigeno debba
essere eliminato durante misure spettroscopiche.

Molecole biatomiche eteronucleari


Nel caso delle molecole biatomiche etero nucleari cade l’aspetto della simmetria e di fatto il ruolo
dei due atomi non è più lo stesso. Di conseguenza avremo sì orbitali σ e π ma senza la distinzione
tra “g” e “u”.
Quello che entra in gioco in questo caso è l’elettronegatività, che sarà diversa per i due atomi.
Se prima avevamo orbitali degeneri per l’atomo A e per l’atomo B, adesso la degenerazione
sparisce, in quanto se B è più elettronegativo di A (o viceversa) e il risultato è una densità di
elettroni più elevata in B che in A (o viceversa). In termini di orbitali molecolari il diagramma di
interazione orbitale appare come il seguente, in cui l'orbitale di 1s di B si trova più basso in energia

89
Quindi per una molecola biatomica eteronucleare, in generale, gli elettroni non sono condivisi in
modo uguale dai due atomi.
Innanzitutto, il numero di elettroni forniti da ciascun atomo non è lo stesso e, in secondo luogo, gli
elettroni effettivamente coinvolti nel legame non hanno una distribuzione simmetrica intorno ai
due atomi. Di conseguenza, le molecole biatomiche eteronucleari sono solitamente polari.
Gli orbitali molecolari, che risultano dalla combinazione dei due orbitali atomici, non saranno più
dati semplicemente da
  c11s A  c21sB

Con c1 = ±c2 =±1, ma avremo che c1 ≠ c2, e la differenza tra i coefficienti sarà tanto più grande
quanto più grande è la differenza di elettronegatività tra i due atomi.
La teoria delle perturbazioni esprime l’orbitale molecolare risultato dell’interazione, ad esempio
σ1, in una forma molto simile all’orbitale 1sB, corretto attraverso un coefficiente che moltiplica 1s A

H AB
 1   1s B  1s A
E

Se l’elettronegatività di B aumenta, aumenta anche il ∆E e diminuisce il contributo del coefficiente.


E man mano che diminuisce il contributo del coefficiente, si arriverà alla situazione limite in cui
l’orbitale molecolare è dato solo ed esclusivamente dal contributo di 1s B. Quindi attraverso queste
considerazioni passiamo via via da una situazione di legame covalente polare, a una situazione di
legame ionico, e quando l’orbitale σ1 è diventato semplicemente l’orbitale 1sB, i due elettroni
finiscono entrambi sull’atomo B e abbiamo un legame completamente ionico.
In questo modo ci riagganciamo alla natura del legame della molecola di idrogeno che è, a livello
dell’approccio Hartree-Fock, per il 50% covalente e per il 50% polare. Questa natura nasceva dal
fatto che, nel caso di H2, la funzione d’onda era data da 1sA+1sB e dal fatto che veniva sviluppata la
parte spaziale, cioè σgσg.
Quando abbiamo due atomi con differente elettronegatività la funzione d’onda non è più
bilanciata e tende a prevalere il ruolo dell’orbitale atomico a più bassa energia.

 Acido fluoridrico, HF
L’effetto della differenza di elettronegatività tra l’idrogeno e il fluoro consiste nella presenza di un
momento di dipolo elettrico di 1,91 D. Questo effetto si traduce in uno sbilanciamento degli
orbitali della molecola, che sono formati dall’orbitale 1s dell’idrogeno (unico disponibile) e dagli
orbitali 2s e 2p del fluoro. A causa dell’elevata elettronegatività, l’orbitale 2s si trova a energia
molto più bassa rispetto all’orbitale 1s dell’idrogeno. Ragion per cui in questa discussione
consideriamo come responsabili del legame H-F solo l’orbitale 1s dell’idrogeno e l’orbitale 2px del
fluoro (dove x è l’asse di legame).

90
Quindi avremo
 1  cH 1sH  cF 2 pxF
 1  cH' 1sH  cF 2 pxF

I coefficienti possono essere determinati dall’applicazione del principio variazionale

 1  0,33 1sH  0,94  2 pxF


 1  0,94 1sH  0,33  2 pxF

La forma degli orbitali molecolari si può ricavare dai grafici delle curve di isodensità elettronica:

Per capire meglio la forma degli orbitali molecolari risultanti possiamo basarci sull’approccio
perturbativo: data una combinazione di orbitali atomici interagenti l’orbitale molecolare risultante
assomiglia all’orbitale più vicino in energia che lo ha generato e il ruolo degli altri orbitali atomici è
minore.
L’orbitale σ a più bassa energia è sostanzialmente determinato dall’orbitale atomico 2s del Fluoro
con un po’ di contributo dell’orbitale 1s di H che comunque si trova ad energie più elevate.
L’orbitale 2s è così in basso energeticamente che viene considerato come un orbitale di non
legame (σnb).
Il secondo orbitale σ riceve il maggior contributo dall’orbitale 2p di F diretto lungo l’asse di legame
(Per questo c’è un piano nodale sull’atomo di F), e riceve un contributo un po’ minore dall’orbitale
atomico 1s di H.
L’orbitale π infine può ricevere contributo solo dall’atomo di F e quindi coincide con i due orbitali
atomici 2p diretti perpendicolarmente all’asse di legame, i quali non possono interagire con
l’orbitale 1s perché hanno simmetria diversa.

91
Nella discussione delle molecole biatomiche abbiamo fatto interagire orbitali σg con orbitali σg,
della stessa simmetria. Se esistesse un’interazione tra un σg e un πu, l’elemento di matrice

 g | Hˆ |  u

sarebbe ≠0. L’operatore Hamiltoniano è sempre totalsimmetrico e, in termini di simmetria, può


essere portato fuori dall’integrale, quindi quello che conta è il prodotto tra i due elementi σg e πu.
Affinchè tale prodotto contenga la rappresentazione total simmetrica è necessario che i due
elementi siano identici, ma σg x πu = πu.

MOLECOLE TRIATOMICHE

Orbitali molecolari e diagramma di Walsh


Quando passiamo dalle molecole biatomiche a quelle triatomiche entra in gioco un aspetto nuovo
che riguarda la geometria: la molecola può essere non solo lineare ma anche piegata o triangolare.
Nel discutere queste molecole seguiremo un approccio qualitativo simile a quello seguito per le
molecole biatomiche, per costruire diagrammi degli orbitali molecolari.
D’altro lato dobbiamo considerare le possibili strutture (piegata e lineare) delle molecole
triatomiche e determinare qual è la geometria di equilibrio questo obiettivo si raggiunge
costruendo diagrammi di correlazione orbitalica al variare della geometria nucleare.
Questi diagrammi si chiamano diagrammi di Walsh e permettono di capire come varia la
geometria molecolare al variare della struttura elettronica.
Vedremo la costruzione del diagramma di Walsh per la molecola H3 e quello più generale per le
molecole triatomiche tipo AH2, in cui A è un atomo del secondo periodo.
Un diagramma di Walsh riporta in ordinata l’energia e in ascissa una coordinata geometrica.
Quando la molecola cambia la propria geometria subisce una variazione energetica: si riportano in
grafico sequenze di orbitali per ogni geometria e si verifica il profilo energetico collegando le varie
sequenze per determinare un minimo di energia.
Per costruire un diagramma di Walsh occorre quindi conoscere gli orbitali molecolari della
molecola in due o più geometrie diverse.

 Struttura lineare
Abbiamo tre atomi di idrogeno e quindi tre orbitali 1s, che identifichiamo con le etichette H1, H2 e
H3. Invece di utilizzare gli orbitali atomici, per costruire gli orbitali molecolari di H 3 usiamo orbitali
di frammento, utili dal punto di vista della simmetria. Una volta determinata la forma di questi
orbitali, si fanno interagire e si determina in modo qualitativo l’energia associata a ogni
combinazione. Gli orbitali di frammento che utilizziamo per H3 hanno la forma

FRAMMENTO 1 FRAMMENTO 2
Il primo frammento è costituito dagli orbitali H1 e H3, corrispondenti agli atomi di idrogeno agli
estremi della molecola, mentre consideriamo l’atomo centrale, H2, come secondo frammento.

92
Nel diagramma di interazione orbitalica avremo un solo livello corrispondente al secondo
frammento, mentre per il primo frammento avremo due livelli energetici

Nella struttura lineare i due atomi di idrogeno agli estremi si trovano a una distanza
approssimativamente pari al doppio della distanza H-H quindi avranno un’interazione molto
debole e la loro separazione energetica sarà molto piccola.
Siccome i tre orbitali hanno simmetria cilindrica, la molecola appartiene al gruppo di simmetria
D∞h

In azzurro e bianco sono


indicati gli orbitali
molecolari risultanti

Posso combinare solo orbitali di frammento della stessa simmetria, quindi l’orbitale di frammento
σu è già orbitale molecolare di H3 perché non esiste un altro orbitale di frammento della stessa
simmetria.
Ci sono invece due orbitali di frammento σ g: la loro interazione (negativa) genera due nuovi
orbitali della stessa simmetria che sono sostanzialmente le combinazioni + e - dei due componenti.
Per determinare quale sia la combinazione a minore energia dobbiamo analizzare il segno
dell’interazione:

→ S < 0, H > 0

→ S > 0, H < 0

La combinazione + sarà quindi quella a più bassa energia.

93
 Struttura a triangolo equilatero

In questo caso i due orbitali di frammento hanno la forma

FRAMMENTO 1 FRAMMENTO 2

Nel diagramma di interazione orbitalica avremo un solo livello corrispondente al secondo


frammento, mentre per il primo frammento avremo due livelli energetici

Nella struttura a triangolo equilatero i due orbitali con fase opposta del primo frammento
interagiscono abbastanza perché si trovano molto più vicini rispetto alla struttura lineare, di
conseguenza nel diagramma di interazione orbitalica saranno molto separati energeticamente. In
questo caso la molecola appartiene al gruppo di simmetria D3h, che ha rappresentazioni irriducibili
sia monodimensionali che bidimensionali. Rispetto al piano di simmetria σh che passa per il vertice
superiore della molecola, riconosciamo che

Sono simmetrici È antisimmetrico

In base a queste considerazioni, il diagramma di interazione orbitalica è quindi

94
L’interazione tra i due frammenti genera una combinazione + con simmetria a1’ e una
combinazione – con simmetria e’. Anche in questo caso la combinazione + quella a minore energia

Si può notare dal grafico che l’orbitale della combinazione – è degenere rispetto all’orbitale di
frammento 1 antisimmetrico.

 Struttura a triangolo isoscele


Nella configurazione a triangolo isoscele uno dei tre angoli è diventato < 60°.

In questo caso i due orbitali di frammento hanno la forma

FRAMMENTO 1 FRAMMENTO 2

Nel diagramma di interazione orbitalica avremo un solo livello corrispondente al secondo


frammento, mentre per il primo frammento avremo due livelli energetici

Nella struttura a triangolo isoscele i due atomi di idrogeno del primo frammento interagiscono
ancora di più perché si trovano più vicini rispetto alla struttura a triangolo equilatero, quindi nel
diagramma di interazione saranno ancora più separati energeticamente. Nella configurazione a
triangolo isoscele la molecola appartiene al gruppo di simmetria C 2v e anche in questo caso
possiamo limitarci a considerare la simmetria rispetto al piano σh passante per il vertice superiore,
e constatare che

Sono simmetrici È antisimmetrico

95
Siamo in una situazione analoga al caso del triangolo equilatero, quindi il livello dell’orbitale
antisimmetrico verrà portato al centro dello schema.
Avremo anche in questo caso una combinazione + e una -, con quella + a minore energia

Siccome l’angolo superiore della molecola si è ristretto, la sovrapposizione legante tra i due
orbitali scuri della combinazione – (2a1) è aumentato rispetto al triangolo equilatero, quindi la
combinazione si abbassa in energia e si posiziona al di sotto dell’orbitale antisimmetrico (b2).

Prima di passare a disegnare i diagrammi di correlazione orbitalica (o diagrammi di Walsh) che


collegano gli orbitali della geometria lineare con quelli delle geometrie piegate, discutiamo la
simmetria degli orbitali molecolari trovati

Esercizio di applicazione della teoria dei gruppi


Applichiamo la teoria dei gruppi procedendo come segue:
1) Si costruiscono i caratteri della rappresentazione riducibile Γrid associata alla base dei tre
orbitali 1s centrati su ciascun atomo di idrogeno. Questi caratteri si trovano applicando le
operazioni del gruppo D3h al vettore costituito dai tre orbitali atomi 1s.

2) Una volta ottenuta la rappresentazione riducibile occorre estrarre le rappresentazioni


irriducibili in essa contenute, utilizzando l’espressione corrispondente.

 Triangolo equilatero
Prendiamo come base per la rappresentazione del sistema i tre orbitali 1s. Nella costruzione dei
caratteri della rappresentazione riducibile, teniamo presente che: quando applichiamo
un’operazione di simmetria, solo gli atomi che non si spostano dal loro centro contribuiscono al
carattere della rappresentazione riducibile e, in questo caso, il contributo è pari a 1

E → 1; σh → 1; σv → 1; C2 → 1

96
La ragione è che questi orbitali sono perfettamente sferici, quindi rispetto a qualsiasi operazione di
simmetria rimangono sempre invariati.
Applichiamo le operazioni di simmetria del gruppo D 3h alla base degli orbitali 1s e determiniamo il
carattere della rappresentazione riducibile.

Nessun atomo si sposta e ognuno ha contributo 1, quindi Γrid(E) = 3

Tutti gli atomi si spostano, nessuno contribuisce quindi Γrid(C3) = 0

Solo un atomo non si sposta e ha contributo 1, quindi Γrid(C2) = 1

Nessun atomo si sposta e ognuno ha contributo 1, quindi Γrid(σh) = 3

Tutti gli atomi si spostano e nessuno contribuisce, quindi Γrid(S3) = 0

Solo un atomo non si sposta e ha contributo 1, quindi Γrid(σh) = 1

La rappresentazione riducibile, rispetto alle operazioni del gruppo D 3h è

97
Per decomporre la rappresentazione riducibile ed estrarre le rappresentazioni irriducibili
utilizziamo la seguente formula

operazioni
1
n o
rid 
noperazioni
  (
i
i rid )  i (irrid )

Calcoliamo quanti orbitali possiamo ottenere con simmetria a1’

n o (a1 ) 
1
3 1  3 1 1  3 1  3 1 1  1
12

Calcoliamo ora quanti orbitali possiamo ottenere con simmetria e’

n o (e) 
1
3  2  0  0  3  2  0  0  1
12

Possiamo verificare che le altre rappresentazioni irriducibili non sono contenute in Γrid

n o (a1) 
1
3 1  0  3 11  3 1  0  3 11  0
12

n o (e) 
1
3  2  0  0  3  2  0  0  0
12

Il risultato è che la rappresentazione riducibile contiene

rid  a1  e

a1’ ha dimensione 1 ed e’ ha dimensione 2, quindi nel complesso la dimensione è 3, che è il


numero di orbitali molecolari che possiamo ottenere combinando tre orbitali atomici 1s.
Gli orbitali molecolari che si generano possono avere soltanto queste simmetrie.

98
 Triangolo isoscele
Facciamo lo stesso esercizio per gli orbitali molecolari nella configurazione a triangolo isoscele, che
appartiene al gruppo di simmetria C2v

Applicando le operazioni di simmetria del gruppo alla stessa base di orbitali 1s, otteniamo che la
rappresentazione riducibile, rispetto alle operazioni del gruppo C 2v è

Applichiamo quindi la formula per estrarre le rappresentazioni irriducibili

n o (a1 ) 
1
3  1  1  1  1  1  3  1  8  2
4 4

n o (b2 ) 
1
3  1  1  1  1  1  3  1  4  1
4 4

Le rappresentazioni irriducibili alle quali devono appartenere le combinazioni di orbitali 1s dei tre
atomi di H nella configurazione a triangolo isoscele sono quindi

rid  2a1  b2

L’utilizzo di lettere minuscole o maiuscole per indicare le rappresentazioni attribuisce un senso


all’oggetto che stiamo considerando. Per indicare le configurazioni elettroniche utilizziamo le
lettere minuscole, mentre per lo stato elettronico (cioè il risultato della configurazione elettronica)
utilizziamo una lettera maiuscola.
Per indicare le rappresentazioni riducibili e irriducibili abbiamo utilizzato lettere minuscole perché
sono riferite a orbitali molecolari.

Dato un orbitale molecolare di H3 in configurazione triangolo isoscele, siamo in grado di


determinare la rappresentazione irriducibile cui appartiene?
Dobbiamo applicare le operazioni di simmetria all’orbitale e assegnare carattere 1 o -1 a seconda
che sia simmetrico o antisimmetrico rispetto all’operazione.

99
Diagramma di Walsh per molecole a 3 atomi di idrogeno
Per costruire il diagramma di Walsh dobbiamo tenere presente che:
- L’energia dell’orbitale cala (quando passiamo da una geometria ad un’altra), se la
sovrapposizione legante aumenta.
- L’energia cala se diminuisce la sovrapposizione antilegante.
- Se invece aumenta la sovrapposizione antilegante allora l’energia aumenta.

Mettiamo insieme i due diagrammi orbitalici della geometria lineare e di quella piegata (D3h) e
discutiamo qualitativamente l’andamento energetico degli orbitali quando la molecola lineare si
piega.

100
Nel livello a più alta energia della configurazione piegata (σg) sono presenti due piani nodali perché
l’orbitale centrale ha fase opposta rispetto ai due orbitali esterni. Quando i legami si piegano e la
molecola assume la configurazione triangolare, i piani nodali rimangono sempre presenti, ma i due
lobi con la stessa fase si avvicinano e sviluppano una sovrapposizione legante.
Si passa quindi da una situazione con due caratteri antileganti a una situazione con due caratteri
antileganti più un carattere legante, quindi ci si aspetta che l’energia dell’orbitale cali

Concentriamoci ora sull’orbitale σu. Siccome presenta un piano nodale passante per l’atomo
centrale, ha chiaramente un carattere antilegante. Quando passiamo alla configurazione
triangolare, i due lobi con fase opposta si avvicinano e portano un carattere antilegante in più,
quindi l’energia dell’orbitale aumenta

L’orbitale a più bassa energia (σg) si trova in una situazione con due interazioni leganti e nessun
piano nodale, perché i tre orbitali sono tutti in fase. Formando il triangolo equilatero si avvicinano
i due orbitali in fase esterni e si aggiunge una interazione legante che stabilizza ulteriormente la
molecola, e di conseguenza l’energia dell’orbitale si abbassa

Abbiamo visto che nel caso delle molecole biatomiche la situazione è più semplice: ci sono orbitali
leganti e antileganti e orbitali di non legame, molto facilmente riconoscibili.
Quando passiamo alle molecole poliatomiche con più di due atomi, non è così facile identificare un
carattere nettamente legante o nettamente antilegante.
Ad esempio, nel caso dell’orbitale e’, non è possibile stabilire se sia legante o antilegante, ma il suo
carattere dipende localmente rispetto a dove si osserva: su tre legami uno è legante e due sono
antileganti.

Una volta costruito il diagramma, per stabilire a quale geometria appartiene la molecola in esame
si costruiscono le configurazioni elettroniche inserendo gli elettroni a partire dai livelli a più bassa
energia.
101
 Molecola di H3+
Consideriamo la molecola di H3+, che ha due elettroni. Disponiamo questi due elettroni sulla linea
che congiunge i due orbitali molecolari a più bassa energia

Dobbiamo ora determinare in quale configurazione l’energia di questi elettroni è più bassa.
Si può notare dal grafico che la situazione di minore energia dei due elettroni si presenta quando
la molecola è nella configurazione a triangolo equilatero (D 3h): possiamo quindi stabilire che H3 ha
geometria triangolare.
Nell’ambito di questo modello quindi, la geometria della molecola con un dato numero di elettroni
è determinata dall’andamento energetico dell’orbitale HOMO, cioè dell’orbitale molecolare
occupatp a più alta energia (che nel caso di H3+ è a1’).

 Molecola di H3
Aggiungiamo ora un elettrone e determiniamo la geometria della molecola di H3. Siccome sono
presenti tre elettroni l’orbitale a più bassa energia è già doppiamente occupato, quindi dobbiamo
concentrarci sull’orbitale successivo che diventa il nuovo orbitale HOMO

Il nuovo elettrone sarà più stabile nella configurazione geometrica lineare. Di conseguenza la
molecola di H3 ha geometria lineare.

Nel caso dello ione H3- abbiamo 4 elettroni ma l’orbitale HOMO da riempire è lo stesso della
molecola di H3+, quindi possiamo stabilire che H3- avrà la stessa geometria, cioè quella lineare.

102
Analizziamo le distanze di legame di queste tre molecole, riferendoci a quelle di H 2 e H2+.

Abbiamo visto che H2 ha un legame più lungo rispetto a H2+ in quanto ci sono due elettroni che
contribuiscono al carattere legante.
Nel caso di H3+ siamo in una situazione intermedia. Rispetto ad H2 abbiamo un legame in più e un
elettrone in meno, quindi i suoi legami sono più lunghi rispetto ad H 2 ma comunque più corti
rispetto ad H2+.

Incroci ed incroci evitati nei diagrammi di correlazione orbitalica


Oltre alle strutture lineari e D3h abbiamo considerato anche la C2v. Mettiamo insieme i tre
diagrammi orbitalici e congiungiamo i livelli energetici

Quando la molecola riduce uno degli angoli e si porta alla configurazione a triangolo isoscele si
rompe la degenerazione dei due orbitali e’: quello con i lobi inferiori di segno opposto si porta a
energia superiore perché aumenta la sovrapposizione antilegante, mentre quello con i due lobi
inferiori con lo stesso segno si abbassa in energia perché da una parte aumenta la sovrapposizione
legante e dall’altra l’orbitale di segno opposto si allontana e diminuiscono le interazioni
antileganti.

103
La lettura di questo diagramma completo è che per H3 e H3- attendiamo una struttura o lineare o
C2v ma certamente non D3h.

Questo è un esempio del cosiddetto effetto Jahn-Teller, per il quale un composto di coordinazione
con una elevata simmetria in realtà si trova a simmetria più bassa.
Possiamo immaginare la nostra molecola in una configurazione ad elevata simmetria ma in realtà
si riscontra che configurazioni a simmetrie più basse sono più stabili. Dal punto di vista fisico, per
determinare se per H3 è più stabile la configurazione lineare o C 2v bisogna costruire le curve di
energia potenziale: la molecola potrebbe assumere geometria C 2v ma dai calcoli risulta che tale
geometria non corrisponde al minimo di energia potenziale.
Nel costruire diagrammi orbitalici in cui si riporta l’andamento dell’energia orbitalica in funzione di
una coordinata geometrica dobbiamo sempre tenere presente la non crossing rule: orbitali della
stessa simmetria non possono incrociarsi perchè a causa della interazione si formano degli incroci
evitati (avoided crossings).
In questo caso l’incrocio è possibile perché la simmetria indica che c’è degenerazione, tuttavia
potrebbero capitare situazioni di questo tipo:

104
Osserviamo una serie di incroci tra andamenti energetici di orbitali che hanno tra loro simmetria
diversa. Inoltre possiamo notare che le due curve di simmetria a 1 non si incrociano ma formano un
andamento particolare che nasconde, in realtà un incrocio. Questo incrocio nascosto è visualizzato
nel riquadro a sinistra.
Se la simmetria della molecola non cambia al variare della coordinata q, nel punto di incrocio si
genera una degenerazione “accidentale”, nel senso che, per ragioni di simmetria, non ci si aspetta
che ci sia degenerazione, tuttavia può avvenire perché il fatto che si incrocino significa che i due
orbitali a1 e b2 non interagiscono tra loro

H12  a1 | Hˆ | b2  0

Quando invece le due curve appartengono a due orbitali con la stessa simmetria, avviene una
interazione

H12  a1 | Hˆ | a1  0

L’effetto dell’interazione è la separazione di questi due livelli energetici degeneri. Un livello verrà
portato ad alta energia e uno a bassa energia, distanziati di 2H12.
Si verifica quindi un incrocio evitato.
Il punto fondamentale è: orbitali con simmetria diversa possono incrociarsi e orbitali con la stessa
simmetria si possono incrociare, perché danno interazione.

105
Diagrammi di Walsh per molecole AH2
Anche in questo caso usiamo l’approccio degli orbitali di frammento, dove i frammenti sono
l’atomo centrale della seconda o terza riga (A) e la molecola di idrogeno «allungata» formata dai
due atomi di idrogeno terminali.
Partiamo considerando le molecole AH2 in configurazione lineare.

 Molecole AH2 lineari


Come nel caso di H3 la costruzione del diagramma è qualitativa e passa attraverso l’uso della
simmetria.
Siccome la molecola è lineare, classifichiamo sia gli orbitali atomici dell’atomo A che quelli della
molecola di H2 secondo il gruppo di simmetria D∞h. Gli orbitali di frammento sono

FRAMMENTO 1 FRAMMENTO 2

Il frammento 1 genera quattro orbitali atomici: un orbitale 2s sferico con simmetria σg e tre
orbitali 2p degeneri ognuno diretto lungo un asse cartesiano (2px, 2py e 2pz).
Il frammento 2 genera due orbitali molecolari, uno con simmetria σg a più alta energia e uno con
simmetria σu a più bassa energia.

Facendo interagire gli orbitali della stessa simmetria otteniamo come risultato due orbitali
molecolari di simmetria σg, due σu e una coppia degenere di πu.
L’interazione degli orbitali della stessa simmetria genera le combinazioni + e -

106
Siccome la sovrapposizione S tra i due orbitali σg è >0, l’interazione H è <0 e di conseguenza la
combinazione + dei due orbitali è quella a più bassa energia.

 Molecole AH2 piegate


In questo caso classifichiamo sia gli orbitali atomici dell’atomo A che quelli della molecola di H 2
secondo il gruppo di simmetria C2v. I due orbitali di frammento sono

FRAMMENTO 1 FRAMMENTO 2

Per costruire il diagramma degli orbitali molecolari alla geometria piegata occorre innanzitutto
stabilire la simmetria degli orbitali di frammento, in modo da mescolare orbitali di frammento
della stessa simmetria, ad esempio un a1 con un a1 oppure un b2 con un b2.
Per stabilire la simmetria di un orbitale di frammento si sottopone l’orbitale a ciascuna delle
operazioni di simmetria del gruppo C2v e si tiene traccia di cosa accade all’orbitale:
- resta se stesso -> carattere = 1
- cambia segno -> carattere = -1.

Gli orbitali atomici del frammento 1 sono analoghi al caso precedente ma con simmetria diversa in
quanto appartengono al gruppo C2v: orbitale 2s sferico con simmetria a1 e tre orbitali 2p degeneri
ognuno diretto lungo un asse cartesiano (2px, 2py e 2pz).
Il frammento 2 genera due orbitali molecolari, uno con simmetria b2 a più alta energia e uno con
simmetria a1 a più bassa energia.

107
L’orbitale con simmetria b1 non interagisce con nessun altro orbitale e quindi si porta al centro del
diagramma.
L’orbitale b2 del primo frammento interagisce con l’orbitale b2 del secondo frammento generando
una combinazione + e una combinazione –. Dalla teoria delle perturbazioni sappiamo che, siccome
i due orbitali non sono degeneri, l’orbitale molecolare risultante assomiglia all’orbitale di
frammento a lui più vicino energeticamente, corretto dal contributo degli altri orbitali di
frammento che si trovano ad energia più elevata.
La combinazione che ci aspettiamo si trovi a minore energia è quella che presenta un piano nodale
passante per l’atomo A ma due interazioni leganti tra i lobi dell’orbitale 2p e l’orbitale 1s di H2.
La combinazione che si trova a più alta energia è quella che presenta invece tre piani nodali.

Gli orbitali con simmetria a1 che interagiscono sono 3: se mescoliamo fra loro 3 orbitali di
frammento di simmetria a1 dobbiamo ottenere tre orbitali molecolari della simmetria a1.
Abbiamo due orbitali, 2s e 2p, entrambi centrati sull’atomo A e le loro combinazioni generano
quelli conosciamo come orbitali ibridi, che a loro volta interagiscono con l’orbitale 1s di H2

108
Ci aspettiamo quindi che l’orbitale fortemente legante si trovi a più bassa energia e quello
fortemente antilegante si trovi a più alta energia, mentre quello debolmente legante si trovi in
mezzo.
Il diagramma orbitalico completo è

Abbiamo una sequenza di orbitali ognuno con simmetria diversa, nessuno dei quali degenere.
Analogamente al caso di H3, per costruire il diagramma di Walsh dobbiamo determinare in modo
qualitativo come varia l’energia passando dalla configurazione lineare a quella piegata.
L’aumento o la diminuzione della sovrapposizione orbitalica è sempre il fattore che regola
l’andamento energetico degli orbitali lungo la coordinata nucleare

Per orbitali come questo occorre fare


attenzione: la sovrapposizione legante
diminuisce se la molecola si piega.

Quando l’orbitale 2σu della molecola lineare passa alla configurazione piegata, gli orbitali con
segno opposto del frammento di H2 si allontanano dai lobi del frammento dell’atomo A e si
riducono le interazioni antileganti, quindi la molecola si stabilizza

109
L’orbitale πu perpendicolare al piano del foglio quando passa nella configurazione piegata assume
simmetria b1 ma siccome entrambi non interagiscono con l’orbitale di frammento della molecola
di H2, la loro energia non varia

Quando l’orbitale 1σu della molecola lineare si piega e diventa l’orbitale b2, i lobi con la stessa fase
si allontanano e si riduce la sovrapposizione legante, di conseguenza la molecola si destabilizza

Per il gruppo di orbitali con simmetria a1 dobbiamo ragionare su cosa accade in seguito al
piegamento dell’angolo H-A-H tenendo in considerazione la forma dell’orbitale che abbiamo
ricavato per la molecola piegata. In altre parole quell’orbitale molecolare che contiene anche il
contributo dell’orbitale atomico p che in simmetria 𝐷∞ℎ era isolato.
Se non considerassimo questo contributo, l’orbitale πu passando in configurazione piegata non
varierebbe la propria energia e si porterebbe al centro del diagramma. Tuttavia abbiamo visto che
la sua interazione con l’orbitale 2s dell’atomo A forma un orbitale ibrido che ha un leggero
carattere legante tra il lobo piccolo e i due orbitali 1s di H2

L’orbitale 1σg nasce come un orbitale completamente legante e lo sarà anche nella configurazione
piegata. Nella sua vera forma, con simmetria a1, ci aspettiamo che sia stabilizzato e che cali in
energia

Se analizzassimo la configurazione piegata dell’orbitale 2σg senza il contributo del 2s, potremmo
pensare che sia stabilizzato, in quanto a tutti gli effetti aumenta la componente legante tra gli
orbitali 1s di H2.
La vera forma dell’orbitale tuttavia porta una notevole interazione antilegante, quindi ci
aspettiamo che passando da lineare a 2σg venga destabilizzato

Possiamo a questo punto costruire il diagramma di Walsh per la molecola di AH2 nelle due
configurazioni lineare e piegata.

110
La posizione esatta delle energie orbitaliche dipende dall’atomo A considerato e può variare entro
certi limiti. Ad esempio l’orbitale 3a1 potrebbe venire a trovarsi anche sopra l’orbitale 2b2, come
nel caso della molecola di H2S

L’incrocio che si verifica nel diagramma è


possibile perché i due atomi hanno
simmetria diversa, quindi l’integrale di
interazione tra i due orbitali, mediato
dall’operatore Hamiltoniano, è nullo.

111
Utilizziamo ora il diagramma di Waslh per determinare la geometria di alcune molecole con A
atomo della seconda riga, fino alla molecole d’acqua.
Ricordiamo che l’energia dell’orbitale HOMO governa, in generale, la geometria molecolare a
meno che non sia indifferente alla geometria. In tal caso si considera l’orbitale pieno sottostante.

BeH2 BH2 CH2 NH2 OH2

BeH2 è un sistema a 4 elettroni di valenza, 2 provenienti dagli atomi di idrogeno e 2 provenienti


dall’atomo centrale. L’orbitale HOMO è stabile nella configurazione lineare 1σu, quindi la molecola
di BeH2 è lineare.
Aggiungendo un elettrone costruiamo la molecola di BH2. Questo elettrone aggiuntivo occupa un
orbitale HOMO che è stabile nella configurazione piegata 2a1, quindi BH2 è piegata, con un angolo
di 127°.
Aggiungendo un elettrone costruiamo CH2. Anche in questo caso l’HOMO è stabile nella
configurazione piegata 2a1 e CH2 è piegata. Siccome nell’orbitale HOMO sono presenti due
elettroni, il carattere legante è rafforzato e ci aspettiamo che l’angolo di legame sia più stretto, e
infatti per CH2 è 102°.

112
Aggiungendo un elettrone otteniamo NH2. Questo elettrone finisce in un orbitale che è
chiaramente non legante ed energeticamente costante, quindi il criterio dell’andamento
dell’HOMO non può funzionare in questo caso.
Un corollario della costruzione dei diagrammi di Walsh indica che, quando l’orbitale HOMO ha un
carattere irrilevante, bisogna considerare l’orbitale immediatamente sottostante.
Quindi per la molecola di NH2 dobbiamo considerare lo stesso orbitale HOMO di CH2, di
conseguenza risulterà piegata, con un angolo di 103°, molto simile a CH2.
Aggiungendo un altro elettrone arriviamo alla molecola d’acqua, che presenta lo stesso problema
di NH2: non conta l’andamento dell’orbitale b1 ma bisogna considerare il 2a1. Quindi anche la
molecola d’acqua è piegata, con un angolo di 104°, molto simile a CH2.
Secondo l’approccio dei diagrammi di Walsh, molecole con la stessa configurazione elettronica di
elettroni di valenza dovrebbero avere struttura simile.
Se ci posizioniamo sulla colonna dell’ossigeno, vediamo che OH2 e SH2 sono piegate. SH2 ha un
angolo più piccolo. Questo fatto è attribuito non alla maggiore sovrapposizione legante dell’
orbitale 2a1, ma alla minore destabilizzazione in configurazione piegata dell’ orbitale 1b 2 dovuta
alla maggiore distanza fra l’atomo centrale e gli idrogeni (confrontare 0.96 Å per OH e 1.33 Å per
HS). La destabilizzazione per la struttura piegata è quindi minore e sommata alla stabilizzazione
dell’ orbitale 2a1 determina un angolo più piccolo.

Minore sovrapposizione
antilegante di 1b2 perché gli
atomi S e H sono più lontani:
SH=1.33 Å contro OH=0.96 Å
quindi anche i due H fra loro
sono più distanti, si possono
avvicinare e questo
permette all’angolo di calare.
gli atomi S e H
sono più lontani, la
destabilizzazione dell’orbitale
1b2 alla geometria piegata è
minore rispetto al caso
dell’H2O.

113
ELETTRONI INDIPENDENTI E HAMILTONIANI EFFETTIVI
Per ottenere la funzione d’onda di un sistema molecolare abbiamo visto diverse strategie
- Molecola di H2+: esiste la soluzione esatta ma come alternativa si possono ottenere gli
orbitali moleolari LCAO applicando il principio variazionale. L’Hamiltoniano molecolare è
monoelettronico.
- Molecole polielettroniche: non esiste la soluzione esatta. È comodo conservare una
rappresentazione della funzione d’onda in termini di MO ottenuti come LCAO, però la
funzione d’onda minimale è un determinante di Slater.
L’Hamiltoniano molecolare non è separabile in contributi monoelettronici.
Se si applica il principio variazionale si arriva alle equazioni HF che sono definite in termini
dell’operatore monoelettronico di Fock. Dalle equazioni HF si ottengono MO con i quali si
costruisce il determinante di Slater e si ottiene la sua energia.

La strategia alternativa al metodo HF, più semplice ma anche di valore più qualitativo, è quella di
usare un metodo approssimato per la determinazione degli orbitali molecolari. È comodo
conservare una rappresentazione della funzione d’onda in termini di MO ottenuti come LCAO.
L’Hamiltoniano reale delle molecole non è separabile in contributi monoelettronici (a causa della
presenza dei termini di interazione interelettronica 1/r12) ma l’approssimazione degli elettroni
indipendenti sta proprio nel fatto di imporre la separabilità.
Ipotizziamo quindi che H sia separabile in più termini monoelettronici,

Hˆ  Hˆ 1  Hˆ 2  ...  Hˆ n con Hˆ 1  Hˆ 2  ...  Hˆ n

Poichè l’Hamiltoniano è separabile, ogni elettrone i definisce un termine Hi (monoelettronico)


dell’Hamiltoniano totale, ma gli Hi sono uguali fra loro.
Dal momento che non siamo in grado di esplicitarli in termini di contributi di energia cinetica e
potenziale, non sono Hamiltoniani esatti e vengono chiamati Hamiltoniani effettivi Heff.
Grazie a questa approssimazione è possibile risolvere l’equazione

Hˆ eff i  Ei i

La funzione d’onda totale sarà data dal prodotto di tutte le funzioni monoelettroniche

TOT   1  2 ...  n

e l’energia totale è la somma delle singole energie

ETOT  E1  E2  ...  En

Le funzioni d’onda monoelettroniche possono essere scelte come LCAO

 i  i cii

Per risolvere un problema molecolare in queste condizioni si applica il principio variazionale, come
abbiamo già visto per H2+ e per le molecole poliatomiche, che porta alla soluzione del
determinante secolare

114
det H ij  ESij  0

Gli elementi di matrice che definiscono le equazioni secolari sono

H ii  i | H eff | i   ii integrale di Coulomb

H ij  i | H eff |  j   ij integrale di risonanza

S ij  i |  j integrale di sovrapposizione

Dove gli indici i, j, o k si riferiscono ad orbitali atomici.


Il punto fondamentale del metodo degli Hamiltoniani effettivi è la possibilità di riscrivere la
matrice dell’Hamiltoniano in termini di α e β

11 12  1n


 21  22
 
 n1  nn

Per qualsiasi tipo di Hamiltoniano effettivo è necessario parametrizzare gli elementi di matrice,
ovvero attribuire un valore numerico agli elementi α e β. La parametrizzazione è basata,
generalmente, sull’uso di dati sperimentali.

Hamiltoniani effettivi: il metodo di Huckel


L’Hamiltoniano di Huckel è un Hamiltoniano effettivo molto noto per descrivere in modo semplice
ma efficace molecole coniugate o aromatiche per le quali sia accettabile la separazione fra
elettroni σ e π.
Esistono tre ulteriori approssimazioni che devono essere considerate:
1) Dal punto di vista quantomeccanico vengono presi in esame solamente gli elettroni π, e
poiché tipicamente si descrivono idrocarburi, si considerano solo gli atomi di carbonio
(l’idrogeno non entra nella trattazione in quanto non ha elettroni π). Di conseguenza tutti
gli elementi α relativi agli atomi di carbonio sono identici.

2) Si assume che tutti gli integrali di risonanza βij che coinvolgono atomi di carbonio adiacenti
siano uguali a β, mentre i rimanenti integrali si pongono uguali a zero

βij = β se gli atomi i e j sono direttamente legati


βij = 0 se gli atomi i e j non sono direttamente legati

3) Gli integrali di sovrapposizione Sij vengono posti uguali a zero a meno che i = j, nel qual
caso si ha Sij = 1.

115
Quest’ultima è un’approssimazione abbastanza drastica ma accettabile, in quanto si considerano
solo gli elettroni che si trovano in orbitali p perpendicolari al piano, quali hanno una minore
sovrapposizione rispetto agli orbitali σ.
Con queste assunzioni cominciamo prendendo in esame il sistema coniugato più semplice, ovvero
l’etilene.

 Etilene

Scriviamo la matrice dell’Hamiltoniano effettivo in termini degli elementi Hij o meglio attraverso i
simboli α e β. Siccome la molecola ha solo 2 elettroni π, la matrice associata sarà 2x2, come nel
caso della molecola di H2+
H11 H12  

H 21 H 22  

Scriviamo poi il determinante secolare che contiene –E sui termini diagonali e –ES sui termini fuori
diagonale
  E   ES
det 
  ES   E

Nell’ambito dell’approssimazione di Hückel, S è trascurabile e otteniamo la soluzione più semplice


imponendo che sia zero il determinante secolare

 E 
det  0
  E

Il determinante secolare restituisce delle energie che avevamo trattato come caso particolare per
la molecola di H2+

(  E ) 2   2  0
(  E ) 2   2
E    

E    

116
A livello dell’approssimazione Huckel, l’etilene nel suo stato fondamentale avrà i due elettroni π
nell’orbitale a più bassa energia, quindi l’energia del doppio legame C=C è

EC C  2(   )

perché ci sono due elettroni che occupano l’orbitale a energia (α+β).


Possiamo quindi introdurre una formulazione generale per l’energia totale di un sistema Huckel,
che sarà data da
ETOT  i ni Ei

Dove ni è il numero di occupazione, ovvero il numero di elettroni che occupano l’orbitale in esame.

Conosciamo già gli auto vettori associati ai due autovalori dell’energia per l’etilene: sono la
combinazione più e meno dei due orbitali atomici

E    c1 p1  c2 p2  p1  p2 con c1  c2

E    c1 p1  c2 p2  p1  p2 con c1  c2

Richiamiamo ora il concetto di normalizzazione, qui applicato sotto l’approssimazione che


l’integrale di sovrapposizione S fra orbitali atomici sia trascurabile

 |   1  c1 p1  c2 p2 | c1 p1  c2 p2
 c 2 p1 | p1  c 2 p2 | p2  c 2 p1 | p2  c 2 p2 | p1

Nell’ambito dell’approccio di Huckel abbiamo che p1 | p2  0 e p2 | p1  0 , per cui

 |   c 2 p1 | p1  c 2 p2 | p2  c 2 p1 | p2  c 2 p2 | p1  1
c 2 (1  1  0  0)  1
c2  1/ 2
1
c
2

1
  ( p1  p2 )
2

Pertanto, nell’ambito dell’approssimazione Huckel, la condizione di normalizzazione è

c i
2
i 1

117
Ordine di legame e carica parziale atomica
Introduciamo ora due elementi fondamentali, che sono l’ordine di legame (BO) e la carica parziale
atomica. Consideriamo a titolo di esempio la molecola del butadiene.

La matrice di Huckel avrà 4 righe e 4 colonne, riferite a ogni orbitale atomico p. Gli elementi della
diagonale sono tutti identici e uguali ad α, mentre i termini fuori diagonale rappresentano
l’interazione di risonanza tra un elettrone di un orbitale p con un altro elettrone di un altro
orbitale. Di conseguenza per la seconda assunzione del metodo Huckel, l’interazione tra due
elettroni adiacenti è uguale a β e l’interazione tra due elettroni a distanza di due atomi di carbonio
è nulla
  0 0
   0
H
0   
0 0  

Un limite di questo approccio è dato dal fatto che gli elementi della matrice non dipendono in
alcun modo dalla geometria della molecola, cioè dalla configurazione nucleare. In altre parole non
c’è distinzione tra la molecola con legami tutti uguali o con i doppi legami più corti.
La conseguenza è che non è possibile studiare una curva di energia potenziale, in quanto non c’è
alcun effetto nella variazione dell’Hamiltoniano al variare della distanza internucleare.
Tuttavia questo approccio fornisce informazioni sull’ordine di legame che indicano valori differenti
delle distanze di legame C-C.
Diagonalizzando la matrice di Huckel si ottengono 4 orbitali molecolari, ciascuno caratterizzato da
coefficienti di combinazione dei relativi orbitali atomici

1  c1(1) p1  c2(1) p2  c3(1) p3  c4(1) p4

2  c1( 2 ) p1  c2( 2 ) p2  c3( 2 ) p3  c4( 2 ) p4

3  c1( 3) p1  c2( 3) p2  c3(3) p3  c4( 3) p4

4  c1( 4 ) p1  c2( 4 ) p2  c3( 4 ) p3  c4( 4 ) p4

Ogni coefficiente c è identificato da un pedice che si riferisce all’orbitale atomico e da un apice che
indica quale orbitale molecolare stiamo considerando.

118
Date queste definizioni, possiamo definire un ordine di legame come somma degli ordini di legame
dovuti a ciascuno degli orbitali molecolari. Per il generico orbitale molecolare k-esimo l’ordine di
k
legame è definito come pij , dove i e j sono i due atomi responsabili del legame, che nel caso del
butadiene sono due atomi di carbonio adiacenti, ad esempio 1 e 2

pijk  nk cik c jk nk  2,1, 0

con nk numero di occupazione dell’orbitale k-esimo. L’ordine di legame Pij, dato dal contributo di
tutti gli orbitali molecolari, è pertanto

MO
Pij   p   nk cik c jk
k
ij
MO k

La sommatoria corre su tutti gli orbitali molecolari e nei casi in cui sono singolarmente o
doppiamente occupati, prende il prodotto dei coefficienti dei due atomi di cui ci interessa valutare
l’ordine di legame.

Definiamo invece la carica parziale atomica. Se la molecola del butadiene è neutra significa che la
carica degli elettroni π compensa la carica degli elettroni σ. La carica parziale atomica permette di
stabilire se questa carica π è distribuita in modo equivalente oppure no sui 4 atomi di carbonio.
La carica parziale atomica per un certo atomo dipenderà da quanti elettroni occupano il suo
orbitale: ogni orbitale molecolare occupato contribuirà su quell’atomo una densità elettronica, che
k
sarà data dal quadrato del coefficiente c. Per l’atomo i-esimo, la carica parziale atomica qi dovuta
all’orbitale k-esimo è data da
qik  nk cik2

La carica parziale Qi, data dal contributo di tutti gli orbitali molecolari, è pertanto

MO
Qi   qik   nk cik2
MO k

Radicale allile
Passiamo ora dalla molecola dell’etilene al radicale allile, che può essere rappresentato in questo
modo

Siccome si tratta di un sistema coniugato a 3 atomi di carbonio e 3 elettroni, la matrice di Huckel


sarà 3x3
119
  0
H  
0  

E il determinante secolare associato sarà

 E  0
det   E  0
0   E

Per risolvere problemi Huckel di questo tipo si introduce la variabile x  (  E ) /  e si riscrive


l’espressione del determinante sulla base di questa nuova variabile

x 1 0
 E
x  det 1 x 1  0

0 1 x

Vediamo quindi quali sono gli autovalori, cioè le energie degli MO

x( x 2  1)  1(1  x  1  0)  0(1  1  x  0)  0
x3  x  x  0
x  0
x3  2x  0 
x   2

Per x  0 abbiamo   E  0 , cioè E   . Ciò significa che quell’orbitale molecolare ha la stessa


energia degli atomi di carbonio.
Per x   2 abbiamo E    2  .
Siccome β è negativo, la sequenza dei livelli energetici è la seguente

Osserviamo però che conosciamo già la forma degli orbitali molecolari, dalla discussione
qualitativa sulla molecola di H3 in geometria C2v. Infatti il radicale allile dal punto di vista Huckel è
assimilabile alla molecola di H3, in quanto vista dall’alto ha la stessa forma degli orbitali di H3 in
configurazione piegata.

120
 Esercizio 1
Date le espressioni LCAO degli orbitali appena derivati, ricavare l’energia associata a ciascuno di
essi.
1 1 1
1  p1  p 2  p3
2 2 2
1 1
2  p1  0 p2  p3
2 2
1 1 1
3  p1  p 2  p3
2 2 2

Dobbiamo scrivere il valore d’attesa dell’operatore Hamiltoniano che determina l’energia ed


esplicitare l’espressione degli orbitali molecolari in termini di orbitali atomici. Fatto ciò ricordiamo
che gli integrali su base atomica dell’Hamiltoniano di Huckel valgono α se il termine è diagonale,
valgono β se il termine è fuori diagonale ma relativo a due atomi direttamente legati.

|H |
E  |H | perché l’orbitale è normalizzato
|
Per l’orbitale Ψ1

1 1 1 1 1 1
E1  1 | H eff | 1  p1  p2  p3 H eff p1  p 2  p3
2 2 2 2 2 2
11 1 1 11
 p1 | H eff | p1  p2 | H eff | p2  p3 | H eff | p3 elementi diagonali
22 2 2 22
1 1 11 
 p1 | H eff | p2  p1 | H eff | p3 
2 2 22

1 1 1 1 
 p2 | H eff | p1  p2 | H eff | p3  elementi fuori diagonale
22 22 
1 1 11 
 p3 | H eff | p2  p3 | H eff | p1 
2 2 22 

121
Gli elementi diagonali sono uguali ad α e gli elementi fuori diagonale relativi ad atomi adiacenti
valgono β, mentre quelli relativi ad atomi non adiacenti sono nulli

1 1 1 1 1 1 1
E1  1 | H eff | 1           
4 2 4 2 2 2 2 2 2 2 2
4
  
2 2
2
  
2
   2

 Esercizio 2
Determinare l’ordine di legame. Scriviamo prima di tutto il numero di occupazione dei tre orbitali:
il radicale allile ha 3 elettroni, due dei quali occupano l’orbitale a più bassa energia Ψ1, che avrà
quindi n = 2, mentre il terzo elettrone occupa l’orbitale Ψ2, che avrà n = 1

Determiniamo l’ordine di legame per i due legami C-C utilizzando la formula.


Per il legame C1-C2
1 1   1 
P12  n1c11c21  n2 c12c22  n3c13c23  2   1 0   0  0,71
2 2  2 
Per il legame C2-C3
 1 1    1 
P23  n1c21c31  n2c22c32  n3c23c33  2   10    0  0,71
 2 2   2 

Si tratta di un risultato molto importante in quanto ci dice che i due legami non sono uno
completamente doppio e uno completamente singolo ma in realtà sono identici, quindi il modo
corretto di rappresentare il radicale allile è il seguente

Questo è un tipico effetto della delocalizzazione elettronica. Un ordine di legame pari a 0,71 è
molto vicino a 1, quindi entrambi i legami hanno un significativo carattere di doppio legame.
122
 Esercizio 3
Calcolare la carica parziale atomica.
Per l’atomo 1
2 2
1  1 
Q1  n c  n c  n c  2   1
2
1 11
2
2 12
2
3 13   0 1
 
2  2 

Siccome la molecola ha 3 atomi di carbonio, con 3 elettroni π, per simmetria anche gli altri atomi
di carbonio avranno carica parziale pari a 1
2
 1 
Q2  n c  n c  n c  2
2
1 21
2
2 22   0  0 1
2
3 23
 2 

Q3  Q1  1

Energia di delocalizzazione
L’energia totale del sistema è dato dalla somma delle energie  j di ogni orbitale molecolare
pesate per il loro numero di occupazione
ETOT  i ni Ei

Consideriamo il catione allile, cioè la molecola di allile con solo 2 elettroni

 
Ecatione  2   2  2  2 2

Aggiungendo un elettrone questo andrà a occupare l’orbitale Ψ2 e si formerà il radicale allile

 
Eradicale  2   2  1  3  2 2

Aggiungendo un altro elettrone questo occuperà sempre l’orbitale Ψ2 e si formerà l’anione allile

 
Eanione  2   2  2  4  2 2

Possiamo determinare quanto la delocalizzazione stabilizza il sistema rispetto a un sistema


modello di riferimento in cui i doppi legami sono tutti localizzati, quantificando questa stabilità in
unità β (con β<0). Per fare ciò determiniamo l’energia di delocalizzazione, cioè la differenza tra
l’energia del sistema coniugato ETOT e l’energia del sistema localizzato.
Nel caso del radicale allile il sistema localizzato di riferimento è costituito da un etilene e da un
radicale, non interagenti tra loro. L’energia di questo sistema localizzato si determina contando
quanti etileni e quanti elettroni liberi sono presenti, sapendo che l’energia di un elettrone libero in
termini Huckel è pari a α

Elocalizzato  Eetilene  Eradicale  2     1  3  2

123
La differenza fra le due energie costituisce l’energia di delocalizzazione che, se negativa,
rappresenta una stabilizzazione del sistema coniugato rispetto a quello localizzato

Edelocalizzazione  ETOT  Elocalizzato  3  2 2   3  2


 2( 2  1) 
 0,82

Siccome β è < 0, l’energia di delocalizzazione è < 0 e indica che il radicale allile è più stabile del
sistema localizzato.

Soluzione analitica per polieni descritti a livello Hückel


L’approccio Huckel consente di determinare sia gli autovalori che gli autovettori attraverso
soluzioni analitiche, per qualsiasi sistema coniugato in esame. Consideriamo quindi un generico
sistema coniugato lineare

 Soluzione generale per i coefficienti


L’espressione analitica generale per calcolare i coefficienti degli orbitali atomici è

 ks 
cs  sen 
 n 1

Dove:
- s = n° dell’atomo in esame (1, 2, …, n)
- n = n° totale di atomi nel sistema
- k = numero quantico che identifica l’OM (1, 2, …, n)

Calcoliamo, a titolo di esempio, i coefficienti per gli orbitali molecolari del radicale allile.

124
Come si può notare, i valori dei coefficienti sono diversi da quelli indicati precedentemente in
quanto questa soluzione analitica fornisce coefficienti che corrispondono a orbitali molecolari non
normalizzati.

 Costruzione grafica degli OM


Questa soluzione analitica permette di identificare un metodo trigonometrico per determinare
graficamente la forma degli orbitali molecolari di qualsiasi sistema coniugato lineare.
La procedura è la seguente
1) Si disegnano gli n atomi distanziati in modo regolare (da 1 a n) su una linea retta e quindi si
aggiungono due atomi immaginari ( identificati con 0 e n+1) alle estremità della catena

2) Si disegna un’onda sinusoidale tra questi due atomi finali immaginari, assicurandosi che
questi corrispondano a nodi dell'onda sinusoidale. Si ripete poi la procedura aumentando i
nodi della funzione seno

3) L'orbitale a energia più bassa non ha altri nodi e corrisponde a mezza onda sinusoidale;
l’orbitale successivo ha un nodo aggiuntivo nel mezzo e corrisponde a un'onda sinusoidale
completa; l’orbitale successivo ha due nodi aggiuntivi ... e così via

4) Si disegnano gli orbitali p di ogni atomo (esclusi quelli immaginari) e si fanno intersecare
alla funzione seno

la formula analitica indica che i coefficienti degli orbitali atomici sono proporzionali al valore che si
trova al punto di intersezione con la funzione seno e il loro segno sarà dato dal segno della
funzione.

 Soluzione generale per le energie orbitaliche


L’energia di un orbitale è data dall’espressione analitica generale

 k 
E    2 cos 
 n 1

Di conseguenza tutte le energie orbitali molecolari devono trovarsi entro un intervallo di energia di
4β, ±2β rispetto all’energia orbitale atomica α, infatti per le proprietà trigonometriche

 k 
 1  cos  1
 n 1
Da cui

  2  E    2

ricordiamo anche che per una catena di n atomi, in cui ogni atomo contribuisce con un orbitale
atomico al sistema π-coniugato, ci saranno n orbitali atomici sovrapposti che danno luogo a n
orbitali molecolari.
125
Poiché tutti questi MO sono confinati in un intervallo di energia fissa, ne consegue che la
separazione di energia media deve diminuire con n incrementi. Questo è illustrato nel seguente
diagramma di energia elettronica

4

Per le catene coniugate di atomi di carbonio l'energia del fotone cambia dall'UV (per piccoli valori
di n) al visibile (grandi valori di n)
h  E  EHOMO  ELUMO

di conseguenza le molecole con un sistema coniugato esteso sono colorate.

Per n tendente a infinito, la separazione tra due livelli di energia diminuisce e tende a zero: i livelli
di energia (sebbene ancora discreti in linea di principio) si uniscono per dare una banda continua
di livelli di energia. La larghezza di questa banda è 4β ed è determinata dall'efficacia della
sovrapposizione dei singoli orbitali atomici e quindi dalla forza dell’interazione e dalla grandezza
dell'integrale di risonanza β. Il sistema si avvicina allo stato metallico.
Quest’ultima osservazione tuttavia non ha riscontro sperimentale: il poliacetilene ad esempio non
è un metallo ma un semiconduttore e possiede un gap diverso da zero.
126
Esempi di applicazione
Ora applichiamo le formule analitiche e la costruzione grafica trigonometrica al caso del butadiene

Vediamo la costruzione qualitativa trigonometrica basata sul metodo grafico.

Per il primo orbitale molecolare (k=1) la funzione seno ha


valore 0 in corrispondenza dei due atomi immaginare e non
presenta nodi tra gli estremi.
I coefficienti con valore più grande sono quelli relativi ai due
orbitali atomici centrali (atomi 2 e 3).

Per il secondo orbitale molecolare (k=2) la funzione seno


presenta un nodo al centro della molecola.
I coefficienti più grandi sono quelli degli atomi agli estremi e
gli orbitali degli atomi 3 e 4 hanno segno opposto rispetto a
1 e 2.

Per il terzo orbitale (k=3) la funzione seno ha due nodi.


Ancora una volta i coefficienti più grandi sono quelli agli
estremi ma sono cambiate le relazioni tra le fasi.

L’ultimo orbitale (k=4) ha tre piani nodali ed è caratterizzato


dall’alternanza dei segni dei coefficienti. Questa volta i due
coefficienti più grandi sono quelli al centro.

127
Applichiamo l’espressione analitica per le energie orbitaliche

Calcoliamo ora l’energia di delocalizzazione, che è la differenza fra l’energia del sistema coniugato
e quella di un numero equivalente di doppi legami isolati (localizzati). In questo caso il sistema
localizzato è costituito da due etileni (due doppi legami localizzati) non interagenti

n=2

n=2

Edeloc  ETOT  Eloc  0,48

Il butadiene è più stabile del sistema localizzato di un fattore 0,48 in unità β.

128
Con quattro orbitali molecolari π e 4 elettroni possiamo costruire la configurazione fondamentale
del butadiene ma anche configurazioni singolarmente eccitate e doppiamente eccitate come
quelle mostrate a destra

Come sarà la geometria della molecola in questi tre situazioni che possiamo associare in buona
approssimazione a stati elettronici della molecola?
Il calcolo dell’ordine di legame aiuta a capire come la struttura elettronica influenza la geometria.

 Stato fondamentale

Carica parziale atomica:

Q1  n1c112  n2 c112  n3c31


2
 n4 c41
2

Qi  k nk cik2  2(0,37) 2  1(0,60) 2  0(0,60) 2  0(0,37) 2  1

Q2  Q3  Q4  Q1  1

Ordine di legame:

P12  n1c11c21  n2 c12c22  n3c13c23  n4 c14c24


 2(0,37  0,60)  2(0,60  0,37)  0[0,60(0,37)]  0[0,37(0,60)]
Pij  k nk cik cij  0,89

P23  n1c21c31  n2 c22c32  n3c23c33  n4 c24c34


 2(0,60  0,60)  2[0,37(0,37)]  0  0
 0,45

129
 Stato singolarmente eccitato

Ordine di legame:

P12  n1c11c21  n2 c12c22  n3c13c23  n4 c14c24


 2(0,37  0,60)  1(0,60  0,37)  1[0,60(0,37)]  0[0,37(0,60)]
 0,44

P23  n1c21c31  n2 c22c32  n3c23c33  n4 c24c34


 2(0,60  0,60)  1[0,37(0,37)]  1[0,37(0,37)]  0
 0,72

L’ordine di legame nello stato elettronico eccitato si inverte rispetto a quello dello stato
elettronico fondamentale, a causa della forma dell’orbitale LUMO e delle zone dove questo
orbitale è legante e antilegante.

Un elettrone dentro questo orbitale rafforza il legame, cioè lo accorcia, laddove l’orbitale LUMO è
legante, mentre lo indebolisce, cioè lo allunga, laddove l’orbitale è antilegante.

 Stato doppiamente eccitato

Ordine di legame:

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P12  n1c11c21  n2 c12c22  n3c13c23  n4 c14c24
 2(0,37  0,60)  0  2[0,60(0,37)]  0
0

P23  n1c21c31  n2 c22c32  n3c23c33  n4 c24c34


 2(0,60  0,60)  0  2[0,37(0,37)]  0
1

Si arriva ad una situazione in cui lo stato elettronico doppiamente eccitato porta la molecola ad
avere un doppio legame centrale neutro e due legami singoli, con un elettrone sul carbonio 1 e un
elettrone sul carbonio 4

Di conseguenza la molecola ha un carattere diradicalico.


Così si spiega la variazione di geometria che avviene in seguito alla eccitazione elettronica.
Possiamo applicare questo tipo di ragionamento per correlare la struttura elettronica con le
proprietà della molecola quali lunghezza di legame e geometria.

Metodo Hückel applicato a sistemi ciclici coniugati

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