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Giovanni Dall'Orto

Contro la "queer theory"


Una critica politica.
7 dicembre 2012, La Gaya scienza
Premessa

I limiti politici del neoinvenzionismo

La tesi fascista dell'"omosessuale moderno".

La censura della tassonomie alternative.

Vedere l'albero, e non notare il bosco

Un individualismo esasperato

I danni del "fuori contesto".

Rimozione puritanica della sessualità.

In mezzo alle gambe noi non abbiamo un "genere".

Premessa

Quello che segue era nato come capitolo per il libro sulla storia dell'omosessualità in Italia che
sto scrivendo per "il Saggiatore", e che uscirà nel 2013. Oltre a una premessa, in cui spiego le
ragioni storiografiche per cui ritengo scorretta la tesi della "costruzione storica
dell'omosessualità" (per la quale ho preso a prestito il termine "neoinvenzionismo" [1]) avevo
pensato a un'appendice nella quale elencare anche le ragioni politiche della mia contrarietà al
neoinvenzionismo, dato che le une non coincidono affatto con le altre. Tuttavia due capitoli di
astruserie teoriche erano troppo per un libro rivolto al grande pubblico. Ho perciò soppresso
l'appendice e l'ho riscritta per presentarla qui a chi fosse interessato/a. Ammesso che esista.

L'incarnazione in cui è attualmente meglio noto in neoinvenzionismo in Italia è la cosiddetta


"teoria queer" o, all'inglese, queer theory [2]. Perciò nel titolo, per farmi capire, ho nominato, fra
tutte, quest'incarnazione del neoinvenzionismo e non quelle precedenti, che tanto in Italia non
avevano mai messo radici.
I limiti politici del neoinvenzionismo

La mia polemica verso il neoinvenzionismo non nasce solo da questioni metodologiche [3], dato
che altri, più autorevoli di me e molto prima di me, hanno già esposto le fallacie logiche e
metodologiche di questo approccio [4]. E l'averlo fatto non è servito a nulla, perché il
neoinvenzionismo è un culto religioso, che nessun ragionamento riuscirà mai a "confutare", dato
che si basa su una fede, mentre solo i fatti possono essere confutati. Per esempio: nonostante il
mondo non sia finito, per due o tre volte, alla data da loro annunciata, i Testimoni di Geova
continuano a insistere che avevano ragione loro e non il mondo.

Però se i culti non si possono confutare, si possono benissimo combattere, in primis sul piano
politico.

La tesi fascista dell'"omosessuale moderno".

Il primo motivo per cui combatto il neoinvenzionismo è che esso è profondamente reazionario.

Questo perché, mentre dichiara e proclama d'essere uno strumento d'analisi puramente
descrittivo del reale, esso è invece profondamente, fascisticamente prescrittivo [5], ed anche
perché nonostante si ammanti della pelliccia d'una sinistra morta e scuoiata, porta poi avanti
una "rivoluzione tolemaica" per mantenere la Terra (gli Usa) al centro del sistema solare.

Ne è un esempio lampante proprio il concetto di "modern homosexual" [6]. Chiave di volta del
neoinvenzionismo, ma che analizzato da vicino (chi ha stabilito in cosa consistesse? sulla base di
quali criteri? con quali verifiche fattuali?) appare nient'altro che l'elevazione a Norma Universale
dello stile di vita omosessuale prevalente nelle grandi metropoli negli Usa (e non altrove) nel
dopoguerra (e non prima).

In questo modo, il gay statunitense (o che ha adottato lo stile di vita dei gay statunitensi) s'è
infatti autonominato pietra di paragone di qualsiasi omosessualità della razza umana, presente e
passata (e futura). Si è "moderni" nella misura in cui si è americanizzati, e si è omosessuali nella
misura in cui lo si è secondo lo stile di vita americano. Un gay di san Francisco del 1945 era
"moderno", un femmenella napoletano o uno hijra indiano viventi in carne ed ossa nel 2012,
invece, non lo sono. Non si sa cosa siano, però si sa cosa non sono: "omosessuali moderni".
Perché? Perché gli accademici anglosassoni hanno decretato così.

Ma così facendo hanno "tagliato fuori" realtà umane come quella cinese o indiana, che
raccogliendo da sole un terzo della razza umana hanno sicuramente al loro interno più
/omosessuali/ di tutto quanto l'Occidente. Nessuno di costoro, però, ha diritto di tribuna nel
dibattito mondiale sulle "omosessualità moderne" (alla faccia dell'imperialismo culturale!). Gli
"altri" /omosessuali/ saranno forse nostri contemporanei, però "moderni" al pari di noi no,
perché la loro /omosessualità/ è del tipo "sbagliato". Anzi, non è proprio omosessualità, e basta.

Esiste un solo modo per definire questo comportamento: omonormatività, ossia il simmetrico
esatto di quella "eteronormatività" di cui (peraltro a ragione) i neoinvenzionisti accusano la
società eterosessuale. Peccato che a loro volta siano attivissimi nell'imporre norme e definizioni.

Eppure non sono mancate le voci di coloro [7] che hanno osservato come nel qui-ed-ora esistano
altri ruoli omosessuali che sono altrettanto "moderni" di quello statunitense, e sono altrettanto
coscientemente omosessuali. Ed ormai si osa sussurrare apertamente che il passato ha
conosciuto altri "ruoli omosessuali" (il cinedo, il sodomita) che erano "omosessuali" anche senza
essere "moderni" [8].

La censura della tassonomie alternative.

Senza contare il fatto che tale modo di ragionare occulta, nasconde e censura l'esistenza di
tassonomie dell'omosessualità diverse e inconciliabili con la propria. A titolo d'esempio: il pugile
professionista portoricano Orlando Cruz, il primo ad avere fatto coming out al mondo,
intervistato su questo suo gesto, alla domanda "Nel mondo della boxe qualcuno sapeva?" ha
risposto:

"È inevitabile. Oscar de la Hoya, mio ex promoter, una volta prima di un combattimento mi
chiese: "Orlando, dimmi la verità, hai intenzione di dichiarare pubblicamente che sei gay?". C'era
altra gente intorno a noi, e io risposi: "Non è vero, sono un uomo" [9].

Si noti che de la Hoya ha fatto una domanda relativa all'orientamento sessuale, e Cruz gli ha
risposto menzionando la sua identità di genere, o al più al suo ruolo di genere. Dimostrando
come, nella concezione "popolare" (latinoamericana) a cui aderiva, non esista distinzione fra le
tre cose.

Ora, questa visione (e qui sono d'accordo coi neoinvenzionisti nel definirla una "costruzione
sociale") va considerata "moderna" o meno?

E se no, a che titolo? E se sì, come conciliarla con quella dell'"omosessuale moderno", visto che
pare del tutto inconciliabile?

Inoltre: nell'intervista Cruz spiega il suo coming out nei termini di "ammettere" infine ciò che
(già) era.

È forse "diventato" gay e "moderno" nel momento in cui ha fatto tale ammissione?
E se sì, prima di farlo, cos'era? Un non-gay? Un gay pre-moderno? Un "eterosessuale che
sbaglia"? Un queer? Un "cioè, non voglio definirmi perché, cioè, definirzi è 'n po' llimitarzi?". O,
come lui stesso afferma ora, forse semplicemente un gay che non ammetteva d'essere tale?

Ma si può essere "gay" se si nega di esserlo? Se no, come spiegare il punto di vista di Cruz
secondo cui lo era già da prima di ammetterlo?

E se sì, in base a quali elementi possiamo farlo, senza dover ammettere l'esistenza di una
"essenza" indipendente: (1) dalla definizione culturale che se ne dà e addirittura: (2) dalla
definizione che ne dà la persona direttamente interessata?

Per farla breve: è ammissibile il concetto stesso di "coming out" senza fare ricorso a un approccio
"essenzialista" ("omosessuali o bisessuali o transgender o si è o non si è, indipendentemente dal
quel che si va in giro a dire di essere"), che il neoinvenzionismo combatte come "il Nemico",
oppure sarà necessario accettare la nozione cattolica (nonché base delle "terapie riparative")
secondo cui omosessuali (o bisessuali, o transgender) si "diventa" nel momento in cui si "decide"
di diventare tali, mentre in assenza di tale decisione ogni individuo è, di default, eterosessuale?

Hic Rhodus, hic salta.

Vedere l'albero, e non notare il bosco

Come avrà capito chi mi ha letto fin qui, io penso e sostengo che non esiste "un" modo d'essere
omosessuale. Esistono alcune centinaia di milioni di modi d'essere omosessuali, perché ogni
esperienza umana è diversa dalle altre, e addirittura una stessa persona (come Cruz) in periodi
diversi della sua vita può viverla in modi diversi.

Peraltro, interrogandoci su questo dato di fatto (che è comune a qualsiasi esperienza umana: ci
sono miliardi di modi per essere madre, o giovane eccetera) abbiamo un numero di risposte
possibili limitato:

1) Possiamo postulare l'irriducibilità totale delle esperienze soggettive, frantumando la realtà


omosessuale in decine di milioni di "monadi" non comunicanti le une con le altre, al massimo
copulanti per impulso biologico, automatico, animale. Siamo "macchine desideranti" ma, al
fondo, quando si parla di sesso, semplici animali, o robot schiavi dei nostri istinti. Solo
un'imposizione esterna può legare assieme a fasci, in modo totalmente arbitrario, queste
individualità inconciliabili.

Questa è la tesi della "costruzione storica dell'omosessualità", e della queer theory. Ma, come
ammettono ed anzi rivendicano gli stessi queer, tagliando questi legacci attraverso l'affilato
coltello delle loro scaltre teorie, si tornerebbe al "liberi tutti", a sette miliardi di sessualità
diverse.

Si tornerebbe anche, obietto io, a quell'individualismo esasperato d'esportazione statunitense


per il quale nessun uomo è riconducibile a un altro, "ogni uomo è un'isola" (con buona pace di
John Donne), e in quanto umani al massimo noi possiamo pensarci come un arcipelago (per
esempio, una minoranza razziale [10]), mai però come un continente.

2) Oppure, e questa è la traccia che ho seguito io, possiamo accettare l'idea che la pluralità esiste
sì, ma sa anche trovare momenti d'unità e sintesi in cui individui diversi si ri-conoscono se non
identici, almeno uguali (un'aspirazione, questa, che è alla base del movimento di liberazione
omosessuale). Si riconoscono gli uni negli altri. E mettono in comune ciò che hanno di comune,
rispettando a vicenda quanto hanno di diverso.

Nella nostra lingua, imperfetta finché vogliamo, però nostra, questa realtà di cose messe in
comune (qualunque esse siano; idee o luoghi o oggetti o pratiche sessuali) si chiama
"comunità"... e per alcuni esagerati perfino "comunismo".

Non si tratta di "essenzialismo" perché non esistono "essenze" immutabili (non esiste un solo
atomo della realtà umana che non sia dialettico e in trasformazione). È infatti solo il fascismo
omonormativo neoinvenzionista a pretendere ed esigere che l'identità comune, per essere tale,
si debba per forza basare su comportamenti perfettamente identici in tutti. Mentre invece gli atti
di riconoscimento reciproco possono essere molto diversi, e il motivo per cui ti dici gay tu può
essere del tutto diverso dal mio: quel che conta per entrambi è che alla fine entrambi ci ri-
conosciamo attraverso lo stesso nome, pur nella nostra reciproca diversità (relativa). Ed è da
questo riconoscimento reciproco, che io e te ci concediamo a vicenda, che nasce la comunità.
Altrimenti non abbiamo una comunità, ma un fascismo sessuale, dove siamo tenuti a indossare
la stessa divisa (magari di cuoio...) e marciare allo stesso passo.

Per me un "femmenella" napoletano è omosessuale quanto me, ed è anche gay, se non lo


spaventa questo nome. Semplicemente, è gay in modo diverso da me. In effetti, la metà dei
problemi del far politica gay in Italia è sempre consistita nella difficoltà d'armonizzare le sue
richieste con le mie, e però volenti o nolenti abbiamo dovuto imparare ad armonizzare. Perché
siamo gay tutti e due, nessuno dei due è "moderno" e l'altro no, perché siamo entrambi qui-ed-
ora, e nessuno di noi due è un abusivo nella modernità. E nessuno dei due ha il diritto di
obbligare l'altro a diventare ciò che non è.

Dopodiché non riesco a capire perché io non possa applicare lo stesso ragionamento al sodomita
antico che, per carità - non sono cieco - vedo benissimo essere diverso, molto diverso da me. In
certi tratti, inconciliabilmente diverso (come lo è un femmenella napoletano, peraltro). Ma non
al punto tale che io non possa ri-conoscermi in lui per esperienze e vissuti, esattamente come
posso riconoscermi in sentimenti espressi millenni fa da Saffo o Catullo. Che non erano marziani:
erano i miei avi.

Non capisco perché io e una femmenella possiamo essere entrambi omosessuali, e non io e
Michelangelo. La differenza tra me e una femmenella non è inferiore a quella che c'è fra me e
Michelangelo... anzi! E allora?

3) Esiste infine una terza possibilità, secondo cui l'individuo non esiste, se non in quanto
frammento di entità comunitarie più vaste (famiglie, tribù, gentes... stati), che sono le uniche ad
esistere. Però siccome su questo punto di vista Stalin ed Hitler e Pol-Pot hanno piantato le loro
non amate bandiere, oggi ci (e mi) pare poco attraente. Eppure è stata la visione dominante per
la massima parte della storia umana conosciuta, ed è tuttora valida in gran parte del mondo non-
occidentale.

Ad ogni modo, non spiegherò perché il totalitarismo non sia per me un'opzione percorribile: se il
lettore non lo ha già capito da sé all'età che deve aver raggiunto per poter leggere un saggio
come questo, non ho nessuna speranza di farglielo capire io adesso.

Un individualismo esasperato

Ebbene: l'individualismo esasperato in base al quale il gay neoinvenzionista è incapace di vedere


un uguale-a-sé in un femmenella è reazionario, è razzista, e non basteranno certo per occultare
questo fatto decenni di stupide diatribe sulla terminologia "politicamente corretta", che sono
state capaci solo di partorire mostri linguistici come "lgbtqiae*". Che sono mostruosi
ideologicamente prima ancora che foneticamente perché equivalgono a macellare un essere
umano in tutte le membra che lo compongono, e poi rimetterlo insieme giustapponendole,
dicendo che così funzionerò meglio, senza l'impaccio di tutti quei legamenti...

Perché insistere ossessivamente sulle differenze (fra individui prima, e fra communities poi)
serve solo a sottolineare quanto l'altro sia diverso da me, quanto lui/lei non sia me, quanto la
sua squadra non sia la mia.

Questa attenzione ossessiva a ciò che divide anziché a ciò che unisce, alle differenze anziché alle
analogie, la si ritrova anche nella maniacale ricerca, sia nella storiografia che nella vita
quotidiana, delle "faglie epistemologiche" (epistemological breaks), com'è l'invenzione della
parola "omosessuale" nel 1869, che creerebbero un "prima" e un "dopo", che non si parlano fra
loro e che non è pensabile possano farlo. E ciò è assurdo, perché nessuno ha il diritto di fingere
di non capire che ogni generazione è uscita dal grembo della precedente, e non in senso
metaforico ma proprio fisico. E non esiste nessuna generazione che perda all'improvviso e tutta
insieme la capacità di parlare ai suoi genitori e ai suoi nonni. Quando ciò avviene, non si chiama
"faglia", si chiama "genocidio culturale", ed è in assoluto la peggiore catastrofe che possa
accadere a un popolo. È un crimine contro l'umanità, non un meccanismo di funzionamento
fisiologico della storia umana.

Riassumendo, io accuso il neoinvenzionismo d'essere reazionario per aver fatta sua l'ottica neo-
cons, per la quale esiste solo l'individuo, mentre il sociale "è il problema, non la soluzione". Al
massimo puoi appartenere a una "razza", che è comunque definita come tale dall'esterno
(attraverso i "discorsi del potere"), ma non a una comunità (in senso europeo, cioè di gruppo che
mette in comune un destino), che definisci tu dall'interno. Alla fine, sotto tanta (troppa!) retorica
e frasi fatte "di sinistra" (il capitalismo... la fallocrazia.. la borghesia... l'eteronormatività...) la
visione del mondo di queste teorie non ha nulla da invidiare a quella neocons.

Posso farne a meno, grazie.

I danni del "fuori contesto".

Oltre alle ragioni generali di critica al neoinvenzionismo appena elencate ne esiste poi per me, in
quanto italiano, una specifica: i danni che fa in Italia la "teoria queer", per aver tentato di
trapiantare fuori contesto un armamentario polemico che per l'Italia è controproducente.

Negli Usa infatti lo Stato ha per secoli preteso di decidere lui - per legge - chi fosse
"omosessuale" o meno, e di punirlo di conseguenza: fuggire da tali definizioni è stato quindi un
atto logico e liberatorio - dopo tutto, lì queer non è come in italiano un eufemismo, ma vuol dire
"frocio".

Però in Italia da due secoli lo Stato ha optato [11] per una strategia opposta, negando l'esistenza
stessa dell'omosessuale e incoraggiando le persone omosessuali a non definirsi mai come tali. Le
dichiarazioni degli adepti della queer theory sull'inesistenza dell'omosessualità, se non in quanto
convenzione sociale, finiscono così per coincidere con le dichiarazioni degli ultraconservatori, e
in particolare degli ultracattolici, che sostengono esattamente la stessa idea. E quando poi i
queer theorists affermano che l'orientamento sessuale "si sceglie", suscitano gli applausi
deliranti dei "terapeuti" che vogliono "riparare" i gay: "Luca era gay", poi ha ascoltato le
conferenze queer ed ha capito che l'orientamento si può scegliere a piacere, "e adesso sta con
lei". Bravi, bravissimi...

Per me risulta semplicemente incomprensibile l'atteggiamento di chi in Italia da un lato è un


alfiere della queer theory e della "complessa ed ibrida mescolanza d'identità"; dall'altra però
lamenta che l'impossibilità di fare ricerca gay nelle università italiane nasce anche dal fatto che in
Italia

"l'omosessualità è presente e sempre più visibile (qui sto parlando dei gay maschi) ma non
definita come tale. Esiste un certo elemento consistente nell'essere visibilmente gay e allo stesso
tempo fingersi altro, rifiutando i nomi delle identità. Questa modalità "resistente" (o
condiscendente) è condivisa non solo da un discorso virulentemente omofobico, <ma> è anche
prevalente fra molti gay che si oppongono alla nozione di cultura gay. Sia che ciò possa essere
interpretato come "omofobia interiorizzata" o meno, io penso che non possiamo fare altro che
partire da questo senso di specificità gay ampiamente incompleta in Italia, condivisa da ampie
sezioni della popolazione. Dopo tutto, gli "studi gay" possono essere immaginati e costruiti solo
se esiste un'ipotesi di specificità culturale da investigare, anche solo per metterla in dubbio o
precisarla [12]".

Ora, io lo so di essere vecchio e superato, ma qualcuno giovane ed à la page mi deve spiegare


allora che logica ci sia nel lavorare da un lato per "decostruire" le identità fisse e immutabili,
come proclama di voler fare la queer theory, e dall'altro lagnarsi perché i gay italiani non hanno
identità fisse e immutabili, dato che non avendole è impossibile "decostruirle". Ma se non le
hanno, allora l'Italia ha già felicemente raggiunto il paradiso dei queer theorists. Dimostrando
peraltro nei fatti che esso assomiglia più a un inferno che a un paradiso...

Qualcosa del genere è stato del resto notato in un contesto che per certi versi è diverso da quello
italiano, ma per altri versi non lo è: la Francia. Dove l'importazione della queer theory ha cozzato
contro la medesima difficoltà: in contesti politici (quelli del Codice Napoleonico) in cui la
strategia dello Stato è stata per secoli impedire la formazione d'identità omosessuali forti e fisse,
l'arrivo del "solvente" queer, lungi dal liberare gli omosessuali dalle incrostazioni che impedivano
loro di muoversi, rischia di scioglierne la corazza difensiva, lasciandoli nudi e indifesi di fronte ai
"discorsi del Potere".

Suscitando così una resistenza, analoga a quella mia, contro uno strumento percepito come
pericoloso e controproducente:

"Per i queer americani, il traguardo è sfidare la costruzione sociale e storica di categorie della
sessualità e del genere, e in particolare le identità fisse di etero, gay, lesbica e bisessuale, perché
ogni costruzione d'identità serve solo a restringere l'espressione autonoma o la prestazione [13]
del desiderio. Questo atto di sfida presuppone l'esistenza di identità sessuali. Per sfidare i limiti
delle identità etero, gay, lesbica e bisessuale, le identità devono essere concepite come esistenti.
Questa nozione pone problemi particolari quando la si traduce in un contesto francese, poiché
l'esistenza a priori di categorie sessuali, in Francia, è lungi dall'essere assiomatica.

La resistenza iniziale sperimentata dai queer theorists americani in Francia [14] era dovuta in
parte al modello sociale francese di universalismo. In base a questo modello, l'opportunità
d'essere socialmente integrato esiste in principio per chiunque abbia voglia di accettare le
costrizioni dell'assimilazione, e come risultato la tolleranza della differenza non è ciò che viene
perseguito. Per un gruppo, trovarsi ad essere separato dalla società in base alla razza o
all'orientamento sessuale non sarebbe costruito (sic) come un risultato desiderabile, dato che si
colloca in diretta opposizione all'obiettivo dell'universalismo e dell'integrazione sociale. Così,
qualsiasi cosa percepita come derivata da una politica identitaria in stile americano si scontra
spesso con alti livelli di scetticismo da parte dei gruppi glbt francesi.

Il sociologo francese Frederic Martel (1999) ammonisce, per esempio, che i militanti gay francesi
"che cercano di imitare il modello americano, a meno che siano preparati a smantellare
completamente il modello francese d'integrazione degli individui, hanno bisogno di
comprendere che una tale operazione chirurgica potrebbe rivelarsi pericolosa in una nazione
dove non esiste nessuna tradizione di comunitarismo, per lo meno non ancora" [15].

L'esito paradossale è che:

"Negli Stati Uniti, è il movimento basato risolutamente su un'identità gay ad avere portato a
marchi di differenza che escludono. Ed una delle ragioni per l'esistenza del queer laggiù è
smantellare queste identità che minacciano di diventare "naturali". In Francia, l'idea di queer
può servire come prima cosa a costruire una identità, nel senso classico" [16].

Sostituendo la parola "Francia" con "Italia", l'analisi si adatta perfettamente anche al nostro
contesto. A iniziare proprio dal fatto che l'uso corrente in lingua italiana sta effettivamente già
erodendo (con la sola eccezione di alcuni contesti universitari, ammaestrati all'uso corretto del
concetto) il significato del termine "queer" facendone un semplice sinonimo di "gay", come vedo
che sta già accadendo fra i militanti lgbt più giovani. Per i quali tutto è "queer" (quando non è già
"post-queer")... ed alla fine è perfettamente identico a ciò che era quando era solo "gay e
lesbico".

Che ironia. Una teoria che affermava che la realtà è solo linguaggio, nel momento in cui deve
affrontare un travaso di linguaggi, anziché improntare di sé la nuova realtà scopre che è la realtà
preesistente a trasformare e piegare il linguaggio alle proprie esigenze [17].

Alla fine, la Storia di un popolo esiste anche quando non la si considera, ha un peso e, nel bene o
nel male, presenta sempre il conto. I signori professori che nella loro torre d'avorio pretendono
che il mondo cambi solo perché loro hanno scritto libri con la parola "rivoluzione" nel titolo,
sono avvisati.

Rimozione puritanica della sessualità.

Un ulteriore motivo di critica politica che individuo nel neoinvenzionismo è il suo profondo
disagio con la sessualità.

A titolo di esempio sintomatico citerei la tesina di Ralf Blaauwbroek, From the sodomite towards
the homosexual [18], nella quale la parola "omosessualità" è cestinata in due righe in quanto
"troppo connotata" dal punto di vista medico, e oplà, sostituita con "omoerotismo". Ora, questa
parola non è affatto più "neutrale": è solo più sessuofobica. A parte il fatto che occupa già uno
spazio semantico (per indicare la passione erotica fra due persone dello stesso sesso) essa fu
coniata nel 1911, nell'opera Das gleichgeschtliche Leben der Naturvölker, dall'entomologo
tedesco omosessuale Ferdinand Karsch-Haack (1853-1936), infastidito dall'enfasi posta sulla
sessualità dal termine "omosessualità".

Lo stesso motivo, il disagio con il sesso, hanno altri conii similari, come "omofilia" (opera d'uno
studioso nazista e omosessuale, della cerchia di Roehm, tant'è che fu ucciso nella "Notte dei
lunghi coltelli" [19]) o la più recente proposta dei "gay di centrodestra", come Alessandro Cecchi
Paone o Enrico Oliari di usare "omoaffettività".

Il fatto che la sessualità degli omosessuali infastidisce e imbarazza i "normali" permette infatti
solo due opzioni: o educarli al rispetto delle differenze sessuali, o nasconderla, per togliere loro
tale imbarazzo. Il neoinvenzionismo (come, da sempre, le destre del movimento lgbt) ha scelto la
seconda strada.

Eppure, il fatto che esista "omoerotismo" ma non "eteroerotismo" la dovrebbe dire lunga sul
fatto che ciò che conta, in questa terminologia, è solo distrarre l'attenzione dalla sessualità
omosessuale, la cui esistenza "disturba" da millenni la società "normale". In questo modo la
sessuofobia interiorizzata e la "omonormatività" degli studiosi neoinvenzionisti è
contrabbandata per scrupolo scientifico e per "decostruzione" dei "discorsi del potere". Ma
come insegna il Vangelo (Matteo, 4:6), Satana è perfettamente in grado di citare la Bibbia per i
suoi scopi, e nello stesso modo il Potere è perfettamente in grado di usare il decostruzionismo e
la critica ai "discorsi del potere" per costruire nuovi "discorsi", altrettanto normativi ed
oppressivi di quelli che il neoinvenzionismo pretende di aver "decostruito".

In mezzo alle gambe noi non abbiamo un "genere".

Lo stesso problema della sostituzione di "sessualità" con "erotismo" io lo trovo con la


sostituzione del vittoriano "genere" (che appartiene alla grammatica, e lì deve tornare a stare) al
termine tanto amato e tanto digitato su Google da tutti noi: "sesso" (che appartiene alla biologia
ed alla vita, e che è anzi all'origine stessa della vita).

Ci si faccia caso: ormai si parla esclusivamente di "studi di genere", o "ruoli di genere" [20]: usare
la parola(ccia) "sesso" in un saggio dimostra che si è una persona grezza e arretrata. Come se in
passato, distinguendo fra "sesso biologico" (che è geneticamente determinato) e "ruolo
sessuale" (che è socialmente e culturalmente costruito: Margareat Mead scrive decenni prima di
Foucault!) non fosse già possibile distinguere perfettamente fra biologia e cultura! Il solo
vantaggio di avere trasformato i "ruoli sessuali" in "ruoli di genere" è quindi essere riusciti a far
sparire dal quadro e dal linguaggio la parola "sesso", che tanto fastidio dava a puritani e
puritane. Quelli/e che fra le gambe non hanno un sesso, bensì un genere grammaticale.

In questo modo le zitelle di tutti e tre i sessi che abitano le cattedre dei puritanissimi Stati Uniti
sono riuscite a renderci persone letteralmente senza più sesso.

Il sesso è relegato a una funzione esclusivamente riproduttiva... per tutto il resto c'è il genere
grammaticale.

E però a me sa che questa qui del sesso che deve avere una "funzione esclusivamente
riproduttiva" io l'avevo già sentita...

Dal papa.

[1] Proposto da Joseph Cody in: "Masculine love", Renaissance writing and the "new invention"
of homosexuality (in: Claude Summers (cur.), Homosexuality in Renaissance and Enlightenment
England, Haworth press, Binghamton 1992, pp. 41-68, parzialmente online qui). Ho fatto mia la
proposta perché ha il pregio di focalizzarsi su una idea-cardine anziché su un'etichetta esterna.

[2] Una definizione rapida si trova su Wikipedia. Per approfondire: Elisa Arfini e Cristian Lo
Iacono (a cura di), Canone inverso. Antologia di teoria queer, Ets, Pisa 2012 e Marco Pustianaz (a
cura di), Queer in Italia. Differenze in movimento, Ets, Pisa 2011. Tra i "fondamenti": Eve
Kosofsky Sedgwick, Stanze private. Epistemologia e politica della sessualità, scritto nel 1990 ma
tradotto da Carocci, Roma, nel 2011 e Judith Butler, Corpi che contano. I limiti discorsivi del
"sesso", Feltrinelli, Milano 1996 [1993]. Per una critica accurata, ma in linguaggio comprensibile
dagli esseri umani: Maria G. Di Rienzo, La teoria queer spiegata ai deficienti (fra i quali va inclusa
l'autrice).

[3] Anche se esse hanno il loro peso. Perfino un neoinvenzionista come James Schultz, nel suo
Heterosexuality as a threat to medieval studies ("L'eterosessualità come minaccia agli studi
medievali", "Journal of the history of sexuality", XV 2006, pp. 14-29) denuncia come, a furia
d'insistere sul fatto che non si può parlare di "omosessualità" nel medioevo, ora gli storici
parlano di "rapporti eterosessuali" e "rapporti fra persone del medesimo sesso", decretando così
la scomparsa totale di "lesbismo" e "omosessualità" dalla storia medievale.

Ovviamente Schultz non ridiscute la sensatezza dei dogmi che portano a tali aberrazioni, anzi
chiede di raddoppiare la dose del medicinale dannoso, cioè di smetterla di parlare di
"eterosessualità". Il che è semplicemente geniale. Non vedo l'ora di poter discutere usando
termini storicamente "non anacronistici", come: "naturale" vs. "contronaturale'', o "impulso
procreativo" vs. "istigazione demoniaca", anche se ahimè sono intrisi di pesantissimi (pre)giudizi
morali. Per evitare i quali, guarda tu il caso, era stata creata in origine la coppia di termini "etero-
omosessuale".

[4] Potrei citare alcuni dei contributi contenuti in: Eward Stein (cur.), Forms of desire. Sexual
orientation and the social constructionist controversy, Garland, New York & London 1990; Raja
Halwani, Essentialism, social costructionism, and the history of homosexuality, "Journal of
homosexuality", XXXV 1998, pp. 25-51, e soprattutto la monografia di Rictor Norton, The myth of
the modern homosexual. Queer history and the search for cultural unity, Cassell, London 1998.
In senso più ampio (non focalizzato sugli studi gay), Jean Bricmont e Alan Sokal, Imposture
intellettuali, Garzanti, Milano 1999.

Una satira devastante sulla vuotezza di contenuti del misterioso gergo dei neoinvenzionisti
(Judith Butler ha vinto nel 1998 l'ironico "Premio per la peggiore scrittura accademica"), e sul
loro abuso di frasi fatte, è il generatore automatico di saggi postmodernisti (in inglese), online
qui. (Fate "refresh" ed apparirà un altro saggio scritto a caso).

[5] David Halperin, uno dei più noti (ed anche più brillanti) neoinvenzionisti, oltre ad aver scritto
How to do the history of male homosexuality ("Come fare storia dell'omosessualità maschile",
"GLQ", VI 2000, pp. 87-123) nel 2012 se n'è venuto fuori con il volume How to be gay ("Come
essere gay", Belknap Press, Cambridge, Massachusetts)!

[6] Sul quale si veda: Kenneth Plummer (a cura di), The making of the modern homosexual,
Hutchinson, London 1981, che ripubblica anche il saggio di Mary Macintosh, The homosexual
role, "Social problems", XVI 1968, pp. 182-92, che a mio parere è la vera sorgente del
neoinvenzionismo, assai più delle 220 parole di Foucault che ho discusso nella premessa di
questo libro. Foucault in realtà fu solo adottato (e adattato) come "padre nobile" quando ormai
nel mondo anglosassone il trend neoinvenzionista era già nato per conto proprio. In effetti, La
realtà come costruzione sociale, opera di Peter Berger e Thomas Luckmann (Il Mulino, Bologna
1969 e 2009; non l'ho letto) era stato pubblicato fin dal 1966 (anche se era solo un'analisi
sociologica, e non un testo religioso).

[7] Peter Jackson, Thai research on male homosexuality and transgenderism and the cultural
limits of foucaultian analysis, "Journal of the history of sexuality", VIII 1997, pp. 52-85.
[8] Al "sodomita" dedico un capitolo del libro. Sul kinaidos: Amy Richlin, Not before
homosexuality: the materiality of the cinaedus and the Roman law against love between men,
''Journal of the history of sexuality'', III 1993, pp. 523-573, e perfino David Halperin, One
hundred years of homosexuality and other essays on Greek love, Routledge, New York 1989,
passim: se ne veda la significativa ammissione nella nota 39 a p. 161.

[9] Anonimo, Orlando Cruz, il pugile gay: "Metto Ko i pregiudizi", "Il fatto quotidiano", 5
dicembre 2012, p. 15. (Tra parentesi, complimenti a chi ha trovato quello che giudico il titolo più
cretino del decennio!).

[10] Nel linguaggio neoinvenzionista, degno figlio della neolingua di George Orwell,
"comunitarismo" non indica affatto la politica della comunità sociale, bensì il suo esatto opposto:
la frantumazione della società in un pulviscolo di gruppuscoli (communities), ognuno portatore
di bisogni diversi e in competizione fra loro, ciascuna non riconducibile alle altre. Ecco perché è
necessario citare sempre separatamente gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, transgender,
intersessuali, queer, asessuali, in una lista che di anno in anno non fa altro che crescere, dato che
ognuna di tali condizioni umane è distinta e irriducibile alle altre e lascia spazio ad altre ai propri
margini estremi. Si moltiplica in questo modo il numero di "io", ma la somma di tutti gli "io" non
riesce mai ad essere, o a diventare, un "noi". Curiosamente, il "Potere" è invece sempre
teorizzato come unico, monolitico, coerente, non attraversato da conflitti o contraddizioni, come
per esempio (ma non solo) le contraddizioni di classe...

[11] Come ho argomentato nel mio saggio: La tolleranza repressiva dell'omosessualità. Quando
un atteggiamento legale diviene tradizione. In: Arci gay nazionale (a cura di), Omosessuali e
Stato, Cassero, Bologna 1988, pp. 37-57.

[12] Marco Pustianaz, The ''white hole'' of gay studies in Italy, Conference paper, 1999,
consultabile online, pagina 2 del .pdf.

[13] "Performance"

[14] Si noti il linguaggio che ricorda la relazione d'un missionario che spiega le resistenze degli
indigeni alla predicazione della Verità, e la fiducia sottesa nel fatto che anche i francesi, alla fine,
arriveranno a pensarla come gli americani (la resistenza è "iniziale" e non "essenziale").
Analizzare in che modo la queer theory e il neoinvenzionismo, alla pari della predicazione degli
evangelici, costituiscano strumenti attraverso i quali si perpetuano l'egemonia e l'imperialismo
culturale americano mi porterebbe, però, troppo lontano, mentre è ora di chiudere questo libro
e andare tutti a casa.

[15] Scott Gunther, Alors, are we 'queer' yet?, "The gay & lesbian review worldwide", may-june
2005, vol. 12, p. 23.

[16] Ivi.

[17] Lo stesso fenomeno ha notato Peter Jackson in Thai research..., Op. cit., osservando la
riattribuzione di significati "locali" a significanti come "gay".

[18] Del 2012, leggibile online.

[19] L'eufemismo fu coniato nel 1924 in Germania da Karl Günther Heimsoth, militante
omosessuale di (estrema) destra, nella sua tesi di dottorato Hetero- und Homophilie. Heimsoth
era turbato dall'enfasi che il termine omosessualità poneva implicitamente sull'aspetto più
"scandaloso" dall'amore fra individui dello stesso sesso, ossia il rapporto sessuale, e cercava un
eufemismo che rendesse più "rispettabile" e meno "scioccante" l'argomento. La sua fine
dimostra meglio di mille dissertazione che il problema non sta nelle parole.

[20] Ecco alcune definizione di interessi accademici, prese da autentici curricula online di
accademici che si occupano in Italia della tematica omosessuale: "Storia delle donne e delle
identità di genere"; "Storia delle identità di genere e dei diritti sessuali", "Storia delle relazioni di
genere e diritti delle donne"... Un premio a chi scopre quale parola non viene nominata mai.

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