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it, 13 novembre 2017

I MIGRANTI MORTI IN MARE E LA VOCE DELLA NOSTRA COSCIENZA

OLIVIERO FORTI*

In tutti questi anni in cui siamo stati testimoni impotenti dell’immane tragedia che si sta consumando
nel Mediterraneo, abbiamo dovuto fare i conti anche con le terribili immagini diffuse periodicamente dai
media. Migliaia di vittime innocenti che tentano di sfuggire alla morte certa di un naufragio, cercando aiuto
tra i flutti di un mare che non perdona. Nei nostri occhi si sono fissati, ormai in modo indelebile, i volti e gli
sguardi di genitori disperati che tendono le braccia ai soccorritori per mettere in salvo i propri figli,
strappandoli così da quella tomba liquida chiamata Mar Mediterraneo.

Le urla, i pianti, la disperazione, il rombo dei motori delle navi di soccorso, la concitazione di quei
momenti cruciali dove la vita e la morte si confondono tra le onde, rimbombano nelle nostre orecchie con
una potenza inaudita.

Purtroppo è diventata una drammatica normalità a cui abbiamo assistito anche lo scorso 6 novembre,
meno di una settimana fa. Di prima mattina la Ong Sea Watch riceve il comando, dal Centro di
coordinamento del soccorso Marittimo di Roma, di portarsi a 30 miglia dalle coste libiche, dove un
gommone con molti migranti a bordo è in difficoltà. Fedele al proprio mandato, frutto dell’accordo con
l’Italia, anche la Guardia costiera libica si reca nella zona dell’evento Sar. Da quel momento inizia una
trattativa surreale tra l’ong e la Guardia costiera per mettere in salvo le persone già in acqua, alcune delle
quali galleggiano senza vita. Tra di loro il corpicino di un bimbo di due anni. Alcuni migranti sono portati
sulla nave di Sea Watch, altri su quella della Guardia costiera libica i cui marinai, però, iniziano a colpire con
corde e bastoni chi tenta di gettarsi in mare per raggiungere l’imbarcazione dell’ong. Una situazione
incredibile che ha un esito tragico: la Guardia Costiera, nonostante un naufrago sia in acqua attaccato ad una
cima, avvia lo stesso i motori per allontanarsi verso le coste nord africane. L’uomo morirà annegato davanti
agli occhi della moglie.

I video e gli audio messi a disposizione dall’ong, circolati nei giorni scorsi, riportano quanto
successo in quegli orribili frangenti. Forse un giorno qualcuno accerterà le responsabilità di quanto accaduto.
Nessuno, però, potrà mai dimenticare la voce proveniente dal megafono di un militare della Marina militare
italiana che dall’elicottero cerca di bloccare la Guardia Costiera libica, intimandogli di fermarsi. Non è solo
la voce di un uomo che sta svolgendo diligentemente il proprio dovere, ma è un accorato appello a salvare
delle vite umane che il mare sta inghiottendo: “Guardia costiera libica fermate i motori, per favore cooperate
con Sea Watch! Per favore, cooperate con Sea Watch! Vogliamo che vi fermiate ora, ora! ora! Guardia
costiera libica avete una persona sul lato destro, per favore fermate i motori! Fermate i motori!”.

Le parole inascoltate di quell’uomo sono capaci di suscitare mille sensazioni contrastanti: rabbia,
verso chi non ha alcun rispetto per la vita altrui; ammirazione per chi tenta in ogni modo di salvare vite
umane; delusione verso chi aveva assicurato che le nuove politiche sui flussi sarebbero state sempre e
comunque rispettose dei diritti umani.

E allora la voce anonima del militare italiano diventa la voce della nostra coscienza che non può più
sopportare questo silenzio complice su quanto sta avvenendo dall’altra parte del Mediterraneo.

*responsabile nazionale per Caritas italiana del settore immigrazione

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