Geremia (Jermiahu ben Chilqijahu) è tra i profeti biblici quello di cui si hanno maggiori
notizie biografiche. Di famiglia sacerdotale, nacque ad Anatot, un villaggio presso
Gerusalemme. La sua attività profetica si estese per un periodo di circa 40 anni, dai tempi
del re di Giuda Giosia (626 av. e.v.) a poco dopo la distruzione del Santuario da parte dei
Babilonesi (587 av. e.v.). Avvertendo la minaccia crescente della potenza babilonese, cercò
di impedire la distruzione del regno di Giuda, suggerendo una politica accomodante; ma in
tal modo si inimicò la classe dirigente e il popolo e fu perseguitato e imprigionato. Dopo la
distruzione del Tempio e la morte del governatore ebreo Ghedalia, Geremia fu costretto a
seguire un gruppo di esuli verso l’Egitto, e da quel momento non si hanno più notizie di lui.
Le notizie sulla vita di Geremia e le sue profezie sono raccolte nell’omonimo libro biblico,
che il canone colloca tra i "profeti maggiori"; le notizie biografiche sono frammentarie nella
prima parte del libro, che è essenzialmente di contenuto profetico, poi diffuse e dettagliate
nei capitoli dal 26 al 45. Il libro di Geremia fu messo per iscritto, in parte sotto dettatura
diretta, da Barukh figlio di Neriah, discepolo di Geremia, e suo segretario. La tradizione
successiva ha attribuito a Geremia il breve libro biblico delle "Lamentazioni", che è una
raccolta di elegie per la distruzione di Gerusalemme, e una apocrifa "Lettera di Geremia".
"Maledetto sia il giorno in cui sono nato; non sia benedetto il giorno in cui mia madre mi
ha partorito... Perchè sono uscito dal ventre materno, per vedere fatica e dolore, perchè la
mia vita finisse nella vergogna?"
L’altro grande tema della predicazione di Geremia è quello dell’abbandono del servizio
divino, contro ogni forma di degenerazione del sentimento religioso, fino alle diverse
forme di idolatria. Dopo aver criticato la religiosità formale dei sacrifici, che non hanno
senso in una società ingiusta, estende la sua polemica contro altri formalismi religiosi,
scalzando la fiducia magica nel potere dei luoghi sacri; non ha senso invocare, a tutela della
propria salvezza : "questo è il Tempio del Signore"(7:4); è il comportamento, non il luogo,
l’unica garanzia di salvezza. Ma è un discorso pericoloso, perchè agli occhi dei formalisti,
tanto ciechi da non capirne il reale significato, è come una dissacrazione: e Geremia per
questo deve sopportare un processo (cap. 26).