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Anno xxxiv · 63 · Gennaio-Aprile 2009

Religioni e Società
Rivista di scienze sociali della religione

Fantasy, Cinema, Cristianesimo,


in tempo di secolarizzazione

Fabrizio Serra editore


Pisa · Roma
Sommario
Fantasy, Cinema, Cristianesimo,
in tempo di secolarizzazione

Arnaldo Nesti, Editoriale 9

Saggi
Roberto Cipriani, Gli angeli nella società post-secolare 19
Riccardo Valla, Le tre stimmate di Palmer Eldritch : la fantascienza di Philip K. Dick

tra religione e realtà virtuale 37


Ezio Albrile, Illusioni di realtà : appunti in bilico fra mitografia e fantascienza
  43
Eusebio Ciccotti, Parareligioso e cinema. Il motivo / tema delle sette nel cinema 51
Riccardo Rosati, Scienza e fede nel cinema di fantascienza : Star Trek e Star Wars a

confronto 79
Aelfric Bianchi, La reinvenzione del divino : Lord of Light di Roger Zelazny tra fan-

tascienza e religione 89

Note
Ole Riis, The Choice of Methodology for an Empirical Project in the Sociology of Religion 99

Dialoghi · Documenti
La fantascienza come ‘sociologia religiosa’
Intervista a Riccardo Valla raccolta da Ezio Albrile 109

Recensioni
Jim A. Beckford, N. Jay Demerath III (eds.), The sage Handbook of the Sociology of
Religion (Domenico Pizzuti) 117
Arnaldo Nesti, Alle radici della Toscana contemporanea. Vita religiosa e società dalla
fine dell’Ottocento al crollo della mezzadria (Roberto Cipriani) 118
Alessandro Castegnaro (a cura di), Religione in standby. Indagine sulla religiosità dei
giovani di Trieste (Carlo Genova) 119
Fabio Rambelli, Buddhist Materiality : A Cultural History of Objects in Japanese Bud-

dhism (Andrea Molle) 120


Carmelina Chiara Canta, Marinella Pepe (a cura di), Abitare il dialogo. Società e cul-
ture dell’amicizia nel Mediterraneo (Enzo Pace) 121
Stefano Becucci, Eleonora Garosi, Corpi globali. La prostituzione in Italia (Carlo
Catarsi) 122

Schede
Maurice M. Roumani, The Jews of Lybia. Coexistence, Persecution, Resettlement (Enzo
Pace) 127
«Religioni e Società» · xxxiv · 63 · Gennaio-Aprile 2009
Hanno collaborato a questo numero : 

Arnaldo Nesti (Università di Firenze) · Roberto Cipriani (Università di Roma Tre) · Riccardo
Valla (Editrice Elara, Bologna) · Ezio Albrile (cesmeo, Torino) · Eusebio Ciccotti (Università
di Foggia) · Riccardo Rosati (‘Versoriente’, Roma) · Aelfric Bianchi (Università di Torino, dams)
· Ole Riis (Università di Agder, Norvegia)
La reinvenzione del divino : Lord of Light  

di Roger Zelazny tra fantascienza e religione


Aelfric Bianchi

Lord of Light by Roger Zelazny is an interesting specimen of how traditional religions were reinterpreted
in the Sixties and the Seventies by the so-called speculative fiction, i.e. the new wave of science fiction. Ze-
lazny’s work shows deep connections with the culture and trends of the Movement (beats, hippies, etc.), par-
ticularly in its choice of Eastern religions and philosophies against Christian doctrines. Religion is generally
considered by the author as an instrumentum regni whose divine and miraculous epiphanies do not imply
the existence of real gods, but arise from a superior scientific and technological knowledge, monopolized by
a privileged élite in order to control mankind. Under this standpoint, Hinduism in Lord of Light is not so
different from Christianity, and Buddhism’s slight supremacy on them is due to its more emphasized ethical
imprint. This is one the few novels which introduce and discuss Hindu and Buddhist theories and myths in
contemporary science fiction.

I n un’epoca di progressiva ma radicale secolarizzazione della civiltà occidentale, segnata


da un crescente disinteresse nei confronti della religione cristiana, cui subentrano in
maniera graduale ma all’apparenza inarrestabile nuovi miti sempre meno legati alla sfera
del trascendente, può essere interessante analizzare alcune pagine di Roger Zelazny, un
autore che a modo suo e in un settore assai particolare della narrativa precorre, o comun-
que capta con notevole sensibilità, una simile linea di tendenza. In una serie di romanzi e
di racconti dedicati alle religioni e ai loro miti, tra i quali spicca Lord of Light (Signore della
Luce, 1967), 1 egli propone infatti una stimolante reinterpretazione delle divinità tradizio-
nali, spogliandole delle loro caratteristiche sovrannaturali e metafisiche per ricondurle a
una sfera squisitamente umana, non soltanto in chiave metaforica ma anche e soprattutto
strutturale : gli dei da lui rivisitati sono in primo luogo uomini ‘travestiti’ da dei che legitti-

mano la propria inestinguibile sete di potere grazie a superiori conoscenze tecnologiche,


assumendo ‘abiti’ divini ed elevandosi a esponenti dei grandi sistemi religiosi dei quali
ricostruiscono e riproducono il pantheon. 2

Aelfric Bianchi, Università di Torino, dams, Via S. Ottavio 20, 10124 Torino (Italia). E-mail : aelfric@tiscali.it

1
  Quasi tutte le opere menzionate in questo saggio sono state in Italia più volte ristampate dal medesimo
editore in collane diverse e in molti casi ripubblicate da editori differenti. Parecchie sono state ritradotte. Con
alcune eccezioni, abbiamo pertanto ritenuto opportuno indicare il titolo con il quale l’opera è uscita per la
prima volta in italiano o è comunque nota nel nostro Paese. Ove non esistano traduzioni, il titolo è dato tra
virgolette anziché in corsivo.
2
  Il romanzo ebbe uno straordinario successo, che non si esaurì nel giro di pochi anni, al punto che ancora
nel 1977 una casa di produzione annunciò l’intenzione di investire cinquanta milioni di dollari per realizzarne
una versione cinematografica. Il film sarebbe stato girato in Colorado e il set sarebbe in seguito diventato un
parco tematico dedicato alla fantascienza. Non se ne fece però nulla, sicché l’unico romanzo di Zelazny por-
tato sul grande schermo resta Damnation Alley (La pista dell’orrore, 1969). Diretta da Jack Smight, che nel 1969
aveva già curato la regia di un film fantastico, The Illustrated Man (L’uomo illustrato, 1951) di Ray Bradbury, e
proposta in Italia con il titolo L’ultima odissea, la pellicola è ambientata in un’America devastata dall’olocausto
nucleare.
Viene da domandarsi per quale motivo la casa di produzione abbia rinunciato al progetto, per la cui sce-
nografia peraltro aveva già scritturato Jack Kirby, il celebre disegnatore dei Marvel Comics. Un interrogativo
legittimo, visto che proprio negli Anni Settanta la prima serie di Star Trek, ideata da Gene Roddenberry, diventa
cult series, inizia con Star Wars la saga stellare di George Lucas ed escono film come Zardoz (cfr. nota 12) ; men-

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Nato in Ohio nel 1937, Zelazny comincia a pubblicare opere oscillanti tra la fantasy e la
science fiction nel 1962, subito dopo aver conseguito un master alla Columbia University di
New York con una tesi sul teatro elisabettiano, guadagnandosi in breve l’apprezzamento
dei lettori e dei critici. Già nel 1966 vince un premio Hugo con il romanzo This Immortal
(Io, l’Immortale, ampliamento del racconto And Call Me Conrad (« E chiamatemi Conrad »,
   

scritto l’anno precedente) e un premio Nebula con The Dream Master (Signore dei sogni),
una novella poi sviluppata a sua volta in romanzo. Nel 1968 si merita un secondo Hugo
per Lord of Light, uscito quasi contemporaneamente a A Rose for Ecclesiastes (Una rosa per
l’Ecclesiaste), un’antologia il cui titolo rimanda a uno dei suoi racconti più significativi,
scritto nel 1963. 1
Grazie a questi lavori, lo scrittore si impone come uno degli esponenti di maggior
spicco, assieme ad altri giovani autori quali Harlan Ellison e Samuel R. Delany, 2 di quella
che Judith Merril, dalle pagine di « The Magazine of Fantasy and Science Fiction », insi-
   

steva a definire new wave (con riferimento alla nouvelle vague francese), per la sua qualità
di speculative fiction : un approccio innovativo al fantastico che rompeva decisamente con

la space opera di John W. Campbell ed E. E. ‘Doc’ Smith e dei loro epigoni, ma anche con
l’orientamento futurologico di certa narrativa di anticipazione alla Isaac Asimov e con il
filone sociologico e sociopolitico allora in voga, teorizzato da Kingsley Amis in New Maps
of Hell (Nuove mappe dell’inferno, 1960).
A caratterizzare quella che ancor oggi si presenta come la fase più originale e creativa
tre The Sacred Mountain (La montagna sacra) lancia Alejandro Jodorowski come regista esoterico e visionario,
permeato di pensiero orientale.
Proprio l’aver affidato i bozzetti per le scene a un disegnatore di fumetti suggerisce tuttavia una possibile
spiegazione : la tradizione dei Marvel Comics offriva alla sf una sorta di iconografia di base (come, in Giappo-

ne, i manga), una visualizzazione sostanzialmente organica di un certo futuribile di taglio occidentale, assimi-
lato ormai dall’immaginario contemporaneo. Ma in India mancava un’analoga iconografia di riferimento, in
quanto non esisteva una tradizione del fumetto ; sicché gli unici modelli visuali collegabili al pantheon induista

erano quelli offerti da pellicole ingenue, destinate a una fruizione locale e bassa, che in Occidente avrebbero
corso il rischio di affondare nel ridicolo. I tempi di Ramayan, la saga di Ramanand Sagar sul grande poema
epico sanscrito, erano di là da venire.
1
  This Immortal narra di un umano immortale e invulnerabile che manipola ma al tempo stesso protegge
i comuni mortali da una minaccia aliena. The Dream Master, un lavoro alquanto complesso che intreccia temi
molteplici, attribuisce di fatto un ruolo divino alla psicoterapia, che controlla e manipola la sfera onirica dei
pazienti mediante simulazioni neurali elaborate e dirette da un analista/demiurgo. A Rose for Ecclesiastes (repe-
ribile in italiano nella traduzione di Valerio Fissore nell’antologia Sonde nel futuro, curata da Robert Silverberg,
Milano, Nord, 1978) rimanda al mito di Orfeo ed Euridice, rivisitato in chiave marziana.
La tendenza a sviluppare il racconto in romanzo è assai frequente nella sf angloamericana di quegli anni,
che ha la fortuna di poter disporre di un ampio parco di riviste specializzate, ove i nuovi autori possono pro-
porre e verificare il proprio lavoro. Molti scrittori amano d’altronde raccogliere e strutturare in una narrazione
compatta racconti concepiti in origine come autonomi. Due esempi assai noti sono Martian Chronicles di Ray
Bradbury (Cronache marziane, uscito in Gran Bretagna con il titolo The Silver Locusts), il cui primo ‘episodio’
risale al 1946 ma la cui versione finale è del 1950 (nel 1980 ne venne tratta una miniserie televisiva in tre parti) ;  

e il ciclo delle Foundations di Isaac Asimov (Cronache della Galassia, Fondazione e Impero, La Seconda Fondazione),
le cui sezioni iniziali datano al 1942 ma il cui fix-up in trilogia è del 1953.
2
  Nato come Zelazny in Ohio nel 1934, Harlan Ellison ha raccolto i suoi migliori racconti sul tema del rap-
porto tra l’umano e il divino nell’antologia Deathbird Stories : A Pantheon of Modern Gods (Racconti dell’uccello

della morte : un pantheon di dei moderni, 1975). Samuel R. Delany, nato a Harlem nel 1942, ha scritto tra l’altro The

Einstein Intersection (Einstein perduto, 1967), un romanzo alquanto singolare su una razza aliena che, nel tentati-
vo di comprendere la psicologia, la logica e la storia dei Terrestri, si mette per così dire in scena nei loro panni,
desumendo parti e ruoli della propria performance dalla mitologia umana, in maniera tuttavia assolutamente
astorica e acritica, al punto che in queste messinscene Cristo viene posto sullo stesso piano non soltanto di
Orfeo o Giasone ma addirittura di Billy the Kid, Jean Harlow o Ringo Starr. Al titolo italiano di The Einstein
Intersection rimandano gli Atti del Convegno di Ferrara dell’ottobre 1980, L’Einstein perduto, Ferrara, Edizioni
Coop. Charlie Chaplin, 1982.
lord of light di roger zelazny 91
della sua produzione è l’insistita riflessione sul nucleo filosofico del pensiero religioso,
sulla possibilità di sopravvivenza delle religioni nel mondo contemporaneo e sull’impatto
che lo sviluppo della scienza e della tecnologia può produrre su di esse : 1 una tematica  

affascinante che, come ha posto in rilievo Riccardo Valla, 2 fino ad allora, curiosamente, la
science fiction era parsa riluttante ad affrontare.
Che Zelazny e i suoi colleghi new wave si affermino tra gli Anni Sessanta e Settanta non
pare affatto casuale. Sono questi gli anni del Movement, di una Beat Generation che, dichia-
ratasi in un primo momento ‘battuta’, cioè irrimediabilmente sconfitta dagli eventi e dai
tempi, reinterpreta con il trascorrere degli anni l’aggettivo beat come ‘beato’, per aprirsi
infine alle prospettive e alle proposte utopiche degli hippies e dei ‘figli dei fiori’. Il loro è
un movimento anti-Establishment che punta alla trasformazione radicale della società oc-
cidentale e alla palingenesi anarchica e pacifista (si pensi ad Allen Ginsberg o a Julian Beck
e Judith Malina, i fondatori del Living Theatre), rifiutando ogni opzione istituzionale e
ogni ipotesi stanziale ed esaltando invece l’idea e l’immagine del ‘viaggio’ : viaggio fisico  

e geografico attraverso il territorio americano (cfr. On the Road di Jack Kerouac, 1957, e
Easy Rider di Dennis Hopper, 1969), ma anche e soprattutto interiore, psichico e mentale
tramite la sessualità e la musica, gli allucinogeni e le droghe psichedeliche. 3
Il viaggio viene così a porsi come la radice e la matrice stessa dell’esistere e dell’essere,
lo strumento principe della conoscenza e dell’autocoscienza, della visione e dell’illumina-
zione, della tensione all’Oltre e all’Altrove, e quindi del recupero di un sacro che il ‘Siste-
ma’, in una logica di potere, ha progressivamente annullato, cristallizzandolo in dogmi e
dottrine, norme e divieti. L’on the road è una condizione di vita e uno stato psicofisico, ma
anche un percorso di ascesi.
È in tale contesto che il Movement riscopre e frequenta in una nuova luce un Oriente
spogliato di ogni traccia di esotismo. L’India, il Nepal, il Tibet si pongono come le nuove
frontiere, i nuovi spazi della mente e del cuore. Le filosofie, le religioni e i miti orientali

1
  Una variante sul tema particolarmente ingegnosa e attenta ai recenti sviluppi della scienza è offerta da The
Karma Affair (La fisica del karma, 1978) di Arsen Darnay, ove si immaginano esperimenti segreti sul neutrino
ispirati alla fisica quantistica e al Principio di Pauli, alle teorie di Einstein e di Heisenberg, miranti a impedire
che anime e spiriti possano reincarnarsi, cioè ad annullare le leggi del karma e il ciclo del samsara.
2
  Riccardo Valla, autore tra l’altro di una concisa ma utilissima introduzione alla prima traduzione di Lord
of Light (Signore della luce, Milano, Nord, 1975), è tra gli studiosi italiani che con maggiore frequenza hanno
scritto sui rapporti tra fantascienza, religione e mito. Tra le sue numerosissime note appaiono particolarmente
utili in questa sede “Le tre stimmate di Palmer Eldritch” : tra religione e realtà virtuale, una relazione presentata al

convegno ‘Dick Days’ di Torino nel 2002, e Fantascienza e religione, un breve saggio premesso a Notte di luce di
Philip José Farmer (Milano, Urania Coll. 52, Mondadori, maggio 2007, pp. 464 ss.), dalle quali abbiamo tratto
spunti preziosi.
Oltre a Farmer – di cui occorre almeno ricordare, accanto a Night of Light (1957, ampliato nel 1966), Jesus
of Mars (Cristo marziano, 1979), ove si immagina che dopo la resurrezione Cristo sia asceso su Marte – Valla
segnala, tra gli scrittori di sf che hanno affrontato temi religiosi, anche James Blish, che in A Case of Conscien-
ce (Guerra al Grande Nulla, iniziato nel 1953 e concluso nel 1958) presenta due scienziati, un materialista e un
gesuita, che si confrontano nella teoria e nella pratica con il rapporto tra scienza e fede ; e Lester del Rey, che

a temi analoghi dedica l’antologia Gods and Golems (Invasori e invasati, 1973), tra i cui racconti spicca For I am a
Jelous People (Non avrai altro popolo), nel quale il Dio biblico si allea con gli alieni contro un’umanità della quale
si è stancato.
3
  Sul Movement cfr. tra l’altro Lawrence Lipton, The Holy Barbarians, London, W. H. Allen, 1960 ; Vito Amo-

ruso, La letteratura beat americana, Bari, Laterza, 1969 ; Le voci degli hippies, a cura di Jerry Hopkins, trad. A. C.

Karoly, Bari, Laterza, 1969 ; Mario Maffi, La cultura underground, 2 voll., Bari, Laterza, 1980.

Degli allucinogeni e in particolare della mescalina si era già interessato Aldous Huxley, indagandone le
potenzialità come strumento di ‘illuminazione’ e di percezione ‘visionaria’ in The Doors of Perception (1954) e in
Heaven and Hell (1956). Non è da escludersi che al primo di questi saggi si siano ispirati nella scelta del proprio
nome The Doors, il gruppo rock californiano nato a Los Angeles nel 1965.
92 aelfric bianchi
(dall’Induismo al Buddhismo, dallo Zen all’I-Ching) 1 vengono indagati e vissuti come al-
ternative possibili e praticabili al fondamentalismo retrivo e restrittivo di un Cristianesimo
ormai fossilizzato che mantiene e anzi accentua il suo rapporto simbiotico con il ‘Potere’
e il ‘Sistema’. Un Cristianesimo che non appare più in grado di rispondere alle ansie e
alle urgenze dell’individuo contemporaneo, imprigionato in una dimensione esistenziale
ancor più insopportabile della caverna platonica. 2
A questo clima rimandano tutte le opere più impegnative scritte da Zelazny fino alme-
no alla metà degli Anni Settanta : Isle of the Dead (Metamorfosi cosmica, 1969) Creatures of

Light and Darkness (Creature della luce e delle tenebre, 1969), My Name Is Legion (Il mio nome
è Legione, racconti, 1976), Deus Irae (Deus Irae, 1976), 3 quest’ultimo scritto non a caso in
collaborazione con Philip K. Dick, autentico scrittore cult assunto ancor oggi dai suoi
estimatori più ardenti come ‘profeta’ di una nuova religione oscillante tra lo psichedelico
e il cibernetico, l’esoterico e il tecnologico, il mistico e il visionario. 4
In tutti questi lavori riaffiora variamente la tesi fondamentale di Lord of Light, che non si
riduce a una mera critica spesso feroce delle religioni positive, ma insiste su un divino che
nasce dall’umano : le divinità sono invenzioni elaborate dall’uomo per cercare una qual-

che risposta a ‘bisogni insopprimibili’, dall’urgenza del sacro all’ansia di immortalità. 5

1
  L’I-Ching costituisce l’asse portante di The Man in the High Castle di Philip K. Dick, più volte ristampato in
Italia come La svastica sul sole e riproposto nel 2001 per l’editore Fanucci di Roma con il titolo L’uomo nell’alto
castello da Carlo Pagetti, che sta curando da anni l’edizione critica completa nella nostra lingua delle opere
dello scrittore americano. Di essa sono ormai usciti una ventina di volumi, ciascuno dei quali è preceduto da
un saggio del curatore e chiosato in postfazione da esperti qualificati.
Al pensiero aleatorio e alla logica combinatoria fanno riferimento almeno altri due romanzi di quegli anni,
Options (Opzioni, 1975) di Robert Sheckley e The Stochastic Man (L’uomo stocastico, 1975) di Robert Silverberg. In
Options (che sembra alludere alle tesi proposte da Jacques Monod in Le hazard et la nécessité, 1970), il protagoni-
sta, nel suo percorso solitario per gli spazi di Harmonia, pianeta all’apparenza contraddittorio e ‘disarmonico’,
deve infine prendere atto che le sue scelte sono in realtà obbligate e predeterminate. The Stochastic Man presen-
ta invece un esperto di statistiche previsionali, un mago del pensiero congetturale e del calcolo delle probabili-
tà, capace di anticipare il futuro individuale e collettivo. A suo modo, una variante laica dell’I-Ching.
2
  Scarsamente presente, a parte gli esempi citati in precedenza e pochi altri, nella fantascienza e nella fantasy
classica (che, quando chiama in causa i miti antichi, preferisce semmai ispirarsi alle più ‘barbariche’ saghe nor-
rene e germaniche), il Cristianesimo è tornato prepotentemente di moda in un certo thriller contemporaneo, al
cui interno confluiscono e si contaminano fantarcheologia ed esoterismo, allusioni non sempre velate al potere
della Chiesa di Roma, del Vaticano e dell’Opus Dei e riletture fantasiose dell’Antico Testamento, dei Vangeli
e soprattutto degli Apocrifi. Parallelamente, ha ormai preso piede un singolare filone di ‘fantascienza cristolo-
gica’, che giunge addirittura a ipotizzare Cristo come alieno o crononauta. In altri casi, si sconfina senza freno
nella fantateologia, immaginando che i Vangeli canonici possano essere testi manipolati (magari dal Maligno
stesso) o monchi o inautentici.
3
  Isle of the Dead propone la figura di un umano immortale, ‘costruttore di pianeti’, venerato in molti mondi
della galassia come l’incarnazione del dio Shimbo, Signore del Tuono. Creatures of Light and Darkness si con-
fronta con i miti dell’antico Egitto, reinterpretandoli e reinventandoli alla maniera di Lord of Light. My Name Is
Legion indaga la possibilità che un futuro global network possa acquisire un controllo quasi ‘divino’ sull’umanità.
Deus Irae presenta un mondo devastato dalla Terza Guerra Mondiale, nel quale i sopravvissuti sono contesi da
due Chiese. Una di esse venera il ‘Dio Irato’, proiezione esasperata del Dio dell’Antico Testamento.
4
  Cfr. Io sono vivo, voi siete morti. Un viaggio nella mente di Philip K. Dick di Emmanuel Carrère, Bresso (mi),
Hobby & Work, 2006, e soprattutto Divine invasioni. La vita di Philip K. Dick di Lawrence Sutin, Roma, Fanucci,
2001, al quale è allegato il video Il Vangelo secondo Philip K. Dick di Mark Steensland e Andy Massagli. L’esempio
più clamoroso del passaggio dalla fantascienza alla religione è tuttavia, com’è noto, quello di Ron Hubbard,
che, dopo aver elaborato una sorta di psicoterapia esoterica battezzata Dianetica (Dianetics. The Modern Science
of Mental Health, 1950), la trasformò di fatto, negli anni successivi, nella Scientology, basata sul principio che in
ogni essere umano è presente un ‘superuomo’ che vuole e deve emergere. Cfr. ad esempio Cults of Unreason
(1973) di Christopher Evans, che ne descrive la nascita e i primi sviluppi.
5
  Il tema dell’immortalità ricorre con estrema frequenza nella narrativa e anche nel cinema di fantascienza.
Tra le pellicole che si ricollegano più o meno direttamente al pensiero di Zelazny, vanno citate almeno Zardoz
lord of light di roger zelazny 93
In tale ottica, l’elemento innovativo forte delle opere di Zelazny non si esaurisce nell’in-
troduzione nei territori della fantascienza di una tematica genericamente religiosa, ma si
manifesta con grande vigore nel superamento delle opzioni predilette dal melodramma
spaziale anche nelle sue varianti più recenti. 1 Romanzi come Lord of Light, per intenderci,
seguono coordinate che rovesciano la prospettiva persino di lavori quali Stargate (il film
di Roland Emmerich che pure da esso trae ispirazione), dove i presunti dei sono in realtà
esseri superiori provenienti da galassie più o meno remote, alieni dotati di un altissimo
livello di intelligenza e di scienza e magari di ‘poteri’ straordinari che agli occhi di un’uma-
nità rispetto a loro primitiva appaiono magici e sovrannaturali.
Sul pianeta ove si insediano i Terrestri, sono infatti i coloni a porsi come ‘alieni’ nei
confronti dei nativi. Il seme del divino è racchiuso nell’umano, e non solo potenzialmente
o virtualmente. La stessa indifferenza dei cosiddetti dei per i mortali, una indifferenza che
si traduce sovente in inesorabile spietatezza, non germina da una scala di valori diversa
perché aliena ; ma ‘appartiene’ per natura al divino in quanto, paradossalmente, ipostasi

dell’umano. Se non esiste soluzione di continuità tra l’umano e il divino, non può darsi
soluzione di continuità tra il male e il bene. Si spiega in tal modo come l’autore possa per
così dire ‘smascherare’ le grandi religioni tradizionali e al tempo stesso proporne una
gerarchia che vede l’Induismo in una posizione intermedia, al di sotto del Buddhismo ma
al di sopra del Cristianesimo.
Emblematico, in questo gioco di relazioni, l’intreccio del romanzo, che nell’antefatto,
pur seguendo altre coordinate, rimanda a The Martian Chronicles di Ray Bradbury, nei
cui capitoli iniziali i Terresti, calati su Marte con le loro ‘locuste d’argento’ (le astrona-
vi) per colonizzare il pianeta, sterminano di fatto la popolazione indigena. Comune è il
riferimento alla conquista europea del Nuovo Mondo e alla conseguente sottomissione,
che tende ad assumere i connotati dello sterminio, dei nativi americani, definiti dai primi
settlers selvaggi brutali e addirittura creature di Satana se non demoni essi stessi. 2 Allu-
dendo ai Founding Fathers, Bradbury e Zelazny chiamano subito in causa il duro e tenace
fondamentalismo puritano, ancor oggi assai vivo negli Stati Uniti.
Altri tempi, altri luoghi. Fuggiti a bordo dell’astronave Star of India da una Terra mo-
rente (significativamente menzionata come Urath, ovvero Ur-Earth), gli ultimi sopravvis-
suti alla catastrofe che li ha costretti ad abbandonare il proprio pianeta colonizzano un
mondo remoto, soggiogandone gli originari abitatori grazie alle proprie superiori cono-
e Immortel (ad vitam). Zardoz, diretto nel 1973 da John Boorman, che nel titolo rimanda a The Wizard of Oz di
Frank Baum (1900), del cui titolo è una contrazione, riprende lo schema di Lord of Light : in un lontano futuro

l’umanità è dominata da una élite di Immortali che, spacciandosi per dei, tengono nella schiavitù e nell’igno-
ranza i Bruti grazie a una tecnologia avanzata che consente loro di operare ‘miracoli’. Immortel (ad vitam)
(Immortal ad vitam, 2004) di Enki Bilal è ambientato nell’anno 2095 a New York, dove umani, mutanti e alieni
sono ossessionati dalla conquista dell’immortalità. Horus, il dio-falco che vive in un’astronave-piramide (cfr.
Stargate, 1994), cerca, per non morire, un uomo nel quale incarnarsi e una donna da ingravidare. L’influsso di
Zelazny è altresì visibile nel contesto decadente, di sapore anche vagamente dickiano, al cui interno si dipana
la vicenda : un dio egoista che assomma in sé elementi mitico-religiosi e capacità tecnologiche, preoccupato

soltanto della propria sopravvivenza e disperatamente bisognoso di una ipostasi.


1
  Cfr. le serie Star Trek (1966-1969), Star Trek. The Next Generation (1987-1994), Space 1999 (Spazio 1999, 1975-
1977) e Battlestar Galactica (Galactica, 1978-1979). Va qui notato che nella seconda serie di Star Trek compare in
taluni episodi la figura di Q, un dio burlone che tende a proporsi come una versione galattica di Maya, divinità
presente in Lord of Light.
2
  Cfr. ad esempio History of the Plymouth Plantation 1620-1647 (1656) di William Bradford e The Day of Doom
(1662 ?-1666) di Michael Wigglesworth. L’analogia tra The Martian Chronicles e Lord of Light finisce tuttavia qui.

Nel romanzo di Bradbury, Dio è infatti una presenza reale e non fittizia, come appare dal capitolo « Le sfere

di fuoco », nel quale si ipotizza che l’epifania del Dio della Bibbia possa assumere per i Marziani una forma

aliena.
94 aelfric bianchi
scenze tecnologiche. Conoscenze attraverso le quali giungono a conseguire una sorta di
immortalità – ottenuta trasferendo le menti in nuovi corpi – e ad acquistare uno status
‘divino’, fino a impersonare alla lettera, addirittura a livello iconografico e terminologico,
gli dei del pantheon induista. La società stessa cui essi danno vita ricalca fedelmente quel-
la tradizionale e storica dell’India, della quale pone in essere stereotipi e cliché all’interno
di un ‘Sistema’ immobile e cristallizzato, che esclude a priori ogni germe di innovazione.
L’intera popolazione, pur costituita dai discendenti di questi anomali ‘Padri Fondatori’, è
tenuta prigioniera in una metaforica caverna di ignoranza e superstizione, in una condi-
zione di arretratezza cui, per volontà dei nuovi dei, non può sottrarsi. 1
A turbare e sconvolgere l’immobilismo dello status quo irrompe la carica rivoluzionaria
del protagonista Sam, il quale, pur appartenendo di diritto alla schiatta dei superni (fa
infatti parte a sua volta dell’equipaggio della Star of India), si ribella al dispotico ordine
costituito, conducendo una guerra senza quartiere e senza esclusioni di colpi contro gli
antichi compagni e adottando la dottrina buddhista quale legittimazione teoretica della
sua battaglia antioscurantista. 2 Su tale sfondo all’apparenza lineare si intrecciano in realtà
vicende molteplici e articolate, che irrigidire in uno schema univoco sarebbe impresa im-
possibile. Come i grandi poemi epici indiani dai quali trae abbondante ispirazione, Lord
of Light racchiude infatti in sé una congerie ipertrofica di microstorie, talora autonome e
indipendenti, che danno vita a un affresco policromo di inestricabile complessità. Ad ar-
ricchire ulteriormente il racconto, Zelazny introduce persino la figura di un prete fonda-
mentalista, 3 già cappellano della nave spaziale, votato alla distruzione completa e radicale
di ogni religione che non sia il Cristianesimo, il quale tuttavia assume l’identità di Nirriti,
l’ambigua divinità associata alla rovina e alla morte.
Ciò che comunque preme evidenziare in questa sede non è tanto il minuzioso parallelo
tra antichi e nuovi dei (che resta perlopiù confinato al puro elemento formale), quanto
piuttosto la rielaborazione di taluni concetti e principi fondanti dell’Induismo e del Bud-
dhismo e le modalità con cui vengono trascritti in chiave pseudo scientifica e laica.
Il riferimento principale è ovviamente al binomio maya-lila. Ogni evento e ogni perso-
naggio è infatti sostanzialmente illusorio e ingannevole, sempre vissuto o agito in una
logica di ‘gioco’. Le varie ipostasi delle divinità sono in ultima analisi ‘simulacri’ in senso
dickiano, anticipazioni di quella che in anni successivi verrà definita ‘realtà virtuale’. Le
vicende, d’altro canto, si svolgono su livelli spaziotemporali multipli seppur per certi versi
simultanei, creando un voluto senso di disorientamento metafisico, non riconducibile pe-
raltro al modello degli universi paralleli o alternativi, tanto amati e frequentati dalla fan-
tascienza. Tale modello si fonda infatti sul presupposto che in una realtà n-dimensionale
possono coesistere infiniti livelli, in ciascuno dei quali il minimo sfasamento spaziotem-
porale rispetto al nostro (considerato quello reale solo in quanto ‘universo di riferimento’,
in base a cui si determina ogni variazione) provoca modifiche da minime a immani della
‘storia’ individuale e collettiva. Il tema, che sviluppa in chiave fantascientifica le teorie re-
lativistiche di Einstein, si lega sovente a quello del viaggio nel tempo e della conseguente
possibilità di modificare e riscrivere la storia come noi l’abbiamo conosciuta, o addirittura
cancellarla sul piano sia fisico sia mentale, sostituendo non solo il passato ma anche la
1
  Il rapporto tra i presunti dei e i loro sottoposti allude vagamente alle dottrine (qui induiste più che non
buddhiste) del karma e del dharma.
2
  Nel romanzo di Zelazny Sam-Buddha è non a caso il personaggio che nel parlare ricorre più di frequente
all’uso del cosiddetto anachronistic myth (‘mito anacronistico’) tipico dello scrittore americano. Esso consiste
nel far riferimento a situazioni ed espressioni che non appartengono alla sfera del narrato, bensì a quella del
narratore e dei lettori.
3
  Un richiamo all’approccio più tradizionalmente ‘cristiano’ della fantascienza alla tematica religiosa.
lord of light di roger zelazny 95
memoria di esso. Nulla di tutto ciò in Zelazny, dove semmai, come si è accennato, il ri-
mando è all’I-Ching e al rapporto tra caso e necessità e dove le lotte e i conflitti tra gli dei,
le loro continue morti e rinascite e le loro ricerche di nuove ipostasi e identità appaiono
una sorta di riscrittura in chiave minore e dissacrante dell’idea di lila, al punto che il loro
muoversi sulla scacchiera di un interminabile conflitto sembra praticare in anticipo le
regole dei moderni giochi di ruolo. Un riferimento non peregrino se si considera che da
Lord of Light ha tratto ispirazione – proprio in rapporto alla figura di Sam – uno dei più
fortunati prodotti videoludici degli ultimi anni, Fallout (1997), del quale è appena uscito il
terzo capitolo.
Il tentativo di desacralizzare e declassare a fenomeni scientifici o pseudo tali i fonda-
menti delle grandi religioni tradizionali è altresì evidentissimo nella scelta di rielaborare le
dottrine classiche del samsara e del karma in termini di clonazione, sia pure con alcune si-
gnificative differenze rispetto ai modelli fantascientifici classici. Qui non si tratta infatti di
trasferire l’integrità psichica di un individuo in uno o più corpi identici all’originale, cioè
in repliche prodotte in laboratorio e pronte all’uso. 1 Né, meno ancora, di perfezionare i
procedimenti moderni di duplicazione di un corpo identico all’originale biologico, che
però deve svilupparsi e crescere nel tempo e che non dispone di una memoria ma deve
gradualmente formarsela. Si tratta invece di trasferire la totalità della coscienza e della
memoria, delle conoscenze e dei poteri di un individuo in un corpo diverso e decisamente
‘altro’ : identità psichica nella differenza fisica. Se parliamo di clonazione è per evidenzia-

re il fatto che tale passaggio, anzi tale ‘trasmigrazione’, avviene in virtù di conoscenze
scientifiche avanzate. Una ‘metempsicosi’ realizzata in laboratorio che presuppone nel
soggetto capacità decisionale e piena consapevolezza. Va peraltro osservato che i nuovi
dei che si rigenerano sono persone che ad assumere quel particolare ruolo divino sono
in fondo intimamente ‘vocate’, senza esserne di fatto coscienti. Samsara e karma, espulsi
dalla finestra, finiscono insomma per rientrare dalla porta.
Resta infine da notare che la scelta del Buddhismo come modello decisamente supe-
riore all’Induismo e al Cristianesimo ripropone la prevalenza dell’etica sulla metafisica, in
sintonia con il diffuso sentire di quegli anni. Il successo finale (benché forse non definitivo)
di Sam sancisce inoltre, sebbene in chiave laica, un riaffiorare del sacro ad opera non di una
qualche casta sacerdotale ma, pur metaforicamente, dell’umanità comune. Il fatto che in
apertura di Lord of Light si faccia chiamare semplicemente Sam e non Mahasamatman è
vigorosamente emblematico : se i ‘Padri Fondatori’ della Star of India si spacciavano per

dei e si comportavano come tali, Sam aspira invece a essere una sorta di archetipico every-
man, pur senza rinunciare al suo ruolo di guida, ideale primus inter pares. Non sorprende
quindi che nell’economia del romanzo il peso di Siddharta di Hermann Hesse (1922) non
sia inferiore a quello dei testi canonici relativi alla Ruota e alla Via del Buddha.

1
  Si pensi ad esempio alla trilogia Null-A di A. A. van Vogt (Non-A, iniziata nel 1945 e uscita in forma defi-
nitiva nel 1956), che peraltro fa già propria l’ipotesi, cui allude il titolo stesso, della natura ‘non aristotelica’
dell’universo.
Composto in carattere Dante Monotype dalla
Accademia editoriale, Pisa · Roma.
Stampato e rilegato nella
Tipografia di Agnano, Agnano Pisano (Pisa).

*
Aprile 2009
(c z 2 · f g 1 3 )

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