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Libertaria. Volume 2: Una antologia scomoda
Libertaria. Volume 2: Una antologia scomoda
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Ebook598 pages9 hours

Libertaria. Volume 2: Una antologia scomoda

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Molti hanno dell’anarchia una idea assai superficiale, se non del tutto distorta. La propaganda martellante da parte dello Stato, e l’approccio passionale e irrazionale di molti auto-proclamati anarchici, hanno minato alla base l’anarchia come concezione e come pratica. Oggi, in una fase storica di profonda crisi dello Stato territoriale, è tempo di riportare alla luce alcuni scritti che, nonostante il passare del tempo, mantengono una freschezza e una lucidità straordinarie, e che per questo costituiranno forse motivo di disturbo per molti anarchici tradizionalisti e anti-anarchici viscerali.
Libertaria è il più ambizioso progetto antologico mai portato avanti sul tema dell’anarchia. I trecento saggi contenuti in questa collezione di cinque volumi mostrano non solo che la concezione e la pratica anarchica sono attualmente più che mai valide, ma ci offrono anche la possibilità di riflettere sulla crisi e sulla degenerazione di un potere dominante che non ha più ragione di essere.
LanguageItaliano
PublisherD Editore
Release dateJul 22, 2023
ISBN9791222428710
Libertaria. Volume 2: Una antologia scomoda

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    Libertaria. Volume 2 - Gian Piero de Bellis

    Introduzione al secondo volume

    Questo secondo volume dell'antologia Libertaria presenta alcuni temi su cui si è indirizzata la riflessione e la pratica degli anarchici.

    Innanzitutto, il tema centrale dello Stato come potere dominante, da cui e contro cui prende avvio l'elaborazione stessa della concezione anarchica e la formazione del movimento anarchico.

    E poi la lotta contro il militarismo e la violenza del potere che hanno caratterizzato l'impegno di moltissimi anarchici e le tragiche vicende di parecchi di loro.

    Pur nella varietà degli accenti, perché la concezione anarchica non è un’ideologia da seguire, e gli anarchici non formano un partito in cui ci si debba conformare alla linea di condotta dettata dal gruppo dirigente, sono riscontrabili alcuni principi e alcune costanti, che sono poi gli aspetti che rappresentano davvero i capisaldi dell’anarchia. Sta al lettore far emergere i punti base di tali riflessioni e pratiche.

    Questa è, in sostanza, la ragione e la funzione dell’avere selezionato un certo numero di documenti che trattano lo stesso tema: cogliere la varietà è al tempo stesso l’unitarietà di base della concezione e della pratica degli anarchici.

    Parte I – Stato

    Essere GOVERNATI consiste nell'essere guardati a vista, ispezionati, spiati, diretti, legiferati, regolamentati, rinchiusi, indottrinati, manipolati, controllati, misurati, valutati, censurati, comandati, da gente che non ha né i titoli né la conoscenza né la qualità morale per farlo…

    Essere GOVERNATI consiste nell'essere, ad ogni operazione, ad ogni transazione, ad ogni movimento che facciamo, notati, registrati, recensiti, tassati, timbrati, squadrati, numerati, spremuti, patentati, licenziati, autorizzati, avvertiti, ammoniti, impediti, riformati, raddrizzati, castigati. Ciò vuol dire, con il pretesto dell'utilità pubblica, e in nome dell'interesse generale, essere sottoposti a pagamenti, messi a dura prova, taglieggiati, sfruttati, monopolizzati, estorti, posti sotto pressione, mistificati, rubati; poi, alla minima resistenza, alla prima espressione di protesta, repressi, sanzionati, vilipesi, vessati, braccati, bistrattati, importunati, disarmati, incatenati, imprigionati, fucilati, mitragliati, giudicati, condannati, deportati, sacrificati, venduti, traditi, e per di più, presi in giro, ridicolizzati, oltraggiati, disonorati.

    Ecco che cos'è il governo, ecco la sua giustizia, ecco la sua morale! E dire che ci sono tra di noi democratici che pretendono che il governo contenga in sé qualcosa di buono; socialisti che, in nome della Libertà, dell'Uguaglianza e della Fraternità, sostengono questa ignominia; proletari che avanzano la loro candidatura alla presidenza della repubblica!

    Ipocrisia!

    (Pierre-Joseph Proudhon, Idée Générale de la Révolution au Dix-Neuvième Siècle, Epilogue, 1851)

    Stato

    Il filo ricorrente negli scritti degli anarchici sullo Stato è la fine delle illusioni che esso nasca a seguito di un contratto sociale, liberamente stipulato ed espressamente sottoscritto dalle persone, al fine di proteggerle o addirittura garantirne una esistenza migliore.

    Lo Stato, qualsiasi Stato, con qualsiasi nome esso si qualifichi (popolare, proletario, socialista, liberale, democratico, eccetera) non è altro che un potere dominante volto a schiacciare e sfruttare gli individui.

    Per questo gli anarchici, fin dall’inizio, hanno sgombrato il campo dall’idea dello:

    Stato temporaneo, cara ai socialisti, che pensavano di utilizzare l’apparato statale come strumento per la transizione verso una società senza Stato;

    Stato minimo, cara ai liberali, che tuttora ritengono che lo Stato abbia la funzione precisa e circoscritta di proteggere gli individui, e ignorano volutamente il fatto che qualsiasi potere monopolistico tende inesorabilmente ad allargare la sfera delle sue attribuzioni.

    La storia stessa ha smentito queste due ingenue credenze e ha confermato i timori e la preveggenza degli anarchici.

    A ciò vanno aggiunte due convinzioni fondamentali che, purtroppo, non sempre fanno parte del bagaglio di molti anarchici.

    Lo Stato – nelle illuminanti parole di Gustav Landauer «è una relazione, un rapporto fra individui, un modo di relazionarsi fra persone, e lo si distrugge solo sostituendolo con altre relazioni, comportandosi in maniera diversa fra persone» (Documento 10). O, per ribadire in altro modo lo stesso concetto: «To change something, build a new model that makes the existing model obsolete» [1].

    Lo Stato da eliminare è quello che si caratterizza per il suo potere monopolistico di dominio su tutti gli abitanti all’interno di un certo territorio (sovranità territoriale monopolistica). Per questo, nulla vieta che si formino governi che amministrano servizi per coloro che ne fanno richiesta e che taluni vi aderiscano spontaneamente e volontariamente, sostenendoli con i loro contributi. Ciò vuol dire, nelle parole di Max Nettlau, il massimo storico dell’anarchia: «Ogni forma di governo applicata solo ai suoi effettivi sostenitori». E questo perché, «le persone che sono a favore dello Stato esisteranno sempre» [2]. Ma ciò non dovrebbe costituire un problema se, chi aderisce ad una organizzazione statale priva del monopolio territoriale della sovranità, lo fa solo dietro sua espressa scelta, senza vincolare altri se non sé stesso.

    Una volta che tali aspetti sono chiari, e cioè:

    che lo Stato non si abbatte attraverso scontri violenti o barricate improvvisate, ma con la costruzione di alternative concrete, affascinanti e funzionali;

    che non è necessario, per l’affermazione dell’anarchia, che tutti diventino anarchici ma che ciò che conta è che tutti possano praticare le loro idee e stili di vita, nel rispetto di tutti gli altri, senza avere mai a che fare con un potere che si impone loro, contro la loro volontà;

    allora saremo sulla buona strada per una rinascita degli individui liberi e delle comunità volontarie.

    Sullo Stato, di Max Stirner

    Documento 1 (1844)

    Una critica micidiale dello Stato moderno, padre, padrone, padreterno. In una parola, il nuovo Dio da onorare e a cui prestare obbedienza.

    Questo è un estratto da Der Einzige und sein Eigentum (L'Unico e la sua proprietà), Parte Prima, Il liberalismo politico, 1844.

    La borghesia non è altro che l'idea che lo Stato sia, tutto sommato, il vero essere umano, e che il valore del singolo consista nell'essere un cittadino dello Stato. Essere un buon cittadino, questo è per il borghese l'onore più ambìto; al di là di ciò egli non vede nulla di più elevato, se non forse il tradizionale valore di essere un buon cristiano.

    La borghesia si sviluppò nella lotta contro i ceti privilegiati, dai quali veniva sfrontatamente considerata terzo stato e assimilata alle canaglie. Sino allora, dunque, nello Stato non si era considerati tutti di pari livello. Al figlio del nobile erano riservate le alte cariche, alle quali invano ambivano i migliori esponenti della borghesia, e così via.

    Contro ciò si sollevò il sentimento borghese. Nessuna distinzione e nessun trattamento preferenziale fra le persone, nessuna differenza di status! Si è tutti uguali! E non si devono più perseguire interessi particolari, ma l'interesse generale di tutti . Lo Stato deve essere una comunità di individui liberi e uguali, e ognuno deve consacrarsi al Bene Comune. Crescere nello Stato e farne il proprio fine e ideale. Così risuonava l'appello generale, e si iniziò a ricercare il vero ordinamento dello Stato, la migliore costituzione, lo Stato quindi nella sua forma più splendente.

    L'idea dello Stato penetrò in tutti i cuori e ne risvegliò l'entusiasmo; servire questo Dio secolare, divenne il nuovo rito e il nuovo culto. Iniziava, infine, la vera Era Politica. Servire lo Stato o la Nazione divenne il più sublime degli ideali; l'interesse dello Stato diventò il supremo interesse, il servizio allo Stato (e non era neppure necessario esserne un funzionario) l'onore più grande. Così furono messi al bando gli interessi particolari e le individualità, e sacrificarsi per lo Stato divenne la nuova parola d’ordine.

    Bisogna annullarsie vivere solo per lo Stato. Bisogna operare disinteressatamente, non bisogna cercare il proprio vantaggio ma quello dello Stato. Questi è divenuto infine l'entità reale dinanzi alla quale scompare la personalità del singolo: non io vivo ma è lui che vive in me!

    Contro l'antico interesse personale si difendeva ora l'altruismo e la non-personalità. Dinnanzi a questo Dio-Stato si dileguava ogni egoismo e tutti diventavano uguali, senza distinzioni: uomini, null'altro che uomini.

    L'esplosiva materia della proprietà accese la rivoluzione. Il Governo aveva bisogno di denaro. Ora doveva provare la tesi che egli era l'assoluto proprietario di tutti i beni, l'unico padrone. Doveva prendersi il suo denaro, quello che era in possesso dei suoi sudditi che non ne erano i proprietari. Per farselo dare convoca allora gli Stati Generali. Il timore delle conseguenze ultime distrusse l'illusione di un Governo assoluto : chi ha bisogno di farsi accordare qualcosa, non può esser considerato assoluto. I sudditi riconobbero che essi erano i proprietari legittimi e che a loro apparteneva quel denaro che veniva richiesto.

    Bailly [3] descrive ciò in poche parole: «Se non potete disporre della mia proprietà senza il mio consenso, tanto meno potrete disporre della mia persona e di tutto ciò che riguarda la mia condizione spirituale e sociale! Tutto questo mi appartiene, come il pezzo di terra che io coltivo, e ho il diritto, come pure l'interesse, di fare io stesso le leggi». Certo, dalle parole di Bailly si sarebbe potuto arguire che ciascuno fosse proprietario. Invece, in luogo del governo o del principe, subentrò quale proprietaria e signora la Nazione. Da questo momento l'ideale si chiama Libertà del Popolo – un Popolo Libero, eccetera.

    Già l'8 luglio 1789, la dichiarazione del vescovo di Autun [4] distrusse l'illusione che ciascuno, individualmente, potesse avere un ruolo importante nella legislazione e mostrò la totale impotenza dei committenti: la maggioranza dei rappresentanti diventava padrona. Quando il 9 luglio viene presentato il progetto sulla divisione dei lavori della costituzione, Mirabeau [5] osserva: «Il governo possiede solo il Potere, nessun diritto; solo nel popolo si trova la fonte di ogni diritto». Il 16 luglio lo stesso Mirabeau esclama: «Non è il popolo la fonte d'ogni potere?».

    Dunque la fonte di ogni diritto e la fonte di ogni potere! Detto fra le righe, qui emerge che il contenuto del Diritto è il Potere. Chi ha il Potere ha il Diritto!

    La borghesia è l'erede dei ceti privilegiati. Di fatto, i diritti che furono tolti ai baroni in quanto usurpazioni, furono dati alla classe borghese, e questo poiché la borghesia si chiamava ormai Nazione.

    Tutti i privilegi furono consegnati nelle mani della Nazione ed essi cessarono d'esser chiamati privilegi per diventare diritti. Da allora la Nazione esige le imposte e il lavoro obbligatorio; essa ha ereditato il diritto di signoria, il diritto di caccia, il dominio sui sudditi. La notte del 4 agosto 1789 [6] segnò la morte dei privilegi (anche le città, i comuni, i magistrati godevano di privilegi e diritti di signoria) e sorse la nuova alba del diritto, dei diritti dello Stato, dei diritti della Nazione

    Il monarca nella persona del Re era stato un governante ben meschino in confronto a questo nuovo monarca, la Nazione sovrana. Questa Monarchiaera mille volte più dura, più rigorosa e conseguente. Al nuovo monarca non poteva opporsi alcun diritto, alcun privilegio; quanto limitato appare in confronto il potere assoluto dell'antico regime! La rivoluzione effettuò la trasformazione della monarchia limitata in monarchia assoluta. D'ora innanzi, ogni diritto, che non emana da questo nuovo monarca, diventa una pretesa, ma ogni privilegio che esso conferisce è un diritto.

    I tempi aspiravano ad un regno assoluto e ad una monarchia assoluta; per questo venne meno quel cosiddetto regno assoluto, che così poco aveva saputo esserlo, tanto da farsi limitare da mille piccoli signorotti.

    La borghesia ha dato vita a quello che era stato il desiderio e l'aspirazione dei secoli, la ricerca, cioè, d'un padrone assoluto, al cui fianco non ci fossero altri signori e signorotti che ne limitassero il potere. Essa ha generato il Padrone che è l'unico a dispensare titoli legalmente validi, e senza la cui concessione nulla ha valore legale.

    * * *

    La monarchia delle corporazioni (così chiamerò la monarchia assoluta, l'età dei re, prima della rivoluzione) sottometteva il singolo a mille altre piccole monarchie; esse erano consorzi (compagnie) come le corporazioni artigiane, la nobiltà, il clero, la borghesia, le città, le comunità, e così via. In ogni luogo, il singolo doveva considerarsi anzitutto come un membro di questa piccola società, doveva obbedire allo spirito della stessa e al suo ideale associativo, come suo monarca. Alla stessa maniera, per esempio, del singolo nobile che prima di sé stesso doveva onorare la sua famiglia e la sua cerchia. Soltanto tramite la corporazione e il gruppo di appartenenza il singolo poteva avere dei rapporti con la corporazione maggiore, lo Stato; alla stessa guisa che nel cattolicesimo il singolo comunicava con Dio per mezzo del prete. A ciò pose fine il Terzo Stato, negando arditamente d'essere, egli stesso, uno Stato. Decise di non essere né di chiamarsi classe a fianco di altre classi, ma di trasfigurarsi in Nazione. Con ciò ha generato una monarchia molto più perfetta e assoluta, nella quale scompare il principio delle piccole monarchie all'interno di quella più grande.

    Non si può però affermare che la rivoluzione sia stata diretta contro i primi due ceti privilegiati; essa intese eliminare soprattutto le piccole monarchie. Ma infranto il dispotismo dei ceti privilegiati (anche il Re non era che il Re delle corporazioni, non un Re borghese) rimanevano gli individui sottratti al giogo dell'ineguaglianza di classe. Dovevano essi davvero restare senza classi e legami, senza status e vincolo? No, perché, non per altro, il Terzo Stato si era dichiarato Nazione, non per restare stato fra gli altri stati, bensì per diventare l'unico Stato. Questo unico Stato è la Nazione, lo Stato per eccellenza ( Status). Che cosa è divenuto allora il singolo individuo? Un protestante politico, poiché era entrato in rapporto diretto col suo Dio, lo Stato. Egli non era più un nobile in una monarchia aristocratica, non era più un artigiano in una monarchia di corporazioni, bensì Egli, come Tutti gli altri, non riconosceva che un padrone unico, lo Stato, dal quale tutti, senza eccezione, hanno ottenuto il titolo onorifico di cittadini.

    * * *

    Lo Stato è fondato sulla schiavitù del lavoro. Quando il lavoro sarà libero, lo Stato sarà perduto.

    Lo Stato: natura, oggetto, funzione, di Pierre-Joseph Proudhon

    Documento 2 (1849)

    Sono qui esposte alcune idee di Proudhon sullo Stato, volte a smascherare quanti si vogliono porre come protettori-salvatori del popolo.

    Fonte: Questo testo è un estratto da uno scritto dal titolo: Résistance. Louis Blanc et Pierre Leroux, pubblicato su La Voix du Peuple, 3 dicembre 1849.

    La Rivoluzione di febbraio [1848] ha posto all’ordine del giorno due questioni capitali: una economica, ed è quella del lavoro e della proprietà; l'altra politica, ed è quella del governo o dello Stato.

    Sulla prima di queste questioni, la democrazia socialista si trova abbastanza d'accordo. Si riconosce apertamente che non si tratta affatto di espropriare e distribuire le proprietà, e nemmeno di effettuarne l'acquisto o di sottomettere il ricco e il proprietario a delle soprattasse inique che, negando il principio della proprietà riconosciuto dalla Costituzione, non avrebbero altro effetto se non quello di sconvolgere tutta l'economia e aggravare le condizioni del proletariato. La riforma economica consiste, da una parte, nel creare una concorrenza al credito usurario e, in seguito, nel far perdere al capitale le sue entrate, cioè, nel riunire in ogni cittadino, e in ugual misura, il ruolo di lavoratore e quello di capitalista; dall'altra parte, essa consiste nell'abolire tutto il sistema attuale delle imposte che pesano esclusivamente sul lavoratore e sui poveri, e sostituirle tutte con una imposta unica sul capitale, a titolo di quota di assicurazione.

    Attraverso queste due grandi riforme, l'economia sociale è trasformata da cima a fondo; i rapporti commerciali e industriali sono capovolti e i profitti, oggi accaparrati dal capitalista, sarebbero indirizzati verso i lavoratori. La concorrenza, attualmente caotica e fonte di sconvolgimenti, diverrebbe un’emulazione benefica; gli sbocchi alla produzione non mancherebbero e sia l'operaio che l'imprenditore, uniti in maniera solidale, non avrebbero più da temere né la stagnazione né la disoccupazione. Un nuovo ordine prenderebbe il posto delle vecchie istituzioni, abolite o rigenerate.

    Su questo punto, la linea rivoluzionaria risulta tracciata ed è noto il senso del movimento. Pur apportando qualche modifica nella sua applicazione, la riforma verrebbe attuata secondo questi principi e su queste basi. La Rivoluzione non ha altro sbocco. Si potrebbe quindi considerare il problema economico come risolto.

    Non si può dire lo stesso per il problema politico, vale a dire la decisione da prendere, in futuro, riguardo al governo e allo Stato. Su questo punto, la questione non è neanche posta; non vi è nulla di preciso nella coscienza pubblica e nell'intendimento delle masse. Una volta realizzata la rivoluzione economica, come abbiamo detto, il governo, lo Stato, possono e debbono ancora esistere? Ecco quello che nessuno, né all'interno né all'esterno della democrazia, osa mettere in dubbio; e pertanto questo è il problema che occorre esaminare, se non vogliamo incorrere in nuove catastrofi.

    Noi affermiamo quindi, e fino ad ora siamo i soli a farlo, che con la rivoluzione economica, che nessuno mette più in dubbio, lo Stato deve scomparire completamente; che questa scomparsa dello Stato è la conseguenza necessaria di una nuova organizzazione del credito e della riforma dell'imposta; che, per effetto e in seguito a questa doppia trasformazione, il governo risulta inutile e la sua esistenza impossibile; che esso diventa, in questo caso, come la proprietà feudale, il prestito a interesse, la monarchia assoluta o costituzionale, le istituzioni giudiziarie, eccetera, fenomeni tutti che sono serviti a instradarci verso la libertà, ma che cadono in disuso e scompaiono una volta che la libertà arriva a pieno compimento.

    Altri, al contrario, e tra questi si distinguono in prima linea Louis Blanc 1 e Pierre Leroux 2, sostengono che, dopo la rivoluzione economica, occorre far proseguire l'attività dello Stato, operando solo una sua riorganizzazione riguardo alla quale essi non hanno fornito, fino ad oggi, né dei principi né un piano. Per essi la questione politica, invece di annullarsi nella questione economica, sussiste sempre: essi sostengono lo Stato, il potere, l'autorità, il governo, ampliandone ancora le funzioni. Tutto ciò che si limitano a fare è cambiare i nomi; ad esempio, invece di dire Stato-Padrone, dicono Stato-Servitore, come se fosse sufficiente sostituire le parole per trasformare la realtà delle cose! Al di sopra di questo sistema di governo, del tutto sconosciuto, si colloca un sistema di tipo religioso di cui resta ignoto il dogma, il rito, lo scopo, sulla terra o nel cielo.

    Questo è dunque l'interrogativo che divide adesso la democrazia socialista che, d'altronde, è d'accordo, o quasi, su tutto il resto: lo Stato deve esistere ancora, dopo che è stata risolta la questione del lavoro e del capitale? In altre parole, avremo sempre bisogno, come è avvenuto fino ad oggi, di una Costituzione politica al di là della costituzione sociale?

    A questo interrogativo noi rispondiamo di no. Noi sosteniamo che, una volta unificati il capitale e il lavoro, la società può funzionare per conto suo e non ha più bisogno di un governo. Noi siamo perciò, e l'abbiamo detto più volte, degli anarchici. L' anarchia è la condizione di esistenza delle società mature, come la gerarchia lo è di quelle primitive: vi è un progresso incessante, nelle società umane, dalla gerarchia all'anarchia.

    Louis Blanc e Pierre Leroux sostengono il contrario: oltre alla loro caratteristica di socialisti, essi hanno anche quella di uomini politici. Sono degli uomini di governo e di potere, uomini di Stato.

    Per chiarire il diverso modo di vedere le cose dobbiamo quindi prendere in esame lo Stato, non più dal punto di vista dell'antica società che l'ha naturalmente e necessariamente prodotto, e che si sta esaurendo, ma dalla prospettiva della nuova società, come emerge o deve emergere dalle due riforme fondamentali e correlate del credito e dell'imposta.

    Ora, se noi siamo in grado di mostrare che, riguardo a quest'ultimo punto di vista, lo Stato, considerato nella sua natura, poggia su una ipotesi completamente falsa; che, in secondo luogo, preso nelle sue finalità, lo Stato non ha più ragione di esistere se non avanzando una seconda ipotesi, ugualmente falsa; e che, infine, prendendo in esame i motivi di un prolungamento della sua esistenza, lo Stato non può ricorrere se non ad una ipotesi falsa come le due precedenti, allora, chiariti questi tre punti, la questione sarà risolta. Lo Stato sarà riconosciuto come entità superflua, e di conseguenza nociva e impossibile da mantenere. Il governo statale apparirà come una contraddizione rispetto alla realtà corrente.

    Procediamo quindi nell'analisi.

    I – La natura dello Stato

    Che cos'è lo Stato? – si domanda Louis Blanc.

    E risponde:

    Lo Stato, in un regime monarchico, è il potere di un uomo, la tirannia di una sola persona.

    Lo Stato, in un regime oligarchico, è il potere di un ristretto numero di individui, la tirannia di pochi.

    Lo Stato, in un regime aristocratico, è il potere d'une classe, la tirannia di molti.

    Lo Stato, in un regime anarchico, è il potere del primo venuto che si trova ad essere il più intelligente, il più forte; è la tirannia nel disordine.

    Lo Stato, in un regime democratico, è il Potere di tutto il Popolo, al cui servizio operano i suoi eletti; è il regno della Libertà

    Sui venticinque o trentamila lettori di Louis Blanc, forse non ve ne sono neanche dieci a cui questa definizione dello Stato non appaia fondata, e che non ripetano, sulla scia del loro maestro: lo Stato non è che il potere di uno, di pochi, di molti, di tutti o del primo venuto, posto che si faccia seguire al termine Stato uno di questi qualificativi: monarchico, oligarchico, aristocratico, democratico o anarchico. I rappresentanti del Lussemburgo [9], che si credono derubati quando uno si permette di avere una opinione diversa dalla loro sul significato e le tendenze della Rivoluzione di febbraio, in una lettera resa pubblica mi hanno fatto l'onore di informarmi che essi trovavano la risposta di Louis Blanc del tutto precisa ed esauriente, e che non c'era nulla da rimproverargli. Sembra che nessuno, tra i cittadini delegati, abbia appreso il greco, altrimenti essi avrebbero notato che il loro maestro e amico Louis Blanc, invece di chiarire che cos'è lo Stato, non ha fatto altro che tradurre in francese le parole greche monos, uno; oligoï, pochi; aristoï, i nobili; démos, il Popolo, e la a privativa, che vuol dire: senza. È utilizzando questi termini qualificativi che Aristotele ha distinto le differenti forme di Stato, indicato con il vocabolo arché, autorità, governo, Stato. Noi chiediamo scusa al lettore, ma non è colpa nostra se la scienza politica del presidente dell'Assemblea del Lussemburgo non va oltre la conoscenza dell'etimologia.

    E, notate bene l'artificio! È bastato a Louis Blanc, nella sua traduzione, utilizzare quattro volte il vocabolo tirannia, tirannia di uno solo, tirannia di alcuni, eccetera, e di sopprimere quel vocabolo una sola volta, Potere del Popolo, al cui servizio operano i suoi eletti, per suscitare di colpo gli applausi. Ogni altro tipo di Stato, eccetto quello democratico, come lo intende Louis Blanc, sarebbe una tirannia. L'anarchia soprattutto è trattata in modo del tutto strano: è il potere del primo venuto che si trova ad essere il più intelligente, il più forte; è la tirannia nel disordine. Che essere straordinario questo primo venuto che, pur essendo il primo venuto, si trova ad essere pertanto il più intelligente e il più forte, ed esercita la sua tirannia in mezzo al caos. Chi potrebbe, dopo aver appreso ciò, preferire l' anarchia a questo amabile governo di tutto il popolo, al cui servizio stanno, come ben si sa, i suoi rappresentanti eletti? Come è gratificante tutto ciò! Di colpo, eccoci di nuovo sulla terra. Ah! Eloquente oratore, sia ringraziato Iddio di aver generato, specialmente per voi tutti, nel diciannovesimo secolo, una stupidaggine come quella dei vostri cosiddetti rappresentanti delle classi operaie. Senza questa idiozia sareste stati sommersi sotto una valanga di fischi, la prima volta che foste intervenuti a parlare.

    Che cos'è lo Stato? Occorre rispondere a questa domanda. L'enumerazione fatta dal cittadino Louis Blanc, copiando Aristotele, delle differenti specie di Stato, non ci ha insegnato nulla. Quanto a Pierre Leroux, non vale la pena chiedere a lui: ci direbbe che la domanda è indiscreta, che lo Stato è sempre esistito e che esisterà sempre. Queste sono le giustificazioni massime dei conservatori e delle brave donne.

    Lo Stato è l'istituzione ESTERNA della potenza sociale.

    Attraverso questa istituzione esterna alla sua potenza e alla sua sovranità, il Popolo non si governa da sé. Vi sono o uno o alcuni individui che, a titolo elettivo o ereditario, sono incaricati di governarlo, di gestire i suoi affari, di negoziare e prendere impegni in suo nome, in sostanza di compiere tutti gli atti di un padre di famiglia, tutore, gestore o mandatario, provvisto di una procura generale, assoluta e irrevocabile.

    Questa istituzione esterna della potenza collettiva, a cui i Greci hanno dato il nome di arché, principato, autorità, governo, poggia dunque sull'ipotesi che un Popolo, l'essere collettivo che si chiama società, non può governarsi, pensare, agire, esprimersi da sé, come fanno gli esseri dotati di personalità individuale, ma che esso ha bisogno, a questo riguardo, di farsi rappresentare da uno o più individui che, per un qualche titolo, siano ritenuti essere i depositari della volontà del Popolo e i suoi agenti. Secondo questa ipotesi, è impossibile che la potenza collettiva, che appartiene essenzialmente alla massa, si esprima e agisca direttamente, senza l'intermediazione di organi espressamente costituiti e, per così dire, collocati ad hoc. Sembra, aggiungiamo noi – e questo spiega l'istituzione dello Stato in tutte le sue varie forme e tipi – che l'essere collettivo, la società, non essendo che un costrutto mentale, non può manifestarsi in altro modo che attraverso l'incarnazione monarchica, l'usurpazione aristocratica o il mandato democratico e che, di conseguenza, ogni espressione sua propria e personale gli sia interdetta.

    Ora, è proprio questa nozione di essere collettivo, della sua esistenza, azione, unità, individualità, personalità – perché la società è intesa come una persona, così come l'umanità tutta – è questa nozione di essere umano collettivo che noi neghiamo. Ed è per questo che noi neghiamo anche lo Stato, e il governo, che noi escludiamo dalla società economicamente rivoluzionata, qualsiasi organizzazione della potenza popolare, al di fuori e al di sopra delle persone, che ciò avvenga sotto forma di monarchia ereditaria, istituzione feudale o delega democratica.

    Al contrario, noi affermiamo che il Popolo, che la società, che la gente, può e deve governarsi da sé, pensare, agire, alzarsi o stare ferma in un posto, come una persona, manifestandosi nella sua individualità fisica, intellettuale e morale, senza l'intervento di tutti questi interpreti che sono stati, un tempo i despoti, che adesso sono gli aristocratici e che, di volta in volta, sono stati dei pretesi delegati, compiacenti o al servizio della folla, e che noi chiamiamo puramente e semplicemente agitatori popolari o demagoghi.

    Detto in poche parole, noi neghiamo il governo e lo Stato perché affermiamo la personalità e l'autonomia delle persone riunite tra di loro, cosa a cui i fondatori degli Stati non hanno mai creduto.

    Noi affermiamo inoltre che qualsiasi istituzione di Stato non dovrebbe avere altro fine se non quello di far giungere la società a questa condizione di autonomia; che tutte le differenti forme di Stati, dalla monarchia assoluta fino alla democrazia rappresentativa, non sono altro che dei passaggi, delle situazioni abbastanza irrazionali e instabili, che servono di volta in volta come tappe per la transizione verso la libertà, e formano i diversi gradi della scala politica, per mezzo della quale le società si elevano alla consapevolezza e alla padronanza di sé stesse.

    Noi affermiamo infine che questa anarchia, che esprime, come lo si vede attualmente, il più alto grado di libertà e di ordine al quale l'umanità possa pervenire, è la vera formula della Repubblica, lo scopo verso il quale ci spinge la Rivoluzione di febbraio. Per questo vi è una contraddizione tra la Repubblica e il Governo, tra il Suffragio universale e lo Stato.

    Queste affermazioni sistematiche noi le formuliamo in due modi: innanzitutto, attraverso il metodo storico e negativo, mostrando che ogni istituzione di potere, ogni organizzazione della forza collettiva attraverso un’entità esterna, è divenuta per noi cosa impossibile. Questo è quanto abbiamo iniziato a fare nelle Confessions d'un Révolutionnaire, descrivendo la caduta di tutti i governi che si sono succeduti in Francia negli ultimi sessanta anni, chiarendo la causa della loro fine, e mettendo poi in luce lo sfiancamento e la morte del potere nel regno corrotto di Louis-Philippe, nella dittatura inerte del governo provvisorio, e nella presidenza insignificante del generale Cavaignac [10] e di Luigi Bonaparte.

    In secondo luogo, portiamo prove a sostegno della nostra tesi spiegando come, attraverso la riforma economica, la solidarietà tra produttori, e l'organizzazione del suffragio universale, il Popolo passi dalla Spontaneità alla Riflessione e alla Consapevolezza. Non agisce più trascinato dall'impulso e mosso dal fanatismo, ma sulla base di un progetto. Si comporta come se non ci fossero né padroni né servi, né delegati né superiori, proprio come farebbe un individuo. Così la nozione di persona, l'idea dell' io, si trova diffusa e generalizzata. Esiste la persona o l' io individuale come esiste la persona e l' io collettivo; nell'uno come nell'altro caso, la volontà, l'azione, l'animo, lo spirito, la vita, fenomeni sconosciuti nel loro principio, inafferrabili nella loro essenza, emergono dalla realtà spirituale e vitale che è l'organizzazione. La psicologia delle nazioni e dell'umanità diviene, come la psicologia dell'essere umano, una scienza possibile.

    […]

    Così, quando Louis Blanc e Pierre Leroux si pongono a difensori dello Stato, il che vuol dire di un’istituzione esterna della potenza pubblica, essi non fanno altro che riprodurre, sotto una variante che è loro propria e che non hanno ancora chiarito, questa vecchia finzione del governo rappresentativo la cui formula integrale, l'espressione più completa, è ancora la monarchia costituzionale. È forse per arrivare a questa situazione contraddittoria e retrograda che abbiamo fatto la Rivoluzione di febbraio?

    […]

    Noi neghiamo lo Stato e il Governo. Affermiamo l'autonomia del Popolo come pure la sua maturità. Come potremmo essere noi dei facitori di dispotismo, degli aspiranti alle cariche ministeriali, dei concorrenti di Louis Blanc e di Pierre Leroux?

    Davvero, non comprendiamo affatto la logica dei nostri avversari. Essi accettano un principio senza preoccuparsi delle conseguenze. Sostengono, ad esempio, l'uguaglianza delle imposte come attuata dalla tassa sul capitale; sono a favore del credito popolare, mutuo e gratuito, essendo tutti questi termini sinonimi; applaudono la decadenza del capitale e l'emancipazione del lavoro; e poi, quando si tratta di tirare da queste premesse le conseguenze anti-governative, essi protestano, continuano a parlare di politica e di governo, senza chiedersi se il governo è compatibile con la libertà e l'uguaglianza tra i produttori; se vi è la possibilità di una scienza della politica, quando vi è invece necessità di una vera scienza dell'economia! Essi, senza alcuno scrupolo, se la prendono con la proprietà, anche quando si tratta di una antica proprietà; però si inchinano davanti al potere come dei sacrestani davanti al Santo Sacramento. Il governo è, per loro, un a priori necessario e permanente, il principio dei princìpi, la fonte ( arché) eterna.

    Di certo, noi non pretendiamo che le nostre affermazioni costituiscano delle prove. Noi sappiamo assai bene, come tutti, quali sono le condizioni necessarie per provare una tesi. Diciamo soltanto che, prima di procedere alla istituzione di un altro Stato, occorre chiedersi se, in vista delle riforme economiche che ci chiede la Rivoluzione, lo Stato stesso non debba essere abolito; se questa fine delle istituzioni politiche non risulti forse dal senso e dalla portata della riforma economica? Noi ci chiediamo se, in effetti, dopo l'esplosione di febbraio, dopo l'introduzione del suffragio universale, la dichiarazione di onnipotenza delle masse e la sottomissione, oramai inevitabile, del potere alla volontà popolare, un governo qualsiasi sia ancora possibile, se questo governo non si troverebbe posto nell'alternativa costante o di seguire docilmente le ingiunzioni cieche e contraddittorie della moltitudine, o di ingannarla di proposito, come ha fatto il governo provvisorio e come hanno fatto i demagoghi in tutte le epoche? Noi ci chiediamo, almeno, quali, tra tutte le attribuzioni dello Stato, dovrebbero essere mantenute e accresciute e quali soppresse? Perché, se risultasse, cosa che ci è permesso ancora di prevedere, che di tutte le attuali attribuzioni dello Stato nessuna dovrebbe sopravvivere alla riforma economica, occorrerebbe ammettere, sulla base di questa dimostrazione negativa, che, in presenza di tale nuova condizione della società, lo Stato non è nulla e nulla può essere.

    Detto in poche parole, che il solo modo di organizzare il governo democratico è di sopprimerlo.

    * * *

    II – Dello scopo o dell'oggetto dello Stato

    Abbiamo visto che la nozione di Stato, considerato nella sua natura, poggia interamente su una ipotesi, quanto mai dubbia, e cioè quella dell’impersonalità e della passività fisica, intellettuale e morale della gente. Noi mostreremo che questa stessa nozione di Stato, presa oggettivamente, si basa su un'altra ipotesi, ancora più improbabile della precedente, quella della esistenza permanente di antagonismi feroci tra gli esseri umani, ipotesi che, essa stessa, fa seguito al dogma primitivo della caduta o peccato originale.

    Citiamo ancora da Le Nouveau Monde [11].

    Che cosa avverrà – si chiede Louis Blanc – se si permette al più intelligente e al più forte di ostacolare lo sviluppo delle facoltà di chi è meno forte o meno intelligente?

    Ne conseguirà la distruzione della libertà.

    Come impedire questo crimine?

    Interponendo tra l'oppressore e l'oppresso tutto il potere del Popolo.

    Se Jacques opprime Pierre, i trentaquattro milioni di cui si compone la società francese accorreranno tutti assieme a proteggere Pierre, per salvaguardare la libertà?

    Pretenderlo sarebbe una buffonata.

    Allora, come interverrà la società?

    Attraverso coloro che essa avrà scelto per RAPPRESENTARLA a tale scopo.

    Ma questi rappresentanti della società, questi servitori del Popoli, chi sono?

    Lo Stato.

    Quindi lo Stato non è altro che la società stessa che agisce come società, per impedire… che cosa? L'oppressione – per preservare… che cosa? La libertà

    Ecco che tutto ci è chiaro. Lo Stato è una RAPPRESENTAZIONE della società, organizzata dall'esterno per proteggere il debole contro il forte. In altre parole, per mettere pace tra i combattenti e far regnare l'ordine! Louis Blanc non è andato molto lontano, come si vede, per trovare la missione dello Stato. La si riscontra, dopo Grozio, Giustiniano, Cicerone, eccetera. in tutti gli autori che hanno trattato del diritto pubblico.

    […]

    Si copiano, molto pedissequamente, le vecchie mitologie; si prende dal cattolicesimo e al tempo stesso lo si condanna; si scimmiotta il potere a cui si aspira e poi si grida con tutte le proprie forze: Libertà, Uguaglianza, Fratellanza! E il gioco è fatto. Si passa per profeti, riformatori, fautori di una democrazia sociale; si è candidati al Ministero del Progresso, o persino alla Dittatura della Repubblica!

    Così, come lo riconosce lo stesso Louis Blanc, il potere è sorto dalla barbarie; la sua organizzazione attesta, presso i primi esseri umani, una condizione di ferocia e di violenza, effetto dell'assenza totale di commercio e di industria. È a questa condizione selvaggia che lo Stato deve porre fine, opponendo alla forza di ciascuno una forza superiore, capace, in mancanza di altre argomentazioni, di imporre la sua volontà. L'istituzione dello Stato suppone quindi, come abbiamo detto poc'anzi, un feroce antagonismo sociale, homo homini lupus. È quello che afferma lo stesso Louis Blanc quando, dopo aver distinto gli individui in forti e deboli, che si combattono, come bestie feroci, per la sopravvivenza, fa intervenire tra di loro, come mediatore, lo Stato.

    Quindi, lo Stato sarebbe inutile, non avrebbe oggetto e scopo di intervento, dovrebbe cancellarsi da sé se arrivasse un tempo in cui, per un motivo qualunque, non ci fossero più nella società né forti deboli, e cioè quando la disuguaglianza delle forze fisiche e intellettuali non potesse più essere causa di spoliazione e oppressione, indipendentemente dalla protezione, d'altronde più fittizia che reale, dello Stato.

    Ora, questa è proprio la tesi che qui sosteniamo.

    Ciò che rende dolci i costumi e fa prevalere sempre più il diritto rispetto alla forza, ciò su cui poggia la sicurezza, che genera progressivamente la libertà e l'uguaglianza è, ben più che la religione e lo Stato, l'attività umana. Sono innanzitutto gli scambi e l'industria; vi è poi la scienza che li anima, e infine, l'arte come ornamento perenne. La religione, con le sue promesse illusorie e il suo instillare paure, e lo Stato, con i suoi tribunali e i suoi eserciti, non hanno fatto che dare al sentimento del diritto, troppo debole presso i primi esseri umani, la forma di una sanzione, la sola immaginabile per degli spiriti selvaggi. Per noi, individui corrotti, come afferma Jean-Jacques [12], per via dell'industria, delle scienze, delle lettere e delle arti, la sanzione si trova altrove e cioè nella diffusione della proprietà, nel funzionamento delle industrie, nello sviluppo della ricchezza, nel bisogno pressante di benessere che rende necessario a tutti di dedicarsi a una attività produttiva. Dopo le asprezze dei tempi antichi, dopo la superbia delle caste e l'organizzazione feudale delle prime società, restava ancora un ultimo elemento di asservimento: il capitale. Avendo il capitale perso la sua posizione dominante, colui che svolge una attività, vale a dire il commerciante, l'industriale, l'operaio, lo scienziato, l'artista, non hanno più bisogno di protezione; la protezione gli è data dal talento, dalle conoscenze, dalla industriosità. Dopo la perdita di potere del capitale, il mantenere in vita lo Stato, invece di essere un fattore di protezione della libertà, non può fare altro che comprometterla.

    Ci si fa un’idea ben triste della specie umana, della sua essenza e perfettibilità, del suo futuro, se la concepiamo come una massa di individui esposti inevitabilmente, a causa della disuguaglianza delle forze fisiche e intellettuali, al pericolo costante di una reciproca spoliazione o della tirannia da parte di alcuni. Una concezione simile attesta la più retrograda delle filosofie, propria dell'epoca delle barbarie, quando l'assenza di veri elementi di ordine sociale non lasciava, alla fantasia del legislatore, se non l'uso della forza come unico mezzo di intervento. E il dominio di un potere pacificatore e vendicatore appariva a tutti come il risultato appropriato di un precedente degrado morale e di un peccato originale. Per chiarire il nostro pensiero, noi vediamo le istituzioni politiche e giuridiche come la formula esoterica e concreta del mito della Caduta, del mistero della Redenzione e del sacramento della Penitenza. È strano vedere dei cosiddetti socialisti, nemici o oppositori della Chiesa e dello Stato, scimmiottare tutto quello che essi condannano ad alta voce, il sistema rappresentativo in politica e il dogma della caduta nella religione.

    E dal momento che si parla tanto di dottrina, noi affermiamo con franchezza che questa dottrina noi non la condividiamo affatto.

    Per noi, la condizione morale della società si modifica e si migliora con la sua condizione economica. Un conto è la moralità di un popolo di selvaggi, ignoranti e senza attività industriali, e un altro conto è quella di un popolo industrioso e creativo. Di modo che diverse sono le garanzie sociali nel primo caso rispetto al secondo. In una società trasformata, quasi a sua insaputa, dallo sviluppo della sua economia, non ci sono né forti deboli; esistono solo persone attive le cui facoltà e i cui mezzi tendono incessantemente a collocarsi sullo stesso piano attraverso la cooperazione nella produzione e la diffusione degli scambi. È cosa del tutto vana se, per assicurare a ciascuno diritti e doveri, immaginassimo di dover fare ricorso all'autorità e al governo. Questo attesterebbe solo la profonda disperazione di animi troppo a lungo spaventati dal potere della polizia e del clero. L'esame più superficiale delle attribuzioni dello Stato sarebbe sufficiente a mostrare che, se la disuguaglianza delle fortune, l'oppressione, la spoliazione e la miseria non sono affatto condizioni eterne della nostra natura, allora la prima malattia infettiva da cui dobbiamo liberarci, dopo lo sfruttamento capitalista, la prima piaga che dobbiamo eliminare, è lo Stato.

    Vediamo quindi, bilancio alla mano, che cos'è lo Stato.

    Lo Stato è l'esercito — Riformatore, avete forse bisogno dell'esercito per difendervi? In questo caso voi vedete la sicurezza pubblica come la vedevano Cesare e Napoleone… Voi non siete repubblicano ma, bensì, un despota.

    Lo Stato è la polizia; polizia urbana, guardie campestri, polizia delle acque e dei boschi — Riformatore, avete forse bisogno della polizia? In questo caso voi vedete l'ordine come lo vedevano Fouette, Gisquet, Caussidière [13] e M. Cartier. Voi non siete affatto un democratico, ma un delatore.

    Lo Stato è tutto l'apparato giudiziario: giudici di pace, tribunali di prima istanza, corti d'appello, corte di cassazione, alta corte, tribunali arbitrali, tribunali per cause di commercio, consigli di prefettura, consigli di Stato, consigli di guerra — Riformatori, avete forse bisogno di tutti questi meccanismi giudiziari? Allora vedete la giustizia come i Signori Baroche, Dupin e Perrin Dandin [14]. Voi non siete affatto un socialista, ma un brigante di strada.

    Lo Stato è il fisco, il bilancio — Riformatori, non volete l'abolizione delle imposte? Allora voi vedete la ricchezza come Monsieur Thiers, per il quale i bilanci statali più grossi sono i migliori. Voi non siete affatto un organizzatore delle attività produttive, voi siete un topo di fogna.

    Lo Stato sono le dogane. — Riformatore, avete proprio bisogno, per proteggere l'attività nazionale, di diritti differenziati e di barriere commerciali? Allora voi vedete il commercio e la circolazione come Monsieur Fould e Monsieur Rothschild [15]. Voi non siete affatto un sostenitore della fratellanza: voi siete un usuraio.

    Lo Stato è il debito pubblico, la moneta, i pagamenti, le casse di risparmio, eccetera — Riformatore, in questo consiste la vostra scienza delle finanze? Allora voi vedete l'economia sociale come Monieurs Humann, Lacave-Laplagne, Garnier-Pagès, Passy, Duclerc [16] e l' Homme aux quarante écus [17]. Voi siete un Turcaret [18].

    Lo Stato… fermiamoci qui.

    Non vi è nulla, assolutamente nulla nello Stato, dall'alto della scala gerarchica fino in basso, che non costituisca un abuso da riformare, un parassitismo da sopprimere, uno strumento della tirannia da distruggere. E voi ci suggerite di mantenere lo Stato, di accrescere le sue attribuzioni, di rendere il suo potere sempre più forte! Suvvia, voi non siete affatto dei rivoluzionari perché il vero rivoluzionario è essenzialmente uno che vuole semplificare le cose e un vero liberale in tutti i sensi. Voi siete dei mistificatori, dei venditori di fumo, delle brutte copie.

    III – Riguardo a una funzione ulteriore dello Stato

    Qui appare, a favore dello Stato, un'ultima ipotesi. Il fatto che lo Stato, dicono gli pseudodemocratici, abbia giocato fino ad ora solo un ruolo di parassita e di tiranno, non costituisce motivo sufficiente per rifiutargli di svolgere in futuro una funzione più nobile e più umana.

    Lo Stato sarebbe destinato a diventare l'organo principale della produzione, del consumo e degli scambi; la fonte della Libertà e dell'Uguaglianza.

    Perché, Libertà e Uguaglianza è lo Stato.

    Il credito è lo Stato.

    Il commercio, l'agricoltura e l'industria, è lo Stato.

    I canali, le ferrovie, le miniere, le assicurazioni, come pure i tabacchi e le poste, tutto ciò è lo Stato.

    L'istruzione pubblica è lo Stato.

    Infine, lo Stato, mettendo da parte le sue attribuzioni negative per indossarne di positive, da oppressore improduttivo e reazionario come è sempre stato, dovrebbe diventare l'organizzatore, il produttore e il servitore di tutti. È una sorta di feudalesimo rigenerato, composto dalla gerarchia delle associazioni operaie, organizzate e disposte sulla base di una formula potente di cui Pierre Leroux si riserva di rivelarci il segreto.

    Questo è quello che immaginano gli organizzatori dello Stato perché, in tutto ciò, essi non fanno che andare di supposizione in supposizione. Essi pensano che lo Stato possa cambiare la sua natura, trasformarsi radicalmente, per così dire, e in maniera autonoma, da Satana in Arcangelo e, dopo essere vissuto per secoli nutrendosi di sangue e di carne umana, come una bestia feroce, possa ora brucare l'erba con le caprette e offrire la propria mammella agli agnelli. Questo è quello che ci vorrebbero far credere Louis Blanc e Pierre Leroux. In questo consiste, l'abbiamo già detto tempo fa, tutto il segreto dei sognatori.

    Noi amiamo il potere tutelare, generale, devoto, che si conforma a queste parole profonde del Vangelo: — Che il primo tra voi sia il servitore di tutti gli altri; — e noi lo odiamo, quando è depravato, corruttore, opprimente, quando fa del Popolo la sua preda. Noi l'ammiriamo in quanto rappresentante della parte generosa e viva dell'umanità; noi lo detestiamo quando rappresenta la parte cadaverica. Ci ribelliamo contro l'insolenza, la violenza, la rapina, presenti in questa nozione: lo Stato-Padrone; e applaudiamo quello che vi è di toccante, fecondo e nobile:

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