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LA VISITA DI GESÙ A NAZARETH: LC 4,16-30

1. Il brano nel contesto

Diversi contatti lessicali e tematici segnalano l'aggancio della nostra


pericope con il contesto precedente:
1. la venuta a Nazaret richiama la prima sezione del vangelo e precisamente
Le 1,26; 2,39 e 2,51;
2. l’ambientazione nella sinagoga puntualizza, esemplificando in maniera
emblematica, l'affermazione del precedente sommario: "egli insegnava nelle loro
sinagoghe" (4,15);
3. il rapporto Gesù-Spirito (Le 4,18) evoca la descrizione lucana dell'evento
battesimo. Lo Spirito santo si posa "corporalmente" su Gesù in preghiera (3,22);
lo abita e lo dirige: "pieno di Spirito santo" Gesù lascia il Giordano e, guidato
dallo Spirito, si dirige nel deserto (4,1).
Quanto al contesto successivo si può affermare che l'intera sezione 4,14-9,50
va letta alla luce della pericope di Nazaret, nel senso che verrà indicato.

2. Struttura di Lc 4,16 -30

II brano si lascia facilmente articolare in due parti caratterizzate


rispettivamente dal "venire" (4,16-22) e dal drammatico "andarsene" di Gesù
(4,23-30): elthen, "venne", è la prima parola del brano e l'ultima è e p o r e u e t o,
"se ne andava".

La VENUTA di Gesù a Nazaret avviene in un clima di forte attesa, che


raggiunge il culmine nella meraviglia e nel plauso che i presenti gli manifestano.
Tra il v. 22 e il v. 23 c'è un brusco cambio di tono, notato dai commentatori.
Dall'accoglienza si passa rapidamente al rifiuto. La provocante ripresa del discorso
da parte di Gesù culmina con il rifiuto dei Nazaretani e il loro drammatico tentativo
di ucciderlo (4,23-30). L'insieme è composto con grande accuratezza e rivela la
mano di Luca.
In particolare i vv. 16-20 presentano una disposizione chiastica
(concentrica), con al centro la citazione del testo isaiano:
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A Ed entrò di sabato nella SINAGOGA

e SI ALZO' per leggere


e gli FU DATO il libro del profeta Isaia
e SROTOLATO il libro ...
B Citazione di Is 61 e 58
A' ARROTOLO' il libro
e RIDATOLO all'inserviente
SI SEDETTE.
E gli occhi di tutti nella SINAGOGA erano su di lui.

3. Spiegazione del testo

Prima parte: vv. 16-22

"E venne a Nazarà" : Luca ambienta l'inizio dell'attività di


Gesù a Nazaret, menzionata qui secondo la denominazione aramaica
(Nazarà), come in Mt 4,13. E' la patria di Gesù, il luogo in cui egli è
cresciuto (cf. 2,52), "dove era stato allevato" (tethrammenos: 4,16).

Questo singolare "inizio" non significa che Gesù inauguri il suo ministero
quel mattino nella sinagoga di Nazaret. Infatti Lc 4,23 lascia chiaramente
intendere che il maestro aveva già insegnato e compiuto altrove opere potenti. Se,
dunque, non si tratta di un "inizio" cronologico, qual è il senso e la funzione di
questo "inaugurare" l'attività di Gesù nella sinagoga di Nazaret? Il racconto mette in
luce l'intento del terzo evangelista e la sua prospettiva teologica: ciò che Luca
intravede in quell'evento, sia riguardo alla vicenda di Gesù che all'opera
evangelizzatrice della chiesa.

"E, secondo il suo solito, entrò di sabato nella sinagoga".


Sin da ragazzo Gesù aveva frequentato la sinagoga di Nazaret ed è,
significativamente, nel contesto della liturgia del sabato mattino, che Luca ambienta
la "rivelazione" della missione di Gesù. Si suppone già fatta la lettura della Torah
(Pentateuco) e le preghiere comprese nella prima parte del rito (le "Diciotto
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benedizioni", la professione di fede e la benedizione del sacerdote (Num


11,24ss).

"E si alzò per leggere". Gesù si alza per fare la seconda lettura, tratta dai
Profeti. Si noterà che manca il nome proprio "Gesù" in questa pericope. Il fatto
è stato definito "Economia tipicamente lucana" (Aletti, 40). Una tale
omissione rafforza il collegamento con il "vero inizio" descritto nel precedente
sommario (4,14-15), dove il nome del protagonista segue enfaticamente il verbo:
"e ritornò Gesù nella potenza dello Spirito in Galilea (4,14a). Al v. 16 Luca non
ha alcun bisogno di ripetere il nome; tacendolo rafforza la centralità del
protagonista.
1. Luca sottolinea anzitutto l'iniziativa di Gesù. E' lui che liberamente si
alza per assumersi il compito della lettura pubblica (nulla è detto su un
eventuale invito da parte del presidente, benché sia logico supporlo).
2. La narrazione va subito all'essenziale. Nel rotolo di Isaia Gesù trovò
il passo che gli serve per mostrare il carattere di promessa della Scrittura e il
suo presente compimento. Si tratta di Is 61,l-2a.
Di fatto il testo citato da Lc 4,18-19 è un testo misto ed è impensabile che
Gesù l'abbia "trovato così" nel rotolo che gli fu consegnato a Nazaret. Abbiamo
qui la combinazione di due passi di Isaia. Dopo la citazione di Is 61,1 (secondo
il testo della LXX) si passa a Is 58,6; quindi si ritorna a Is 61,2 che però viene
interrotto prima della seconda metà, omettendo il riferimento al "giorno di
vendetta" (Is 61,2b).
Pertanto, l'ultimo stico di Lc 4,18: "rimettere in libertà gli oppressi"
(aposteilai tethrausmenous en aphesei) manca in Is 61; è preso da Is 58,6
(LXX). Tale aggiun ta i l l u s t r a ulteriormente l'annuncio dell'"anno di grazia",
inteso come anno di "liberazione".

Non c'è dubbio che nel suo insieme questa citazione interpreta l'evento
del battesimo (Le 3,21ss). Nella sinagoga di Nazaret, attraverso il testo
isaiano, ci viene detto che quel discendere e posarsi dello Spirito su Gesù al
Giordano significò propriamente u n ' u n z i o n e messianica. Conseguentemente
"la pienezza dello Spirito" (Le 4,1) muove e orienta tutta l'attività di Gesù.

"E gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi su di lui".


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C'è clima di grande suspanse in sinagoga. Secondo il cerimoniale Gesù,


terminata la lettura, "arrotolò il volume, lo riconsegnò all'inserviente e si
sedette" (le letture venivano fatte stando in piedi, l'omelia stando seduti).
Gli occhi dei presenti sono fissi su di lui, seduto sul podio, attenti a
cogliere ogni sua mossa, ogni parola. Ma dalla bocca di Gesù non escono
propriamente parole di commento. Gesù non fa la tradizionale "omelia". La sua
non è una "spiegazione", una "interpretazione della Scrittura" alla maniera
rabbinica. E' piuttosto una solenne "dichiarazione".
Egli proclama il compimento della profezia appena letta:
OGGI SI E' COMPIUTA QUESTA SCRITTURA (4,21).

Si avverte l'eco del grido marciano: peplerotai ho kairos (Mc 1,15). Ma


qui, più ancora che in Marco, si dice che il compimento dell'attesa lo si ha con
e in Gesù: "lo Spirito del Signore (riposa) sopra di me" (4,18).
Il compimento si realizza SEMERON, oggi. E' questo un aspetto
fondamentale della teologia di Luca; è l'oggi che costituisce il cosiddetto
"centro del tempo" (Conzelmann); l'oggi di un anno di grazia che si dischiude
per gli oppressi e i peccatori e che il Salvatore conferma al malfattore che si
rivolge a lui sulla croce: "oggi sarai con me in paradiso" (23,43).
L'asse del tempo (l'oggi) incrocia lo spazio: non semplicemente la
"sinagoga", ma più specificamente il luogo di ascolto personale: "en tois osin
hymon, nei vostri orecchi" (v. 21).

Si osservi l'interessante spostamento dagli "occhi" agli "orecchi". I presenti


vogliono VEDERE ("gli occhi di tutti"), ma Gesù li riconduce al primato
biblico dell'ASCOLTO della Parola: l'udito e non la vista è accreditato a
percepire il compiersi della promessa. Il compimento viene scoperto infatti
nella dynamis rivelatrice della Parola.

"E tutti gli tributavano plauso ed erano meravigliati..."


L'automanifestazione di Gesù viene accolta favorevolmente anche a Nazareth.
Le sette parole uscite dalla bocca di Gesù sono giudicate dai suoi compaesani
"logoi tes charitos": parole rivelatrici della grazia che salva. In tal senso essi
fanno eco a quanto già si dice in tutta la regione, piena della sua fama (4,14) e
nelle varie sinagoghe della Galilea dove tutti lo glorificavano (doxazomenos
hypo pànton: 4,15).
Ma a Nazaret c'è un particolare che non si verifica altrove: qui la gente ha
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visto crescere Gesù sotto i propri occhi, crede perciò di conoscerlo, di sapere
tutto di lui: "non è costui il figlio di Giuseppe" ? (v. 22b). Qui la lode si intreccia
con una meraviglia che non può credere ai propri occhi, che non sa capacitarsi di
ciò che sta sperimentando: "Come può conoscere le Scritture senza essere stato
istruito"? (Gv 7,15).

Seconda parte: vv. 23-30

Nella seconda parte il brano cambia tono e diventa drammatico anticipo


della storia della passione. Il cambiamento è introdotto da un intervento di Gesù,
volto a interpretare i sentimenti dei presenti. Il proverbio citato ("Medico cura te
stesso", v. 23) indica che i Nazaretani si attendevano "fatti" e non solo belle
parole, prodigi analoghi a quelli avvenuti a Cafarnao. Ma Gesù, citando un altro
detto ("Nessun profeta è accetto in patria", v. 24), lascia intendere che a Nazaret
non farà alcun miracolo. Segue il rimando alla storia profetica, e precisamente ai
segni di Elia e di Eliseo.

Ma perché vengono tirati in campo Elia ed Eliseo con i rispettivi "invii"


alla vedova di Sarepta e al siro Naaman? E perché "all'udire queste cose" gli
astanti si indignano? Cosa hanno capito di tanto grave per essere
improvvisamente "ripieni di sdegno" e maturare la determinazione di ucciderlo
(v. 28)?
Il linguaggio di questi versetti è fortemente allusivo. E' un sottile gioco di
smascheramento dei sentimenti e delle intenzioni dell'uditorio; non in forma
diretta, ma come in filigrana, attraverso il rimando alle Scritture. Sullo sfondo dei
vv. 25-27 vi è il passaggio della predicazione di salvezza ai pagani. Gesù è
destinato a operare in terra straniera (a Cafarnao) e un giorno la salvezza andrà non
ad Israele, che la rifiuta, ma ai pagani (cfr At 13,46; 28,28).
"E’ questo un indizio che la pericope di Nazaret presenta in termini globali
e sintetici, non solo -storicizzando- una storia passata, ma anche una
realtà futura e per Luca già presente... L'ira dei Nazaretani ha come causa
il rifiuto da parte di Gesù di operare miracoli in mezzo a loro ed è stata
ulteriormente aggravata dalla prospettiva aperta nei w. 25ss. sull'ora
dei pagani e sul rifiuto d'Israele... La notizia vuoi essere più che
un'affermazione storica: essa allude al contrasto che la venuta di Gesù
provoca inevitabilmente" (Schürmann, pp. 415-417).
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Il brano si chiude con il sollevamento dei Nazaretani e la miracolosa


protezione per Gesù (vv. 29-30), poiché un profeta deve morire a Gerusalemme
(13,33). L'ultima parola è un verbo caro alla cristologia lucana: "egli se ne andava".
Dove? Verso la missione per la quale lo Spirito lo aveva consacrato.

4. Linee teologiche emergenti da Lc 4,16-30

La pericope lucana della v i s i t a a Nazaret è particolarmente i n d i c a t i v a della


teologia del terzo evangelista. Segnaliamo alcuni aspetti principali.

1. La dimensione cultuale
Luca si rivela assai sensibile alla dimensione orante e soprattutto liturgica.
Abbiamo già avuto modo di rilevarlo in rapporto ai quattro cantici che scandiscono
i primi due capitoli di Le e in base al fatto che il terzo vangelo si apre e chiude nel
tempio di Gerusalemme, luogo eminente dell'incontro con Dio e della preghiera di
Israele. L'ambientazione dell'inizio del ministero p u b b l i c o del Signore nella
sinagoga di Nazaret, conferma questa caratteristica. E' in un contesto di preghiera e
di ascolto della Parola che il terzo evangelista invita il lettore ad approfondire il
significato cristologico e pneumatologico dell'evento battesimo e della missione
evangelizzatrice del Signore.

2. La dimensione di "promessa-compimento"
La dichiarazione del predicatore Gesù nella sinagoga del suo paese
puntualizza un aspetto fondamentale della teologia lucana (benché esso
non sia affatto esclusivo di questo evangelista): la dialettica di promessa-compimento.
In Gesù, nell’oggi (shmeron) del suo ministero, si compie (peplh w rw tai) la Scrittura
profetica. Come intendere quell’"oggi"? Come limitato e circoscritto alla persona e
missione storica di Gesù (quale lo intende Conzelmann), o piuttosto come estendibile
e prolungabile alla comunità che da lui trae origine, alla Chiesa?
L'insieme dell'opera lucana suggerisce la seconda alternativa. L'oggi di
Gesù continua infatti nell'oggi di Pietro e di Giovanni che gli rendono
testimonianza. Nel nome di Gesù di Nazaret, ora come allora, si ottiene salvezza
(cf. At 4,9 e contesto).

3. La buona notizia annunciata ai poveri


L'oracolo proclamato nella sinagoga di Nazaret (Is 61,l-2a + 58,6c) non
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lascia alcun dubbio sulle preferenze di Gesù e di Luca: i poveri, i prigionieri, i


ciechi e gli oppressi (in senso storico e teologico) sono i diretti destinatari della
missione evangelizzatrice del consacrato dallo Spirito. La salvezza promessa si
compie per i poveri.

4. L'enfasi sull'aspetto salvifico


Non è certo a caso l'omissione di Is 61,2b. Per Luca Gesù è essenzialmente il
"Salvatore" (cf. 2,11 e 23,43). La sua "venuta" proclama l’anno giubilare,
l'offerta del perdono e della piena li berazione (si veda Lv 25,8-17.23-25 e Ger 34,8-
22: nell'anno giubilare venivano condonati i debiti e rimessi in libertà gli schiavi).
Più ancora di Marco e di Matteo, Luca presenta Gesù come il supremo rivelatore
della volontà di perdono e di misericordia del Padre.

5. La salvezza come opzione


Tuttavia, fin dall'inizio, il Salvatore Gesù è presentato quale "segno di
contraddizione" (cf. 2,34) e la nostra pericope stabilisce un drammatico parallelo tra
i Nazaretani e gli israeliti contemporanei di Elia e di Eliseo. Non basta essere
israeliti e concittadini del Messia. Il medico non può curare "i suoi"(= "te stesso")
perché essi non lo accolgono, non gli accordano fiducia. La salvezza resta libera
opzione, anche sulla croce (cf. 23,39-43).

6. Il rifiuto dei Nazaretani


II comportamento dei Nazaretani è interpretato alla luce del poi, sullo sfondo
del grande rifiuto consumatosi a Gerusalemme nei giorni della Passione e quindi
sullo sfondo della vita della chiesa primitiva. Luca "rievoca tutto alla luce dei fatti
già compiuti e dalla prospettiva propria del suo tempo, quando la scissione fra
giudei e cristiani si era consumata, anche se non tutti i ponti erano saltati" (Rasco,
p. 37). Al riguardo è illuminante il parallelo con At 13,46-48 e At 28,28 in cui si
contrappone l'incredulità dei Giudei e la gioiosa accoglienza della Parola da parte
dei pagani.

7. L'esodo e il peregrinare di Gesù


La conclusione del brano evidenzia un aspetto caratteristico della teologia
lucana: il peregrinare di Gesù, il suo "andarsene". Sul monte della trasfigurazione
Mosè ed Elia parleranno del suo "esodo" (Lc 9,31: l'espressione è propria del terzo
evangelista) l'esodo che Gesù "avrebbe portato a compimento a Gerusalemme".
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La cacciata dalla sinagoga e dalla città di Nazaret è preludio di quell'esodo. Inizia


il peregrinare di Gesù, il suo andarsene come straniero prima a Cafarnao, poi per
le altre città della Galilea e finalmente verso Gerusalemme e da qui verso il
cielo (cf. At 1,10: vi ritorna lo stesso verbo poreuesthai, "andarsene", che
chiude la pericope di Nazaret).
Questo inarrestabile "andarsene" dell'evangelizzatore Gesù è carico di
esemplarità per la chiesa di Luca e di ogni generazione: suggerisce che nessuna
difficoltà e persecuzione può bloccare la corsa della Parola (cf. At 8,4). Il punto
di arrivo di Gesù, il luogo dove si compie il suo "esodo" - Gerusalemme - diventa
punto di partenza per il cammino della chiesa: da Gerusalemme essa dovrà
raggiungere tutte le genti (cf. Lc 24,47).

E. Rasco, "La singolarità di Luca" in: Rassegna di


Teologia 19 (1978) 26-42; di J.-N. Aletti, L'art de raconter Jésus
Christ, Paris 1989, pp. 39-60 (tr. it. L'arte di raccontare Gesù Cristo,
Brescia 1991, pp. 35-74; U. Busse, Das Nazareth-Manifest Jesu,
Stuttgart, 1978.

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