Francesca Gazzano
(Università degli Studi di Genova)
Per chi si occupi di storia greca, e in particolare di storia greca di epoca arcaica
e classica, Plinio il Vecchio non costituisce di solito una fonte primaria, né la sua
monumentale Storia naturale un’opera da conoscere necessariamente nella sua in-
terezza o nei suoi particolari: anzi, quest’ultima risulta un caso quasi paradigmatico
di “opera-serbatoio” di dati e informazioni delle più diverse origine e natura, dal
quale attingere passi paralleli, versioni alternative o da cui estrapolare lacerti di
opere storiche altrimenti perdute. Tuttavia, proprio a fronte di questo abituale ap-
proccio “selettivo” (e, se si vuole, strumentale) nei confronti di autori come Plinio
– e in generale, di gran parte della letteratura latina –, un’indagine mirata sulla Sto-
ria naturale si configura come un’opportunità ideale per qualche riflessione più ap-
profondita sull’impiego degli autori latini in relazione alla storia greca arcaica1. In
questa prospettiva, ci si propone qui un’analisi per alcuni aspetti più metodologica
che contenutistica, su un tema specifico e limitato; l’intento principale è di mettere
in rilievo la diversa percezione che di un autore, e dei dati che da questo si possono
trarre, si ricava guardando al medesimo testo da due punti di osservazione antiteti-
ci. Il tema che si prenderà in considerazione come test-case è la regione della Lidia,
e non solo perché costituisce un argomento di precedenti indagini da parte di chi
scrive; si tratta infatti di un’area dell’Asia Minore occidentale che, per il suo lungo
e importante passato e per il ruolo che svolse sullo scacchiere delle relazioni fra
Grecia e Oriente, fu la principale, se non la sola, delle entità geo-etnografiche ana-
toliche sia ad avere contorni etnico-culturali chiaramente definiti2, sia a esercitare
un fascino duraturo prima sull’immaginario collettivo ellenico e, in seguito – e di
riflesso – anche su quello dei Romani3. Quanto alla Storia naturale, proprio per il
1
Una versione preliminare di questo saggio è stata presentata e discussa (24 novembre 2016)
all’Université Paris-Sorbonne nel corso del Séminaire d’Histoire Romaine Géographie, relations
internationales, conflits i er-vi e s. ap. J.-C. 2016/17. L’inventaire du monde de Pline l’Ancien del prof.
Giusto Traina, al quale sono grata per l’invito e per i suggerimenti. Grazie anche a Walter Lapini per la
sua lettura, sempre preziosa, e all’anonimo referee di «Maia», al quale sono debitrice di un’importante
osservazione critica (nota 69).
2
Sulla peculiarità della Lidia in relazione alle altre regioni (e agli altri ethne) dell’Anatolia si veda
F. Gazzano, L’Oriente Vicino. Le tradizioni sulla Lidia nello specchio di Erodoto, «Erga-Logoi» 5/2
(2017), pp. 35-59, con bibliografia precedente.
3
Sull’immagine greca della Lidia in età classica si vedano K. De Vries, The Nearly Other. The
Attic Vision of Phrygians and Lydians, in B. Cohen (ed.), Not the Classical Ideal. Athens and the
Quanto alla regione e alla sua storia, ai fini di quanto qui interessa sarà sufficien-
te, e comunque necessario, offrire qualche indicazione che consenta di circoscri-
vere le coordinate generali entro le quali si muoverà l’analisi. Situata nell’odierna
Turchia occidentale, in corrispondenza dell’attuale provincia di Manisa5, dal punto
di vista geo-etnografico la Lidia è definibile in primis come la terra abitata dai Lidi,
una popolazione anatolica6, la cui lingua, il lidio – appartenente alle lingue indo-
europee e imparentato con altre lingue anatoliche come il luvio e l’ittita – occupa
tuttavia una posizione a sé stante e non è stato ancora del tutto decifrato7. Le più
antiche iscrizioni pervenute, spesso assai brevi, risalgono all’viii/vii secolo a.C., e
sono redatte in una scrittura alfabetica (forse derivata dall’alfabeto greco?); i testi
si concentrano soprattutto a Sardi, centro principale della regione, e risalgono in
Construction of the Other in Greek Art, Leiden 2000, pp. 338-363; M. Dorati, La Lidia e la trufhv,
«Aev. Ant.» n.s. 3 (2003), pp. 503-530; per l’epoca romana si veda soprattutto A. Spawforth, Shades
of Greekness. A Lydian Case Study, in I. Malkin (ed.), Ancient Perceptions of Greek Ethnicity, Cam-
bridge ma 2001, pp. 375-400; cfr. anche F. Gazzano, Xanto di Lidia nel Lessico Suda, in G. Vanotti (a
cura di), Gli storici greci in frammenti e il Lessico «Suda». Atti dell’Incontro Internazionale di Studio
(Vercelli, 6-7 novembre 2008), Tivoli, 2011, pp. 97-128. Interessanti ora le osservazioni di A. Gruca-
Macaulay, Lydia as a Rhetorical Construct in Acts, Atlanta 2016, in part. pp. 122-136 e 201-268.
4
G.B. Conte, L’inventario del mondo. Forma della natura e progetto enciclopedico nell’opera
di Plinio il Vecchio, in Id. (a cura di), Generi e lettori. Lucrezio, l’elegia d’amore, l’enciclopedia di
Plinio, Milano 1991, pp. 95-144. Il testo e le traduzioni di Plinio qui adottati sono quelli di G.B. Conte
(dir.), Gaio Plinio Secondo, Storia naturale, i-v, Torino 1982-1988.
5
C.H. Roosevelt, The Archaeology of Lydia, from Gyges to Alexander, Cambridge 2009, pp. 33-58;
A. Payne - J. Wintjes, Lords of Asia Minor. An Introduction to the Lydians, Wiesbaden 2016, pp. 16-18.
6
L’etnogenesi dei Lidi è problema ancora aperto: R.S.P. Beeks, The Prehistory of the Lydians, the
Origin of the Etruscans, Troy and Aeneas, «Bibl. Orient.» 59 (2002), pp. 205-241; Th.P.J. van den
Hout, Maeonien und Maddunašša. Zur Frühgeschichte des Lydischen, in M. Giorgieri - M. Salvini -
M.-C. Tremouille - P. Vannicelli (a cura di), Licia e Lidia prima dell’ellenizzazione. Atti del Convegno
Internazionale (Roma, 11-12 ottobre 1999), Roma 2003, pp. 301-310; A. Payne - J. Wintjes, Lords
of Asia Minor, cit., pp. 22-24. Sul rapporto con i Meoni di Omero si veda T. Bryce, The Routledge
Handbook of the Peoples and Places of Ancient Western Asia. The Near East from the Early Bronze
Age to the Fall of the Persian Empire, London-New York 2009, s.v. Maeonia, p. 438; cfr. anche infra.
7
Si vedano R.S.P. Beeks, Luwians and Lydians, «Kadmos» 42 (2003), pp. 47-49; H.C. Melchert,
The Dialectal Position of Lydian and Lycian within Anatolian, in M. Giorgieri et al., Licia e Lidia, cit.,
pp. 265-272; R. Gérard, Phonétique et morphologie de la langue lydienne, Louvain-la-Neuve-Paris,
2005, e ora la sintesi di A. Payne - J. Wintjes, Lords of Asia Minor, cit., 63-86, con status quaestionis.
262 Francesca Gazzano
Sotto il profilo geografico, l’heartland della Lidia coincide con la valle alluvio-
nale del fiume Ermo (od. Gediz), delimitata a sud dal monte Tmolo (od. BozDağı),
sulle cui pendici sorgeva la capitale Sardi10, e contrassegnata, verso occidente, dal
massiccio del monte Sipilo (od. Manisa Dağ)11; il territorio era certamente più am-
pio, anche se i confini con le altre entità etnico-geografiche locali, quali la Misia, la
Caria, la Frigia e la Ionia, sono spesso incerti, o vagamente individuabili in base a
marcatori naturali come i fiumi12. Comunque sia, nel tempo i suoi limiti territoriali
subirono variazioni importanti: nel vi secolo a.C., all’epoca del regno di Creso, i
domini della Lidia si estendevano a tutti i territori dell’Asia Minore fino al fiume
Halys (od. Kızıl Irmak), in Cappadocia, escluse la Licia e la Cilicia e comprese
invece molte delle città greche della costa ionica, sottoposte al pagamento di un
tributo13. Sull’aspetto geografico, tuttavia, si avrà occasione di ritornare.
Dal punto di vista statuale, il regno di Lidia, come altre entità dell’Asia Minore,
si sviluppò nel i millennio dopo il crollo dell’impero ittita (xii secolo a.C.) nell’area
che le fonti ittite indicavano come Arzawa14. Nell’Iliade almeno una porzione della
8
H.C. Melchert, Lydian Language and Inscriptions, in N.D. Cahill (ed.), Lidyalılar ve Dünyaları /
The Lydians and Their World, Istanbul 2010, online http://sardisexpedition.org/en/essays/latw-melchert-
lydian-language, n.p.; ora A. Payne - J. Wintjes, Lords of Asia Minor, cit., pp. 80-86.
9
Strabo xii 4, 6.
10
Per una prima descrizione del sito di Sardi si vedano T. Bryce, The Routledge Handbook, cit.,
s.v. Sardis, pp. 618-620; N.D. Cahill (ed.), Lidyalılar, cit., e per un’analisi più dettagliata si veda il
documentato sito web http://sardisexpedition.org/en. Sulla tradizione letteraria relativa a Sardi si veda
l’utile rassegna di J.G. Pedley, Ancient Literary Sources on Sardis, Cambridge ma 1972.
11
Per la delimitazione geografica della Lidia (in rapporto sia alla “Grande Lidia”, sia all’“impero
dei Lidi”) si veda soprattutto C.H. Roosevelt, The Archaeology, cit., pp. 33-59.
12
Cfr. ancora C.H. Roosevelt, The Archaeology, cit., pp. 41-45. Fra i fiumi marcatori naturali del
territorio sono da includere il Meandro, a sud, che separava la Lidia dalla Caria e a sud-ovest dalla Io-
nia, e il Caico, a nord, confine con la Misia. Sui confini con Eolide e Ionia si veda M. Kerschner, The
Lydians and their Ionian and Aeolian Neighbors, in N.D. Cahill (ed.), Lidyalılar, cit., online http://
sardisexpedition.org/en/essays/latw-kerschner-lydians-ionian-neighbors, n.p.
13
Hdt. i 6, 1; 28, con il commento di D. Asheri (a cura di), Erodoto, Le Storie. i. La Lidia e la Per-
sia, Milano 19974, ad loc., rispettivamente pp. 266-267 e 280-281. Sulla politica espansionistica di
Creso si veda di recente A. Paradiso, Croesus and the Lydian Navy, «Historikà» 5 (2016), pp. 167-182,
con ulteriore bibliografia.
14
Si vedano C.H. Roosevelt, The Archaeology, cit., pp. 16-22; A. Payne - J. Wintjes, Lords of Asia
Minor, cit., pp. 22-24. Sulla connessione fra la Meonia omerica e la regione di Masa si veda R.S.P.
La Lidia di Plinio il Vecchio 263
Beeks, Luwians, cit., pp. 47-49; diversamente, C.H. Roosevelt, The Archaeology, cit., pp. 16-21, la
connette con quella definita Maddunassa; cfr. anche T. Bryce, The Routledge Handbook, cit., p. 438.
Sul problema, tuttora aperto, cfr. ora M.R. Bachvarova, From Hittite to Homer. The Anatolian Back-
ground of Ancient Greek Epic, Cambridge 2016, pp. 361-362.
15
Meonia/Meoni: Hom. Il. ii 864-866; v 43-44; xi 431. Hyde: Il. xx 382-385: J.G. Pedley, Ancient
Literary Sources, cit., nn. 7, 8, 238, 239. Sull’equazione Hyde/Sardi si veda anche Strabo ix 2, 20; xiii
4, 6, il quale tuttavia dubitava dell’identificazione.
16
Hdt. i 7, con il commento di D. Asheri (a cura di), Erodoto, Le Storie, i, cit., pp. 267-268. Le
altre, più tarde, testimonianze sono raccolte da J.G. Pedley, Ancient Literary Sources, cit., pp. 6-17.
Sulle dinastie regali pre-mermnadiche (compreso il ramo dei Tilonidi, su cui infra), si vedano anche
C. Talamo, La Lidia arcaica. Tradizioni genealogiche ed evoluzione costituzionale, Bologna 1979; O.
Carruba, Ludikh; ajrcaiologiva. La Lidia fra ii e i millennio, in M. Giorgieri et al., Licia e Lidia, cit.,
145-169; D. Hegyi, Wandlungen der lydischen Politik und Religion zu Gyges’ Zeit, «Act. Ant. Ac.
Hung.» 43 (2003), pp. 1-14; C.H. Roosevelt, The Archaeology, cit., pp. 11-13; N.D. Cahill, The City
of Sardis, in Id. (ed.), Lidyalılar, cit., online http://sardisexpedition.org/en/essays/latw-cahill-city-of-
sardis, n.p.; F. Gazzano, I re di Lidia secondo (i trasmissori di) Xanto, in F. Gazzano - G. Ottone - L.
Santi Amantini (a cura di), Ex fragmentis, per fragmenta historiam tradere, Tivoli 2011, pp. 33-59; A.
Payne - J. Wintjes, Lords of Asia Minor, cit., pp. 19-30.
17
Sul tema e per una possibile (e diversa) versione epicorica si veda Xanth. FGrHist F 19, su cui
F. Gazzano, Xanto di Lidia nel Lessico Suda, cit., pp. 115-127; A. Favuzzi, Da Xanto alla Suda e oltre,
«Anc. Soc.» 43 (2013), pp. 255-265.
18
Plin. nat. v 110, su cui infra.
19
Hdt. i 7, 4, su cui D. Asheri (a cura di), Erodoto, Le Storie, i, cit., pp. 267-268. Per la ricostru-
zione della cronologia (evidentemente ben poco storica in Erodoto) si vedano anche H. Kaletsch, Zur
lydischen Chronologie, «Historia» 7 (1958), pp. 1-47; C. Talamo, La Lidia arcaica, cit.; Ead., Erodoto
e le tradizioni sul regno di Lidia, «Stor. Storiogr.»7 (1985), pp. 150-161; C.H. Roosevelt, The Archae-
ology, cit., pp. 11-26.
20
Gige è identificato con Gugu di Luddu delle fonti assire coeve: J.G. Pedley, Ancient Literary
Sources, cit., pp. 82-83; C.H. Roosevelt, The Archaeology, cit., p. 23.
264 Francesca Gazzano
21
Hdt. i 6; cfr. i 28: sul fiume Halys come confine (e come limite da non valicare) si veda T.
Bekker-Nielsen, Hard and Soft Spaces in the Ancient World, in K. Geus - M. Thiering (eds.), Features
of Common Sense Geography. Implicit Knowledge Structures in Ancient Geographical Texts, Münster
2014, pp. 131-146. Sulla politica di Creso nei confronti delle città greche si vedano M. Kerschner, The
Lydians and their Ionian and Aeolian Neighbors, in N.D. Cahill (ed.), Lidyalılar, cit., online http://
sardisexpedition.org/en/essays/latw-kerschner-lydians-ionian-neighbors, n.p.; A. Paradiso, Croesus,
cit., pp. 167-182. Per una diversa, ma non convincente, ipotesi sulla cronologia del regno di Creso si
veda ora R.W. Wallace, Redating Croesus. Herodotean Chronologies, and the Dates of the Earliest
Coinages, «Journ. Hell. St.» 136 (2016), pp. 168-181.
22
In generale, sugli eventi della guerra condotta da Creso contro Ciro si vedano A. Payne - J. Win-
tjes, Lords of Asia Minor, cit., pp. 38-43; per una disamina delle varie tradizioni relative all’assedio e
alla presa di Sardi si veda F. Gazzano, L’immagine di Creso nella tradizione post-classica. In margine
al “silenzio” di Xanto, in V. Costa (a cura di), Tradizione e trasmissione degli storici greci frammen-
tari. iii Workshop Internazionale (Roma, 24-26 febbraio 2011), Tivoli 2013, pp. 93-95; per gli aspetti
archeologici si vedano C.H. Greenewalt Jr., When a Mighty Empire Was Destroyed. The Common
Man at the Fall of Sardis, ca. 546 b.c., «Proc. Amer. Philol. Soc.» 136/2 (1992), pp. 247-271; N.D.
Cahill, The Persian Sack of Sardis, in Id. (ed.), Lidyalılar, cit., online http://sardisexpedition.org/en/
essays/latw-cahill-persian-sack-sardis, n.p.; sulla sorte (ignota) di Creso cfr. ancora F. Gazzano, L’im-
magine di Creso, pp. 100-103 e anche A. Duplouy, Le bûcher de Crésus. Exploitation et transforma-
tion d’une tradition iconographique et textuelle à travers le v e siècle, «Riv. Fil. Istr. Cl.» 128 (2000),
pp. 21-37; S. West, Croesus’ Second Reprieve and Other Tales of the Persian Court, «Class. Quart.»
n.s. 53/2 (2003) pp. 416-437, in part. pp. 418-428.
23
Si veda J.M. Balcer, Sparda by the Bitter Sea. Imperial Interaction in Western Anatolia, Chico
ca 1984.
24
Sulla Lidia in età achemenide, oltre al cit. J.M. Balcer, Sparda by the Bitter Sea, si vedano in
part. N. Sekunda, Achaemenid Colonization in Lydia, «Rev. Etud. Anc.» 87 (1985), pp. 7-29; E.R.M.
Dusinberre, Aspects of Empire in Achaemenid Sardis, Cambridge 2003.
25
Su Sardi e la Lidia in età ellenistica si vedano C. Ratté, Reflections on the Urban Development
of Hellenistic Sardis, in N.D. Cahill (ed.), Love for Lydia. A Sardis Anniversary Volume Presented to
Crawford H. Greenewalt, jr, Cambridge ma 2008, pp. 125-133; A. Gruca-Macaulay, Lydia as a Rhe-
torical, cit.
26
Quanto alla Lidia in età romana si veda in part. il già cit. A. Spawforth, Shades of Greekness.
La Lidia di Plinio il Vecchio 265
27
Il ritratto più suggestivo e ricco di intuizioni del rapporto fra Greci e Lidi in età arcaica è senza
dubbio quello di S. Mazzarino, Fra Oriente e Occidente. Ricerche di storia greca arcaica, Milano
19892, pp. 167-270. Sul tema si vedano anche M. Lombardo, Erodoto storico dei Lidi, in G. Nenci - O.
Reverdin (éd.), Hérodote et les peuples non grecs, Genève 1990, pp. 171-203; M. Dorati, La Lidia,
cit.; M. Kerschner, The Lydians, cit.
28
Cfr. e.g. A. Dale, Alcaeus on the Career of Myrsilos. Greeks, Lydians and Luwians at the East Ae-
gean-West Anatolia Interface, «Journ. Hell. St.» 131 (2011), pp. 15-24, sui rapporti fra Alceo e la Lidia.
29
Sui rapporti dei sovrani lidi con i santuari greci si vedano M. Kerschner, Lydische Weihungen
in griechischen Heiligtümern, in A. Naso (a cura di), Stranieri e non cittadini nei santuari greci. Atti
del Convegno Internazionale (20-22 novembre 2003), Firenze 2006, pp. 253-291; F. Gazzano, Sovra-
ni “barbari” e santuari greci. Qualche riflessione, in L.R. Cresci (a cura di), Spazio sacro e potere
politico in Grecia e nel Vicino Oriente, Roma 2014, pp. 119-162.
30
Si confronti quanto emerge dalla ricostruzione di C.H. Roosevelt, The Archaeology, cit., pp.
185-203. Si vedano anche, più in dettaglio, E.R.M. Dusinberre, Aspects of Empire, cit.; E.P. Baughan,
Couched in Death. Klinai and Identity in Anatolia and Beyond, Madison wi 2013.
31
Sull’età ellenistica si veda C. Ratté, Reflections on the Urban Development, cit.; sull’età romana
A. Spawforth, Shades of Greekness, cit. Per gli aspetti della cultura materiale cfr. P. Herrmann, Sar-
deis zur Zeit der iulisch-claudischen Kaiser, in E. Schwertheim (Hrsg.), Forschungen in Lydien, Bonn
1995, pp. 21-36; cfr. il catalogo dei ritrovamenti, sito per sito, in C.H. Roosevelt, The Archaeology,
cit., pp. 205-258 e la ricca documentazione archeologica pubblicata online http://sardisexpedition.
org/en.
266 Francesca Gazzano
In linea generale, è ben noto che della produzione letteraria greca e romana è
pervenuta solo una parte molto ridotta32, e che gran parte delle opere antiche, di tutti
i generi letterari, o è scomparsa del tutto, o è pervenuta solo in frammenti, vale a dire
attraverso la citazione di singole e spesso brevi porzioni di testo da parte di autori
più tardi. Non è il caso qui di approfondire le cause, numerose e diverse, di questo
fenomeno, che vanno dalla distruzione vera e propria per cause accidentali o per in-
tervento umano, alla cosciente selezione – meglio, a varie fasi di selezione – ad ope-
ra delle generazioni successive, che nel corso del tempo scelsero consapevolmente,
sulla base dei loro criteri di giudizio, quali opere continuare a trasmettere e quali
condannare per sempre: in questo senso, un esempio lampante è quello costituito
dai vari “canoni”33 che gli antichi stessi, a partire dall’età ellenistica, iniziarono a
compilare e che comprendevano quegli autori e quelle opere che più di altre si rite-
neva fondamentale continuare a preservare, conoscere e studiare34. Accanto a questi
sviluppi “consapevoli”, non si può negare che – nel lungo processo di trasmissione
del patrimonio letterario greco e latino – ebbero (forse involontariamente) un ruolo
non marginale le frequenti operazioni di riduzione, di “riassunto” o di epitomazione
di opere più antiche: per non fare che un esempio, delle Storie filippiche dello storico
Pompeo Trogo non sopravvive la stesura originale, di cui si salvarono comunque i
prologhi, bensì solo l’epitome, redatta in epoca più tarda (iii secolo d.C.) da Giu-
stino, scrittore di cui peraltro si conosce poco o nulla35. Un’operazione simile nei
risultati, ma diversa nelle premesse è anche la Biblioteca storica di Diodoro Siculo
(i secolo a.C.), che è – come dice già il titolo, apprezzato da Plinio stesso36 – un
32
Si ricordi l’immagine evocativa del Trümmerfeld impiegata da Hermann Strasburger per de-
signare lo status della produzione storiografica greca pervenuta rispetto a quella perduta, con un
rapporto di 1:40: H. Strasburger, Umblick im Trümmerfeld der griechischen Geschichtsschreibung, in
Historiographia antiqua. Commentationes Lovanienses in honorem W. Peremans, Leuven 1977, pp.
3-52, in part. pp. 14-15.
33
Il termine è qui usato in senso convenzionale: si veda in merito T. Hägg, Canon Formation in
Greek Literary Culture, in E. Thomassen (ed.), Canon and Canonicity. The Formation and Use of
Scripture, Copenhagen 2010, pp. 109-128.
34
Si vedano in generale G.W. Most, Canon Fathers. Literacy, Mortality, Power, «Arion» s. iii, 1/1
(1990), pp. 35-60; H. Cancik, Standardization and Ranking of Texts in Greek and Roman Institutions,
in M. Finkelberg - G.G. Stroumsa (eds.), Homer, the Bible, and Beyond, Leiden-Boston 2003, pp.
117-130; R.M. Piccione, Scegliere, raccogliere, ordinare. Letteratura di raccolta e trasmissione del
sapere, «Humanitas» 58/1 (2003), pp. 44-63; T. Hägg, Canon Formation, cit.; P. von Moellendorff,
Canon as Pharmakon. Inside and Outside Discursive Sanity in Imperial Greek Literature, in U. Jörg,
A.C. Jacobsen - D. Brakke (eds.), Invention, Rewriting, Usurpation. Discursive Fights over Religious
Traditions in Antiquity, Frankfurt a.M. 2012, pp. 89-101.
35
Su Giustino e sulla sua opera si vedano i tre volumi di Studi sull’Epitome di Giustino. i. Dagli
Assiri a Filippo ii di Macedonia. ii. Da Alessandro Magno a Filippo v di Macedonia. iii. Il tardo elleni-
smo. I Parti e i Romani, curati rispettivamente da C. Bearzot e F. Landucci (i e ii, Milano 2014 e 2015) e
da A. Galimberti e G. Zecchini (iii, Milano 2016); in ultimo A. Borgna, Ripensare la storia universale.
Giustino e l’Epitome delle Storie Filippiche di Pompeo Trogo, Hildesheim-Zürich-New York 2018.
36
Plin. nat., praef. 25 apud Graecos desiit nugari Diodorus et biblioqhvkh~ historiam suam in-
scripsit.
La Lidia di Plinio il Vecchio 267
37
Sul carattere dell’opera diodorea si vedano e.g. M. Corsaro, Ripensando Diodoro. Il problema
della storia universale nel mondo antico, i-ii, «Med. Ant.» 1 (1998), pp. 405-436 e 2 (1999), pp. 117-
169; C. Rubincam, Did Diodorus Siculus Take Over Cross-References From His Sources?, «Amer.
Journ. Philol.» 119/1 (1998), pp. 67-87; per la fortuna del testo di Diodoro stesso si veda L.R. Cresci,
Momenti e forme della fruizione del testo diodoreo, «Med. Ant.» 11/1-2 (2008), pp. 383-395.
38
Sul rapporto Eforo-Diodoro si veda ora soprattutto G. Parmeggiani, Eforo di Cuma. Studi di sto-
riografia greca, Bologna 2011, pp. 349-394, con ampia bibliografia.
39
Si vedano in proposito B. Flusin, Les Excerpta constantiniens. Logique d’une anti-histoire, in
S. Pittia (éd.), Fragments d’historiens grecs. Autour de Denys d’Halicarnasse, Rome 2002, pp. 537-
559; R.M. Piccione, Scegliere, raccogliere, ordinare, cit.; un quadro generale in L.R. Cresci, Come e
perché venivano letti gli storici greci a Bisanzio, in F. Gazzano - G. Ottone, (a cura di), Le età della
trasmissione. Alessandria, Roma e Bisanzio. Atti del Convegno Internazionale, Genova 29-30 maggio
2012, Tivoli 2013, pp. 61-94.
40
Si veda L.R. Cresci, Come e perché venivano letti, cit., pp. 46-48.
41
Cfr. A. Kazhdan, s.v. Excerpta, in The Oxford Dictionary of Byzantium, ii, Oxford 1991, pp.
767-768.
42
Plin. nat., praef. 17 x͞ x͞ rerum dignarum cura – quoniam, ut ait Domitius Piso, thesauros oportet
esse, non libros – lectione voluminum circiter ͞ii, quorum pauca admodum studiosi attingunt prop-
ter secretum materiae, ex exquisitis auctoribus centum inclusimus xxxvi voluminibus, adiectis rebus
plurimis, quas aut ignoraverant priores aut postea invenerat vita. nec dubitamus multa esse quae
et nos praeterierint. – Excerpta de virtutibus et vitiis 2 (Exc. de legationibus 2): ejpei; de; ejk th`~ tw`n
tosouvtwn ejtw`n peridromh`~ a[pletovn ti crh`ma kai; pragmavtwn ejgivgneto kai; lovgwn ejplevketo, ejp∆
a[peirovn te kai; ajmhvcanon hJ th`~ iJstoriva~ eujruvneto sumplokhv, e[dei d∆ ejpirrepevsteron pro;~ ta;
ceivrw th;n tw`n ajnqrwvpwn proaivresin metativqesqai crovnoi~ u{steron kai; ojligwvrw~ e[cein pro;~
268 Francesca Gazzano
pliniana rivestì in sé e per la cultura delle epoche successive, per un verso contiene
una innumerevole quantità di dati tratti da opere che sarebbero andate comunque
perdute, per un altro potrebbe tuttavia aver reso non più necessario conservare tutte
le singole opere, magari soprattutto quelle in greco, nell’area dell’impero non gre-
cofona, di cui si era servito per la composizione43. Del resto, come afferma Plinio
stesso nell’Epistola dedicatoria all’imperatore Tito, molti dei lavori da lui consul-
tati erano rari, per l’oscurità della materia (nat., praef. 17 secretum materiae).
2.2. Cover-text
ta; kala; kai; rJa/qumovteron diakei`sqai pro;~ th;n tw`n fqasavntwn genevsqai katavlhyin, katovpin
ginomevnh~ th`~ ajlhqou`~ ejpiteuvxew~ w{st∆ ejnteu`qen ajdhliva/ skiavzesqai th;n th`~ iJstoriva~ ejfeuvre-
sin, ph` me;n spavnei bivblwn ejpwfelw`n, ph` de; pro;~ th;n ejktavdhn polulogivan deimainovntwn kai;
katorrwdouvntwn [...].
43
Sul carattere dell’opera pliniana si vedano T. Murphy, Pliny the Elder’s Natural History. The
Empire in the Encyclopedia, Oxford 2004; A. Doody, Pliny’s Encyclopedia. The Reception of the
Natural History, Cambridge-New York 2010, in part. pp. 11-39.
44
Si veda soprattutto G. Schepens, Jacoby’s FGrHist. Problems, Methods, Prospects, in G.W. Most
(ed.), Collecting Fragments. Fragmente Sammeln, Göttingen 1997, pp. 144-172; Id., Prolegomena, in
G. Schepens (dir.), F. Jacoby, Die Fragmente der Griechischen Historiker Continued (= FGrHistCont.),
Part Four, Biography and Antiquarian Literature, iv A/1 (Biography. The Pre-Hellenistic Period ), J.
Bollansée, J. Engel, G. Schepens, E. Theys (eds.), Leiden-Boston-Köln 1998, pp. vii-xxi; Id., Proble-
me der Fragmentedition, in C. Reitz (Hrsg.), Vom Text zum Buch, St. Katharinen 2000, pp. 1-29. Sulla
portata del concetto si veda e.g. il recente Ch.A. Baron, Timaeus of Tauromenium and Hellenistic Histo-
riography, Cambridge-New York 2013, pp. 15-31.
La Lidia di Plinio il Vecchio 269
elencati tutti i passi in cui la Naturalis historia è il cover-text di uno storico greco
perduto (divisi fra Testimonia e Fragmenta)45. Si tratta di una quantità straordinaria
di nomi e di notizie, frutto di un’accuratissima ricerca e di un lavoro indubbiamente
scientifico e capillare, anche a voler escludere dall’analisi i Testimonia – giacché
in gran parte costituiti dai nuda nomina degli autori compresi negli Indici che com-
pongono il primo libro della Naturalis historia46.
3. La Lidia di Plinio
Alla luce di queste considerazioni si proporranno ora tre possibili chiavi di lettura
delle informazioni sulla Lidia presenti nella Naturalis historia: una prettamente sto-
riografica, una nella prospettiva storica greca e una secondo l’ottica più propriamen-
te romana. E ciò perché, per il carattere stesso dell’opera, e in assenza di uno speci-
fico interesse dell’autore per la regione, le notizie sulla Lidia, disseminate qua e là in
diversi libri, non hanno – né potrebbero avere – un filo conduttore preordinato: ciò,
se rende difficoltoso il loro reperimento, permette però di raccoglierle, di combinarle
e di leggerle in modo piuttosto libero, svincolato quantomeno da criteri “autoriali”.
Nei primi due casi, si sono selezionate e raggruppate le notizie secondo il princi-
pio della Naturalis historia come cover-text, cioè come contenitore preziosissimo,
anche se disorganico e non sempre affidabile, di materiali e di informazioni che
possono aiutare a colmare qualche lacuna, a recuperare qualche frammento attribu-
ibile a uno storico greco perduto, a chiarire meglio qualche aspetto che le fonti più
antiche a nostra disposizione avevano omesso o lasciato in ombra. Questa visione
lascia dunque per ora da parte l’autore Plinio e le informazioni che offre sulla Lidia
dei suoi tempi, per valutare – nell’ottica della “trasmissione” – l’importanza che la
Storia naturale riveste per la conoscenza di fatti e personaggi delle vicende della
Lidia in età pre-romana, dal punto di vista storiografico e storico.
bene non sia acclarato quale rapporto cronologico intercorresse fra i due autori –
e da questa incertezza dipendono le oscillazioni dei critici moderni nel valutare
la “statura storica” di Xanto48– nondimeno già Eforo di Cuma, nel iv secolo a.C.,
affermava che Xanto sarebbe stato più anziano, e nei suoi confronti il “padre della
storia” avrebbe addirittura contratto un debito, di quale natura ed entità è tuttavia
difficile precisare49. A ogni modo, di Xanto, autore di Lydiaka, sopravvivono oggi
solo nove testimonianze e trentatré frammenti, uno dei quali, non noto da altre
fonti, è trasmesso proprio da Plinio. Il passo in questione, sul quale ora non occorre
soffermarsi in dettaglio, appare comunque in certo senso esemplare per chiarire
l’approccio corretto, in chiave storiografica, a Plinio come cover-text. Si tratta di
un brano del xxv libro, dedicato alle erbe dai poteri medicamentosi. Descrivendo
la natura e gli effetti di alcune piante dalle qualità miracolose, cita in merito un
episodio desunto appunto da Xanto, il quale nominava un’erba, chiamata balim, in
grado addirittura di resuscitare i morti: un cucciolo di serpente, ucciso, sarebbe sta-
to riportato in vita da un genitore grazie a quest’erba, la stessa che avrebbe resusci-
tato l’eroe Tylon, ucciso a sua volta da un serpente50. Data la concisione del passo,
la vicenda resta sia poco chiara nello svolgimento, sia favolistica nel tono (e nel
contenuto): quanto al protagonista, si tratterebbe dell’eroe locale Tylon, un perso-
naggio del mito fondatore di una dinastia, i Tilonidi, nei quali si tende a riconoscere
la denominazione lidia degli stessi sovrani mitici che i Greci, secondo la loro inter-
pretatio, chiamavano Eraclidi51. Comunque sia, il frammento, in quanto tale, non
pare conferire a Xanto grandi meriti di storico, visto il contenuto stesso e il taglio
aneddotico del racconto; occorre però notare due aspetti. Sul piano del contenuto
in sé, Plinio fornisce un’attestazione preziosa di un termine, balim, che è un hapax
in latino ed è del tutto assente in greco: si tratta con ogni probabilità di un vocabolo
di origine anellenica, può darsi lidia (oppure semitica), in quanto connesso – come
è stato fatto rilevare – con la radice bal- e con termini come l’eschileo ballhvn, che
indicavano una qualche forma di regalità52; Xanto, come si ricava anche da altri
febbraio 2006), Tivoli 2009, pp. 255-284; L. Matthews, Xanthus of Lydia and the Invention of Female
Eunuchs, «Class. Quart.» 65/2 (2015), pp. 489-499.
48
F. Gazzano, Giudizi antichi e (s)valutazioni moderne a proposito di Xanto di Lidia, in Ead. - G.
Ottone - L. Santi Amantini (a cura di), Ingenia Asiatica. Fortuna e tradizione di storici d’Asia Minore,
Tivoli 2009, pp. 35-59.
49
Eph. FGrHist 70 F 180 = Xanth. FGrHist 765 T 5 (= Athen. Deipn. xii 515 d-e): si veda F.
Gazzano, Giudizi antichi, cit.; sul frammento di Eforo cfr. anche Parmeggiani, Eforo di Cuma, cit.,
pp. 648-649.
50
Plin. nat. xxv 14 (= Xanth. FGrHist765 F 3) Xanthus historiarum auctor in prima earum tra-
dit, occisum draconis catulum revocatum ad vitam a parente herba, quam balim nominat, eademque
Tylonem, quem draco occiderat, restitutum saluti.
51
Su quest’episodio all’interno del patrimonio delle tradizioni mitistoriche lidie si vedano G.M.A.
Hanfmann, Lydiaka, «Harv. St. Class. Philol.» 63 (1958), pp. 65-88; H. Herter, Von Xanthos dem Ly-
der zu Aineias aus Gaza. Tylon und andere Auferweckte, «Rhein. Mus.» 108/3 (1965), pp. 189-212;
M. Flusin, Deux légendes de l’ancienne Lydie d’après Xanthos le Lydien, «Rev. Hist.» 256/1 (1976),
pp. 3-9; C. Talamo, La Lidia, cit.; O. Carruba, Ludikh; ajrcaiologiva, cit.
52
Si veda Hsch. s.v. balhvn (B 154): balhvn: basileuv~. Frugistiv. Il termine ballhvn si trova in
Aesch. Pers. vv. 657-658 (su cui A.F. Garvie [ed.], Aeschylus, Persae, Oxford-New York 2009, p. 269).
La Lidia di Plinio il Vecchio 271
frammenti53, aveva uno spiccato interesse per gli aspetti linguistici e l’osservazione
di Plinio punterebbe in questa direzione. Sul piano del “contenitore”, invece, se il
breve frammento di Xanto viene reinserito nel contesto di trasmissione, se ne rica-
va un’impressione assai diversa: sebbene in apertura Plinio definisse incredibilia
dictu, «incredibili a riferirsi»54, certi racconti di erbe miracolose, come quello di
Xanto, ma anche come quelli riferiti subito prima e subito dopo, e desunti da fonti
“scientifiche” come Pitagora e Teofrasto per ciò che precede, e da Giuba, Demo-
crito e ancora Teofrasto per quanto segue, l’autorevolezza delle sue fonti (Xanto
compreso, evidentemente), lo induceva a concludere che «anche se tutto ciò sembra
incredibile, desta tuttavia un grande interesse e spinge ad ammettere che una buona
parte di vero ci sia». Se ne deduce di conseguenza che, a differenza del comprensi-
bile scetticismo che suscita il frammento isolato dal contesto, l’opinione di Plinio
in merito appariva in realtà molto meno critica di quanto sarebbe lecito attendersi;
la qual cosa, se non serve a rendere credibile il racconto di Xanto, induce però a
giudicare in modo più sfumato il valore che gli antichi davano ai suoi racconti55.
Passando ora dal piano storiografico a quello della “storia” lidia, si può indi-
viduare agevolmente un certo numero di notizie riguardanti gli antichi sovrani di
Lidia che offre qualche spunto interessante.
In due diversi libri della sua opera, Plinio fa riferimento a un unico episodio
concernente Candaule, ultimo dei sovrani della dinastia dei cosiddetti Eraclidi56,
precedente ai Mermnadi (vii secolo a.C.) e noto soprattutto per il racconto erodoteo
delle sue destituzione e morte a opera di Gige57. In Plinio tuttavia non di questa
celebre novella si tratta, perché nel primo passo si ricorda en passant che il re Can-
daule, non meglio identificato, acquistò a peso d’oro un quadro del pittore ionico
Su questi aspetti si vedano F. Càssola, Rapporti fra Greci e Frigi al tempo di Mida, in R. Gusmani - M.
Salvini - P. Vannicelli (a cura di), Frigi e Frigio, Roma 1997, pp. 131-152 e, più di recente, W. Sowa,
A Note to “Phrygian” Words in Greek, «St. Etym. Cracov.» 1 (2007), pp. 153-170, in part. pp. 160-164.
53
Xanth. FGrHist 765 FF 15; 16; 24. L’interesse di Xanto per forme e problemi linguistici è sot-
tolineato da Herter, Xanthos, cit., coll. 1371-1372.
54
Plin. nat. xxv 13 composuit et Democritus, ambo peragratis Persidis, Arabiae, Aethiopiae,
Aegypti Magis, adeoque ad haec attonita antiquitas fuit, ut adfirmaverit etiam incredibilia dictu. [se-
gue il frammento di Xanto]. Et Iuba in Arabia herba revocatum ad vitam hominem tradit. Dixit De-
mocritus, credidit Theophrastus esse herbam, cuius contactu inlatae ab alite, quam retulimus, exiliret
cuneus a pastoribus arbori adactus. Quae etiamsi fide carent, admirationem tamen implent coguntque
confiteri multum esse quod vero supersit.
55
Su questo tema soprattutto F. Gazzano, Giudizi antichi, cit.
56
Sui sovrani di questa dinastia, dai tratti corposamente mitici, cfr. in sintesi A. Payne - J. Wintjes,
Lords of Asia Minor, cit., pp. 27-30. Raccolta delle fonti in J.G. Pedley, Ancient Literary Sources, cit.,
pp. 13-17.
57
Hdt. i 8-12, con il commento di D. Asheri (a cura di), Erodoto, Le Storie, i, cit., pp. 269-271.
Sulla novella di Gige e Candaule si vedano in particolare J.A.S. Evans, Candaules, whom the Greeks
name Myrsilus..., «Gr. Rom. Byz. St.» 26/3 (1985), pp. 229-233; C.C. Chiasson, Herodotus’ Use of
Attic Tragedy in the Lydian Logos, «Class. Ant.» 22/1 (2003), pp. 5-35.
272 Francesca Gazzano
dente la confusione avvenuta con due diversi episodi concernenti non già Gige, ma
Creso, l’ultimo e più famoso sovrano di Lidia. Infatti, l’allusione pliniana a Gige
si comprende appieno solo leggendo il più ampio racconto di Valerio Massimo64,
fonte diretta di Plinio65, in cui già è sussunto sotto il nome di Gige un curioso
mélange fra il celebre colloquio erodoteo fra Solone e Creso sulla felicità (i 29-33)
e la vicenda – altrettanto famosa e parimenti risalente ad Erodoto – della ripetuta
consultazione oracolare di Creso a Delfi (i 48-53)66. Merita osservare, nondimeno,
che da quanto si trovava in Valerio Massimo, ed è ribadito in Plinio, traspare un
notevole gap, confusioni a parte, nell’esegesi dell’episodio rispetto alla tradizione
greca. Nella versione originaria erodotea, e in genere in tutte le sue molteplici ri-
prese67, il fine dell’episodio del colloquio fra il re e il sapiente greco – in Valerio
Massimo e in Plinio fra il re e l’oracolo – è mostrare che la felicità dell’uomo non
si può stabilire che al termine della sua vita, a causa della mutevolezza della sorte68;
di contro, nell’interpretazione più “positiva” degli autori latini, la felicità risulta
una condizione concreta, che si può raggiungere e mantenere con una condotta
appropriata, di solida frugalità e di assenza di cupiditas: ci si potrebbe chiedere, ma
il tema necessiterebbe di ulteriori approfondimenti69, se non vi si possa scorgere
un rimando a qualche riflessione filosofica e moralistica, in connessione con una
reazione pliniana di fronte agli eccessi del lusso a Roma, in specie nella Roma ne-
64
Val. Max. vii 1, 2 cum enim Gyges regno Lydiae armis et divitiis abundantissimo inflatus ani-
mo Apollinem Pythium sciscitatum venisset an aliquis mortalium se esset felicior, deus ex abdito
sacrarii specu voce missa Aglaum Psophidium ei praetulit. is erat Arcadum pauperrimus, sed aetate
iam senior terminos agelli sui numquam excesserat, parvuli ruris fructibus voluptatibus contentus.
verum profecto beatae vitae finem Apollo non adumbratum oraculi sagacitate conplexus est. quocir-
ca insolenter fulgore fortunae suae glorianti respondit magis se probare securitate ridens tugurium
quam tristem curis et sollicitudinibus aulam, paucasque glebas pavoris expertes quam pinguissima
Lydiae arva metu referta, et unum aut alterum iugum boum facilis tutelae quam exercitus et arma et
equitatum voracibus inpensis onerosum, et usus necessarii horreolum nulli nimis adpetendum quam
thesauros omnium insidiis et cupiditatibus expositos. ita Gyges, dum adstipulatorem vanae opinionis
deum habere concupiscit, ubinam solida et sincera esset felicitas didicit.
65
Cfr. R. König - G. Winkler (Hrsg.), C. Plinius der Ältere, Naturkunde, vii, München 1975, pp.
246-247.
66
In merito ai rapporti di Creso con Delfi si veda F. Gazzano, L’immagine di Creso, cit.; Ead.,
Sovrani “barbari”, cit., con bibliografia precedente.
67
Sul colloquio fra Creso e Solone e la ripresa del tema nella tradizione letteraria antica e moderna
si vedano soprattutto i saggi raccolti in L. Moscati Castelnuovo (a cura di), Solone e Creso. Variazioni
letterarie, filosofiche e iconografiche su un tema erodoteo. Atti della Giornata di Studi (Macerata, 10
marzo 2015), Macerata 2016.
68
L’ammonimento di Solone a Creso divenne proverbiale: si veda Diogen. viii 51 tevlo~ o{ra bivou.
Cfr. C. Dewald, Happiness in Herodotus, «Symb. Osl.» 85/1 (2011), pp. 52-73.
69
Merita senz’altro osservare come la dicotomia fra le due posizioni si stemperi e trovi in certa
misura una sintesi nella visione di un autore greco di età imperiale come Pausania (viii 24, 13-14, con
il commento di M. Moggi, M. Osanna, in Pausania, Guida della Grecia. viii. L’Arcadia, Milano 2003,
p. 401), il quale riferendo brevemente l’episodio di Aglao di Psofide – datandolo tuttavia, a differenza
di Valerio Massimo e Plinio, all’epoca di Creso, originario protagonista del racconto nella versione
greca – ribadisce l’inevitabile alternarsi di felicità e infelicità nell’arco della vita umana, richiamando-
si a Omero (Il. xxiv 525-533) e, ancora una volta, al dio di Delfi. Cfr. anche Paus. x 24, 2 (su cui U.
Bultrighini - M. Torelli, in Pausania, Guida della Grecia. x. Delfi e la Focide, Milano 2017, p. 397).
274 Francesca Gazzano
roniana70. La confusione fra Gige e Creso appare inoltre ancora più curiosa, qualora
si consideri che nella Naturalis historia i riferimenti a quest’ultimo, di gran lunga il
sovrano più famoso dei Lidi e ancora oggi un’icona simbolica di ricchezza smisura-
ta71, sono solo quattro: di questi, tre sono allusioni en passant, e l’unico specifico è
di fatto eccentrico, rispetto alla lunga e articolata tradizione della sua vicenda nelle
fonti greche: infatti, nel ix libro si afferma che, mentre i bambini iniziano a parlare
a un anno, il figlio di Creso avrebbe parlato già a sei mesi, e questo prodigio sarebbe
stato segno di sventura72. Diversamente, secondo il racconto erodoteo, che ebbe nu-
merose riprese73, il figlio di Creso sarebbe stato muto dalla nascita, con grande cruc-
cio del padre, e avrebbe proferito parola solo da adulto, e in circostanze drammati-
che, vale a dire nel momento in cui Creso, sconfitto dal persiano Ciro, sarebbe stato
sul punto di essere ucciso da un soldato74. Difficile dire donde Plinio traesse questa
originale versione, anche se non si può escludere – come fu infatti notato da Pease
già all’inizio del xx secolo75 – che si trattasse di un fraintendimento, a opera di Pli-
nio stesso, della testimonianza di Cicerone76, e in particolare del termine infans, che
Cicerone impiegava nell’accezione etimologica di “muto” (infans a non fando)77 –
come prova del resto la parallela testimonianza di Gellio78 –, e che il naturalista
interpretava invece erroneamente nel significato comune di “neonato”, “infante”.
Al di là di questo aneddoto curioso, nelle altre tre citazioni (brevi) Creso è ora
richiamato insieme a Mida di Frigia come possessore di oro infinitum (xxxiii 51),
ora evocato come paradigma di eccessiva e inutile ricchezza (xxxiii 137); ancora,
se ne ricorda la reggia in mattoni, a Sardi, che ai tempi di Plinio era sede del senato
cittadino (xxxv 172)79.
70
Si vedano e.g. S. Citroni Marchetti, La rappresentazione del denaro in Plinio il Vecchio e nel
moralismo romano, in G. Urso (a cura di), Moneta Mercanti Banchieri. I precedenti greci e romani
dell’Euro. Atti del Convegno Internazionale (Cividale del Friuli, 26-28 settembre 2002), Pisa 2003,
pp. 283-300; E. Paparazzo, Philosophy and Science in the Elder Pliny’s Naturalis Historia, in R.K.
Gibson - R. Morello (eds.), Pliny the Elder. Themes and Contexts, Leiden-Boston 2011, pp. 89-130.
Cfr. anche A. Wallace-Hadrill, Pliny the Elder and Man’s Unnatural History, «Gr. Rom.» 37/1(1990),
pp. 80-96, e, più in generale, E. Lao, Luxury and the Creation of a Good Consumer, in R.K. Gibson -
R. Morello (eds.), Pliny the Elder, cit., pp. 35-56.
71
Cfr. A. Payne - J. Wintjes, Lords of Asia Minor, cit., pp. 117-119.
72
Plin. nat. xi 270 [...] infantis in nascendo nulla auditur ante quam totus emergat utero. primus
sermo anniculo; set semenstris locutus est Croesi filius et in crepundiis prodigio, quo totum id con-
cidit regnum.
73
Si vedano Diod. ix 33, 2; Gell. v 9; Val. Max. v 4, ext. 6; Sol. i 112; su Cic. div. i 121 si veda
infra, nel testo e in nota 76.
74
Hdt. i 34, 2; 85.
75
A.S. Pease, The Son of Croesus, «Class. Philol.» 15/2 (1920), pp. 201-202.
76
Cic. div. i 121 [...] scribit Herodotus Croesi filium, cum esset infans, locutum, quo ostento re-
gnum patris et domum funditus concidisse [...].
77
Si noti che il passo di Cic. div. i 121 è fra gli esempi addotti dall’OLD, s.v. infans, p. 894, nel
significato (1) di «not having the power of speech (esp. of a new born child)».
78
Gell. v 9 filius Croesi regis, cum iam fari per aetatem posset, infans erat et, cum iam multum
adolevisset, item nihil fari quibat. mutus adeo et elinguis diu habitus est.
79
Plin. nat. xxxv 172 Graeci, praeterquam ubi e silice fieri poterat structura, latericios parietes
praetulere. sunt enim aeterni, si ad perpendiculum fiant. ideo et publica opera et regias domos sic
La Lidia di Plinio il Vecchio 275
struxere: murum Athenis, qui ad montem Hymettum spectat, Patris aedes Iovis et Herculis, quamvis
lapideas columnas et epistylia circumdarent, domum Trallibus regiam Attali, item Sardibus Croesi,
quam gerusian fecere, Halicarnasi Mausoli, quae etiam nunc durant. Su questo passo, si veda infra.
80
Plin. nat. ii 53 [...] apud Graecos autem investigavit primus omnium Thales Milesius Olympia-
dis xlviii anno quarto praedicto solis defectu, qui Alyatte rege factus est urbis conditae anno clxx.
81
Hdt. i 74, con il commento di D. Asheri (a cura di), Erodoto, Le Storie, i, cit., pp. 315-316.
82
Cic. div. i 112 [...] et quidem idem (scil. Talete) primus defectionem solis, quae Astyage regnante
facta est, praedixisse fertur. L’indipendenza di Plinio da Cicerone si deduce chiaramente anche dal
fatto che l’aneddoto poco prima riportato da Cicerone a proposito della “preveggenza” di Talete nel
fare affari (l’acquisto dell’intera produzione di olive di Mileto prima ancora della fioritura) è riportato
anche da Plinio (nat. xviii 28), che però lo attribuisce a Democrito.
83
Su questo episodio della guerra fra Lidi e Medi, e sul ruolo di Talete si veda da ultimo K. Le-
loux, The Battle of the Eclipse (May 28, 585 bc). A Discussion of the Lydo-Median Treaty and the
Halys Border, «Polemos» 19/2 (2016), pp. 31-54.
84
Sul ruolo dell’oro nella rappresentazione dei Lidi e di Creso si vedano e.g. L. Kurke, Coins,
Bodies, Games and Gold. The Politics of Meaning in Archaic Greece, Princeton 1999, pp. 130-174; A.
Ramage - P. Craddock, King Croesus’ Gold. Excavations at Sardis and the History of Gold Refining,
Cambridge ma 2000.
276 Francesca Gazzano
Quanto fin qui esposto non esaurisce, naturalmente, le notazioni pliniane sulla
Lidia: vi è tuttavia motivo di credere che le altre informazioni che egli conserva, di
carattere “storico”, geografico, topografico e merceologico, possano essere meglio
interpretate ponendosi da un osservatorio diametralmente opposto al precedente,
secondo cioè il punto di vista del dominatore romano. Con il termine “storico”,
volutamente virgolettato, ci si riferisce qui al problema, tuttora dibattuto e irrisolto,
delle tradizioni sull’origine degli Etruschi90: è nota infatti la polemica (greca) di
Dionigi di Alicarnasso contro la vulgata erodotea, che faceva provenire i Tirreni, in
epoca protostorica, dalla Lidia91. Alla versione migratoria Dionigi contrapponeva
85
Plin. nat. vii 196 Aegyptii textilia, inficere lanas Sardibus Lydi, fusos in lanificio Closter, filius
Arachnae, linum et retia Arachne, fulloniam artem Nicias Megarensis, sutrinam Tychius Boeotius;
cfr. M. Beagon, The Elder Pliny on the Human Animal. Natural History, Book vii, Oxford 2005, pp.
428-429, ad loc. La fama dei Lidi nella tintura dei tessuti (e anche degli avori: C.H. Roosevelt, The Ar-
chaeology, cit., p. 71) è ben attestata (cfr. Athen. deipn. v 26a; vi 67b; xii 514a) anche a livello archeo-
logico: C.H. Greenewalt Jr. - L.J. Majewski, Lydian Textiles, in K. De Vries (ed.), From Athens to
Gordion. The Papers of a Memorial Symposium for Rodney S. Young, Philadelphia 1980, pp. 133-147,
in part. pp. 135-137.
86
Plin. nat. vii 204; cfr. J.C. Franklin, A Feast of Music. The Greco-Lydian Musical Movement on
the Assyrian Periphery, in B.J. Collins - M. Bachvarova - I. Rutherford (eds.), Anatolian Interfaces.
Hittites, Greeks and Their Neighbors, Oxford 2007, pp. 193-203.
87
Plin. nat. vii 205, con il commento di M. Beagon, The Elder Pliny, cit., p. 251. Ben più artico-
lato il catalogo delle invenzioni lidie ricordate da Erodoto (i 94, 1-3), su cui si veda ora soprattutto
A. Paradiso, Les catalogues des inventions lydiennes, in V. Azoulay - F. Gherchanoc - S. Lalanne
(éd.), Le banquet de Pauline Schmitt Pantel. Genre, moeurs et politique dans l’Antiquité grecque et
romaine, Paris 2012, pp. 131-148.
88
Plin. nat. vii 197 aes conflare et temperare Aristoteles Lydum Scythen monstrasse, Theophra-
stus Delam Phrygem putant, aerariam fabricam alii Chalybas, alii Cyclopas, ferrum Hesiodus in
Creta eos qui vocati sunt Dactyli Idaei. Si veda M. Beagon, The Elder Pliny, cit., pp. 430-432.
89
Si veda da ultimo W.W. Fortenbaugh (ed.) Theophrastus of Eresus, Commentary. 9/2. Sources
on Discoveries and Beginnings, Proverbs et al. (texts 727-741), with contributions on the Arabic ma-
terial by D. Gutas, Leiden-Boston 2014, n. 731, pp. 163-164.
90
In proposito si veda soprattutto D. Briquel, L’origine lydienne des Étrusques. Histoire de la
doctrine dans l’Antiquité, Rome 1990.
91
Hdt. i 94, con il commento di D. Asheri (a cura di), Erodoto, Le Storie, i, cit., pp. 324-325. La
versione erodotea è accolta da numerosi altri autori, e.g. Strabo v 2, 2; Verg. Aen. ii 781 e viii 479;
La Lidia di Plinio il Vecchio 277
ge i dati che pertengono non alla Lidia storica, ma alla giurisdizione romana della
“Sardiana”, con precisi riferimenti alla sede centrale di Sardi e alle popolazioni
locali che vi facevano capo, abitanti di località fondate in età ellenistico-romana,
come Filadelfia, o diversamente denominate come Antonioupolis (già Apollonia
sul Meandro, in Caria, poi, dall’epoca di Augusto, Tripolis99).
Al di là di questa descrizione complessiva, la Naturalis historia contiene qua e
là altre citazioni puntuali di località ed elementi geografici della Lidia; per ragioni
di spazio, ci si limiterà qui solo a quelle che, per i dati che offrono, sono parse più
significative: il monte Tmolo, il fiume Pattolo e la città di Sardi, tutti “marcatori”
chiaramente e storicamente distintivi della regione. Il Pattolo, come si è detto, era
il fiume che bagnava Sardi ed era noto, fin dai tempi più antichi, per la presenza
di pagliuzze d’oro nelle sue acque, oro che contribuì non poco alla fortuna e alla
potenza dei re Mermnadi, come le fonti concordemente attestano100. Lo stesso Pli-
nio, nella descrizione che si è appena ricordata, ne appare perfettamente cosciente,
tanto da menzionare l’antico nome Chrysorrhoas, «corrente d’oro» del fiume. Ep-
pure, né qui né altrove egli associa il Pattolo alla ricchezza “aurea” degli antichi
sovrani lidi; di contro, appare orgoglioso nel dichiarare, a proposito delle fonti di
approvvigionamento di questo prezioso metallo, che «nella nostra parte del mondo
l’oro, se tralasciamo quello indiano, estratto da formiche, o quello che in Scizia è
estratto da grifoni, si trova in tre maniere: in forma di pagliuzze nei fiumi, come nel
Tago in Spagna, nel Po in Italia, nell’Ebro in Tracia, nel Pattolo in Asia, nel Gange
in India...»101: l’oro del Pattolo è, a tutti gli effetti, oro di Roma. Analogamente, il
monte Tmolo, da cui originavano le sorgenti del Pattolo, è menzionato da Plinio in
relazione a due aspetti che non hanno alcuna attinenza con le qualità aurifere del
fiume che vi nasceva: da un lato, è menzionato per il vino che vi si produce, non in
sé eccellente, ma in grado di «invecchiare» artificialmente i vini cui è mescolato102,
da un altro per la curiosa notizia – tratta da Licinio Muciano103 – secondo cui gli
abitanti della sommità del monte vivevano in media 150 anni104. Quanto a Sardi,
tics, Culture and Religion in the First Millenium bc, Berlin-Boston 2016, pp. 407-428, in part. pp.
413-420.
99
Sulla descrizione delle circoscrizioni (conventus) romane in Asia Minore da parte di Plinio, che
riflettono la situazione dell’epoca augustea, si vedano e.g. Ch. Habicht, New Evidence on the Province
of Asia, «Journ. Rom. St.» 65 (1975), pp. 64-91; S. Mitchell, The Administration of Roman Asia from
133 bc to ad 250, in W. Eck - E. Müller-Luckner (Hrsg.), Lokale Autonomie und römische Ordnungs-
macht in den kaiserzeitlichen Provinzen vom 1. bis 3. Jahrhundert, München 1999, pp. 17-46. Più
in generale, S. Dmitriev, City Government in Hellenistic and Roman Asia Minor, Oxford 2005, con
bibliografia precedente.
100
Si veda J.G. Pedley, Ancient Literary Sources, cit., pp. 70-72.
101
Plin. nat. xxxiii 66 aurum invenitur in nostro orbe, ut omittamus Indicum a formicis aut apud
Scythas grypis erutum, tribus modis: fluminum ramentis, ut in Tago Hispaniae, Pado Italiae, Hebro
Thraciae, Pactolo Asiae, Gange Indiae [...] (tr. it., nel testo, di G. Rosati).
102
Plin. nat. xiv 74. Per altre attestazioni si vedano Strabo xii 8, 7; xiv 1, 15; Varro rust. i 7, 6;
Athen. deipn. i 57 ss. Sulla viticoltura in Lidia si veda C.H. Roosevelt, The Archaeology, cit., pp. 49-54.
103
Si veda in proposito G. Traina, Il mondo di C. Licinio Muciano, «Athenaeum» n.s. 65 (1987),
pp. 379-406.
104
Plin. nat. vii 159.
La Lidia di Plinio il Vecchio 279
si è già accennato che Plinio ricordava il palazzo di Creso come sede del consiglio
locale105: è però da rilevare che l’interesse del riferimento è per l’uso “dei Greci” di
edificare con i mattoni, e dunque nel suo elenco delle costruzioni antiche che hanno
resistito all’usura del tempo tanto Creso, quanto Mausolo di Caria sembrano essere
assimilati – in ottica romana – ai Greci. Altrove, la capitale della Lidia è nominata
soprattutto in funzione delle sue produzioni, tanto come centro dove si iniziò a
tingere i tessuti, quanto come luogo di origine di alcuni prodotti particolari, sia
vegetali, quali le castagne o un tipo pregiato di cipolla bianca106, sia la pietra dura
detta sarda107, sia infine come città dove i re dell’Asia avevano avuto cura di far
crescere una pianta esotica e rara come l’incenso108: in tutti questi passi, l’interesse
per l’origine dei vari beni pare tuttavia finalizzato a mostrare la varietà e la qualità
dell’offerta a disposizione degli “utilizzatori finali” di tutti i prodotti, vale a dire i
Romani della sua epoca. La rassegna potrebbe naturalmente continuare, amplian-
do magari il campione ad altre località lidie, o legate strettamente al mondo lidio
(come le greche Smirne ed Efeso, per esempio); analogamente, sarebbe necessario
mettere a confronto la trattazione di questa regione in Plinio con quella, ben più ar-
ticolata, che emerge dal libro xiii della Geografia del greco Strabone, alla ricerca di
analogie e differenze nella presentazione dei dati. Tuttavia, quanto esposto fin qui
sembra sufficiente a suscitare l’impressione che, se non altro per quanto riguarda
la Lidia, la prospettiva “romanocentrica”, e dunque più autentica dell’autore, fosse
alla base non solo del suo interesse per la redazione di un inventario del mondo,
ma anche del trattamento della singola informazione: di fatto, ciò che Plinio offriva
all’imperatore e ai suoi lettori, presenti e futuri, era sì una “storia della natura”, ma
anche e forse più una “storia della natura a disposizione di Roma”.
Abstract: The essay takes into consideration the encyclopaedic work of Pliny the Elder –
his Natural History – as a test-case to collect and study the information he gives about the
region of Lydia, in a double direction: on one side, it discusses the data he offers about the
mythical and historical past of the Lydian kingdom from a “Greek” perspective, for their
historical and historiographical value; on the other side, it takes into account Pliny’s de-
scription of Lydian geography and economy in his times, analysing them from a “Roman”
point of view. The aim is to advance some methodological observations about the value of
Latin texts as “cover-texts” for Archaic Greece (and Lydia) history.
Keywords: Pliny (the Elder), Naturalis historia, Lydia, Greek History, Greek Fragmentary
Historiography, Lydian Kingdom.
105
Plin. nat. xxxv 172: si vedano supra, le note 10 e 79. Per l’uso anatolico dei laterizi cfr. anche,
poco prima, xxxv 170, dove Plinio specifica che il mattone più comune è detto Lydion genus. Sull’e-
dilizia lidia (in mattoni) si veda C.H. Roosevelt, The Archaeology, cit., pp. 66-70 e 77-80.
106
Plin. nat. xv 29 (castagne); xix 35 (cipolla): su queste produzioni cfr. ancora C.H. Roosevelt,
The Archaeology, cit., pp. 50-52.
107
Plin. nat. xxxvii 105. Si tratta probabilmente del calcedonio: C.H. Roosevelt, The Archaeol-
ogy, cit., p. 56.
108
Plin. nat. xii 57.