Sei sulla pagina 1di 3

Il cervello sociale: di quanti amici abbiamo bisogno?

rosalba miceli

Quanto è grande la cerchia dei nostri amici? E quanti familiari ed amici e


conoscenti sono necessari per soddisfare i bisogni fondamentali di
riconoscimento, affiliazione, cura e condivisione? L’antropologo e
psicologo evoluzionistico inglese Robin Dunbar prova a dare alcuni
numeri, basandosi sulle caratteristiche peculiari del nostro cervello. Negli
anni ’90, attraverso esperimenti all’avanguardia che hanno rivoluzionato la
biologia evoluzionistica, egli ha dimostrato come, in qualsiasi contesto e
periodo storico, gli esseri umani riescano a mantenere relazioni
significative e stabili con un massimo di 150 individui.
I suoi studi sembrano indicare che la neocorteccia cerebrale sia in grado di
gestire non più di 150 relazioni - 150 è noto come «numero di Dunbar» -
una sorta di misura del limite cognitivo oltre il quale i rapporti tendono
inevitabilmente a deteriorarsi, fino ad annullarsi, per riduzione o mancanza
di contatti (in termini comportamentisti, il legame si scioglie per effetto di
un processo che è chiamato di «estinzione», per assenza di rinforzi
reciproci legati all’interazione).
Robin Dunbar è attualmente direttore del gruppo di ricerca in neuroscienze
sociali e evoluzionistiche presso il dipartimento di Psicologia sperimentale
dell’Università di Oxford. Fellow della British Academy, si occupa
principalmente dell’evoluzione della socialità negli esseri umani e nei
primati non umani. Dunbar - che integra l’attività di studioso a quella di
divulgatore - ha raccolto gli articoli pubblicati nel corso degli ultimi anni
in un saggio attraversato da un sottile sense of humour, tradotto in Italia
con il titolo Di quanti amici abbiamo bisogno? Frivolezze e curiosità
evoluzionistiche (Raffaello Cortina Editore, 2011).
Il «numero di Dunbar» sollecita alcune riflessioni. Quanti sono i familiari,
amici e conoscenti che costituiscono la «rete» sociale di cui facciamo
parte? Abbiamo intenzione di includere le nuove conoscenze (compagni di
viaggio, vicini di ombrellone sulla spiaggia, occasionali compagni di
escursioni, nuovi vicini di casa, e così via) tra le nostre conoscenze più o
meno stabili, mantenendo eventualmente i rapporti anche a distanza? E che
dire degli entusiasti di Facebook che ritengono di avere migliaia di amici?
Riguardo alla struttura di una rete ipotetica di contatti sociali, il professor
Dunbar ipotizza che sia basata su multipli di tre. Se la coppia maschio-
femmina è l’unità base della dimensione riproduttiva, il nucleo minimo di
persone unito da legami molto stretti, con i quali rapportarsi nei momenti
difficili (per consigli, conforto, richieste di aiuto morale o materiale) è
costituito da circa tre o cinque persone. Poi, a mano a mano, la cerchia si
allarga: oltre il primo gruppo se ne trova solitamente un secondo
rappresentato da altre dieci persone. E poi un altro ancora, di
approssimativamente trenta persone, e così via. Se si considera ciascuna
cerchia comprensiva di tutte le cerchie più interne, esse sembrano formare
una serie che cresce moltiplicando per tre. Per quanto riguarda gli amici
sui social network, i dati scientifici sembrano confermare le statistiche di
Facebook secondo cui l’utente medio presenta circa 130 amici.
Le varie cerchie di conoscenze riflettono il grado di intimità e la frequenza
dei contatti (in senso strutturale, il legame è tanto più solido quanto più
alta è la probabilità degli scambi e viceversa): la cerchia più interna è
composta da familiari ed amici significativi con cui ci relazioniamo tutti i
giorni o almeno una volta alla settimana; la seconda, da persone che
contattiamo almeno una volta al mese, anche per scambiare delle semplici
conversazioni del più e del meno, mentre entriamo in rapporto con il
gruppo più esteso dei 150 almeno una volta all’anno, ad esempio, in
occasione delle auguri per le festività, scambiandoci una sorta di carezza di
mantenimento per tener viva la conoscenza (in analisi transazionale è
carezza tutto ciò che, riconoscendo l’esistenza di un altro essere umano,
comporta una comunicazione con una valenza affettiva anche minima).
Ben oltre la freddezza dei dati numerici, gli studi di Dunbar mirano a
mettere in luce la complessità del nostro cervello sociale che seleziona le
persone di cui abbiamo bisogno per vivere e sviluppare le nostre
potenzialità all’interno di società in continua evoluzione, creando legami
basati sulla reciproca attrazione e sulla favorevole disposizione ad
incontrarsi di nuovo, ad interagire, a divenire esseri dotati di senso (di un
proprio senso unico) gli uni per gli altri.

Potrebbero piacerti anche