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SELEKJA

Selekja! La parola terribile, temuta da tutti gli Haftlige che non la pronunciavano neanche, per scaramanzia,

era ormai realtà. Tutti ormai sapevano che la domenica successiva, fra le 10 e le 12, nelle misere
baracche dei prigionieri sarebbero entrati, fregiandosi di un’autorità che non proveniva certo da
Dio, ma da inqualificabili interessi umani, degli individui sconosciuti e che non li conoscevano, e
che avrebbero giudicato e deciso della loro vita e della loro morte.

Essi, gli Haftlinge, ( ossia i prigionieri) sapevano bene come si svolgevano le cose : tre persone,
degnamente paragonabili a una triade infernale, facevano irruzione nella loro baracca e
rapidamente, quasi solo con lo sguardo, ne esaminavano gli occupanti, per stabilire se essi erano
in condizioni da poter continuare a lavorare, o se fosse giunto il momento di mandarli nelle
camere a gas.

Quindi, in un tempo brevissimo, dovevano comparare i costi per mantenerli in vita ai benefici che
si sarebbero ricavati dal loro lavoro e, se i secondi superavano i primi, i prigionieri sarebbero stati
lasciati in vita, almeno fino alla prossima selezione, altrimenti…beh, la Germania non poteva farsi
carico di malati nullafacenti, e quindi per loro c’era la camera a gas.

Certo, c’era la possibilità di qualche rischio di valutazione, come talvolta era accaduto, ma nelle
operazioni in grande scala, come erano queste, era previsto che si potesse sbagliare.

Per questi e altri motivi, tutti erano terrorizzati dall’arrivo della Commissione di selezione.

In particolare, nella baracca n. 10, era terrorizzato un certo Jan, ebreo polacco, che, invero, aveva
tutti i motivi per esserlo: egli aveva incominciato con l’avere i piedi gonfi e, non potendosi curare
adeguatamente, aveva peggiorato sempre più, al punto che ormai a stento poteva trascinarsi sulle
gambe. I compagni, per la verità, cercavano di aiutarlo, ma nulla potevano fare per proteggerlo
dal giudizio della Commissione.

Jan, quindi, era diventato, in vista della selezione, estremamente noioso : chiedeva aiuto a tutti, e
alla fine si era aggrappato a Fritz, che era il responsabile della baracca, e che certo non poteva far
nulla per lui, ma che comunque gli suggerì di nascondersi, magari sotto il letto, quando fosse
giunta la commissione.

Quindi quella domenica, alle ore 10, 30, puntuale, con uno squillo di tromba si annunciò la
Commissione, che entrò con prepotenza nel blok e che fece subito l’appello dei prigionieri che
risultavano esservi ospitati.

Naturalmente, subito il loro Kapo si accorse che mancava un elemento, e quindi si volse
minaccioso verso il responsabile Fritz che alla domanda del Kapo rispose che lui non sapeva dove
si fosse cacciato Jan. Il Kapo, furente, minacciò di ucciderlo se non avesse parlato, ma a questo
punto si udì una voce spaurita che diceva:

“ Eccomi, sono qua” e Jan uscì dal suo nascondiglio.


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“ Ah, - disse il Kapo - dunque sei tu?”

“Sì” – rispose umilmente Jan.

“ Bene” rispose l’altro, come se si trattasse di fare una conoscenza , e poi puntò la pistola su Jan.

Jan cadde per terra, e subito dopo , sopra di lui, cadde Fritz.

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