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CANTO 3

Argomento del Canto

Ancora nel I Cielo della Luna. Apparizione degli spiriti difettivi: colloquio con Piccarda Donati. Piccarda
spiega i gradi di beatitudine e l'inadempienza del voto. Viene mostrata l'anima dell'imperatrice Costanza.
È il primo pomeriggio di mercoledì 13 aprile (o 30 marzo) del 1300.

Apparizione delle anime beate (1-33)

Beatrice ha svelato a Dante col suo ragionamento logico la verità circa l'origine delle macchie lunari, quindi
il poeta leva il capo per rivolgersi alla donna, ma un'improvvisa visione attira il suo sguardo e lo distoglie dal
suo proposito. Dante vede le figure di spiriti pronti a parlare, talmente evanescenti da sembrargli il riflesso
di un'immagine sul pelo dell'acqua, così il poeta cade nell'errore opposto a quello che indusse Narciso a
innamorarsi della propria immagine riflessa. Infatti Dante si volta per vedere le figure reali che pensa siano
dietro di lui, senza però vedere nulla; poi guarda Beatrice, che sorride del suo errore. La donna lo invita a
non stupirsi del fatto che lei rida al suo ingenuo pensiero e spiega che le figure che vede sono creature reali,
relegate in questo Cielo per non aver rispettato il voto. Beatrice lo invita a parlare liberamente con loro, in
quanto la luce di Dio che li illumina non gli consente di allontanarsi dalla verità.

Piccarda Donati (34-57)

Dante si rivolge all'anima che gli sembra più desiderosa di parlare e le chiede di rivelare il suo nome e la
condizione degli altri beati, appellandosi ai raggi di vita eterna che lo spirito fruisce. L'anima risponde con
occhi sorridenti e dichiara che la carità che li accende fa sì che rispondano volentieri alle giuste preghiere:
rivela dunque di essere stata in vita una suora e se Dante la guarderà meglio, la riconoscerà come Piccarda
Donati. Rivela di essere posta lì con gli altri spiriti difettivi e di essere relegata nel Cielo più basso, quello
della Luna, benché lei e gli altri gioiscano di partecipare all'ordine voluto da Dio. Essi hanno il grado più
basso di beatitudine perché i loro voti furono non adempiuti o trascurati in parte.

Spiegazione dei vari gradi di beatitudine (58-90)


Dante risponde e spiega a Piccarda che nel loro aspetto risplende qualcosa di divino che li rende diversi da
come erano in vita e che questo gli ha impedito di riconoscerla subito, poi chiede se lei o gli altri beati
desiderino acquisire un grado più elevato di beatitudine. Piccarda sorride un poco con le altre anime, poi
risponde lietamente e spiega che la carità placa ogni loro desiderio e li induce a volere solo ciò che hanno e
non altro. Se desiderassero essere in un grado superiore di beatitudine, i loro desideri sarebbero discordi
dalla volontà di Dio che li colloca lì, il che è impossibile in Paradiso dove è inevitabile essere in carità. Anzi,
aggiunge, l'essere beati comporta necessariamente l'adeguarsi alla volontà divina, per cui la posizione
occupata dai beati in Paradiso trova l'approvazione di Dio come di tutti i beati. Questo dà loro la pace,
perché Dio è il termine ultimo al quale si muovono tutte le creature dell'Universo.

L'inadempienza del voto. Costanza d'Altavilla (91-120)

Dante ha compreso il fatto che tutti i beati godono della felicità eterna, anche se in grado diverso, ma se la
risposta di Piccarda ha sciolto un suo dubbio ne ha acceso subito un altro, per cui il poeta le chiede quale
sia il voto che lei non ha portato a compimento. La beata spiega che un Cielo più alto ospita santa Chiara
d'Assisi, fondatrice nel mondo dell'Ordine delle Clarisse alla cui regola molte donne si votano e prendono il
velo. Piccarda, da giovinetta, indossò quell'abito e pronunciò i voti monastici, ma degli uomini più avvezzi al
male che al bene la rapirono dal convento e la obbligarono a una vita diversa. Piccarda indica poi un'anima
splendente alla sua destra, che ha vissuto la stessa esperienza poiché fu suora e le fu tolto forzatamente il
velo, anche se in seguito rimase in cuore fedele alla regola monastica: è l'imperatrice Costanza d'Altavilla,
che da Enrico VI generò Federico II di Svevia.

Sparizione delle anime (121-130)


Alla fine delle sue parole, Piccarda intona l'Ave, Maria e pian piano svanisce, come un oggetto che cade
nell'acqua profonda. Dante la segue con lo sguardo quanto può, poi torna a osservare Beatrice che però col
suo splendore abbaglia la vista del poeta, così che i suoi occhi dapprima non riescono a sopportare tanto
fulgore. Questo rende Dante più restio a domandare.

Interpretazione complessiva

Il Canto presenta la prima schiera di beati incontrati da Dante nel I Cielo e la protagonista assoluta è
Piccarda Donati, che spiega al poeta il motivo per cui lei e le altre anime sono rilegate nel Cielo più basso e
qual è la legge che regola i diversi gradi di beatitudine in Paradiso. La collocazione in Cielo di Piccarda era
già stata preannunciata dal fratello Forese in Purg., XXIV, 13-15 («La mia sorella, che tra bella e buona / non
so qual fosse più, triunfa lieta / ne l'alto Olimpo già di sua corona»), in contrapposizione alla futura
dannazione di Corso, su domanda diretta di Dante che quindi conosceva la giovane; ciò è confermato in
questo episodio, nel quale Dante non riconosce subito Piccarda e se ne scusa adducendo il diverso aspetto
di queste anime rispetto a quello che avevano in vita, per cui non è stato a rimembrar festino. In effetti gli
spiriti difettivi, che in vita non portarono a compimento il voto e perciò godono del più basso grado di
felicità eterna, sono gli unici beati a mostrarsi a Dante con un'immagine vagamente umana, talmente
evanescente da sembrare riflessi nell'acqua: Dante ricorre a una doppia preziosa similitudine per descrivere
queste figure diafane, quella di volti riflessi su un vetro o su uno specchio d'acqua tersa e quella di perle
bianche che si distinguono appena sulla bianca fronte di una giovane donna (ciò rientrava nella moda del
tempo ed era tipico delle giovani aristocratiche, per cui l'immagine aggiunge raffinatezza alla scena). Il
ricorso alla mefatora dell'acqua non è naturalmente nuovo, poiché Dante ha già paragonato la descrizione
del Paradiso a un viaggio per mare (II, 1 ss.; e Beatrice aveva parlato di gran mar de l'essere in I, 113) e più
avanti la scomparsa di Piccarda e degli altri beati sarà assimilata a quella di un corpo che affonda nell'acqua
profonda, così come gli spiriti del Cielo di Mercuriosembreranno pesci che si avvicinano al pelo dell'acqua
per prendere il cibo (V, 100-105).
Beatrice dichiara che gli spiriti difettivi sono confinati in questo I Cielo per manco di voto, anche se in realtà
lei stessa spiegherà più avanti che i beati risiedono tutti nell'Empireo e semplicemente appaiono a Dante
nel Cielo il cui influsso hanno subìto in vita: il poeta chiede infatti a Piccarda di rivelare il proprio nome e
la sorte sua e degli altri beati, per cui la giovane si presenta e spiega che essi godono il grado più basso di
beatitudine, proprio perché indotti o forzati in vita a non rispettare il proprio voto, come nel suo caso il
voto di castità seguente alla monacazione. Questo naturalmente accende in Dante la curiosità di sapere se i
beati desiderino un più alto grado di beatitudine e la domanda fa sorridere le anime, dal momento che un
simile desiderio sarebbe impossibile in Paradiso. La risposta di Piccarda precisa una legge che coinvolge
tutti i beati del terzo regno, ovvero il fatto che essi ardono della virtù di carità e quindi, grazie ad essa, non
possono che conformarsi alla volontà di Dio che li cerne, li colloca in quella posizione; se i loro desideri
fossero discordi da quelli divini ciò sarebbe incompatibile con la loro condizione stessa di beati, proprio
perché verrebbe meno l'ardore di carità che è premessa indispensabile alla beatitudine (secondo la filosofia
scolastica la carità comportava l'adeguamento alla volontà dell'oggetto amato). Il discorso di Piccarda è
conciso e stringente nella sua logica e si avvale di un preciso linguaggio filosofico, che include latinismi puri
(necesse, beato esse) e tecnicismi (formale, nel senso di causa essenziale) che saranno usati spesso dal
poeta nel corso della III Cantica; l'idea stessa della gradazione della beatitudine e della divisione dei beati in
varie schiere, se da un lato risponde a un criterio analogo rispetto a Inferno e Purgatorio, dall'altro risponde
alla trattazione che ne dà san Tommaso e che verrà ripresa nel Canto seguente, specie nel tentativo di
correggere l'opinione espressa da Platone nel Timeo riguardo alla collocazione delle anime dopo la morte.
L'ultima parte del Canto è dedicata a Piccarda personaggio, la fanciulla conosciuta da Dante a Firenze e
costretta dal fratello Corso a sposarsi contro il suo volere, rapita de la dolce chiostra ad opera di Corso
medesimo e dei suoi complici, definiti da lei uomini... a mal più ch'a bene usi(con sereno distacco dalle
vicende terrene e senza l'ombra di rancore verso l'ingiustizia patita); la conclusione della sua vicenda
personale è affidata a un verso lapidario quanto allusivo, Iddio si sa qual poi mia vita fusi, che è stato
giustamente accostato ad altre celebri chiuse di personaggi danteschi, da Ulisse (Inf., XXVI, infin che 'l mar
fu sovra noi richiuso), al conte Ugolino (XXXIII, 75 Poscia, più che 'l dolor poté 'l digiuno), senza contare il
manzoniano La sventurata rispose relativo alla monaca di Monza e per il quale il grande romanziere
potrebbe essersi ispirato proprio a questo passo. Piccarda rievoca la sua vicenda umana per spiegare quale
voto non ha portato a termine e per farlo indica a Dante due diverse donne, che costituiscono due diversi
esempi di devozione religiosa: la prima è santa Chiara d'Assisi, la fondatrice delle Clarisse alla cui regola
Piccarda si era votata, mentre la seconda è l'imperatrice Costanza d'Altavilla, la madre di Federico II di
Svevia che ha subìto il suo stesso destino e ora risplende accanto a lei in questo Cielo. Dante accoglie la
leggenda della monacazione di Costanza e dell'obbligo impostole di sposare Enrico VI, matrimonio da cui
era nato Federico II (accusato dalla pubblicistica guelfa di essere l'Anticristo in quanto frutto di un'unione
peccaminosa, come del resto suo figlio Manfredi); il fatto era totalmente falso, tuttavia non impedisce a
Dante di collocare la donna in Paradiso come, del resto, Manfredi in Purgatorio, a significare che la via della
salvezza non è necessariamente legata alle vicende terrene o alla condanna della Chiesa, come più volte è
stato affermato nella II Cantica e sarà ancora ribadito nella III, specie nei Canti dedicati al problema della
giustizia. La spiegazione di Piccarda accende due nuovi dubbi in Dante, relativi all'inadempienza del voto e
alla collocazione effettiva dei beati in Paradiso, che saranno spiegati da Beatrice nei Canti IV-V, mentre alla
fine di questo il fulgore con cui la guida di Dante abbaglia la sua vista lo rende a dimandar più tardo, proprio
come lo sarà all'inizio del successivo perché incerto su quale domanda rivolgerle per prima.

Note e passi controversi

Al v. 1 il sole è naturalmente Beatrice, in quanto primo amore di Dante e luce in grado di chiarire i suoi
dubbi in materia di fede.
I verbi provando e riprovando (v. 3) sono tecnicismi della Scolastica, poiché indicano i due momenti
dell'argomentazione di Beatrice del Canto precedente («riprovare» significa confutare, «provare» vuol dire
portare argomenti a favore della propria tesi).
Al v. 13 le postille sono le immagini riflesse sull'acqua.
Il v. 14 allude alla moda femminile del Due-Trecento di portare in fronte una perla appesa a una coroncina
o a una reticella.
I vv. 17-18 ricordano il mito di Narciso, che vedendo la propria immagine riflessa nell'acqua se ne innamorò
credendola reale (Dante incorre nello sbaglio opposto, poiché crede immagini riflesse quelle reali). La fonte
è Ovidio, Met., III, 407 ss.
Al v. 26 coto deriva da «cotare», «cogitare» e vuol dire «pensiero».
La spera più tarda (v. 51) è il Cielo della Luna, che è il più vicino alla Terra e quello che ha minor raggio,
quindi ruota più lento.
Al v. 57 è presente il bisticcio vóti / vòti, ovvero «voti» / «vuoti» (nel senso di non compiuti).
Al v. 63 latino significa «chiaro», «facile a intendersi» ed è attestato nella lingua del tempo.
Il primo foco del v. 69 è certamente lo Spirito Santo, cioè Dio in quanto primo amore; altri hanno pensato al
primo amore per cui arde una donna, ma sembra immagine poco adatta a raffigurare una beata.
Capére (v. 76) significa «aver luogo» ed è termine della Scolastica che deriva dal lat. capere.
Ai vv. 95-96 il voto non portato a termine è paragonato a una tela non finita di tessere.
Al v. 97 inciela («colloca in cielo») è neologismo dantesco con quest'unica occorrenza nel poema.
Lo sposo citato al v. 101 è naturalmente Cristo, poiché la donna che diventava monaca si sposava con Lui (la
metafora delle nozze mistiche deriva dalle Scritture ed è largamente usata dagli scrittori della letteratura
religiosa del Due-Trecento).
Il secondo vento di Soave (v. 119) è Enrico VI, secondo imperatore della casa sveva, mentre il terzo e ultimo
è Federico II. Il termine vento è stato interpretato come «gloria», «potenza» e anche «superbia».

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